| Scar Garrett |
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Freddo, un freddo pungente, quasi fastidioso; penetrava il grosso frac di Scar, entrando a contatto con la sua fredda carne priva di vita. Sbuffò il vampiro, permettendo al suo alito di creare una piccola nuvoletta di vapore che si liberò nell’ aria, scomparendo piano piano. Faceva davvero freddo. Il cielo era nuvoloso, di un grigio plumbeo che dava malinconia, l’ ora, ormai tarda, non aiutava a donare al luogo un aspetto maggiormente allegro. Probabilmente avrebbe nevicato quella notte, no, impossibile, sarebbe stato troppo bello, avrebbe piovuto, come se non lo stesse già facendo. Scar accennò un piccolo sorriso, sapeva che non c’ era niente da ridere, ma lo faceva lo stesso. La natura limitrofa a lui, spoglia e morta, indicava l’ arrivo del freddo inverno. Non vi era più nessun segno della verde estate, solo il marrone dell’ autunno. L’ accidia prese il cuore del guerriero, insoddisfatto, annoiato, seguiva la fangosa strada sterrata, sperando che qualcosa cambiasse, che tornasse la gioiosa stagione. Dopo il suo arrivo tra i Sorya si era come fossilizzato, non aveva ancora avuto modo di mostrare le sue doti, le sue abilità a nessuno. Si era limitato a leggere e studiare libri su libri, soprattutto di retorica, la sua disciplina preferita, e poi, come tutti sanno, cosa si può fare durante l’ uggioso inverno se non starsene davanti al caldo caminetto a riposare? Le guerre e i combattimenti, fin dall’ antichità erano condotti dalla primavera fino all’ autunno, poi venivano interrotte fino all’ anno successivo. Scar si cacciò le mani in tasca, premendole contro le pareti di stoffa delle stesse in cerca di calore che non trovò. Rassegnato e rattristato allo stesso tempo continuò la salita su quel colle che stava scalando senza accorgersene, camminando senza premura, dando calci svogliati a qualche sassolino che si parava sul suo cammino. Dopo l’ ennesimo tornante del sentiero la vide. Stagliata contro l’ orizzonte, solitaria, rude e spaventosa, la Bettola. Di pietra grigia e assi di legno marrone chiaro, a due piani più sottotetto, imponente. Dal camino usciva un fumo denso ora bianco ora grigio che si mescolava e nascondeva nelle nubi. Affianco vi era un albero, le radici piantate nel terreno, i rami che tendevano al cielo. Una sensazione di calore, di compagnia, di affetto prese il cuore del vampiro, riempiendolo di speranza. Mai aveva provato quelle stesse emozioni per secoli. Accellerò il passo, voleva entrare, far vedere che c’ era anche lui, che anche lui poteva mischiarsi con persone ‘’ normali ‘’ come si definivano, che non era un meschino, un impuro come era stato tante volte chiamato. Passo dopo passo, respiro dopo respiro arrivò, si fermò innanzi alla porta di legno, allungò il braccio destro, e la spinse lentamente. I cardini cigolarono, sapeva di avere tutti gli occhi su di lui, in fin dei conti era l’ estraneo appena arrivato, ma non era imbarazzato, quello no, era spaventato. Come avrebbero reagito vedendo le sue iridi rosse? E i lunghi canini? Poggiò il piede sul pavimento di assi della locanda e si guardò intorno con fare di bambino. Una testa di cervo impagliata lo osservava con occhio spento, un odore misto tra marcio e alcool gli riempiva le narici, la luce non era molto forte e nasceva tutta dal caminetto che si trovava al centro del locale. Richiuse la porta dietro di lui con fare calmo, si tolse il frac rimanendo in maglietta a maniche corte e si avvicinò al bancone. Il caldo del caminetto lo stava coccolando dolcemente, si sentiva già meglio. Le dita, rinchiuse nei loro guantini di lana nera, iniziavano a percepire l’ amorevole caldo. Si sedette su una delle tante sedie vuote davanti al bancone ed ordinò all’ oste una bistecca di cinghiale con voce ferma. Sapeva che tutti lo stavano osservando, ma non se ne preoccupava, doveva mostrare sicurezza, sicuramente non sarebbe più stato il loro oggetto di interesse. Appena il piatto gli fu fatto scivolare davanti al naso, il profumo della pietanza lo riempì di gioia, la bocca iniziò a salivare maggiormente. Prese coltello e forchetta ed iniziò a tagliare e mangiare a piccoli bocconi la bistecca per godersela maggiormente. Percepì che non era più il principale interesse dei presenti che erano tornati alle loro precedenti occupazioni. Felice del fatto, dimenticandosi della malinconia che lo aveva preso qualche istante prima, si abbandonò al suo pranzo.
CITAZIONE Note: Post di presentazione, niente di che, a te la penna Edited by Scar Garrett - 17/6/2010, 12:49
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