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Ray~, il Re

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Ray~
view post Posted on 1/11/2006, 16:40 by: Ray~
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Come nascono i Re?
E' uso comune credere che un Monarca nasca quando il popolo necessita una guida, o quando una corona viene poggiata sul capo di un potente. Quando le città non hanno altra scelta che sottomettersi a qualcuno di più potente di loro, o quando non vi è altra scelta che consegnare tutto il potere nelle mani di un solo uomo, del quale la fiducia è il pregio più grande.
Esistono però diversi Re.
I Tiranni, che abusano delle loro capacità per sottomettere i loro stessi sudditi.
Le Guide e i Messia, che si autoproclamano regnanti al di sopra di un ristretto gruppo di fedeli, credenti nella loro parola.
Gli imperatori, che della guerra fanno i loro più grande diletto.
I presidenti, che vengono eletti democraticamente, e spesso si ritrovano spalleggiati da altre decine di figure importanti.
Potremmo soffermarci anche sulle sfaccettate opinioni sull'assolutismo, che tanto assoluto non era, per non parlare di altre figure minori come quella del Monarca Illuminato, del Signore, del Principe dello Zar e del Sultano, ma tutto ciò sarebbe inutile, poiché quello di cui parleremo in queste righe, non sarà il solito sovrano. Per esaminare il caso di Ray, però, non possiamo limitarci a dettare le caratteristiche del suo stato. E' quantomeno d'obbligo, infatti, dare un piccolo sguardo al suo passato, e a quali fatti l'hanno reso il Monarca che è diventato. Per farlo, possiamo iniziare il racconto dai tempi del suo apprendistato, quando ancora studiare era il suo più grande diletto.
_______ _ _

« E dai, bello. D'accordo lo studio, ma tu esageri! Cos'è, hai forse intenzione di diventare un Re o simili? »
Le parole scivolarono lente lungo la pelle del ragazzo che, di spalle, concentrava il suo sguardo e i suoi pensieri solo sul libro che aveva sotto gli occhi. "Il principe", di Macchiavelli. Una lettura che il loro professore aveva trovato talmente interessante dal costringersi a condividere tale sapienza anche ai suoi alunni, durante le vacanze.
L'aneddoto ironico dell'amico non era quindi sfuggito a Ray, che di sovrani e monarchi, in quel momento, ne aveva piena la testa.
« Davvero, non puoi mancare! Hanno detto che i vecchi stanno organizzando un poker per aggiudicarsi quelle del secondo anno. Devi venire per forza! »
Questa volta le parole dell'altro riuscirono a catturare la sua attenzione. Non tanto perché gli interessassero le ragazze del secondo anno, quanto più perché se i vecchi organizzavano un poker, lui, effettivamente, non poteva assolutamente mancare. Lui che era la guida di tutta l'accademia.
Le sue dita scivolarono sulla copertina del libro, chiudendolo.
« Forse hai ragione. » Disse con voce atona. « Non ho la minima intenzione di diventare un Principe, e qualcuno li dovrà pure spogliare delle loro vesti, quei vecchi bastardi. »
Sul volto di Ray si delineò un sorriso, mentre il suo amico gli rispondeva con un gesto eloquente prima di reindossare la giacca e scortarlo fuori.
I corridoi dell'accademia erano sempre bui, a quell'ora della sera. Il coprifuoco era rigido, e spegnere le luci era un modo per far desistere gli alunni dall'uscire dalle loro camere la notte, a rischio di inciampare negli sfarzosi ostacoli che avrebbero trovato sulla loro strada. Comodini, bacheche, lampade morte e lucernari ambigui. Persino lui s'era stufato di contare la quantità esorbitante di persone che andavano a sbattere contro i vetri, ogni volta che calava la sera.
Fortunatamente quel giorno la luce della luna proveniente dai lucernari era abbastanza per concedere ad entrambi di seguire un percorso ben preciso.
Ray allungò lo sguardo verso l'ampio cortile al centro dell'accademia, che faceva da parco per gli studenti stanchi che cercavano riposo tra una lezione e l'altra.
Vuoto, solo la grande fontana di marmo bianco al centro sembrava viva, e come lei la grande scritta che la circondava da capo a capo. "Trône du Roi ~ Charles Étienne Chevalier ".
Sollevò un sopracciglio, scettico.
Ancora non riusciva a capire chi avesse il coraggio di sponsorizzare un progetto simile. Una scuola per geni. Il così chiamato "Trono del Re". E non riusciva nemmeno a spiegarsi chi diavolo trovasse il coraggio di dare dei soldi ad un preside che di cognome faceva "Cavaliere". Ma decise di non soffermarvisi più di tanto, e continuò a seguire il suo amico.
Non dovettero camminare molto. A discapito delle sfarzose apparenze, il Trono del Re non era una grande scuola, e si poteva dire che di maestoso, in qualsiasi senso lo si voglia intendere, vi era solo il cortile centrale e la grande fontana di marmo bianco. Così bastò una rampa di scale per giungere nell'atrio, e da lì andarono verso sinistra, innanzi a un pesante drappo argenteo che pendeva dall'alto.
Ray lo scostò con la mano, rivelando un passaggio celatovi alle spalle, e i due vi si inoltrarono, scendendo una scalinata di pietra tanto nera e tanto lunga da sembrare dover portare all'inferno stesso. Un passaggio nascosto che sembrava stare lì sin da prima della scuola stessa, buio e lugubre.
Quando la musica sostituì il rimbombo dei loro passi, seppero di essere arrivati.
Come già detto, il Trono del Re aveva ben poco di maestoso. E non solo per quanto riguarda l'aspetto esteriore dell'edificio, ma anche per la fine che facevano, prima o poi, tutte le persone che vi si trovavano, per una ragione o per l'altra.
Innanzi ai due si apriva un salone di proporzioni gigantesche, illuminato dal fuoco di un camino che da solo conteneva lo spazio necessario per costruirvi un salotto. Lugubri, le lingue di fuoco illuminavano gabbie appese al soffitto, tavoli di ferro battuto e le mura vermiglie di quella che una volta doveva essere stata una perfetta sala delle torture.
La musica, più che altro grida e ruggiti, battevano con forza contro la roccia, graffiandone le pareti, e la folla non aiutava.
Persone ovunque. Sedute ai tavoli, dietro a quelli che sembravano banconi destinati all'alcool, distesi sopra a brande o, peggio ancora, dimenandosi dietro a sbarre o allacciati a macchine dall'aspetto tutt'altro che innocuo.
Nessuno piangeva, però. Tutti sembravano divertirsi come mai avevano fatto in vita loro, e nonostante ogni tanto si vedesse volare anche qualche schizzo di sangue, nessuno sembrava farci caso per più di qualche secondo. Gli uomini ballavano e ridevano dietro a lugubri e contorte maschere scheletriche, corteggiando le donne che, dal volto e dal corpo tutt'altro che celato, civettavano fra le poltrone.
Il suo habitat.
Lento, infilò una mano fra le vesti picee, cercando il suo specchio di tragedia. Trovatolo, le dita si permisero di chiudersi con ossessione sulla candida porcellana solo per qualche istante, prima di coprire il volto del proprietario. E ora che aveva indossato la corona, poteva muoversi nel suo regno.
L'amico lo seguì innocuo, anche lui la maschera ghignante a velarne il viso.
Man mano che Ray camminava, la gente sembrava accorgersi della sua presenza, e terminava quello che stava facendo, concedendosi qualche secondo solo per ammirarne il portamento, muti. La musica smetteva di suonare e gli uomini di corteggiare. I baristi non servivano da bere, e i torturati non gridavano più. Per qualche attimo, gli unici suoni nella camera delle torture sembrarono essere i passi dei due ragazzi, o meglio, di Ray, che s'avvicinava al tavolo da poker.
Col passare del tempo era diventato una sorta di leggenda, in quella scuola.
Migliore negli studi, nelle giocate, di bell'aspetto e carismatico, potente nelle arti magiche e talmente influente da poter sottomettere a se gran parte del corpo docenti. Comparso dal nulla, e proclamato il vero sovrano del "Trono del Re", incontrastabile da chiunque.
Un genio che non aveva mai conosciuto la sconfitta.
Sedutosi al tavolo, riconobbe delle maschere familiari, e si sorprese di quanti tra i vecchi avessero deciso di partecipare a quel gioco. Neanche a dirlo, una folla incredibile si accalcò alle sue spalle, rapida e silenziosa, quasi ognuno di essi volesse essere il primo a sentire Ray parlare, e assaporarne le parole. Lui, dal canto suo, non si sarebbe certo fatto attendere.
Si accoccolò al suo seggio porpora, lascivo, e non si sorprese vedendo alle spalle dei suoi avversari una quantità incredibile di ragazze impaurite e nude, chiuse in una gabbia.
« Ma guarda un po'. Allora non era una balla quella di giocarsi quelle del secondo anno. » Disse ad alta voce, sorridendo mefitico. « Non preoccupatevi ragazze... presto vi tirerò fuori di lì. »
L'affermazione fu tutt'altro che rassicurante. Forse per il tono sarcastico, o forse per lo sguardo folle, o forse ancora perché il gruppo alle sue spalle, sentendo quell'ultima sentenza, scoppiò in una risata incredula e fragorosa, che s'insinuò fin nelle ossa delle tremolanti ragazze.
Il divertimento, però, non sembrava destinato a durare.
« Zitto, stronzo! » Una delle maschere davanti a lui batté un pugno sul tavolo, scatenando un boato di sdegno. « Fin che ci saremo noi in questa scuola, non ti permetteremo di fare il bello e il cattivo tempo! Pensi forse che ci divertiamo a minacciare delle ragazze e portarle qui, solo per insegnarti un po' di disciplina?! »
Ray rise, da sotto la maschera. Ridicolo, come sempre.
« Come non mi diverto io a leggere i libri che lei mi da per compito, professore. Trovo "Il Principe" una delle peggiori letture che abbia mai affrontato... dunque lo scambio non può essere più equo di così. E' sempre comunque triste denotare come l'unico modo che abbiate per mettermi in riga sia... il Poker. »
Aveva colpito nel segno. La maschera ritrasse la mano e si abbandonò sul suo seggio, dedicando uno sguardo impietosito alle ragazze catturate alle sue spalle.
Il Re però non aveva terminato, e allungò un mazzo di carte verso un'altro personaggio che, il volto celato, scrutava tristemente abbattuto le sue stesse ginocchia.
« Cavaliere, prego... a lei la mano. »

Non fu un gioco di molte mani. Ray sapeva muovere le dita così che gli assi gli tornassero al momento buono, e nessuno dei suoi avversari era dotato di una simile destrezza.
Non vinse solo le ragazze, ma anche la loro dignità, chiedendo ad ognuno dei "Vecchi" professori un lungo esonero da esami e test che non pregiudicasse i suoi voti, e il permesso di compiere qualsiasi nefandezza in qualsiasi momento desiderasse.
Lo sguardo di Chevalier, il preside, s'era spento sempre più con l'andare della partita, fino a scoppiare in un pianto disperato. E quando i "vecchi" decisero che era tempo di lasciare spazio ai giovani, scoppiò la festa.
I baristi regalarono tutto ciò che avevano da bere, le ragazze si concessero ai loro più sfrenati desideri e i pazzi strinsero ancor di più le loro torture. La musica si alzò e tutti iniziarono a ballare e graffiare, sotto lo sguardo divertito di Ray, fino a quando qualcuno non fece l'errore di voler toccare il vincitore.
Uno studente del terzo anno, probabilmente ubriaco, si lanciò verso il ragazzo, e gli diede una pacca sulla spalla come se nulla fosse, per complimentarsi con lui.
Fu un attimo. Ray afferrò la mano dello spudorato e la sollevò, per poi rovesciarlo sul tavolo da poker girando su se stesso, spezzando quello che una volta era stato il suo braccio.
Il boato fu assordante, e tutti terminarono di festeggiare.
« Non devi toccarmi, merda. » Dichiarò tremante di rabbia al povero studente, che ormai non poteva più sentirlo. Poi si voltò verso gli altri, e alzò in alto una chiave grigia, in modo che tutti potessero vederla. Era ora di liberare le ragazze.
Le urla ricominciarono, e le persone tornarono a ballare. Gli uomini si accalcarono ai lati della gabbia nel tentativo di trovare e afferrare già una donna di loro gradimento, mentre quelli troppo ubriachi o feriti per farlo si limitavano a gridare volgari apprezzamenti.
Ray aprì la gabbia, e gli studenti vi si fiondarono dentro, ghermendo le ragazzine più terrorizzate. Si voltò alla folla, e una nuova ovazione si alzò in suo onore.
Vide le persone passare accanto a lui col loro bottino, ringraziandolo lentamente ma guardandosi bene dallo sfiorarlo, e quando non ve ne furono più, si volse per richiudere le sbarre ancora una volta.
Fu sorpreso quando vi vide all'interno ancora una ragazza.
Bellissima.
I capelli neri, corti. Il viso aggraziato e gli occhi oltremare, gelidi come il ghiaccio. La pelle pallida. Il seno sostenuto, fiero e alto, faceva da indice alle curve di tutto il corpo, non esagerate, ma cresciute con la maestria di un direttore d'orchestra. Al suo sguardo apparve come una perla.
Tutto nel corpo di lei richiamava femminilità. Le braccia esili, le dita lunghe, la pancia piatta e tonica e le gambe lunghe e lisce come la seta.
Non potendo combattere il desiderio, Ray si ritrovò a studiarla con intensità disperata, sentendo che il sangue nel suo corpo che fino a poco prima stava salendo alla testa, aveva iniziato a scendere verso il basso.
Le si avvicinò, e le prese il palmo della mano, gentile.
Tutto nei suoi gesti era chiaro, sia alla ragazza che alla folla. Quella donna, da quel momento, era diventata sua.
Peccato che lei non fosse d'accordo.
« Non sfiorarmi nemmeno. » Ritirò la mano lenta, sottraendola con garbo alla stretta di Ray. Il suo sguardo era gelido. « Maleducato. »
Detto questo uscì dalla gabbia, prese un drappo trovato lì accanto per coprirsi e, con inusuale regalità, si diresse verso l'uscita della sala, scomparendo allo sguardo dei presenti. Il tutto nel silenzio più assoluto. Nessuno osava pensare quali pene avrebbe dovuto soffrire quella donna per essersi ribellata al volere del Re, e anzi, per non aver accettato l'onore di passare del tempo con lui.
Tuttavia, la maschera dissimulò l'espressione del ragazzo, che al di sotto, rideva e non pativa.
Senza dubbio chiunque l'avesse conosciuto bene avrebbe saputo indovinare che si stava compiacendo per aver incontrato un soggetto degno d'interesse. Ma nessuno lo comprendeva a tal punto, e così, lasciata la sala, tutti pensarono a quell'episodio come la prima sconfitta del Re, senza capire che la battaglia tra lui e la ragazza non era nemmeno iniziata.
Il giorno dopo, in classe, la lezione fu insolitamente pesante.
« Nella concezione dell'uomo di Macchiavelli la «bestia» non rappresenta semplicemente l'immagine della degradazione, della perdita delle facoltà razionali, della discesa ad una cieca incapacità d'agire: al contrario, rompendo dinamicamente l'autosufficienza dell'antropologia umanistica, basata su di un concetto totalizzante di «humanitas» come livello superiore che subordina o espunge ogni possibile espressione di diversità e di alterità, Macchiavelli afferma, accanto allo spazio dell'«uomo», il necessario spazio della «bestia», arrivando a riconoscere e a recuperare tutta la zona di comportamento che la visione umanistica tendeva ad escludere dai propri equilibri. »
Il braccio poggiato sul banco a sostegno del viso, Ray stava concentrando tutte le sue facoltà sul grosso lucernario che si apriva sulla sala, illuminandola come non mai.
Stranamente, si stava pentendo di non essere rimasto nella stanza a leggere "Il Principe". Non aveva guadagnato niente andando a giocare nella cantina la sera prima, se non gli sguardi confusi dei suoi compagni, che ancora non riuscivano a capire come comportarsi dopo l'incresciosa situazione incorsa tra lui e la ragazza di quella notte.
Sbuffò, assonnato.
Se fosse rimasto in camera a terminare la lettura, probabilmente avrebbe potuto occupare quel tempo vuoto ascoltando la spiegazione.
Il professore notò la sua disattenzione, ma proseguì nel suo discorso ignorandolo, o meglio, preoccupandosi di una sua possibile reazione, se disturbato.
« Pur affermando l'autonomia e la validità della «bestia», Macchiavelli doveva necessariamente subordinarne l'uso ad una norma razionale, doveva continuare a distinguere tra la «bestia» dell'uomo «savio» e quella irrazionalmente incarnata nel «pazzo»: In questo modo la «bestia» evitava anche di porsi come modello assoluto... Ehi! Ehi, Ray! Dove diavolo stai andando senza il permesso di nessuno?! »
Il ragazzo si voltò, annoiato. La mano era già sul pomello della porta.
« Non ha alcun senso che segua questa lezione. » Mugulò interrotto da uno sbadiglio. « Come le ho anticipato ieri notte, non ho terminato la lettura del Principe, dunque questa spiegazione è per me cosa incredibilmente tediosa. »
Il professore non poté fare altro che ingoiare la rabbia. Con occhi di fuoco, spezzò il gesso fra le dita, e attese che il ragazzo chiudesse la porta dietro di se.
Da troppo tempo lui non aveva più alcun potere sulle decisioni del vero Re del "Trono del Re".
Fuori dall'aula non c'era nessuno.
I luminosi corridoi dell'accademia, impreziositi dalla sapiente struttura in vetro, sembravano aprirsi sotto i suoi passi, accogliendo null'altro che lo scalpiccio della sua camminata.
Soppesando ogni mossa, l'idea di Ray era quella di andare a ritirarsi immediatamente nei suoi alloggi, e coricarsi per recuperare almeno un poco del sonno perduto; purtroppo qualcuno non sembrava essere d'accordo. Poco più avanti a lui, infatti, vide una figura stagliarsi sul vetro che non era un suo riflesso; più unica che rara durante le ore di lezione.
Solo avvicinandosi un poco la riconobbe.
Chevalier.
L'espressione sul suo viso non mutò, nemmeno alla vista del preside. Era troppo potente persino per lui.
Ogni volta che vedeva quell'uomo in volto, senza maschere a celarlo, si sorprendeva di quanto lo trovasse simile alla sua idealizzazione di Cavaliere crociato. Il portamento fiero, il volto solcato dai dolori e da un paio di pomposi baffi canuti, i lunghi capelli grigi che, mossi, scendevano lungo le spalle, le vesti scure e regali... per non parlare della corporatura. Incredibilmente statuaria per un uomo di quell'età.
Sorrise, immaginandoselo su un campo di battaglia a combattere contro chissà quali nemici, l'elsa della spada stretta con forza fra le dita.
Gli sarebbe passato accanto. O almeno così progettava. Tuttavia Chevalier sembrava in vena di discussioni, quindi, trovatoselo innanzi, si fermò, sorridendogli in viso come un bambino che ha appena compiuto il peggiore dei dispetti.
Ci fu un attimo di silenzio imbarazzato, poi il Cavaliere decise di compiere ciò per cui si era mosso fin lì.
« Ray. » Disse con voce salda, spezzata dall'età « Posso parlarti? »
L'affermazione scatenò l'ilarità del ragazzo, che non riuscì a trattenere le risa.
« Aha! Che mondo incredibile! Da quando un preside deve chiedere a un suo studente il permesso di confidargli qualcosa? » Scostò una ciocca di capelli dal viso con un malizioso gesto della mano, saccente, tornando ad assumere un tono più serio. « Mi dica. »
Ammirava la fermezza di Chevalier, che non aveva reagito neanche davanti a quella provocazione, e anzi, aveva continuato a studiarlo dall'alto dei suoi occhi verdi. Pareva più serio del solito.
« Perché ti comporti così, Ray? » Esordì, platonico. « Ricordo ancora il giorno in cui ti raccolsi, abbandonato da chissà chi. Non eri molto diverso da chiunque altro abbia frequentato questa scuola... e ora sei così. Che cosa ti ha cambiato? » Allungò una mano verso la spalla del ragazzo, ma poi la ritirò, come colto da un'improvvisa consapevolezza. Non poteva combatterlo, e a lui non piaceva essere toccato. Lo stesso sguardo del Re si era per un attimo imbestialito alla vista dell'avvicinarsi delle cinque dita del preside.
Un breve colpo di tosse per dissimulare l'imbarazzo, e il Cavaliere poté continuare nel suo discorso.
« Ti considererò sempre come il più brillante studente che il "Trono del Re" abbia mai conosciuto. » Affermò, ricomponendosi. « E come un figlio, per me. »
Nonostante la serietà della rivelazione, sembrava che Ray non riuscisse a trattenere le risate. Il suo volto, rosso per l'ilarità, si liberò in un lungo sospiro verso il basso, le lacrime agli occhi.
« Bel discorso, vecchio! » Esclamò ironico. « Poi dimmi da che libro l'hai tirato fuori, eh. »
Lo superò. Non aveva intenzione di perdere altro tempo. Tuttavia, non riuscì a muovere un solo passo in più. Il preside l'aveva trattenuto per la spalla, dimostrando una forza incredibile.
« Ray! Davvero non capisci?! » La voce dominata dall'ira, questa volta. « Potresti regnare sul mondo intero con le tue potenzialità... se solo seguissi le lezioni e una giusta morale! E invece... e invece! Invece sei qui a fare da Monarca dirigendo una sorta di... "Fobiarchia" per quattro gatti randagi chiusi in una cantina! Guardati! »
Non poté continuare oltre.
Una lancia aveva preso forma innanzi a Ray nello stesso istante in cui la mano del Cavaliere l'aveva fermato, per poi lanciarsi contro il suo volto, e dividerlo da parte a parte.
Il sangue macchiò i vestiti nuovi del ragazzo che, immobile, trasudava intento omicida ad ogni respiro, non soddisfatto da ciò che aveva appena compiuto.
Voltandosi, vide il corpo del preside trafitto ai suoi piedi.
Lo squadrò per qualche istante, immutabile, prima di afferrare la lancia e stringerla fra le dita tremanti della mano.
La conficcò ancora più nelle carni, e la fece girare su se stessa. Poi la estrasse, e questa si dissolse come neve al sole fra le sue mani, veloce com'era stata generata.
Lo sguardo fiero, il ragazzo si rivolse al corpo senza vita sotto di lui, un'ultima volta, sibilando come una serpe.
« Se davvero mi amavi così tanto... » esordì venefico. « ...Rinascerai come padre, per me. E mi difenderai come mio cavaliere. »

Non è difficile immaginare quello che successe nei giorni successivi.
L'intera scuola piombò nel caos più totale. Non vi erano tracce su chi avesse potuto compiere un delitto così terribile, e tuttavia nessuno, soprattutto fra gli studenti ancor più che tra i professori, aveva dubbi su chi fosse stato.
L'atmosfera intorno a Ray si fece pesante e cupa, tanto che, nelle sue incursioni notturne nei sotterranei, non vi era più nessuno a sorridere alla sua venuta nemmeno trai suoi amici più cari. Tutti erano terrorizzati che, stando accanto a lui, sarebbero stati indicati come complici nel momento in cui i misfatti del "Re" fossero stati scoperti. Altri, inoltre, lo allontanavano come la pesta, increduli di ciò che era successo: Mai avrebbero pensato che, nonostante le tensioni e la corruzione nei rapporti studente-professore, al Trono del Re si potesse arrivare a tanto.
Ray iniziò a straniarsi dal gruppo. Non smise di cercare la gente, quando aveva bisogno di loro, ma fu quest'ultima a tenersi lontana il più possibile da lui, isolandolo inesorabilmente. Non si poteva però certo dire che la cosa toccasse profondamente il ragazzo: A seguito degli avvenimenti dei giorni precedenti, il terrore nei suoi confronti si era fatto talmente potente da renderlo in grado di far smuovere le montagne ad un suo semplice ordine, pur di non averlo come nemico.
In pochi, dopo diverso tempo, iniziarono a farsi più vicini a lui. Anime perverse che riuscivano a rispecchiarsi solo nell'animo nero del loro "Re", che concedeva loro il potere e l'autorità per possedere un comportamento tanto disinibito da non essere da meno a quello di Ray in persona. Animali tali da sentirsi liberi solo sotto l'ala del ragazzo.
Due in particolare iniziarono a seguirlo ovunque andasse.
Alejandro, un ragazzino biondo piuttosto basso e timido, che pareva trovasse la sua sola ragione di vivere nella codardia di stare dalla parte del più forte, servendolo perché lo difendesse; e Zacarias, un moro alto e atletico, intelligente e di bell'aspetto, che a fianco del "Re" aveva potuto abbandonarsi a tutti i piaceri che le regole lo avevano sempre impedito: Primo fra tutti, lo stupro.
Alejandro e Zacarias... Due facce della stessa maschera. La stessa maschera che, in quel momento, il ragazzo si rigirava lentamente tra le mani, assorto.
Il ghigno della Persona di Loec parve studiarlo dalla porcellana, prima d'essere poggiata sul comodino a fianco del letto.
Si distese lentamente lungo il materasso, cercando un po' di quella pace che gli era stata sottratta da settimane.
Prima vi erano stati gli interrogatori, estenuanti. Con le sue capacità psioniche sostenere le domande degli interlocutori era stata a dir poco una passeggiata, ma ciò non significa che tutto quell'andirivieni non lo stancasse.
E poi... Alejandro e Zacarias. Apprezzava la loro compagnia, ma anche loro si stavano facendo decisamente troppo appiccicosi, negli ultimi tempi. Troppo, per non capirlo.
Stava per abbandonarsi al seducente e voluttuoso abbraccio di Morfeo, quando sentì bussare alla porta della propria camera.
« Avanti. » Disse con voce spenta dal sonno « E' aperto. »
Dapprima, non riconobbe la figura femminile che s'era addentrata silenziosamente nella stanza. Era troppo giovane per essere una professoressa, e troppo vestita per poter essere una puttana gentilmente inviatagli dai suoi "ammiratori".
Troppo snella per essere una delle ragazze che, nei sotterranei, si concedevano ai piaceri della gola. Troppo bella per essere una di quelle che torturavano le proprie vittime.
La vide chiudere la porta e lasciar suonare il chiavistello, mentre girava due volte la chiave nella serratura, e la riconobbe solo quando si volse nella sua direzione.
Magnificamente superba mentre si riassettava elegantemente una ciocca dei corti capelli neri, non poteva essere altri che lei. La ragazza che aveva "vinto" a poker il giorno prima della morte di Chevalier.
La ragazza che l'aveva rifiutato.
Era troppo stanco per intavolare una discussione, dunque attese che fosse lei a prendere parola, benché ella sembrasse più interessata ad esplorare la stanza piuttosto che a lui, percorrendola a piccoli balzi e studiandolo con lo sguardo freddo e gelido che aveva conosciuto pochi giorni prima, nei sotterranei. Alzò ed esaminò alcuni oggetti che decoravano la camera, prima di riappoggiarli educatamente nella stessa posizione dalla quale li aveva sollevati.
Prese parola solo dopo alcuni minuti.
« Sai, immaginavo la tua stanza completamente differente. » La voce era gelida come il ghiaccio « Ma immagino che anche i "Re" abbiano bisogno di un ambiente familiare attorno a sé, quando decidono di coricarsi. »
Non un sorriso dipinse il suo viso, nel terminare la frase.
« E mai mi sarei aspettata di trovarti stanco. » Aggiunse, seria « Ti facevo più del tipo "Infaticabile". »
Era chiaramente delusa.
La situazione non poté non stupirlo.
Era appena terminata la peggiore settimana che avesse mai avuto nella sua vita, e ora quella ragazzina gli si presentava innanzi per, almeno solo in apparenza, prendersi gioco di lui.
Non poté che esserne stupito.
Non poté che scoppiare a ridere.
Le risa riempirono la camera, risuonarono per qualche breve attimo fra le pareti come i rintocchi di una campana, sotto lo sguardo duro della ragazza.
« Ti intrufoli nella mia camera di notte, senza presentarti e mostrandoti delusa della mia stanchezza... » Disse malizioso, una volta calmatosi « ...La sfacciataggine di voi smorfiose del primo anno cresce ogni giorno di più, mi sembra. »
Le sorrise, facendosi più eretto e sedendosi lungo il cuscino, poggiato allo schienale del letto.
« Fare una battuta su questa situazione sarebbe troppo facile persino per me, mia dolce. »
Non fece neppure in tempo a terminare la frase, che la vide sederglisi accanto, al di sopra del materasso, ad una distanza pericolosamente ravvicinata.
Per la prima volta da quando l'aveva conosciuta, la vide sorridere.
« ...Perché dovrei negarlo? » Gli disse con voce pur sempre dura, nemmeno minimamente scalfita dal sorriso che aveva colorato il suo viso « Se sono qui, è per essere conquistata. »
Alzò una mano ad aggiustarsi una ciocca di capelli scivolata innanzi al volto con un'eleganza mai vista, prima di terminare.
« Voglio essere tentata dalla bestia che la scuola tanto teme... » Aggiunse « ...E tentare di conoscerla ed ammansirla. »
Allungò una mano verso Ray, quindi, facendogli cenno di afferrarla. Il ragazzo, dal canto suo, le rispose con una freddezza fuori dal comune.
« Sarebbe d'uopo presentarsi, se non altro, considerato il tono del discorso. »
La vide ritirare la mano un poco, colta in fallo. Nei suoi occhi gli parve di leggere un lampo di indecisione e sicurezza che, però, svanì nel giro di pochi attimi.
« Sì... scusami. » Accennò imbarazzata « Il mio nome è... »

Da quel giorno, lui e la ragazza passarono diverso tempo insieme, in segretezza. Lei veniva sempre a trovarlo dopo la mezzanotte, e solo dopo che si furono calmate un poco le acque iniziarono a frequentarsi alla luce del giorno.
Ogni tanto, negli occhi di lei gli pareva di leggere un'insicurezza che non condivideva e che soprattutto non riusciva a spiegarsi. Lampi e stralci di indecisione che ne laceravano l'eleganza e la decisione, svelandola per la bambina insicura che era. Forse per quello, si sentiva sicuro a parlare con lei senza doverle imporre la sua superiorità. Benché il loro carattere fosse simile, difatti, lei era diversa. Percepiva che lo ammirava, che lo stimava e ne desiderava la vicinanza in un modo che non sapeva spiegarsi, accompagnato da una forza d'animo e da una decisione senza pari che la contraddistingueva in tutto ciò che faceva.
Sentiva che la ragazza desiderava ogni giorno di più stargli accanto, e non se lo spiegava.
Per ricambiarla di quel sentimento, che ancora non aveva deciso se fosse benevolo o meno, iniziò a condividere con lei le proprie gioie e le proprie considerazioni, nutrendola del miele che pareva pendere dalle proprie labbra unicamente per lei.
Quel giorno, parlarono di Chevalier.
« Alcuni dicono che fosse un padre, per te. » Esordì cauta, facendoglisi più vicina « E' stato lui a raccoglierti ed accudirti, giusto? »
La squadrò con malcelata indisposizione.
Non era stata la domanda di lei ad infastidirlo, quanto il suo improvviso volerglisi avvicinare.
Mano a mano che passava il tempo, lei sembrava desiderare un contatto fisico sempre più profondo con lui, come se il tempo avrebbe potuto dividerli, in futuro. Non riusciva a spiegarselo.
La cosa non lo infastidiva particolarmente, ma... "Non era da lei". Non dalla "lei" che lui aveva sempre conosciuto e fatta sua, almeno.
« Mpf. » Mugugnò, prima di risponderle « Sono le stesse parole che mi ha sempre rivolto lui; in realtà è sempre stato troppo impegnato con la scuola, per accudirmi. »
Fece un gesto eloquente verso la struttura intorno a loro, prima di continuare.
« Probabilmente non sarei come sono, se fosse stato un padre. »
Cornò l'arringa con un'alzata di spalle. Non rimpiangeva particolarmente l'assenza di Chevalier nella sua vita, né si riteneva fortunato per essere stato libero fin dalla nascita. Era semplicemente successo, come altri erano vissuti in maniera differente. Non era sul risentimento che aveva intenzione di portare avanti la propria esistenza.
« Affronti la cosa in maniera molto "Regale", mi pare... » Affermò lei, fredda come sempre « ...Distaccata, più che altro. Da quello che si mormora in giro non l'avrei mai sospettato. »
Le sorrise, ben sapendo che se l'aspettava eccome. Nessuno più che lei lo conosceva, oramai, all'interno della scuola.
La vide allontarsi da lui, staccandosi e alzandosi in piedi.
« Dobbiamo andare a lezione, vieni. »
Sospirò apertamente.
Lezione... come se ne avesse bisogno. La biblioteca di Chevalier era sempre stata a sua disposizione quand'era piccolo. Non aveva più niente da dover sapere, lì dentro.
Alzò gli occhi al cielo, sorridendo e pensando a una battuta sarcastica in risposta. Chissà, forse quella era la volta buona che lui sarebbe riuscito a convincere lei a passare la mattinata nella stanza. Avrebbero anche potuto coccolarsi un poco, se solo lei l'avesse veramente desiderato.
Un tonfo.
Un rumore sordo attirò la sua attenzione, costringendolo a voltarsi.
Lei era lì, in terra. Inciampata nella gamba del letto.
Non riusciva a rialzarsi.
« Tutto bene? » Le chiese con freddezza, guardandosi bene dal sollevarsi dal proprio seggio per darle una mano.
Lei arrancò per qualche secondo sul terreno, come un verme, cercando di rialzarsi e cadendo in terra, ansimando, prima di rispondere.
« Sì. » Affermò con voce decisa, seppur scossa dai singhiozzi « Non preoccuparti. »
Fu vedendola ricadere una seconda volta in terra che qualcosa si mosse, in lui.
Le si avvicinò lentamente e la sollevò, poggiandola sul letto.
La ragazza tremava ed era scossa da un dolore convulso che nemmeno le permetteva di tenere gli occhi aperti; si reggeva le braccia e tremava come se fosse stata improvvisamente investita da un vento gelido.
Le strinse la mano, mosso da un istinto di protezione che non sentiva suo.
Un nodo iniziò a formarglisi allo stomaco, vedendola giacere in quello stato. Non voleva vederla così.
Si stese accanto a lei, e la strinse in un abbraccio.
« Non preoccuparti; ci sono qui io. »
Quella notte fecero l'amore per la prima volta.
Quella notte, lei decise di non lasciarlo mai più.

Passarono diversi mesi, da quella notte. Bei mesi.
« E' malata, Ray. » La voce di Alejandro lo punse fastidiosamente come la più dolorosa delle zecche. « Fra qualche anno non riuscirà più nemmeno a camminare, secondo quello che dicono i libri. »
Vide il ragazzo biondo tentennare ed esitare sotto il suo sguardo fermo, la laccata di capelli secchi come il grano cadergli in uno scomposto ciuffo innanzi agli occhi, che cercava inutilmente di continuare a disfare. I movimenti frenetici delle dita lo rendevano sempre più simile ad un topo, mano a mano che pigolava le sue speculazioni.
« Non puoi farti accompagnare da una così! » Continuò insistente, miagolando fastidioso « E' una storpia, Ray! Una storpia! »
Il Re parve non sentirlo nemmeno.
Non poteva essere. Non lei. Lei era una parte di lui, e lui era perfetto. Niente di lui, poteva essere storpio.
« Alejandro, non sai quel che dici. » Lo interruppe con severità « Avrai sbagliato persona. »
Un lampo di genialità illuminò lo sguardo del suddito innanzi a lui, prima che riprese a parlare.
« Immaginavo che avresti detto qualcosa di simile, sai... » Esordì subdolo « Ti conosco meglio di quanto io stesso sospettassi. »
Vi fu una breve pausa, e Alejandro cercò di riassettare nuovamente la propria capigliatura, insicuro.
« Zacarias è già andato a farle visita... » Un sorriso malefico si aprì sul suo volto « ...Non dovrai più preoccuparti di lei. »

I corpi di Zacarias e Alejandro giacevano in una pozza di sangue, accanto a lui.
Quello di lei era tremante e arrancava al suolo, ai piedi delle scale.
Zacarias l'aveva spinta dalla scalinata e lei non riusciva più a rialzarsi. La vide strisciare in terra come un verme, sputando e rigurgitando, attonito.
La malattia delle ossa che l'affliggeva da quando era bambina non le avrebbe permesso di rialzarsi, da sola. Sarebbe morta lì se nessuno l'avesse sollevata.
Lei, una parta di lui... una storpia.
La vide voltarsi nella sua direzione, e sorridergli felice.
I riflessi tagliarono in due il viso del Re, mentre indossava la Persona di Loec. Piangeva.
Alzò il fucile.

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Subito... lo sparo.

Ricordo ancora la sensazione del sangue,
vischioso al tatto.
Benché le mie dita l'avessero già incontrato innumerevoli volte,
fu come se non me ne sarei più potuto liberare.
La vidi cadere in terra senza un rumore, già debole.
Non riusciva a muovere il corpo liberamente,
le mani prive di energia,
strisciava triste lungo il pavimento.
Il mio sguardo finì col posarsi inevitabilmente
sulle menomazioni di lei;
sul motivo della mia reazione.
Sul "Perché" le avevo sparato.
Ciò che lessi nel suo viso, quel tempo, non fu paura, né risentimento.
Semmai, l'ultimo desiderio di un'amante,
che mi chiedeva di vivere anche per lei.
E quando alle sue labbra pallide sfuggì un sincero: "Ti amo",
tutto ciò che riuscii a risponderle fu: "Lo so".
Di certo, fu quell'episodio a cambiarmi,
tant'é che ancora oggi, ripensandoci, mi rattristo.

Quello che so è che il Re non perde mai. Che IO, non perdo mai.
Non persi nemmeno allora.
Lei oggi vive in me e in ogni mia vittoria.
E siccome non smetterò mai di salire,
sconfiggendo chi non è all'altezza di rispecchiarsi in me,
lei, come me, non morirà mai.

Subito... lo sparo.

Ricordo ancora la sensazione del sangue,
meravigliosa.
Benché le mie dita l'avessero già incontrato innumerevoli volte,
fu come se non ne avessi ancora provato il vero piacere.
La vidi scaraventata a terra come da una forza sovrumana.
Il corpo imprigionato dalla ferita,
le mani già gelide,
strisciava come un verme.
Le mie zanne finirono col posarsi
sulle carni di lei;
Ignorando lo sparo.
Ignorando "Perché" le avevo sparato.
Ciò che lessi nel suo viso, quel tempo, non fu paura, né risentimento.
Semmai, l'ultimo desiderio di una preda,
che mi chiedeva di vivere di lei.
E quando alle sue labbra morte sfuggì un debole: "Ti amo",
tutto ciò che, secco, le risposi fu: "Lo vedo".
Di certo, fu quell'episodio a cambiarmi,
tant'é che ancora oggi, ripensandoci, rido.

Quello che so è che il Re non perde mai. Che IO, non perdo mai.
Non persi nemmeno allora.
Ho superato anche lei, acquisendo una vittoria.
E siccome non smetterò mai di salire,
divorando i corpi di chi non è riuscito a divorare me,
lei sarà la madre del più crudele dei Re.


_ _ _______ _ _

Ricordi qualcosa della tua vita al Trono del Re, Ray?
« ...? »
Ricordi niente di ciò che hai fatto, prima di iniziare a conquistare e distruggere tutto quello che si parava innanzi a te?
« Eh...? La mia vita è iniziata sui campi di battaglia, marmocchio. »
Davvero, Ray, non hai perso mai? Non hai perso niente?
« Si vede che non mi conosci, bamboccio. Io non perdo mai. »


Edited by Ray~ - 19/7/2010, 19:44
 
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3 replies since 26/10/2006, 18:09   15754 views
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