| ¬Lenny |
| | Nessuno prende le botte come un coniglio! Roger Rabbit. Passi riecheggiavano nei corridoi deserti. Passi lenti, cadenzati. Di chi sa bene quel che deve fare, e deve farlo con tutta calma per non scatenare un guaio molto più grande di lui. Appartenenti ad un uomo non molto alto, ne troppo robusto. Capelli pagliericci facevano cornice ad un volto dai lineamenti raffinati, piccolo naso all’insù, bocca stretta e sottile, occhi come due feritoie. Vestiva elegante, come si conviene in siffatte cerimonie: la giacca superiore, una marsina beige, era decorata da file di bottoni scuri, dalle falde molto svasate grazie a imbottiture cartonate nascoste. Lunga e stretta, lasciava appena intravedere la sottomarsina color blu notte. Pantaloni lunghi e scuri, stretti sino alle caviglie. Scarpe basse, nere. A una ventina dimetri di distanza era già possibile udire quell’enorme accumulo di voci sovrastarsi l’una sull’altra, giungendo alle orecchie sottoforma di un chiacchiericcio intellegibile, di un cicaleggiare frenetico. La fossa dei leoni. Quale altra migliore espressione per definire quel posto? La fossa del leone. Raphael Anthoosen von Sorel si avvicinò all'entrata per la fossa. Oltre la superficie della porta in legno scuro era possibile udire indistintamente quelle che parevano un centinaio di voci maschili e femminili. Pareva quasi un peana infernale. Deglutì. Si diede una celere sistemata alla marsina. Il Re non lo avrebbe riconosciuto mai. Forse non si ricordava neanche più di lui, dopo quell'ultimo "incontro" avvenuto mesi prima, durante l'ultimo turno della cosiddetta Abiezione al quale aveva partecipato. Promesse vuote che suonavano come minacce erano state lanciate dal Sorel alla sua così poco regale persona, e quella sera stessa, dopo mesi, Raphael lo avrebbe incontrato nuovamente. Non un'occasione di piacere, ovviamente. Non era certo giunto sino alla sua reggia per un insulso divertimento. Il Re non lo avrebbe riconosciuto perchè dinanzi al volto portava una maschera di cartapesta dorata, una delle tante che distribuivano all'entrata della reggia. Raphael aveva afferrato la prima che era capitata dinanzi agli occhi, una maschera normale si potrebbe dire. Non fosse per le due lunghe estroflessioni che partivano da sopra la fronte e per il muso decorato in quel modo. Rappresentava un coniglio. Raphael la adagiò delicatamente sul suo volto, stringendo bene le due cordicelle dietro la nuca in un semplice nodo. Poi spinse l'anta della grande porta in legno scuro con la mancina. La luce lo investì. Il Coniglio strabuzzò gli occhi due, tre volte prima di focalizzare bene il contesto.
Perchè si trovava in quel luogo? Perchè in quel giorno? Perchè quando uno come lui avrebbe di certo avuto mansioni più importanti, compiti da svolgere, tempo da spendere diversamente che in una squallida festa in maschera del Re che non perde mai? Era passato così tanto tempo dall'ultima sua apparizione nel maledetto torneo indetto dal sovrano dei Toryu. Raphael aveva vinto. Due volte di fila. E avrebbe contnuato a vincere, a umiliare le fila del Re se non fosse stato preso da problemi differenti e ben più gravi. L'Ad Extirpanda, la distruzione del Clan, l'addio di Elhonna, l'apparente morte di Eitinel...Catastrofi indelebili si erano abbattute sui regnanti dell'eden, cataclismi ai quali gli stessi soryani avevano tentato di far fronte. E Raphael stesso era stato sempre lì, a cercar di dare una mano, a ricostruire dalle fondamenta. Tutto inutile, tutto perso, bisbigliavano le ombre. Il clan Sorya non potrà mai esser ricostruito dalle sue stesse rovine. Non potrà mai raggiungere nuovamente quel lontano splendore, quella lontana ricchezza. La Pace. Mai. E quando un soryano appena giunto da una missione fuori dall'eden aveva consegnato a Raohael un invito con stampato sopra il sigillo regale del sovrano dei Toryu, poco ci era mancato che non lo stracciasse in mille pezzi, che non lo gettasse tra le stesse fiamme che divoravano i resti del clan. E invece aveva ceduto alla curiosità. Aveva letto. Un invito del Re che non perde mai indirizzato ad una persona sconosciuta. Sottratto ad una persona conosciuta, uno dei membri del clan Toryu, forse. Un invito ad una reggia del Re, nel regno umano così lontano dall'Eden, dai resti del Sorya.. Raphael aveva ponderato bene sulla cosa. Non poteva permettere che il Sorya rimanesse estraniato dalle vicende dei suoi nemici. Non poteva lasciare che un nuovo piano del Toryu rischiasse di dare il colpo terminale ad un clan già costretto in ginocchio. Doveva far luce sulla faccenda. Doveva mettersi in viaggio, ottenere informazioni, spiare senza esser scoperto. E riferire ogni singola questione sospetta ai suoi compagni. Osservare. Osservare senza interferire. Scoprire quale nuovo piano demente passasse per la testa del Re che non perde Mai. Rischiando che fosse una trappola, che fosse uno scherzo. Raphael poteva permettersi di rischiare. Il clan Sorya no. Non più, almeno. Non in quei tempi. E dopo giorni interi di viaggio, cavalcando attraverso passi montani e costieri, steppe e foreste, passi montani e costieri, villaggi e città, morte e vita, finalmente giunse nel cuore delle terre umane. Alla reggia del Re indicata in una piccola mappa posta sul retro dell’invito. Infine, il giorno prima della festa, era giunto a riposare in una taverna nei pressi della reggia. L'indomani si sarebbe poi recato al ricevimento del Re che non perde Mai. A compiere l’ultimo volere della Dea prima che sparisse. A combattere l’Abiezione per il Sorya. A vincere per i Sorel. A vivere o a morire, questo lo sapeva solo Lei.
Lo circondava un Inferno di bestie. Una bolgia di fiere. Maschere che rappresentavano ogni tipo di animale, erbivoro, onnivoro o carnivoro che fosse. Animali parlanti, sorridenti. Raphael era disgustato da quel lusso sfrenato, da quella ipocrita messinscena di corte, da quella lontana copia di una vita regale. Del resto, non era certo la prima delle occasioni organizzate dal Re a disgustarlo. Quella festa era seconda solo ad una certa Abiezione.. Le sagome meta-umane lasciavano solo uno spiazzo circolare, una cerchia vuota al centro della sala, ove era situata la maschera più sgradevole di tutte. Un mostro nero. Tratti disumani, feroci. Lineamenti duri, demoniaci. Raphael intuì a chi potesse appartenere la maschera esattamente un secondo prima che da essa si diramasse una voce a lui familiare.. « Miei graditissimi ospiti! » L’attenzione di tutti si focalizzò sulla maschera del Re. Raphael si allontanò senza staccarle lo sguardo di dosso, arretrando sino ad un angolino remoto della sala, il più possibilmente lontano da tutto e da tutti. Sotto la maschera da Coniglio stava iniziando a sudare freddo. In petto poteva quasi sentire il suo cuore accelerare il battito. « Questa sera potrete assistere a un prodigio della scienza! » Aveva bisogno di un po’ d’acqua, si sentiva disidratato. Quel posto era rivoltante. Tutti loro erano rivoltanti. Il suo sguardo balenò da una parte all’altra della sala, alla ricerca del bagno. Cosa voleva dire il Re? Quale progetto di quale scienza demente aveva in testa? Raphael aveva bisogno di concentrarsi, ma come poteva mai farlo con quella sensazione di nausea che lo avvolgeva? Forse non era nausea. Forse era solo paura. « A breve, potrete assistere al mio personalissimo Kodoku: fino a quel momento, godetevi la festa! » Il re terminò il suo breve discorso e a Raphael parve quasi che gli avesse lanciato una rapida occhiata. A lui, alla maschera da Coniglio appostata nell’angolino della sala, al Sorya che si trovava fra i Toryu. Al coniglio posto in mezzo ad un branco di lupi. Raphael era solo. Solo. Bastava un piccolo, insulso errore e la copertura avrebbe potuto saltare. Lo avrebbero scoperto, lo avrebbero di certo arrestato. Un ufficiale del clan Sorya alla festa del Re, un acerrimo nemico della politica monarchica del Toryu. E avrebbe potuto mai permettersi il clan Sorya questo ennesimo colpo? Il disagio di perdere uno dei suoi ufficiali, uno di coloro che più erano stati fedeli all’Inquisitrice? Avanti, soldatino, non te la fare addosso.. Una voce proveniente dalla sua testa lo fece rinsavire. Conosceva bene, quella voce. Era nata in uno degli antri più oscuri e remoti della sua mente, del suo spirito. Porti solo la maschera di un coniglio. Non immedesimarti troppo in quel ruolo. Non importava che provasse paura, timore reverenziale, terrore o chissà cosa. Non importava neanche che la sua vita fosse appesa ad un filo posto a due centimetri da una candela accesa. Aveva rischiato. Rischiato per il clan. Il dado era stato tratto, non era più possibile fare retrofront. Raphael ingoiò fiele, si sistemò bene l’elegante marsina beige, diede una pacca sulla sua spalla per scostare della polvere. Era tempo di mischiarsi nella calca di gentucola presente a quella festa demenziale. Era tempo di acquisire informazioni più che importanti: necessarie. A cosa era dovuta quella speciale occasione? Cosa intendeva il Re per "progresso della scienza"? Cosa diavolo significava il termine Kodoku? Era forse l'ennesima delle aberrazioni provenienti dall'inferno, dall'Akerat? Domande senza risposta che solo il tempo e una certa dose di attenzione avrebbero potuto risolvere. Raphael Anthoosen von Sorel, maschera da Coniglio sul volto, si addentrò nella calca con apparente nonchalance, con fare disinteressato. Orecchie tese (quelle vere, non quelle da coniglio) in direzione dei discorsi più interessanti. A osservare. Osservare senza interferire.
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