Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Mìura, La capitale

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view post Posted on 2/11/2006, 17:46
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Era ormai in viaggio da diverso tempo.... qualche giornata, forse una settimana, che, percorsa a cavallo, certo poco spazio non era affatto.
Sorprendentemente, il clan pareva averlo seguito fedelmente... che fosse ancora una parvenza di una fede e un desiderio che sapevano irrealizzabile? Voltato lo sguardo sui suoi antichi adepti alle sue spalle, li guardò con scherno per qualche secondo, prima di tornare a seguire il lungo e tortuoso percorso che pareva snodarsi davanti a lui.
Il suo obbiettivo era cambiato... ma era pur sempre un obbiettivo. Che loro volessero ancora una volta aiutarlo a portarlo a termine? Stava ad essi, in fondo, la scelta.
Più avanzavano lungo il centro della regione, più le strade si facevano fitte, elaborate, e i paesaggi che facevano loro da sottofondo popolati, densi, ricchi di abitanti.
Già si notava la differenza con gli antichi villaggi dell'Est... lì ad Ovest pareva non esistessero città o villaggi ben definiti, in quanto le case non cessavano mai, se non per brevi tratti, tra un centro abitato e l'altro, lasciando pochi spazi ai campi che venivano sistemati in periferia, dove i cavalli non transitavano e dove difficilmente potevano essere notati, occupando immense distese.
I castelli e i palazzi erano innumerevoli tutta la regione stessa pareva divisa in feudi, ma la cosa che più si notava era il divario fra ceti sociali di diversa natura. Aristocratici e nobili, infatti, addensati più in gran numero verso l'interno di un centro abitato o della regione, sdegnavano crudelmente i plebei, che quasi non si riuscivano a contare tanti erano che, vestiti di stracci, si nascondevano fra i vicoli, sotto i ponti, mentre i più coraggiosi si arrischiavano a mostrarsi alla luce del sole, per chiedere un poco d'elemosina e ritrovarsi invece con un grosso occhio nero. Molti di questi erano visibilmente malati di peste e, cenciosi, si accasciavano lungo le pareti delle case, spossate da un male senza cura.
Ray, durante il viaggio, si era coperto con una lunga veste nera, coprendosi il volto fino al naso e lasciando scoperte solo le labbra, un po' in segno di lutto per la visibile decadenza della più ricca regione umana del mondo, un po' per qualche sua particolare credenza, che lo induceva a pensare che, coperto, il virus e lo sporco non lo avrebbe raggiunto. Non gli piacevano i luoghi così sporchi... affatto... si poteva dire che li odiasse con tutto se stesso, anzi.
Fortunatamente la situazione parve migliorare, ritrovatosi alle porte di Mìura.
Il viaggio tutto sommato era stato veloce e privo di rischi, a tratti perfino noioso, e finalmente erano giunti al capolinea, dopo un muto tragitto trascorso in compagnia sola dei propri pensieri.
La prima cosa che notarono della capitale, perfino da quella distanza, furono le immense mura bianche che, cosa strana, si ergevano a mo' di scalino verso l'interno della città, quasi fosse l'esterno di una grande piramide.
Come una grande scala, di cui ogni tratto misurava almeno dieci metri d'altezza, erano in realtà una grandissima fortificazione circolare posta a difesa dell'interno della città, di duplice uso.
Difesa contro i nemici e, molto probabilmente, accademia per i soldati.
Gli scalini, difatti, non solo erano tanto alti da risultare insormontabili, ma tanto larghi da permettere anche all'ultimo di poggiare sul tetto dei primi, per quanto spostato lungo l'interno fosse.
Al di sopra di ogni gradino stava un ulteriore strato di mura, sottilissimo, che lasciava agli arcieri lo spazio necessario per percorrere i loro percorsi al di sopra di essi, con grande tranquillità. Le pareti di questi, poi, erano ricchi di porte e altre scale, scavate nella loro stessa nuda roccia, facendo apparire le mura come un'unica città circolare, a cornice dei reali sobborghi.
Bianche, nel loro colore, e alte più di cinquanta metri, rilucevano fino a chilometri di distanza, e ancora oltre, magnifica dimostrazione del potenziale umano.
Mai Ray si sarebbe aspettato di assistere ad un tale spettacolo, giunto a Mìura, tant'è che rimase letteralmente a bocca aperta, attonito, immobile per qualche secondo, a scrutare il volto cupo seppur candido delle costruzioni in fronte a lui.
Non ci volle molto perchè il suo volto si schiuse in un nuovo sorriso ambiguo.
Si passò la lingua tremante lungo le secche labbra, e la fece schioccare contro il palato, frenando così la sua euforia.
Meraviglioso...
Evidentemente negli ultimi tempi non vi era pericolo di invasioni all'interno della capitale, in quanto le porte erano spalancate, imponenti e di completa pietra nera, aperte su un grandissimo tunnel che percorreva tutto l'interno delle mura.
Lo percorsero senza troppi problemi, visto che nessuno era deciso a fermarli, prima di trovarsi, finalmente, di fronte alla "reale" Mìura.
Fu una delusione, a confronto di ciò che le mura all'esterno preannunciavano.
Le case altro non erano che blocchi di colore grigiastro squadrati, rettangolari in rari casi, che erano stati disposti come a scacchiera al di sopra di una grandissima pianura piastrellata a lisca di pesce.
Un'opera senz'altro mai vista... ma di uno schmatico e apatico motivo, che, ripetendosi quasi all'infinito, aveva un che di squallido.
La città pareva essere divisa da due strade principale larghe almeno venti metri, e comunque affollate, una davanti a loro, che, proseguendo diritta, la collegava al capo opposto della città, e alla porta che si trovava lontana almeno chilometri da loro, e l'altra la tagliava orizzontalmente, al centro, collegando le due porte a Nord e a Sud. [Per chi la conosce, mi sono ispirato alla struttura delle città romane per quella della capitale, mura escluse.]
Tutte le altre strade della città erano viottoli ricchi di moribondi e appestati, formati dall'intrecciarsi delle innumerevoli case quadrate che, a scacchiera, formavano una spezzata ragnatela di dedali impenetrabile, abitata da chissà quale genere di malviventi.
Era inutile infatti avere dubbi a riguardo della criminalità all'intero di quella città... era ovvio che ne fosse a dir poco sopraffatta.
Dove le due strade principali si incontravano, stava una grandissima piazza circolare, e pareva che, al capo Nord e a quello Sud della città non vi fossero porte bensì, rispettivamente, il palazzo dell'imperatore e quello del governo che, mastodontici, regnavano sulla popolazione.
Al loro fianco vi era un cartello indicante le strutture di più rilevante importanza all'interno della struttura... una guida turistica, in pratica.
La squadrò piegando la testa di lato per qualche secondo, rischiando che il cappuccio scivolasse via dal suo volto, poi, con un secco gesto delle redini, vi si avvicinò traendosi dietro la sua cavalcatura, dalla quale era sceso poco prima, e la consultò socchiudendo le palpebre per qualche secondo.
Dopodichè si girò verso gli altri, studiandoli annoiato. Alzò una mano repentino, e proferì a gran voce.

₪ Siete liberi! Andate dove volete... io ora ho qualcosa da fare. Tu... ₪


E abbassò la mano, indicando prima Bankotsu, la treccia nera che si snodava lungo la schiena, e poi il pupazzo, che viaggiava insieme a Melkon.

₪ ...e tu. Seguitemi. Potrei aver bisogno di voi due. ₪


Dopodichè si allontanò insieme ai suddetti, la lunga veste sventolante alle sue spalle.


CITAZIONE
Vi lascio qui uno schema dei luoghi più importanti che potreste visitare... descriveteli accuratamente e, se sarò soddisfatto, potrete ricevere un oggetto in compenso, che vi avevo nascosto.
C'è un mercenario, qui da qualche parte, direi.
Ognuno vada in un solo edificio... altrimenti è un bordello... potete fare tutto quelle che volete, e una qualsiasi scena GdR autoconclusiva sarà pienamente apprezzata.

- Piazza Principale
- Banca
- "Il Ferro di Cavallo" locanda
- Tempio di Selene, dea della Luna
- Cimitero
- Biblioteca
- Palazzo del Governo
- Accademia dei Paladini [All'interno delle mura]
- Accademia di Magia [All'interno delle mura]
- Sacra Basilica del dio Fostos, della luce e del Sole
- "Il Rosso Mulino" Bordello
- Palazzo dell'imperatore
- Bassifondi
- "Alla forca" Locanda malfamata
- "La freccia spuntata" Armeria



Edited by Ray~ - 2/11/2006, 21:43
 
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_Bankotsu_
view post Posted on 2/11/2006, 21:50




Era stato un lungo viaggio, fino a Mìura. Delle tante cose che erano cambiate nel Toryu, sicuramente la più eclatante, quella che più di tutte attirò l'attenzione di Bankotsu, fu sicuramente la trasformazione di Ray. L'ormai umano Capoclan del Toryu, pareva cambiato non soltanto nell'aspetto. Si era fatto più taciturno, come se fosse più chiuso in sè stesso. Il "belli capelli" era solo un ricordo, ormai, col suo sorriso fatto solo d'occhi socchiusi, con la sua presenza rassicurante. Era andato, e con lui l'amicizia neonata fra Bankotsu e Half Ray. Tutto ciò che era rimasto del "mezzo", non era altro che un misero ladruncolo umano gracile e piuttosto taciturno. Inizialmente Bankotsu non ci aveva fatto caso, e si era comportato normalmente. Però poi, si era accorto che, nei suoi comportamenti, Ray era cambiato. Non aveva ancora avuto occasione di scambiarci due parole, ma si era accorto comunque che qualcosa, nell'amico, non andava più. Istintivamente, allora, il Guerriero, si era richiuso nella sua arroganza, nei suoi modi burberi e nel suo essere solitario. Durante il viaggio aveva avuto occasione di rivolgere la parola solo a Dexitea e Melkon, ma assai sporadicamente. Una volta, aveva parlato anche con Murony...insomma, il mezzodemone ora prestava attenzione soltanto ai suoi due ex allievi e alla sua prediletta. Gli altri membri del Toryu, Ray compreso, ed il bizzarro pupazzo parlante che seguiva il Clan in quel viaggio, avevano ben poca importanza per lui. Per tutto il tempo aveva osservato, camminando taciturno, il paesaggio che lentamente cambiava. Da rurale era passato pian piano ad urbano, mostrando inizialmente la povertà e la malacondizione delle periferie, e poi, solo in prossimità della Capitale dell'Ovest, rivelando ed ostentando una grandiosità che mai Bankotsu aveva veduto in vita sua. Una sfarzosa e imponente città era Mìura, strutturata in un crescendo piramidale fatto di gradoni e solide mura...inoltre, pareva assai vasta...questo significava certo più persone, quindi ressa e folla, odiate da Bankotsu, ma anche molti negozi, molte locande, e molti altri luoghi di intrattenimento. Uno svago, decise il Guerriero, non sarebbe stato un'idea malvagia, in quel periodo frustrante e tedioso della sua esistenza. Passare in poochi giorni dal subire una clamorosa sconfitta dal compagno di bevute Eisen Heart, e una dall'usurpatore Squall Lionheart, non aveva giovato all'animo dell'ex leader dei Sette. Durante tutto il viaggio aveva camminato al fianco di Melkon, nei pressi anche di quell'insopportabile orsacchiotto parlante, cui avrebbe volentieri mozzato la testa. Ancora non capiva perchè quel COSO seguisse l'intero Clan (Bank è caduto in un'inspiegabile catalessi quando orsacchiottoteddy è arrivato...ndr), ma evidentemente la sua presenza aveva dei motivi precisi, perciò Bankotsu si trattenne dall'ammazzarlo brutalmente.

Comunque, giunti che furono, i membri del Clan Toryu, oltre le porte della Capitale, entrandovi ufficialmente, il Capoclan li fermò. Si mise a leggere un grande cartello che parve, a Bankotsu, una sorta di indicatore delle varie locazioni presenti in quella città. Il Guerriero, disinteressatosi del cartello, vista e considerata la sua palese incapacità a leggere, iniziò a osservare con meticolosa attenzione la città che si parava dinnanzi a loro. Pareva costituita da due strade, una che proseguiva "verticalmente" rispetto alla loro direzione, e l'altra che invece era perpendicolare alla prima. Lo dedusse in parte scrutando furtivamente il cartello succitato, in parte osservando davanti a sè, notando come tutte le varie strade secondarie intersecassero la principale perpendicolarmente...sperò di poter trovare una locanda decente per andare a bere qualcosa.

CITAZIONE
₪ Siete liberi! Andate dove volete... io ora ho qualcosa da fare. Tu... ₪

Fu abbastanza, per Bankotsu. Non appena Ray si fu voltato, ed il cappuccio fu caduto lentamente dal suo capo fin sulle spalle, rivelando il volto "nuovo" del Capoclan, il suo Vice aveva smesso di prestargli attenzione. Si stava guardando attorno, alla ricerca di qualcosa.

* Dove cazzo... *

Lo vide proprio nell'istante in cui Ray lo indicava, proferendo altre parole che però il Guerriero non ascoltò. Piuttosto, si diresse verso la sua destra, abbandonando parte del gruppo, e dirigendosi verso il carretto in legno del Clan, senza neanche curarsi di chi vi si trovasse accanto. Ivi giunto, piantò la Banryu a terra, e, slacciandone le catene, ripose sul carro la Tauron BattleAxe. Le assi di legno del carretto scricchiolarono sotto l'ingente peso dell'arma, ma non accadde altro. Prima di andarsene, il mezzodemone lasciò sul carretto anche la Dente di Tigre, la sua spada. Tenne con sè soltanto la Banryu, subito estratta dal terreno, immacolata come sempre, e la Daga Daedrica. Rispettivamente una stretta nel pugno della dritta e posata sulla spalla come di consueto, e l'altra nascosta sotto la Veste, presso la parte alta destra del petto. Soddisfatto, il Guerriero, disinteressandosi di chiunque fosse nei pressi del carretto, disse:

«Che nessuno le tocchi o le lasci incustodite, se vuole restare in vita...»

Detto ciò, il mezzodemone si allontanò dal gruppo, agitando distrattamente la mancina sopra la spalla, come per salutare gli altri. Passando accanto a Ray e incrociandolo, disse ancora:

«Vado a bere qualcosa...ci vediamo più tardi da queste parti...»

Senza badare alla eventuale risposta o reazione dell'altro, Bankotsu si avventurò fra la folla, distinguendosi dalla massa per la Banryu che spuntava dal traffico cittadino, prepotentemente.



Si diresse, dopo alcune centinaia di metri, alla sua sinistra, entrando così in una piazzetta secondaria piuttosto affollata. Come già era successo fin dal principio del suo girovagare per la città, parecchie persone si tennero alla larga da lui. Non se ne sorprese, nè se ne crucciò. D'altronde, Mìura era una grande città, ove la fama dei Sette Mercenari che anni prima terrorizzavano il mondo intero, era giunta sicuramente. Perciò, alcuni abitanti, riconoscendo Bankotsu per la famigerata alabarda titanica che egli si portava dietro, lo fuggirono. Altri, semplicemente per l'aspetto poco rassicurante, ne evitarono lo sguardo, cambiando direzione o passandovi accanto con grande timore. Certo, non tutti ebbero simili reazioni. Vi fu chi semplicemente lo ignorò, conscio della grande affluenza di guerrieri e avventurieri giunti da ogni parte del globo per affari nella grande città di Mìura. Lo sguardo e l'espressione di Bankotsu erano sereni e, nonostante il costante vociare della folla, e la sensazione di oppressione che le grandi città gli conferivano, il Guerriero camminava spensierato, privo da ogni turbamento, alla ricerca di una locanda o un'osteria. Non cercava la migliore della città, anzi! Era intenzionato a trovare la peggior locanda della zona, magari frequentata da qualche stolto ladruncolo o qualche assassino scalmanato, giusto per poter scatenare una rissa, ammazzando qualche farabutto e guadagnando un po' di denaro per pagarsi altri liquori. Possibilmente, birra nanica o rhum umano della peggior qualità, di quello che brucia in gola come un fuoco perpetuo e infernale...
Si leccò i baffi, sorridendo con un'espressione beota dipinta in volto, e con la bocca semi aperta, dal cui angolo sinistro basso colava della bavetta...già pregustava quelle leccornìe...
Improvvisamente, però, urtò qualcosa...o qualcuno. Si scosse dalla sua condizione di bavoso e bramoso idiota, e osservò i dintorni. Perso com'era nei suoi pensieri, aveva finito per perdersi! Non sapeva più da che parte era venuto, nè come ci era arrivato. Semplicemente, aveva lasciato che i piedi andassero, mentre lui vaneggiava sui liquori e sulle birre.


-Attento a dove cammini, pidocchio!-

La sua espressione cambiò improvvisamente, al solo sentire quelle parole di scherno. Alzò lo sguardo, comprendendo finalmente che ciò che aveva urtato non era un muro morbido, ma un barile di ciccia probabilmente umano. Era alto più di due metri, grasso come un elefante, e vestiva a dir poco grossolanamente, con dei calzoni che a malapena coprivano il pube. Disgustato, Bankotsu guardò in volto l'obeso che giganteggiava minaccioso su di lui. Puzzava mefiticamente, il lardelloso[10 Gold a chi indovina questa semplice citazione]!

-Ti sei perso, piccolino? Vuoi che cerchiamo la tua mammina? Perchè non dai a me quella tua spada, così eviterai di farti male...-

Condanna a morte firmata. Il cicciobombo aveva appena cessato di vivere. Era come un morto nel miglio, un....mah, ci siamo capiti. Bankotsu lo guardò, visibilmente innervosito. Era ora di allegerire quel corpo ciccione almeno dalla testa...

«Hai fatto tre sbagli...[20 Gold a chi indovina questa citazione]...il primo è stato insultarmi. "Pidocchio" non è un nomignolo che mi piace sentire. Il secondo...è stato non chiedere scusa in ginocchio....e il terzo...il terzo è il più grave di tutti....»

Con un gesto fulmineo, utilizzando solo la mano destra, Bankotsu mosse in un fendente semicircolare l'alabarda, mozzando così di netto la testa del buzzurro, il cui corpo cadde all'indietro, generando un tonfo sordo all'impatto con la pietra della stradina ombreggiata ove i due si trovavano allora. L'unico commento irritato del Guerriero fu:

«La mia Banryu non è una strafottutissima spada, stronzo!»

La sua attenzione venne quindi attirata da una coppia di ladruncoli presenti nelle vicinanze, impauriti, ma non abbastanza per fuggire. Si voltò verso di loro, che tremanti lo osservavano, scioccamente nascosti dietro un paio di casse, e disse, con tono abbastanza autoritario:

«Voi due, qui!»

I due, forse troppo intimoriti per fuggire, preferirono avvicinarsi a Bankotsu, lentamente, con fare viscido.

«Dove devo andare per trovare una buona birra?»

Tremanti, i due parlarono, farneticando e balbettando e indicarono alle loro spalle, vaneggiando qualcosa come "Locanda Alla Forca"...un posticino accogliente, a giudicare dal nome. Bankotsu sorrise e lasciò fuggire i due idioti. Fece per andare verso la direzione indicata da loro, quando una presenza, alle sue spalle, lo mise in allarme....


Edited by _Bankotsu_ - 2/11/2006, 23:33
 
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Trias lo Stregone
view post Posted on 2/11/2006, 22:54




Le candide e larghe mura di Mìura si stendevano davanti agli occhi perlacei di Murony. I raggi solari si arrampicavano sulle alte mura fino a raggiungere la cima e affacciarsi all’interno dell’enorme città, così regolare nella forma, ma in verità così caotica. Le larghe porte di pietra nera spiccavano in quel candore e si spalancavano nella strada principale, larga e piastrellata. Un flusso continuo entrava e usciva dalla città: carovane di mercanti, cavalli, merci, soldati. Di tutto, insomma. Murony non aveva mai vista tanta gente in vita sua, tutta così indaffarata, volti struggenti di quelli che si dimenticano subito, di quelli su cui lo sguardo scivola, o passa attraverso come se non esistessero. Semplici esseri umani? Oh no, tutte le razze erano riversate in quel posto come se qualcuno le avesse costrette a convivere forzatamente là dentro. Proprio in quel momento un gruppo di longilinei ed effimeri Elfi passò accanto al cavallo di Murony, dietro di lui un gruppo di Nani camminava goffamente, zampettando da un piede all’altro nel loro moto così buffo e poco aggraziato. Un comitiva di grossi Mezz’orchi seguiva gli Elfi sui bianchi cavalli su citati, affiancati da colui che solo in apparenza era umano, Murony sentiva distintamente la sua natura demoniaca.
Quando varcarono l’ampio portone vennero trascinati dal flusso disomogeneo, all’interno dell’oscuro tunnel che sfociò nella città. Fu Ray a raccoglierli in un unico punto, vicino all’entrata accanto a un cartello che rappresentava un’ampia mappa della città. Com’era grande! Era gigantesca, il cartello sovrastava l’uscita del tunnel. Murony la osservò solo per qualche attimo, non ebbe nemmeno il tempo di individuare il posto dove si trovavano, che Ray parlò, praticamente gridando per sovrastare le urla della folla che entrava nella città.


CITAZIONE
₪ Siete liberi! Andate dove volete... io ora ho qualcosa da fare. Tu... e tu. Seguitemi. Potrei aver bisogno di voi due. ₪

Chissà dove doveva andare con quei due, gli sarebbe piaciuto saperlo, ma in fondo non gli cambiava nulla conoscere le intenzioni del capo. Il nuovo Ray era molto diverso dal primo… Murony ancora non era riuscito a identificare bene il carattere del suo nuovo capo.
Non rispose a Ray, non ne vide l’utilità, e nemmeno gli chiese dove stava andando, l’umano non glielo avrebbe detto comunque.
Come suonava strana quella parola riferita alla guida del Toryu: umano… Murony era così abituato a considerarlo come un mezzo-demone che faceva fatica a ricordare che non lo era più, ormai.
Comunque, Ray si voltò e con il mantello svolazzante si allontanò tra la marmaglia.
Murony si concentrò sulla mappa. Era abbastanza lineare, di facile comprensione: gli edifici più importanti, infatti, erano segnati da colori vivaci, che risaltavano sul metallo scuro su cui era incisa la mappa. Per lui un posto valeva l’altro, quindi decise di andare al più vicino: la locanda “Il Ferro di Cavallo”
Per quando potesse sembrare strano la locanda era un luogo abbastanza carino, diverso da tutte quelle che il ladro aveva visitato.
Era alta due piani e ricca di decorazioni sulle pareti e di finestre lucide e cristalline. La grande insegna in alto citava: Il Ferro di Cavallo. La locanda essendo alta due piani spiccava tra le basse case squadrate e l’aspetto ben curato non potevano che attirare una grande quantità di clienti. Ovviamente non malviventi, che preferivano posti più infimi, Il Ferro di Cavallo era pieno zeppo di gente di ogni razza, che sembrava piuttosto benestante ma soprattutto importante. Questa fu la prima impressione di Murony, quando la porta si aprì cigolando davanti a lui. Non vi erano ubriachi che si picchiavano o cantavano in preda all’alcol, era incredibile come l’ordine e la compostezza regnassero il quel luogo. Era più simile a un salotto culturale che a una locanda. Fatto sta che guardando le persone che sedevano ai tavoli, tutte conversavano compostamente.
Raggiunse un tavolo e aspettò che la cameriera giungesse a prendere l’ordinazione: succo di Idromele.
Mentre sorseggiava dal boccale di vetro, si guardò intorno: alcuni tavoli da gioco erano sistemati alla sua destra, mentre di fronte a lui si trovava l’ampio bancone, dove decine di camerieri si muovevano avanti e indietro in una corsa frenetica. Davanti al suo tavolo sedeva un gruppo di elfi che parlavano fitto fitto nella loro lingua.
In quel preciso momento una figura ammantata in un ampio mantello candido spalancò la porta entrando nell’ampia sala ingombra di tavoli. Sembrava emanare forza anche da sotto quel pesante mantello. La figura era completamente bianca, oltre al mantello che copriva tutto il corpo fino alle ginocchia aveva anche lunghi stivali di pelle candida. Era sicuramente una donna, non sembrava armata.
Quando la nuova venuta individuò il suo obbiettivo si diresse con passo cadenzato verso il tavolo a cui era seduto Murony.
Che voleva quella donna? Non l’aveva mai vista prima d’ora, o forse non se ne ricordava. Fatto sta che la donna si accomodò sulla sedia davanti al ladro e ordinò da bere: un bicchiere d’acqua. Quando fu servita si tolse il cappuccio da cui, fino quel momento, l’aveva guardato: il suo sguardo pareva trapassare il tessuto.
Quando il cappuccio calò dietro le spalle rivelando la folta capigliatura verdastra, Murony rimase sbalordito dalla bellezza di una creatura. Effimera, sottile, snella, perfetta. Era un elfa, una dolce elfa dalla pelle di pesca, candida e liscia, dai lunghi capelli verdi come le gemme appena sbocciate, e due lunghe orecchie a punta.
L’iride era di un verde penetrante con alcune venatura dorate, mostravano felicità. Che cosa divertiva quell’elfa? Lo seppe subito dopo:

“Sono Felice di vederti, erede di Darete II”

Murony fu colpito da quella affermazione, ma non lo dimostrò almeno sperò di non averlo fatto. Quella donna conosceva suo padre, ma come era possibile?! Come se l’elfa gli avesse letto nel pensiero replicò con la sua voce melodica:

“Ti chiederai come conosco tuo padre, non dovresti stupirti, tutti sono al corrente dello sterminio della tua famiglia. Sono Faresel, consigliere della Regina Mermaind la venerabile moglie dell’imperatore di Mìura” disse “E tu hai ucciso Kerlon”

Murony ghignò guardandola con gli occhi di perla. Così finalmente lo avevano raggiunto, quegli sterminatori lo avevano acciuffato. Qualche mese prima a Litlas aveva ucciso un consigliere della Regina Mermaind, Kerlon il Mago, il quale aveva partecipato allo sterminio della sua famiglia.

“Non preoccuparti non sono venuta qui per catturarti, infatti nessuno mi ha mandato in questa locanda. Sono seduta a questo tavolo con te”” marcò quest’ultima parola “per ringraziarti di aver eliminato Kerlon"

Murony la guardò stupito.

“Una spina nel fianco per me, oltre a essere consigliere della regina sono anche ambasciatrice del Regno degli elfi dei Boschi a Metefil, la terra più ricca del mondo terreno” sorrise “E ho bisogno del tuo aiuto"

Questa affermazione venne seguita da un profondo silenzio. Il suo aiuto? Che aiuto? Quell’elfa non lo convinceva per niente era… inclassificabile. Poteva nascondere qualsiasi intento ed era bravissima a occultare i suoi veri intenti. Un arma a doppio taglio.

“Che genere di aiuto?”

Chiese infine il ladro all’elfa. Quella sembrò pensarci su, come se non sapesse esattamente per cosa era venuta lì. Poi spalancando gli occhi facendo finta di ricordare, posò il bicchiere e poggiò i gomiti al tavolo, tenendo l’indice della mano puntato contro il ladro, che la guardava da sopra il bordo del calice.

“Mi serve la tua arte sopraffina, la cosa in cui riesci meglio, ciò per cui sei nato…” disse muovendo l’indice su e giù “Il furto, credo che tu sia il miglior ladro di tutto il mondo umano, caro Principe”

Il giovane apatico a quella risposta, che mirava solo ad adularlo e ottenere la sua fiducia, rispose piatto poggiando il calice a sua volta.

“Che genere di furto?”

Unì le mani, intrecciando le dita e poggiando il naso sull’indice alzato. L’elfa sembrò non fare caso alla scortesia del demone e lo guardò a sua volta con gli occhi verdi, rimasero così per alcuni secondi. Infine l’elfa spezzò il silenzio con due parole. In realtà la parola era una, visto che l’altra era un articolo comunque lasciamo perdere. (XD)

“Una corona”

Murony non capì

“Prego?”

Faresel fece una smorfia, spostando i capelli verdi, che le erano caduti sopra il seno, dietro la schiena.

"Una corona, amico mio, una corona, e non una qualsiasi” sorrise come al solito “Una corona tanto bella quanto potente.”

Ordinò un nuovo bicchiere di acqua e offrì un altro bicchiere di idromele a Murony.

“La corona dell’Imperatore di Mìura” continuò una volta che ebbe sorseggiato l’acqua “Beh, in realtà la corona non è dell’imperatore, fu sottratta al regno degli Elfi dei Boschi, da dove provengo, nella Guerra dei Cento Anni” sorrise “E io la voglio”

Murony la guardò piegando leggermente la testa di lato.

“Cosa ha di tanto speciale questa corona e soprattutto cosa ci guadagno io?”

Faresel scoppiò a ridere, una risata cristallina. Cosa aveva ridere?
Spiegò visibilmente divertita:

“La corona è il più potente cimelio magico della terra di Metefil, non conosco nemmeno io esattamente che poteri abbia, ma il re del Regno dei Boschi mi ha ordinato di recuperarla e tu sarai pagato profumatamente per questo”

Tutto il mondo girava intorno ai soldi, tutto poteva essere comprato.
Murony la guardò per un lungo minuto, lei sostenne lo sguardo d’argento del demone, che infine disse con voce ferma.

“Che devo fare?”

Un’ora dopo l’elfa si alzò dal tavolo e si avvolse nuovamente nel mantello bianco. Lo guardò socchiudendo gli occhi e inarcando la bocca in un’espressione di felicità.

“Sono sicura che non mi deluderai, Murony III”

Uscì dalla locanda, come era venuta effimera come ogni membro della sua razza, se ne andò. Poco dopo anche Murony uscì pagando il conto, nascondendo sotto il mantello il sacchetto che Faresel le aveva dato. Aveva bisogno di tre aiutanti e sapeva già che li avrebbe preso tre tra i migliori del clan a cui apparteneva, il problema era trovarli. Rimase nei dintorni della locanda, girando per i negozietti in attesa che qualcuno del Toryu si facesse vivo…


Edited by Trias lo Stregone - 4/11/2006, 15:50
 
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TKO
view post Posted on 2/11/2006, 22:58




Il viaggio fu tranquillo.
Da qualche parte Ru aveva sentito che si stavano movendo verso il centro della regione, verso Miupa, Miuta o Miura, non aveva capito bene il nome della città. E non aveva nemmeno conoscenze geografiche della regione che lo aiutassero ad intuire il nome corretto di quella che, questa volta aveva capito bene, era la capitale. Più la carovana si addentrava nella regione più si notava la presenza dell’uomo. Non solo per le case che affiancavano quasi senza interruzioni la strada, ma anche per l’organizzazione. Le strade si facevano sempre più numerose, alcune delle quali realizzate con un’ottima pavimentazione sulla quale ben pochi carri potevano avere difficoltà a muoversi.
Iniziarono a fare la loro comparsa anche castelli. Alcuni erano sfarzosi, costruiti per fare sfoggio della ricchezza di chi li abitava, Ru aveva visto raramente costruzioni più imponenti e magnifiche di quelle, ma, nonostante questo, preferiva di gran lunga le fortezze più sobrie che vedeva qua e là, quelle realizzate pensando più alle possibilità di difesa che alla bellezza. Dopotutto lui era sempre stato un uomo pratico, era naturale che ammirasse di più la praticità delle cose che il loro aspetto.
Contemporaneamente alle meraviglie della regione avevano fatto la loro comparsa anche le cose peggiori di essa: i numerosi poveri costretti a vivere per strada, a guadagnarsi da vivere chiedendo l’elemosina. Molti di loro mostravano le piaghe tipiche di gravi malattie o infezioni allo stadio avanzato, molti di loro probabilmente avrebbero visto poche altre lune.
Ru aveva visto tutte queste cose durante il viaggio, eppure la sua attenzione per la maggior parte del tempo era concentrata su Ray, senza che lui se ne rendesse conto. C’erano periodi in cui si perdeva nei suoi pensieri, nei ricordi di duelli passati o della recente battaglia. Mentre cavalcava ricordare era l’unica cosa che potesse fare, immergersi nei suoi pensieri. Ogni volta che tornava a concentrarsi su ciò che c’era attorno a lui, strappando a forza la mente dai ricordi, si ritrovava a fissare Ray. Forse non tutte le volte, ma gran parte di esse. Il capo del Clan era un mistero per lui, come lo era per gran parte dei suoi compagni, immaginava.
Quando arrivarono in vista delle bianche mura della città Ru rimase basito di fronte ad esse. Erano immense, dovevano essere serviti decenni per portare a termine la loro costruzione. Il mezzo demone sorrise di fronte a quello spettacolo. Avranno impiegato decenni per innalzarle, pensò, ma sono stati anni spesi bene. Sembrano impenetrabili. La forma simile a quella degli scalini della fortificazione dava a loro ottime possibilità di difesa in caso di assedio, sopra ad ogni scalino inoltre gli arcieri potevano muoversi protetti da un ulteriore strato di mura. Il mezzo demone rimase estasiato di fronte a quel capolavoro di tattica ed edilizia.
Le porte della città erano spalancate. Particolare questo che strappò una smorfia a Ru. Quella fortificazione così vicina alla perfezione e gli occupanti della città tanto spavaldi da tenere le entrate spalancate. Gli sembrava quasi un affronto alla maestosità delle mura.
Il Clan attraversò le porte e si ritrovò in un tunnel che attraversava, per tutta la loro larghezza, le fortificazioni. L’aria era leggermente più fresca nel tunnel che all’esterno.
All’interno le case erano disposte in modo ordinato, senz’altro anche questa loro disposizione era pensata per poter presentare le massime possibilità di difesa. Ri si perse ad osservare la città senza prestare attenzione a molte altre cose. Fino a che la voce del nuovo Ray non lo riportò indietro.

CITAZIONE
₪ Siete liberi! Andate dove volete... io ora ho qualcosa da fare. Tu... ₪

Ray si rivolse a Melkon ed al pupazzo e Ru smise di prestare loro attenzione. Si guardò attorno e solo ora notò che i vicoli straripavano di poveri che versavano nelle peggiori condizioni, sia economiche che fisiche. Passò qualche secondo prima che il mezzo demone si rendesse conto della presenza di un cartello. Si avvicinò ed iniziò a scorrere le indicazioni che riportava. Vi erano indicate la direzione per molti luoghi: locande, la biblioteca, palazzo del governo, cimitero e numerose altre.
Ru si concentrò sulle locande. Erano due, più un bordello, ma Ru non aveva voglia del genere di servigi che quello poteva offrirgli, non in quel momento almeno. Le taverne si chiamavano: “Il ferro di cavallo” e “Alla forca”. Rimase qualche secondo immobile a pensare in quale delle due andare, ma alla fine rinunciò. Decise che avrebbe camminato per un po’ per le strade della città e che, forse, poi sarebbe andato in una delle taverne.
Scese dal cavallo. La lunga cavalcata non aveva certo giovato al suo fisico, le gambe erano indolenzite ed il sedere gli doleva. Molto probabilmente questo era anche frutto della sua scarsa abilità di cavallerizzo.
Prese le redini dell’animale e, tenendo il destriero al passo dietro di lui, si incamminò lungo la strada. Non era facile muoversi lungo il viale principale, era affollato nonostante fosse molto largo.
Sulla strada si affacciavano le facciate delle case, intervallate ogni tanto dalle vetrine di negozi. Alla porta di alcune botteghe, delle più ricche, sostavano guardie dall’aspetto minaccioso a scoraggiare eventuali ladri.
Ci mise ben poco, Ru, a capire che se voleva muoversi velocemente, o perlomeno a non essere impacciato al punto da impiegare almeno cinque minuti a percorrere due metri, doveva lasciare il cavallo da qualche parte. Il problema è che non poteva semplicemente legarlo al primo posto che vedesse, probabilmente nel giro di una decina di minuti sarebbe sparito. Doveva trovare una stalla.
Fermò il primo uomo che riuscì a trovare. Il cittadino di certo non faceva parte della nobiltà, probabilmente era un mercante, senza molto successo a giudicare dall’aspetto. Aveva capelli tagliati corti, non molto puliti. I vestiti erano stati rattoppati in più punti.
Il mezzo demone si rivolse a lui senza tanti preamboli dopo averlo fermato prendendolo per un braccio ed impedendogli di allontanarsi. L’uomo si era spaventato all’inizio ed a dire il vero non sembrava molto calmo nemmeno ora.

“Devo trovare una stalla” disse semplicemente Ru, continuò solo quando l’uomo si limitò a fissarlo con sguardo ebete, “Dimmi dove posso trovare una stalla!” aveva alzato leggermente la voce.

L’uomo sobbalzò, ma dopo qualche secondo rispose. Aiutato anche dall’aumento della pressione della mano di Ru sul suo braccio. Non parlò mai, si limitò ad indicare con il braccio.
Indicava un vicolo.
Spero per te che la dentro non ci siano dei sicari pronti ad accogliermi, pensò Ru. Non diede ad intendere niente all’uomo, si limitò a sorridere in sua direzione. Un sorriso che però non aveva nulla di rassicurante.
Si avviò verso il vicolo che si immetteva direttamente sulla via principale. La strada non era paragonabile alla principale per larghezza, ma era comunque ampia. E non era certo affollata quanto l’altra. L’aria puzzava di urina ed escrementi. A quanto pare l’uomo non gli aveva mentito, l’odore arrivava da una stalla. Il mezzo demone si diresse immediatamente verso di essa, il portone era aperto e così entrò senza tanti complimenti. Uno stalliere con i vestiti sporchi di sterco in più punti lo accolse.

“Cosa desidera?” chiese. La voce era quella di un ragazzo di non più di vent’anni. Puzzava quasi più degli animali che curava.

“Secondo te cosa voglio?” chiese Ru con tono distaccato e freddo. “Sono qui per lasciarti il mio cavallo.” Lo stalliere annuì, per nulla intimorito. Allungò le mani verso le redini. Ma Ru lo fermò prima che potesse prenderle: “Bada bene. Quando sarò di ritorno voglio trovarlo ancora qui ed ancora in ottime condizioni.”

Lo stalliere annuì deciso e Ru gli lasciò finalmente le redini del suo animale, anche se di malavoglia.
Il mezzo demone uscì dalla stalla e si allontanò in fretta dalla costruzione e dalla maleodorante aura che emanava. Parte di quel nauseante odore gli era rimasto attaccato ai vestiti. Che schifo.
Non ci volle molto però perché il suo naso venisse assalito da una moltitudine di altri odori che coprirono quello di sterco. L’aria era un miscuglio degli aromi più disparati, dai più nauseanti ai più esotici. Si sentiva puzza del sudore dei lavoratori, profumi di spezie orientali, l’odore dell’urina e degli escrementi dei poveri che già iniziavano ad affollare i lati della strada, l’odore di carne cotta sul fuoco in qualche casa a ridosso della strada ed una moltitudine di altri che il mezzo demone non riusciva a riconoscere.
La strada, come quella principale era lastricata, ma di certo non conservata bene come la maggiore. Vicino ad una casa che sembrava essersi incendiata di recente alcuni uomini stavano risistemando il lastricato. La polvere si alzava nell’aria mentre gli uomini lavoravano. In molti tossivano mentre attraversavano la cappa di pulviscolo che permeava l’aria, anche Ru.
La decadenza della città si notava con ancora più forza lì nei vicoli. I poveri al lato della strada si facevano sempre più numerosi e le condizioni in cui versavano erano sempre peggiori, anche se leggermente migliori rispetto a quelle della gente che aveva visto mentre arrivava qui con il resto del Clan. Sembrava vi fossero anche alcune piccole epidemie tra quella gente, la maggior parte presentavano pustole ai lati della bocca e su gran parte del viso oltre che un colorito giallastro. Alcuni tossivano senza più tanta forza, come rassegnati, sembrava avessero rinunciato a lottare contro qualunque fosse la causa della loro tosse, avevano gli occhi spenti.
Il mezzo demone si guardava attorno, ma ben presto i suoi occhi si abituarono, se così si può dire, a quello spettacolo. Un uomo seduto tra la polvere, con la schiena contro la parete di qualche casa che chiedeva l’elemosina non era nulla di speciale in quella città, o forse non lo era lì nei bassifondi. Non c’era nulla di particolare nemmeno in un bambino scheletrico e vestito di stracci che piangeva di fianco al corpo di una donna riverso a terra, forse morta, forse morente o forse semplicemente addormentata. Quella gente era invisibile.
O quasi.
Un uomo si avvicinò al bambino che piangeva, lo squadrò per qualche secondo e poi lo prese per un braccio trascinandolo via. Nessuno si era mosso per fermare l’uomo. Per fermare il rapitore, perché di rapimento vero e proprio si era trattato. Il corpo della donna a terra si mosse di poco, presto si sarebbe svegliata. Probabilmente avrebbe gridato quando avesse visto che suo figlio era scomparso, probabilmente avrebbe maledetto chi glielo aveva portato via e magari anche sé stessa per esserselo lasciata rapire senza accorgersi di nulla.
Quel bambino probabilmente avrà una vita migliore di quella che avresti potuto offrirgli tu, donna, pensò Ru mentre se la lasciava alle spalle senza degnarla di un secondo sguardo. Almeno gli schiavi in cambio del loro lavoro vengono nutriti.
Il mezzo demone non sapeva dove si trovava, aveva cambiato molte strade senza rendersene conto mentre era intento ad osservare la città. Quelle vie gli sembravano tutte uguali, non sarebbe stato semplice per lui tornare sulla strada principale. Scrollò le spalle, in qualche modo ce la avrebbe fatta.
La via sulla quale si trovava ora era larga circa un paio di metri, stretta da alte case su entrambi i lati. Le ombre erano numerose in quel luogo, sembrava già calata la sera. ai lati della strada donne seminude indugiavano a gruppi di due o tre. Il lavoro più vecchio del mondo lì era esercitato sotto la luce del sole.
Qua e là uomini incappucciati si radunavano a gruppetti di tre, quattro o anche più numerosi. Alcuni si scambiavano oggetti, probabilmente rubati, in cambio di denaro. Altri si limitavano a parlare, discutendo con tuta probabilità di furti, rapimenti o omicidi.
La criminalità, il vero centro di una città.
Un piccolo sorriso si dipinse sul viso del mezzo demone, che però non si fermò. Continuò a camminare osservando quelle operazioni criminali svolgersi con noncuranza alla luce del sole.
Qualcuno lo tirò per un braccio. Si voltò trovandosi di fronte ad un uomo che a giudicare dai vestiti che portava doveva essere in modeste condizioni economiche. Aveva il fiato che puzzava di alcol e di qualcos’altro che Ru non riusciva a distinguere. Lo disgustava. I capelli erano tenuti indietro con qualche tipo di olio, ma la polvere lì aveva sporcati.

“Ho quello che cerchi” disse l’uomo con disinvoltura e sicurezza. Lo pensava sul serio. Ed era ubriaco.

“Chi ti dice che io sia venuto qui per cercare qualcosa?” chiese con tono glaciale Ru.

“Chiunque venga in questa parte di città è qui per cercare qualcosa. E nel tuo caso sei fortunato. Io, Azik, ho quello che fa per te. Seguimi.”

Non avrebbe dovuto farlo, ma era curioso riguardo a ciò che quell’uomo gli avrebbe offerto. Lo seguì. Entrarono in una viuzza laterale, dove l’uomo si fermò. Si mise una mano in tasca cercando qualcosa e ne prese un minuscolo pezzo di carta ripiegato. Si guardò attorno per essere sicuro che nessuno li stesse osservando e lo aprì davanti agli occhi di Ru.
Il mezzo demone si limitò a voltargli le spalle ed uscire dalla viuzza.

“Cosa?!?! sai cosa diavolo è questa?!? Brutto idiota! Ascoltami! Io te la taglio quella ridicola barba che ti ritrovi! Questa è la miglior droga che c’è in questa città piena di sterco!”

Ru era già nell’altra strada, l’uomo lo seguì sbraitando. Se non fosse stato ubriaco probabilmente non lo avrebbe fatto. Per lui sarebbe stato meglio.

“Questa è Thyrin! Figlio di puttana! Con questa dimentichi tutta la merda che ti circonda! Con tutta la fatica che ho fatto per procurarmela!”

Aveva già parlato troppo. C’erano troppe persone ad ascoltare le sue parole, alcune delle quali, per sua sfortuna, erano interessate a quell’argomento.
Tre figure incappucciate si avvicinarono a lui. Lo urtarono e si allontanarono. Tutto semplice. Ru aveva seguito a fatica i movimenti delle loro mani sotto a quei vistosi mantelli, ma l’uomo che aveva cercato di vendergli la droga era stato pugnalato due volte prima che le tre figure si fossero allontanate da lui. Probabilmente per procurarsi quella droga aveva dato qualche problema a gente più potente di lui.
I colpi che gli erano stati inferti non avevano nulla di misericordioso. Erano stati inferti in modo che l’uomo morisse dopo qualche ora di agonia, quando il sangue nelle sue vene si fosse riversato quasi completamente in strada.
Ru avrebbe potuto finirlo, sarebbe stato un gesto caritatevole. Ma non lo fece. Si incamminò oltrepassando il corpo e la macchia di sangue che si stava velocemente allargando sotto di esso. I mugolii tormentati che l’uomo emetteva lo seguirono per qualche metro. Nessuno era stato caritatevole con lui, lo avrebbero lasciato lì agonizzante a morire sul ciglio di una strada.
Poi sarebbe divenuto cibo per ratti. Forse mentre era ancora in vita. Non sarebbe stato un bello spettacolo.
Aveva percorso poco più di una ventina di metri quando una donna, una puttana, si avvicinò a lui.

“Ho visto quello che è successo” disse con la voce più suadente che le era possibile “Poveretto. Ci hai rimesso la tua droga ed hai assistito alla giustizia di questa città.”

“Io non volevo quella roba!” le rispose Ru, alzando la voce arrabbiato. Aveva passato un periodo della sua vita schiavo della droga, quando la sua mente ritornava a quei momenti il mezzo demone non poteva evitare di arrabbiarsi. Ricordare come si riduceva in quel periodo gli faceva schifo.

“Non arrabbiarti, su. Sei teso. Mi piaci lo sai? Vieni con me, ti aiuterò io a calmarti.” Disse la prostituta facendogli l’occhiolino.

Da quanto tempo non stava con una donna? Molto. Troppo? Forse.
Ru la osservò: era bella e non presentava segni di malattie. E allora perché no?

“Ti farò un buon prezzo, su.” Lo incoraggiò la donna.

Ru sorrise. Non aveva nulla da perdere.

“Hai avuto altri clienti oggi?” chiese con tono distaccato.

La puttana sorrise. “No, sono appena arrivata.”

“D’accordo.” Si limitò a dire Ru facendo poi segno di fare strada alla prostituta.

Venne portato anche questa volta in un vicolo. In fondo ad esso era stata tirata una tenda per coprire ciò che avveniva al di là di essa dagli sguardi indiscreti. C’era una branda malridotta.

“Una casa no eh?” commentò sarcastico Ru.

“Non tutte possono permettersi quel lusso.”

La donna iniziò a spogliarsi senza tanti complimenti. Tutta la gentilezza che aveva mostrato un attimo prima era scomparsa. A Ru non importava, non era per la gentilezza che era lì.
La prostituta stava iniziando a togliersi la gonna quando il mezzo demone udì la tenda dietro di lui muoversi impercettibilmente. Si voltò di scattò, ma sempre troppo lentamente.
Riuscì semplicemente a vedere il manganello che scendeva a colpirlo sul viso.
Cadde a terra privo di sensi per qualche istante.
Per fortuna era abituato a subire colpi anche più potenti di quello. Ci mise solo pochi secondi a riprendere i sensi. Ma non si alzò, rimase a terra fingendo di essere ancora svenuto.
Delle mani piccole iniziarono a frugare tra i suoi vestiti. Si fermarono. Gli tolsero la spada e poi ripresero la loro ricerca.
Il mezzo demone rimase ancora immobile. Lo avevano colpito in faccia ed il naso gli sembrava rotto, sanguinava e gli impediva di respirare bene.
In qualche modo avrebbe dovuto agire lo stesso, non si sarebbe fatto derubare.
Con un movimento rapido chiuse la mano attorno al braccio di chiunque lo stesse perquisendo. Aprì gli occhi. Era un’altra donna. La trattenne inginocchiata a terra impedendole di rialzarsi e colpì rapido con la mano libera. Il pugno colpì la seconda puttana dritta sul naso. Ru ebbe la sua piccola vendetta, anche il setto nasale della donna ora era rotto.
Si rialza più in fretta che potè e si voltò verso il luogo dove sapeva vi era l’altra donna. La prostituta era in piedi, ancora senza vestiti e gli puntava la spada addosso. Non aveva avuto il tempo di rivestirsi.

“Quella è la mia spada, troia. Io la appoggerei a terra stando attento a non rovinarla se fossi in te.” La donna non si mosse, ma era spaventata, si vedeva benissimo. Ru la squadrò dalla testa ai piedi. Poi commentò: “Avresti potuto fare semplicemente il tuo lavoro puttana, sarebbe stato più facile per tutti. E non sarebbero stati soldi spesi male.”

La donna di gettò in avanti. Non aveva chiaramente mai impugnato un’arma, almeno non una spada. Ru evitò con facilità il fendente spostandosi a destra, poi colpì con una ginocchiata all’addome la donna. La puttana si piegò in avanti per il dolore, la spada cadde a terra. il mezzo demone la presa per i capelli e la trascinò vicino al muro. La donna si dibatté per liberarsi, ma invano. Ru le tirò indietro la testa e le sbatté la faccia contro il muro!
La donna si accasciò a terra, sangue iniziava a scorrerle da più punti sul viso e sembrava sul punto di perdere conoscenza.
Non era una vendetta sufficiente.

“Hai sbagliato, troia. Nessuno può cercare di fottermi, lo capisci? Credi che mi basti quello che ti ho fatto ora? Tu e la tua amichetta bastarda mi avete rotto il naso ed avete provato a derubarmi. Credi che mi basti aver rotto la faccia a tutte e due? No. Credo proprio che ora ti scriverò in faccia LADRA, con un coltello, che ne dici? Così poi sarà ancora più difficile per te fregare altra gente…”

La donna svenne, all’incirca quando Ru le mostrò il coltello con il quale le avrebbe scritto in faccia. Il mezzo demone fece una smorfia, osservò le due donne svenute per qualche secondo e poi si rialzò. Avrebbero portato le cicatrici dell’incontro con lui per tutta la vita. Una un naso rotto e l’altra un paio di altre ossa rotte su tutta la faccia. Non avrebbero avuto più molto successo come puttane.
E poi tatuarle a sangue se non erano coscienti non sarebbe servito a placare la sua voglia di vendetta.
Non era solo questo. Quelle due dovevano avere dei protettori, che non sarebbero stati certo felici di vedere la loro merce rovinata da un bastardo come lui. Ru di certo non voleva fare la fine dell’uomo che aveva cercato di vendergli la droga.
Prese il vestito della donna e si pulì come meglio poteva dal sangue che gli sgorgava dal naso. Ottenne un risultato discreto, adatto almeno a non attirare troppe attenzioni indesiderate. Il sangue stava smettendo di cadere dal setto nasale, per fortuna.
Spostò di lato la tenda e diede un’occhiata fuori. Non c’era nessuno. Uscì in fretta dal vicolo avviandosi poi lungo la strada sulla quale questo dava a passo rapido.
Camminò per almeno una decina di minuti, durante i quali ogni tanto si voltava per controllare di non essere seguito. Ogni volta però gli sembrava che ci fosse qualcuno a seguirlo. Era più una sensazione che altro, ma non riusciva a restare tranquillo.
Alla fine, dopo aver svoltato un angolo, si nascose in un vicolo. Sperava non lo avessero notato mentre entrava lì. Il vicolo non aveva altra uscita oltre all’entrata e Ru arretrò fino al fondo, dove con il tacco del piede urtò qualcosa di molliccio. Abbassò lo sguardo.
Solo in quel momento si accorse dell’odore marcio che permeava nell’aria.
Il cadavere di una donna era riverso a terra. Pustole le coprivano i lati della bocca e le mani, ma non era stata la malattia ad essere la sua fine. Era stato un coltello a porre fine ai suoi respiri. Lungo la gola della donna era visibile un lungo taglio.
Ru rimase immobile ad osservare il cadavere. A giudicare dall’odore era lì da almeno un paio di giorni e sembrava che nessuno se ne fosse accorto, o che si fosse posto il problema di spostare quel cadavere.
Il mezzo demone era immobile mentre osservava il corpo. I suoi occhi registravano ogni particolare. Le mosche indugiavano vicino alla testa, fermandosi quasi sempre sugli occhi o vicino ad essi. I vestiti erano sporchi, ma quasi sicuramente era stato così anche quando la donna era in vita. Lungo le gambe nude c’erano numerose escrescenze e piccole ferite. Le braccia erano molto simile alle gambe, ma in alcuni punti sembravano… mangiate.
Qualcosa si mosse nell’ombra.
I muscoli del mezzo demone scattarono e si mise in posizione di difesa.
Un ratto si mostrò e Ru si rilassò. Il grosso topo si avvicinò al cadavere, guardando Ru, ma senza mostrare paura. Sembrò capire che il mezzo demone non si sarebbe mosso per fermarlo.
Arrivò vicino al viso della donna e… iniziò a mangiare.
Ru osservò la scena per pochi istanti, incapace di muoversi, poi si voltò, mosse qualche passo e cadde in ginocchio.
Il suo stomaco si rivoltò e si contorse.
Vomitò.


Edited by TKO - 4/11/2006, 13:21
 
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^robyrun^
view post Posted on 2/11/2006, 23:11




Alagia dopo il discreto viaggio senza nessun emozione arrivò insieme a tutto il clan nella capitale(Mìura).
Ray dopo aver chiamato Bankotsu e l'orso di pezza parlante per far qualcosa, disse al clan che poteva andare dove meglio gli aggradava. Quindi:Che posto se non una locanda. si disse Alagia.
Dopo aver salutato il clan si avvio verso la locanda più vicina.
Dopo cinque minuti di cammino Alagia vide in lontananza un'insegna penzolante su cui era ancora a malapena leggibile la scritta ”Il ferro di cavallo”.
Il mezzo demone allungo il passo, finché non arrivò sotto all'insegna. Dopo essersi assicurato che era un locanda, chiedendolo ad un'anziana signora che era china ad accarezzare un gatto, entrò.
Dentro la locanda c'erano sette tavoli messi in ordine sparso, di cui quattro erano occupati. Un bancone molto lungo su cui l'oste faceva scorrere i boccali di birra faceva bella mostra di sé in fondo alla sala. Accanto alla parete ovest c’erano tre persone sedute a uno dei due tavoli di poker che giocavano e più in fondo una scala che saliva probabilmente alle stanze. Alagia si sedette ad uno dei tavoli liberi.
Non passarono trenta secondi che arrivò un'assistente dell'oste e mi chiese: Cosa desidera da bere? Abbiamo buona birra e un nuovo vino rosso. Cosa preferisce? Qualche mescolanza?
Mah, penso che prenderò una bionda da 500 mldisse Alagia.
La cameriera se ne andò e dopo qualche minuto ritornò con la birra.
Dopo essersela bevuta in tre sorsi Alagia si diresse verso un tavolo da poker e urlò: Chi ha il coraggio di sfidarmi a poker i scommetto una birra. Avanti chi non è codardo che venga qua.
Così dicendo si azzittì in attesa di una risposta.
Dopo qualche attimo tre voci dissero: Io ci sto. Anch’io ho proprio voglia di una birretta. Dai giochiamocela, Chi la vince ha un birra, e come non potrei esserci.
Allora quei tre i avvicinarono, si sedettero e senza perdere un secondo uno disse: Iniziamo!
Dopo un paio di mani eravamo arrivati alla fine. Finimmo in parità tutti e tre avevamo un full di donne. E’ una cosa impossibile abbiamo giocato tutto questo tempo con un mazzo truccato. Disse uno di loro.
Allora Alagia grattandosi l’occhio disse: Be io non ho tutto il giorno per giocare a poker, volevo anche andare a fare un salto in armeria. Quindi direi di berci una birra insieme e festeggiamo questa bella giocata.
Così disse, e così fecero.
Dopo aver bevuto la seconda birra, si alzò, li salutò, e uscì dalla porta principale in direzione dell’armeria.

OT/Trias visto che avevo già iniziato a scrivere e per la prima volta in tutta la mia vita mi è venuto bene ho scritto che me ne esco subito e vado all'armeria xD /OT
 
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Nahenia~
view post Posted on 2/11/2006, 23:17




Il sole sorgeva come ogni mattina, e come sempre poi tramontava oltre l'orizzonte, la luna nascente illuminava quelle tetre notti, accompagnata dalle sempre più piccole stelle. I giorni passavano, gli attimi volavano, ma i ricordi no... Quelli si facevano sempre più insistenti nella mente stanca della druida.
La morte di Half Ray le aveva tolto la parola.
La nascita di un umano, come la scomparsa di Balmung l'avevano portata a rafforzare l'odio per tutti gli umani...
Si sentiva tradita, e non sarebbe stato facile soffocare tale sensazione.
Il viaggio però si rivelò più arduo di quello che si sarebbe aspettata, anche se camminava accompagnata solo dalla sua solitudine, anche se sorretta dalla natura che si faceva sempre più flebile, la presenza dell'assassino la irritava terribilmente. Se non fosse stato uno degli allievi preferiti da Bankotsu, forse adesso...
Forse se non fosse per la sua presenza se ne sarebbe andata...
Odiava tutti questi pensieri, che fastidiosamente si accavallavano l'uno sull'altro, focalizzando la sua attenzione sui suoi sentimenti umani...
Sette soli e sette lune nacquero e morirono .

*

Miura... Anche se Dexitea non era entusiasta del breve soggiorno all'interno di mura, doveva ammettere che come accozzaglia di materiale inerme, non era poi così osceno.
Guardò le imponenti scalinate, e le mura che sembravano toccare la volta del cielo, le costruzione, le imponenti piazze e le stradine secondarie, tutto sembrava minuziosamente studiato per dare a quella città morta un'aspetto quasi... vivo.
Eppure per quanto bella potesse essere, i druidi non stanno bene circondati da muri di pietra.
L'unica sua speranza era che il soggiorno durasse solo brevi momenti, e li avrebbe attesi davanti alle imponenti porte della città, attendendo che il resto degli ipocriti finissero con il loro giretto turistico.
Invece poi...
Il suo sguardo cominciò a seguire i vigorosi movimenti del mezzodemone dai lunghi capelli neri, il quale, accompagnato solo dalla sua fedele Banryu, si stava allontanando da lei.
Troppo, troppo lontano per i suoi gusti.
Decise, che in fondo, un giretto per quelle fredde strade di pietra, non le avrebbe dato poi così fastidio.
Quanto si sbagliava...
Troppa, troppa gente stipava quelle piazze, troppa gente si accalcava l'una sull'altra, spingendo e berciando per le vie.
Dexitea cercò di non perdere di vista Bankotsu, cercando di allungare il passo, cercando di non essere trasportata dal fluire opposto della folla, di sopravvivere a tutto quell'ammucchiamento di persone, lei che amava la solitudine e il silenzio, si sentì morire là dentro.
Si stava pentendo di aver lascito le sue armi sul carretto del clan...
Poco dopo vide le robuste spalle e la candida veste del vice capo clan. Si era arresstato, ma non era solo.
Dexitea si fermò alle sue spalle, osservando la scena che le si presentò davanti, poggiando la spalla sinistra sulla parete fredda, aspettando che il mezzodemone avesse finito ciò che stava per cominciare.
Socchiuse gli occhi udendo solo le voci che si alzavano in aria, poi un tonfo, ed infine silenzio.
La testa del mal capitato giaceva per terra, macchiando la scura pietra, ed infine il corpo cadde con essa, quasi a volerla cercare.
La druida non potè fare a meno di sorridere.
Bankotsu, era sempre così... diretto... se così si poteva definire.
Persa nei suoi pensieri sul mezzodemone si accorse solo dopo che ormai era tempo di uscire dall'ombra per raggiungere il suo amato maestro.
Gli occhi di lui la videro e lei ne fu lusingata.
Si sciolse dall'abbraccio della fredda parete e si avvicinò ancheggiando verso il proprio maestro.
I capelli ondeggiavano ad ogni passo, gli occhi fissi davanti a lei e la veste che seguiva il corpo accarezzata dal flebile vento, le donava una strana aria.
Appena il suo corpo si trovò accanto a quello del maestro la sua mano sfiorò quella disarmata di lui, passò oltre avvicinandosi sempre di più all'entrata della locanda.
Si arrestò solo pochi secondi, si voltò e guardò con occhi sensuali Bankotsu.
Continuò a camminare verso la scardinata porta di legno, vi entrò poco prima del proprio maestro.

*

Un frastuono attese la druida alla porta.
Vi erano ladruncoli e furfanti in ogni angolo, coi boccali di birra in aria e con un visibile rosso sulle guancie.
Dexitea fu quasi disgustata da tanta debolezza, che era tentata di uscire se non fosse stato che almeno quei pochi attimi li voleva passare con Bankotsu.
Non si interessò poi molto a ciò che le accadeva intorno, se non fosse per un tocco non gradito.
Sentì una mano posarsi sul gluteo, un'altra toccarle le braccie lungo i fianchi, e una accarezzarle il collo cercando di giungere al petto, mentre un volto sconosciuto si inebriava del profumo dei suoi capelli.
Tutto accadde inaspettatamente, che la druida si ritrovò alle calcagne tre rozzi individui.
Portò velocemente la mano sulla coscia, ma lì non vi trovò i suoi pugnali.
Ma anche se vi fossero stati, non sarebbero serviti.

...


Edited by Nahenia~ - 5/11/2006, 17:38
 
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Cress
view post Posted on 3/11/2006, 15:49




L'arrivo a Mìura

Il clan Toryu: un gruppo di mercenari che seguiva ed obbediva ad un umano di nome Ray. Costui non voleva nient’altro che realizzare il proprio scopo e cioè trovare l’Asgradel.
L’Asgradel, un concetto troppo grande, troppo profondo, da definire. Molti lo hanno cercato e molti altri lo stanno cercando, poiché esso sarà in grado di esaudire qualsiasi desiderio. Esso, cosa mi assicura che sia esso e non egli? Perché, sapete, c’è una bella differenza. Ma non divaghiamo. Stavamo parlando del clan Toryu e del suo “capo”, Ray. Un demone divenuto uomo. Un dio divenuto mortale. Un essere che farebbe di tutto per esaudire il proprio desiderio. Il gruppo di mercenari che lo segue: nient’altro che burattini. Forse non tutti, ma sicuramente la maggior parte. Perché lo seguono? Perché sono così fedeli all’ex dio? Perché, se lui non ha niente da offrire in cambio e sembra essere perfino irritato, no che dico, nauseato dalla loro presenza? Perché?
Domande. Tante domande. Non solo queste, ma anche delle altre. Ma soprattutto queste. Domande sulle quali un mezz’elfo pondera da qualche tempo. Domande che, senza che egli se ne rendesse conto, lo avevano occupato per la durata del viaggio. Si perché egli ed il clan Toryu erano in viaggio da un bel pezzo. Avevano appena concluso una piccola battaglia, culminata con il ritorno alla mortalità di Ray, ed ora si stavano dirigendo da chissà quale parte. Ma chi è egli? Chi è colui che si pone tanti perché? E’ Cress il mezz’elfo, che ormai da giorni segue il clan Toryu ufficialmente come membro, ma interiormente come esterno, come fosse un estraneo. Si perché egli non riesce a trovare una spiegazione o un motivo valido che l’abbiano spinto a seguire quel clan. All’inizio aveva pensato che sarebbe stato divertente unirsi ad un gruppo di mercenari, combattere per diventare il migliore, apprendere nuove abilità, scontrarsi contro nuovi avversari, conoscere persone. Infatti lo era stato e continua ad esserlo. Ma Cress senza uno scopo importante per cui combattere e rischiare la vita, si sentiva come un guscio vuoto. Fu allora che il mezz’elfo arrivò ad una conclusione: il suo scopo era trovare uno scopo. Non importa come o con quali mezzi, lui ci sarebbe riuscito. Dopo aver trovato uno scopo, decise che avrebbe impiegato tutta la vita per conseguirlo. E dopo? Il dopo non era importante. Bisogna pensare al presente. Infatti torniamo al presente.
Il clan Toryu dopo quasi una settimana di viaggio, finalmente arrivò ad una città. Mìura era il nome di essa e più che una città sembrava un enorme fortezza, circondata com’era da alte, spesse e candide mura. Un enorme cancello nero aperto vi era incastonato e faceva da entrata ad un tunnel che percorreva l’interno delle mura. I sobborghi all’interno dell’enorme muraglia erano nient’altro che misere costruzioni squadrate, di colore grigio sporco, disposte l’una accanto all’altra, come se facessero parte di una scacchiera. Due strade principali di circa venti metri di larghezza, disposte a croce, collegavano tra loro altre piccole strade che si infilavano tra i vari vicoli. Al centro della città, dove le due strade principali si incrociavano, vi era un enorme piazza.
Non appena il clan oltrepassò il nero portone che faceva da entrata alla città, l’attenzione di Ray venne attratta da un cartello. Guardandolo meglio Cress si accorse che si trattava di una “guida turistica”, nella quale vi erano scritti i luoghi più importanti della città.

₪ Siete liberi! Andate dove volete... io ora ho qualcosa da fare. ₪

Disse Ray al clan Toryu. Finalmente un po’ di svago dopo quasi una settimana di viaggio. Dove ci si poteva divertire? L’occhio di Cress cadde dapprima sul nome del Ferro di Cavallo, che sembrava essere la migliore locanda della città, ma poi il ragazzo si accorse di un nome molto più interessante: il Rosso Mulino, un bordello. Il mezz’elfo, che nella sua infanzia felice e spensierata, aveva vissuto sempre senza problemi ne preoccupazioni, seguendo sempre le regole e facendo sempre ciò che gli veniva detto, adesso sentiva montare dentro di se un senso di trasgressione, come se volesse infrangere le regole. Cress voleva cambiare. E quale posto migliore per cominciare se non il Rosso Mulino?

“Se qualcuno mi cerca sono al Rosso Mulino, ci si vede”.

Così dicendo, il mezz’elfo cominciò a percorrere la strada che gli si distendeva di fronte. Mentre percorreva l’affollata via, continuava a chiedersi dove potesse essere questo Mulino Rosso. Purtroppo non poteva chiedere nemmeno indicazioni dato che, quando la gente vedeva Rudy, si allontanava intimorita. Ad un certo punto vide un orco girato di spalle, alto circa 2 metri che stava andando nella sua stessa direzione. Pensò che non si sarebbe spaventato del suo lupo. Scese dal destriero.

“Mi scusi, potrebbe dirmi dove si trova il Rosso Mulino?”.

Dicendolo gli toccò la spalla con la mano, per attirare la sua attenzione. L’essere girò il capo. Aveva la pelle verde scuro, un espressione arcigna e due zanne giallastre di circa 5 centimetri che gli fuoriuscivano dalla mandibola verticalmente. Una folta chioma scura e liscia incorniciava il suo volto. Diede un’occhiata a Rudy che lo stava fissando torvo, ma senza digrignare i denti, dopodichè alzò il braccio destro e puntò il dito alla sua sinistra. Cress si voltò e vide un edificio più alto degli altri: era proprio un mulino. Attraversò pacatamente i viottoli quasi deserti, se non per qualche ubriacone e qualche malfattore e arrivò, dopo qualche minuto, al bordello. Era un edificio di pietra di colore rosso sbiadito, alto circa dodici metri metri, di forma cilindrica. Sul lato anteriore basso vi erano una piccola porta di legno e due finestre dello stesso materiale, aperte. Un po’ più in alto, dove vi era il secondo piano, altre due finestre aperte di legno erano incastonate nella pietra. Ancora più in alto, quasi sulla punta dell’edificio, vi erano quattro pale, anch’esse di legno, che un tempo dovevano essere servite a produrre energia. L’intero edificio era molto vecchio: la vernice a tratti mancava, la roccia presentava varie crede, e le finestre avevano i vetri scheggiati.

“Tu rimani qui Rudy, non puoi entrare mi dispiace”.

Disse Cress al suo lupo. Dopodichè si tolse l’armatura, la mise nello zaino, che lasciò insieme alle sue due spade fuori, accanto a Rudy, indossò i suoi soliti vestiti ed entrò.




Il Rosso Mulino

L’interno del locale era affollato e rumoroso, e non assomigliava affatto all’interno di un vero mulino. Una banda nascosta da qualche parte, suonava una musica assordante. A destra dell’entrata vi era situato un lungo bancone di rozzo legno dove veniva servito da bere, che attraversava quasi tutta l’enorme stanza; al centro della stanza vi erano invece vari tavolini per poche persone, dove si prendevano le ordinazioni, che consistevano sempre in drink, ovviamente alcolici; all’estremità sinistra vi era situata una scala di legno che portava ai piani superiori, dove, Cress immaginò, dovevano esserci le stanze per chi voleva passare la notte “in compagnia”; contro la parete situata davanti alla porta, vi era invece l’attrazione principale del locale: un grande palco in legno di forma semicircolare dove si esibivano donne di ogni razza. Su questo palco vi erano quattro pali d’acciaio lunghi circa 2 metri ciascuno, disposti in fila distanti circa 1 metro l’uno dall’altro, che fuoriuscivano dal pavimento e, ad ognuno di essi, vi era assegnata una donna ignuda. Al primo palo a partire da sinistra vi era un’ umana non bellissima, ma fisicamente attraente, con lunghi capelli neri, folte sopracciglia e con curve pronunciate e seni prosperosi. Al secondo palo vi era invece una nana, che stupì Cress per la sua grazia e bellezza. Era l’unica delle quattro donne ad avere entrambi capi di biancheria intima addosso, ma non per questo non riusciva ad attirare la sua parte di pubblico, che non comprendeva solo nani. Al terzo palo vi era una muscolosa ma sensuale orchessa. Pelle verde chiaro, occhi e capelli scuri e profondi e un sorriso sexy e perfetto. Indossava soltanto un tanga leopardato e si stava esibendo mandando baci ai suoi spettatori, perlopiù orchi, che battevano i piedi e i pugni in segno di approvazione. All’ultimo palo vi era una demone. Aveva la pelle mora, capelli lisci e castani e un paio di occhi grigi e attraenti. Due ali da pipistrello le spuntavano dalle scapole e un paio di piccole corna color dell’ebano facevano capolino da sotto i capelli. Era totalmente nuda e la sua peculiarità non era l’avere le corna o le ali, ma bensì avere un terzo seno. Cress trovò che fosse stranamente sexy, e sembravano pensarla lo stesso i demoni che seguivano lo spettacolo che continuavano a fischiare, applaudire e sbavare. Il mezz’elfo dopo aver osservato il palco per qualche tempo, si diresse al bancone dove, sedutosi su uno sgabello, chiamò il barista. Era un demone con quattro braccia, con un’espressione piuttosto amichevole.

“Ehi tu, servimi qualcosa di forte”.

Urlò il mezz’elfo cercando di sovrastare il baccano. Il demone annuì, si girò, e cominciò a preparare un misto di tanti alcolici. Cress intanto si guardava intorno, osservando ogni cosa. All’improvviso si sentì un gran baccano al piano di sopra. Un uomo volò giù dal pianerottolo del secondo piano e atterrò pesantemente sul duro pavimento di legno: un orchessa semi nuda e con l’aria parecchio contrariata uscì dalla sua stanza agitando minacciosa un pugno contro l’uomo, che si rialzò, si ripulì e gli mandò un bacio con la mano, sorridendo. Guardandolo meglio il mezz’elfo si rese conto che l’uomo era molto attraente e aveva dei tratti somatici bellissimi. Era un elfo.

*Ah ah, non sapevo che gli elfi, considerati esseri così puri, si dedicassero a certe attività*.

Pensò Cress. Subito dopo il barista posò il drink sul bancone. Il mezz’elfo lo prese e ne guardò attentamente il contenuto: il liquido sembrava lava incandescente. Lo bevve tutto in un sorso. Un esplosione di sapore scoppiò nella bocca di Cress che alzò le sopracciglia mentre bevevo, in segno di approvazione. La bevanda gli scivolò giù per la gola, lentamente. Il ragazzo strabuzzò gli occhi che cominciarono a lacrimare e per poco non urlò: era come se un drago gli avesse infuocato la bocca con la sua fiammata. Tossì.

“Ahahahahaaha, è forte eh?”.

Disse il barista guardandolo divertito. Il mezz’elfo tossì ancora una volta, chinando la testa in avanti, mettendo la mano davanti alla bocca, gli occhi ormai gli lacrimavano come se stesse piangendo. Rialzò il capo e si asciugò le lacrime con una mano.

“Che cazzo ci avevi messo dentro?”.

“Ahahahaha, mi fai morire ragazzo. Ti volevo chiedere, sei nuovo? Non ti ho mai visto da queste parti prima d’ora”.

Cress lo guardò un attimo prima di rispondere. Il mezz’elfo aveva l’aria un po’ abbattuta.

“Sono qui solo di passaggio”.

“Capisco”.

Dopodichè, il demone si dedicò ad un altro cliente. Cress si alzò e decise che si sarebbe avvicinato a guardare le donne che si “esibivano”. Il locale era strapieno. A dei tavoli c’era un gruppo di quattro orchi che facevano una gara di bevute, uno di loro, sbronzo, era accasciato a terra. Ad un altro tavolo un gruppo di nani discuteva animatamente. Ad un altro, un uomo e un orco si abbracciavano, brindando alla salute. Un demone ubriaco venne cacciato via dalla sicurezza per aver toccato la demone che si stava esibendo, composta da due orchi alti e muscolosi. Mentre il mezz’elfo camminava, urtò per sbaglio un mezz’orco, rovesciandogli la birra.

“Ma che cazzo fai coglione?”.

“Scusa, non l’ho fatto apposta”.

Rispose Cress che fece per andarsene, quando il mezz’orco lo fermò, trattenendolo da una spalla.

“Ti ho gia chiesto scusa, cos’altro vuoi?”.

“Che mi ripaghi la birra!”.

“Ma che stai dicendo, non l’ho mica fatto apposta!”.

Il mezz’elfo non aveva nessuna intenzione di ripagargli la birra.

“Adesso mi sono proprio rotto le palle”.

Così dicendo, l’orco tirò un potente destro mirato alla faccia di Cress, gettandolo sopra un tavolo e facendogli rovesciare le bibite. I quattro seduti li, due orchi e due umani, si alzarono di scatto.

“Ma che cazzo fate?”.

Disse uno dei due nani, mentre uno degli orchi prendeva Cress e lo lanciava su un altro tavolo, rovesciando altri alcolici. I due demoni li seduti ovviamente non gradirono la cosa e si alzarono, pronti a dire la propria. Uno di loro tirò un pugnò all’orco che aveva lanciato il mezz’elfo sul loro tavolo e scoppiò il caos. La musica cessò, le donne scapparono dietro una porta sul retro del palco. Tutti si alzarono e cominciarono a picchiarsi a vicenda, all’inizio solo con pugni e boccali di vetro rotti, dopo estraendo chi spade chi asce. Il mezz’elfo, stordito si rialzò, e si ritrovò in mezzo alla rissa. Un demone con degli affilatissimi artigli sventro un uomo come se fosse di pezza, mentre un orco con la sua enorme ascia spaccò il cranio ad un altro orco. Un nano, uscendo nudo da una delle camere del secondo piano, si precipitò nella mischia brandendo un enorme martello da guerra. Un uomo con una spada corta si lanciò su Cress, che evitò il colpo e tirò un calcio nel fondoschiena dell’avversario, che finì per terra. Dopo qualche minuto, da dietro il palco, ritornarono le quattro donne, adesso rivestite, che prima si stavano esibendo. Con loro c’era un enorme demone nero, alto circa 3 metri, e grosso il triplo. I suoi occhi totalmente rossi erano iniettati di sangue e la bava scorreva lentamente dal suo muso da toro. Indossava solamente uno straccio per coprire le parti intime e non impugnava nessuna arma.

“Smettetela di distruggere il mio locale o andatevene”.

La sua voce era roca e bassa. Cress non credeva che tutti quegli uomini –erano circa 50 tra umani, elfi, orchi, nani demoni e altre razze ibride- avrebbero smesso e si sarebbero seduti, come bravi cagnolini. Invece lo fecero. Evidentemente quel essere doveva essere davvero potente per incutere tanto terrore in così tanti uomini. A poco a poco, tornò tutto alla normalità. I feriti vennero portati sul retro dai buttafuori, la musica ricominciò, il barista continuò a servire da bere e le donne ricominciarono a ballare. Tutto tornò come prima. Cress si risedette su uno sgabello al bancone, un po’ intontito, e ordinò lo stesso drink di prima, ribevendolo tutto d’un sorso. Stavolta non ebbe il tempo di sentire l’esplosione di gusto o il bruciore: non appena il liquido toccò la sua lingua, il mezz’elfo corse fuori e vomitò.


Edited by Cress - 9/11/2006, 15:48
 
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Nanrin
view post Posted on 3/11/2006, 19:52




Ed erano giunti infine a Miura... Città fantasma, ricoperta da una strato di doratura superficiale. La piccola druida era sbigottita dalla moltitudine di poveri e ammalati che sedevano sui cigli delle strade e camminavano lenti, chiedendo l'elemosina a tutti i passanti. Erano i loro occhi a colpirla più di ogni cosa: non rassegnati, come si aspettava, come aveva veduto molte altre volte, com'era accaduto nel villaggio di Rockbell, ma... fieri, decisi a non mollare e ad andare avanti.
Seduta in groppa ad Astro - quanto tempo era ormai passato da quando l'aveva "catturato"! - con la schiena eretta, si guardava attorno senza rivolgere parola ai compagni di Clan, compagni di quel periodo della sua vita, sorridendo a quegli occhi. E poi... c'era già tanta disperazione, tanta desolazione in quella città: meglio portare un po' di gioia.
Ascoltò le parole del Capo senza prestarvi realmente attenzione. C'era qualcosa di più importante in fondo a un vicolo, che aveva attirato il suo sguardo: un edificio che stonava nella monotona cittadina... Appena vide i suoi compagni disperdersi per le vie, si diresse al trotto verso l'edificio che tanto l'aveva colpita.
***
Si fermò davanti a un piccolo giardinetto e sorrise: non si era sbagliata. Lì, davanti a lei, vi era un Tempio della Dea Selene, un po' trascurato, ma pur sempre un tempio. Le pareti, lisce, erano grige, ma dove scorreva l'acqua piovana si vedevano delle strisce di un bianco slavato; le finestre poi, non erano squadrate, bensì ad arco e molto più alte di quelle delle altre casupole, ed i vetri erano colorati: azzurri, viola, rosa e arancio. La terra del piccolo cortile era secca, ma qualche pianta aveva resistito ed era cresciuta ugualmente, sebbene un po' scheletrica: c'era persino una pianta di rose rampicante abbarbicata una colonnina a lato dell'ingresso, che era fiorita. Scese da cavallo e condusse l'animale per le briglie fin sotto a un albero dalle foglie dorate, dove lo legò carezzandogli il capo.
Una raffica di freddo vento la fece rabbrividire, esortandola ad entrare. Aprì il portone di legno scheggiato ed entrò nel Tempio.

OT Domani la finisco! ^_^


Edited by Nanrin - 15/11/2006, 19:57
 
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Ruggi76
view post Posted on 5/11/2006, 14:25




La Piazza Principale

Ed ecco il portone della capitale è praticamente immenso, ci potrebbero passare non solo un esercito da battaglia ma anche due.
Le torri si potevano notare anche al di fuori delle mura e non ci volle molto per capire che questa città era costellata di posti, locali e meraviglie provenienti da tutto il mondo.
Keiner avanzò sempre avvolto nel suo mantelo nero alla volta di Mìura capitale dell'ovest.
Il pupazzo insieme a Ray aprivano la fila degli apparteneti al clan Toryu, avevano camminato per molte miglia e come se non bastasse alcuni erano feriti.
Poche parole per descrivere questa città, caotica e confusa.
Mentre il demone osservava deduceva sempre piu' che questa dannatissima cittadina non aveva difese o supporti per i cittadini ma solo un mucchio di torri difensive con argani inutilizzati e arcieri insieme a lancieri stufi del propio turno di guardia che durava fin dalla notte.
Il mezzo come lo si chiamava un tempo andò a posizionarsi al centro della piazza principale ovvero davanti ai portoni di Mìura e osservando qua e là infine disse mantenendo lo sguardo fisso su di noi:

CITAZIONE
₪ Siete liberi! Andate dove volete... io ora ho qualcosa da fare. Tu... ₪


Uno sguardo e via, i pensieri affollavano la testa del guerriero confuso non solo da quello che doveva fare ora ma anche dal chaos che era presente in quella città.
il ragazzo doveva decidere di trovare un posto tranquillo dove non era presente quasi nessuno.
In poco tempo Ray tirò fuori una piccola lista dove erano presenti alcuni posti e lui adocchiò subito un luogo ovvero i bassifondi della città.
Senza pazienza partì spedito, sentendo che Ray doveva ancora parlare lo lasciò ai suoi discorsi.
Man mano che il ragazzo avanzava dentro i meandri del luogo le case che si avvicinavano sempre piu' al posto malsano si coloravano sempre di piu' di tonalità scure e pesanti come stesse a significare la povertà e le epidemie che pervadevano quel luogo.
Un aria pesante afliggeva quel posto malsano e sudicio di malattie. Keiner tossì portandosi la mano davanti alle labbra, il rumore eccheggiò per tutto il luogo.
Alcune persone uscirono fuori dalle case per vedere chi era.
Uno spettacolo racapricciante si stagliò davanti agli occhi dell'adepto.
Qui le persone non erano umane ma praticamente zombie, un ghigno di contenimento fuoriuscì dalla bocca del guerriero e senza esitare sputò per terra.
L'aria era pesante e il demone non c'è la faceva piu' doveva trovare uno sfogo d'aria.Allora decise di addentrarsi sempre piu' con la speranza di trovare una piazza principale pure li.
Il tentativo fu invano purtroppo, era da ore che si aggirava in quel posto e chissà quali malattie aveva già preso col via andare del tempo.
Sguardi di rifiuto si abatterono su di lui, persino bambini senza braccia o con la testa gigante ridevano e sghignazzavano al suo passaggio.
Mancava poco agli sforzi di vomito, e se stava ancora li sarebbe svenuto, non era abituato a quell'odore di putrefazione misto fegato.
Preoccupato accelerò il passo per ritrovare piu' velocemente la via della "salvezza".
Varie persone incominciarono a schernirlo davanti a tutti per quella sua debolezza che aveva, ma in fondo era comprensibile, chi sarebbe mai resistito a questa puzza per delle ore?
Keiner stravolto da questo fetore incominciò a correre fortissimo verso un vicolo che forse stava per finire.
Muro...Muro...E un altro maledettissimo Muraccio
Era nela panico totale ma non era ecessivamente agitato.Poi tutto ad un tratto forse la salvezza, una compagnia di preti uscì da in fondo a una strada con delle barelle prese da ciascuno e solo uno di essi aveva un libro in mano.
Il demone senza esitare fermò quello meno impegnato e gli disse:
Dove posso trovare una maledetta uscita?
La domanda non faceva trasparire emozioni ma soltanto cattiveria e crudeltà.
La risposta del prete ormai sorpreso di vedere una persona sana in quel posto maledetto disse:
CITAZIONE
Che il signore ti protegga dalle malattie che non ti hanno ancora infettato il corpo, il dio fostos ora ti proteggerà.

Detto questo il sacerdote porse all'Adepto un goiello d'oro come tipo una collana con un liquido speciale dentro.
CITAZIONE
Questo è un mio dono per proteggerti dalle malattie che verranno, questo ciondolo contiene la preziosa acqua del tempio fostos famosa per aver curato e rimesso in sesto molto guerrieri valorosi

Il ragazzo era furibondo, se quel maledettisimo diacono non gli avrebbe detto l'uscita avrebbe sboccato sul suo camicie nero.
DANNAZZIONE MI DICA DOVE DIAVOLO E' UN USCITA DA QUESTE PARTI E SUBITO...
Un leggero sputo volò dalla bocca del guerriero e andò a posizionarsi sulla faccia di quel vecchio rugoso che aveva davanti.
Senza degnare una parola al ragazzetto l'anziano signore saggio se ne andò lasciandoli in mano quella specie di amuleto.
Con furia e senza esitazione Keiner avanzò con molta velocità dalla direzione in cui erano venuti i sacerdoti del dio Fostos.
Un paio di curve e la salvezza era stata raggiunta, finalmente da un piccolo vicoletto era uscito fino a sfociare davanti a una locanda chiamata il ferro di cavallo.
Prendendo una sedia si adagiò su di essa e con molta calma si riprese da quell'odore nauseabondo che pervadeva ancora le sue povere narici.


Edited by Ruggi76 - 5/11/2006, 21:18
 
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^robyrun^
view post Posted on 5/11/2006, 16:27




Alagia appena uscito dal locale vide Murony.
Lo salutò con un cenno di mano e si diresse verso la signora di prima che adesso stava seduta su una panca a fare una maglia di lana. O almeno così sembrava.
Mi scusi. So che la sto disturbando, ma volevo chiederle dov'è un'armeria?Chiese il mezzo demone con tono sicuro.
No!Non mi disturba per niente e logico che un turista chieda informazioni. L'armeria e da quella parte.Mentre parlava la signora indicò una via.
Alla fine di questa via c'è un cartello come quello nella piazza principale. Da la si orienterà meglio.Disse la signora. E si rimise a cucire.
Alagia dopo averla ringraziata imbucò quella via.
Era abbastanza larga anche se Alagia ci stava molto stretto visto che era molto affollato.
Qualche minuto dopo Alagia si ritrovò sotto i piedi un cadavere senza testa.
Non badandoci continuò la sua camminata verso la fine della via.
Camminando notò che non c'erano case che chiudevano le vie ma solo muri.
Finalmente era arrivato alla fine della via, come aveva detto la signora c'era il cartello della città.
Dopo averlo consultato per qualche secondo si diresse verso l'armeria, non era tanto lontana,saranno stati cento metri.
Incamminatosi verso l'armeria notò che c'era meno gente.Forse era un posto meno conosciuto pensò Alagia.
Dopo aver bussato alla porta entrò.
Buongirno signore avevo intenzione di dare un occhiata alle cose che avete in vendita.Disse Alagia con voce squillante.
Abbiamo tutto e di più signore.Ma le cose che a me piaciono veramente sono queste armi:un nunciaku,una katana e un arco.Rispose il mercante.
Molto interessante quel nunciaku.Quanto costa?
Costa 500.
Non me lo posso permettere comunque grazie di averelo mostrat...
Alagia non aveva neanche finito la frase che da dietro di lui un signore con un cappuccio aveva sparato in pieno cuore al mercante.
Alagia si girò e chiese:Perchè l'hai fatto ti aveva fatto qualcosa?
Il signore disse:No niente e che volevo derubarlo ma visto che ci sei anche tu meglio che ti uccido anche a te.e puntò la pistola sulla testa di Alagia.
Alagia non era molto contento di morire così allora prese il nunciaku che era rimasto sul bancone.Lo tirò dritto sulla pistola del signore.
Dopo aver effettuato questa mossa, estrasse Elison dal fodero e con un fendente netto e preciso e gli tagliò la testa.
Rimise Elison nel suo fodero.
Prese il nunciaku stava per portarselo via ma dopo lo rimise al suo posto.E uscì dal negozio dicendo:Pensa tu vai a lavorare tranquillo come ogni giorno e la ti aspetta la morte.
 
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Älber†Ø
view post Posted on 5/11/2006, 16:49




Arrivammo alla capitale, era una splendida ciattà divisa in due parti: la parte dei benestanti dove c'erano ottimi negozi e locande piene di gente la genteera felice, stare li faceva venire una bella impressione, oveunque c'erano colori e profumi, e una parte malfamata dove si nascondeva la feccia, ladri assassini e dove si trovava la povera gente costretta a subire le ingiustizie dei padroni locali....camminando mi venne un certo languorino e anche perchè ero curioso di vedere che tipo di gente si trovasse entrai in una locanda: "Alla Forca", era un posto povero, la luce proveniva da qualche piccola candela, non c'erano finestre solo una vetrina con un pomodoro esposto, e al bancone tutto era sporco, il proprietario puliva con uno straccio che era diventato nero e pieno di polvere senza usare neanche un goccio d'acqua. Nonostante le pessime condizioni igeniche avevo ugualmente fame, così pogiai le spade su una sedia e andai al bancone ad ordinare....ma prorpio mentre aprivo bocca una mano mi toccò la spalla, mi voltai e c'erano due esseri di una razza a me sconosciuta e uno di questi mi disse: sai, non mi sei molto simpatico, io dico che dovresti uscire da qui... a tu dici? chesi girandomi come se niente fosse per ordinare... il fatto..è che non sei neanche simpatico al mio amico esclamò puntandomi la spada contro, mentre l'altro essere si strofinava i pugni......lo guardai negli occhi come diversivo per concentrarmi, lui fece partire una sciabolata, ma io più svelto attirai a me le spade lasciate in precednza sulla sedia che li trafissero la schiena, l'amico della vittima avanzò per attaccarmi, ma feci uscire le lame dai guanti e lui iniziò ad arretrare arrivando fino alla porta senza voltarsi e guardandomi...attese un attimo e scappò, io feci rientrare le lame, presi le spade e mi andai a sedere pulendole con la tovaglia del tavolo, il padrone mi guardò per protesare ma la tovaglia era gia in pessime condizioni e stese zitto....
Uscì da quel locle giurandomi che non vi avrei rimesso più piede, ora ero indeciso, andare alla piazza o continuare a girare per i bassifondi? ma camminando per la città ritrovai quell'essere che in precedenza era scappato, mi fermò e mi chiese
ei amico, ti ricordi di me?
no mi dispiace...
Alla Forca..
curvai leggermente le labbra...la città è piccola
e anche molto cattiva
da tutti gliangoli uscirono suoi amici che mi circondarono e lui inizio a ridere seguito dagli altri....
Ammazzami adesso se ti riesce...
fece segno e tutti presero un arma, erano una decina e iniziarono a correre verso di me attaccando....io avevo un unica possibilità, era difficile, ma dovevo riscirci, dovevo padroneggiare la mia abilità, sapevo che alla fine sarei stato esausto ma dovevo farlo, così lanciai le due spade in aria, stesi e baccia e usando il mio potere di manipolare gli ogetti a distanza le feci ruotare intorno a me creando una barriera che poteva essere sia offensiva che difensiva, feci appena in tempo , tutti attancando colpirono le spade, chi sparò con le balestre si vide rotta la freccia, e dopo tutto questo molti rimasero feriti...ma due in ottime condizioni e io ero esausto e con una ferita al collo provocata da un proiettile riuscito a passare...che altro potevo fare? ero solo e incapace di combattere...dovevo trovare una soluzione così, dissi agli unici ancora in grado di uccidermi....
perchè non lasciamo da parte le armi e ce la vediamo con i pugni?
i due sorrisero e mi vennero incontro, io ero inginocchiato, ma raccogliendo tutte le forze che mi erano rimaste tirai un pugno a ciascuno nello stomaco, i pugni erano deboli talmente deboli che i due si lasciarono colpire, ma, quando meno se l'aspettarono feci uscire le lame e gli trafissi lo stomaco....poi mi rannicchiai in un angolo di quel quartiere malfamato aspettando qualcuno del clan o cercando di riprendrmi da solo....

Edited by Älber†Ø - 5/11/2006, 20:13
 
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TKO
view post Posted on 5/11/2006, 20:12




Prostitute e Protettori.

Le due donne erano sedute sul letto malridotto. Una delle due era ancora nuda. Entrambe sanguinavano. La prima con il naso rotto, la seconda da un sopracciglio e dalle labbra. Quest’ultima inoltre presentava numerosi lividi su tutto il viso.
Un uomo era appoggiato contro il muro con la schiena e le fissava con aperto disprezzo. Si capiva chiaramente dalla pancia che metteva a dura prova i bottoni della camicia che l’uomo non soffriva la fame. Aveva capelli bianchi, ma una barba bionda, senza un filo di bianco. Caratteristica strana. Ma la cosa che più colpiva di quell’uomo erano gli occhi. Il sinistro era di un azzurro chiarissimo, il secondo era attraversato da una lunga cicatrice leggermente obliqua e non presentava ne iride ne pupilla.
La donna senza vestiti alzò lo sguardo sull’uomo. Prese fiato, cercò il coraggio per parlargli, ma pochi istanti dopo tornò a fissare la terra sotto i suoi piedi. Aveva freddo, ma non aveva nemmeno il coraggio di chiedere a quell’uomo di ridarle i vestiti.
La compagna fu più coraggiosa.

“Scusaci, Temran.” Disse con voce supplicante.

Stava per continuare quando l’uomo la fulminò con quel suo sguardo gelido. La donna sobbalzò. L’uomo si incamminò e si avvicinò a lei. La guardò ed… incredibilmente le sorrise. Il viso della prostituta si illuminò.
La mano di Temran si mosse rapida e colpì il viso della donna. La prostituta fu più sorpresa che altro e rimase a fissare con occhi vuoto l’uomo e la mano che la aveva appena colpita.

“Credi di potermi parlare così?” chiese il sicario guardandola negli occhi “Credi di poterti rivolgere a me così? Sei solo una puttana! Non osare mai più parlarmi! Anche se ti ho USATO un paio di volte non vuol dire che tu possa guardarmi, troia!”

“Ti chiedo…” iniziò la donna, cercando di scusarsi.

Un altro schiaffo la colpì. Temran la guardò con disprezzo e le ricordò che non doveva parlare con lui. Poi si allontanò di nuovo dalle due donne.
Si avvicinò alla tenda sudicia e guardò fuori. Sentiva i singhiozzi delle due donne dietro di sé, lo mettevano ancora più di cattivo umore.
Non si voltò.

“Quante volte ve lo ho detto che dovete scegliere con cura chi portare qui? Come potete essere state tanto stupide da portare qui un guerriero? Come!?!? Come! Cosa avete in quelle diavolo di teste? Sterco? No probabilmente nemmeno quello! E guardatevi adesso! Chi credete che vi possa volere ancora ridotte in quelle condizioni? E chi mi ripagherà dei soldi che perderò?”

Le due donne rimasero in silenzio rannicchiandosi ancora di più su sé stesse per la paura.

“Devo trovare quel bastardo che vi ha ridotte così. Devo fargliela pagare. Nessuno può mettersi contro di me. Vi ricordate com’era? Dove posso trovarlo? Diavolo parlate!”

Le due donne rimasero ancora in silenzio. Era troppo spaventate anche solo per guarda Temran, figurarsi per parlare. L’uomo si avvicinò e prese per i capelli la prostituta che ancora non si era rivestita.

“Ti ho detto di parlare, lo capisci cosa vuol dire? Apri quella bocca e dimmi dove diavolo posso trovarlo!”

La donna mugugnò qualcosa. Rimase in silenzio e poi provò a parlare di nuovo. “Non… non… non lo so chi sia. Non so dove sia andato. Lo abbiamo solo portato qui e… e.. e…” si mise a piangere.

Maledizione! Piangeva ancora e Temran si arrabbiava ancora di più. Non la sopportava. Non LE sopportava. Si allontanò per non colpirla di nuovo.
Rimase immobile a guardare fuori della tenda per lungo tempo. Nella sua mente si affollavano i pensieri. Quella cosa non poteva essere passata inosservata. Probabilmente lui in quel momento era lo zimbello di tutti i bassifondi. Chiunque si stava prendendo gioco di lui. Maledizione! Non lo sopportava.
Quando quella debole vocina parlò alle sue spalle all’inizio ebbe voglia di colpire la donna, poi sentendo quello che diceva la sua rabbia si placò lasciando spazio al desiderio di vendetta.
Forse avrebbe trovato il bastardo che aveva ridotto così la sua fonte di guadagno.

“Si.. si… si è pulito il sangue sui miei vestiti…” disse la donna.

Temran si mosse rapido e prese i vestiti. Li squadrò. Il sangue era ancora visibile, fresco. Forse avrebbe funzionato.

Si rivolse alle due donne: “Seguitemi!” disse semplicemente ed uscì dirigendosi verso la strada.

Una delle due, quella vestita lo fermò gridando: “Dalle almeno i suoi vestiti.”

Lui non si scompose. “Stai zitta, puttana. Se non avreste fatto tutto questo casino ora non sareste in queste condizioni e tua sorella non dovrebbe camminare nuda per strada.”

Non disse altro, uscì in strada e si incamminò verso la sua nuova destinazione. Le due donne lo seguivano a pochi passi di distanza. Malconce, una delle due nuda e l’altra con vestiti sporchi e rovinati. Molte persone le osservavano con disprezzo, alcune donne sputarono alle due. Dei bambini lanciarono dei sassi solamente per divertirsi.
E Temran godeva dell’umiliazione delle due donne. Se lo meritavano per l’umiliazione che avevano fatto subire a lui.
Il viaggio durò anche troppo poco, una decina di minuti. I tre si fermarono davanti ad una casa. Attorno alla porta erano legati o inchiodati i cadaveri dei più strani animaletti che esistessero nell’Ovest misti ad erbe dagli odori disgustosi. Nonostante il caldo il camino fumava.
Temran spinse la porta senza bussare.
Il miscuglio di odori all’interno era anche peggiore di quello all’esterno. All’uomo lacrimavano gli occhi. Un sottile strato di fumo, troppo simile alla nebbia, aleggiava nell’aria dando ad ogni cosa contorni indefiniti. Temran mosse i primi passi nella casa seguito dalle due donne.

“Cosa ci fate in casa mia?” domandò una voce che sembrava provenire da nessun luogo e dovunque.
Era la voce logorata dagli anni di una vecchia.

Temran non era più molto sicuro di ciò che stava facendo. Si schiarì la voce prima di rispondere. “Sto cercando un uomo. Esigo vendetta.”

Il fumo nella stanza si diradò leggermente lasciando intravedere una vecchia seduta su una poltrona proprio davanti a loro. I capelli erano bianchissimi, le scendevano lunghi fino a toccare terra. La pelle aveva un malsano colore grigiastro e gli occhi erano chiusi dalle pustole di qualche strana malattia. La bocca era cucita con dei fili di cuoio per restare chiusa. Eppure la vecchia poteva parlare

“Desideri vendetta Temran? Non è la prima volta che vieni da me a chiedere aiuto per una tua vendetta.” Disse con un filo di voce la vecchia.

“E probabilmente non sarà nemmeno l’ultima. Facciamo in fretta e sarà meglio per tutti e due.” Disse l’uomo con finto coraggio.

“Chi stai cercando?”

“Sto cercando l’uomo il cui sangue macchia questi vestiti.” Rispose Temran.

Le vecchia allungò la mano ed attese fino a che l’uomo non ebbe posato i vestiti macchiati di sangue su di essa. Rimase immobile per lungo tempo prima di parlare di nuovo.

“L’offerta dovrà essere più alta delle precedenti.” Disse.

Temran ringhiò arrabbiato, ma annuì. Sapeva che sarebbe andata così, in fondo. Desiderava vendetta. E quello che voleva lo otteneva sempre.

La vecchia iniziò a mugugnare. Un canto rituale senza parole per risvegliare il sangue coagulato sui vestiti. Poco a poco, nel fumo della stanza iniziò a comparire un’immagine. Un uomo, rannicchiato a terra in un vicolo. Vomitava.

Rimasero tutti in silenzio fino a che la vecchia non parlò. “Corri Temran, è qui vicino. Se ti affretti lo raggiungerai presto.”

L’uomo si voltò verso l’uscita e si incamminò. La vecchia lo richiamò.

“Lascia le tue donne qui da me fino a che non avrai finito. Torna a prenderle dopo che avrai avuto la tua vendetta.”

L’uomo grugnì una risposta, ma era troppo preso dal suo desiderio di vendetta ed uscì dall’edificio.
Le due donne erano spaventate, non volevano stare lì con quella vecchia.
La megera sorrise.

“Non vi piace stare in compagnia di una vecchia, vero?” chiese alle due. Non ottenne risposta. Sorrise. Faceva star male vedere quella bocca incresparsi in un sorriso, i lacci di cuoio si tendevano rischiando di rompersi. Era un immagine raccapricciante. La donna parlò di nuovo. “Nemmeno a me piace a dire il vero.”

I capelli tornarono grigi. Poi marroni. Poi blu. Poi rossi. Poi neri. Poi di nuovo bianchi.
Le due prostitute osservarono la scena a bocca aperta.
La pelle della donna tornò liscia. Da bianca che era diventò color dell’ebano. I capelli smisero di cambiare colore. Erano bianchi, ma molto più corti di quanto lo fossero stati in precedenza. La bocca non era più cucita.
Le due puttane ora tremavano.
La donna che ora avevano davanti agli occhi era giovane. Non era più la vecchia megera che le aveva accolte in casa. Aveva ancora gli occhi chiusi.
Le due donne la stavano fissando senza rendersene conto.
L’altra aprì gli occhi.

La Preda.

Ru si raddrizzò nel vicolo. Non riusciva a togliersi di dosso quella sensazione che qualcuno lo stesse cercando.
Aveva appena vomitato e sentiva ancora il sapore della bile in bocca. Sputò. Sputò e sputò ancora. Non serviva a niente.
Al già maleodorante aroma di quel vicolo si era aggiunto anche l’odore del suo vomito. Era meglio che uscisse in fretta di lì.
Si voltò verso l’uscita del vicolo.
Si bloccò.
Per un attimo aveva visto qualcosa nella sua mente. Era stato come un lampo, un avvertimento.
Meccanicamente portò la mano alla spada.
Una voce parlò direttamente nella sua testa.

Ti sta cercando. Hai rovinato le sue donne ed ora vuole vendetta.
Sta arrivando da te. Manca poco.
Fatti trovare pronto.


Il Cacciatore.

Temran camminava a passo spedito. Non correva, avrebbe potuto attirare qualche sospetto. Aveva un unico obiettivo in mente: il bastardo che aveva rovinato la bellezza delle sue puttane!

Forse, se non fosse stato concentrato unicamente sulla vendetta, si sarebbe accorto delle cose che non andavano. Degli strani e familiari odori che c’erano stati a casa delle megera. Quegli odori che non avrebbero dovuto esserci.
Forse avrebbe notato anche che la donna gli aveva parlato con una voce leggermente diversa.
E magari anche il filo di sangue che usciva da una delle porte nella casa.

E invece non si era accorto di niente.
Nella sua mente c’era spazio solo per la vendetta.

È sempre stato uno stupido.

La donna aveva aperto gli occhi.
Le due prostitute non credevano a ciò che stavano vedendo.
Un occhio era azzurro, quasi bianco. L’altro totalmente bianco, senza pupilla né iride.
La donna sorrise loro. I suoi denti avevano qualcosa di strano.

“E’ sempre stato uno stupido. La vergogna della famiglia.” La donna parlava, ma non sembrava rendersi conto che le due donne erano ancora nella stanza. Le prostitute non si mossero, erano troppo spaventate. “Come può un demone decidere di vivere come un umano? E poi… avrebbe potuto almeno scegliere di essere un principe o un re! E invece lui no! ha deciso di rovinare il nome della nostra famiglia diventando un farabutto.”

La donna alzò lo sguardo sulle altre due.

“Oh, voi. Capite bene che non vi posso lasciare in vita, vero? Siete testimoni della disgrazia di mio fratello e del disonore che questa ha portato sulla mia famiglia.”

Le guardò con disprezzo, mosse la mano ed un uomo comparse alle loro spalle. Le mani dell’uomo erano state trasformate in pugnali. Le lame trapassarono le due donne senza un rumore.

“Bravo il mio servitore. Gettale nell’altra stanza insieme al cadavere della vecchia che viveva qui.”

L’uomo si inchinò. “Certo mia signore, Thayara.”.

L’uomo iniziò a spostare i corpi spingendoli come meglio poteva con i piedi o con le lame che aveva al posto delle mani. Era sgraziato e per fare la maggior aprte dei lavori ci impiegava troppo tempo, ma sapeva uccidere perfettamente.
Thayara tornò a concentrarsi sul sangue che macchiava il vestito che ancora aveva in grembo. Creò un contatto mentale con la mente dell’uomo che suo fratello desiderava uccidere.

“Ti sta cercando. Hai rovinato le sue donne ed ora vuole vendetta.
Sta arrivando da te. Manca poco.
Fatti trovare pronto.”

Dopo aver lanciato il messaggio rimase in silenzio. Sorrise. Se le sensazioni che aveva avuto riguardo a quell’individuo corrispondevano al vero non avrebbe dovuto sporcarsi le mani con il sangue indegno di suo fratello.
Dopotutto non era scritto da nessuna parte che lei avrebbe dovuto uccidere di persona suo fratello, Temran, l’indegno.

Trappola.

Ru si appoggiò con la schiena contro il muro. Chiuse gli occhi. Doveva dare l’impressione di stare male. e soprattutto doveva sperare che chiunque avesse parlato nella sua mente non lo avesse preso in giro.
Teneva il pugnale in grembo, nascosto da un braccio.

Temran si affacciò al vicolo guardando dentro. I suoi occhi si illuminarono quando vide Ru rannicchiato contro il muro. Gli sembrava che dormisse, che fortuna!
Ru si mosse, grugnì cercando di imitare un gemito di dolore ed aprì gli occhi. Un attimo dopo li richiuse. Li riaprì e li richiuse. Cercava di dare l’impressione di non riuscire a tenerli aperti per più di qualche secondo, di non riuscire a mettere a fuoco ciò che stava accadendo. Doveva sembrare che stesse male.
Parve funzionare.

“Tu dannato bastardo! Tu hai ridotto male le MIE donne! Come credi che possano lavorare in quelle condizioni? Sarò lo zimbello di tutta la città per colpa tua! Ma me la pagherai moscerino. Te la farò pagare cara, brutto idiota!”

Temran finalmente si avvicinò a lui, ma non abbastanza. Ru doveva aspettare ancora
L’uomo lo osservò a lungo mugugnando.

“Ho deciso. Ho deciso come morirai bastardo.” Disse, sicuro della vittoria. “Ti aprirò la testa mente sei ancora vivo e ti estrarrò il cervello, credi che ti piacerà?”

Rise ad alta voce, spavaldo. Si accucciò davanti a Ru ed iniziò ad armeggiare per prendere il pugnale.
Il mezzo demone agì rapido come un fulmine. Mosse il braccio che impugnava il pugnale e con un unico movimento conficcò la lama nella gola del demone, in senso verticale in modo che salisse a raggiungere il cervello.
Sangue sgorgò dalla ferita ed andò a macchiare di nuovo i vestiti del ninja. Temran cercò di dire qualcosa, forse solo per urlare dal dolore, ma non ci riuscì. Dalla sua gola uscì solo un gorgoglio mentre sputava sangue.
Ru si scrollò di dosso l’uomo. Poi fu il suo turno di chinarsi sul morente.

Il mezzo demone sussurrò all’orecchio dell’altro. “Qualcuno ti voleva morto, idiota. Sono stato avvisato del tuo arrivo in modo che potessi ucciderti senza problemi.”

Non disse altro, si alzò e uscì dal vicolo. Di certo non era più tranquillo, c’erano domande senza risposta. Chi era stato ad avvisarlo? Perché?
Scrollò le spalle, cercando di non pensarci, ormai era andata. Al tempo stesso però cercò di fare ancora più attenzione ad ogni cosa che lo circondava.

L’Idiota.

Temran era ancora consapevole sdraiato a terra nel vicolo mentre la vita lo abbandonava.
Le parole del suo assassino gli ronzavano in testa. E con esse la consapevolezza di essere stato uno stupido.
Solo ora notava le cose che non andavano nella casa della vecchia e nella megera stessa.
Era così chiaro che vi fosse lo zampino di sua sorella. Ed ora lui era morto. Il disonore della famiglia era stato finalmente eliminato. E pensare che era riuscito a sopravvivere così a lungo.
Il suo sguardo si posò sul fondo del vicolo.
Su un cadavere. Qualcosa di mosse vicino al corpo. Un ratto.
Continuò a fissare quella scena.
Continuò a fissare il suo destino.
 
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Ruggi76
view post Posted on 6/11/2006, 17:46




Spiegazioni?

La vita in quella maledettissima città brulicava di persone malate e affette da piaghe incurabili, solo la parte alta della cittadina era maledettamente sana.
Ormai si notavano e si vedevano le differenze culturali.
Qui erano molte e sicuramente c'era un sistema di caste in questa società.
Keiner rialzandosi e mentre rimetteva la sedia al posto di prima scrutava ad una a una la gente che lo colpiva di piu'.
Molte persone erano delle razze piu' estranee ed esistenti al mondo e non ci volle molte che passasse un cavallo con il naso da maiale e le corna da toro.
Insomma c'era un vero e propio afflusso di persone straniere e chissà quali culture aleggiavano in questo posto.
Deciso a non annoiarsi il guerriero si diresse verso la parte nobile della città, dove vi era presente anche la famosa cattedrale del dio Fostos.
Girovagando per i vicoli e cercando sempre piu' informazioni su direzioni e località, il demone si accorse che man mano che andava avanti al contrario dei bassifondi, nell'aria aleggiava profumo come di incenso e spezie varie.
Le case ora non erano cupe e oscure ma anzi presentavano tonalità diverse e radiose, quasi se come quella parte, o quella zona fosse dedicata agli dei o a persone molto importanti come ad esempio imperatori.
Inizialmente il ragazzo si chiese come mai la gente quando lo osservava lo squadrava da testa a piedi, ma non ci volle molto che qualcuno un po' piu' loquace di altri parlasse:
EHI...tu
Una voce interruppe il cammino dell'uomo che si fermò e con il mantello adosso si limitò solo a stare zitto.
Percaso sei un malato che viene dai bassifondi?
Sai com'è noi non vogliamo grane qui, quindi ritorna al tuo fetido posto in cui sei venuto e stacci lurido verme che non sei altro.

Keiner rimase fermo per tutta la durata di quelle sporche parole che aveva pronunciato quell'uomo. Infine con molto garbo si avvicinò al civile e con molta calma rispose:
Chi ti ha detto che porto grane? Come fai a conoscere quel fetido posto? Forse tu ci vivi?
La faccia dell'adulto divenne talmente rossa quasi da scoppiare in mille pezzi e urlando rispose molto adirato:
BASTARDO, CHI TI CREDI DI ESSERE PER TRATTARMI COSi'?
Keiner con molta calma saggiò per la prima volta un alito davvero cattivo e disse per schernire l'avversario:
Ti hanno mai detto che ti puzza l'alito come un verme? Forse non lo sai ma credo che sia te il lombrico che tra poco stramazzerà al suolo.
Tutti i cittadini della zona si erano affacciati alle finestre per assistere alla situazione andatasi a creare col tempo.
Molti di loro ridevano e non mancava chi acclamava o il ragazzo o il vecchio uomo.
Nel frattempo il gueriero in modo tranquillo sghignazzò tra se e se e con un potentissimo pugno buttò per terra l'uomo che poco prima l'aveva offeso pesantemente.
Avvicinandosi a quella schfosa persona e mettendogli molto delicatamente una scarpa sulla faccia il demone controbattè in questo modo:
Credo che sia tu il verme, non vedi stai strisciando per terra.
Credo che ti lascerò scavare nella tua infima e brutale rabbia.
Arrivederci...

Fregandosene delle bestemmie e delle parolacce che l'uomo stava pronunciando a voce altissima con il labbro completamente distrutto, l'umano(si fa per dire)continuò il suo cammino verso la sua prossima meta.
Cercando di non rammentare l'episodio appena avvenuto trovò varie indicazioni sulla sacra chiesa di uno degli Dei venerato in quel posto, ovvero Fostos.
Passeggiando in una piccola piazzetta il combattente potè guardare come un gruppetto di preti vestiti tutti di nero si avviava di corsa verso un edificio imponente e grandissimo.
Non solo aveva delle dimensioni esagerate ma emanava anche un aura di sacro e fede inesauribile come se la vita di quell'edificio fosse vera.
Transitando per la strada principale che portava alla chiesa Keiner aveva pronte già alcune domande da porgere ai sacerdoti.
L'entrata fu molto regale e il ragazzo dai capelli bianchi non si aspettava di essere riverito e servito in modo così servile.
Con calma andò a sedersi in una di quelle panche in legno pregiato ove sopra vi erano intagliati vari motivi a dir poco interessanti sulle battaglie compiute dai piu' valorosi.
Molti qui si fermavano per pregare o confessarsi direttamente con la divinità del posto entrando in una specie di cabina ricoperta da un telo rosso che cingeva tutti i lati di essa.
Inutile dirlo che questo luogo non conteneva anche viaggi di istruzione, molti vescovi persona molto importanti svolgevano visite guidate, spiegando il perchè la costruzione dell'edificio e le tante radici storiche che provenivano dal dio rappresentato.
Si offrivano molti tributi agli dei, ma anche molto cospiqui fintanto che le cifre raggiungevano anche le 5000 monete d'oro.
Non mancavano i bambini che correvano qua e là provocando un chiasso assordante e quasi divertente. Gli inseganti li inseguivano persino con minaccie di note ma non c'era nulla da fare il loro senso di gioco era al momento insaziabile.
Le decorazioni della cattedrale erano fantastiche, persino sul pavimento vi erano mosaici riguradanti le grosse battaglie sempre rappresentate dagli dei. Il soffitto era una meraviglia per gli occhi, chissà da quale artista era stato eseguito quel lavoro, e sì che il demone aveva già visto rappresentazioni di angeli ma non come quelli presenti.
Un solo pensiero sfiorò la mente di Keiner, un ripensamento malvagio e oscuro.
Fiamme, bambini morti, squarciati e distrutti, persone che correvano urlando da per tutto e una persona con gli occhi grigi, molto profondi tali da essere persino capibili, il terrore ci fu in quell'istante una massa di pensieri e parole lo circondarono facendolo quasi svenire.
Un senso di oscurità avvolse le membra del ragazzo.

Nero...

Un urlo si propagò per la sala immensa dell'edificio, tutti si girarono a guardare da dove fosse giunto quel rumore chiassoso. Molte guardie si precipitarono dentro all'edificio per soccorrere la persona o sopprimere il malfattore, ma per fortuna non ci fu nulla.
Il silenzio ora era tombale, si sentiva solo il pianto di un neonato che forse voleva da mangiare.
Una persona forse del luogo si precipitò su di lui ponendogli domande semplici ovvero se stava bene e se aveva bisogno di aiuto. Ma niente, non rispose, anzi non seppe rispondere. Una voce si fece largo tra la sua mente e con tono freddo seguita da lamenti di ragazzini disse:
Vattene da qui e non tornare creatura impura, vattene e non ritornare mai piu'...SPARISCI.
La mitologica voce riecheggiava nella sua mente come una pallina da ping-pong. Un emicrania incontenibile lo attenagliò senza dargli piu' tregua.
Con passo svelto l'uomo uscì dalla chiesa sbattendo il portone principale, appoggiando le mani sulle ginocchia e ansimando freneticamente per quello che aveva subìto si stava lentamente riprendendo.
Solo ricordi, ritagli di tempo cui lui non aveva mai visto, fosre facevano parte del passato?
Non si poteva dare una spiegazione a questo fenomeno fattostà che si era fatta quasi sera e lui doveva sbrigarsi a ritornare in città.
Mentre si avviò continuava a rammentare l'evento accaduto poco prima ma la confusione si fece tale che non riusciva piu' a "connettere" così decise di andarsi a rintanare in una locanda a bere un po' d'acqua, forse si sarebbe ripreso.


Edited by Ruggi76 - 6/11/2006, 19:15
 
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_Bankotsu_
view post Posted on 6/11/2006, 22:27




Si era voltato, in senso antiorario, lentamente e con sguardo minaccioso, per vedere chi o cosa fosse la presenza che aveva avvertito alle proprie spalle. Fu lieto di sorridere a quella quantomeno celestiale visione. Era appoggiata ad una parete con la spalla mancina, sagoma sensuale e attraente nonostante la poca luce che filtrava in quel vicolo buio stretto fra le ombre di due grossi edifici. I suoi occhi incontrarono quelli di lei, e l'umore del Guerriero si rasserenò, mentre lo sguardo si addolciva notevolmente. Ella si staccò dalla parete di fredda pietra, silenziosa e sinuosa, cominciando a camminare nella direzione del mezzodemone. I due si incrociarono, e la mano destra della Druida sfiorò la mancina del maestro, senza però afferrarla. Dexitea passò oltre, e raggiunse con il suo incedere sensuale la direzione indicata poc'anzi dai due ladruncoli, oltrepassando il cadavere del ciccione appena decapitato da Bankotsu e appropinquandosi alla locanda. Come ipnotizzato, il Vice Comandante del Clan la seguì, incapace di parlare o compiere una qualsiasi altra azione. Scavalcò senza tanti complimenti il morto appena reso tale, e andò dietro a Dexitea come un cagnolino ammaestrato. La vide raggiungere infine la locanda ed entrarvi, ed egli fece la stessa cosa un attimo dopo. Distolse lo sguardo dalla figura ammaliante della donna per un istante, giusto il tempo per dare un'occhiata al posto. Un odore di stantìo e marcio aleggiava in quel luogo di bevute, assai tetro e buio. La lugubrità della taverna era certamente spezzata dal vociare e dall'allegro ubriacarsi di svariati uomini. C'erano anche alcuni nani e Bankotsu riconobbe un mezzodemone, oltre ovviamente a qualche orco e mezz'orco. Nessuno però sembrava badare alle differenze di razza, occupati com'erano tutti a bere e a ridere. L'ilarità generale e l'odore del pessimo alcool che circolava a fiumi là dentro fecero sorridere Bankotsu, che era entrato nella taverna facendo ben attenzione a far passare la Banryu orizzontalmente nella bassa porta. Dopo l'istante di perlustrazione visiva della locanda, Bankotsu cercò ancora con lo sguardo la bella Dexitea. Ma quando la vide...
Fu come se avessero sventolato davanti agli occhi di un toro un enorme lenzuolo rosso.
Dexitea aveva esattamente tre figli di tro*a addosso. Un coglioncello la toccava sulla natica destra, allungando la mancina dal posto ove era seduto, sorridendo beota. Un altro morto designato era in piedi alla sinistra della donna e le accarezzava il collo. Il terzo e ultimo pezzo di mer*a stava toccandole le braccia, in piedi sulla sua destra. Bankotsu fece una strana faccia, prima di esplodere :<<:


«LEVATELE LE MANI DI DOSSOOOOO!!!!»

Come una furia, Bankotsu brandì la titanica alabarda, e caricando con la mano destra, la scagliò, il filo rivolto verticalmente, in direzione dei due ubriachi alla destra di Dexitea. La Banryu roteò furibonda, devastando e frantumando ogni cosa, nonchè lasciando sul soffitto del locale vistosi tagli, e raggiunse in men che non si dica i due malcapitati. Quello che allungava la mano sul culo di Dexitea vide il suo braccio sinistro mozzarsi, e urlò di dolore. L'altro, non potè nemmeno urlare, poichè la Banryu lo tagliò di netto in due, schizzando di sangue tutt'intorno. Gli occhi neri, completamente scuri, il mezzodemone fu subito sul terzo ubriacone. Corse verso di lui, balzò su un tavolo e in salto afferrò la testa dell'idiota con la dritta, per poi gettarsi a terra, scaraventando l'altrui cranio sul pavimento, con molta, molta forza. Quello si fracassò, con un suono tutt'altro che rassicurante. Come indemoniato, il Guerriero si sollevò in posizione eretta e disse, in un ringhio:

«Che nessuno osi avvicinarsi a lei, CHIARO?»

Li squadrò uno a uno, i beoni del locale. Ognuno di loro tremava di paura. Nessuno tentò di fare o dire qualcosa. Rimasero tutti come paralizzati dinnanzi a tanta furia. Respirando profondamente, Bankotsu si calmò, e si avvicinò a Dexitea. Trasse fuori dalla propria veste un fazzoletto in stoffa e lo porse alla donna, scusandosi sommessamente per gli schizzi di sangue che aveva generato nella sua furia cieca...sorrise, imbarazzato, sapendo che chiunque avesse fatto un commento fuori luogo là dentro sarebbe morto in meno di un minuto. Fugacemente guardò l'altra negli occhi e le porse il gomito destro, come per permetterle di avanzare a braccetto con lui. E le chiese:

«Cosa posso offrirti, mia cara?»

Attese una risposta, prima di accompagnarla presso il bancone per ordinare da bere...
Per inciso, la Banryu si era andata a conficcare proprio sul muro oltre il bancone, sfasciandone metà sotto lo sguardo terrorizzato del locandiere, un barbuto puzzolente umano dall'aria trasandata...
 
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Nahenia~
view post Posted on 7/11/2006, 18:24




Come narratovi in precedenza i due pugnali gemelli della druida, Adamantius e Maakii, non servirono, poichè furono sostituiti dalla furia palpitante del mezzodemone.
Le mani straniere che avvolgevano e toccavano il corpo della druida presto, molto presto, si staccarono da ella.
Grida di dolore, gemiti di paura, riempirono la taverna ed il rosso del sangue di quei vili umani decorò le umide pareti, e donò un pò di colorito a quei volti così bianchi.
Anche la pelle diafana della druida, per non parlare della bianca veste, venner macchiata dallo scuro fluido.
Dexitea si guardò, anche se il sangue se ne fosse andato l'odore sarebbe rimasto... Appena possibile si sarebbe liberata di quella, ormai, insulsa veste.
Alzò il volto verso la figura che si stava dirigendo verso di lei, la riconebbe al solo sentire i passi che battevano sul pavimento di legno. Vide la sua mano allungarsi verso di lei e un pezzo di stoffa venirle quasi incontro.
Dexitea guardò con meraviglia quel gesto tanto... umano, quel sorriso, quell'imbarazzo che mai avrebbe pensato di vedere nel suo maestro.
Prese il fazzoletto che il maestro le porgeva, ma le dispiacque usarlo per ripulirsi dal sangue uomano...
Lo strinse nelle due mani fino a quando un altro gesto, poco usuale per quel mezzodemone, non stupì la donna.
Le stava porgendo il proprio braccio per scortarla verso il bancone, per poi interrompere quelle frasi fatte di soli sguardi con una domanda.

CITAZIONE
«Cosa posso offrirti, mia cara?»

Dexitea rimase piacevolmente sorpresa da tanto garbo dimostratole.
Incrociò i suoi bracci attorno a quello del maestro, si avvicinò col petto stringendolo con ancora più vigore, mentre dalla mano sbucava un lembo del fazzoletto.
Gli sorrise dolcemente, scuotendo con altrettanta dolcezza il volto seguito dalla lunga chioma nera.

«Mi state offrendo più di quel che io potessi mai desiderare, non disturbatevi oltre. »

E dette tali parole, sciolse le sue braccia da quello di lui, continuò a guardare il suo volto, i suoi occhi scuri, la cicatrice viola sulla fronte.
Poi il suo sguardo fu catturato dalla Banryu, conficcata davanti al bancone ove si erano soffermati, la guardò per qualche secondo e nella sua mente riaffiorarono i ricordi delle azioni precedenti.
Si portò velocemente la mano sinistra davanti alle labbra cercando di frenare quella risata silenziosa, chiuse gli occhi mentre i capelli le cadevano davanti coprendo quel volto tirato dalle risate.
Tentò di non farsi vedere dal proprio maestro, ma le parve impossibile.
Cercò di ricomporsi, passandosi le mani sul viso, sistemandosi i lunghi capelli riportandoli dietro le spalle, schiarì la voce, facendo tornare il solito tono freddo e distaccato di sempre.

« E' questo il Bankotsu che tanto cercate di nascondere dietro quegli occhi così belli? Che tentate di celare dietro il battito del vostro cuore? E' di lui che temete tanto il risveglio?
...
Perdonate tanta sfrontatezza.»


Attese, forse invano o forse no, una qualche risposta, che fosse concreta o meno, non era poi così importante.
Poggiò dunque il gomito sinistro sul bancone, poggiandovi la testa, mentre la mano destra giocherellava con una ciocca dei propro capelli.

Attese, forse invano o forse no.
...
 
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24 replies since 2/11/2006, 17:46   1004 views
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