| :.Sehnsucht.: |
| | Psychobabble What do we do now?Una speranza c’era, come sempre. Doveva solo uscire da quell’Inferno. Non aveva la minima idea del perché ogni Aldilà dovesse avere una prova da superare per tornare in vita o un’uscita da cui si potesse passare entro un tempo limite prima di… diventare una zucca, probabilmente. Non lo sapeva e non gli interessava. Se seguire quella strada fosse bastata a riportargli i suoi poteri, allora l’avrebbe fatto.
“Grazie.”
Avrebbe voluto dire o fare qualcosa di più perché, alla fine, quell’uomo non c’entrava nulla. Avrebbe sicuramente potuto fare qualcosa di più, qualcosa che andasse oltre ad una parola sussurrata a mezza voce ed un debole sorriso. Ma il potere lo attendeva ed ogni secondo che passava il suo corpo sembrava rattrappirsi ed i suoi muscoli si atrofizzavano e se non si fosse mosso in fretta non sarebbe più neanche riuscito a camminare. Ed allora quel “grazie” sarebbe dovuto bastare, perché non aveva la forza neanche di aprire la bocca, perché la sua mente galleggiava nel vuoto e tutto ciò che vedeva, di fronte a sé, era il buio dei cunicoli.
Cominciò a correre, senza più curarsi del Mostro e di quel tizio che gridava: corse, sfiorando la parete della galleria con la mano sinistra, ignorando i muscoli delle gambe che sembravano promettere di lacerarsi ad ogni nuovo passo, ignorando il cuore che aveva cominciato a battere così forte che forse sarebbe esploso. Non importava. Era morto. Non importava. Correva, ignorando le proteste del proprio corpo, ignorando le ginocchia che tremavano sotto il suo stesso peso, ignorando i suoi polmoni a cui non arrivava abbastanza aria e che si gonfiavano e gonfiavano fino a lottare per spezzare quella gabbia opprimente che era la sua cassa toracica. Correva, e quando non ci riusciva camminava, e quando le sue gambe sembravano non essere più così pesanti ricominciava a correre, senza dare ascolto al caos di voci e parole che era divenuta la sua mente, ignorando quella vocina nel retro della sua testa che strillava e strillava perché tornasse indietro, in un posto che non fosse una stretta galleria pronta a franargli sulla testa: continuava, sfiorando sempre la parete di quella grotta che sembrava dilatarsi e sgonfiarsi al ritmo di quel maledetto metronomo che si era lasciato alle spalle e che doveva essere lontano e perché lo sentiva ancora? Non importava. Era morto. Non importava.
(Ed intanto la terra sembrava tremare e le immagini si sdoppiavano di fronte ai suoi occhi e non sapeva davvero cosa fare, sentiva solo il suo respiro divenire affannoso e la sua testa galleggiare e doveva andare avanti, camminare, correre, doveva andare avanti, anche strisciando, se costretto. Doveva andare avanti, anche se la grotta crollava sulla sua testa, anche se di fronte a lui comparivano una miriade di schifosi esseri vagamente simili a ragni.)
Insetti. Una grotta da cui colavano liquidi dal soffitto e piena di insetti: avrebbe potuto fermarsi e chiedersi se non fosse tornato indietro nel tempo, se non fosse stato nel panico per via della claustrofobia. Avrebbe voluto gridare: era in uno stretto cunicolo, probabilmente sotto terra, evidentemente – o almeno così la sua mente continuava a ripetere – senza più molta aria, e l’unico motivo per cui non aveva cominciato a strillare era che era terrorizzato dall’idea che le onde sonore potessero, in un qualche modo, far crollare la caverna. Non sapeva come tale cosa potesse essere possibile, ma contando la sua situazione era davvero un miracolo che fosse ancora capace di un qualsiasi pensiero razionale.
Insetti. Ragni, se non si sbagliava: non che sapesse molto su quei particolari animali – combattere contro un tizio che sudava scarafaggi non era esattamente la spinta di cui aveva sempre avuto bisogno per convincersi a studiare l’entomologia – ma era piuttosto convinto che potessero essere considerati ragni. O, comunque, quello che erano: l’importante era superarli senza essere attaccato, non dar loro un nome.
Anche se seratopodo era carino, esordì una vocina della sua mente che probabilmente era semplice frutto di quella particolare reazione che faceva concentrare gli esseri viventi sulla parte più stupida di una questione che dava loro il panico.
(Sfilò la pistola con la mano destra, sforzandosi per fare un ultimo scatto in avanti: doveva solo essere veloce, se fosse stato veloce sarebbe riuscito ad evitare quegli schifosi insetti ed avrebbe raggiunto il suo obiettivo ed era quello ciò che importava, solo quello e nient’altro.)
Correva, anche se le ginocchia cedevano sotto il suo stesso peso, anche se rischiava più volte di inciampare su uno di quegli schifosi seratopodi e la sua testa era leggera e forse stava solo galleggiando nello spazio, forse se si fosse lasciato cadere non avrebbe mai raggiunto il pavimento, forse non doveva davvero sforzarsi così tanto. Forse: ed intanto sparava ad uno di quei quasi-ragni che si era avvicinato troppo alla sua gamba, ed intanto calciava via uno dei seratopodi che gli sbarrava la strada, ed intanto doveva correre perché nulla importava se non ottenere il potere ed il potere era in fondo a quel cunicolo e se cadeva non ci sarebbe mai arrivato.
Doveva continuare a correre fino a che non avesse raggiunto l’obiettivo che era al di là di quei ragni e non importava riprendere il fiato, non importava che fosse inciampato: doveva rialzarsi, sparare a quel coso che voleva mordergli il braccio, dare un altro calcio all’insetto che si era avvicinato troppo alla sua gamba e rialzarsi. Doveva ignorare il morso al braccio sinistro, ignorare la testa che girava e girava e girava, costringendolo a ricadere sulle proprie gambe.
Il respiro era affannoso ed i ragni si stavano avvicinando e doveva alzarsi, doveva tornare a correre, eppure non riusciva a fare nulla, nulla se non stringere la pistola con la mano destra ed osservare mentre il mondo diveniva una macchia sfocata ed indistinta.
(Chiuse gli occhi, perché quella era l’unica cosa sensata da fare, poi agitò il braccio sinistro, allontanando l’insetto che l’aveva morso: doveva correre, quella era l’unica cosa che importava, doveva riuscire ad alzarsi, anche se i suoi muscoli sembravano essersi atrofizzati e le ginocchia tremavano.)
Mosse qualche passo incerto, rischiando di cadere ad ogni singolo movimento: attorno a lui, oltre al battito impazzito del suo cuore ed al suono confuso delle voci nella sua testa, poteva sentire il rumore dei passi di quei disgustosi ragni avvicinarsi per morderlo e fermarlo. Cominciò a camminare, stringendo spasmodicamente la pistola, tentando di sforzare le sue gambe ad andare più veloce, ancora più veloce. Era morto. Cosa importava che si sentisse stanco, che tutto facesse così male, che la sua milza stesse per scoppiare? Era morto. Era morto.
(Ed intanto l’aria si era fatta più pesante e lo sapeva, se lo sentiva che il cunicolo era crollato sulla sua testa e quello era solo un incubo mentre moriva lentamente soffocato: allora aprì gli occhi, senza sapere realmente perché, sapendo solo che doveva prendere una qualche prova che era solo una sua paranoia oppure sarebbe impazzito.)
Era il suo laboratorio. Non ricordava di aver lasciato il suo laboratorio così in disordine, ma sapeva che quello era il suo laboratorio. Ricordava quell’ambiente opprimente, quell’aria viziata che sembrava rallentare il tempo fin quasi a fermarlo. Ricordava quella disperazione che sembrava essersi impressa in ogni singolo centimetro di quella stanza, appesantendo chiunque fosse riuscito ad entrare. Ricordava ogni singolo arto che giaceva a terra in quella confusione che non era sua: ricordava la dolce ragazza a cui aveva strappato quel braccio, ricordava la mano a cui apparteneva quell’indice nell’angolo, ricordava l’irritazione che aveva dimostrato la maga quando le aveva infine tagliato la testa che ora giaceva ai suoi piedi. Ma soprattutto ricordava quegli occhi: quelle mille diverse sfumature di occhi che l’avevano affascinato e che aveva tolto con cura per poi ricucire nelle orbite dell’ennesimo fallimento che sarebbe poi puntualmente andato distrutto. Le vocine nella sua testa gridavano, imitando le vittime che in tutti quegli anni aveva preso- e per cosa? Era stato tutto inutile. Così incredibilmente, odiosamente inutile.
Quella testa, quella che stava raccogliendo con tanta cura e che teneva con la mano sinistra- quanto aveva odiato tagliarla! Quanto aveva odiato togliere la vita ad ogni singola persona i cui resti erano rimasti in quel luogo. Ogni volta era stata una violenza che aveva fatto su se stesso: ogni volta aveva calato il pugnale tremando, chiedendosi se non ci fosse un altro modo, pregando perché quella volta andasse bene, perché quella volta fosse la volta buona. Ed ogni volta era un fallimento.
Era tutto un tale fallimento ed era tutta colpa sua.
Eppure, tentò di ragionare Liam, sovrastando per qualche attimo le grida che stavano in quel momento dilaniando la sua mente, eppure non aveva mai voluto arrivare a quel punto. Non sarebbe mai arrivato a quel punto se solo lui avesse capito- e lui non l’aveva fatto, non l’aveva mai fatto perché, alla fine-
“Come avrebbe potuto?”
Tutto ciò che aveva voluto fare era renderlo felice. Sarebbe bastato così poco- che lui accettasse la realtà, che la smettesse di incolparlo, che tornasse semplicemente ad essere felice. Sarebbe stato così dannatamente semplice.
“Perché deve andare sempre tutto storto?”
La testa lo morse.
Fu un movimento rapido, un qualcosa che Liam non sarebbe mai riuscito a prevedere: semplicemente, tutto d’un tratto, la testa di suo fratello aveva deciso di morderlo- suo fratello?
(Strillò, scagliando la testa contro un muro e poi, quando finalmente la voce cominciò a tremare e le vene cominciarono a pulsare contro le sue tempie e la stupida testa era atterrata sul pavimento come se nulla fosse stato, le sparò contro, sorridendo mentre piccoli pezzi di ossa e cervello schizzavano contro la parete.)
“Al diavolo,” mormorò Liam, mentre la mano che stringeva la pistola cominciava a tremare e la testa girava e cominciava a sentirsi così debole, così tanto debole che quasi temeva di svenire, “al diavolo!”
Si voltò facendo perno sulla gamba sinistra che, per pochi istanti, sembrò accennare a cedere, quindi sparò ancora, mirando ad un braccio a poca distanza. Non ricordava di chi era quel braccio. Non importava. Non importava niente.
“Io ho lavorato per arrivare fino a questo risultato!” gridò l’elfo, arretrando mentre con la pistola mirava a destra e a sinistra, schizzando con lo sguardo da tutte le parti, “Io ho lavorato ed ho fatto del mio meglio ed ho ottenuto molto di più di quanto si potesse chiedere!”
Continuava ad arretrare e voleva gridare, voleva strillare fino a che la sua voce non fosse giunta fino alle orecchie di suo fratello, voleva sparare anche se non c’era nessuno a cui mirare. Voleva gridare e dire tante altre cose ma il buio si era fatto così opprimente ed ogni boccone d’aria era un gelido mattone che passava a malapena attraverso la sua gola e non importava, non importava nulla, doveva solo girarsi e fuggire.
Doveva girarsi e
(VEDevA sé STESso. Non POtEva sbagLIARSI. NOn poteva noN ricoNOSceRe sé steSSo.)
Gli occhi erano due buchi neri che sembravano fissarlo e non erano veri erano solo la sua immaginazione ma lui non aveva occhi, poteva vederlo, niente occhi, erano stati mangiati dai vermi, i vermi li avrebbero mangiati i suoi occhi avrebbero fatto quella fine e non poteva sopportarlo non poteva sopportarlo non poteva. Non poteva rallentare, non poteva tornare indietro, era tutta la sua immaginazione, solo immaginazione, doveva continuare a camminare anche se faceva male, faceva male, tutta colpa dei suoi muscoli e dei suoi nervi, se solo il suo corpo non fosse stato un disgustoso sacco di carne e cosa gli stava succedendo? Perché non riusciva a pensare? Doveva pensare in modo corretto, doveva recuperare la ragione, ciò che vedeva di fronte a sé non era lui, era solo un’illusione, non stava andando incontro a sé stesso, non stava sanguinando, perché stava sanguinando? Dalle due cavità in cui dovevano esserci gli occhi usciva del sangue ed il sangue colava dappertutto, anche dalle tempie, anche dalla bocca, anche dalle orecchie, tutto scorreva lungo le sue guance, le sue guance erano due piccoli cuscinetti di carne macilenta ripieni di pus e non era lui, non era lui, era solo un illusione. Doveva andare avanti, se si fosse avvicinato quell’illusione sarebbe scomparsa, era solo un’illusione, era solo una visione di ciò che sarebbe divenuto se non si fosse strappato di dosso la carne e gli occhi e non li avesse sostituiti con qualcosa, con il potere, il mana era caldo e si sentiva così freddo, faceva freddo ed il suo corpo stava morendo e il dolore che sentiva era il risultato del cibarsi di vermi e larve del suo corpo. Doveva andare avanti, non sarebbe successo niente, doveva pensare in modo corretto, doveva recuperare la ragione, lui era lì, a così poca distanza, ed appena due passi e l’avrebbe toccato e sarebbero tornati insieme, sarebbero divenuti una persona completa e no, no, no, no! Doveva andare avanti ma non poteva guardare, doveva nascondere la testa fra le braccia e sperare che fosse solo un brutto sogno e per favore, per favore, voleva solo svegliarsi, voleva svegliarsi e dimenticare tutto e fondere il ferro sopra la sua carne affinché il metallo potesse mangiarsi quell’impurità e renderlo forte.
(Abbassò le braccia e di fronte a lui non c’era più nulla. Solo un’illusione, come aveva immaginato.)
Abbassò lo sguardo e pezzi di carne macilenta cadevano dalle sue braccia lasciando intravedere i vermi che si nutrivano dei suoi muscoli atrofizzati e del pus che continuava a scorrere ed allora STRILLò, strillò, StriLLò, e tUTto Si FEce BUIO e SEnTIvA i VERMI divorAre i sUOi occhi e SULle sue GUancE COLava caldO SANGUE e STRIllò FINO a che Le COrde vOCAli NOn si LACEraroNo e La Sua TeSTa NoN EsploSE Ed il CUORE NOn MARCÌ.
[ReC : 26025 ] [AeV : 22025] [PeRF : 12025] [PeRM : 36525] [CaeM : 21025]
[C:37%][A:17%][M:7%][B:2%]
Mana: 150% Armi: Pistola - Riposta Pugnale - Riposto Danni subiti: Morso di ragno al braccio sinistro e alla mano sinistra, dolori vari dovuti alla fatica, terrorizzato Tecniche utilizzate: /// Abilità attive:
-Certo, hm, tu corri, io... arrivo subito. A b i l i t à P a s s i v a Liam è un negromante. Un buon negromante, a dire il vero. Ma per qualsiasi mago, anche per un negromante, a volte non bastano due incantesimi: a volte, un mago, anzi, un negromante, ha bisogno di lanciare tre incantesimi. Rinunciando a qualsiasi movimento, Liam può disporre di uno slot in più a turno, potendo quindi vantare una somma di tre tecniche per post.
-Non so te, ma credo di poter continuare all'infinito A b i l i t à P a s s i v a | P e r g a m e n a R i s p a r m i o E n e r g e t i c o Questa tecnica conta come un'abilità passiva. Una tecnica utilissima per tutti i maghi e stregoni che fanno uso di magie complesse e dispendiose. Grazie a questa pergamena, infatti, i costi di tutte le tecniche e abilità attive saranno ridotti del 3%, e se una tecnica andasse, in questo modo, sotto lo 0% o allo 0% stesso, verrebbe riportata all'1%. La tecnica non ha consumi energetici, ed è sempre attiva. Una tecnica estremamente utile per qualsiasi combattente magico.
Azioni: Spara ed elimina uno dei ragni, dà qualche calcio per allontanarne un paio (i ragni ne escono incolumi, questa volta), inciampa, viene morso, subisce una prima illusione di livello Alto, prende in mano uno dei ragni scambiandolo per una testa, si fa mordere una seconda volta, gli spara, spara ad un altro ragno che scambia per un "braccio" e subisce un'epic freak out of epicness.
Note: Oooora, la prima illusione è di livello alto, quindi Liam sta relativamente bene... freak out a parte. Il secondo morso, comunque, va ad aggiugnersi al primo, cosa che gli fa avere un'allucinazione di livello critico. Come farò a fargli recuperare il senno? Farfalla.
Liam Merihim, signori: l'unico il cui problema che ha per il proprio corpo può far dire ad una psicologa "ma perché non potevi essere anoressico?" Edited by :.Sehnsucht.: - 20/6/2010, 22:20
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