Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Underdark, L'abiezione

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view post Posted on 23/10/2010, 11:12
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Si parla di mesi dopo l'incidente del Kishin.
Nonostante la smorfia sorniona elargita dal sovrano ai suoi convitati al termine del ballo, non vi fu modo di contenere la conseguente infezione di pettegolezzi che si diffuse in maniera epidemica per il borgo. Pettegolezzi che lo vedevano come lo sconfitto, che ingigantivano di bocca in bocca la portata dell'evento, causando da soli prima decine, poi centinaia di morti. Voci che causavano negli ascoltatori uno sdegno virale, che si allungava sulle altre persone come animato di vita propria, le raggiungeva e stirava le proprie dita affusolate intorno ai loro colli, ponendo una spada di Damocle sui loro capi: sospetta o sii ignorato; non esternarti dalla portata di un pettegolezzo tale.
Sussurri che non giunsero mai alle orecchie del Re poiché lui, pochi giorni dopo l'avvenimento, era completamente svanito nel nulla.
Non lo si trovò più; né nella sala del trono, né nella biblioteca, né in nessun'altra camera nel maniero. Dissoltosi come un sottile strato di nebbia, il sovrano era svanito portando con sé la lucidità dei suoi sudditi che, tempo un paio di settimane, non poterono che cadere nel panico. Non che i suoi due principi non furono capaci di sostenere il regno in sua assenza, non che il borgo rischiasse realmente una destabilizzazione. Dalle proteste nelle piazze e dai cori nei mercati, sembrava che il monarca avesse conquistato qualcosa di più della sola fedeltà dei suoi sudditi, nel tempo della permanenza sul trono.
Giorno dopo giorno, anche questa situazione finì con il diluirsi come zucchero nel caffè, mano a mano che gli incaricati alle relazioni con il pubblico giravano i loro cucchiaini nella tazzina. La plebe se ne dimenticò; le guardie furono convinte che il sovrano era in una missione di conquista; i patrizi vennero fatti tacere con agi persino più lussuosi di quelli di cui già disponevano.
Eppure, mesi dopo la sua scomparsa, voci di dove il Re avrebbe potuto essere iniziarono a diffondersi.

Quella di Santa Madre Nuova è - o meglio "era" - un vecchio edificio adibito alle funzioni religiose vicino alla cittadina di Bottiglia Verde nei territori orientali. Una chiesetta ambiziosa, costruita in onore di un famoso santone che ha visto la luce proprio in quel paesino, ma che è morto lontano dal proprio natale e il cui corpo è stato fatto giacere nei luoghi in cui la presenza è stata più sentita, nel settentrione del mondo umano, lontano da Bottiglia Verde. Santa Madre Nuova non è divenuta dunque né famosa né rinomata: scomoda per la sua posizione al limitare delle foreste - che non c'è bisogno di ripetere quanto siano insidiose nei territori orientali - fu frequentata solamente nei primi mesi dalla sua costruzione; in seguito, i fedeli finirono con lo scemare e, quando fu costruita una seconda cappella proprio al centro del paese, Santa Madre Nuova fu fatta sconsacrare del tutto.
Qualche giorno fa, gli abitanti di Bottiglia Verde sono svaniti nel nulla.
Per alcuni è stata causa dei demoni vendicativi che abitano in Santa Madre Nuova, per altri sono stati gli spiriti dei boschi; per molti è stato Ray, che ha deciso di proseguire nel suo perverso progetto dell'abiezione lontano dagli sguardi di tutti, per conto suo.
La voce si è diffusa rapidamente, ma nessuno si è arrischiato a visitare il paese alla ricerca di eventuali risposte. Se veramente il sovrano ha privatizzato un suo progetto che prima aveva lasciato pubblico, avrà avuto le sue ragioni, e ciò sta a significare che è vivo e che prima o poi tornerà sul proprio trono.
Tuttavia, ad attendere visitatori, innanzi al portone di Santa Madre Nuova, a Bottiglia Verde, qualcuno c'è.

image

Un cadavere di donna spellato, completamente scarnificato. Sul suo viso è stata inchiodata la pelle del viso di un altro uomo e sul suo corpo nudo - la cui carne riluce di un metallico colore cremisi alla luce del sole - sono incise ovunque le parole "io non serbo rancore", come se fossero emerse dall'intero delle membra della donna.
Ella sta, guardandosi intorno, come se attendesse qualcuno, innanzi alle porte di Santa Madre Nuova, le cui finestre sono state sbarrate con vecchie assi di legno e i quali pertugi sono stati tutti cementati. Sta innanzi alla porta e gira per il paese, abbandonato e lasciato fermo come se tutti i suoi abitanti potessero ricomparire da un istante all'altro e riprendere normalmente il corso delle loro attività; solleva una pietra, di tanto in tanto, e scrive nelle pareti, sui mobili delle case, nelle porte e nella terra "io non serbo rancore".
In attesa che qualcuno rivolga lei la parola.


CITAZIONE
Mi scuso per eventuali errori nel post, ma non ho proprio il tempo di rileggerlo, ora come ora.
Eccovi il vostro incipit. Come e perché decidete di arrivare a Bottiglia Verde è a vostra totale e completa discrezione: proseguire nell'abiezione, cercare il Re, ordini da superiori, occasione per uccidere il sovrano, mera curiosità... trovate la ragione più plausibile per la quale il vostro personaggio si sarebbe dovuto mettere alla ricerca del Re che non perde mai (che a quanto pare è solo e senza scorta) e sfruttatela come preferite - naturalmente i personaggi di Bastard e janz possono decidere di viaggiare insieme, se preferiscono. Arrivati a Bottiglia Verde vi trovate innanzi la situazione descritta nel post e potete agire come preferite, avete totale libertà d'azione.
La turnazione è libera nel caso in cui Shakan e Kreisler decidano di non viaggiare insieme. Nel caso in cui viaggino insieme, invece, la turnazione vedrà prima i post di una fazione e poi dell'altra (Sorya o Toryu). In ogni caso gradirei che vi organizzaste sulla turnazione nel bando, così da decidere subito come organizzarvi e in quale ordine postare :sisi:
Avete 5 giorni. Enjoy!

 
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view post Posted on 25/10/2010, 00:14
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Maestro
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A n t e f a t t o



Bianco Maniero
Giorni dopo la Festa in Maschera



C
ongetture. Ci vollero giorni per ricomporre i pezzi di quel rompicapo intricato: ci vollero giorni anche solo per capire quanto fosse complicato quel rompicapo, in verità. Quei giorni, infatti, furono alquanto surreali all’interno del Bianco Maniero: confusione, domande, incognite e necessità di ritrovare un qualunque possibile ordine. Lo stesso ordine che in così pochi istanti pareva esser stato stravolto presso la corte del Re che non perde mai. “Che non perde mai”, appunto, ma che qualche casino ogni tanto lo combina, per quanto mi fosse parso.
Il punto era un altro però. Cosa diamine era successo? Non ebbi le palle mai di chiedere spiegazioni ad altri membri, quanto meno ai gerarchi: anche perché, in verità, mi pareva che di risposte non ne avessero nessuna nemmeno loro. Nemmeno per loro stessi.
Di vero c’era che “qualcosa doveva essere andato storto”. Qualunque esperimento, obiettivo, successo o macchinazione il Re avesse voluto festeggiare con quella pacchiana e sontuosa festa in maschera, qualcosa doveva essere
d e c i s a m e n t e andato storto. Qualcuno, infatti, non doveva essere d’accordo col Re e alla fine, dopo un guazzabuglio confusionario di lotta, guaiti e budella, continui rovesciamenti di fronte e tetri protagonisti che sputarono da ogni dove in pochi attimi, la creatura che il Re aveva mostrato con tanto orgoglio se l’era filata con uno strambo tizio – uno dei tanti, troppi – circondato da corvi neri: e nessuno aveva avuto le palle di fermalo. E nessuno – ritengo – aveva avuto nemmeno le palle di C A P I R E se doveva essere fermato. Certo è che qualcosa doveva essere andato storto: il Re non doveva esserne affatto compiaciuto. Doveva essere furioso, come mai l’avevo potuto vedere prima d’ora.

Perché qualcosa era andato storto.

Ma qualcosa era andato d a v v e r o storto?



G
ià perché a complicare ulteriormente le cose ci fu quell’ultimo atto: degna – enigmatica – conclusione di una serata tutt’altro che noiosa. Il sottoscritto infatti fu uno dei folli che si avventò sul rospo gigante per liberare il Re: non perché ritenessi di temere per la sua vita al punto tale da reputare giusto che sacrificassi la mia, ma perché, in quella situazione caotica, mi era sembrata l’unica trovata intelligente per risolvere il tutto. Liberare l’unico che poteva s p i e g a r c i cosa dovevamo fare: cosa dovevamo salvare. Anche perché, alla fine, la vita l’avremmo potuta rischiare tutti quanti, per quello che ne sapevo. Dunque ero lì, vicino a lui, quando lo vidi ricomparire dal nulla. Ed ero lì, quando lo vidi fissare la creatura che aveva mostrato poco prima, allontanarsi dalla sala. Presumibilmente fuggire. Ed ero sempre lì quando – convinto del suo infinto sdegno per il volger delle cose – lo vidi sorridere e biascicare qualcosa come: “Perfetto”.


– Perfetto?! –

– Perfetto... ?! –

– Perfetto... cosa?! –



P
erfetto. Il suono di quel "perfetto" mi rimbombò per giorni nelle orecchie, insieme a quel sorriso beffardo. Per nulla di circostanza: per nulla finto. Pareva un sorriso sincero: ma continuavo a non spiegarmi come tutto quello – qualunque cosa volesse dire – potesse definirsi... perfetto. E l’avrei chiesto direttamente a lui: una volta più che mai quel
c a z z o d i R e mi doveva una spiegazione. Non perché dovesse render conto a me: non perché meritassi io una sua giustificazione. Ma perché se tanti mesi prima, alle porte del Maniero, ero quasi morto per giurare fedeltà ad un tizio che manco conoscevo e poi quel tizio si rivelava essere realmente – forse – tanto scaltro e potente da m e r i t a r e la mia fiducia, ma poi mi scadeva in un guazzabuglio confusionario di cui nemmeno i suoi sottoposti parevano averci capito gran che: allora, in tal caso, meritavo una spiegazione. Meritavo un chiarimento. Meritavo di capire, di sapere: meritavo di conoscerlo meglio il Re. Di sapere se di lui c’era da fidarsi. Se a lui potevo affidare la mia redenzione. Era giunto il momento: dovevo capire se meritasse o meno la mia fiducia.

P
eccato che fosse impossibile chiedergli una spiegazione: il Re, infatti, dopo quel giorno... non si trovava più. Mi dannai l’anima maledicendo la mia solita cattiva stella che me lo aveva fatto sparire giusto il giorno che avevo deciso di parlargli, per poi capire che la mia cattiva stella – forse – non c’entrava nulla. Il Re non sparì per poche ore: sparì per giorni. Che divennero settimane. Che divennero mesi. E la Corte intera riversò in totale confusione, alimentata dai pettegolezzi sugli ultimi eventi, sulla presunta sconfitta del Re, sulle conseguenze degli eventi. E per poco non sembrò quasi che il Maniero intero dovesse crollare sotto il peso degli scandali – o presunti tali.
Poi, lentamente, tutto rientrò: rientrarono i pettegolezzi. Rientrarono le voci. Rientrarono le proteste. Rientrò tutto: meno che il Re. E non mancò molto tempo perché le voci sulla presunta sconfitta mutassero nelle voci sulla presunta fuga del Re. Sulle ragioni: sulle motivazioni della sua scomparsa. Missioni segrete, esperimenti, rapimenti. Tutti parlavano: tutti spettegolavano. Nessuno però alzava un dito. I gerarchi troppo occupati a governare in assenza del Sovrano: i membri del Toryu troppo presi da loro stessi o troppo vigliacchi per voler indagare sulle sorti del Re, visto com’era andata a finire l’ultima sua “i n i z i a t i v a”. Tradotto: meglio stargli alla larga per un po’.
Tutti: meno che il sottoscritto. Io avevo deciso di parlargli: e ci avevo messo mesi per trovare una ragione valida. O per trovare un po’ di coraggio. Certo non era un treno che potevo farmi sfuggire: non ora, non adesso. Non ancora una volta. Se nessuno voleva andarsi a cercare il Re
u f f i c i a l m e n t e , mi sarei messo io a cercarlo u f f i c i o s a m e n t e. O – per meglio dire – da solo: come tutte le cose che mi erano riuscite meglio. E lo decisi, ovviamente, in una delle mie lunghe notti insonni. D’improvviso: fissai l’orizzonte scuro oltre la finestra e decisi che era tempo di rincorrere quelle voci. Dunque, misi insieme le mie cose e partii. Anzi: partii e basta.


______________



F a t t o



Territori orientali – Cittadina di Bottiglia Verde
Tramonto



L
e voci su Bottiglia Verde le appresi quasi per caso, nel mio lungo peregrinare in cerca dello sventurato Sovrano. Al di là del curioso nome, la cittadina di Bottiglia Verde soleva definirsi come un tranquillo villaggio di provincia, al limitare delle foreste nei territori orientali. Senza pretese: senza clamore. Ma anche senza lo straccio di un viaggiatore. Bottiglia Verde, infatti, era in una posizione troppo remota per poter fungere da utile crocevia per viaggiatori erranti, ed in una terra troppo pericolosa per poter divenire meta di qualsivoglia scambio commerciale. Era abitato, probabilmente, dalle stesse famiglie da innumerevoli generazioni: gente semplice e umili contadini, coltivatori della stessa terra da secoli.
Era, appunto. Perché dalle voci pareva che così non fosse più: ovvero non fosse più abitato da umili contadini. In verità, si raccontava che non fosse abitato proprio più da nessuno.
Da un giorno all’altro la gente del posto pareva svanita nel nulla: scomparsa, senza lasciar traccia. Nessuna ragione, nessun motivo: nessun alibi apparente. Semplicemente la cittadina era divenuta
f a n t a s m a da un giorno all’altro, ed il motivo non lo sapeva nessuno. Anche perché nessuno abbastanza coraggioso si sarebbe mai sognato di indagare. Una situazione del genere voleva dire solo rogne per chiunque avesse avuto la brillante idea di metterci il muso. E, in quel del Maniero, pochi avevano intenzione di farsi carico di tali rogne, negli ultimi tempi.

L
a situazione – manco a dirlo – mi incuriosì da subito. D’altronde se c’era una cittadina spettrale nei dintorni, dovevo farci visita per principio: era un po’ come far visita ai parenti nelle festività, una di quelle cose che ti senti di dover fare per forza, prim’ancora di volerlo. Inevitabile, però, oltre a questo si insinuò l’idea che la scomparsa del Sovrano e la innaturale situazione di Bottiglia Verde fossero in qualche modo collegati. E no, non poteva essere un caso che il Re facesse perder le proprie tracce e, poco dopo, una remota cittadina dimenticata dalla civiltà, divenisse improvvisamente orfana dei suoi abitanti. A corte era chiaro che quello fosse un periodo particolare per il Re: vittima di chissà quale macchinazione alchemica, esperimento subdolo, che pareva averne rubato tempo e spirito. Ed altrettanto chiaro era che, se davvero qualcosa fosse andato storto durante la festa, proseguire tali macchinazioni di nascosto, al riparo da occhi indiscreti, magari in una remota terra d’oriente, al limitare con le pericolose foreste, fosse la soluzione più logica e razionale. Per quanto logico e razionale potesse esser tutto questo. E per quanto potesse esserlo il Re.
Certo che non potessi definirmi io un genio per aver fatto quel collegamento: certo, infatti, non ero stato l’unico a farlo. Più probabilmente ero stato l’unico a farne seguire una qualche azione: uno dei pochi almeno – uno dei pochi p a z z i.
Pertanto, conscio di quanto ancor di più gli altri membri del Toryu si sarebbero defilati dall’indagare – dopo aver appreso tale ulteriore particolare – mi rallegrai quantomeno di aver trovato una meta precisa. Ormai il passo era fatto: ero a metà del percorso, tanto valeva proseguirlo.

G
iunsi a Bottiglia Verde all’imbrunire. E bastò qualche passo per le vie della cittadina per capire quanto le voci fossero fondate: le case, le piazze, le vie, erano deserte. Completamente. Ancor più raccapricciante, però, parve la circostanza che nessuna traccia di flagello o catastrofe alcuna fosse rimasta su di esse: niente porte rotte, case cadenti o edifici sventrati. Nessun segno di lotta o conflitto alcuno: niente di niente. Tutto pareva fermo, immobile, congelato. Come se gli abitanti si fossero semplicemente dissolti all’improvviso, nel mezzo delle loro domestiche attività.
Girovagai a caso per alcuni minuti, sperando di trovare indizi. In verità, mi resi conto di esitare. Mentre calcavo quelle vie, infatti, la fiducia iniziale pareva scomparire come il sole oltre l’orizzonte: sapevo dove andare, semplicemente fingevo di non conoscere la via. C’era dell’altro in quelle voci: mi avevano parlato di un’antica chiesa sconsacrata. Santa Madre Nuova – o qualcosa di simile – giaceva in una zona più periferica rispetto al centro abitato. La maggior parte delle voci imputavano a quel luogo la responsabilità di tutto quanto: fonte di demoni, sorgente del male, covo di spiriti. O di poveri Sovrani rincitrulliti – pensai io. Per certo quell’ambiente surreale mi fece esitare: se non avessi avuto la presunzione di definirmi un orgoglioso rappresentante della razza spettrale, avrei detto che un po’ me la stavo facendo sotto. Ma non lo dicevo, perché conservavo ancora un poco di dignità. Alla fine, però, l’alternativa era solo fuggire. No, sarebbe stato troppo. Tanto valeva fare l’ulteriore passo: sperando non fosse l’ultimo. E d’improvviso mi accorsi qual’era la via. D’improvviso: certo.

image



M
i diressi dunque verso la Chiesa, proseguendo per un sentiero diritto e scosceso, purtroppo impossibile da sbagliare. Passai per altri vicoli, mentre le case diminuivano visibilmente e la strada diveniva sempre più territorio di erbacce e fanghiglia mista a sassi. Una via brulla e arida mi condusse in una zona ancor meno ospitale, circondata da costruzioni ancor più fatiscenti, grossi terreni fangosi e piccoli muretti di rocce ammassate.
Dopo poco, in lontananza, scorsi quella che pareva una vecchia chiesa di campagna, solo un po’ più alta ed imponente di come l’avevo immaginata. Circostanza, comunque, del tutto di secondo piano rispetto allo stato generale delle sue condizioni: vetrate rotte e sprangate con assi di legno, ogni pertugio murato con blocchi cementati. A parte l’architettura, dunque, di sacro v’era rimasto poco. Anzi nulla: sembrava più un rifugio impenetrabile. O un sarcofago di dimensioni colossali.
Rallentai visibilmente alla vista dell’edificio, fissandomi sui dettagli, sperando di coglier qualcosa che avrebbe indirizzato meglio la mia ricerca, o magari che mi avrebbe sollevato l’animo. Una faccia nota magari: una faccia che non mi sarebbe stata ostile, in quel tetro panorama.


A a a a a h....



I
mprovvisamente un sospiro inumano mi sfiorò l’orecchio: saltai dalla paura come un moccioso colto nel misfatto. Mi voltai d’istinto, in direzione del misterioso lamento, e quello che vidi per poco non mi fece rovinare nel fango. Accanto a me, infatti, si ergeva quello che pareva un corpo femminile: pareva – appunto – perché, a parte le forme vagamente evocative, il corpo era stato del tutto scarnificato, scuoiato in ogni sua parte, rendendolo, di fatto, un grumo di sangue e viscere deambulante. L’essere, inoltre, aveva sul volto inchiodata la pelle di un altro uomo, in un effetto ancor più raccapricciante nel dettaglio, di quanto già non lo fosse in generale. Infine, sulla pelle cremisi, ovunque sporca di colante sangue, v’erano incise le parole
“io non serbo rancore”.

“io non serbo rancore”

“io non serbo rancore”

“io non serbo rancore”



L
e parole – in verità – erano segnate ovunque nei dintorni: nelle pietre, nelle porte delle poche case confinanti, nelle mura. Spuntarono come dettagli luminosi d’improvviso, uno dopo l’altro, in un crescendo incessante, come un incubo ad occhi aperti. La creatura da chissà quanto tempo aveva deambulato per la zona, aveva scritto a mani nude quella frase su ogni dove: aveva replicato quel suo lamento su ogni superficie inerme che non le avesse potuto opporre resistenza. Come una litania lenta e sofferente: come una preghiera di morte, aveva replicato quella frase come per scollarsi di dosso gli orrori che doveva aver vissuto.
Alla vista di ciò mi accasciai quasi al suolo, sforzandomi di reggermi almeno con le gambe. Allungai d’istinto un braccio tremante in direzione della creatura, non potendo fare a meno di distoglierne lo sguardo, seppur terrorizzato.

<< Tu... tu... >>



Spiaccicai parole confuse, rendendomi conto di non sapere cosa o come rivolgermi a quell’essere. Impossibile mi sarebbe stato fuggire, inconsapevole di come ogni reazione inconsulta avrebbe potuto tradursi nella mente contorta della c o s a che ancora mi si parava innanzi, con lo sguardo apparentemente fisso e immobile su di me.

<< Non... non voglio farti del male, creatura. Chi... chi... ha potuto farti... questo? >>



Infine mi lasciai andare a qualche atterrito tentativo di prematura pacificazione. L’aspetto stesso della creatura mi inculcava l’idea che presto mi sarei trovato in guai ancor più grossi: sentivo già le sue fredde, umide mani senza pelle, attorno al mio collo. Dunque, d’istinto, tentai subito di farle capire quanto la mia visita fosse pacifica e disarmata. Non cercavo male, non cercavo scontri, cercavo solo il mio dannato Sovrano. E il cielo solo sapeva quanto mi stessi pentendo del tentativo, ora.

<< Tu... capisci quello che dico? Io... posso aiutarti. Chi ti ha fatto questo? >>



D
issi ancora, sperando che mi avesse compreso. Sperando che mi avrebbe risposto. Sperando di trovare l’occasione giusta per capire cosa fosse accaduto o, magari, di fuggire lontano da quel posto. Ero falso: non l’avrei aiutata. Non avrei mai potuto, probabilmente. Potevo definirmi un vendicatore: un paladino degli oppressi. Ma non un completo idiota: non al punto da scendere a patti con un mostro del genere. Eppure, speravo nelle risposte di quell’essere per comprendere se dietro tutto quello ci fosse veramente il Re: speravo, soprattutto, che la verità fosse tutt’altro che ovvia, a discapito delle apparenze. A discapito delle inquietanti incognite che, nella mia tortuosa mente, mutavano nuovamente forma.


SPOILER (click to view)
Post introduttivo, forse di eccessiva lunghezza ma ci tenevo a fare un pò il mio personale punto della situazione. Spero non ci siano errori circa l'interpretazione degli ambienti e l'interazione con la creatura. E, in generale, spero vada bene. Buona Abiezione a tutti.

edit: corretti alcuni errori.


Edited by janz - 25/10/2010, 01:40
 
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Bastard de la Nuit
view post Posted on 25/10/2010, 12:04




Buio e ricordi.
Due temi ugualmente importanti, che si intersecavano in un contrappunto di limpidezza disarmante nella percezione che aveva del sogno in cui stava vivendo. Il verde degli alberi, e la Rosa sorpresa lì a vagare, e le armi che si incrociavano, e i ricordi, e il buio.
Poi, una coltre di foglie contro il blu del cielo. E capì di essere disteso supino sul terreno morbido di un bosco. Rimase a fissare quel ghirigoro di verdi e azzurri e neri senza capirlo, cercando di focalizzarsi sugli istanti precedenti il suo svenimento.
Ma non riuscì a ricordare. Era come se i ricordi che la Principessa Dalys aveva cercato di strappargli con la forza avessero deciso di abbandonarlo spontaneamente.
Provò ad alzarsi, gli alberi presero a vorticare attorno a lui. Cadde, si rialzò ancora. Il silenzio soffice di foglie morte gli opprimeva le tempie. Aveva bisogno di cure. Aveva bisogno di ricordare. Basta, basta spazi vuoti nella sua anima!
Dunque doveva tornare. Al Maniero, a casa sua. O a quanto di più simile ci fosse in quel momento della sua vita.

Non gli sembrava di aver già visto quella radura. Ora che era riuscito a ritrovare lucidità ed equilibrio dopo il grande sforzo che esigeva muovere i primi passi, faceva più attenzione alla strada. Ora le foglie morte cedevano il passo ai rovi che artigliavano gli stivali, le ombre sempre più fitte parevano nascondere i peggiori predatori nella loro coltre.
Un'improvvisa folata fece rabbrividire lo Straniero, che alzò il bavero del mantello cercandovi il conforto di un po' di calore. Che si fosse perso l'aveva capito da un po'. Ciò che non capiva era se quella foresta potesse mai finire.
Si appoggiò alla corteccia rugosa di un abete per riprendere un attimo fiato. Neanche il muschio indicava con precisione il nord. Guardò verso quel cielo scuro, denso d'aghi e di rugiada. E cominciò a scalare il tronco. Lentamente, un ramo dopo l'altro, fino alla cima, finalmente a riveder le stelle.
Emerse dalle chiome della foresta e ricevette con sollievo lo schiaffo amico del maestrale, la vista del cielo senza più ostacoli. Era sera ormai, e sotto di lui il mondo sonnolento si stiracchiava verso l'orizzonte, serioso nella gamma di ogni grigio possibile.
Tranne che in un punto.
Un dito livido svettava in alto superando in altezza le chiome degli alberi: un campanile?
Poco discoste da esso, infiorescenze chiare interrompevano la monotonia della selva: case?
Si guardò attorno, cercando altre tracce di centri abitati, ma non ne trovò. A quanto pareva il destino non gli stava lasciando scelta, di nuovo.

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Giunse nella città dopo un giorno di viaggio. Avanzava tra finestre senza fiori e porte senza chiavistello mentre il sole gli moriva stancamente sui piedi. Il silenzio di quel luogo lo spaventava più dei misteriosi mormorii del bosco che s'era lasciato alle spalle. Camminava alla ricerca di un'anima che potesse indicargli la via per il Maniero, ma tutto ciò che trovava era così fastidiosamente simile a ciò che si portava nel cuore: n u l l a.
Solo vie -solchi tracciati per nessun piede-, e case vuote -bozzoli di bachi già in forma di farfalla, volati via in un lontano giorno d'estate-. Rimpianse anche lo scalpiccio ritmico che un tempo producevano i suoi stessi passi, di cui non ricordava nemmeno più il suono. L'unico rumore in quel luogo di fantasmi erano le parole scandite dalla sua mente che leggeva sui muri:

Io non serbo rancore.

Un particolare che in un borgo affollato non avrebbe destato tanta attenzione, ma in quella plaga desolata finiva per essere inspiegabilmente agghiacciante. Rancore per cosa? Chi era a non serbarne? Perché aveva scritto quelle parole così ossessivamente? Domande, e domande ancora: ironico che avesse raggiunto quel luogo in cerca di risposte. Sollevò lo sguardo per un istante a cercare quel campanile che gli aveva indicato la via da seguire, poi s'immerse nuovamente nei vicoli per cercare di raggiungerlo.
Era vicino ormai, le finestre della torre campanaria occhieggiavano quasi sopra di lui oltre le grondaie di rame ossidato. Le dita nervose strisciavano distrattamente sul muro, incespicavano sulle lettere incise, avevano preso a sillabare io non serbo rancore al posto della mente. Senza accorgersene aveva affrettato il passo, quasi ansioso di trovare qualcuno almeno in quell'edificio di culto.
E in effetti qualcuno c'era.

Una delle apparizioni più macabre che gli fosse mai capitato di vedere si parò innanzi a lui non appena il groviglio di stradine digradò verso la periferia e lo condusse davanti alla piazza della chiesa. Aveva tratti umanoidi, sì, ma ogni lembo di pelle sembrava essere stato strappato via, e muscoli scoperti e sangue facevano sfoggio di sé in quella che un tempo doveva essere stata una donna. E il volto, oh, il volto! Il volto di un'altra persona, si vedeva, pressato a forza contro lineamenti non suoi, tirato sugli zigomi e cascante sul naso. Come per una forma di empatia sentì distaccarsi il derma in un brivido: distolse lo sguardo reprimendo un conato. Dov'era mai capitato? Basta morti, basta violenze! E subito quel cadavere fu quello della coppia assassinata e vilipendiata nella Capitale, e quello marcescente eppure vivo della creatura mostrata dal Re al ballo in maschera che finì tra la tragedia e la farsa, e quello avvizzito dei mille e mille abitanti di Lithien che si spegneva nella malattia. E subito il respiro dello Straniero si faceva pesante nel tentativo di scacciare i brutti ricordi che anelavano a irretirne l'anima. Lentamente si focalizzò sulla figura accanto a quell'abominio: preso da sorpresa e orrore non l'aveva notata sulle prime, ma ora in essa riconosceva un volto noto, candido contro vesti scure contro mura candide contro un cielo sempre più scuro.
-...Shakan? Cosa ci fai tu qui?
Rimase a distanza dal compagno d'armi e dalla creatura misteriosa, abbastanza lontano da non notare che anche la sua carne era incisa con le stesse parole scritte in ogni dove. Abbastanza lontano da riuscire a escludere dal campo visivo quell'ammasso di membra umane sanguinolente semplicemente guardando in basso. E in cuor suo pregò che l'orrore finisse e che insieme potessero tornare al Maniero. Un posto che stava cominciando a considerare casa, seppure con un certo fastidio.



SPOILER (click to view)
[ReC: 300] [AeV: 350] [PeRF: 100] [PeRM: 250] [CAeM: 200]

Stato Fisico:
Illeso.

Stato Psichico:
Scosso, quasi inorridito dalla creatura, ma leggermente sollevato alla vista di un volto noto.

Energia:
100%

Abilità passive in uso:
[...] Fuori dall'abitato di Malbork [...]
[Abilità passive dei livelli I, II e III del dominio Void Runner.]
[Abilità personale 1/5 [sblocco del terzo livello del dominio Passiva]

[...] Senza temere il Vento e la Vertigine [...]
[Abilità razziale degli Umani - Passiva]

[...] Guarda in basso dove l'Ombra si addensa [...]
[Pergamena "Favore delle Tenebre" - Passiva]

[...] Sul Tappeto di Foglie illuminate dalla Luna [...]
[Abilità personale 2/5: In termini di gioco, Kreisler sarà sempre a conoscenza di qualsiasi tecnica illusoria o psionica agente su di lui o sul campo circostante, pur non essendone protetto in alcun modo - Passiva]

[...] Intorno a una Fossa Vuota [...]
[Abilità personale 3/5: sblocco delle pergamene da guerriero - Passiva di metagame]

EVERYMAN (Artefatto)
-Maschera invisibile e intangibile, se non per chi la indossa.
-Sua unica e inimitabile virtù è quella di rendere il portatore "uno come un altro". Chiunque lo vedesse tenderà a non prestargli attenzione, anzi, ad evitare il contatto con lui e a dimenticare di averlo veduto. Solo cercandolo volutamente sarà possibile riconoscerlo e trovarlo.
Questo artefatto non modifica in alcun modo i tratti del volto, il suono della voce, o alcunché d'altro del portatore.[/size]

Abilità/Pergamene usate:
-

Armi:
Ham&Let (Separate) - Nei foderi.
Corazza - Indossata.
Everyman - Indossato.


Note:
Ecco anche me! Dato che Bottiglia Verde si trova nei territori orientali ho fatto sì che Kreisler ci si trovasse già più o meno vicino, dato ?t=40349892 questo scontro con Dalys tuttora in corso: il risveglio da uno svenimento con leggera amnesia è dovuto al fatto che il combat in questione non è ancora terminato, quindi non so nemmeno io come vada a finire :v: Data già la presenza di questo antefatto ho trovato eccessivo inserire alcune considerazioni sulla scena dell'Incubo, per cui mi riservo di farlo più avanti.
Per il resto spero sia tutto chiaro: Kreisler giunge poco dopo Shakan, quando il sole ormai è tramontato, e lo trova che già sta parlando con la creatura. Per un momento essa gli desta alcuni ricordi (i cadaveri scuoiati della capitale fanno riferimento a ?t=28098054 questa quest) ma cerca di fugarli per via del suo mutato atteggiamento verso il passato (sviluppato ?t=40153506 qui); infine chiede spiegazioni a Shakan tenendosi a qualche passo sia da lui che dalla donna.
Buon divertimento a tutti!
 
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Foxy's dream
view post Posted on 25/10/2010, 23:52




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Lui sapeva, forse…
Lo avrebbe saputo se avesse voluto, forse…
Qualcosa sarebbe senz’altro giunto alle di lui orecchie, forse…


I passi si succedevano rapidi, lesti oltre ogni dire, scossi dai fremiti di un nervosismo sempre più incalzante, sempre più assillante, sempre più molesto fino a raggiungere i limiti di quel che era per lei sopportabile, per sfociare infine nel primitivo urlo che fuoriuscì dalle sue labbra paradossalmente così rosee e delicate, le quali mai avevano conosciuto uomo che tale potesse definirsi nella moltitudine dei suoi significati.
L’eco del suo grido si spense nel luminoso cielo d’un mattino oramai inoltrato, oscurato solo dalle fitte fronde d’alberi che si erigevano quasi a ponte tra l’empireo e l’inferno, così maledettamente placido da apparire quasi beffardo e velleitario nei confronti di popoli interi che sotto la sua veglia indifferente si sgozzavano e scannavano vicendevolmente senza logiche apparentemente valevoli o assennate.
La paladina scosse il capo con fare quasi furente, come se quel vago senso d’irritazione la logorasse ancora intarlandosi nella sua psiche già fiacca e stanca da una vita vissuta fin troppo intensamente.

-Egli avrebbe distrutto tutto.
Avrebbe cancellato la morte,
cancellando la vita.-


Le parole di quel cavaliere riecheggiavano ancora nella sua mente, scosse da un moto onirico e ridondante fino ad insinuarsi con forza tra le sue convinzioni, tra i mille ragionamenti frutto di eventi i quali non sentiva affini a sé nonostante il più delle volte ne recitava il copione della protagonista.

« Il mio nome – è Arthur. Prometti di ricordarlo.


Adesso, sì! Ricordava il suo nome, rimembrava la sua promessa, che malgrado fallace e menzognera costituiva per lei un motivo di speranza, una ragione per il quale combattere, un presupposto per vivere, un desiderio tanto semplice quanto oltremodo sciocco e umile per colei che in vita propria aveva avuto modo di vantare la nomea di regina.

Quell’ira tanto irrazionale lentamente si placò assieme ai tormenti d’una vita tracciata dagli orrori della guerra, dall’insensatezza del dolore, dalla crudeltà umana. Le immagini nella sua mente fino a qualche istante prima confusionarie e caotiche presero a riordinarsi come preda di un bizzarro incanto, e la freddezza della regina poté riemergere in tutto il suo fatal splendore, sebbene regnante o nobile non lo fosse più.

Lo sguardo imperscrutabile della donna si levò al cielo per poi calare sul suo cammino con naturale noncuranza, ma dentro di lei rifletteva su quella decisione tanto amara e infelice. Lo avrebbe cercato per quelle terre martoriate dall’anarchia, sì! In quelle regioni dove la prima legge del mondo vigeva ancora imperitura su ogni altra: quella di sopravvivenza.
Afferrò rudemente le briglie della possente cavalcatura. Cursed era il suo nome, incontrato chissà quando in un luogo non meglio precisato delle terre dell’Eden, anch’egli vittima dell’orrore del mondo, anch’egli vittima di quanto accadde quella notte sì funesta.
In arcioni sul grande e scuro destriero partì al galoppo stringendo le redini talmente forte da far imbianchire le nocche già diafane e chiare. Ancora troppo insicura su quel che s’apprestava a compiere, ancora troppi dubbi s’agitavano e scalpitavano nel di lei animo al pari d’una bestia fuor di senno.
Avrebbe gettato via parte del suo orgoglio se lo avesse fatto, sarebbe sfumata ogni aspettativa futura, ma la sua vita aveva oramai imboccato un percorso assai strano, del tutto differente da quello di regina, di cavaliere, di donna o persona. Inseguiva un sogno, o forse un incubo, ma tale era l’orrore a cui aveva assistito che incubo peggiore non poteva sussistere se non in terra, nella comune e serena vita d’ognuno, tra le monotone e piatte scene di realtà quotidiana.

Scoccò ancora una volta le redini sul collo muscoloso dell’animale spronandolo ad un galoppo sempre più celere, spingendolo oltre il suo limite, mentre già dispotico si faceva largo tra i bassi arbusti e gli imponenti e verdeggianti alberi di latifoglie, tra la fresca e profumata erba e le rocce che talvolta affioravano dal suolo squarciando la terra al pari d’una lama -ma cosa importava? Cosa le importava di quel panorama sebbene racchiudesse in sé un ché di magico e irreale tale era il suo splendore? Cosa le importava di quel che le era attorno se le sue angosce avevano avuto modo di concretizzarsi in puro terrore? No! Non v’era e mai vi sarebbe stato spazio per altro. Lo avrebbe raggiunto, gli avrebbe parlato, e avrebbe saputo.

…forse…


Ne era certa, o perlomeno si illudeva di credere che così fosse. Ma malgrado quella persuasione eretta su fondamenta d’incertezza e dubbiosità non poteva che saggiare ancora l’acre sapore della brezza di quella notte, così carica d’odio e rabbia, intinta nell’agrodolce puzzo di sangue e acciaio, talmente ripugnante da provocarle ancora un conato di vomito al sol ricordo.

Digrignò i denti come a trattenere un moto di stizza così dannatamente fuori luogo mentre a cavallo del proprio compagno.
Quanto viaggiò? Quanto a fondo si inoltrò fra quelle interminabili foreste? Fu impossibile stabilirlo con certezza. Tutto si mesceva in accecanti sfumature smeraldine al suo interno, e altrettanto impossibile fu mantenere un unico percorso. La selva si estendeva labirintica districandosi in una infinità di vie e sentieri, che si abbracciavano e intersecavano fra loro senza un rudimento di raziocinio.
Perse la via, ma in vita sua aveva perso ancor più di uno stupido sentiero. Ma tanto: cosa importava? Quella era tutto fuorché una ricerca, spinta com’era da folli e vaneggianti voci mai confermate o accertate, che tanto in là si erano spinte da giungere persino all’interno delle mura di quel che non esiste.
Non aveva una mappa, né un indizio, andava avanti a tentoni come fosse all’interno di una stanza buia.
Cavalcò. Ancora e ancora, intenta in una caccia disperata che conobbe termine solo quando gli occhi scorsero alcuni casolari apparentemente abbandonati in quanto in evidente stato di degrado.
Il galoppo nel frattempo si era sedato in un trotto e infine in un passo acquietato, per raccogliere l'opportunità di poter meglio osservare il tetro spettacolo, che si estendeva fin dove l’occhio era in grado di giungere.

Silenzio. Tutto era avviluppato in dense coltri di tacito silenzio. Non un rumore, non un movimento che oltrepassasse la concezione di naturale. La curiosità si fece padrona di lei mentre continuava ad avanzare in groppa all’animale, che non si faceva remore alcuno nel calpestare qualunque cosa gli si parasse innanzi.
Lo scalpitio degli zoccoli sul lastricato in pietra delle vie cittadine riecheggiava tra le pareti delle case, rimanendo inascoltato se non da quella natura sì silente e da lei stessa, che voltava lo sguardo a destra e a manca in cerca di qualcosa, qualunque essa fosse.

Una svolta a destra, un’altra a sinistra. Ben presto perse l’idea di percorso fra quelle vie tutte uguali le une alle altre, come se tutto fosse stato eretto con l’intenzione di fuorviare eventuali viandanti –o eventuali curiosi-.
Un soffio di vento accarezzò i suoi capelli cinerini, giocando con essi e ballando sugli accordi di una muta melodia. La fresca brezza del Nord trascinò con sé inebrianti profumi, cinguettii lontani e delle voci, sì! Voci. Voci umane. Dette moto alle briglie ancora una volta con quanta più foga le fu possibile, ma non dovette percorrere molto, una costruzione appena, e poté scorgere tre figure.
Uno stretto sorriso le si abbozzò in viso, quasi stesse gioendo fra sé e sé, ma non durò molto. Smontò da cavallo e percorse in gran fretta il breve tratto che li separava, mentre la destra reggeva le redini che tenevano ancora legato a sé l’animale.
I contorni degli astanti si delineavano ad ogni passo, sempre di più. Due uomini ad una certa distanza fra loro e improvvisamente Cursed nitrì forte alla vista dell’obbrobrio che gli si palesò innanzi, ergendo il capo in alto e imbizzarrendosi come mai prima di quegli istanti, quasi se una tale aberrazione della vita umana potesse indurre disgusto persino in lui, un semplice animale.

« Che diavolo hai? Sta’ buono… »


Esordì mantenendo con quanto più vigore le redini, e appena voltò nuovamente lo sguardo in direzione dei tre non fu capace di smuoverlo dall’abominio sanguinolento avanti a lei, non le rispondevano, non si smuovevano. I canini destri sfregarono l’uno sull’altro, mentre serrava la mandibola fino a che non provò dolore, ma non la fermò, no!

-Io non serbo rancore-


Ovunque su quel corpo tumescente erano impresse quelle parole, senza un motivo apparente, una ragione che potesse spiegarlo. Come un marchio la segnavano quasi fosse proprietà di qualcuno –o qualcosa-.
Distolse lo sguardo forzatamente, con ogni pallida goccia di volontà posò gli occhi prima in terra e poi sul viso degli altri due. Su tutto, men che su quella cosa, vergognosa indecenza la quale non aveva motivo d’esistere se non nell’incubo più abietto o nella fantasia più scellerata.

« Co-cosa è? »


Biascicò timorosa fra i denti stretti, osservando l’innegabile espressione di disprezzo mista a pietà calata sul viso d’ognuno dei presenti. Ma cosa era? E sopratutto: cosa ci faceva lì?



SPOILER (click to view)
CITAZIONE
Energia: 150%
Stato psicologico: Sconcertata
Condizioni fisiche: Illesa

ReC: 225
AeV: 200
PeRf: 225
PeRm: 300
CaeM: 200


Abilità attive in uso:




Abilità passive in uso:

• Queen's flaming Sword I § (Effetto passivo del Dominio, primo livello)

La spada in possesso di Alexandra presenta sul piatto della lama un incantamento runico di colore rosso carminio ben visibile all’occhio. La bastarda potrà, in qualsiasi momento, innescare i poteri del dominio, e grazie all'incanto, essa risulterà impossibile da distruggere nonostante gli attacchi che le potrebbero venir mossi.

• Queen's flaming Sword II § (Effetto passivo del Dominio, secondo livello)

Le mitene in possesso di Alexandra presentano nel palmo un incantamento runico del tutto simile a quello della spada bastarda. Quest’arma quindi, potrà, in qualsiasi momento, innescare i poteri del Dominio. Grazie all'incanto, inoltre, risulteranno sempre affilatissime e incapaci in alcun modo di perdere le proprie capacità offensive, oltre che indistruttibili.

• Queen's Will § (Effetto passivo dell'abilità razziale)

Alexandra punta gran parte delle proprie capacità sulla magia. Avendo così affinato il potere magico insito in lei, raggiunto il 10% delle energie infatti non sverrà. Ciò però non significa che non sarà stanca raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%.

• Queen's Sway § (Abilità personale passiva)

Il dominio di Alexandra sul suo corpo le permette di scagliare attacchi magici e fisici senza alcun tempo di concentrazione. Ciò permette un notevole vantaggio tattico e tecnico alla paladina, che racchiude in sè le proprietà di maga e guerriera allo stesso tempo.


Note:

Bene! Con questo post posso ritenermi d'essere oltremodo pazza e sconclusionata. Perchè? Ho deciso di cambiare un po' stile di scrittura, in quanto mi sono accorta del limite evocativo che il registro medio-alto è in grado di offrire, quindi, per quest'occasione, ho pensato di "cambiare" elaborando un testo che è un mix tra il registro medio-formale-solenne, in modo da sottolineare anche la psiche di Ale, estremamente volubile in relazione alle occasioni e a ciò che le passa per la testa, e questo credo sia un modo per enfatizzare tutto quanto.
Naturalmente si tratta di un esperimento, e nel caso dovessi ricevere valutazioni negative a riguardo non potrei far altro che tornare al vecchio (ma neanche più di tanto) stile. :sisi:

Ma passiamo al contenuto del testo:
Bene! Questo turno dell'Abiezione si svolge in un periodo non molto lontano dall'Extirpanda II, infatti, i riferimenti della seconda e terza citazione, fanno da collegamento a quanto detto dal mio avversario (Finnegan di Kactuar) in quell'occasione.
Inoltre è bene annunciare che Ale stà cercando il re per motivi di bg, in quanto alla ricerca di informazioni per perseguie la propria vendetta, ed ho volutamente lasciato un velo di mistero per tutto il testo. :sisi:

Ah, vero! Quasi dimenticavo: Ale raggiunge il luogo prestabilito "a fortuna" in quanto di tutta la storia del maniero e dell'Abiezione lei non sà nulla visto che è del Sorya e non ha mai avuto a che fare con precedenti edizioni del su citato torneo. :sisi:

By the way: spero di non avervi annoiato troppo con questo spoilerone e sopratutto con il testo, che è forse eccessivamente lungo, ma vi giuro, mi dicevo sempre: "adesso tronco qui - adesso tronco qui il discorso", e invece le dita continuavano a battere sulla tastiera proprio come in questo momento.
Vabbé... penso sia tutto chiaro (...credo :look:), e se ci fosse qualche incomprensione c'è sempre il bando o un mp :sisi:
 
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view post Posted on 26/10/2010, 01:40
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C'è un piacere perverso e antico nella solitudine.
E' una sensazione primordiale, che ci permette di godere per qualche tempo della mancanza di tutta la negatività emergente dalle oppressioni e dalle urgenze delle convenzioni sociali prima che la campana posta ad allarme dei propri bisogni umani torni a squillare con prepotenza come quella di una chiesa ad un festoso e principesco matrimonio. Perverso per la potente antitesi che lo contraddistingue, un contrappasso che in molti non potrebbero che definire depravato. Antico poiché non bisogna certo essere governatori di un moderno regno per assaggiare una cortesia così plebea.
Socchiudendo le palpebre appena, Ray inspirò una profonda boccata d'aria, silenziosamente, assaporando quell'ultimo spicchio di agrodolce solitudine che i tempi parevano avergli concesso; poteva sentirvi l'odore denso della polvere e quello metallico e pungente assunto dal suo corpo col passare del tempo.

« Allontanatela. Non vorrei mai che i nostri visitatori decidano di interferire. »

Due paia di gambe si mossero dalla penombra della camera e si diressero alle porte inchiodate con delle assi; pochi attimi e iniziarono a rimuoverle, lasciando che da una fessura apertasi fra gli stipiti filtrasse un limpido raggio di luce che non fece altro che realizzare la quantità di polvere sospesa all'interno del sancta sanctorum. Il rumore prodotto dai due uomini coprì per qualche istante le voci provenienti dal di fuori della cappella, nell'illusione che fossero spariti tanto rapidamente quant'erano comparsi.
Prima di fronteggiare l'esterno, Ray trasse un secondo lungo respiro.

~~~

La donna - per quanto donna potesse essere - indugiò a lungo sul viso di Shakan, ripercorrendolo con lo sguardo come se stesse studiando qualcosa al di la dei suoi lineamenti, apparentemente noncurante delle seconde figure che si erano fatte innanzi l'una a seguito dell'altra. Nei suoi occhi - dei quali, funerea, non era stata privata - si poteva leggere la malinconia di chi sa di aver dimenticato qualcosa di estremamente importante e non sa darsi pace per il suo ritrovamento.
Poi, d'improvviso, da immobile quale era stata fino a quell'istante allungò una mano volta alla guancia dello spettro, dove avrebbe lasciato una pesante onta di sangue nel caso in cui fosse riuscita a porgervi le proprie dita.

« Non ti serbo rancore: »

Partorì la creatura con la voce più triste e gentile con la quale un corpo nelle sue condizioni potesse conferire; flebile quanto un sussurro destinato a sparire nel chiacchiericcio della folla.

« Ciò che mi hai fatto ti ha condotto alla gloria; non avresti potuto comportarti altrimenti. »

Tutto sembrò fermarsi per un lungo istante; poi la donna alzò anche l'altro braccio, tentò di porre l'altra mano sulla guancia libera di Shakan innanzi a lei e ripeté:

« Non ti serbo rancore: ciò che mi hai fatto ti ha condotto alla gloria; non avresti potuto comportarti altrimenti. »

Il corpo spalancò gli occhi in una morbosa attenzione, come se finalmente avesse scorto ciò che cercava nello sguardo di Shakan. Strinse le mani sulle sue guance con forza e fece un passo avanti, approprinquando i resti del proprio corpo a quelli paradossalmente vivi e vegeti del fantasma. Rantolò un poco, prima di ripetere, con voce sempre più meccanica, rapida e flebile:

« Non ti serbo r a n c o r e: ciò che mi hai fatto ti ha condotto alla gloria; nonavrestipotutocomportartialtrimenti. »

Avvicinò il suo viso di qualche centimetro ancora a quello di Shakan. Chiuse le palpebre e si avvicinò ancora, nella posa inconfondibile di un bacio.
Ma, prima che la vita dello sfortunato si tingesse di un ricordo incancellabile, accadde l'inaspettato.

image

Due paia di braccia catturarono improvvisamente quelle di lei, tirandola e scuotendola e allontanandola dalle tre figure di qualche passo. La spinsero con forza indietro, impedendo alle sue gambe - prive di alcuna forza - di sostenerla, o alle sue mani di darle la possibilità di dimenarsi, benché i suoi occhi non fossero che lo specchio della disperazione. La donna, che aveva iniziato a ripetere ossessivamente le frasi di poco prima, tacque improvvisamente, digiuna di qualsiasi tipo di esclamazione.
I due uomini - se così a loro era opportuno appellarsi - non le erano dissimili. Corpi maschi, scuoiati perché fossero opera delle loro stesse membra, sul cui viso era stata malamente inchiodata la faccia di una donna. A differenza della loro compagna, tuttavia, le loro orbite erano vuote e le loro gole - spalancatesi nell'atto di allontanare la donna da Shakan - parevano incapaci di produrre alcun suono. Sul corpo di uno apparivano le scritte, scavate nella carne: "io l'ho uccisa"; su quello dell'altro, invece, si poteva distinguere chiaramente l'affermazione: "la mia invidia ne è stata la causa".
Ed in quell'incessante cimitero di morti viventi, prima ancora che i tre estranei fossero capaci di raccapezzarvisi, fece spicco la inusuale e al contempo rassicurante voce del sovrano, proveniente dalle porte di Santa Madre Nuova, ora spalancate.

« Non sono in molti quelli che hanno il coraggio di spingersi fino alle porte di un villaggio fantasma. »

image

Come una gargolla adibita all'allontanamento degli spiriti malvagi, il Re s'era posto proprio innanzi all'entrata della cappella, inadatto nel suo rinnovato nuovo di figura di riferimento e vestito di un nero funereo com'era suo solito. Per nulla inebetito dagli accadimenti tutt'intorno a lui, s'era rivolto ai tre con voce salda e ferma, nel tentativo di calamitare la loro attenzione e distoglierla dai tre corpi, neppure sicuro che l'avessero notato, prima del suo incipit.
Concesse loro uno sguardo di severo rimprovero, prima di continuare.

« Benché ricordi certamente alcuni di voi, gradirei molto che abbiate la cortesia di presentarvi. Dopodiché, siete pregati di spiegarvi. »
che cosa cazzo ci fate, qui?


CITAZIONE
Ancora una volta mi scuso per la presenza di eventuali errori grammaticali/sintattici/di battitura: è veramente troppo tardi perché resti in piedi a controllare e rileggere il post senza addormentarmi sulla tastiera.
Ancora una volta - e sarà così per tutta la quest - potete agire come meglio credete: le reazioni possono essere tante e dipendono interamente dalla psicologia del personaggio, dunque sbizzarritevi e date il meglio di voi.
Per questo giro, gradirei che Janz postasse per primo, e solo successivamente gli altri due, in qualsiasi ordine preferiscano :sisi: cinque giorni come al solito; enjoy!

 
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view post Posted on 26/10/2010, 22:33
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Bottiglia Verde - Santa Madre Nuova
Tramonto



R
apito. Dallo sguardo atterrito su ogni aberrante piaga dell’essere che mi fissava intensamente, seguitavo a non muovere un muscolo, a non allarmarmi oltremodo, finanche a non respirare con eccessiva intensità. Negli attimi che seguirono a quel turpe incontro, sperai anche che il cuore rallentasse il suo battito incessante: sperai che nessun movimento del mio corpo potesse turbare la creatura e scatenarvi avventate condotte.
Non capii se avesse compreso realmente le mie parole: se le avesse udite o se le avesse interpretate a dovere. Capii, però, che la mia attenzione su di se doveva averla in qualche maniera percepita. Un incrocio di sguardi: un incrocio pericoloso di occhi circospetti. La mia, in verità, poteva ben dirsi – per non esagerare – accurata prudenza: ovvero la stessa prudenza di chi squadra qualcosa di sconosciuto, di indefinibile. Qualcosa che si considera pericoloso per principio: per il solo fatto di non aver mai visto qualcosa di simile in tutta la propria esistenza.
La creatura, invece, pareva squadrarmi sotto altri aspetti: studiava il mio volto, studiava i miei lineamenti. Non avrei saputo dire quanto ampie potessero essere le sue congetture, le sue mentali facoltà residue. Avrei ben detto, però, che quell’essere mi studiasse con una certa curiosità. Una curiosità quasi innocente, ingenua: la curiosità di un infante che riflette su di un oggetto nuovo, cercando di capirne le funzioni.
Questo d’impatto. Poi, invece, il suo seguitare di sguardi attenti mi fece maturare un’impressione simile ma, allo stesso tempo, di poco differente. Parve quasi che gli ricordassi qualcosa – o qualcuno – e che seguitasse a fissarmi nella speranza che gli sovvenisse alla mente. A quella povera mente torturata, che tante sevizie doveva aver subito, e il cui tedioso oblio, dettato probabilmente dagli orrori che nessuna creatura avrebbe potuto lucidamente sopportare, aveva cancellato. O aveva semplicemente nascosto, in qualche angolo remoto della psiche.

I
l braccio teso verso di lei calò pian piano, quando vidi che ella si avvicinava verso di me, ignorandolo. Ebbi ancor più paura a toccarla: o, meglio, ebbi paura che quel mio gesto di inconsapevole difesa potesse da ella essere interpretato come una sfida. O, peggio, come una barriera. In fondo, infatti, la creatura mi suscitava quasi tenerezza: atterrita tenerezza. Una creatura in cerca di pace, in cerca di aiuto. E davvero non ebbi cuore di scostarla da me, nemmeno con un braccio inconsapevolmente teso. Dunque lo spostai di lato, flettendolo leggermente e ponendolo alla mia destra: la creatura, invece, non si fece scrupoli di ciò. Non parve nemmeno vedere il mio braccio, concentrata com’era sul mio volto. E mi toccò: aderì al mio viso una sua mano scarnificata, umida. Riuscii a sentire il sangue scuro e grumoso che mi dipingeva le gote, le vene rosse pulsare di sottesa emozione: i nervi scoperti trasmettere il fremito della mia pelle bianca che combaciava d’improvviso con la sua cute cremisi, in un gioco di tetro contrasto tra il mio corpo incolume e il suo devastato.


« Non ti serbo rancore »



P
arlò piano, pianissimo. Quasi un sibilo o un respiro lungo accompagnato da talune note di una certa tonalità. Quasi impercettibile, nel frastuono assordante della realtà. Quasi se non si ritenesse degna di parlare, quasi se non ritenesse opportuno scomodare il vento e le fronde degli alberi con le vibrazioni del suo sconforto. Parlò pianissimo, eppure la percepii distinta: percepii il suo dolore, il suo indomito tormento che, nonostante tutto, smorzava inconsciamente, quasi non volesse osare di lasciarlo andare alla sua piena devastazione. Mi parve di percepirlo così: un lamento sommesso, soltanto la punta di un dolore enorme che faticava ad uscire, prigioniero della paura e della vergogna.


« Ciò che mi hai fatto ti ha condotto alla gloria; non avresti potuto comportarti altrimenti. »



P
oi un’altra frase: qualcosa in più di quel racconto triste che avanzava a piccoli, timidi, ma raccapriccianti passi. Parlava della gloria: la gloria di qualcuno. Qualcuno che in nome di questa gloria l’aveva tormentata: tormentata in quel modo barbaro. Qualcuno, però, che non avrebbe potuto fare altrimenti. Quasi che avesse dovuto farle tutto quello a discapito della propria intima volontà. Possibile si potesse riferire davvero al Re? Alla s u a gloria? Al s u o nome? E possibile che quell’essere rivedendo in me il volto del suo aguzzino – forse anche quello del Re – non riuscisse che a provare tenerezza, al punto da accarezzarlo dolcemente e porgergli parole di caritatevole affetto?
Pose, dunque, anche l’altra mano su di me: sentii il mio cuore sobbalzare, seppur mi sforzassi di tenerlo stretto nel torace. Una nuova mano umida, un nuovo grumoso sangue che mi detergeva la purezza dell’altra guancia: e ora sentivo quel sangue avvolgermi, stringermi in una morsa di sudicio peccato. Di quell’insostenibile pesantezza dell’essere. Non ebbi più il cuore o la volontà di arrancare qualunque difesa: non ne sarei stato capace. Anzi, condividevo quasi quel dolore, seppur ancora totalmente ignaro. Lo condividevo al punto che la pietà per quella donna col volto inchiodato di uomo, lentamente si trasformava in rabbia. Rabbia a lungo repressa. Rabbia per un fato tanto ostile.


« Non ti serbo rancore: ciò che mi hai fatto ti ha condotto alla gloria; non avresti potuto comportarti altrimenti. »

...e ancora...

« Non ti serbo r a n c o r e: ciò che mi hai fatto ti ha condotto alla gloria; nonavrestipotutocomportartialtrimenti. »



E
continuò, come una meccanica litania funerea, a ripetere il proprio tormento. Il proprio incessante supplizio. E più ripeteva quelle frasi, più si avvicinava a me, più pareva stringermi il volto tra le mani e infondermi quel dolore senza fine, affondando il suo lacerante sguardo entro i miei occhi sbarrati. Pareva mi studiasse dall’interno, leggesse dentro di me e cercasse un posto nel mio animo abbastanza accogliente da potervi accomodare il proprio sconforto, da potervi trovare un rifugio sicuro. Li cercava tra i pertugi oscuri del mio cuore, a lungo rimasti orfani di affetto o sentimento alcuno. A lungo rimasti privi di ricordi felici.
Fissai quel gesto senza più proferir parola. Anzi, affannai il respiro lentamente, come se trattenessi lacrime amare: come se – da un momento all’altro – dovessi lasciarmi andare ad un pianto isterico ed inspiegabile. Contemporaneamente, però, posi le mani vicino al suo volto, cercando di tenerlo a mia volta, di cingerlo anch’io in un surreale abbraccio. L’essere, infine, ormai a contatto col mio viso, inarcò le labbra in una insolita smorfia di abnorme piacere, che presto decifrai nell’espressione tipica di chi è prossimo a regalare un estremo e definitivo gesto di affetto: un tenero deprecabile bacio. Potendo sentire il respiro ormai a contatto col mio, socchiusi gli occhi, arreso, in attesa di quel paradossale evento che avrebbe segnato per sempre il mio subconscio, lacerando definitivamente il mio animo già martire di tormenti eterni.


-...Shakan… ?



M
a per primo giunse un suono a rompere l’incubo mascherato d’incanto. Era un suono familiare, complesso ed articolato: troppo articolato per quel momento di sommo struggimento, perché potessi coglierlo appieno. Carpii soltanto il suono del mio nome finto: del nome che rappresentava la mia dannazione. Quel nome e quel suono familiare, mi riportò alla mente un altro ricordo ancestrale improvviso ed innaturale. Mi riportò al mio passato e alla città che avevo distrutto: mi riportò alla realtà dei m i e i tormenti, strappandomi dall’abbraccio dei tormenti della creatura. Era la voce dello Straniero: era la voce di Kresiler. Per la prima volta – però – la colsi in maniera diversa: un suono che avevo conosciuto solo da poco tempo, ma che, eppure, mi aveva riportato ancora più indietro. Probabilmente complice le mie difese totalmente infrante dalla nudità del dolore della donna, la voce di Kreisler mi parve di ricordarla in un tempo ancora anteriore del Bianco Maniero: del Re e dei suoi intrighi. Mi parve di ricordarla al tempo di Lithien, la Bella, e di Lucian, il nobile codardo.
Ma non c’era modo e non c’era tempo di pensare a n c h e a quella spiegazione. Per certo, però, mi risuonò come una voce familiare: mi risuonò come quanto di più simile ad una voce amica. Nel sentirla volsi lo sguardo verso di lui, guardandolo in volto: mi parve affaticato e stanco, ma anche meravigliato e sgomento. Per certo avrebbe dovuto sembrargli strano vedermi in quella posa equivocabile: per certo, però, avrebbe dovuto sembragli strano vedere i miei occhi gonfi e rossi, prossimi alle lacrime, come solo in quel momento realizzai.
Nascosi velocemente il volto dietro al braccio sinistro, cercando di proteggere il viso dalla vergogna e dallo scherno di farmi cogliere sì debole. Poi, come un lampo, realizzai che le mani della creatura non v’erano più. Le sue falangi scarnificate non reggevano più il mio volto: l’incubo non mi teneva più a se. E me ne resi conto solo dopo: e quasi provai nostalgia di esse. E quasi mi stranii, per poi sconcertarmi del tutto, quando mi resi conto che la creatura non era più nemmeno vicino a me. Per uno strano gioco del destino, provai rimorso per quell’orrore pietoso, che si allontanava da me.

image



E
lla, infatti, era stata rapita. Rapita da qualcosa di ugualmente grottesco. Due uomini scarnificati e ugualmente raccapriccianti, la trascinarono via da me. Avevano sul viso inchiodato volti di donna, ma gli occhi erano vuoti e le loro bocche, spalancate in mia direzione, nel presumibile intento di lasciarsi andare ad eloquenti invettive, incapaci di parlare. Gli unici messaggi di cui erano portatori, erano egualmente incisi sui loro corpi, evocativi dei lamenti stessi della donna:
"io l'ho uccisa", "la mia invidia ne è stata la causa", rispettivamente citavano, in un triangolo di morte e dolore che finalmente iniziava a trovare un qualche – benché lontano e confuso – senso di logicità. I tre esseri erano legati l’un l’altro, dal doppio filo della sorte: una sorte tragica che ne aveva dettato un fato comune.
I due esseri strapparono la donna da me, le sue mani dal mio volto, le sue labbra dalle mie. Vidi lei tentare un timido sussulto, un leggero dimenarsi, seppur impossibilitata dall’estrema debolezza fisica: eppure seppe dimostrare il suo sconcertato disappunto, tacendo ogni ulteriore lamento e tornando a versare in un profondo mutismo.
Ed io, invece, in un istinto di preservazione – o assurda conservazione – fui naturalmente portato a provare nostalgia e sgomento da quel brusco allontanamento, tanto che, tendendo entrambe le mani, questa volta con sicura e consapevole volontà, urlai al cielo:

<< No! ... a-aspetta! >>



E
ppur sapevo che non poteva dipendere da lei. Eppur sapevo che non poteva dipendere n e m m e n o d a l o r o. Eppur sapevo – temevo di sapere – chi o cosa potesse celarsi dietro tutto questo. E mi rigirai verso lo Straniero, implorandolo con gli occhi di sorreggere la mia causa: seppur folle – seppur assurda – sperai potesse d’istinto comprendere la mia giusta causa di verità. Speravo mi avrebbe potuto sorreggere, in quel frangente di lucida follia.
Ma non ci volle molto, comunque, perché finanche il frutto dell’originaria ricerca si materializzasse innanzi al mio sguardo, per trovar conferma di ogni mia recondita paura. Non ci volle molto perché il presunto tessitore di quella tragica trama proferisse parola.


« Non sono in molti quelli che hanno il coraggio di spingersi fino alle porte di un villaggio fantasma. »


Il R e c h e n o n p e r d e m a i



L
a voce del Re giunse chiara e ben distinta dall’uscio del portone di Santa Madre Nuova, sulla soglia del quale solo in quel momento riuscii a distinguere dei tratti a lui quantomeno riconducibili. Parlò con tono saldo e fermo, più del solito: in quel momento, però, alle mie orecchie apparve come un tuono, un monito improvviso. Per quel poco che avessi potuto viverlo, quel Sovrano, mai mi aveva dato l’impressione del fastidio, della supponenza o dello sdegno. Nemmeno quell’ultima volta, quando aveva qualificato come “perfetto” uno sconvolgente susseguirsi di eventi che avrebbero ben potuto far perder il senso del giusto a chiunque altro. Eppure mi parve di sentir un leggero fremito di disappunto, in quel tuono dirompente. Così mi parve, sebbene ben potesse dirsi il mio animo ad essere ormai troppo coinvolto e troppo pregiudizievole. Infine, poi, attese qualche attimo, prima di seguitare ancora.


« Benché ricordi certamente alcuni di voi, gradirei molto che abbiate la cortesia di presentarvi. Dopodiché, siete pregati di spiegarvi. »



A
ncor di più, colsi quel fremito nella frase successiva. Non aveva gradito, per certo: non aveva affatto apprezzato la nostra presenza. In qualche modo – per qualche ragione – eravamo un elemento di disturbo: proprio quella ragione, però, avrebbe fatto la differenza circa il mio giudizio.
Mi riposi eretto, cercando di apparir più sicuro, meno fragile di qualche attimo prima: meno vinto, agli occhi del Re. Poi feci qualche passo in direzione delle tre creature: in direzione del Re, per vero.

<< M a e s t à, vogliate scusarmi se manco il doveroso inchino... >>



Dissi con voce altrettanto chiara e dirompente, di modo che il Re potesse udirla senza diversa interpretazione, senza dubbio o possibilità di fraintendere – consciamente o inconsciamente – lo scherno e l’ironia delle mie parole.


<< Sono Shakan Anter Deius. Il mio nome, probabilmente, non vi dirà nulla. Non sono, infatti, un pari dei vostri migliori lacchè. Sono solo un membro delle vostre fila, un soldato della vostra armata: uno "spettro" del vostro potere. Sono stato costretto a versare sangue e lacrime in vostro nome, a giurare e spergiurare per vostro conto... >>

C
ontinuai con tono meno sarcastico, scandendo con attenzione ogni singola parola. Man mano che proseguivo nel discorso, però, realizzai come le parole si facessero naturalmente più grintose, più rabbiose di quanto avessi cosciente intenzione, mentre le immagini del passato scorrevano distintamente nel mio pensiero. Ben presto – e lungi da qualunque mia reale intenzione di azzardarmi a tanto – mi resi conto che stavo riservando al mio Sovrano parole dure, grette. Al punto tale che taluno – magari un ascoltatore poco attento – avrebbe potuto bollarlo come “tono di sfida”. Sfidavo forse il Sovrano? Probabilmente vedere innanzi ai miei occhi un tormento non dissimile da quello vissuto in prima persona anni prima – per mano del Conte Nero – mi colmò di incontenibile furia: al di la di chi ne fosse l’artefice.


<< ...e in virtù di ciò e della fiducia incondizionata, che una dama traslucida mi strappò dalla gola, alle porte del vostro Maniero, io vi chiedo... libertà. Libertà dal giogo delle menzogne: libertà dal giogo delle trame di palazzo... >>

Mi reputai folle. Folle del tutto: come una goccia fatale, quell’evento aveva probabilmente fatto tracimare il vaso già colmo della mia follia. Ed ora non ce ne sarebbe stato per nessuno. E disgrazia volle, che fosse capitato proprio il giorno in cui conoscevo l’unico uomo a cui avrei potuto affidare il mio destino. Lo stesso uomo che avrebbe potuto liberarmi dal mio tormento. Lo stesso uomo che – dopo quelle parole – mi avrebbe potuto uccidere. E una volta per sempre.


<< ...insomma, Re. Dammi una ragione per non dare a t e la colpa di tutto q u e s t o. >>


Conclusi, indicando le tre creature che ancora mi si paravano innanzi. Nel farlo, tesi ancora il braccio sinistro innanzi a me, scoprendo – però – che gli artigli lucenti del guanto erano già scattati all’infuori. Alquanto curioso: non ricordavo affatto di aver attivato il meccanismo. Quasi implorai il Sovrano, alla fine, di non farmi arrivare a tanto.



SPOILER (click to view)

ReC:
275
AeV:
250
PeRf:
150
PeRm:
275
CaeM:
200
Immenso:
40%
Alto:
20%
Medio:
10%
Basso:
5%



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Del Fisico: Tre ferite leggere alla mano sinistra (Basso)
Del Psichico: Straziato, rabbioso (ma illeso).
Dell'Energia: 125%
Delle Attive: //

Delle Passive:

Solitudine (razziale): difesa psionica passiva
Non pago per le mie colpe (dominio I): illusioni castate senza vincoli fisici né concentrazione;
Il potere è parte di me (dominio II): illusioni scontate del 5%, ma mai sotto l'1%;
Che io sia dannato (personale di metagame): permette di usare abilità necromante;
Vivi il mio tormento (personale): le evocazioni sono intangibili e immuni ad attacchi fisici.

Delle Armi: -

Washi, la carezza del fantasma: equipaggiata braccio sinistro, artigli estratti;
Frusta: legata alla cintura

Del Riassunto: //

Delle Note:
Ho esagerato, temo. Ho probabilmente profuso troppa emozione nella cosa del bacio, ma, in verità, c'è un qualche tentativo di spiegazione: Shakan rivede nel tormento della creatura - e in quello delle altre 2 - quanto ha vissuto in passato. Shakan ha vissuto la tortura, ha vissuto la prigionia, ha vissuto l'esperienza di doversi scavare una via di fuga dopo esser stato seppellito "vivo". Questo ne ha segnato la psiche: l'ha reso caritatevole con i deboli, buono con gli oppressi, ma anche paranoico verso chiunque, diffidente verso il prossimo e particolarmente sensibile agli esperimenti, alle torture e a ogni genere di atto che può ricondursi sotto il tema del supplizio corporale. Vedere che questo orrore è parte anche del Re, non gli poteva far bene. Ora: probabilmente tutto questo discorso non vale a giustificare tanta emotività ugualmente, ma io sentivo di scriverla così. Ne accetterò ogni conseguenza. So anche che affrontare il Re in quella maniera probabilmente sarà l'ultima cosa che farò con tale pg, però si era detto di interpretare al meglio... e quindi...

Altra nota su un altro aspetto: durante il post Shakanè debole psicologicamente, ovvero per qualche attimo ascolta le voci da fuori senza pregiudizi o filtri "critici" alcuni, sopratutto per via del momento struggente. La voce di Kreisler, in questo contesto, gli arriva più chiara del solito e gli suona finalmente familiare: gli ricorda qualcosa o qualcuno del passato. Questo elemento è ignaro e non concordato con Bastard, l'ho messo come fonte di spunto per eventuali sviluppi futuri. Giusto così: posso poi svilupparlo o meno.

Foxy non me la sono dimenticata, ma non mi chiama direttamente e Shakan, in questo momento, a malapena sente Kreisler nonostante ne riconosca la voce e questi lo chiami per nome. E poi mi è parso di capire che l'imperatrice sia ancora un pò distante da noi due (mi è parso, ma potrei sbagliarmi).

Chiarimenti e quant'altro nel bando.

Per gli eventuali funerali di Shakan, la chiesa è già li. Il fatto che sia sconsacrata, poi, la rende particolarmente adatta alla funzione :sisi:

edit: corretto un errore


Edited by janz - 27/10/2010, 11:42
 
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Bastard de la Nuit
view post Posted on 27/10/2010, 15:46




Erano i momenti di maggiore Spannung a determinare nello Straniero un curioso modo di percepire e di pensare. In quel momento, passata quella forma di dolore empatico alla vista della creatura orribilmente sfigurata, i suoi immediati pensieri non erano rivolti alle azioni, alle creature in sé. Erano rivolti ai colori fini a sé stessi, portatori di significato alcuno. Ogni congettura, ogni pensiero si sfumava in un'alternanza di zone piene o vuote di pigmento. Chiaroscuri inani dell'anima come forma di evasione da una realtà che si vuole negare.
E dunque nella sera imminente il selciato che stava guardando con occhi vacui per orrore e forse anche per un po' di codardia era di un bianco malato di luce fioca. E su di esso risaltavano chiazze rosse di sangue che scivolava via da quelle membra martoriate di scritte nere -sì, ora le aveva viste, e leggeva in esse le stesse parole ripetute al parossismo in ogni dove, seppure non ancora con raccapriccio ma con il semplice stupore di un contrasto cromatico vivo agli occhi- che si dipanavano fino al volto, un volto giallo di cadavere, fiorito ancora di rosso dove il bordo della pelle s'intrideva nel sangue che si infilava nelle rughe sottili e andava a ristagnare nelle occhiaie, sulle palpebre tirate innaturalmente su occhi azzurri.
E rossi erano i segni che quelle mani lasciavano sul volto bianco del suo compagno vestito di nero -e no, non sapeva perché la creatura vi si stesse avvicinando, non si poneva neanche il problema nella contemplazione impressionistica di una scena che non sembrava neanche più appartenergli- e bianchi erano anche gli occhi di Shakan che all'improvviso lo guardava -perché, poi?- e bianco e rosso era l'insieme delle carni che si avvicinavano, come lo stemma araldico che gli balenò nella memoria -angelo bianco su fondo rosso... la casata degli Alastor di Lithien? E perché stava pensando a quello in quel momento?-

Un atto di forza fu ciò che lo riportò alla realtà. Il bianco e il rosso si allontanavano, e il bianco prendeva la forma di uno Shakan confuso, lordo di sangue, forse atterrito o forse pervaso da altra emozione più intima, e il rosso prendeva la forma della creatura, no, di tre creature adesso. Tutte scuoiate e grondanti sangue. Frasi diverse ne deturpavano ulteriormente i corpi. Frasi che parlavano di uccisione rancore invidia. Kreisler sussultò e fece un passo indietro, portando inconsciamente le mani alle spade. Arrestò il suo movimento non per un colore ma per una voce. La voce del padrone.

« Non sono in molti quelli che hanno il coraggio di spingersi fino alle porte di un villaggio fantasma. »

Il guerriero si raddrizzò, riscossosi definitivamente dal torpore autistico che ne ottundeva la mente poco prima, e guardò nella direzione da cui era provenuta quell'affermazione così pacata, eppure così perentoria. Bagnato dall'ultimo raggio del giorno, aureolato di quel pulviscolo che ci vogliono anni perché si accumuli e un istante perché si sollevi a vorticare in una danza ipnotica, Egli contemplava la scena. Erano mesi che la Corte non ne aveva notizia, mesi da quel ballo grottesco in cui ignoti attentarono alla sua vita. Re Demone in un regno di animali, quali sono i tuoi intenti?

« Benché ricordi certamente alcuni di voi, gradirei molto che abbiate la cortesia di presentarvi. Dopodiché, siete pregati di spiegarvi. »

Come a Porto Oscuro, le parole di quel poco più che ragazzo esplosero nella testa dello Straniero in un moto di puro timore reverenziale. Che fosse la stessa emanazione della sua regalità? Non seppe dirlo, concentrato come fu a chinare il capo in un gesto contegnoso per quanto gli era possibile. Ascoltò le parole esalanti rabbia del Fantasma frecciare velenose alla volta del Monarca, e si chiese se quella manifesta sincerità fosse un atto di coraggio piuttosto che di insubordinazione. Ascoltò e meditò dentro di sé quelle parole, cercando di dare una parvenza di logica a quella successione d'eventi che per puro caso l'aveva travolto nella breve durata di un inchino.
Era dal Ballo che il Re aveva fatto perdere le sue tracce alla Corte. Da quella macabra occasione mondana in cui aveva pubblicamente magnificato la perversione che l'aveva portato a catturare una creatura sofferente, un cadavere ancora costretto a sopportare ogni istante il dolore della sua morte e decomposizione. E ora faceva la sua comparsa in ciò che lui stesso definiva villaggio fantasma, circondato da corpi sanguinolenti ai suoi ordini.
Improvvisamente fu memore del breve discorso che il Sovrano aveva tenuto in quel salone delle feste. Ancora gli riecheggiavano nella testa quelle parole che allora gli erano parse prive di senso: Provate a immaginare di chiudere numerose, piccole creature in un solo barattolo e poi incantarlo, facendo in modo che quelle morenti divengano parte di quelle ancora in vita. L'ultimo sopravvissuto muterebbe in un demone che è conosciuto, in materia, col nome di Kodoku.
E appena ricordò le frasi pronunciate da Sua Maestà in quell'occasione -concetti oscenamente contro natura disvelati con la tranquillità di un cuoco che spiega una sua ricetta-, la consapevolezza lo fulminò tanto violentemente che emise un gemito somesso. Che Ray avesse deliberatamente scelto di sterminare l'intera popolazione di un villaggio dimenticato dal mondo solo per avere a sua disposizione un serbatoio di anime sufficiente alla sua sfrenata brama di potere? Che quelle creature fossero semplici mattoni su cui poggiare l'ambizioso progetto di costruire uno di quei demoni? Il corpo di un uomo, il volto di una donna. E viceversa. Non era forse un tentativo di sottolineare maggiormente la compresenza di anime nella stessa creatura? E ne aveva creati tre, non pago di generare sofferenze atroci in una sola. Tre ricettacoli di morte, invidia, disperazione... o tre creature ancora incomplete, viventi solo nella straziante attesa di essere incluse in progetto finale ben più misterioso e atroce?
Fermò la corsa della propria mente, già abbastanza spaventato dalle congetture a cui era giunto. Sollevò lentamente il capo per piantare i suoi occhi in quelli di Colui che prima riteneva un ragazzino viziato e capriccioso. E che ora sapeva essere un folle malato di delirio di onnipotenza. Occhi che esercitavano una pressione indicibile su di lui, occhi che lo inchiodavano con le ginocchia al suolo in un rinnovato inchino. Eppure rimase fermo, si costrinse a ristare in posizione eretta mentre rispondeva alla domanda che gli era stata rivolta con la voce meno tremante di cui era capace.

-Credo che sia vana pretesa immaginare che vi ricordiate il nome di tutti coloro che vi servono e che null'altro aspettano se non il vostro ritorno, Sire.

Deglutì per scacciare quella sensazione di groppo in gola che gli si era formata all'improvviso.

-Niente se non una coincidenza mi ha condotto qui. Kreisler è il mio nome, della casata di Valrafkan del perduto regno di Lithien. Ho giurato fedeltà al potere del Leviatano molte lune orsono in cerca di un Potere che solo grazie al vostro aiuto avrei potuto conquistare. Un potere in grado anche di far risorgere una città.

Si guardò attorno per meglio chiarire la sua allusione, accogliendo sul volto i refoli di brezza serale recanti l'ododre asettico della desolazione: desiderando il potere di annullare lo sterminio della gente della sua patria, si era messo nelle mani di una persona capace di perpetrare lo stesso crimine che aveva rovinato la sua vita.

-Quello stesso potere che ho visto nelle vostre mani a Porto Oscuro, Sire. Perché inseguite la grandezza in altre maniere se già potete vantare di dominare l'Asgradel?

L'aveva detto. Per quanto nel tono remissivo che un'educazione ferrea gli aveva insegnato a fare, aveva fatto al Re la domanda che forse la maggior parte del popolo del Regno si poneva sul suo governante, covandola dentro senza esternarla per paura di conoscerne la risposta. Finalmente gli occhi del Sovrano ebbero la peggio sui suoi: tornò a guardare nuovamente in basso quei lastroni di pietra che pavimentavano il sagrato, levigati da passi di uomini donne bambini che mai più li avrebbero calcati. E come a voler scacciar via l'imbarazzo mosse qualche passo verso il raccapricciante terzetto di creature a cui era stato tolto il sollievo della morte. Tese una mano verso di loro senza arrivare a toccarli: misto alla paura, un riserbo pudico lo trattenne dall'impulso di liberare il corpo femminile dalla presa degli altri due. E di nuovo parlò quasi in un bisbiglio rotto dall'emozione.

-Perché far soffrire altre persone? Io vi chiedo: che motivo ho più di continuare a pormi nelle vostre mani quando le vostre azioni mi fanno capire che l'Asgradel stesso non basta? Che senso ha più cercare?

Pensava fosse facile. Pensava che sarebbe bastato pronunciare un giuramento per essere coinvolto in una ricerca che presto o tardi avrebbe coronato i suoi sogni. Pensava che entrare nelle grazie del Re combattendo contro altri sudditi e inerpicandosi sulla Strada del Leviatano gli avrebbe aperto la strada per il mezzo che gli avrebbe permesso di compiere la sua vera missione, forse anche di congedarsi dal fardello del Nulla che gli opprimeva l'anima.
Ma la realtà, come stava scoprendo con sincero dolore, era ben diversa. Tornò a guardare gli occhi azzurri del cadavere: in essi ritrovò gli occhi di ogni persona morta a Lithien, a Porto Oscuro, in quel villaggio, e infine gli occhi di Ecatherine che si riaffacciavano dai vortici fumosi del suo passato chiedendogli ancora una volta di ritrovarla e di ridonarle una nuova possibilità di vivere, di amare. E all'improvviso non ne ebbe più paura. Distese finalmente la mano a toccare dita cremisi che stringevano braccia dello stesso colore, e delicatamente cercò di sollevarle. Nessuno di loro doveva sopprire più di quanto non fosse già costretto a fare.
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SPOILER (click to view)
[ReC: 300] [AeV: 350] [PeRF: 100] [PeRM: 250] [CAeM: 200]

Stato Fisico:
Illeso.

Stato Psichico:
Addolorato

Energia:
100%

Abilità passive in uso:
[...] Fuori dall'abitato di Malbork [...]
[Abilità passive dei livelli I, II e III del dominio Void Runner.]
[Abilità personale 1/5 [sblocco del terzo livello del dominio Passiva]

[...] Senza temere il Vento e la Vertigine [...]
[Abilità razziale degli Umani - Passiva]

[...] Guarda in basso dove l'Ombra si addensa [...]
[Pergamena "Favore delle Tenebre" - Passiva]

[...] Sul Tappeto di Foglie illuminate dalla Luna [...]
[Abilità personale 2/5: In termini di gioco, Kreisler sarà sempre a conoscenza di qualsiasi tecnica illusoria o psionica agente su di lui o sul campo circostante, pur non essendone protetto in alcun modo - Passiva]

[...] Intorno a una Fossa Vuota [...]
[Abilità personale 3/5: sblocco delle pergamene da guerriero - Passiva di metagame]

EVERYMAN (Artefatto)
-Maschera invisibile e intangibile, se non per chi la indossa.
-Sua unica e inimitabile virtù è quella di rendere il portatore "uno come un altro". Chiunque lo vedesse tenderà a non prestargli attenzione, anzi, ad evitare il contatto con lui e a dimenticare di averlo veduto. Solo cercandolo volutamente sarà possibile riconoscerlo e trovarlo.
Questo artefatto non modifica in alcun modo i tratti del volto, il suono della voce, o alcunché d'altro del portatore.[/size]

Abilità/Pergamene usate:
-

Armi:
Ham&Let (Separate) - Nei foderi.
Corazza - Indossata.
Everyman - Indossato.


Note:
Innanzitutto chiedo scusa a Foxy per non aver minimamente calcolato la sua pg nelle reazioni di Kreisler, ma purtroppo il post era già abbastanza complicato da fare così. Comunque avremo sicuramente modo di interagire in seguito, quindi ci rifaremo!
La prima parte del post si incentra sullo shock subito da Kreisler sommato all'effetto della passiva di condizionamento psicologico di Ray che, pur non avendo fatto ancora la sua comparsa, è vicino: tutte cose che portano Kreisler a un vero momento di dissociazione dalla realtà in cui ignora qualsiasi cosa non sia colore. La voce di Ray, aumentando la pressione psicologica, scioglie la situazione e fa tornare Kreisler lucido. Dunque si hanno le riflessioni di quest'ultimo sulla scomparsa del Re e su un probabile nesso col villaggio deserto. Ho trovato giusto citare qui testualmente le parole dette da Ray stesso nella scena L'Incubo, che dunque posso dare per elementi acquisiti nelle riflessioni di Kreisler. Spero di non aver fatto metagame nel farlo saltare alle conclusioni a cui è arrivato, dal momento che ho cercato di motivarle esclusivamente in-game.
Detto questo non posso che passare la palla e sperare che la lettura non sia pesante.
 
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Foxy's dream
view post Posted on 28/10/2010, 17:07




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Negli occhi della nera paladina si dipinse un velato ribrezzo nel momento in cui indugiarono sull’orrida figura della donna, per quanto donna potesse ancora essere in seguito a tutte le torture e ai patimenti che ella avea dovuto soffrire in vita, sebbene quella era definibile in qualsiasi altro modo fuorché vita.
Ma ancor più agghiacciante era il modo con cui si muoveva e comportava, innocente come una fanciulla, oltremodo curiosa di scoprire il mondo. Quel luogo tanto abietto che accoglieva sulle sue scheletriche spoglie gli uomini, gli stessi esseri che si erano spinti al di là della proibita soglia del buonsenso, gli stessi esseri capaci delle azioni più turpi e spregevoli, gli stessi esseri autori della sua inumana condizione.
La mano destra si sciolse lentamente dalla presa sulle redini dell’animale per finire penzoloni lungo il fianco, senza una reazione accennata o energica che fosse, attonita innanzi all’osceno spettacolo che le si parava.

Tutto era immoto ai suoi occhi, come se ogni secondo protraesse le sue dita eteree in direzione dell’infinito ma senza mai raggiungerlo, come se la sua percezione di tempo e spazio si allontanasse pericolosamente da quel che è possibile definire reale in tutte le sue sfumature di colore.
Realtà. Era forse quell’insolita parola dai molteplici significati a barbicarla in un luogo che non sentiva suo? Che avvertiva come un nemico, un pericolo, una minaccia alla propria persona, al proprio io interiore che desiderava solamente fuggire via lontano, via da tutto e tutti, abbandonando quella stupida vendetta frutto solo del suo orgoglio, la medesima superbia che l’aveva spinta a compiere scelte delle quali si pentiva amaramente.
Chinò il capo sorprendendosi di quanto poco fosse cambiata dal fatale incontro nel ventre della follia, alle porte del nulla, no! Raccolse ogni stilla di passato e le modellò con cura, affinandone i contorni come nella più splendida opera d’arte che la creatività umana potesse elargire al mondo fino a tramutarle in forza e coraggio, le stesse emozioni che le erano sempre mancate ma che ora, tra le mille e più vicissitudini di una vita intera si presentavano a darle sostegno.
Erse lo sguardo sulla scena che era in atto avanti a lei. Ascoltava, mentre il corpo prendeva lentamente a risponderle, a farsi sentire vivo, sì!

-Io vivo!-


Osservava. Senza più ribrezzo nelle iridi, marcate malamente da un dolore passato, la tetra rappresentazione, spettatrice e nulla di più come nella sua smania più profonda o nella fantasia più dolce. Quella di lasciarsi vivere, senza prendere decisioni, lasciandosi cullare dai flutti di un oceano di eventi, senza assumersi la responsabilità delle proprie iniziative, sciocche o ponderate che fossero, arrendendosi a tutto indistintamente.

Fu piacevole, ma quel diletto durò poco, troppo poco per poter essere goduto nella sua interezza; tutto a causa dell’essere scarnificato dalle vaghe parvenze femminili, che prese ad agitarsi in direzione dell’uomo più prossimo a lei, prima scrutando il suo volto con fare quasi ossessivo, per poi passare le dita sulla sua cute diafana e oltremodo cinerea rigandola di rosso carminio, il color del sangue, denso e viscoso.

-Non ti serbo rancore.-

-Ciò che mi hai fatto ti ha condotto alla gloria; non avresti potuto comportarti altrimenti.-

-Non ti serbo rancore: ciò che mi hai fatto ti ha condotto alla gloria; non avresti potuto comportarti altrimenti.-

-Non ti serbo r a n c o r e: ciò che mi hai fatto ti ha condotto alla gloria; nonavrestipotutocomportartialtrimenti.-


Quelle parole inconsulte saettavano nell’etere scosse dai fremiti dell’incomprensione, e la stessa aria rinnegò quel turpiloquio di sensazioni che parvero concretizzarsi in gravoso silenzio.
Pesava. Ogni parola di quell’essere pesava al pari d’un macigno, e ne pronunciò tante, sempre le stesse, come un lattante il quale non fa altro che ripetere e ripetere le medesime parole fino a perderne il significato, ammesso che ne fosse a conoscenza.
L’avventata azione dell’essere fu tutto men che prevedibile. Si accanì sullo stesso uomo quasi assaltandolo, ma le sorprese lungevano dal voler volgere al termine, sì! Altri due esseri non dissimili la afferrarono prontamente per le braccia strappandola a quella sua intenzione tanto innocente quanto eretta su basi di follia e depravazione.

-Non hai motivo di esistere…
Perché sei al mondo?-


Cosa sta accadendo?
Cosa sta accadendo?
Cosa diavolo sta accadendo?


Tutto lentamente venne a galla come la più sciocca delle verità o la più rude delle realtà. Fu come strappare via quel lenzuolo opalescente per mettere a nudo una verità quantomeno inaspettata, una sorpresa dai risvolti potenzialmente positivi.
E un uomo fece la sua comparsa dal decadente portone in legno della cappella. Solo ora se ne avvide, solo ora si accorse di quel che le era attorno, catturata e perversamente affascinata dalle tre creature sanguinolente.
Quest’ultimo tuonò subito e improvviso moniti di guardia, di chi tanto ferocemente facesse uso di una lingua tagliente e biforcuta come quella d’una serpe per difendere il proprio territorio, quella che si considera casa, la stessa che Alexandra non ebbe mai sebbene l’intero suo regno ne poteva costituire la sua personale e regale dimora. Ma voltò subito pagina, e quel rombo sì imprevisto mutò presto in una domanda, una delle più semplici, delle più banali: il loro nome e il motivo per il quale si erano inoltrati nel cuore di una selva così impervia e costernata da insidie e pericoli di ogni genere.

-Chi sei Alexandra?
E che cosa ci fai qui?-


L’arco delle sopracciglia le si accentuò, una naturale reazione che enfatizzò l’espressione stranita e frastornata che le calò in viso in seguito ad una serie di circostanze susseguitesi fin troppo velocemente.
Quelle domande intanto aleggiavano sospese per aria, vittime dei capricci di una fresca brezza primaverile. Poté quasi vederle. Le parve di sfiorarne l’impalpabile inchiostro con cui erano state articolate. Quali risposte dare a quelle domande se nemmeno lei riusciva a formularne una che rispecchiasse almeno in parte la sua attuale condizione?

Tacque. Pensierosa. Irritata. Si costrinse ad ascoltare e nulla di più, ma quanto ebbe modo di udire furono le parole che la sollevarono da quella domanda, spronandola, come in un bisogno impellente di affermarsi, di ergersi a protagonista di quell’assurda situazione in cui contava meno di niente, in cui le sue parole precipitavano rovinosamente nella fetida voragine della noncuranza.

I due sconosciuti lo riconobbero come il sovrano, presentandosi come era giusto che fosse innanzi a un personaggio di così alto lignaggio. Ma a quella presentazione tanto ossequiosa seguirono dei lamenti astrusi, dei gemiti di insofferenza che vedevano come oggetto di pietà e misericordia le tre oscenità ora non molto distanti. Lo incolpavano, lo additavano con tono sconcertato di aver dato vita a quelle mostruosità con la stolta cognizione di causa di essere gli unici che sarebbe stato possibile definire vivi in quel villaggio ai confini del conosciuto.

Digrignò i denti come a trattenere un’ira incontenibile. Non sopportava quei piagnucolii, non sopportava quei guaiti tremolanti, no! Le ricordavano troppo quel che era, le portavano alla memoria frangenti di vita passata archiviati e sepolti in qualche antro della dimenticanza.
Negava. Negava la loro esistenza, si rifiutava di riportarli in superficie. Con quanta più forza le fu possibile le immerse nuovamente nel gorgo della memoria, lasciando che precipitassero nuovamente nell’oblio così come erano riaffiorati.

La destra prese a tremare, non di paura, non di dolore, ma di brutale veemenza, la stessa che stava per abbattersi contro il primo che le fosse capitato a tiro. Presto la mitena fu avviluppata da fiamme color pece risplendendo di cupa luminescenza.

« Basta! »


Urlò in un moto di stizza che la vide imporsi su quel mucchio di scemenze. Lemma accompagnato da un gesto rapido e dissoluto in direzione dei tre abomini, atto che non rimase fine a sé stesso, ma che osò realizzarsi in una lingua di fiamme di incredibile volume e intensità.
Ma non degnò di uno sguardo l’obiettivo del suo attacco tanto istintivo da poter essere considerato persino naturale, no! I suoi occhi erano tutti per quello che chiamavano re, che bollenti e carichi d’emozione e sentimento si apprestavano a chiarire ogni dubbio e a sollecitare reazioni quantomeno inattese.

« Basta con queste idiozie.
Basta con questi indegni guaiti da bestia maltrattata.
Basta con queste ebeti domande. »


Esordì con un tono imperioso, quasi fosse una sfida alle domande oltremodo sciocche degli altri due, così inquietati dall’oscena visione che non ebbero modo di reagire, di ribellarsi a quella condizione di inettitudine, se non balbettando parole dal dubbio significato.

« Ci hai chiesto il nostro nome e cosa ci facciamo qui, non è forse così?
Bene! Il mio nome è Lady Alexandra, altro non ti è dato sapere.
Sono qui per mio conto, e se siete voi il re di cui tutti quanti parlano ho delle domande da porvi riguardo a quanto accadde alcuni anni or sono. »


Aggiunse poco dopo con tono più pacato e tranquillo, come se il lato aristocratico della regina che fu un tempo avesse sostituito d’un tratto la furente guerriera che era adesso, palesando in due semplici passaggi i due estremi del suo prisma introspettivo, della sua anima combattuta, quel frangente interiore dove coesistevano presente e passato, in eterna lotta e a caccia del predominio sull’altro.



SPOILER (click to view)
CITAZIONE
Energia: 150% - 20% = 130%
Stato psicologico: Decisa ad affermare la propria volontà
Condizioni fisiche: Illesa

ReC: 225
AeV: 200
PeRf: 225
PeRm: 300
CaeM: 200


Abilità attive in uso:

• Queen's Flame § (Abilità personale attiva)

Questa abilità sfrutta lo stesso elemento del Dominio, ovvero il fuoco nero. Squarciando l’aria con la propria arma, mediante un rapido e dissoluto gesto, la paladina sarà in grado di scatenare una lunga onda di elemento, che si infrangerà su tutti i corpi e gli ostacoli che incontrerà nella sua direzione. La forma di tale onda sarà estremamente variabile, tutto in funzione del movimento compiuto con l'arma per crearla. Se ad esempio disegnerà un semicerchio nell'aria l'onda assumerà la forma di una mezzaluna, mentre se sferrerà un fendente ascendente bloccandolo a mezz'aria l'onda assumerà una forma serpentoide che si protrarrà in avanti investendo qualunque ostacolo nella sua traiettoria.
In relazione alla potenza dell'onda scatenata, lo sforzo compiuto nel crearla sarà più o meno intenso, determinando appunto un consumo variabile in energie dell'abilità in questione.

Consumo di energie: Variabile




Abilità passive in uso:

• Queen's flaming Sword I § (Effetto passivo del Dominio, primo livello)

La spada in possesso di Alexandra presenta sul piatto della lama un incantamento runico di colore rosso carminio ben visibile all’occhio. La bastarda potrà, in qualsiasi momento, innescare i poteri del dominio, e grazie all'incanto, essa risulterà impossibile da distruggere nonostante gli attacchi che le potrebbero venir mossi.

• Queen's flaming Sword II § (Effetto passivo del Dominio, secondo livello)

Le mitene in possesso di Alexandra presentano nel palmo un incantamento runico del tutto simile a quello della spada bastarda. Quest’arma quindi, potrà, in qualsiasi momento, innescare i poteri del Dominio. Grazie all'incanto, inoltre, risulteranno sempre affilatissime e incapaci in alcun modo di perdere le proprie capacità offensive, oltre che indistruttibili.

• Queen's Will § (Effetto passivo dell'abilità razziale)

Alexandra punta gran parte delle proprie capacità sulla magia. Avendo così affinato il potere magico insito in lei, raggiunto il 10% delle energie infatti non sverrà. Ciò però non significa che non sarà stanca raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%.

• Queen's Sway § (Abilità personale passiva)

Il dominio di Alexandra sul suo corpo le permette di scagliare attacchi magici e fisici senza alcun tempo di concentrazione. Ciò permette un notevole vantaggio tattico e tecnico alla paladina, che racchiude in sè le proprietà di maga e guerriera allo stesso tempo.


Note:

Bene e benvenuti in questo post al cui seguito, probabilmente, verrò one-shottata da tutti e tre contemporaneamente. Ma ehi! Lo scopo è divertirsi giusto?

Detto questo, passiamo pure ai fatti:
purtroppo io non ho nulla a che vedere con il Toryu e con le scene passate dell'Abiezione, per cui ho dovuto interpretare tutto sotto il punto di vista di chi si appresta, solo adesso, a scoprire qualcosa man mano che queste storie vengono a galla. Ma sebbene possano interessare a me come player, poco o nulla importano ad Ale, in quanto pg abbastanza egocentrica e schizzinosa, nonché talvolta istintiva e purtroppo imbecille. (Essì! Io sono la prima a considerarla in questo modo. :asd:)
Valutando il suo lato introspettivo, a cui potremmo anche aggiungere la totale inosservanza degli altri nei suoi confronti, penso che il lanciare una fiammata di fuoco nero a livello Alto sia il metodo più semplice per mettermi in luce e per farmi ammazzare prima del previsto.
Non so' se le fiamme vadano a segno o meno, tanto che lo sguardo di Ale è tutto per il re, dopodiché Ale si introduce nel discorso prima con degli insulti ai pg di janz e Bastard, e poi rivolgendosi al principale interessato con una domanda alla quale sarà libero di rispondere o meno, e/o nel modo che meglio preferisce -perchè c'è chi può e chi non può... lui può! [cit.]-

Penso sia abbastanza chiaro come post, ma nel caso in cui ci dovessero essere dubbi o incomprensioni: bando o mp. :8):
 
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view post Posted on 28/10/2010, 18:35
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L'orrido, il nauseante, il macabro e affini sono sentimenti atavici, che restano incollati al cuore degli uomini con una camicia di due taglie più stretta. In quanto tali, non esiste uomo che non sussulti innanzi allo sguardo spento di un corpo morto, né persona che non condivida una viscerale empatia con un malato epidemico. Proprio come una camicia di due taglie più stretta, tuttavia, esiste chi è più abituato a indossarla e chi meno; chi si sente mancare l'aria e chi invece riesce a farci poco caso.
Esiste chi conosce l'odore e l'aspetto di un cadavere, gli è familiare e lo considera parte integrante del suo continuum e chi invece l'ha incontrato solo in ricordi lontani, o non l'ha incocciato affatto.
Così, benché Ray non avesse mosso un singolo muscolo innanzi ai tre corpi lambiti dalle fiamme picee evocate dalla donna, ciò non significava certo che, nel profondo del suo cuore, egli non pensasse che fosse una scena orribile a vedersi.

image

Persino chiudendo le palpebre, il crepitio delle fiamme evocava immagini troppo orribili per poter essere ignorato. I tre corpi lamentarsi senza voce nel fuoco, annerendosi sempre più e ricoprendosi di cenere, lasciando che le carni si consumassero, incapaci di trovare la forza necessaria a spostarsi. Come foglie secche gettate nel camino, i tre si sarebbero consumati accartocciandosi su di sé, inginocchiandosi in terra e abbandonandosi a un dolore troppo grande perché ne fosse concepibile una via d'uscita.
poor things

Prima di proferir parola, attese che i corpi cessarono di muoversi, in rispettoso silenzio. Poi allungò una mano nella direzione di Alexandra, il palmo rivolto verso l'alto.

« Finalmente un po' di buon senso. »

Si espresse con voce ferma e glaciale, complimentandosi inconcepibilmente con la donna per la sua arroganza. Lasciò che dalle sue labbra fuoriuscisse miele, mentre il suo sguardo pareva gelato nel tempo.

« Dovreste prendere esempio da lei, voi due; questo, benché persino io non possa che trovare incredibilmente crudele estirpare così tante vite solamente per imporre un certo tono di voce. Poco elegante, indubbio. »

Spostò brevemente le proprie dita alla volta dei tre cadaveri carbonizzati, nell'intento di catalizzare l'attenzione dei tre interlocutori su un particolare prim passato inosservato.
Il ventre della donna si era gonfiato improvvisamente e, dopo qualche secondo, aperto dall'interno. Fra le ceneri della madre, ora, stavano i corpi di due feti di piccole dimensioni, i visi contratti dal dolore e i corpi ingrigiti dalle ceneri, inevitabilmente privi di vita. I piccoli parevano stringersi l'un l'altro accoccolati su sé stessi, ancora troppo miseri per poter dare forma alla pancia gonfia di una donna in cinta, ma inconcepibilmente già formati alla perfezione. Studiandolo più nei dettagli, di loro si notavano alcuni particolari inconsueti, come un accenno di corna o scapole troppo pronunciate.

« Non tanto diseducato quanto alzare le armi contro di me alla prima occasione, invero. »

Continuò, spostando lo sguardo sugli artigli di Shakan, impugnati prontamente nella sua mano portante.

« Riponete i vostri ferri e forse sarò più propenso a rispondere ai vostri quesiti, benché voi non abbiate conseguito questa stessa gentilezza con il mio. »

Troppo sconvolti per farlo. Sconvolti per cosa, poi?
che forse le tre figure avessero turbato e scombussolato i loro ricordi?
era lo stesso per lui, ma non s'era certo permesso di attaccarli, benché ne fosse stato tentato.

Anche se solo per un istante, finì con lo studiarli a lungo. Kreisler e Shakan non gli erano nuovi e l'affermazione del primo riguardante la sua memoria non poté che strappargli un sincero sorriso di divertimento, all'idea che non vi fosse sensazione più plebea, per lui, di quella del ricordare.
Due sudditi che riuscivano ad innalzarsi poco più su della feccia che abitava il borgo, ma che non avevano ancora raggiunto le vette che altri si erano faticosamente impegnati a scalare. Due sudditi sconvolti per il comportamento del proprio sovrano, incapaci di darvi una spiegazione.
Poi, in mezzo a loro, uno scintillante faro di splendore. Una perla di arroganza e regalità, che splendette per qualche istante negli occhi del sovrano, col nome di "Alexandra". Un gatto sinuoso e indipendente in un branco di cani randagi.
Ma per quanto splendenti, evanescenti o sentimentalmente coinvolti, loro non erano altro che un disturbo; una nota dissonante di una melodia perfetta; un filo pendente da un arazzo magnifico. Un ingombrante intoppo, che aveva visto già più di quanto sarebbe stato permesso loro di vedere.

« Pretendete di conoscere accadimenti dei quali non vi è dato sapere; vi spingete tanto in la da non sapere se sarete in grado di tornare indietro. »

Enunciò il Sovrano con voce flemmatica, seppur sottointendendo un tono di velata minaccia.

« ...e io potrei mentirvi. Potrei dirvi che - come ben sapete - non possiedo le conoscenze necessarie a generare tre abomini come quelli dei quali Lady Alexandra si è liberata per conto nostro. Potrei dirvi che è stato lo stesso Asgradel a spingermi alla creazione di un Kodoku, poiché gli è necessario. Potrei dirvi che non so nulla delle vostre altre eventuali domande... »
improvvisamente cambiò tono, lasciando che le parole seguenti si scaldassero e colorassero di una fida convinzione
« ...e voi non potreste che credermi. »
inappellabile.

« ...ma non lo farò. Se intenderete collaborare con me, esaudirò ogni vostra richiesta. La domanda è: »
e si premurò bene dallo specificare per cosa avrebbero dovuto collaborare
« quanto a fondo siete disposti a scendere pur di conoscere la verità? »


CITAZIONE
Innanzitutto, mi scuso per la qualità sottotono del post ma, purtroppo, sto preparando le valigie per Lucca e non ho potuto dedicarci il tempo che avrei voluto.
Detto questo, non ho molto da aggiungere a quanto detto nel testo stesso. Per quanto riguarda la frase in corsivo pronunciata da Ray, essa è imbevuta dell'ammaliamento psionico sottostante:

CITAZIONE
terza memoria: "raison d'etre"
Ben presto gli fu chiaro il suo scopo; ciò che avrebbe dovuto compiere e come - il modus operandi. L'aveva capito in poco tempo, e in ancora meno aveva iniziato a sfruttare il concetto a suo favore e desiderio: gli uomini sono manipolabili. Uomini, elfi, orchi... persino gli avatar: ognuno di essi poteva essere ridotto a nulla più che una misera pedina sulla scacchiera del suo gioco. Ciascuno con i propri ideali, sogni ed obiettivi - tutti facilmente corruttibili e mutabili in ciò che lui avrebbe desiderato. Per ottenere il controllo non gli si chiedeva nulla più che ingannare le altre persone, tormentarle e mentire loro: compiti i quali non gli causavano alcun rimorso, né tanto meno pena alcuna. Machiavelli aveva sostenuto: "Ma la poca prudenza degli uomini comincia una cosa che, per sapera allora di buono, non si accorge del veleno che vi è sotto." e mai enunciato fu più vero, poiché non esiste uomo che non desideri lasciarsi illudere, soggiogare e controllare. Gli spiriti liberi non sono altro che chimere, gentaglia che non ha saputo convivere con l'idea di un pacifico controllo - solo di nome, inteso come libertà individuale e arbitrio concordabile - da parte di qualcuno di superiore, pestando i piedi in terra come bambini: giacché sottostanno immancabilmente alle leggi della natura, non v'è ragione perché non obbediscano anche a quelle della calamità conosciuta come il Re che non perde mai. Comunque, in breve le persone iniziarono ad affidarsi maggiormente a lui; la loro abnegazione divenne più forte e tutti coloro che disponevano di un minimo di coscienza decisero persino di giurare lui fedeltà (poiché sapevano che solo coloro che sarebbero stati nelle sue grazie sarebbero sopravvissuti; lui gliel'aveva promesso). Le sue vittorie conseguenti lo resero più credibile, e il fenomeno acquisì in breve un carattere esponenziale - non esiste verbo, ora, che non suoni immancabilmente ragionevole, logico e vero se proferito dalle labbra del sovrano; sono poche le persone che, ascoltandolo parlare, non finiscano col credergli { ammaliamento passivo - psionico }.

Turni liberi, potete agire come meglio credete, cinque giorni di tempo.

 
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view post Posted on 31/10/2010, 00:08
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Bottiglia Verde - Santa Madre Nuova
Tramonto



A
rso. Preda di indomabile collera per quanto di più turpe e violento mi ero immaginato sulle carni di quei tre esseri rivoltanti, sui loro volti inchiodati, sulle loro membra scarnificate, mancai della giusta misura. Mancai il momento opportuno per frenare la lingua. Sparlai con eccessiva veemenza in direzione del Re, senza conoscer nulla, senza sapere niente, passando oltre educazione e raziocinio. Senza voltarmi indietro. E quando presi lucidamente coscienza di quell’inopportuno susseguirsi di calunnie, era già troppo tardi.
Avrei dovuto controllare certe emozioni. Avevo innanzi un uomo potente, un uomo la cui notorietà risolveva i conflitti prim’ancora che potesse farlo la sua stessa spada. Un uomo che avrebbe potuto distruggermi per semplice capriccio. Un uomo che avrebbe potuto stroncare sul nascere ogni mia speranza di redenzione. Controllarsi sarebbe stato il minimo.
Ed in quel momento fatale, in quel minuto sacrificato all’impulsiva idiozia, fu confortante ascoltare le congetture più accorte di Kresiler, eppur egualmente perplesse, in direzione del suo Sovrano. Un’insolita alleanza si figurò nella mia mente, come probabilmente – invece – non si sarebbe mai figurata nella mente dello Straniero: d’altronde non ci conoscevamo affatto. D’altronde, sapevamo molto poco l’uno dell’altro. D’altronde, a parte la condivisione delle origini, quello Straniero era poco più che uno
S c o n o s c i u t o, ancora. Eppure qualcosa l’avevo percepita: una sottesa familiarità della voce, finanche degli sguardi. Una certa confidenza d’intenti, derivata da ricordi antichi, da ricordi sepolti sotto una fitta coltre di rimpianti: un q u a l c o s a che me l’aveva fatto percepire come un’anima amica, un’anima confidente.
Qualunque cosa fosse, non la decifrai subito: decifrai, piuttosto, il suo fare inquieto, meno del mio – per certo – ma più di quello dello stesso Re. Anch’egli, probabilmente, era addivenuto ad uno stato di turbata perplessità nel vedere lo scempio di quei corpi, nell’immaginare i turpi artifici di chi ne fosse stato l’autore: e, soprattutto, nell’ipotizzare che questo potesse essere lo stesso Sovrano. Quel Re al quale anche lui era legato da un eterno patto di fiducia che, nella guerra, aveva dimostrato di onorare molto più di quanto avessi fatto io. Un patto che per lo Straniero m’era parso rappresentasse sincera e immacolata
s p e r a n z a, mentre per me erano soltanto parole, ancora... Eppure quel patto mi parve vacillare alle parole di Kreisler: sensazione che, inevitabilmente, per qualche attimo mi fece sentire...


...
m e n o s o l o.



A
rso. Bruciato da indomabile collera, mai avrei immaginato quanto il susseguirsi di eventi avrebbe portato questa sensazione ad assumere un più consono senso figurato. Infatti, intriso di teso rapimento verso le creature e verso il Re, feci l’errore di perdere di vista le principali accortezze di un assassino silente. Violai una delle leggi più importanti: non perdere mai il controllo dell’ambiente. Ovvero, aver sentore di qualunque variazione nella prospettiva del campo di battaglia. Ovvero, star sempre attento a chi ti circonda. Ovvero, cercare sempre di
p a r a r s i i l c u l o.
Dimenticai, per un frangente. E l’errore lo realizzai solo successivamente, quando si manifestò in tutta la sua dirompenza.
Un passo nel terriccio, un rumore lesto, ma quasi impercettibile, e troppo tardi fu quando realizzai che oltre a noi, al Re e alle creature, qualcun’altro cedeva il passo allo sdegno, quel giorno. Quando davvero lo realizzai, però, il rumore dei passi era già cessato, per far posto ad un ben più noto crepitio caotico, raccapricciante.


« Basta! »



U
n’altra voce urlò, tuonando il proprio disappunto in direzione mia e dei presenti. Quel che fu più evidente, però, è che badò bene di sottolineare il proprio sconcerto con un’azione ben più teatrale, oltre che crudele. Fiamme nere esplosero in direzione delle tre creature scarnificate, consumandole ulteriormente nel dolore, avviluppandole lentamente, ma inesorabilmente: le vidi spalancare le fauci, alzarle al cielo in un urlo muto di dolore profondo, mentre le membra interne divenivano nere pian piano, nere come le fiamme, e poi sparivano nel cuore dell’oscuro bruciore.
Arsi. Arsi vivi – o quasi: arsi come legna da caminetto. Arsi senza una ragione vera e propria: quel gesto infame fu l’ultimo atto di una vita ingenerosa per le tre creature. Colpevoli soltanto di aver incrociato incoscienti aguzzini – tra cui, forse, anche il sottoscritto – nel loro destino sfortunato. Perirono definitivamente in quell’ultimo impulso ormonale, per il sol fatto che qualcuno, quel giorno, aveva sentito la necessità di porre fine ad uno spettacolo indecente al proprio gusto: per la semplice ragione che tanto odio fosse, alla vista, semplicemente inopportuno.
Ancora inconsapevole di chi potesse essersi macchiato di un tale crimine, lessi nel Re il solito sguardo gelido ed imperscrutabile, mentre mi parve evidente trattenesse il fiato dal seguitare oltre nel discorso, dal rispondere alle mie invettive e alle domande dallo Straniero: per rispetto, o presunzione, attendeva che quelle creature venissero consumate del tutto, prima di spostare, ancor una volta, l’attenzione su di se.
Ma, per quel frangente, il Re perse importanza. Sentii altro fiato giungere dalle mie spalle: altre parole ormai senza senso. Sproloqui e frasi insulse: niente che potesse giustificare tutto questo. Niente che potesse placare l’ulteriore ira. Mi parve solo di riconoscere – in quel tono femmineo – un nome preciso:

L a d y A l e x a n d r a

.
Voltai lo sguardo con occhi truci, ricolmi di indignazione. Chi aveva potuto sacrificare le inermi creature all’altare della propria gloria? Chi aveva potuto consumarle nelle nere fiamme, per il solo desiderio di sottolineare il proprio disappunto?
Vidi una donna dai capelli biondi, protetta in un’armatura nera. Un visino magro ed un tono da bimba viziata. Non riuscii a fare a meno di pensare che quella femmina, ormai, non meritasse altro che lo stesso trattamento imposto ai cadaveri: torture e fiamme comprese.


<< Che ti passa per la testa... S T R O N Z A...?! >>



I
nveii contro la sgualdrina bardata di oscuro, come un despota infuriato che condanna il peggiore dei suoi nemici. E non ci sarebbe stato prezzo o giustizia che mi avrebbe levato dalla testa l’idea che quell’essere meritasse qualunque supplizio sarei stato in grado di infliggerle: perché se c’era qualcosa di più turpe del semplice torturare le anime dei più deboli, era farlo per il gusto di sentirsi importanti.
Sentii la rabbia montare: come un fiume in piena che ormai pareva aver rotto qualunque argine, straripai di rabbia in ogni dove e realizzai ben presto che ogni possibilità di riguadagnare la calma si era dissolta nel fuoco di quelle nere fiamme. Così, almeno, credevo.


« Finalmente un po' di buon senso. »



A
frenarmi, invero, furono proprio le parole del Sovrano, cui poco prima avevo riservato cupe invettive. In uno slancio di rinnovata e ancor più inspiegabile pacata risolutezza, laddove, invero, mi sarei aspettato non più parole, ma dolorose ritorsioni, anche per il sol fatto di averne messo in discussione l’integerrima fama, il Re parve voler riportare tutto al principio. Alla sua domanda e alle sue assurde – in quel momento – ma educate richieste: ovvero, spiegazioni. Le stesse spiegazioni che io non avevo dato: o che avevo finto di dare tra un insulto e l’altro, spacciandole per sufficienti. Tutt’altro: non mi sarei convinto nemmeno io stesso del perché fossi capitato in quel remoto angolo di disumanità, se avessi dovuto dar conto alle mie sole frasi. Ed al Re, evidentemente, importava solo quello. Nonostante quell’incontestabile affronto. Nonostante le fiamme, nonostante il gesto avventato della donna, celandosi dietro l’ormai solita espressione di freddo distacco, al Re pareva importare solo delle sue educate richieste. Eppure nessun gerarca con un minimo di amor proprio non avrebbe potuto non considerarlo come un
i m p e r d o n a b i l e a f f r o n t o. Infondo il calore di quelle fiamme aveva raggiunto anche lui: infondo non avrei mai e poi mai potuto credere che quel gesto ingiustificato, su quelle povere creature – che fossero, o meno, artifici della sua mente– fosse realmente passato agli occhi del Re con quella tiepida indifferenza che aveva a noi rifilato.

« Dovreste prendere esempio da lei, voi due; questo, benché persino io non possa che trovare incredibilmente crudele estirpare così tante vite solamente per imporre un certo tono di voce. Poco elegante, indubbio. »



U
n gesto
c r u d e l e: dunque anche il Sovrano aveva qualche ricordo del significato di tale parola. Quel gesto assurdo non era del tutto passato oltre la nostra sfrontata maleducazione. Non era passato oltre quelle vite spezzate, anche a fronte di quanto egli conosceva, o voleva dar impressione di scoprire con noi in quel momento. Le sue mani, infatti, indicarono il ventre della donna, dilaniato dalle fiamme: squarciato dalla morte. E, all’interno di questo, qualcosa vi dimorava: due esseri, due corpicini inermi avviluppati l’un l’altro, dalle forme lievemente bizzarre ed inconsuete. Due piccole creature vittima della furia di altri: di una furia di cui non avevano colpa alcuna. Ecco a cosa si riferiva il Re, parlando delle vite. Ed ecco un altro tassello del mosaico: qualcosa che non avrebbe dovuto far altro che aumentare il mio sdegno.
Eppur, non lo fece. Quel ritorno all’origine, quella reminiscenza improvvisa di educata accortezza, mi risvegliò come d’incanto dallo stato di furia ipnotica in cui ero caduto. Avevo perso il controllo contro il Sovrano: e non avrei ottenuto nulla di più che una fine prematura. Infondo, tutte le conclusioni si fanno alla fine: le vendette si servono fredde e il vincitore è semplicemente colui che sa
a s p e t t a r e. Luoghi comuni di cui, però, avevo fatto la mia legge. Una legge che per qualche frazione di tempo avevo dimenticato.
Ecco la scaltrezza di quel Sovrano: l’abilità che avrebbe potuto aiutarmi a capire, a redimermi infine. Ecco il potere di cui avevo
b i s o g n o. Non dei suoi esperimenti: non del suo buon senso o del suo amore paterno. Avevo bisogno delle sue c a p a c i t à, prim’ancora che delle sue intenzioni.

« Non tanto diseducato quanto alzare le armi contro di me alla prima occasione, invero. Riponete i vostri ferri e forse sarò più propenso a rispondere ai vostri quesiti, benché voi non abbiate conseguito questa stessa gentilezza con il mio. »



P
er certo, dopo tali considerazioni, non potevo dargli torto. Come un lampo improvviso, mi sovvenne alla mente la soluzione. Nelle grazie di quel potere non si sarebbe mai passato per la via segnata dai miei artigli. Mai e poi mai: una strada in salita. Una strada in verticale: una via impari. Nelle grazie di quel potere – di quel Re – si passava per la cortesia: per l’astuzia, per un’ipotetica condivisione d’intenti. D’altronde, poi, avevo mancato di dargli possibilità alcuna di spiegare, giudicando prim’ancora di conoscere. Come era successo a me, anni prima. Molti mi giudicarono, senza sapere.
Possibile che dopo anni, ripetevo io stesso quell’errore? Che ne sapevo io, d’altronde, delle intenzioni del Re? Della sua vita – del suo potere – del suo passato. Cosa mi poneva nella posizione di poter giudicare lui, senza prima giudicare me stesso?


« Pretendete di conoscere accadimenti dei quali non vi è dato sapere; vi spingete tanto in la da non sapere se sarete in grado di tornare indietro... e io potrei mentirvi. Potrei dirvi che - come ben sapete - non possiedo le conoscenze necessarie a generare tre abomini come quelli dei quali Lady Alexandra si è liberata per conto nostro. Potrei dirvi che è stato lo stesso Asgradel a spingermi alla creazione di un Kodoku, poiché gli è necessario. Potrei dirvi che non so nulla delle vostre altre eventuali domande... »



E
ra scaltro il Re, ancora una volta di più ne ebbi la riprova. Alla fine girò il verso del discorso di modo da farci figurare la banalità dell’evidenza: le nostre accuse non avevano prove, né avevano futuro. La rabbia ed il rimorso di voler ottenere giustizia per qualcosa che nemmeno si conosce, non ci avrebbe portato a nulla: se non ad altre grane. La possibilità di giudicare è un lusso consentito a pochi: è un lusso consentito soltanto a chi ha il quadro completo. E noi, tanto bramosi di giudizio, saremmo caduti altrettanto in fretta. Il Re avrebbe potuto raccontarci qualunque panzana...


« ...e voi non potreste che credermi. »



...e noi non avremmo mai e poi mai potuta contestarla. Non avremmo avuto elementi per farlo, senza il quadro completo. Né interlocutori disposti ad ascoltarci. E forse aveva ragione lui.
Forse. Oppure, no. Non riuscii ad intendere, per vero, ma mi sembrò quasi che quelle sue parole, così convincenti e chiare, in un primo momento, arrivassero tanto dirette alla mia mente da sembrare, infine, naturalmente e inevitabilmente
a n o m a l e. E nel momento stesso in cui parevano avermi convinto, mi ritrovai a diffidarne. Poteva, quell’abile turbinio di ipotesi e congetture, essere un altro artificio del Sovrano per allontanarci dalla verità? Poteva, egli, posto innanzi all’evidenza, aver usato tutta la sua esperienza per convincerci incredibilmente del contrario?

« ...ma non lo farò. Se intenderete collaborare con me, esaudirò ogni vostra richiesta. La domanda è:quanto a fondo siete disposti a scendere pur di conoscere la verità? »



E
ppure, ci offriva una possibilità. Una possibilità di ricominciare, laddove chiunque non avrebbe speso una parola in più. Quella forse era anche parte della sua fama: dare sempre una possibilità. Forse per il proprio tornaconto: forse per il proprio personale successo. Ma dare una possibilità, vedere ogni occasione come un’opportunità.
Al di la di quale che fosse la verità, al di la di quale che fosse l’intenzione del suo discorso, quelle abilità le bramavo. Bramavo quel potere di cognizione, quell’esperienza, quella risolutezza di cui avevo appena dimostrato di mancare. Al di la di quale che fosse la verità, bramavo la
p o t e n z a d e l R e.
Avrei dovuto coglierla quell’occasione, perché non ne avrei avuto probabilmente molte altre. E seppur covavo ancora ira in corpo, e dubitavo fortemente di quelle ambigue congetture, ogni giudizio sarebbe necessariamente dovuto arrivare al momento opportuno: ed al giudizio, sarei potuto arrivare soltanto con l’astuzia. L’astuzia di pormi al fianco di quel Re, di carpirne i segreti e capirne le intenzioni. Al di là delle apparenze e delle sue fittizie spiegazioni.

<< Corretto... >>



Mi avvicinai lentamente al Sovrano, piantando gli artigli in un muro e ritraendoli nel guanto. Feci tutto con voluta cautela, di modo da prefigurare nei miei spettatori l’idea che mi fossi calmato, che l’ira avesse infine ceduto il passo ad una più accorta diplomazia. Poi avanzai con passo calmo: spedito, sicuro, ma lento. Evitando i resti bruciati, che mi sforzai di non fissare.

<< Corretto, Maestà. E’ evidente come il contesto mi abbia suscitato invettive inopportune, oltre che avventati giudizi... >>



Pausa ad effetto, di quelle che ciascun galantuomo si sarebbe preso per permettere al proprio interlocutore di elaborare la nuova prospettiva di dialogo. Per elaborare nuove reazioni, nuove emozioni. Vecchi trucchi di corte, imparati negli squallidi ambienti dell’alta nobiltà: di quelli dove l’utile è il termine di paragone e la moralità unicamente un presupposto.

<< Son giunto qui seguendo le voci, seguendo i racconti da taverna. Son giunto qui in vostra ricerca, Maestà. Nessuno dal Maniero mi ha incaricato: probabilmente perché troppo indaffarati, spaventati o c o d a r d i per farlo. L’iniziativa è esclusivamente mia. Ho agito per desiderio personale. Perché ho bisogno di sapere cosa vi fosse capitato. Ho bisogno di sapere cosa sta capitando al suo regno... e al continente intero. Ho bisogno di conoscere.
H o b i s o g n o d i v o i... >>


P
otevo fidarmi del Re? E del Toryu? Non era mai stato il
m i o c l a n. Non fino a quando non avessi avuto modo di capire se ci fossero, o meno, i margini per una condivisione di speranze. Non prima di sapere se del Re, e di quel clan, avessi potuto realmente f i d a r m i. O meglio, se avessi potuto farlo ben più di quanto falsamente promesso il primo giorno.
Quella rinnovata formalità, dunque, poteva servire allo scopo di avvicinarmi al Re, ma non di accattivarmelo. No, affatto: chiunque avrebbe letto in quel nuovo tono calmo, i presupposti di un imbroglio. Avrei dovuto sbottonarmi un po’ di più, spiegarli, al di là dei moti di rabbia, quali fossero le mie intenzioni
v e r e. Spiegargli quanto tutto ai miei occhi perdeva importanza, innanzi al mio unico obiettivo: capire se nel Re potevo c r e d e r e.
Allungai di un altro passo il mio cammino e sibilai appena, di modo che solo il Sovrano potesse udirmi...

<< ...in verità, Maestà, per principio ho imparato a diffidare dalle confidenze dei potenti... >>


Altra pausa, ma più breve, dettata unicamente dalla difficoltà di rivelare un simile particolare ad un estraneo. A qualcuno che non fossi io stesso – insomma. Perché lo facessi, poi, quello fu l’ennesimo mistero.


<< ...anche perché posso dire di esserne stato un degno – anzi, un indegno – rappresentante... >>


Fu per certo un particolare anche troppo minuzioso da elargire a quello che rimaneva un p e r i c o l o s o estraneo. Eppure, non mi pentii di averlo fatto...

<< ...ma voglio capire voi. Voglio capire di cosa è fatto il vostro spirito e di cosa realmente si macchiano le vostre intenzioni. Non mi incantano i vostri abili raggiri lessicali, ma non posso che ammirare la vostra abilità di costruirli. E qualcosa, infine, me l’hanno fatta comprendere: ammetto di avervi giudicato troppo in fretta. E la vostra pacata educazione me lo ha fatto notare più di quanto non avrebbe fatto una lama affilata: mi avete dato una lezione. Quindi mi sento di concedervi una possibilità: aiutatemi... aiutatemi a f i d a r m i d i v o i... >>


Mi distanziai appena, alzando nuovamente il tono di voce e riportandolo ad un livello udibile anche agli altri. Anzi, volutamente percepibile anche alle loro orecchie...

<< ...ma vi avverto. Io posso scendere molto in profondità: finanche negli inferi, dove già sono stato e da dove anche i demoni si sono rifiutati di trattenermi. Ho scavato a mani nude la terra umida del mio stesso tumulo: posso farlo ancora... >>


Poi mi girai, fissando con sguardo torvo il viso candido e falsamente innocente della

p u t t a n a i n a r m a t u r a

.

image

<< ...e posso lasciare qualcuno indietro, se voglio... >>



Era un segno chiaro all’indirizzo della donna. Il segno che la rabbia era solo mascherata, non placata. Che le fiamme non le avevo spente, le avevo solo nascoste. Che la resa dei conti non era annullata, ma soltanto rimandata.





SPOILER (click to view)

ReC:
275
AeV:
250
PeRf:
150
PeRm:
275
CaeM:
200
Immenso:
40%
Alto:
20%
Medio:
10%
Basso:
5%



image

Del Fisico: Tre ferite leggere alla mano sinistra (Basso)
Del Psichico: Più calmo, più lucido (illeso).
Dell'Energia: 125%
Delle Attive: //

Delle Passive:

Solitudine (razziale): difesa psionica passiva
Non pago per le mie colpe (dominio I): illusioni castate senza vincoli fisici né concentrazione;
Il potere è parte di me (dominio II): illusioni scontate del 5%, ma mai sotto l'1%;
Che io sia dannato (personale di metagame): permette di usare abilità necromante;
Vivi il mio tormento (personale): le evocazioni sono intangibili e immuni ad attacchi fisici.

Delle Armi: -

Washi, la carezza del fantasma: equipaggiata braccio sinistro, artigli non estratti;
Frusta: legata alla cintura

Del Riassunto: //

Delle Note:
Questo credo che sia in assoluto il post più difficile mai scritto su Asgradel. Per il semplice fatto che c'è tutta una contorta psicologia alle spalle che spero in qualche modo si evinca. Alla fine Shakan si placa dinanzi alla considerazione che ogni ulteriore sfuriata sarebbe inutile e dannosa: capisce che la verità si scopre soltanto con la cautela e la pazienza, non con le armi e accetta "l'offerta" del sovrano seppur non dimenticando quanto avvenuto. Mi scuso con Foxy per l'uscita infelice verso il suo pg ma il gesto - sul momento - non è stato affatto gradito da Shakan e per poco la cosa non denegerava.

Scusate il ritardo nel postare, ma questo scritto ha avuto una gestazione lunga e travagliata. Per ulteriori chiarimenti ci sentiamo nel bando.

Edit. Correzioni del layout


Edited by janz - 31/10/2010, 10:33
 
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Bastard de la Nuit
view post Posted on 1/11/2010, 22:29




Poggiava le sue dita su quella massa di carne a cui perfino la protezione di una pelle era stata negata. Percepiva il pulsare aritmico delle arterie, quasi concitato come i molti e sconnessi passi di un gruppo di ragazzini che corrono a giocare in giardino. Percepiva la vita -le vite?- entro quel contatto fisico di pochi millimetri quadrati. E ne intuiva il dolore indissolubilmente legato. Senza volerlo, ritrasse la mano in un brivido: i polpastrelli s'erano imporporati di sangue raggrumito. Ancora scosso da quel dolore che empaticamente aveva provato un istante, rispetto al quale immaginare di essere scuoiati vivi e sopravvivere era una pura inezia, non si accorse della presenza che dietro di lui e Shakan stendeva una mano e urlava.
Le fiamme divamparono, consumando in pochi respiri quelle creature la cui unica colpa probabilmente era stata quella di venire al mondo. Per un istante gli occhi dello Straniero incontrarono quelli della donna agonizzante e vi lessero un grido d'aiuto inespresso mentre le iridi si seccavano e i brandelli di quel volto calcatovi con la forza si arricciavano sopra di essi man mano che le vampe li carbonizzavano.

N O!

Un solo grido secco riecheggiò nella piazza spoglia mentre Kreisler si slanciava a proteggere quei corpi già martoriati, mentre tentava di stringerli in un abbraccio che sperava soffocasse le fiamme. Gemette quando il calore lambì anche lui, non sazio di quegli esseri senza nome in preda agli ultimi spasmi dell'agonia. Gemette, e non sapeva se per il dolore o per qualcosa che gli si spezzava nell'anima. Rimase così, con quel corpo carbonizzato che si andava disfacendo tra le sua braccia, cadendo a pezzi nella carezza del vento. Invano cercò in esso quegli occhi azzurri: solo orbite nere e fumiganti ricambiavano il suo sguardo disperato. Specchiava la sua anima in quei pozzi di Nulla mentre ricacciava debolezza e lacrime dentro di sé, dove il Re non avrebbe potuto trovarle. -Ecatherine, mia Strega... è forse questo il tuo vero aspetto? Oh ricordo triste, lasciami solo con il dolore del presente, te ne prego. Avevo promesso di non farmi più dominare dal passato.- E dunque egli, lo Straniero, che era Uno e fu reso Nessuno, stringeva un corpo che era stato di Tanti e ora era anch'esso Nessuno, e vi vedeva riflesso quell'Uno che a lui mancava così tanto. Mia Ecatherine, dove siete?- Che senso aveva tutto questo?

« Finalmente un po' di buon senso. »
Attonito, rivolse gli occhi al Re. Che parlava di buon senso. Che senso c'era in quella tragedia? Cosa di buono? Cosa di lontanamente paragonabile al rassicurante scorrere dei giorni di colui che si lascia guidare dalla propria saggezza? Ai suoi piedi il corpo continuava a sgretolarsi mettendo in mostra due piccoli feti, ulteriore simbolo di Molti in Uno. Cosa pensare allora? Che il senso di quel villaggio fosse unicamente quello di soggiacere agli esperimenti del Re, il cui senso era bramare sempre più potere? Poche certezze aveva Kreisler, e quegli istanti le vedevano vacillare come canne al vento.
Viviamo una vita per uno Scopo. E' lo Scopo ad averci creati, lo Scopo che ci motiva, che ci guida, che ci spinge. E' lo Scopo che stabilisce, lo Scopo che ci vincola. E qual era il suo Scopo allora? Soffrire la frustrazione di non poter mai aiutare la gente? Dannarsi nella ricerca di Qualcosa fuori dalla sua portata?

E una volta assolto lo Scopo cosa resta?
Ossa e cenere. N u l l a.
E nel mentre? Vivere una vita perseguendo ciò che, raggiunto, nega la vita stessa?
Fortificarsi per giungere al momento estremo in cui tutto si consuma e si perde nell'obnubilazione del Sé?
O avere paura di quel momento e colmare di inutilità un'esistenza di rimpianto e rabbia verso la propria mancanza di coraggio?
Che senso ha?


Avrebbe giurato di aver scorto un sorriso beffardo nell'altera donna in armatura mentre il Re l'apostrofava con le sue parole flemmatiche eppure taglienti.
E sentì di desiderare di odiarla. Odia, Kreisler, odiala con tutto te stesso! Distruggi la sterminatrice di innocenti! Ma si sorprese incapace di ciò. Era come se il dolore in cui era sprofondato gli risucchiasse perfino le forze necessarie a provare sentimenti forti come rabbia o odio. Come in una stanca rinuncia al mondo e al suo significato tornò ad ascoltare il Re, incurvato dall'apatia.

« ...e io potrei mentirvi. Potrei dirvi che - come ben sapete - non possiedo le conoscenze necessarie a generare tre abomini come quelli
dei quali Lady Alexandra si è liberata per conto nostro. Potrei dirvi che è stato lo stesso Asgradel a spingermi alla creazione di un Kodoku, poiché gli è necessario. Potrei dirvi che non so nulla delle vostre altre eventuali domande...
»

E in effetti, in un mondo retto da scopi ma privo di senso, l'unica maniera intelligente di vivere sarebbe potuta essere la menzogna. Questo il Re stava dando modo di conoscerlo bene, anche se -strano!- nelle sue parole verità e menzogna andavano a confluire in una poltiglia fangosa di concetti retorici e frasi ad effetto. Dunque vivere così tra il vero e il falso, eludendo e rimandando il momento fatale di esaurimento della funzione per cui si è stati chiamati a esistere? Caricarsi sulle spalle ciò che tanti chiamano codardia, ed esserne sereni, e dominare chi ancora crede sinceramente in questo mondo?
Quante domande, troppe. Vide le labbra del Sovrano scandire nuove parole, ma con il pensiero le aveva già anticipate. Una vita svincolata dal senso comune e dunque libera dalle categorizzazioni di bene e male, verità e bugia, assurgeva al dominio delle menti e della stessa realtà con il puro mezzo della parola. E a chi ancora si ancorava alla disperata ricerca di un senso si poneva come unica strada da imboccare, esclusione di ogni altra possibilità.
Non aveva scelta.

« ...e voi non potreste che credermi. »

Già, alla fine l'unico senso che ha la vita lo dà chi ha abbastanza autorità da farsi seguire. Forse quel villaggio era fondato apposta per fare un giorno da teatro degli esperimenti di Ray qualche folle, e qualche divinità pianificatrice aveva mosso la Rosa e i suoi artifici amorosi al solo fine di portare lui a sfidarla, svenire, perdersi nel bosco e infine giungere lì, al cospetto di Ray che gli avrebbe chiesto di collaborare. E magari così era stato anche per il Fantasma e la Guerriera, bambole di pezza in mano a una volontà superiore -per quanto si atteggiassero anch'essi ad artefici del proprio destino.

Spoglio dell'ipocrisia di voler reagire contro un fato ineluttabile, aspettò che le parole del Re finissero di scorrergli nelle orecchie per prepararsi a rispondergli. Più rapido di lui fu Shakan, che per la prima volta manifestò la sua volontà di potenza chiedendo al Re di istruirlo. Ancora subiva la fascinazione della forza, quindi. Le sue parole richiamarono alla sua mente un atteggiamento che per anni Kreisler aveva scorto nei dignitari di corte a palazzo e per le vie: l'opportunismo. La capacità di saper trarre profitto dalle situazioni senza pensare a quanto tristi o tragiche potessero essere. Lo guardò di sbieco e per un momento ebbe la strana impressione di riconoscere dei tratti noti in quel volto. Tratti unticci di un nobile dalla lingua forcuta che da una parte loda i superiori e dall'altra istiga le masse alla rivolta. E sia, lo Spettro aveva fatto la sua scelta a quanto pareva.
Prima che prendesse la parola l'assassina che si era presentata come Alexandra, lo Straniero volse il palmo destro verso di lei. Tese il braccio, incurante della recente bruciatura che ne aveva annerito parte della cute, e incanalò attraverso di esso il potere del Nulla. Il suo potere. Pur fissando Ray con occhi inespressivi, sapeva che a poca distanza dal volto della Lady guerriera si andava formando un minuscolo globo nero che rapiva ogni frammento di materia attorno ad esso. E sempre rivolto al Sovrano mormorò la sua risposta con voce inespressiva come un fiume di mercurio.

-Maestà, perché ci ordina di collaborare sotto forma di domanda? Da quando abbiamo messo piede in questo villaggio, volendolo o no, tutti noi abbiamo fatto la nostra scelta, anche Voi. Ora si tratta solo di seguire il percorso che abbiamo già disegnato davanti a noi.

Il braccio teso tremò per lo sforzo e il dolore, il globo davanti al viso di Alexandra scomparve. Lentamente portò il braccio al petto e lo massaggiò con l'altra mano.

-Anch'io ora non ho scelta se non quella di risparmiare quest'assassina, as you can see.
Ma forse la verità è che nessuno ha m a i avuto scelta.
Noi non siamo qui perché siamo liberi, siamo qui perché non siamo liberi. Di sottrarsi a questo dato di fatto non c'è ragione, nel negarlo non c'è uno scopo. Perché sappiamo entrambi che senza Scopo noi non esisteremmo.


Ben detto. E qual è il tuo Scopo, Kreisler?
Non ne sono sicuro.
Oh, sì che lo sei.
Io... devo salvare Lithien, giusto?
Non stai dimenticando qualcosa?
Non sto dimenticando niente. So bene che anche Ecatherine deve tornare in vita!
Bene, anche lei. E...
E vendicarmi della Rosa.
Probabile. Ma c'è dell'altro.
Servire il Re?
Oh andiamo, giurargli fedeltà è stato solo un mezzo e tu lo sai.
Che altro allora?
Qualcosa senza cui non saresti stretto in questa rete di obblighi e giuramenti.
...
Conosci te stesso, Kreisler. Conosci la fonte alla quale attingi il potere.
Io sono il Nulla! Come può il Nulla conoscersi?
Bel tentativo, amico mio, ma sarebbe troppo comodo.
Cosa devo fare?
Conosci te stesso, stabilisci ciò che davvero desideri, Allora capirai il tuo scopo.
Io... aiutami! Chi sei?
Io sono il Nulla!


Tornò a guardare il Re e Shakan e Alexandra dopo quel breve momento di astrazione. La voce che aveva sentito non apparteneva a nessuno dei tre, eppure era come se già la conoscesse. L'aveva sentita già, forse in un sogno, forse in un ricordo, forse nel sogno di un ricordo. Non sapeva se quella scena gli fosse realmente accaduta o fosse solo il delirante parto del suo inconscio. Fu certo solo che quel dialogo surreale lo aiutò a trovare la naturale conclusione alle sue parole.

-Mi chiedo quindi se il mio Scopo non sia quello di aiutarvi, Sire. O che aiutarvi non mi renda più chiaro questo Scopo che mi è stato assegnato. Ebbene lo farò. Verità? Scendere a fondo? Trifling details. Oggi sono qui per questo, non serve altro.

Chiuse le porte del suo cuore alle speranze di un libero arbitrio, mentre il vento portava l'odore di carne bruciata e l'eco di un vagito mai emesso.



SPOILER (click to view)
[ReC: 300] [AeV: 350] [PeRF: 100] [PeRM: 250] [CAeM: 200]

Stato Fisico:
Ustioni di basso grado sulla parte anteriore del corpo (?)

Stato Psichico:
Rassegnato.

Energia:
100%

Abilità passive in uso:
[...] Fuori dall'abitato di Malbork [...]
[Abilità passive dei livelli I, II e III del dominio Void Runner.]
[Abilità personale 1/5 [sblocco del terzo livello del dominio Passiva]

[...] Senza temere il Vento e la Vertigine [...]
[Abilità razziale degli Umani - Passiva]

[...] Guarda in basso dove l'Ombra si addensa [...]
[Pergamena "Favore delle Tenebre" - Passiva]

[...] Sul Tappeto di Foglie illuminate dalla Luna [...]
[Abilità personale 2/5: In termini di gioco, Kreisler sarà sempre a conoscenza di qualsiasi tecnica illusoria o psionica agente su di lui o sul campo circostante, pur non essendone protetto in alcun modo - Passiva]

[...] Intorno a una Fossa Vuota [...]
[Abilità personale 3/5: sblocco delle pergamene da guerriero - Passiva di metagame]

EVERYMAN (Artefatto)
-Maschera invisibile e intangibile, se non per chi la indossa.
-Sua unica e inimitabile virtù è quella di rendere il portatore "uno come un altro". Chiunque lo vedesse tenderà a non prestargli attenzione, anzi, ad evitare il contatto con lui e a dimenticare di averlo veduto. Solo cercandolo volutamente sarà possibile riconoscerlo e trovarlo.
Questo artefatto non modifica in alcun modo i tratti del volto, il suono della voce, o alcunché d'altro del portatore.[/size]

Abilità/Pergamene usate:
[...] Quale Storia laggiù attende la Fine? [...]
Non credo nell'Apocalisse. Credo nella fine del mondo, ma sarà solo perché ad esso succederà quanto succederà a me. Saremo divorati dal Vuoto. Diventeremo giganteschi buchi neri, quei corpi celesti oscuri dove le stelle cadono e muoiono. Mi ricordo vagamente che mio padre li studiava quando scappai di casa; me ne parlava entusiasta cercando di farmi interessare all'argomento. Ora sono costretto ad interessarmene: sono io stesso uno di quei corpi oscuri. [...] Poi ho imparato a ricreare queste entità al di fuori di me. E' affascinante ridurre la materia a una singolarità circondata dal Vuoto più assoluto. [...]
[Abilità personale 4/5: In termini di gioco, Kreisler può creare dei piccoli buchi neri entro il suo campo visivo concentrandosi per qualche istante. Essi attrarranno inesorabilmente qualsiasi corpo fisico entro un certo raggio, la cui misura sommata al danno da impatto subito da chi entri a contatto con il corpo celeste sarà proporzionale al consumo speso - Consumo Variabile, usato Nullo]

Armi:
Ham&Let (Separate) - Nei foderi.
Corazza - Indossata.
Everyman - Indossato.


Note:
[size=1]In soldoni, per la sua indole Kreisler si lancia sui "mezzi Kodoku" quando le fiamme di Alexandra li hanno già colpiti, quindi in termini di regolamento non subisce i danni della tecnica; tuttavia entra in contatto con corpi in fiamme, quindi ho ritenuto giusto assegnargli dei danni Bassi da ustione a titolo simbolico.
Altra cosa: il buco nero che creo davanti ad Alexandra è a consumo Nullo, dunque è un effetto puramente scenico e non fa danni (tranquilla Foxy ;*).
E per concludere, per chi non lo sapesse gli intercalari in inglese di Kreisler non sono una forma di snobismo, ma una maniera di rendere graficamente il suo linguaggio da Straniero, con un accento esotico e delle parole a volte un po' fuori posto.
Questo post ha fatto penare un po' anche me. Per fortuna sono riuscito a spuntarla traendo ispirazione da alcune citazioni della trilogia di Matrix che si addicevano abbastanza al contesto. Spero che la loro libera parafrasi non procuri shock anafilattico a chicchessia. :fire:

EDIT: odio trovare errori di battitura nei miei post, anche se nelle note. Già mi odio per un refuso che ho riletto in un mio post un po' più su, che non posso correggere :glare:


Edited by Bastard de la Nuit - 2/11/2010, 00:35
 
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Foxy's dream
view post Posted on 3/11/2010, 18:34




image

Gli occhi fissi su quelli del re parevano non volersi smuovere. Uno sguardo intrigante, ammaliante, quasi seducente. Gli occhi di un sovrano, di chi ha visto molto in vita propria e di chi molto avrebbe veduto ancora. Gli occhi saggi d’un uomo assennato e giudizioso, in grado di districarsi in una qualunque delle situazioni che la vita gli avesse parato innanzi. Ma era tutto vero quel che aveva modo di astrarre dal suo sguardo, o era tutto un’insensata fantasia, una di quelle che spinge l’uomo ad immedesimare sé stessi nel prossimo, alla costante ricerca di un sostegno, di un appoggio morale seppur ingannevole e traviante?
Il crepitio delle fiamme intanto si faceva sempre più intenso, e sempre più impetuoso quel fuoco dai foschi riverberi si faceva pasto delle carni tumescenti delle tre aberranti creature, dei loro corpi immondi e sanguinolenti, strappandoli al mondo infame che aveva elargito loro quel tetro epilogo ad un’esistenza di interminabili patimenti. Ma v’era un fondo d’umanità in quel gesto impietoso, un sottile e impercettibile senso di giustizia velato e mascherato da un’empia e spietata azione, così come quella funesta lingua di fiamme poteva apparire all’occhio di stolti e sprovveduti.

-NO!-
-…Stronza…-


Se lo aspettava. Esclamazioni di disappunto e persino offese alla sua regale persona. Ma incredibilmente era come divertita da quelle ingiurie così sciocche e insensate, articolate da lingue così stoltamente intrise di illogica benevolenza verso esseri i quali non sarebbero nemmeno dovuti esistere se non in una scellerata immaginazione o nell’incubo più abietto.
Uno stretto sorriso le si dipinse in viso, beffardo su quegl’omuncoli troppo ingenui per poter comprendere, per poter capire cosa sia giusto o sbagliato, e non necessariamente nelle accezioni massime stereotipate da visioni qualunquistiche e pregiudizievoli.
Quanta innocenza celavano nei loro corpi d’uomini fatti? Quanta ingenuità nelle loro menti fanciullesche, ancorate a ipocrite morali che imponevano loro un contraddittorio buonsenso lascito di santi e predicanti.
Eppure la sua attenzione era tutta per il re, concentrata su ogni sua movenza, su ogni suo gesto più o meno visibile o significativo. E attendeva. Una risposta forse, o una qualunque sua parola. Carica d’aspettativa attendeva, semplicemente.

Trascorsero alcuni istanti, schegge di mesto presente come fossero stille d’eternità, momenti nei quali i corpi dei tre esseri vennero scossi da tremiti di indicibile dolore, una sofferenza senza voce, caduta nell’oblio della dimenticanza, una morte ancor più spietata della morte stessa, una fine senza memoria perché sì! Dopo la morte non rimane altro che un ricordo, piccoli frammenti di reminiscenze di vita in cui si ha condiviso un qualcosa con altri, e qualora essi non permangano nella mente altrui, qualora queste vengano dimenticate o semplicemente riposte in un qualche antro polveroso della propria mente, a cosa sarebbe servita una vita intera di sofferenze, affanni e stenti? A nulla. Perché dopo la morte non v’è altro che il nulla, prospettiva ben più terrificante della morte stessa.

Infine parlò. Lemmi ambigui, forse sarcastici o canzonatori, ma che racchiudevano un celato senso d’apprezzamento per la nera paladina, parole enfatizzate da movenze quasi ipnotiche, tanto teatrali quanto ineccepibilmente naturali. Ma ad un tratto spostò la mano in direzione dei tre esseri ora immobili, scuoiati anche della vita che gli era stata immotivatamente donata.
Per la prima volta scostò lo sguardo da quello del re, istintivamente corse in direzione della sua mano senza un apparente motivo logico, e qualcosa catturò la sua attenzione, qualcosa, sì! Due piccoli esseri dalle vaghe parvenze infantili si dimenavano tra le roventi fiamme fino a perdere ogni capacità di movimento, consumati inesorabilmente da quelle vampe. Ma prim’ancora che scomparissero per divenire cenere fra la cenere qualcosa la turbò, un qualcosa di incomprensibilmente sbagliato, fuoriposto, piccoli abbozzi alari e di corna decoravano i di loro relativi dorsi e capi, come piccoli demoni, stranamente diversi dai ventri che gli avrebbero generati.

-Che sia sbagliato aver strappato loro quelle vite?
O profondamente giusto?
Ma qualunque sia la risposta è ormai troppo tardi…-


Subito il sovrano parve cambiare argomento, come se avesse già perduto memoria di quel che era stato a quelle tre creature, gettando un velo pietoso sul macabro accadimento sorvolandovi incurante. Ciò nonostante il suo sguardo severo e glaciale si era posato su colui che l’aveva insultata poco prima, riservandogli parole dure ma allo stesso tempo ragionevoli, di chi minaccia sapendone ben nascondere i malevoli intenti.

La paladina ascoltava. Tacita osservava lo scorrere degli eventi, riportando la propria presenza a semplice comparsa di una commedia non scritta, dal finale incerto, sorprendendosi di quanto spiccata fosse la sua arte oratoria, quella sua dotta capacità di introdurre quasi con forza le sue parole cariche di concetti eclissati da forme verbali assai pregevoli.
Sorrise. Ancora una volta. Dopotutto era un re, e mai nella storia vi fu sovrano non in grado di coinvolgere le folle con lingua di serpe e frasi fuorvianti, imbevute di quel che il popolo agognava, di quel che voleva udire.
Ma il suo breve discorso non ebbe termine in quel momento. Le sue velenose parole riecheggiavano ancora per l’aere, ma cambiò ancora una volta argomento, mutevole come un soleggiato cielo estivo, che tra l’afa più asfissiante e i violenti raggi d’un sole cocente ti sorprende con fredde perle d’acqua dolce, lacrime di nuvole percorse da processi ambigui. Tuttavia quelle gocce battenti non rimangono sole come una supplica inascoltata, sotto quel tetto plumbeo e cupo infatti saettano folgori e lampi, veemente auspicio di brutale violenza futura. E a queste seguono infine i tuoni, roboanti boati che si fanno largo imperiosi, percorrendo ogni via, ogni sentiero in aria così come in terra, e così le parole del sovrano permeavano nella di lei mente, coinvolgendola in un discorso di cui avvertiva d’essere estranea ma allo stesso tempo partecipe, vittima e carnefice al contempo.

Proponeva verità, assoluta veridicità su accadimenti passati che avrebbero implicato inevitabilmente i loro futuri prossimi e lontani. Avrebbe acconsentito alle loro richieste, avrebbe concesso loro quel che di più bramavano: verità. Ma a un patto, una postilla che si premurò di aggiungere al termine del breve monologo donandogli un epiteto quantomeno inatteso.
Avrebbero dovuto collaborare, cooperare con lui a un qualche progetto, aggiungendo infine un’ambigua frase di sfida, quasi li stesse spingendo a compiere quel che lui voleva con tono sorprendentemente affabile e cortese, come stesse offrendo loro un’occasione, una possibilità negatagli da altri, negatagli dal mondo.

Ognuno reagì a proprio modo a quella velata provocazione, a quella sfida mascherata da proposta più che accettabile. Eppure Alexandra taceva, silente come sempre, silente come preferiva essere. Lasciò che gli altri prendessero per primi la parola concedendosi qualche fugace istante per elaborare un qualcosa, anche se quel qualcosa lungeva dal voler essere estrinsecato da riflessioni contorte e manchevoli sotto più punti di vista.
Il primo a prendere parte alla commedia fu colui che l’aveva oltraggiata con toni non consoni alla presenza d’una donna e d’un re, il quale dopo riservati e timidi sussurri agli orecchi di quest’ultimo comunicò a voce alta le proprie intenzioni, con una chiosa che certo non poteva che far sorridere la nera paladina, un ghigno che era calato più volte sul suo viso attraente e prefetto, un’eccentrica combinazione di grazia e malevolenza.
E poi fu l’ignoto viandante a prendere la parola, il quale ben più ardito del primo osò accostare il proprio sozzo palmo alla sua gote, per poi lasciarvi fluire un qualche tipo di magia. La paladina non si mosse, non proferì parola, non lo interruppe. Lasciò che terminasse il suo sproloquio dalle vaghe sfumature di ragionevolezza, mentre raccontava di obiettivi, di destino, di un fato ineluttabile e fatale, per poi ritrarre il braccio come se nulla fosse accaduto.

« Tutto qui? »


Proruppe improvvisamente ergendo lo sguardo ancora una volta su quello del re, incurante degli altri presenti, come se i chiamati a quel frammento di vita fossero loro e loro soli.

« Verità
…nessuno insegue la verità, perché da essa si fugge via.
Perseguiamo un qualcosa in vita, sia esso reale una mera menzogna poco importa.
Quindi mentitemi se lo credete necessario, illudetemi, abbagliatemi con speranze fittizie perché non mi attendo altro dalla vita.
Ma una vendetta è ben altro, è una delle poche cose che ti spinge ad andare avanti, un rancore represso, una fiera indomabile che non conosce requie. »


Attimi di interminabile silenzio le crollarono indosso, quasi stesse attendendo la giusta ispirazione per formulare un virtuoso finale, una conclusione degna della sua persona. Illuminazione che giunse insieme ad un alito di vento, un dolce soffio grecale che le accarezzò il viso con dolcezza, con calore quasi materno, che tanto amabilmente le donò la forza per concludere e chiudere lì un discorso dilungatosi forse troppo a lungo.

« Se è questo il prezzo per una mendace verità.
Ebbene: così sia. »


Aggiunse infine dando vita a quelle parole con un plateale gesto della destra atta ad enfatizzare quel breve ma appassionato ragionamento.

Poi, con altrettanta noncuranza avvicinò lentamente le proprie labbra rosee e delicate all’orecchio del viandante con espressione dolce e gentile in viso.

« La prossima volta ti mozzo via quella tua sporca mano. »


Sussurrò con voce calda e suadente, un tono così incredibilmente fuori luogo da apparire una presa in giro, una briosa frase di scherno qualunque ma che celava in sé un qualcosa di profondamente sbagliato. Eppure la regina era anche questo, lei era tutto, e forse niente, due facciate di una stessa medaglia ma che rappresentavano un tutt'uno, inscindibile e indivisibile.



SPOILER (click to view)
CITAZIONE
Energia: 130%
Stato psicologico: Decisa e sicura
Condizioni fisiche: Illesa

ReC: 225
AeV: 200
PeRf: 225
PeRm: 300
CaeM: 200


Abilità attive in uso:




Abilità passive in uso:

• Queen's flaming Sword I § (Effetto passivo del Dominio, primo livello)

La spada in possesso di Alexandra presenta sul piatto della lama un incantamento runico di colore rosso carminio ben visibile all’occhio. La bastarda potrà, in qualsiasi momento, innescare i poteri del dominio, e grazie all'incanto, essa risulterà impossibile da distruggere nonostante gli attacchi che le potrebbero venir mossi.

• Queen's flaming Sword II § (Effetto passivo del Dominio, secondo livello)

Le mitene in possesso di Alexandra presentano nel palmo un incantamento runico del tutto simile a quello della spada bastarda. Quest’arma quindi, potrà, in qualsiasi momento, innescare i poteri del Dominio. Grazie all'incanto, inoltre, risulteranno sempre affilatissime e incapaci in alcun modo di perdere le proprie capacità offensive, oltre che indistruttibili.

• Queen's Will § (Effetto passivo dell'abilità razziale)

Alexandra punta gran parte delle proprie capacità sulla magia. Avendo così affinato il potere magico insito in lei, raggiunto il 10% delle energie infatti non sverrà. Ciò però non significa che non sarà stanca raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%.

• Queen's Sway § (Abilità personale passiva)

Il dominio di Alexandra sul suo corpo le permette di scagliare attacchi magici e fisici senza alcun tempo di concentrazione. Ciò permette un notevole vantaggio tattico e tecnico alla paladina, che racchiude in sè le proprietà di maga e guerriera allo stesso tempo.


Note:

Finalmente ho postato, bene! :8):
Il post si compone di una prima parte descrittiva in cui ho cercato di dare un che di reale alla scena (anche se probabilmente non vi sono riuscita :mumble:) Dopodiché Ale si lascia affascinare dalle parole del re a causa dell'influenza psionica, ma anche perché trova siano giuste in ogni caso, quindi avrebbe accondisceso anche senza psionica attiva (...credo).
La prima frase di dialogo in viola è piuttosto ambigua, ed ha due significati: uno ben palese diretto al re, mentre l'altro è diretto al pg di Bastard, i quanto Ale si sarebbe aspettata un'offensiva da qest'ultimo e non una semplice intimidazione malriuscita. Mentre tutto il resto è quel che vuole esporre Ale riguardo alla proposta del re.
Infine Ale accosta il proprio viso a quello di Kreisler (si scrive così giusto? :look:) e pronuncia al di lui orecchio quanto riportato.

Spero sia tutto chiaro, ma nel caso fosse necessaria una delucidazione qualsiasi avvertitemi sul bando o per mp ^^
 
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view post Posted on 6/11/2010, 14:26
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« Tutto qui. »

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E' risaputo che il diavolo sigla i propri contratti perché siano apparentemente vantaggiosi per l'interessato, infarcendoli di clausole a fondo pagina, troppo piccole e fitte per poter essere comprese da un lettore disattento. Così, abbandonando la sua facciata di politico assenso per la prima volta da quando aveva iniziato ad interloquire con i suoi ospite, il viso del sovrano si spaccò in una smorfia di compiaciuto interesse; un taglio tipico e non particolarmente ostentato, quanto più naturalmente spontaneo.
Uno screzio che restò aperto giusto il tempo necessario per i tre avventurieri di siglare i loro contratti, per poi richiudersi.
Per un solo, singolo istante, il monarca sembrò perso nei suoi pensieri; confuso. Pareva che stesse incidendo con qualche memoria lontana, che faticava a recuperare. Poi anche quell'espressione svanì, ricostruendo la maschera di ferma signorilità che l'aveva contraddistinto fino a quell'istante.
Non più perso nei suoi pensieri, o nei pensieri di altri.

Come un'amante maliziosa che invita il proprio concubino a riposare con lei, fece quindi cenno ai tre di seguirlo e diede loro le spalle, diretto verso l'interno di Santa Madre Nuova.
Muovendosi lentamente, lasciò dunque che le proprie parole si mischiassero alla polvere che i suoi passi sollevavano, prima che raggiungessero gli orecchi dei tre.

« Sapete; in questo villaggio s'è consumata una terribile tragedia. »

In Medias Res, il sovrano aveva mancato di rispondere alle loro affermazioni, o di introdurre il proprio discorso. Per chiunque lo conoscesse, questo avrebbe dovuto essere indizio di pericolo imminente, ma presumibilmente era troppo chiedere a tre sconosciuti di intuire i comportamenti del monarca dalla parlata; dalla struttura con la quale egli decideva di proseguire nei propri sproloqui.

« Nessuno avrebbe potuto guadagnare qualcosa dalla scomparsa di un villaggio piccolo e sconosciuto come Bottiglia Verde. I suoi abitanti non erano né ricchi né facoltosi, né i suoi campi erano tanto rigogliosi da giustificare quanto è successo. »
Sospirò, triste, perso.
« Eppure... eppure un giorno - un giorno che pareva essere iniziato come tutti gli altri - un demone è comparso alle porte del villaggio. Un demone che, nonostante l'accoglienza degli abitanti, pochi minuti dopo si è immotivatamente fatto prendere dalla follia... »
voltò lo sguardo per un istante alle case in lontananza, deserte.
« ...e ha sterminato l'intero villaggio. »

Si fermò per un istante, con lo sguardo fisso sulle abitazioni. Era ben conscio che, date le condizioni assolutamente perfette di Bottiglia Verde - che parevano richiamare più una sparizione che un massacro - quella storia fosse ben difficile da credere, ma non si aspettava certo che i suoi interlocutori pendessero dalle sue labbra: tutti i suoi poteri sarebbero stati inutili, altrimenti.

« Fortunatamente, io ho assoggettato questo demone. »
di punto in bianco, riprese ad incedere verso le porte della cappella, e a sproloquiare.
« ...l'ho fatto mio schiavo, e ho fatto in modo che il massacro di Bottiglia Verde non andasse sprecato. »

Giunto alle porte, il monarca si tuffò nella penombra sparendo alla vista dei suoi tre interlocutori per gli istanti necessari ad abituare la vista all'oscurità. La sua figura richiamata solamente da un inquietante e basso sciabordio, come se si stesse muovendo guadando un torrente.
Mano a mano che il buio si sarebbe dipanato, gli avventurieri avrebbero prima visto l'immensa quantità di polvere che, stanata dalla luce del sole, ristagnava immobile nell'aria della chiesa. Poi il loro sguardo si sarebbe abbassato, e avrebbero notato il sangue - due dita di sangue che, come in una piccola laguna, riempivano le navate della chiesa, costringendo il sovrano ad attraversarlo senza alcuna alternativa, immergendovi le gambe fino alle caviglie.
Indugiando per un lungo istante sulla schiena fiera e diritta del monarca, un lungo brivido avrebbe finito col chiedere ai tre da dove provenisse quel truculento spettacolo e cosa ne fosse la causa.
Alzando lo sguardo, quindi...

corpi.
decine e decine di corpi nudi, la cui pelle era stata completamente sottratta.
cadaveri scuoiati che erano appesi con un cappio che li teneva per i piedi, in modo che dondolassero a testa in giù nella più nauseante parodia di una macelleria mai vista.
stipati fra loro come sardine, gocciolavano il poco sangue rimasto nelle loro carni, che si riversava sul pavimento. Accalcati su loro stessi, impiccati per le caviglie.
e ancora più lontano, alle spalle dell'altare, vi erano le facce.
Centinaia, inchiodate contro il muro, lo sguardo fisso innanzi a sé a cogliere qualcosa che non avrebbero più potuto raggiungere. Visi di donne, uomini, bimbi o anziani, tutti appesi l'uno accanto all'altro al capo opposto della chiesa; sovrapposti, se lo spazio si rivelava troppo limitato per contenerli tutti.

All'altare, si poteva vedere l'ombra di un uomo impegnato in un dubbio compito
e il Re, al centro esatto della cappella
alzò il braccio verso l'alto, concludendo la sua arringa in una smorfia di compiacenza.

« ...io li ho salvati. »


CITAZIONE
Prima di rispondere, attendete la risposta di un secondo account, che fungerà da PnG nel corso della quest.

 
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Bronnigar Harrenhall
view post Posted on 6/11/2010, 23:34




Bottiglia Verde
qualche giorno prima

Le campane suonavano a festa.
Doveva essere domenica, o giù di lì. Ogni uomo, donna o bambino del villaggio convogliava allegramente verso la chiesa - la cattedrale: Santa Madre Nuova. E tutti gioivano, nei loro cuori; gioivano d'una vita che reputavano un gran dono.
Bottiglia Verde non era una cittadina con delle mura.
Gli stranieri erano i benvenuti.

E le campane suonavano a festa.

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Nessuno gli aveva chiesto chi fosse, né donde venisse.
Aveva una spada, ma di cavalieri suoi simili se n'erano visti a bizzeffe nel corso degli anni. Ciascuno rapito dalla bontà del cibo servito alle taverne locali, o dalla schiumosità della birra, o dalla dolcezza delle fanciulle. E mai un visitatore aveva abbandonato Bottiglia Verde senza un pizzico di rammarico.
Così, almeno, gli era stato detto.
E mentre le voci degli accoglienti villici si mischiavano a quelle meno calorose che lo tormentavano, mentre il fuoco che aveva dentro bruciava più vivo che mai, mentre la mattanza cominciava, le campane...
...le campane suonavano a festa.
Né le grida doloranti dei primi caduti, né gli striduli richiami d'aiuto avrebbero mai potuto metterle a tacere.
Anzi: acuivano il fracasso, lo alimentavano coi loro torbidi echi.
Ma presto, molto presto, sarebbe calato il silenzio anche su quella
merdosa, ridente, fottuta cittadina.

[...]

Era accaduto tutto molto in fretta.
Per prima cosa si era risvegliato - come di consueto dopo una cruenta battaglia - con la testa gonfia, pulsante. Gli doleva a tal punto che un fastidioso sibilo s'era insinuato nelle sue orecchie e procrastinava il suo svanire. In quella incresciosa situazione, aveva dato uno sguardo intorno a sé e - non grandemente sorpreso, invero - aveva constatato che un intero villaggio giaceva sgozzato e stuprato ai suoi piedi. Nella solitudine delle mancate risposte, era sopraggiunta una figura oramai familiare.

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Con passi regali a discapito del sangue che aveva da calpestare, il Re - il suo nuovo Re - lo aveva raggiunto.
Non ricordava bene i dettagli di quella conversazione, ma aveva ben chiaro l'ordine impartitogli: rimettere in sesto quel macello, per motivi che non gli era dato conoscere. Ragionandoci in seguito, durante le lunghe ore di solerte esecuzione delle direttive ricevute, aveva compreso a grandi linee come si fossero svolti i fatti.
Era partito dal Maniero con direzione Bottiglia Verde; ivi giunto le voci si erano fatte più forti del solito, assediandolo da ogni lato e costringendolo a compiere ogni genere d'efferatezza. Un'influenza esterna al solito bisbiglio folle che lo tormentava era plausibile, probabile a dir poco. Qui gli veniva sempre da sorridere: se gliel'avessero chiesto - nemmeno ordinato, che cazzo! - avrebbe ucciso, violentato e bruciato allo stesso modo. Forse persino con maggiore efficacia.
Sogghignò, nelle tenebre in cui era relegato.
Con la lama corta continuava imperterrito a svolgere il suo compito di pulitura. Volgarmente, qualcuno avrebbe detto che li stava scuoiando tutti. Dal primo all'ultimo, i cadaveri che lui stesso aveva creato erano passati sotto le sue amorevoli cure. Impiccati per le caviglie. Grondanti sangue. Smembrati. Tagliati. Castrati. Ridotti a brandelli di carne, o svuotati da ogni umanità residua.

« ...io li ho salvati. »

Sollevò il capo, ad affrontare con lo sguardo quell'affronto alla sua beneamata quiete.
Era stato il Sovrano a parlare, aprendo le porte della cattedrale con la sua solita, inconfondibile teatralità latente. Il caduto intravide qualche altra sagoma, nella notte. Non vi fece caso; non poteva importargliene meno di così. Aveva un lavoro di coltello da finire, un lavoro che gli piaceva dannatamente e per il quale era stato perfino un poco grato a quel Re ragazzino sputasentenze. Gli piaceva, quel tizio. Non voleva ammetterlo, né mai lo avrebbe fatto, ma gli piaceva. Come probabilmente tutti i suoi fratelli, nemmeno Bronnigar Harrenhall, un tempo Lord anch'egli, era rimasto impassibile di fronte al fascino della figura folle ed insieme composta della mente del Leviatano.

« ...e io li ho appesi come avevate chiesto, Maestà. » brontolò, senza arrestarsi

Il rumore sgusciante della lama sulla carne morta di un uomo qualunque continuò imperterrita a riempire la sala.
Con cadenza costante, quasi ritmica, andava e veniva inseguendo il suo stesso riverbero. L'uomo che ne era fautore - il Guitto, il mostro - sedeva scompostamente sui gradini dell'altare, con un piede per metà immerso nel sangue che era colpevole d'aver versato. Silenzio era conficcata nel suolo lì a pochi passi, sudicia e lorda come il suo padrone, i cui capelli unti cascavano in basso a coprire parzialmente lo sguardo cinico, immobile e concentrato.
Chi avesse guardato nella sua direzione, avrebbe visto solo un uomo
intento a svolgere minuziosamente il proprio macabro compito.
 
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view post Posted on 7/11/2010, 12:04
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Maestro
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Santa Madre Nuova - Interno
Alcuni minuti dopo



« Tutto qui. »


C
ircuìti. In modi diversi. Per ragioni diverse: finanche con parole diverse. Ma alla fine tutti e tre accettammo le ragioni di quel Re, il suo assurdo contratto dai contenuti sconosciuti, ma ben poco promettenti. La donna in armatura seguitava con i suoi inopportuni sproloqui. Tuttavia, questa perse lentamente importanza innanzi al pericolo ben più grande, al quesito ben più grande che ormai mi si parava innanzi: in cosa ci avrebbe condotto il Sovrano?
E per un attimo mi parve di scorgere un ghigno divertito sul volto di questi. Ma non un ghigno semplice, innocente di sincero divertimento. Un ghigno che avrei osato definire
d i a b o l i c o, contorto di sadico piacere, grondante di distorto – cinico – godimento. Fu un attimo e non ebbi nemmeno il tempo di decifrarlo o di capire se non fosse che un altro scherzo della mia mente corrotta e prevenuta: non ebbi nemmeno il tempo di capire se me lo ero s o l o i m m a g i n a t o.
Eppure, lo vidi riflettere, perdersi in qualche pensiero troppo grande o troppo importante perché noi potessimo anche solo provare a comprendere. Lo vidi poi farci cenno con le mani, invitarci nel ventre di Santa Madre Nuova: e in nessun momento riuscii più a scacciarmi dalla testa quel ghigno che impropriamente mi era sembrato di scorgere.
E in nessun momento riuscii a scacciarmi dalla testa l’idea che fossimo stati
c i r c u i t i, imbrogliati, o, più propriamente, s e d o t t i a divenir parte di qualcosa di turpe e misterioso, di distorto e raccapricciante: qualcosa che ci avrebbe corrotti totalmente, oppure distrutti. Eppure: eppure non per un sol momento avrei voltato le spalle e ripreso la via del ritorno. Era come se quel morboso concentrato di ansia e dolore fosse, in qualche modo, coinvolgente, allettante. Era come se un’irrefrenabile curiosità mi spingesse a coinvolgermi talmente tanto con la situazione, da sentire ormai il bisogno fisico di divenir parte della mente di quel Sovrano. Di entrare in quei ragionamenti misteriosi e contorti, comprendendoli almeno sommariamente. Era come se sentissi il bisogno di capire dove il Re volesse a n d a r e a p a r a r e.

– Cosa significa tutto questo? –
– Cosa nasconde la chiesa? –
– Cosa vuoi da n o i ? –



L
’interno di Santa Madre Nuova era buio e polveroso. L’altezzosità delle guglie e delle antiche rifiniture, proprie di una struttura che mostrava comunque tutto il fascino della sua antica tradizione, faceva da contrasto con la rovina e l’abbandono in cui versava tutto il resto: polvere, soprattutto, ragnatele e decadenza regnavano sovrane all’interno della chiesa. Polvere ovunque, che ogni nostro passo impietosamente sollevava, per poi riposarsi sul pavimento: pareva quasi un torto che il nostro cammino disturbasse il sonno di quel velo grigiastro. Pareva quasi di rovinare l’incanto di quell’antro sopito, un tempo colmo di una qualche nobile regalità e oggi soltanto l’ombra di ciò che era: soltanto il buio teatro delle oscure macchinazioni del Sovrano.


« Sapete; in questo villaggio s'è consumata una terribile tragedia. »


I
l Re riprese a parlare, con parole che mi giungevano gravi e seriose, nonostante il vuoto eco provocato dalle spoglie mura di Santa Madre Nuova. Il senso del suo racconto assumeva un tono cupo e ancor più ansante di quello già conferito dal suo stesso contenuto. Riprese, d’altronde, quasi sorvolando sulle nostre parole, sui nostri interrogativi, sulle nostre riflessioni. Quasi non volesse darci la soddisfazione di giudicarci, di valutarci. Quasi come se il mistero del dubbio fosse una punizione ben più grave di qualunque giudizio negativo. In qualche modo l’avevamo disturbato e, in qualche modo, avremmo scontato quella colpa.


« Nessuno avrebbe potuto guadagnare qualcosa dalla scomparsa di un villaggio piccolo e sconosciuto come Bottiglia Verde. I suoi abitanti non erano né ricchi né facoltosi, né i suoi campi erano tanto rigogliosi da giustificare quanto è successo. Eppure... eppure un giorno - un giorno che pareva essere iniziato come tutti gli altri - un demone è comparso alle porte del villaggio. Un demone che, nonostante l'accoglienza degli abitanti, pochi minuti dopo si è immotivatamente fatto prendere dalla follia... »



I
nfine rivelò il mistero atavico nascosto dietro quel piccolo villaggio fantasma. Un racconto che prendeva forma, inquieto e contorto, così come il personaggio che seguitava ad esporcelo. Eppure era curioso: eppure era strano. Cosa poteva spingere un demone a giungere fino a Bottiglia Verde, che lo stesso Re aveva definito un villaggio
p r e s s o c c h é i n u t i l e? E per quale motivo non avevo scorto segno di lotta o distruzione alcuna nella mia breve sosta tra le abitazioni? Quelle stesse abitazioni che il Re parve fermarsi a scorgere, in lontananza, per qualche frazione di secondo. Forse un attimo di rimorso per quell’ennesima bugia versata sulle anime degli abitanti? O forse una considerazione più consona, più logica, non dissimile dalla mia?

« ...e ha sterminato l'intero villaggio. »



Disse, sentenziando l’unica conclusione logica di quell’illogico racconto. Che tipo di d e m o n e poteva avere interesse a massacrare un intero villaggio? Che tipo di creatura poteva prendersi la briga di far ciò?

« Fortunatamente, io ho assoggettato questo demone...l'ho fatto mio schiavo, e ho fatto in modo che il massacro di Bottiglia Verde non andasse sprecato. »



I
l Re poi proseguì nel cammino, distanziandoci di un po’ e, infine, scomparendo come inghiottito dall’oscurità della chiesa. Dovetti faticare alquanto per far abituare gli occhi al buio e comprendere, almeno in parte, il turpe disegno che si andava delineando nel ventre di quello che un tempo era un luogo sacro, ormai demistificato dalla malevolenza degli intenti dei presenti. Qualche attimo e sentii uno sciacquio rompere il silenzio di quell’ambiente: iniziò sommesso, accennato, quasi illusorio. Poi si fece più distinto e, infine, inequivocabile. Quando ebbi modo di poter scrutare nel buio, vidi il Re avanzare con passo cauto, lento e attento. Avanzava in quella che d’impatto mi parve una pozza, una specie di laguna formatasi nel ventre della struttura. L’acqua, però, mi parve strana: scura, densa, ben diversa da quella che su due piedi ipotizzai essere acqua piovana filtrata dai pertugi. Solo poi realizzai l’immonda verità: sangue, sangue rosso scuro, denso e impuro. Sangue ovunque: sangue diffuso, al punto da formare un piccolo lago, profondo fino alle caviglie.
Feci un passo indietro, badando bene di mantenere la fredda integrità che mi ero imposto di mostrare agli occhi del Sovrano, e a quelli dei presenti, ma a fatica. Mi posi subito il dilemma di capire da dove tutto quel sangue provenisse e mi maledii per questo nell’attimo successivo, quello in cui, alzando lo sguardo, ebbi l’infame risposta: corpi. Corpi
o v u n q u e.

A
ppesi per le caviglie. Nudi e scuoiati: privati della pelle, dopo che della vita. Erano appesi al soffitto come trofei di guerra, gocciolando verso il basso ciò che rimaneva del loro sangue. E oltre l’altare, inchiodati al muro, v’erano i visi: i visi di uomini, donne e bambini. Visi di un villaggio che un tempo viveva la propria tranquilla vita di provincia, e che ora risiedevano fissi su di un muro di pietra, segnati da un destino infame che ne aveva reso vittime di un presunto demone, oggetto di una presunta furia di cui ora, ancor meno di prima, riuscivo a trovare una lucida e sana spiegazione.
In fondo, poi, riuscii a scorgere la figura di un uomo, un uomo robusto, un guerriero probabilmente, seguitava con macabra minuzia a terminare il raccapricciante compito che qualcuno gli aveva conferito. Presumibilmente era lui il principale autore di tutto quello scempio. Presumibilmente, era lui il
d e m o n e.

« ...io li ho salvati. »


I
l Re sentenziò: e per l’ennesima volta mi parve uno sproloquio. Questa volta, però, non da rabbia sanguinaria fui colto, nonostante l’evidenza. Piuttosto da macabra curiosità. Come poteva il Re anche solo pensare che tutto quello potesse essere considerata... una
s a l v e z z a. In quale modo egli poteva anche soltanto pensare di aver salvato quelle anime innocenti, abbandonate ad un destino crudele? Forse era vero: forse non aveva compiuto lui quel satanico genocidio. Ma violare la sacralità della memoria di quelle persone, affermando di averle salvate, quasi in atteggiamento di beffarda compiacenza, mi sembrava troppo: troppo, anche per un Re. Come non si può giudicare tutto quello?

Quale tipo di s a l v e z z a può aver alleviato il peso di quel massacro?



« ...e io li ho appesi come avevate chiesto, Maestà. »


D
isse l’uomo in lontananza, probabilmente notando – ma, ignorando – la nostra presenza, del tutto preso nel suo minuzioso, ma sadico, compito di
r i f i n i t u r a può aver alleviato il peso di quel massacro?.
Rimasi scosso, turbato per alcuni minuti: scrutando i corpi, il sangue, i visi inchiodati al muro e l’incedere orizzontale della lama dell’uomo in lontananza, che, nonostante la nostra presenza, non pareva minimamente turbato dall’evidenza delle proprie gesta. La salvezza, però, era ormai il punto. Eravamo forse solo adesso giunti al centro del discorso: di quale salvezza parlava il Re?
Strinsi i pugni, ricercando dentro di me il coraggio sopito e spaventato da quel paesaggio ripugnante. Immersi prima uno stivale, poi l’altro. Sentii il freddo gelido del sangue dei morti arrivare alle mie caviglie e risalire fino alle ginocchia, al ventre, al cuore e alla mente. Mi parve per un secondo di risentire il lamento di quelle gole sgozzate, di quei corpi trafitti e poi privati anche della propria dignità, insieme con la propria pelle. E pian piano il senso di disgusto si placò, cedendo il passo col bisogno di sapere, di capire. Sentivo il momento del giudizio giungere a grandi passi: ma proprio ora diveniva di fondamentale importanza comprendere la grandezza del disegno del Sovrano. Se di grandezza poteva realmente parlarsi.

image

<< Non li avete salvati dalla morte, Maestà, per vero... >>



Avanzai con lo stesso passo incerto del Sovrano, portandomi più vicino a lui, al centro della cappella. Per parlargli, per chiedergli di render conto di quelle azioni, dovevo poterlo guardare nuovamente in volto. Dovevo poterne scrutare nuovamente le smorfie del viso.


<< Li avete salvati – forse – da una vita inutile e fine a se stessa ? Li avete salvati da un’esistenza riprovevole, per renderli parte della
v o s t r a g l o r i a >>



P
arlai, ripensando alle parole incise sul corpo della donna, che ormai giaceva disfatto in cenere alle porte della chiesa. Avanzai ancora, con passo cauto, ma sicuro quanto più possibile. Badai bene di non dare alle mie movenze un tono irrispettoso, di sfida, o pericoloso in genere. Non sarei stato tanto
s t u p i d o da sfidare nuovamente il Re, con un essere tanto folle da scuoiare un villaggio intero che mi fissava. Dovevo agire cauto – ormai – ne andava anche della mia pelle, oltre che della mia morale.

<< Vi prego, Maestà, di abbassarvi ad un tono più chiaro, un qualcosa che il mio sommesso intelletto possa capire... >>



E
ppure non potevo non sottolineare la necessità che alle parole del Re, infine, seguitasse una spiegazione chiara. Un qualcosa non più velato da arcani o raggiri lessicali. Una definizione priva di ombre di quanto da lui appena affermato. E per farlo, mi resi opaco, traslucido, come un fantasma brillante che, nel centro di Santa Madre Nuova, vagava errante in quel lago di sangue. Un’anima in pena cui era necessaria una spiegazione chiara per saziarne la sete di verità. Mi portai ad un palmo di naso dal Sovrano, sperando di potergli fermare gli occhi bianchi lucenti sul suo viso freddo e privo di emozioni. Lo fissai dritto negli occhi, sperando di riuscire a coglierne lo sguardo. Infine conclusi, con tono il più possibile freddo e distaccato.

<< Da cosa – d i a v o l o – li avete salvati, e s a t t a m e n t e ? >>


SPOILER (click to view)

ReC:
275
AeV:
250
PeRf:
150
PeRm:
275
CaeM:
200
Immenso:
40%
Alto:
20%
Medio:
10%
Basso:
5%



image

Del Fisico: Tre ferite leggere alla mano sinistra (Basso)
Del Psichico: Turbato (ma illeso).
Dell'Energia: 125% - 5% 1% = 124%
Delle Attive:

CITAZIONE
Lo Spettro (Personale) - Con un consumo di energia variabile, Shakan è in grado di creare una potente illusione che, fondendosi col proprio corpo, modifica la propria immagine percepita dagli occhi di chi la osserva. Shakan apparirà come un fantasma: il suo corpo sarà pallido, taslucido, quasi trasparente, gli occhi lucenti e tutti i tratti e gli aspetti del proprio essere si modificheranno di conseguenza, in modo da apparire, in tutto e per tutto, una presenza "spettrale". Inoltre, variando il consumo di energia, Shakan potrà rendere tale illusione più o meno complessa (passando, per esempio, da semplice fantasma pallido e sfocato, a potente spirito di una divintà ancestrale): in questo senso, Shakan potrà scegliere la forma, la caratterizzazione e la natura "spettrale" che più gli sembrerà adatta alla situazione, parlando, muovendosi, combattendo e, in generale, relazionandosi, allo stesso modo in cui farebbe un vero fantasma della stessa tipologia. A cambiare, però, sarà in concreto soltanto il grado di "terrore" generabile dalla stessa illusione (usando come parametro in tal senso la percezione di un umano medio), con tutte le conseguenze eventuali legate alla sua percezione. L'effetto dura un post. Consumo di energia: Variabile (Basso)

Delle Passive:

Solitudine (razziale): difesa psionica passiva
Non pago per le mie colpe (dominio I): illusioni castate senza vincoli fisici né concentrazione;
Il potere è parte di me (dominio II): illusioni scontate del 5%, ma mai sotto l'1%;
Che io sia dannato (personale di metagame): permette di usare abilità necromante;
Vivi il mio tormento (personale): le evocazioni sono intangibili e immuni ad attacchi fisici.

Delle Armi: -

Washi, la carezza del fantasma: equipaggiata braccio sinistro, artigli non estratti;
Frusta: legata alla cintura

Del Riassunto: //

Delle Note:
Giusto per dire che uso l'abilità lo Spettro a livello basso per darmi le sembianze di un fantasma, traslucido e opaco, dagli occhi brillanti. Giusto per effetto scenico, ovviamente.
 
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32 replies since 23/10/2010, 11:12   2789 views
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