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| Bottiglia Verde - Santa Madre Nuova Tramonto A rso. Preda di indomabile collera per quanto di più turpe e violento mi ero immaginato sulle carni di quei tre esseri rivoltanti, sui loro volti inchiodati, sulle loro membra scarnificate, mancai della giusta misura. Mancai il momento opportuno per frenare la lingua. Sparlai con eccessiva veemenza in direzione del Re, senza conoscer nulla, senza sapere niente, passando oltre educazione e raziocinio. Senza voltarmi indietro. E quando presi lucidamente coscienza di quell’inopportuno susseguirsi di calunnie, era già troppo tardi. Avrei dovuto controllare certe emozioni. Avevo innanzi un uomo potente, un uomo la cui notorietà risolveva i conflitti prim’ancora che potesse farlo la sua stessa spada. Un uomo che avrebbe potuto distruggermi per semplice capriccio. Un uomo che avrebbe potuto stroncare sul nascere ogni mia speranza di redenzione. Controllarsi sarebbe stato il minimo. Ed in quel momento fatale, in quel minuto sacrificato all’impulsiva idiozia, fu confortante ascoltare le congetture più accorte di Kresiler, eppur egualmente perplesse, in direzione del suo Sovrano. Un’insolita alleanza si figurò nella mia mente, come probabilmente – invece – non si sarebbe mai figurata nella mente dello Straniero: d’altronde non ci conoscevamo affatto. D’altronde, sapevamo molto poco l’uno dell’altro. D’altronde, a parte la condivisione delle origini, quello Straniero era poco più che uno S c o n o s c i u t o, ancora. Eppure qualcosa l’avevo percepita: una sottesa familiarità della voce, finanche degli sguardi. Una certa confidenza d’intenti, derivata da ricordi antichi, da ricordi sepolti sotto una fitta coltre di rimpianti: un q u a l c o s a che me l’aveva fatto percepire come un’anima amica, un’anima confidente. Qualunque cosa fosse, non la decifrai subito: decifrai, piuttosto, il suo fare inquieto, meno del mio – per certo – ma più di quello dello stesso Re. Anch’egli, probabilmente, era addivenuto ad uno stato di turbata perplessità nel vedere lo scempio di quei corpi, nell’immaginare i turpi artifici di chi ne fosse stato l’autore: e, soprattutto, nell’ipotizzare che questo potesse essere lo stesso Sovrano. Quel Re al quale anche lui era legato da un eterno patto di fiducia che, nella guerra, aveva dimostrato di onorare molto più di quanto avessi fatto io. Un patto che per lo Straniero m’era parso rappresentasse sincera e immacolata s p e r a n z a, mentre per me erano soltanto parole, ancora... Eppure quel patto mi parve vacillare alle parole di Kreisler: sensazione che, inevitabilmente, per qualche attimo mi fece sentire...
... m e n o s o l o.
A rso. Bruciato da indomabile collera, mai avrei immaginato quanto il susseguirsi di eventi avrebbe portato questa sensazione ad assumere un più consono senso figurato. Infatti, intriso di teso rapimento verso le creature e verso il Re, feci l’errore di perdere di vista le principali accortezze di un assassino silente. Violai una delle leggi più importanti: non perdere mai il controllo dell’ambiente. Ovvero, aver sentore di qualunque variazione nella prospettiva del campo di battaglia. Ovvero, star sempre attento a chi ti circonda. Ovvero, cercare sempre di p a r a r s i i l c u l o. Dimenticai, per un frangente. E l’errore lo realizzai solo successivamente, quando si manifestò in tutta la sua dirompenza. Un passo nel terriccio, un rumore lesto, ma quasi impercettibile, e troppo tardi fu quando realizzai che oltre a noi, al Re e alle creature, qualcun’altro cedeva il passo allo sdegno, quel giorno. Quando davvero lo realizzai, però, il rumore dei passi era già cessato, per far posto ad un ben più noto crepitio caotico, raccapricciante.
« Basta! »
U n’altra voce urlò, tuonando il proprio disappunto in direzione mia e dei presenti. Quel che fu più evidente, però, è che badò bene di sottolineare il proprio sconcerto con un’azione ben più teatrale, oltre che crudele. Fiamme nere esplosero in direzione delle tre creature scarnificate, consumandole ulteriormente nel dolore, avviluppandole lentamente, ma inesorabilmente: le vidi spalancare le fauci, alzarle al cielo in un urlo muto di dolore profondo, mentre le membra interne divenivano nere pian piano, nere come le fiamme, e poi sparivano nel cuore dell’oscuro bruciore. Arsi. Arsi vivi – o quasi: arsi come legna da caminetto. Arsi senza una ragione vera e propria: quel gesto infame fu l’ultimo atto di una vita ingenerosa per le tre creature. Colpevoli soltanto di aver incrociato incoscienti aguzzini – tra cui, forse, anche il sottoscritto – nel loro destino sfortunato. Perirono definitivamente in quell’ultimo impulso ormonale, per il sol fatto che qualcuno, quel giorno, aveva sentito la necessità di porre fine ad uno spettacolo indecente al proprio gusto: per la semplice ragione che tanto odio fosse, alla vista, semplicemente inopportuno. Ancora inconsapevole di chi potesse essersi macchiato di un tale crimine, lessi nel Re il solito sguardo gelido ed imperscrutabile, mentre mi parve evidente trattenesse il fiato dal seguitare oltre nel discorso, dal rispondere alle mie invettive e alle domande dallo Straniero: per rispetto, o presunzione, attendeva che quelle creature venissero consumate del tutto, prima di spostare, ancor una volta, l’attenzione su di se. Ma, per quel frangente, il Re perse importanza. Sentii altro fiato giungere dalle mie spalle: altre parole ormai senza senso. Sproloqui e frasi insulse: niente che potesse giustificare tutto questo. Niente che potesse placare l’ulteriore ira. Mi parve solo di riconoscere – in quel tono femmineo – un nome preciso: L a d y A l e x a n d r a. Voltai lo sguardo con occhi truci, ricolmi di indignazione. Chi aveva potuto sacrificare le inermi creature all’altare della propria gloria? Chi aveva potuto consumarle nelle nere fiamme, per il solo desiderio di sottolineare il proprio disappunto? Vidi una donna dai capelli biondi, protetta in un’armatura nera. Un visino magro ed un tono da bimba viziata. Non riuscii a fare a meno di pensare che quella femmina, ormai, non meritasse altro che lo stesso trattamento imposto ai cadaveri: torture e fiamme comprese.
<< Che ti passa per la testa... S T R O N Z A...?! >>
I nveii contro la sgualdrina bardata di oscuro, come un despota infuriato che condanna il peggiore dei suoi nemici. E non ci sarebbe stato prezzo o giustizia che mi avrebbe levato dalla testa l’idea che quell’essere meritasse qualunque supplizio sarei stato in grado di infliggerle: perché se c’era qualcosa di più turpe del semplice torturare le anime dei più deboli, era farlo per il gusto di sentirsi importanti. Sentii la rabbia montare: come un fiume in piena che ormai pareva aver rotto qualunque argine, straripai di rabbia in ogni dove e realizzai ben presto che ogni possibilità di riguadagnare la calma si era dissolta nel fuoco di quelle nere fiamme. Così, almeno, credevo.
« Finalmente un po' di buon senso. »
A frenarmi, invero, furono proprio le parole del Sovrano, cui poco prima avevo riservato cupe invettive. In uno slancio di rinnovata e ancor più inspiegabile pacata risolutezza, laddove, invero, mi sarei aspettato non più parole, ma dolorose ritorsioni, anche per il sol fatto di averne messo in discussione l’integerrima fama, il Re parve voler riportare tutto al principio. Alla sua domanda e alle sue assurde – in quel momento – ma educate richieste: ovvero, spiegazioni. Le stesse spiegazioni che io non avevo dato: o che avevo finto di dare tra un insulto e l’altro, spacciandole per sufficienti. Tutt’altro: non mi sarei convinto nemmeno io stesso del perché fossi capitato in quel remoto angolo di disumanità, se avessi dovuto dar conto alle mie sole frasi. Ed al Re, evidentemente, importava solo quello. Nonostante quell’incontestabile affronto. Nonostante le fiamme, nonostante il gesto avventato della donna, celandosi dietro l’ormai solita espressione di freddo distacco, al Re pareva importare solo delle sue educate richieste. Eppure nessun gerarca con un minimo di amor proprio non avrebbe potuto non considerarlo come un i m p e r d o n a b i l e a f f r o n t o. Infondo il calore di quelle fiamme aveva raggiunto anche lui: infondo non avrei mai e poi mai potuto credere che quel gesto ingiustificato, su quelle povere creature – che fossero, o meno, artifici della sua mente– fosse realmente passato agli occhi del Re con quella tiepida indifferenza che aveva a noi rifilato.
« Dovreste prendere esempio da lei, voi due; questo, benché persino io non possa che trovare incredibilmente crudele estirpare così tante vite solamente per imporre un certo tono di voce. Poco elegante, indubbio. »
U n gesto c r u d e l e: dunque anche il Sovrano aveva qualche ricordo del significato di tale parola. Quel gesto assurdo non era del tutto passato oltre la nostra sfrontata maleducazione. Non era passato oltre quelle vite spezzate, anche a fronte di quanto egli conosceva, o voleva dar impressione di scoprire con noi in quel momento. Le sue mani, infatti, indicarono il ventre della donna, dilaniato dalle fiamme: squarciato dalla morte. E, all’interno di questo, qualcosa vi dimorava: due esseri, due corpicini inermi avviluppati l’un l’altro, dalle forme lievemente bizzarre ed inconsuete. Due piccole creature vittima della furia di altri: di una furia di cui non avevano colpa alcuna. Ecco a cosa si riferiva il Re, parlando delle vite. Ed ecco un altro tassello del mosaico: qualcosa che non avrebbe dovuto far altro che aumentare il mio sdegno. Eppur, non lo fece. Quel ritorno all’origine, quella reminiscenza improvvisa di educata accortezza, mi risvegliò come d’incanto dallo stato di furia ipnotica in cui ero caduto. Avevo perso il controllo contro il Sovrano: e non avrei ottenuto nulla di più che una fine prematura. Infondo, tutte le conclusioni si fanno alla fine: le vendette si servono fredde e il vincitore è semplicemente colui che sa a s p e t t a r e. Luoghi comuni di cui, però, avevo fatto la mia legge. Una legge che per qualche frazione di tempo avevo dimenticato. Ecco la scaltrezza di quel Sovrano: l’abilità che avrebbe potuto aiutarmi a capire, a redimermi infine. Ecco il potere di cui avevo b i s o g n o. Non dei suoi esperimenti: non del suo buon senso o del suo amore paterno. Avevo bisogno delle sue c a p a c i t à, prim’ancora che delle sue intenzioni.
« Non tanto diseducato quanto alzare le armi contro di me alla prima occasione, invero. Riponete i vostri ferri e forse sarò più propenso a rispondere ai vostri quesiti, benché voi non abbiate conseguito questa stessa gentilezza con il mio. »
P er certo, dopo tali considerazioni, non potevo dargli torto. Come un lampo improvviso, mi sovvenne alla mente la soluzione. Nelle grazie di quel potere non si sarebbe mai passato per la via segnata dai miei artigli. Mai e poi mai: una strada in salita. Una strada in verticale: una via impari. Nelle grazie di quel potere – di quel Re – si passava per la cortesia: per l’astuzia, per un’ipotetica condivisione d’intenti. D’altronde, poi, avevo mancato di dargli possibilità alcuna di spiegare, giudicando prim’ancora di conoscere. Come era successo a me, anni prima. Molti mi giudicarono, senza sapere. Possibile che dopo anni, ripetevo io stesso quell’errore? Che ne sapevo io, d’altronde, delle intenzioni del Re? Della sua vita – del suo potere – del suo passato. Cosa mi poneva nella posizione di poter giudicare lui, senza prima giudicare me stesso?
« Pretendete di conoscere accadimenti dei quali non vi è dato sapere; vi spingete tanto in la da non sapere se sarete in grado di tornare indietro... e io potrei mentirvi. Potrei dirvi che - come ben sapete - non possiedo le conoscenze necessarie a generare tre abomini come quelli dei quali Lady Alexandra si è liberata per conto nostro. Potrei dirvi che è stato lo stesso Asgradel a spingermi alla creazione di un Kodoku, poiché gli è necessario. Potrei dirvi che non so nulla delle vostre altre eventuali domande... »
E ra scaltro il Re, ancora una volta di più ne ebbi la riprova. Alla fine girò il verso del discorso di modo da farci figurare la banalità dell’evidenza: le nostre accuse non avevano prove, né avevano futuro. La rabbia ed il rimorso di voler ottenere giustizia per qualcosa che nemmeno si conosce, non ci avrebbe portato a nulla: se non ad altre grane. La possibilità di giudicare è un lusso consentito a pochi: è un lusso consentito soltanto a chi ha il quadro completo. E noi, tanto bramosi di giudizio, saremmo caduti altrettanto in fretta. Il Re avrebbe potuto raccontarci qualunque panzana...
« ...e voi non potreste che credermi. »
...e noi non avremmo mai e poi mai potuta contestarla. Non avremmo avuto elementi per farlo, senza il quadro completo. Né interlocutori disposti ad ascoltarci. E forse aveva ragione lui. Forse. Oppure, no. Non riuscii ad intendere, per vero, ma mi sembrò quasi che quelle sue parole, così convincenti e chiare, in un primo momento, arrivassero tanto dirette alla mia mente da sembrare, infine, naturalmente e inevitabilmente a n o m a l e. E nel momento stesso in cui parevano avermi convinto, mi ritrovai a diffidarne. Poteva, quell’abile turbinio di ipotesi e congetture, essere un altro artificio del Sovrano per allontanarci dalla verità? Poteva, egli, posto innanzi all’evidenza, aver usato tutta la sua esperienza per convincerci incredibilmente del contrario?
« ...ma non lo farò. Se intenderete collaborare con me, esaudirò ogni vostra richiesta. La domanda è:quanto a fondo siete disposti a scendere pur di conoscere la verità? »
E ppure, ci offriva una possibilità. Una possibilità di ricominciare, laddove chiunque non avrebbe speso una parola in più. Quella forse era anche parte della sua fama: dare sempre una possibilità. Forse per il proprio tornaconto: forse per il proprio personale successo. Ma dare una possibilità, vedere ogni occasione come un’opportunità. Al di la di quale che fosse la verità, al di la di quale che fosse l’intenzione del suo discorso, quelle abilità le bramavo. Bramavo quel potere di cognizione, quell’esperienza, quella risolutezza di cui avevo appena dimostrato di mancare. Al di la di quale che fosse la verità, bramavo la p o t e n z a d e l R e. Avrei dovuto coglierla quell’occasione, perché non ne avrei avuto probabilmente molte altre. E seppur covavo ancora ira in corpo, e dubitavo fortemente di quelle ambigue congetture, ogni giudizio sarebbe necessariamente dovuto arrivare al momento opportuno: ed al giudizio, sarei potuto arrivare soltanto con l’astuzia. L’astuzia di pormi al fianco di quel Re, di carpirne i segreti e capirne le intenzioni. Al di là delle apparenze e delle sue fittizie spiegazioni.
<< Corretto... >>
Mi avvicinai lentamente al Sovrano, piantando gli artigli in un muro e ritraendoli nel guanto. Feci tutto con voluta cautela, di modo da prefigurare nei miei spettatori l’idea che mi fossi calmato, che l’ira avesse infine ceduto il passo ad una più accorta diplomazia. Poi avanzai con passo calmo: spedito, sicuro, ma lento. Evitando i resti bruciati, che mi sforzai di non fissare.
<< Corretto, Maestà. E’ evidente come il contesto mi abbia suscitato invettive inopportune, oltre che avventati giudizi... >>
Pausa ad effetto, di quelle che ciascun galantuomo si sarebbe preso per permettere al proprio interlocutore di elaborare la nuova prospettiva di dialogo. Per elaborare nuove reazioni, nuove emozioni. Vecchi trucchi di corte, imparati negli squallidi ambienti dell’alta nobiltà: di quelli dove l’utile è il termine di paragone e la moralità unicamente un presupposto. |
<< Son giunto qui seguendo le voci, seguendo i racconti da taverna. Son giunto qui in vostra ricerca, Maestà. Nessuno dal Maniero mi ha incaricato: probabilmente perché troppo indaffarati, spaventati o c o d a r d i per farlo. L’iniziativa è esclusivamente mia. Ho agito per desiderio personale. Perché ho bisogno di sapere cosa vi fosse capitato. Ho bisogno di sapere cosa sta capitando al suo regno... e al continente intero. Ho bisogno di conoscere. H o b i s o g n o d i v o i... >> P otevo fidarmi del Re? E del Toryu? Non era mai stato il m i o c l a n. Non fino a quando non avessi avuto modo di capire se ci fossero, o meno, i margini per una condivisione di speranze. Non prima di sapere se del Re, e di quel clan, avessi potuto realmente f i d a r m i. O meglio, se avessi potuto farlo ben più di quanto falsamente promesso il primo giorno. Quella rinnovata formalità, dunque, poteva servire allo scopo di avvicinarmi al Re, ma non di accattivarmelo. No, affatto: chiunque avrebbe letto in quel nuovo tono calmo, i presupposti di un imbroglio. Avrei dovuto sbottonarmi un po’ di più, spiegarli, al di là dei moti di rabbia, quali fossero le mie intenzioni v e r e. Spiegargli quanto tutto ai miei occhi perdeva importanza, innanzi al mio unico obiettivo: capire se nel Re potevo c r e d e r e. Allungai di un altro passo il mio cammino e sibilai appena, di modo che solo il Sovrano potesse udirmi...
<< ...in verità, Maestà, per principio ho imparato a diffidare dalle confidenze dei potenti... >>
Altra pausa, ma più breve, dettata unicamente dalla difficoltà di rivelare un simile particolare ad un estraneo. A qualcuno che non fossi io stesso – insomma. Perché lo facessi, poi, quello fu l’ennesimo mistero.
<< ...anche perché posso dire di esserne stato un degno – anzi, un indegno – rappresentante... >>
Fu per certo un particolare anche troppo minuzioso da elargire a quello che rimaneva un p e r i c o l o s o estraneo. Eppure, non mi pentii di averlo fatto... |
<< ...ma voglio capire voi. Voglio capire di cosa è fatto il vostro spirito e di cosa realmente si macchiano le vostre intenzioni. Non mi incantano i vostri abili raggiri lessicali, ma non posso che ammirare la vostra abilità di costruirli. E qualcosa, infine, me l’hanno fatta comprendere: ammetto di avervi giudicato troppo in fretta. E la vostra pacata educazione me lo ha fatto notare più di quanto non avrebbe fatto una lama affilata: mi avete dato una lezione. Quindi mi sento di concedervi una possibilità: aiutatemi... aiutatemi a f i d a r m i d i v o i... >> Mi distanziai appena, alzando nuovamente il tono di voce e riportandolo ad un livello udibile anche agli altri. Anzi, volutamente percepibile anche alle loro orecchie... |
<< ...ma vi avverto. Io posso scendere molto in profondità: finanche negli inferi, dove già sono stato e da dove anche i demoni si sono rifiutati di trattenermi. Ho scavato a mani nude la terra umida del mio stesso tumulo: posso farlo ancora... >> Poi mi girai, fissando con sguardo torvo il viso candido e falsamente innocente della
p u t t a n a i n a r m a t u r a.
<< ...e posso lasciare qualcuno indietro, se voglio... >>
Era un segno chiaro all’indirizzo della donna. Il segno che la rabbia era solo mascherata, non placata. Che le fiamme non le avevo spente, le avevo solo nascoste. Che la resa dei conti non era annullata, ma soltanto rimandata.
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ReC: 275 | AeV: 250 | PeRf: 150 | PeRm: 275 | CaeM: 200 | ♦ | Immenso: 40% | Alto: 20% | Medio: 10% | Basso: 5% |
Del Fisico: Tre ferite leggere alla mano sinistra (Basso) Del Psichico: Più calmo, più lucido (illeso). Dell'Energia: 125% Delle Attive: //
Delle Passive:
Solitudine (razziale): difesa psionica passiva Non pago per le mie colpe (dominio I): illusioni castate senza vincoli fisici né concentrazione; Il potere è parte di me (dominio II): illusioni scontate del 5%, ma mai sotto l'1%; Che io sia dannato (personale di metagame): permette di usare abilità necromante; Vivi il mio tormento (personale): le evocazioni sono intangibili e immuni ad attacchi fisici.
Delle Armi: -
Washi, la carezza del fantasma: equipaggiata braccio sinistro, artigli non estratti; Frusta: legata alla cintura
Del Riassunto: //
Delle Note: Questo credo che sia in assoluto il post più difficile mai scritto su Asgradel. Per il semplice fatto che c'è tutta una contorta psicologia alle spalle che spero in qualche modo si evinca. Alla fine Shakan si placa dinanzi alla considerazione che ogni ulteriore sfuriata sarebbe inutile e dannosa: capisce che la verità si scopre soltanto con la cautela e la pazienza, non con le armi e accetta "l'offerta" del sovrano seppur non dimenticando quanto avvenuto. Mi scuso con Foxy per l'uscita infelice verso il suo pg ma il gesto - sul momento - non è stato affatto gradito da Shakan e per poco la cosa non denegerava.
Scusate il ritardo nel postare, ma questo scritto ha avuto una gestazione lunga e travagliata. Per ulteriori chiarimenti ci sentiamo nel bando.
Edit. Correzioni del layout |
Edited by janz - 31/10/2010, 10:33
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