Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Echi di un assassinio, Zaide contro Assassino

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 16/11/2010, 01:10

Esperto
······

Group:
Member
Posts:
4,537
Location:
Oltre la Barriera.

Status:


Non accennava a smettere.
Quella dannata bambina strillava e piangeva da troppe ore.

Fuori il tempo continuava a scaricare secchiate d’acqua che sciacquavano l’intero villaggio come un trogolo di maiali troppo lurido e troppo debordante.
Dio, come odiavo quell’insulsa bambina.
Quella puttana della madre avrebbe dovuto mollarle un bel ceffone. Così avrei fatto io. O peggio.

Mi disturbava.

Mi irritava.

Mi innervosiva oltre misura.

Sapete quando le mani prudono così tanto da doverle menare contro un muro per sfogarsi? O quando ti viene voglia di prendere a calci un cane per il gusto di sentirlo guaire?

Ecco come mi faceva sentire il pianto di quella stupida.
Mi stava distraendo dal mio lavoro, il bel lavoretto che mi avrebbe fruttato la bellezza di mille scudi una volta portato a termine. Uno dei tanti.
Non era bello. Non era pulito. Ma io ero uno dei migliori. Il migliore. E non potevo permettermi di distogliere l’attenzione dal tavolo ingombro di carte e planimetrie, strumenti essenziali per il mio successo.
Quella dannata mocciosa.
Al pianto della bambina ora si sommavano le urla isteriche della madre.

Ci mancava.

I miei nervi stavano per cedere, la mano destra mi tremava come in preda alle convulsioni sul piano del tavolo.
La lama luccicava, invitante.
La donna urlava. Nervosa. Folle. Ma mai quanto me.
Spalancai la porta con un calcio.
La donna si ritrasse, ammutolita. La bambina strillava e frignava.
Oh, come detesto gli inutili piagnistei!

Tutto sommato fu una cosa rapida. Non proprio pulita, come sempre nel mio lavoro.
Ma che importava.
Potevo tornare a studiare le mie carte in pace.

image


Fat Whore, 2:15 a.m.


Il suo stesso grido la svegliò. Pallida e sudata, Zaide cercò di controllare il respiro mentre, ansimante, si passava una mano fredda sugli occhi per convincersi di aver solo sognato.

Solo sognato.

Era sconvolta. La mano le tremava mentre cercava di versarsi dell’acqua nel bicchiere. Ma le scivolò via, andando a frantumarsi sul pavimento in mille schegge di vetro che le si conficcarono nella pelle nuda della gamba. Ancora col cuore in gola, sfiorò con la punta del dito la goccia di sangue che stillava dalla minuscola ferita. Una lacrima rossa che splendeva sulla sua pelle chiara.
Il ricordo dell’incubo che la tormentava da giorni le provocò un conato che la fece sussultare, facendole desiderare, per l’ennesima volta, di trovarsi in un posto dove potesse uscire e respirare l’aria fresca e guardare il cielo stellato in riva a un lago. Si alzò facendo attenzione a non calpestare i cocci di vetro e uscì dalla cabina.
La Fat Whore continuava il suo pigro viaggio nel nulla, galleggiando nelle immensità del cielo nero; ma Zaide non riusciva a scrollarsi di dosso l’atrocità delle immagini che assalivano il suo sonno notte dopo notte.

Il corridoio era immerso nell’oscurità e avvolto nel silenzio più assoluto. Si appoggiò un momento a una parete, cercando di radunare la ragione e di realizzare che un sogno non può fare del male. Sotto la leggera sottoveste sentiva ancora la pelle umida di sudore freddo; rabbrividì e si accorse che girovagando si era spinta fino alla sala di accesso all’hangar delle capsule di trasporto ordinario. Cosa stava facendo? Era solo sconvolta da quel maledetto incubo ricorrente. Non doveva lasciarsi trascinare dall’impulso del momento. Anche se stavolta vedere la scena direttamente dagli occhi dell'Assassino era stata un'assoluta novità. Abominevole.
Indugiò per un momento con il viso premuto sul vetro che separava il corridoio grande dalla sala, poi, determinata come non le capitava da settimane, fece dietrofront per tornare in cabina.

Una sottoveste di seta non è la tenuta migliore per andare ad uccidere un assassino.


image


Forse è il caso di fare un piccolo passo indietro.
Lasciamo Zaide frugare frenetica nel piccolo armadio della sua cabina alla ricerca dei suoi più comodi abiti da viaggio, concediamole qualche momento sola per raccogliere le idee, distogliamo qualche minuto lo sguardo mentre indossa i suoi immancabili e un po’ logori pantaloni di pelle, una camicia di lino chiaro e una corta giacchetta di cuoio liso, sotto cui troveranno riparo i suoi fedeli pugnali.

E proviamo ad addentrarci nel labirinto contorto dei sogni e dei ricordi.

Perché quello di Zaide non era solo un sogno. In termini tecnici forse lo era, certo, ma la montagna di sensazioni rievocate in seguito è di un’immensità tale da sconvolgere una vita.

Fat whore.
La puttana grassa.

Che ironia della sorte, trovare approdo in un porto con un nome del genere.
Per una fanciulla che ha lottato una vita per dimenticare di essere stata lei stessa, un tempo, chiamata puttana.
Per dimenticare di aver chiamato “casa”, per anni, uno squallido tugurio in cui bambine e giovani donne venivano vendute alle voglie oscene di chiunque sganciasse qualche soldo.
Per dimenticare di aver assistito più e più volte a scene che di solito si avverano solo negli incubi.

Di solito.

Otto anni sono pochi per assistere al brutale squartamento di una neonata in braccio alla madre urlante.
Otto anni sono troppi per permettere all’inconscio di cancellare come si deve una scena del genere.
Otto erano gli anni di Zaide quando, nascosta sotto un tavolo per gioco, incontrò lo sguardo dell’assassino che si asciugava nella manica il sangue innocente.
Un ospite della “casa”.
Uno dei tanti.
Le pieghe della memoria si avvolsero, pietose, sopra la terribile, solenne promessa della bambina di vendicare quel sangue.

Ma il ricordo trova sempre uno spiraglio da cui soffiare il suo gelido alito di morte.

Dorham, 4:50 a.m.


Il viaggio era stato rapidissimo.
Quelle scomode capsule di trasporto tutto sommato avevano il pratico vantaggio di essere maledettamente veloci; o forse erano i pensieri di Zaide ad essere così vorticosi da renderla del tutto insensibile alla realtà circostante.

Si fermò al limitare di un campo che una volta doveva essere coltivato a granoturco, ma che oggi sembrava ricettacolo di erbacce e rampicanti di ogni tipo, che si attorcigliavano a palizzate storte e recinti abbandonati. Il cielo plumbeo lasciava a malapena indovinare il sorgere del sole, che doveva essere lì da qualche parte dietro quell’impenetrabile coltre di nubi pesanti e grevi di pioggia.
Di fronte a lei, ai piedi dell’immenso Lyachat, si perdeva a vista d’occhio l’incredibile accozzaglia di costruzioni che incomprensibilmente si fregiava del nome di città.

Dorham.


Tetro intrico di vicoli e misteri, squallido ricetto di bugie e violenza, potente e subdolo covo di inganni.
L’aria pesante e cupa sembrava sottolineare con un velo di nebbia la deformità grottesca delle case, o meglio, baracche accatastate le une sulle altre come se l’idea di spazio aperto fosse un concetto da aborrire a tutti i costi.

Zaide si inoltrò con prudenza in quella che ricordava essere la strada principale.
Vetrine sbarrate da assi di legno, finestre inchiodate e sudice tende a coprire gli ingressi delle case. I suoi passi non risuonavano nemmeno nel silenzio, assorbiti dallo strato di sudiciume che copriva il selciato; in alcuni tratti il vicolo era così stretto che allargando le braccia si sarebbero potuti toccare i muri che costeggiavano entrambi i lati.

Non aveva paura.
Dopo tanti anni ormai conosceva fin troppo bene il potere che certi ricordi, anche se sotto forma di incubo, risvegliano nel nostro corpo e nel nostro istinto, per dubitare che l’intuito la stesse conducendo nel posto giusto. Non era per lei certo un mistero che arriva un momento, per le anime insonni dei morti, in cui il desiderio di compiere l’opera iniziata nel mondo terreno si fa tanto forte da bussare alla porta di chi sa cogliere il richiamo dello spirito.
Il sangue versato quasi vent’anni prima l’aveva chiamata. Era arrivato il momento di vendicare l’abominio commesso da quell’uomo, e lei avrebbe suggellato la promessa di una bambina spaventata.

La strada, tortuosa per un paio di chilometri, stava ora allargandosi in uno spiazzo sporco circondato da quello che si sarebbe detto il cuore pulsante del quartiere. Lì le luci spettrali di lanterne annerite davano a quella mattinata tetra un colore ancora più funereo e desolato.
Ancora avvolta nel silenzio, la città si svegliava.
Nella leggera brezza un lume quasi del tutto consumato dondolava avanti e indietro sulla porta consunta di un locale dall’aria inequivocabile.
Negli occhi di Zaide per un istante parve scorrere un tempo infinito. C’era stato un tempo in cui accendere quel lume era uno dei suoi compiti. Al crepuscolo prendeva uno sgabello, ci si arrampicava e incendiava lo stoppino; poi tornava in cucina o a svolgere piccole mansioni affidate alle bambine della Casa. Prima, naturalmente, che raggiungessero l’età in cui essere gettate in pasto alle bestie che frequentavano il locale.
Trafficanti, marinai, truffatori e sicari.
Zaide si riscosse dai suoi pensieri quando il lume vacillò e si spense per via dello spiffero provocato dalla porta che si apriva e lasciava uscire un individuo alto, avviluppato in una cappa nera. Prima di imboccare il vicolo alla sua destra, voltò la testa quanto bastava perché Zaide potesse scorgere i suoi gelidi occhi di ghiaccio e il viso appena segnato dall’età; a sfregiargli l’espressione altera, una cicatrice che attraversava il viso dalla fronte al mento.

Inspirò profondamente e si mise dietro i suoi passi, leggera e furtiva.
Era Lui.


Piazza del Mercato di Dhoram, 6:00 a.m.


Il brusio che contraddistingue normalmente la piazza del mercato di qualunque centro abitato, che sia un villaggio o una città, è una delle poche certezze che ci si aspetta di incontrare in qualunque angolo di pianeta. Compratori mattinieri che discutono animatamente il prezzo della verdura e rumori e fruscii e scalpiccii e tonfi di casse ovunque. Piccole bancarelle che espongono fin dall’alba la propria merce, venditrici solitarie che cantano una nenia in qualche lingua sconosciuta. Cani che si intrufolano tra le gambe dei passanti nella speranza di sgraffignare un po’ di prosciutto o almeno frugare nella spazzatura che fin dalle prime ore del mattino inizia ad ammonticchiarsi ai bordi del selciato.

Ma non a Dhoram.

Da molti anni, probabilmente, non era più così. Davanti gli occhi di Zaide, vecchi relitti di bancarelle si ergevano come spettri malinconici in una piazza deserta e maleodorante. Mucchi di detriti accumulati da anni nascondevano chissà quali orridi segreti. Una fila di case diroccate e apparentemente abbandonate incorniciava la piazza, su cui si stendeva, cupo e soffocante, un fitto banco di nebbia.

Ad un tratto, i passi dell’uomo si arrestarono. Zaide trattenne il respiro: era piuttosto lontana, ed era certa che lui non l’avesse notata.

- Che cosa vuoi?

La voce, profonda e imperiosa, era un boato nel silenzio della piazza.

- Ho detto, che cosa vuoi?

Nervosamente, Zaide si appiattì contro il muro di una catapecchia e più piano che poté uscì allo scoperto nella piazza. Sentiva che non fosse saggio rimanere intrappolata in uno dei vicoli ciechi che costellavano il perimetro del mercato. Avanzò lentamente fino al centro della piazza senza perdere di vista la sagoma scura dell’uomo in mezzo alla nebbia, rimanendo sufficientemente lontana perché la bruma continuasse a nasconderla ai suoi occhi. Eppure quell’uomo pareva avere un sesto senso che captava la sua presenza nonostante non potesse scorgerla con la vista.

- So che sei lì, e so che mi segui.

Fece una pausa, e la sua voce divenne un basso ringhio: - Perché?

Zaide tacque ancora per qualche istante. Cercava di intuire quale fosse il punto debole di quell’uomo, dal momento che pareva non avere paura di trovarsi da solo, in un luogo isolato e senza visibilità, in compagnia di una presenza sconosciuta.
Ma non era venuta fin là per rimanere nascosta.

- Un Incubo. Un Incubo ha atteso diciassette anni prima di venire a svegliarmi. Mi conduce a te il sangue di un sogno.

Parole volutamente arcane, pronunciate per infondere alla sua figura, ancora confusa nella nebbia, un alone di mistero e ieraticità che le sembrava appropriato alla sua missione vendicatrice. Lentamente, avanzando verso l’assassino, Zaide levò una mano al cielo e concentrò i suoi pensieri sul ricordo di quel terribile giorno.
L’urlo nero della madre.
Il pianto ignaro di una neonata.
Fasce insanguinate e inutili sparse per tutto il pavimento della stanza.
Orrore del fatto, dolore della perdita, rimorso e vendetta in un unico gesto vindice che avrebbe sconvolto la mente di chiunque.

Il sogghigno impassibile dell’uomo, comparso nell’udire una voce femminile rivolgersi a lui, si raggelò per un momento sul suo bel viso di pietra. Gli occhi si spalancarono in un’espressione di sgomento, mentre la sua mente veniva scardinata da un assalto di incubi che solo lui avrebbe il potere di descrivere. Zaide era a pochi metri ormai, gli occhi piantati nella smorfia d’orrore dell’uomo. Non gli avrebbe concesso tregua, avrebbe riversato in lui tutta la sofferenza di un’anima incatenata al proprio dolore ultraterreno.

Moran. Un fugace ricordo aveva attraversato la memoria di Zaide: il nome di quell’uomo era Loth Moran. Era un ospite fisso, lì alla Casa. Quante volte era toccato a lei di andare a consegnargli missive indirizzate a lui, ricevendone in cambio a volte una moneta di rame, a volte un calcio in faccia. L’orrore dell’infanticidio aveva cancellato quel dettaglio dai suoi ricordi.

– Moran – lo chiamò. Era inginocchiato a terra. Per un momento accanto al terrore di arcane visioni nel suo volto parve affiorare anche la preoccupazione di sapersi spiato, controllato. Certo non una bella cosa, per un sicario professionista.
La mano di Zaide era prossima a sfiorargli il volto contratto in un’espressione di puro terrore, quando lei decise di interrompere la tortura sferrandogli un pugno dritto in bocca. Un uomo debole, pensò, uno sciocco, inutile vigliacco. Colto di sorpresa, l’uomo vacillò sulle ginocchia ma si rialzò prontamente passandosi la lingua sul labbro spaccato. Cercò di ricomporre il viso nella sua abituale espressione di gelido disprezzo, anche se il respiro lievemente affannoso tradiva il suo turbamento, e il lieve tremore che gli increspava il tiepido sorriso non era altro che lo sciocco tentativo di imporre la propria inetta presenza di fronte al mondo.

Zaide lo disprezzava.

Non era altro che un arrogante e pavido bastardo, dal sangue sporco di chi non ha mai chiesto nulla alla vita se non per proprio tornaconto personale.
Non valeva la pena insozzarsi le mani per quella nullità.
Con passo lento e nobile, la fanciulla si allontanò dall’uomo ancora tremante, riflettendo sull’inutilità di quel viaggio: che senso aveva punire un uomo che si era già inflitto da solo il peggiore dei mondi possibili?

Un fruscio appena percettibile e il sibilo penetrante nell’aria dietro di lei la fecero voltare di scatto, appena in tempo per deviare con un rapido spostamento dell’aria la lama che puntava dritta alla sua gola. Il movimento della mano era stato rapidissimo, ma non abbastanza per schivare il secondo stiletto che l’assassino le aveva destinato: la lama per fortuna non penetrò ma incise sul dorso della mano sinistra un taglio che iniziò a sanguinare copiosamente.
Moran era in piedi, trionfante: l’orribile ghigno che gli deturpava il volto era la stessa maschera di piacere sadico che Zaide bambina conservava impressa nella memoria di quel terribile giorno.
Una maschera di morte e perversione che andava distrutta.

Una seconda spinta di puro vento sollevò tutt’intorno a loro una folata di terra e cenere accumulatasi in anni di abbandono: un grosso pezzo di legno, retaggio di qualche bancarella andata distrutta, si sollevò dal terreno sudicio e roteò per qualche istante nell’aria mettendo in mostra come una schiera di denti acuminati una fila di chiodi piegati e arrugginiti. Un lieve movimento del polso e la trave andò a sbattere sulla faccia dell’uomo, strappandogli un gemito di dolore.

Almeno quel dannato ghigno era sparito da quel volto odioso.

Si teneva il viso tra le mani, come per saggiarne l’integrità, e Zaide non aspettò la risposta: sfilatasi due corti pugnali dalla cintola, li scagliò facendoli roteare nell’aria mirando ancora alla testa dell’uomo. Era come se in quegli occhi, in quella bocca, ci fosse il fulcro della malvagità che Zaide si era ripromessa di estirpare. Riuscì a fatica a trattenere uno spasimo di dolore mentre imprimeva alle lame la giusta rotazione per colpire: il sangue le colava dalla ferita aperta inzuppando la manica della camicia di un rosso cupo, distraendola per un secondo dal suo bersaglio.

I due pugnali erano andati a segno nel punto dove un istante prima c’era la testa di Moran: conficcati in una tavola di legno, vibravano ancora come uno strumento musicale abbandonato dal loro arpista. Ma, quasi si fosse volatilizzato nell’aria, l’uomo sembrava svanito nel nulla.
Per un momento, nella piazza tornò a regnare solo il silenzio più totale.

La nebbia era ancora fitta, ma gli occhi di Zaide, che pure erano avvezzi a ben altri gradi di oscurità, non potevano scorgere Moran da nessuna parte. Rimase immobile e tesa, pronta a captare ogni minima sfumatura potesse insorgere nel silenzio assordante. Poi, alle sue spalle, udì un inconfondibile fruscio di terra smossa, come di un animale che emerge dalla sua tana, e fece appena in tempo ad assistere alla straordinaria apparizione di Moran che emergeva rapidamente dal terreno con due dita levate davanti a sé, un gesto semplice quanto, Zaide lo sapeva, foriero di temibili conseguenze.
Non sapeva cosa le sarebbe accaduto: la terra sotto i suoi piedi vibrava e si tingeva di scuro, mentre l’assassino con voce suadente le parlava:

– Non dirmi che speravi di non rivedermi più, dolcezza...Ti accontento subito!

E gli occhi di Zaide sprofondarono in una cecità mai sperimentata prima, nel buio impenetrabile della notte mortale che non lasciava scampo: non vedere era un’esperienza devastante che la torturava, era come essere privati di un braccio, le pareva di soffocare e non sapeva dove voltarsi per mettersi in salvo dal suo invisibile aggressore.

Gridò, e dal suo grido nacquero due Specchi che l’avrebbero affiancata nella terribile prova del Buio.

Agli occhi di Moran, che già si era lanciato contro la sua avversaria cieca brandendo la sua spada più affilata, apparvero due fanciulle in tutto e per tutto identiche alla folle ragazza che aveva osato attaccarlo: come tre bellissime muse, le ragazze intrecciavano le loro mani e continuavano a mutare di posizione,in un inquietante girotondo di specchi.
Qual era la strega da uccidere? Tutte e tre sembravano coprirsi e proteggersi a vicenda, impossibile dire se fossero tutte mortali o tutte illusioni di qualche demonio.

Irato per lo stratagemma, Moran scagliò violentemente la lama contro la più vicina delle tre fanciulle, che svanì volatilizzandosi nell’aria in una lieve nube di vapore rosato. Ma non poté continuare l’attacco, perché una seconda strega lo stava assalendo con la violenza di una furia. Lo spinse a terra, lontano dalla sua spada, la sua ultima arma, stordendolo come una fiammata di potenza inaudita, e poi svanì anch’essa come la sua gemella.

Disteso a terra, Moran recuperava le forze studiando la situazione. Non aveva armi, e la strega stava riacquistando la vista.

Zaide da parte sua, aveva assistito inerme allo scontro degli Specchi affidandosi unicamente all’udito, e fu con gratitudine e immenso sollievo che si accorse che a poco a poco i contorni delle cose riprendevano forma e colore, e che i suoi occhi tornavano a vivere insieme a lei. La paralisi di quegli istanti era stata una tortura tremenda.
Tornò ad osservare il suo avversario, apparentemente sconfitto e disarmato, chino nella polvere e nello sporco.

I suoi occhi chiari incontrarono lo sguardo di ghiaccio dell’uomo, che parve brillare per un momento, più affilato di una lama e più freddo del diamante. Zaide avvertì un brivido dietro al collo, quasi una scossa che la fece sentire profondamente a disagio.

Poi Moran le parlò di nuovo, e questa volta la sua voce non era più velata né di crudeltà né di falsa dolcezza. Era intrisa di trionfo e le sue parole colpivano Zaide dritta al cuore.

– Sei bella, Zaide. Sei giovane. E molto dotata. Dimmi, cosa ti ha spinto fin qui, nel disperato e coraggioso tentativo di annientarmi? Ah, sì. Capisco. Eri molto affezionata a quella creatura, non è così? No, no – rise, beffardo, nel vedere che Zaide si stava muovendo verso di lui per colpirlo – aspetta di sentire quello che ho da raccontarti. E così, ti sei eletta paladina delle giuste cause? Vendicatrice delle anime perdute? Che nobiltà d’animo. Commovente. Certo, a scrutare con attenzione nel tuo cuore, non si direbbe che tu sia esattamente immacolata…– si interruppe per un momento, come per gustare meglio la reazione di Zaide, ammaliata e immobilizzata dalla verità delle parole dell’uomo.

– Cosa stai insinuando? – riuscì faticosamente a dire. – Io...io ti ucciderò, ti ucciderò per quello che hai fatto alla bambina!

– Oh sì. – annuì lui gravemente – Sì. Merita di morire chi compie un misfatto tanto grave. Allora uccidimi, perché è ciò che merita un assassino di bambini. – rise. – Cosa fai? Esiti? Qualche rimorso di coscienza, forse? O forse è l’immagine di...tuo...fratello che ti riempie gli occhi, ora?


– NO!



Zaide urlò, gli occhi spalancati per l’orrore.

– No? Non avevi un fratellino, Zaide? Un dolce, amorevole fratellino che dormiva come un angelo nella sua culla? Te lo ricordi, vero, Zaide?

Le lacrime le rigavano le guance, mescolandosi al sangue e alla polvere che le macchiavano il viso e i vestiti.
La voce le era morta in gola, e i singhiozzi minacciavano di sopraffarla.

– Ma tu lo sai, vero, cos’è successo? Chi l’ha ucciso, dolcezza? Perché lo sai, chi l’ha ucciso…Che peccato, un cucciolo così adorabile…E tutto quel sangue…

Lo sguardo di Moran lampeggiava mentre frugava senza pietà nei ricordi di Zaide, annichilita dall’orrore. Stringeva ancora in mano il pugnale con cui stava per attaccare l’assassino, e lentamente, ubbidendo a un ordine inconsapevole e sovrannaturale, lo accostò alla sua stessa gola.
Ora la voce dell’uomo era bassa e suadente: – Lo sai che è giusto, Zaide. Chi uccide, muore. Chi uccide, deve morire. Lo sai.

La punta del pugnale sfiorava il candido collo della ragazza, le mani così scosse da tremito che la lama graffiava la pelle in più punti.
Dunque, era così che doveva andare a finire?
Chi uccide muore.
Chi uccide deve morire.
Era vero? Quell’oscura verità, sepolta nel passato più remoto di Zaide, oscillava incerta e confusa nella sua mente. Cos’era successo, realmente? Quell’uomo malvagio aveva davvero estratto dall’oblio una gemma di verità?

Zaide inspirò profondamente, abbassando la lama. Le sue mani venate di sangue erano complici di un orrendo delitto accaduto tanti anni prima? Se era così l’avrebbe scoperto. Ma non per bocca di un indegno assassino il cui crimine era avvenuto sotto i suoi occhi. Non l’avrebbe permesso.

Zaide si rialzò, determinata.

Aveva permesso a quell’infame di dominarla e schiacciarla come una sciocca. Ora avrebbe capito di che tempra era fatta la serva della Morrigan.

– Alzati, feccia. – il tono autoritario della fanciulla, fino a poco prima così vulnerabile, parve sorprenderlo. Dunque non era ancora finita?

– Alzati, ho detto!

L’uomo alzò lo sguardo in segno di sfida ma non si mosse. Ma a Zaide bastava quel semplice gesto.
Incatenò gli occhi di ghiaccio ai suoi e un nuovo brivido parve percorrere l’aria carica di tensione che separava i due avversari. Zaide non era più disposta a lasciarsi sopraffare.
Sorrise amaramente, quando sul volto dell’uomo apparve la prima smorfia di dolore. Zaide rimase ad osservarlo con blando interesse, la pietà oscurata dalla volontà di piegare il suo avversario. L’uomo si contorceva a terra emettendo brevi lamenti, talvolta intervallati da un gemito acuto e prolungato che faceva rabbrividire Zaide di ribrezzo da un lato e dall’altro di perverso piacere nell’infliggere la giusta punizione a quel verme.
La polvere, la terra lurida di quella lurida città era l’unico posto che potesse realmente accogliere quel sudicio assassino come meritava.
Piegato in due dal dolore, pareva incapace di reagire con razionalità all’attacco della giovane che aveva fino a un minuto prima deriso e calpestato. Urlava e gemeva, strisciando e accasciandosi su se stesso come uno straccio. Se pensava che Zaide si sarebbe accontentata di vederlo guaire come un cane senza davvero fargli del male si sbagliava di grosso. Senza distogliere lo sguardo dalla sua vittima in balia del dolore, si sfilò l’Athame dell’Anime dalla cintura. Lo baciò delicatamente, dedicando il pensiero a Samira, la neonata uccisa barbaramente da Moran.
E poi lanciò.
Con precisione micidiale, il pugnale saettò nell’aria andando a conficcarsi nel costato dell’uomo, inerme e vulnerabile come un fantoccio: il sangue prese a scorrere, e Zaide interruppe il contatto visivo che le permetteva di perpetuare l’illusione del dolore.
L’uomo ansimava, tamponandosi la ferita e osservando con odio crescente la giovane donna che non era riuscito a schiacciare. La vide avvicinarsi a lui, chinarsi e osservarlo con uno sguardo misto di vendetta e preoccupazione. Preoccupazione. Mancava solo che quella strega iniziasse a compatirlo! A lui non serviva la pietà di nessuno.

Il volto di Zaide era a pochi centimetri da quello dell’uomo.
Era solo un uomo sconfitto.
Non intendeva colpirlo.
Voleva solo guardarlo. Odiarlo. Disprezzarlo. Ma non ucciderlo.

Un’esitazione che le costò cara, perché non appena l’assassino ebbe intuito che Zaide non avrebbe più attaccato, si mosse con un’agilità sorprendente scaraventandola a terra in un batter d’occhio. In un istante fu sopra di lei, schiacciandola a terra con il suo peso, incurante del sangue che sgorgava copiosamente dalla ferita. Zaide si dibatteva nella polvere, cercando invano un modo di sgusciare dalla presa dell’uomo.
Ma era inutile: il suo corpo delicato non poteva nulla contro la prestanza di un uomo nel pieno del vigore fisico. E lui, consapevole della sua nuova posizione di dominio, sfoderò di nuovo quel maledetto, arrogante ghigno di vittoria: le sue mani andarono a stringersi intorno al collo di Zaide, e iniziarono a premere.
La vista le veniva meno. La pressione di quell’uomo era davvero troppo forte. Aveva una sola speranza. Ignorò il sussurro osceno dell’uomo (– Mi sono sempre piaciute le puttane sottomesse…) e il disgustoso contatto della sua bocca lurida sulla pelle candida e tremante, e con un enorme sforzo di volontà, invocò la sua dea, sue stella e salvezza, il suo mondo e le anime dei morti sue protettrici.
Era stato un uomo ad additarla per primo come dea dei morti.
Era stato un uomo a sfregiarla a vita.
Era stato un uomo a gettarla in giro per il mondo, errabonda e inquieta.
A strapparle le radici. Ora l’uomo avrebbe pagato.

Fulmineo e lucente, il vortice esplose dal corpo di Zaide espandendosi come una stella e scagliando l’assassino lontano da lei. Il turbine vorticava e splendeva, avvolgendo la sua evocatrice di luce e infondendole il coraggio di rialzarsi e tornare alla vita. Un vivo aveva cercato di indurla al suicidio. Le anime dei morti ora le illuminavano la strada. Lontano da lì, lontano da quel luogo di orrore e memoria corrotta.

Lontano da lui e da tutti quelli come lui.

Non l’avrebbe ucciso.
Il suo cuore sanguinava ancora per il lacerante dubbio che le parole di quell’uomo, dettate da un istinto perverso, le avevano innescato nell’anima.
La sua strada non era mai stata semplice. Ora, il percorso si era infittito di rovi. Ma non si sarebbe mai fermata. Avrebbe sanguinato, si sarebbe lacerata. Ma il suo passo non avrebbe mai più ceduto.


image








Zaide

Rec [225 ] AeV [200 ] PeRf [ 100 ] PeRm [ 425 ] CaeM [200 ]

Stato fisico
Una ferita da taglio di livello basso alla mano sinistra; lividi e contusioni dovuti al tentativo di strangolamento

Stato mentale
Sconvolta; danno alto alla mente dovuto all'improvvisa cecità per un turno; danno psionico basso dovuto all'attacco dell'occlumante

Armi:
Athame delle Anime (usato)
Athame del Corvo
Set di 20 pugnali (usati 2)

Attive
Scarbo [pergamena verde "Timore" - costo medio: 10%]
Ce qu'a vu le vent d'ouest x 2 [pergamena bianca "Spinta" - costo basso: 5% + 5%]
Miroirs [abilità personale attiva - costo medio: 10%]
Scarbo [pergamena bianca "Dolore" - costo alto: 20%]
Prémiere Arabesque [abilità personale attiva - costo alto: 20%]


Energia residua
30%

Riepilogo
Un incubo ricorrente induce Zaide a mettersi in viaggio per vendicare un atroce assassinio di cui lei era stata testimone da bambina.

Dettagli dello scontro tra Zaide e Loth Moran, assassino di razza umana:

-Zaide attacca con "Timore" (medio), sconvolgendo l'uomo.

-Convinta di trovarsi di fronte a un pavido, decide di rinunciare allo scontro colpendolo con un pugno e allontanandosi.

-Moran estrae due stiletti e li scaglia alle spalle di Zaide.

-Zaide si volta in tempo per deviare uno degli stiletti con "Spinta" ma rimane lievemente ferita alla mano sinistra dal secondo.

-Zaide sfrutta ancora "Spinta" per lanciare un pezzo di legno pieno di chiodi in faccia a Moran come diversivo, poi lancia due pugnali diretti alla testa dell'avversario.

-Moran evita le lame sfruttando una difesa assoluta che gli permette di lasciarsi inghiottire dalla terra e di riemergere alle spalle di Zaide, castando "trappola annullante" che provoca l'improvvisa cecità di Zaide, in modo da assalirla con la spada.

-Zaide si difende alla cieca usando "Miroirs", la coppia di Specchi che prima confonde l'avversario facendogli colpire la "Zaide" sbagliata, e poi attacca provocando un danno da ustione a Moran.

-Moran adotta una tattica più sottile, attaccando la mente di Zaide con una tecnica da "Occlumante" con cui viene a conoscenza di dettagli scabrosi sul passato di Zaide, quasi rimossi perfino da lei, confondendola e terrorizzandola.

-Zaide dubita di se stessa ma non è disposta a cedere al ricatto di un assassino e si riscuote, desiderando punire l'uomo per l'affronto. Scaglia "Dolore", stordendolo, e lancia l'athame delle Anime, pugnale dal valore simbolico, colpendo Moran all'addome.

-Convinta di trovarsi di fronte a un uomo finito, Zaide si avvicina ma Moran la scaraventa a terra cercando di sopraffarla con la forza.

-Zaide riesce in extremis ad evocare un vortice di spiriti in virtù dell'abilità "Prémiere Arabesque" che scaglia lontano Moran e le permette di rialzarsi.




Edited by Zaide - 16/11/2010, 09:58
 
Top
view post Posted on 17/11/2010, 18:17
Avatar

Darth Side
········

Group:
Member
Posts:
7,705

Status:


CITAZIONE
Interpretazione e Ragionamento: 6.5
Buono. Il combattimento non comprende errori sintattici e grammaticali di alcun genere, e la psiche è ben descritta. Purtroppo ,però, ho riscontrato diverse pecche all'interno del narrato.
Una di queste è sicuramente il cambio di tempo, di cui in certi punti hai abusato. Passi infatti dal passato al presente senza tenere conto dello strano effetto che una simile variazione può fare nel bel mezzo della lettura. Questo non sarebbe di per sè un'idea affatto sbagliata, -anzi, a volte si risolve in un enocmiabile virtuosismo degno di nota- ma, considerando tutte le volte che l'hai utilizzato in questo testo, devo dire che non ne è stato fatto un uso del tutto ottimo. Mi preme quindi invitarti a controllare come questi cambi suonino nel complesso del narrato e, visto che è questo lo scopo che attribuisco al cambio di tempo, di controllare come e quanto spezzano il narrato.
Un altro appunto che volevo farti riguarda il bg. E' molto buono inserire il combattimento in un contesto in cui il pg riesce ad adattarsi e trarre spunto per crescere ulteriormente, però in alcuni punti sembrano esserci delle forzature a livello di trama -se così si può dire: Zaide, infatti, percorre migliaia di miglia per andare a uccidere un uomo e poi, quando -quasi all'inizio- lo rende inerme, gli volta le spalle per andarsene? In assoluto, non sarebbe ovviamente sbagliata una scelta simile, ma nel caso specifico ritengo tu non abbia approfondito abbastanza la questione psicologica per giustificare una simile azione.
Per quanto tu abbia bene in mente il pensiero della tua pg, mi è parso che ancora tu non riesca a renderla al meglio.
In generale, comunque, si tratta di uno scritto sostanzialmente buono.


Movenze e descrizioni: 6
Lo stile è fluido e le azioni sono sempre pulite e chiare. Durante la narrazione riesci a intrecciare bene le azioni con i pensieri di Zaide, ma durante il combattimento in senso stretto, secondo me, non sei riuscita a conferire al duello la giusta rapidità. Le azioni, per quanto ben descritte, non rendono la necessaria giustizia alla rapidità con cui una lotta per la vita dovrebbe svolgersi. E' giusto che all'interno delle battaglia vi siano delle pause "riflessive", però durante gli attacchi e le difese sono mancate la tensione e la velocità d'azione.
Ad ogni modo il livello è, anche qui, sostanzialmente sufficiente.


Abilità e lealtà: 5
Questo è il campo dove ho riscontrato in generale più errori. Il tuo avversario è un assassino con la tua stessa energia e pericolosità, e visto il bg che tu ha dato allo scontro, ha diversi anni di esperienza più di te. Per l'esperienza non sia un parametro scritto, è indubbio che sia un fattore del quale avresti secondo me dovuto tenere conto. Con questo voglio dire che Zaide ha avuto vita abbastanza facile contro un assassino decennale, e oltretutto le sue tecniche non sembrano nemmeno averti messo troppo in difficoltà viste le ferite con cui sei uscita dal combattimento e visto come te le sei procurate. Mi sembra quanto mai inverosimile che
un png del tuo stesso calibro riesca solamente a procurarti una ferita alla mano e una danno Alto alla psiche (A proposito, specifico che l'occlumante di per sè non fa alcun danno alla mente dell'attaccato, si limita solo a rubarne i ricordi, come del resto penso faccia la trappola annullante, visto che la tecnica si esaurisce in un turno soltanto senza lasciare tracce).
Insomma, per quanto il combattimento si sia protratto a lungo con diversi turni di schermaglie, Loth è troppe volte, troppo in fretta e troppo facilmente per essere un'energia verde piuttosto esperta.
Inoltre lo colpisci al petto con un coltello dopo averlo stordito con una tecnica psion, e lui riesce ancora a rialzarsi. Questo mi sembra quasi una forzatura per impedire all'uomo di morire troppo in fretta.
In ultimo, ti informo che la tecnica spinta agisce in linea retta, quindi non puoi scaraventare un pezzo di legno che si trova a terra, contro il tuo avversario.


Voto finale (non media aritmetica): 6
In buona sostanza un combattimento sufficiente, ma -sono sicuro per via dell'esperienza- senza troppe pretese.
Specifico, in ultimo, che questi commenti non vogliono affatto denigrare il tuo impegno, quanto più incoraggiarti a migliorare per fare meglio la prossima volta^^


Naturalmente, per dubbi e whatever puoi contattarmi via pm^^

Guadagni: 250 Gold


 
Top
1 replies since 16/11/2010, 01:10   145 views
  Share