La mente di un giovane illusionista, Preda delle sue stesse illusioni.
Il buio lo circondava in quello stretto corridoio. Passo dopo passo si avvicinava al suo obbiettivo, alla luce che brillava al termine del tunnel. Sembrava quasi aver abbandonato il mondo reale, tutto ciò che vedeva appariva come il frutto di uno strano sogno. Il rumore della suole risuonava in quell’ambiente vuoto, ricolmo di misera tristezza. Finalmente giunse alla fine, i bordi dei muri si spezzavano e terminavano quell’esperienza onirica.
« Ti stavo aspettando. »
La voce roca risuonò nel grande salone: cos’era quella strana sensazione di deja vù? Vacillava, dirigendosi verso la figura ammantata di nero che dall’alto di quello che sembrava un palcoscenico lo osservava compiaciuto.
« Sei finalmente giunto, Drakar Ennòn Roth? »
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La luce illuminava i tetri corridoi della nave volante, percorsi lentamente dall’annoiato illusionista. Una situazione calma, forse sin troppo per un tipo come lui. Quando Hyena era diventato capo del Goryo c’era stato molto lavoro da fare per riformare il clan al meglio dopo la ribellione ma, adesso che il più era fatto, non aveva nessun compito. I membri minori della gerarchia si occupavano delle accoglienze e le reclute semplici, guidate dal meccanico nano, controllavano che ogni ingranaggio di quella gabbia volante funzionasse alla perfezione. Vagava per la Purgatory senza far nulla, osservando invidioso gli altri all’opera. Proprio mentre pensava a Tavros questo sbucò fuori da una porta vicina e, con un cenno della mano, gli fece segno di avvicinarsi.
« Ho un compito delicato per te, coglioncello. »
Da quando era salito nella gerarchia del clan tutti avevano iniziato a trattarlo con più rispetto, riconoscendone improvvisamente i valori. Tutti tranne l’ingegnere. Lui guardando il giovane rivedeva ancora quello sfrontato che solo pochi mesi prima si era presentato alla Fat Whore prendendo il posto di Vincent Valentine. Quella rapida presa di potere non era passata inosservata ai suoi occhi e non riusciva ancora a capacitarsene. Per questa ragione non lo rispettava e continuava a rivolgersi a lui come avrebbe fatto con qualunque altra recluta. E questo lo infastidiva: come osava lui, un nano di infima categoria,sfidarlo in quel modo. Avrebbe voluto punirlo, instillando in lui il terrore, ma questo gli avrebbe causato delle grane per la simpatia che le alte sfere avevano in quella buffa creatura. Muovendosi in modo non molto aggraziato lo condusse in un ambiente dalle pareti color cremisi, molto inquietante, in gran parte occupato da un tavolo circolare d’ebano. Si trattava della sala riunioni.
« Dovresti occuparti di un affaruccio per il clan. Devi andare a prendere ‘sto tizio e portare le sue chiappe sulla mia nave. »
Mentre parlava il vecchio diede a Drakar un fascicolo di carta. Era scritto in lingua infernale e parlava di un criminale, un certo Pajik Nazilek. Oltre a una breve biografia e un riassunto delle sue capacità il documento includeva un manifestino molto vecchio. Mostrava la foto dell’individuo e la scritta "WANTED", oltre a una cifra molto alta. Si trattava di un ricercato, dunque.
« Alcuni nobili ci hanno offerto parecchia grana per catturarlo e rinchiuderlo nelle nostre prigione. E noi abbiamo bisogno di fondi. Quindi tu andrai a prenderlo. »
« Che cosa ci guadagno? Dopotutto mi terrà occupato per un po’… »
Conosceva la risposta ma voleva a tutti i costi irritarlo. Dopotutto anche il suo interlocutore, per la sua posizione inferiore nella scala di potere, non poteva permettersi troppe libertà e le intenzioni del giovane erano quelle di portarlo al limite. Desiderava solo giocare un po’ con lui, stuzzicandolo, quasi senza motivo. Tavros, spazientito, sbuffò sonoramente.
« Soldi e l’onore di aver servito il clan. Ora va e non rompere le palle. »
Senza neanche attendere un’eventuale risposta il nano si voltò e lasciò la stanza. Rimasto solo l’ingannatore sorrise, osservando la foto del suo bersaglio. Non si sarebbe più annoiato ora che aveva qualcuno con cui divertirsi. Salì a bordo di una delle scialuppe volanti della nave e partì, allontanandosi da quel luogo così irritante, dirigendosi verso il Plakard. Dall’alto del suo veicolo riusciva a vedere la regione nella sua interezza, con grandi vulcani in perenne attività e piccoli villaggi che, in mezzo alle grandi distese infuocate e ai neri banchi di fumo e cenere apparivano fragili, quasi insignificanti. Un ottimo luogo per nascondersi. L’ultima posizione conosciuta della sua preda era la base del monte Plak, il più grande della zona che, proprio per le sue dimensioni, gli dava il nome. Il metallo dell’imbarcazione tremò al contatto con il suolo ed emise rumori sinistri mentre Drakar scendeva. La guardo, diffidente: sarebbe riuscita a resistere al viaggio di ritorno? Immediatamente nei pensieri del ragazzo si affacciarono teorie oscure che vedevano il meccanico del clan manomettere il mezzo di trasporto proprio per liberarsi di lui in quelle lande pericolose e distanti dalla nave. Si calmò, dicendosi che, nonostante tra i due non corresse buon sangue, Tavros non era il tipo da compiere azioni del genere. O almeno sperava che non lo fosse.
Scrollando le spalle si voltò, dirigendosi verso una struttura in pietra, all’apparenza un ingresso, che si stagliava solitaria in quella zona disabitata. Il fascicolo descriveva il criminale come un mago scaltro e pieno di risorse ma dovevano essersi sbagliati di grosso se aveva scelto un nascondiglio così lampante. Drakar aveva letto i documenti nel corso del viaggio: Pajik era un mandante, gestiva la criminalità della zona dall’alto, senza mai sporcarsi le mani direttamente. Il suo comportamento gli ricordava quello del Boss della famiglia Ennòn che il giovane aveva odiato sin da piccolo e suscitava in lui un odio istintivo e sincero. Le abilità del bersaglio erano molto simili alle sue e forse era proprio quello il motivo per cui il meccanico si era rivolto a lui e non a un altro guerriero più capace. A ogni passo sollevava una nuvola di polvere che, calma, si riappoggiava al suolo come se nulla fosse successo, decisamente innaturale in quell’ambiente caotico e violento. Giunto alla porta vide che era aperta e, con fare timoroso, causato più da una strana curiosità che da un’immotivata paura, entrò. Le raffiche di vento si insinuavano tra i mattoni della struttura grigia, rimbombando per l’intero percorso. La caccia aveva inizio.
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Come faceva a sapere il suo nome? Come aveva fatto ad anticipare il suo arrivo? Queste domande instaurarono diversi dubbi nella mente dell’illusionista ma non sfiorarono il suo volto. Mostrava ancora il suo sorriso malizioso, la sua “maschera” preferita, la miglior difesa verso il mondo esterno che possedeva. Appariva quasi come un ghigno malefico. Un’espressione non molto gentile ma che gli conferiva indubbiamente un’aura di superiorità. L’uomo dall’altro lato della stanza lo osservava, anche lui curioso, ma il suo era un volto sconosciuto. Se non si erano mai incontrati prima come faceva a conoscerlo? C’era forse una talpa nel Goryo?
Tap-Tap Tap-Tap Tap-Tap
Si avvicinò al ricercato con passi lenti e in pochi stanti, che nella mente dei due sembrarono tuttavia eterni, si ritrovarono faccia a faccia. L’uomo sul palco sorrideva come uno di quei registi che, al teatro, si appresta a narrare l’introduzione della sua opera alla platea confusa. Innalzò le braccia, aprendole ad arco, con un gesto molto teatrale e decisamente innaturale. Ora da regista era diventato attore, pronto a recitare un copione già scritto, già letto, prevedibile.
« Come fai a conoscere il mio nome? Come sapevi che sarei arrivato? »
La destra del criminale si mosse, portandosi all’altezza delle tempie.
« Ho avvertito i tuoi pensieri dal momento in cui sei entrato nella mia dimora. Un trucco semplice ma di indubbia efficacia. »
Sospirò, mentre i suoi occhi azzurri osservavano con strana dolcezza l’intruso. Evidentemente non lo riteneva una minaccia se, consapevole della sua venuta, non aveva nemmeno tentato di preparare una trappola. La grande stanza era arredata in modo povero, con qualche tavolo e poche sedie, ed era illuminata da quattro deboli torce poste agli angoli dell’ambiente.
« Se non sbaglio sei venuto qui per eliminarmi… »
« Per catturarti – disse Drakar interrompendolo per correggerlo – solo per catturarti »
« … come ti pare. Se è così allora diamoci da fare. Fatti avanti e iniziamo. »
Con un movimento rapido portò il tridente, fino a quel momento stretto nella mano sinistra, davanti a sé. Tuttavia non attaccò. Pochi erano stati gli altri illusionisti che aveva incontrato nella sua vita e la curiosità che provava per quella persona era enorme. Voleva gustarsi gli attimi di breve tensione che precedono un’intensa battaglia. L’intenso e silenzioso scontro di sguardi durò pochi secondi, dopodiché l’ingannatore iniziò la sua nuova opera. Le sue commedie si modellavano attorno a ogni avversario ed erano uniche, fatte su misura. Ciò di cui aveva bisogno quindi in quel momento erano informazioni. Si concentrò e, in un solo attimo, si intrufolò nella mente dell’avversario. Immerso in quel labirinto cercava la soluzione ai suoi problemi, la chiave del suo animo, e la trovò.
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Pajik Nazilek era nato in un piccolo villaggio infernale, controllato da una banda di criminali. Questi, nel corso di un assalto, l’avevano catturato e fatto loro prigioniero, per crescerlo come futuro assassino. Nel corso dell’addestramento a cui si era sottoposto, però, avevano notato il suo straordinario potenziale nelle arti occulte. L’avevano allora iniziato alla negromanzia e all’illusionismo, trasformandolo in un potente mago. Nel corso di una missione, tuttavia, uno dei suoi compagni era morto per causa sua ed era stato degradato. Adirato, si era infiltrato nella sede principale della famiglia di criminali e, trovato il Boss, l’aveva ammaliato. Con i suoi incanti era riuscito a trasformarlo in uno schiavo e, dopo essersi impossessato della sua posizione, l’aveva ucciso. In questo modo aveva ottenuto il controllo sulla criminalità della zona e, da allora, aveva accresciuto enormemente la sua fama, compiendo ogni genere di nefandezza.
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Ora aveva tutto ciò di cui aveva bisogno. Pensandoci meglio Drakar notò che le loro storie erano simili, ma a un certo punto i due avevano scelto metodi differenti. Se il nemico aveva preferito la strada della manipolazione e aveva sostituito ciò che fino a un momento prima aveva odiato, il giovane aveva invece preferito il sentiero della distruzione e si era completamente sbarazzato del gruppo che lo opprimeva. Una svolta importante nella vita di entrambi che li aveva segnati per sempre. Credeva di essere in vantaggio, ma si sbagliava di grosso.
L’ambiente intorno a lui iniziò a mutare, rimpicciolendosi. L’arredamento spoglio sparì, il colore delle pareti mutò in grigio e il palcoscenico si trasformò: lentamente cambiò, diventando rettangolare, in pietra. Quell’aspetto era familiare, conosceva fin troppo bene quella bara. Con passi decisi si avvicinò: sul coperchio dello strano sepolcro svettavano una croce cristiana e un nome, quello del suo maestro.
Faust Ennòn Berger Morto in azione per i suoi compagni, morto con onore.
Le dita tremati si fecero avanti, caute, per sfiorare la fredda superficie di quell’incubo ma non la incontrarono mai. Le pallide carni passarono attraverso quell’inganno, rivelandone la natura. Fu allora che comprese tutto. Nel corso del suo viaggio mentale l’illusionista non si era accorto che il nemico era già entrato in azione, esordendo nella stessa identica maniera: anche lui infatti era entrato nella sua mente per strappare informazioni preziose, i suoi ricordi. Ed era stato più veloce, più pronto a entrare in azione. Ma il suo attacco si era rivelato vano, ignorando egli la natura affine a simili abilità del giovane. Poteva sfruttare l’ignoranza dell’avversario per coglierlo di sorpresa con un contrattacco illusorio, ma doveva allo stesso tempo dosare ogni sua mossa per far sì che il nemico non lo anticipasse. Sarebbe stato un lungo duello in cui ogni azione doveva essere calcolata con attenzione se si voleva vincere.
Tap-Tap Tap-Tap Tap-Tap
Come prima si incamminò verso il palco, attraversando le inconsistenti mura di quella gabbia ingannevole. Molta fu la sorpresa di Pajik quando se lo ritrovò davanti, sorridente. Era arrivato finalmente il suo turno di agire. L’ambiente attorno a loro riprese a mutare come poco prima, questa volta per mano di Drakar. L’ambiente che li circondava era diventato un grande studio, ben illuminato dalle luci artificiali presenti nella stanza. Il pavimento di pietra era stato sostituito da uno in mattonelle, decisamente più elegante. Una scrivania con decorazioni dorate e una poltrona rossa davano le spalle a una finestra illusoria, che nascondeva il giovane Ennòn. In piedi davanti alla parete inesistente era stata posizionata una nuova illusione, un uomo, dal volto anziano. Si trattava del vecchio Boss del suo avversario, ucciso decine di anni prima. Al petto aveva conficcato un pugnale semplice, lo stesso usato dall’omicida per eliminarlo. Il sangue sgorgato dalla ferita sembrava ormai rappreso e aveva sporcato completamente l’elegante giacca da lui indossata. Lentamente egli si voltò e, con sguardo accusatorio, semplicemente disse:
« Perché mi hai ucciso? Dopotutto io ti avevo cresciuto e tu mi hai fatto fuori di tua spontanea volontà per una sciocchezza. Ti rendi conto di cosa hai fatto? »
Il mandante si era velocemente avvicinato al fantasma della sua vittima e aveva provato ad afferrarlo. Voleva provare a sé stesso che quella era una semplice illusione. Grande fu la sorpresa quando si accorse che non solo non riusciva a passare attraverso alla figura, ma questa rispondeva al contatto. Era reale, non era una finzione. Spaventato, confuso e disorientato si allontanò gridando, inciampando nel suo lungo mantello nero e scivolando a terra. Le sue pallide mani tremavano e non riusciva ad alzarsi.
« Perché l’hai fatto? Perché? »
Terrorizzato dalla comparsa dell’antico nemico Pajik sollevò la mano destra. Un anello dorato presente sull’indice si illuminò e, in un solo istante, la creazione dell’ingannatore svanì nel nulla, impressionando non poco il giovane.
Sino a quel momento nessuno era mai riuscito a liberarsi dei suoi incanti, ma quell’individuo c’e l’aveva fatta e con una facilità disarmante. Era frustato, si sentiva deriso. Anche se il suo assalto aveva avuto effetto, cosa chiaramente visibile dal volto del criminale, non poteva sopportare una cosa del genere. Non riusciva ad accettarla. Aveva sempre pensato di essere il più potente degli illusionisti, che le sue creazioni fossero indissolubili, ma… Con un solo anello…
« Uno scontro tra illusionisti è improponibile… Forse sarebbe meglio combattere in qualche altro modo… »
Il nemico si era calmato e, dall’alto del palcoscenico lo osservava, sorridente. Quella sua calma innaturale, la sua sensazione di superiorità, erano cose che facevano imbestialire il giovane. Si obbligò a riacquistare la calma, chiuse gli occhi e si concentrò: non era ancora finita. Era ancora del tutto illeso e aveva molti assi nella manica da sfoderare per sconfiggere quell’individuo. Lentamente l’espressione del suo viso si addolcì e ritornò a indossare la sua “maschera”, quel sorriso semplice e malizioso, snervante agli occhi altrui. Quando riaprì gli occhi fece appena in tempo per vedere arrivare una scossa nera, dalla tremenda rapidità. In un attimo rese il proprio corpo illusorio e la scarica gli passo attraverso, lasciandolo illeso. Le mani dell’assassino brillavano alla fioca luce delle torce, ricolme di energia oscura. Quindi si intendeva anche di arti negromantiche oltre a quelle illusorie. Al contrario Drakar era esperto in un unico campo, quello dell’inganno, che fino a quel momento si era rivelato inefficace. Ma non doveva arrendersi. Se Pajik aveva usato un anello, era arrivato il momento per lui di fare la stessa cosa. Chiuse gli occhi e si concentrò. Dopo pochi secondi, anche se il suo avversario aveva gli occhi aperti, nessuno dei due fu più in grado di vedere.
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Il mondo che lo circondava era familiare. Come nell’ultimo combattimento quando aveva usato l’anello e il contraccolpo gli aveva causato delle visioni. Era incatenato da vincoli neri, appeso a un soffitto inesistente, completamente circondato dal bianco. Si trattava senza dubbio di un ambiente curioso e Drakar provò a domandarsene l’origine. Perché continuava a tornarvi ogni volta che usava l'oggetto magico? Era forse il paradiso? L’inferno? Oppure si trattava semplicemente della sua anima? Una figura si stagliava solitaria in questo mondo puro e candido: si trattava di Faust, il suo maestro. O, per meglio dire, probabilmente si trattava della sua coscienza con le sembianze del mentore. Con sguardo triste lo fissò per diversi minuti. Cosa voleva? Come poteva tormentarlo in quel modo, senza nemmeno dire una parola?
« Perché esigi vendetta contro il mondo? »
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La domanda del tutto inaspettata mise fine a quell’incubo. L’illusionista si risvegliò immerso nell’oscurità da lui creata, mentre l’avversario completamente cieco brancolava nel buio. Probabilmente era passato meno di un istante da quando aveva lanciato la magia, anche se, nell’altro mondo, gli erano parsi dei minuti. L’artefatto che portava sopra i guanti era potente ma altresì pericoloso e doveva essere cauto nel suo utilizzo. Mentre rifletteva sul da farsi vide Pajik sollevare la mano destra e l’anello illuminarsi. Voleva usare nuovamente lo stesso potere di prima, quello in grado di fendere le illusioni. Preso dallo sconforto il giovane impugnò quattro dei suoi pugnali e li scagliò velocemente verso il criminale. Colpirono il bersaglio nell’esatto momento in cui l’oscurità scomparve, ferendolo in pieno petto. Un rivolo di sangue, sgorgato dalle sue labbra, gli rigò il viso. Aveva ferito la sua preda ma questa non era per nulla intenzionata a cedere.
Alzando entrambe le mani generò una sfera di materiale oscuro che si diresse prontamente verso l’Ennòn. La reazione fu immediata: lo strano globo attraversò completamente il corpo, senza ferirlo, e si schiantò contro il muro alle sue spalle. Lo scontro con la dura superficie rilasciò una potente esplosione, che distrusse metà dell’ambiente, lasciando però illesi i due contendenti. Stava decisamente sottovalutando il suo avversario: non doveva lasciarsi distrarre da pensieri futili. Doveva prima neutralizzare il nemico. Fissandolo negli occhi scagliò un debole attacco mentale: per un singolo istante davanti a lui sarebbe comparsa una gigantesca ondata di fuoco e fiamme. Sarebbe durata solo una frazione di secondo, quasi un’immagine subliminale, ma si sarebbe rivelata utile per distrarlo. Contemporaneamente infatti il ragazzo scagliò altri quattro pugnali. L’assalto tuttavia si rivelò vano: il mandante infatti non cadde in un trucco tanto banale e, alla vista del muro incandescente, si ricoprì immediatamente di un bozzolo protettivo che respinse le veloci lame. Drakar sbuffò, vedendo il suo ennesimo tentativo fallire, causandogli solo uno spreco di energie. Tuttavia l’avversario sembrava affaticato. Entrambi stavano lentamente perdendo le proprie risorse magiche, a forza di attacchi e difese. Sorrise: si trattava di una battaglia impegnativa, rischiosa, ma certamente più coinvolgente di ogni altra mai affrontata. Se scontrarsi con persone che cedevano subito ai suoi poteri era indubbiamente banale, affrontare un individuo dotato di simili poteri era esaltante. Lo spingeva a combattere fino al limite, dando tutto ciò che aveva da offrire.
« Ora BASTA! »
Pajik non sembrava pensarla allo stesso modo. Era infatti visibilmente spazientito e decisamente irritato.
« Lo scontro finirà CON QUEST’ULTIMO COLPO! »
I suoi occhi erano sbarrati, colmi d’odio e di rabbia. Così diversi dallo sguardo impassibile che aveva fino a pochi minuti fa, al momento dell’ingresso del giovane nella stanza. Le mani serrate si mossero, protendendosi in avanti, pronte a scagliare un ultimo, devastante attacco. Drakar comprese ciò che stava per accadere, l’aveva già visto in passato o, per meglio dire, nel passato, quando aveva letto i ricordi del suo avversario. Ciò che l’assassino si apprestava a scagliare era un colpo che univa le arti negromantiche a quelle illusorie e ammaliatrici. Una grande scossa che, colpito un bersaglio, distruggeva la sua mente e la sostituiva con una molto più semplice e obbediente. Una tecnica per privare gli uomini della loro volontà, per creare degli schiavi. Ma, nonostante tutto, non si mostrò terrorizzato perché comprese tutto, capì che in quell’istante aveva guadagnato una meritata vittoria. Infatti, come aveva già visto nella sua incursione mentale, quell’abilità avrebbe privato il suo avversario di ogni energia, lasciandolo esanime. Gli bastava semplicemente schivare un assalto di tale portata.
La scarica, generata in pochi secondi, partì dalle mani del negromante diretta verso l’illusionista. Proseguì imperterrita nel suo percorso, nulla fermò la sua avanzata. Ma non arrivò mai al suo bersaglio, che si era nel frattempo spostato alle spalle del suo avversario. Gli era bastato fermare il tempo stesso, con il più alto dei poteri del suo occhio destro, per riuscire ad evitare l’assalto. Una difesa dalla semplicità disarmante, che richiedeva tuttavia un notevole potenziale. Una rara dote, un potere unico.
L’ultima cosa che Nazilek vide prima di svenire fu il viso sorridente del suo avversario, un volto compiaciuto del successo e consapevole del proprio potere. Uno sguardo che, in lui, generava solo ribrezzo. Poi chiuse gli occhi, esausto. Li avrebbe riaperti solo diverse ore dopo, all’interno della terza sezione del carcere volante. La sua cattura era stata eseguita, il suo destino segnato. Mai più avrebbe rivisto la liberta. Avrebbe pagato per le sue colpe, punito da criminali peggiori di lui.
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« Perché esigi vendetta contro il mondo? »
« Perché il mondo ha torto e io ho ragione. »
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Si svegliò, lucido e calmo, nel letto della sua cabina. Lentamente si mise a sedere e sorrise, al buio della sua stanza. Aveva ancora addosso l’anello, non l’aveva voluto togliere dopo lo scontro. Era la porta verso la sua anima, verso il suo vero io, ed era forse l’unico modo che aveva per essere sincero con se stesso. Lui che, mentendo a tutti era persino arrivato a mentire a sé stesso. Lui non era arrabbiato con gli assassini del suo maestro, non era arrabbiato con quelli che l’avevano sfruttato. Loro erano solo dei capri espiatori. Ciò che veramente odiava, che detestava con tutto sé stesso, erano i bugiardi. L’aveva realizzato con quel sogno, quel sogno di limpida chiarezza di cui ora rimanevano solo pochi frammenti e un’unica, indistruttibile certezza.
« Dal momento in cui una persona nasce sono innumerevoli le menzogne che gli vengono raccontate Alcune a fin di bene, altre no. Sono stanco della vita di questo mondo di inganni e Per distruggerlo Io diventerò il più grande degli impostori. » |