Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Valzer al crepuscolo ~ Ninna nanna

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Andre_03
view post Posted on 2/4/2011, 12:12




Per l'occasione aveva messo l'abito dei grandi eventi:
maschera di pittura bianca sul viso, campanellini legati tra i capelli, pantaloni sproporzionatamente larghi - ma ben stretti sulla vita - e una miriade di bracciali che sferragliavano allegramente ad ogni suo movimento. Il tutto in tinte rigorosamente purpuree e nere, concorde ai disegni tribali con cui il petto era unicamente coperto. Seduto e coi piedi scalzi che indugiavano a pochi centimetri dal terriccio, il Giullare prese a canticchiare sottovoce un motivetto deprimente. Nenia della dolce morte, la chiamavano: un canto funerario delle tribù di Orchi stanziate nel meridione. Rauche quanto melodiche strofe di augurio a coloro che erano passati oltre il velo della vita. Tanto sgradevole e inquietante a sentirsi da costringere Rorge in un angolo, a gemere tappandosi le orecchie.
Rhagga e la sua fedele ascia ringhiavano, entrambi in forma di felini, accovacciati nei pressi del Macellaio e con la pelliccia irta dalla rabbia. Ma a Shagwell tutta quella contrarietà sembrava non interessare, anzi: pareva proprio che non si fosse accorto di nulla.
Fu la voce del Titano a richiamarlo nel mondo dei viventi.

« Falla finita, coglione. » latrò furioso
« Oba ha detto di non cantare. E tu non canterai. »

Tre-dita scalciò con forza un pezzo di ferraglia - dei tanti che ricoprivano quel loro improvvisato addiaccio - e lo spedì a tutta velocità contro il Sesto. Questi ricevette il colpo facendo finta di non averlo visto arrivare, e godendo del dolore che quello gli aveva provocato. Si leccò le labbra, massaggiandosi il petto là dove la ruggine aveva lasciato appena un segno scuro, e sorrise.
Gli occhi maliziosi erano una contraddizione di sentimenti: gioia e paura, furia assassina e dolcezza.

« Ah, bé. »
ridacchiò
« Se lo ha detto Oba... »

In risposta un coltello gli sibilò contro, diventando a metà strada grande quanto una casa.
Seguì un gran trambusto, rumore di ossa spezzate, risate e insulti.
Il barbaro si unì alla mischia, mentre Rorge rimase solo a singhiozzare
sconvolto nello sguardo e nella mente da quella ninna nanna.

[...]
(qualche giorno prima)

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Sette uomini si erano eretti sopra i brandelli di Babilonia.
In quei giorni l'Apocalisse serpeggiava tra le terre di tutta Asgradel e si faceva guerra, pestilenza, catastrofe. Ogni uomo, donna e bambino aveva tremato dinnanzi alla inarrestabile avanzata della distruzione. I crateri si aprivano spontanei sulle lande più popolose, le bocche vulcaniche vomitavano colate e colate di lava incandescente che strisciava, lenta, attraverso il mondo. Nel cataclisma, col cataclisma, quelle sette anime dannate si erano godute lo spettacolo. Ed avevano danzato sulle ceneri della civiltà, leccandosi i baffi per il banchetto di morte che li aveva visti ancora meno che ospiti.
Li chiamavano guitti - Guitti Sanguinari, per l'esattezza - ed erano gli artigli protesi del Leviatano.

Oberrin "il Maestro" li aveva convocati.
Aveva detto loro: « Fratelli, fratelli miei. »
« Il re bambino desidera un ninnolo per questa sua nuova guerra; un prezioso gingillo nascosto nei pressi della nostra terra, a meridione. »
« Che si fotta. Lui e i suoi gingilli del cazzo. »
l'aveva interrotto Hoggar "tre-dita" Barbarossa;
il pirata, il Bastardo del Titano; il Gigante;
« Quand'è che ci manda a combattere, eh? »
Mormorii d'approvazione si erano levati al suo indirizzo da altre due essenze maledette: Rhagga, figlio di Throgg e Bronnigar Harrenhall - il fu Lord delle Acque Nere - avevano, nell'ombra della sala in cui la congrega si era riunita, già estratto le armi con palesi intenti omicidi. Il Primo dei Bravi ignorò gli altri, concentrandosi sugli unici interlocutori che gli prestavano attenzione: Shagwell "il Giullare", Aldeym Asmodeus e Rorge "il Macellaio". Con loro - sapeva - era lecito intavolare una discussione civile, in un certo senso.
« Egli chiede-- » e non pretende, poiché ai Guitti nessuno osava mai ordinare alcunché
« -che tale balocco venga condotto non a sé, ma al Nemico. »
Calò il silenzio, e molte bocche si contorsero in biechi sorrisi.
« Nel bel mezzo, mio buon mastro Hoggar, della strafottuta battaglia. »
Aveva concluso così, accompagnato da grasse risate e acclamazioni generali.
I Camerati sarebbero presto andati in guerra.
Ancora una volta.

[...]



La notte aveva conosciuto il sangue e le grida.
Erano arrivati insieme, non più divisi a coppie ma in solido gruppo di sette - sette demoni; sette mostri; sette cavalieri di una novella apocalisse - alle porte della Babilonia. Non un singolo giardino prensile li attendeva, ma molte schiere di artefatti animati da una forza arcana. Incubi, li chiamavano. Quelli di loro che ancora ne erano in grado avevano battuto la ritirata, dinnanzi alla furia dei Guitti Sanguinari. Rapidamente, ma senza fretta, le bestie sguinzagliate da Ray avevano seminato distruzione; schiacciando, ingollando, massacrando, spezzando, mordendo, sconvolgendo e annichilendo ogni forma di resistenza che incontravano.
In un battibaleno furono al cuore della tana che ospitava "Lia": la cosiddetta Chimera
- essere per antonomasia irraggiungibile, che loro avevano asserragliato in poche ore.



« Sveglia-sveglia-SVEGLIA, piccola troia! »
voci appena oltre una porta socchiusa;
minacce appena oltre un velo di tintinnii
« Siamo venuti a prendertiiii~♪ »

I corpi stuprati di coloro che avrebbero dovuto proteggerla giacevano al suolo.
In pezzi rugginosi e frantumati, ingranaggi accanto a budella e lame un tempo affilate. E ormai alla fanciulla non restava che un ultimo baluardo: il muro di quella stanza in cui era rinchiusa. Tra i Bravi, il solo Shagwell sembrava ancora divertito; gli altri avevano abbandonato i sorrisi da ore, concedendo spazio ad una tetra preoccupazione palese. La sentivano tutti, quella musica straziante. L'avevano ascoltata per tutta la notte levarsi sopra il tumulto dello scontro. Non sapevano cosa fosse, né donde provenisse. Il Maestro della Cittadella pareva crucciarsi più dei suoi fratelli, per la litania funebre con cui il mondo era appestato.

« Fai silenzio, Shagwell. » lo chiamò per nome
quasi a sottolineare la gravità del momento, e l'importanza di darsi un contegno
« Là dentro alberga un pericolo molto più grande di quanto la tua follia ti conceda di capire. »

La troppa solennità scosse gli animi degli altri sei, che si ritrovarono a fissare il Primo con aria interrogativa negli sguardi.
Lui soltanto conosceva la natura del mostro che erano stati chiamati a trarre in ostaggio. Lui, e forse Asmodeus di casa Aldeym: l'Incubo era pericoloso come pochi proprio per quella sua innata capacità di conoscere, indagare, scoprire. Oltre quella porta di legno semiaperta verso un mondo d'oscurità si nascondeva un piccolo Asgradel.
Ci sarebbe stato da rimboccarsi le maniche persino per lui, per l'Anello di Ferro Nero.

« Entrerò io, voi starete qui fuori. Quieti. »
con lo sguardo orbo passò in rassegna i Camerati e poi annunciò: « Asmodeus, ser Bronnigar-- »
« -andiamo. »

Mosse un passo avanti, la bianca tunica che scivolava nelle ombre.


SPOILER (click to view)
Scena riservata alla fazione "Asgradel".
Attendere conferma dai QM prima di postare.
 
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Black Pendragon
view post Posted on 2/4/2011, 22:00




Era un ingranaggio dentato poco più grande di un conio d'argento, reso umido da una traccia di bruma e resina che doveva esservisi depositata sopra durante i primi giorni della catastrofe; al secolo, l'unico testimone
integro della loro ultima impresa.

Affondò la destra sotto la sciarpa, estraendo la collana di corda cui erano assicurati i mementi delle ultime battaglie condivise con i sei guitti.
Sciogliere il nodo per infilarvi il pignone non fu difficile.

« Quindi, » esalò in un fiato appena udibile, complice l'umidità stagnante ed il sovrappensiero
« il Re Folle ci chiede di rapire un diavolo per consegnarlo a un dio. »
Scosse il pendaglio improvvisato nel pugno chiuso, strattonandolo con delicatezza; le spoglie meccaniche tintinnarono leggermente contro il tessuto di maglia, pigolando in protesta.
« Un altro. » ( dio )
Sospirò, sollevandosi facendo perno sul manico della Shamshir,
ancora vibrante dell'energia aspirata dagli incubi esanimi.

« Recita bene, l'adagio. » sorrise.
« La guerra non cambia mai. »

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Non appena la compagine designata dall'Anello Nero si scisse dal resto della compagnia, Pendragon si sollevò dal dorso dell'egomante senza produrre un suono, gonfiandone la superficie del mantello sino a plasmarsi dal nodulo di stoffa muffita che aveva smosso. Il viso cereo, più ovale del solito, era lasciato scoperto dall'assenza di una celata: nonostante l'inconsueta mancanza di pudore nel manifestarsi, dell'incubo non si poteva isolare un particolare che non fossero gli occhi - sanguigni, sgranati, in allerta. Una esatta replica
di quelli del suo genitore.

« Non dovresti farlo, lo sai. » il fu signore di Harrenhall rallentò il passo per accostarsi al compagno,
lasciando che Oba guadagnasse una manciata di metri.
« Ho già i miei, di fantasmi. Non mettere in mezzo anche
il tuo stronzo di ferro.
»

« E' una parte di me, Bronnigar. » rispose con placidità esasperante
« Così come loro sono una parte di te. »
E batté due volte l'indice destro contro la tempia, per poi descrivere un moto circolare il cui carattere era da lasciarsi intendere all'interlocutore. Pendragon si sforzò di mimare il gesto, culminando la beffa passandosi il dito impegnato lungo il viso nel tentativo di disegnarsi un sorriso; non gli riuscì che di schiudere una ferita sghemba.
« Dovresti imparare ad accettarlo. »
E dimise il suo doppio con un gesto distratto, facendolo esplodere in
un'eruzione di fumo, luce e polvere scura.
« In silenzio. »

Liquidò l'alterco accelerando il passo, abbracciando il profilo di uno dei pochi casolari intatti; più che dall'insofferenza, tuttavia, il gesto fu motivato dalla vergogna: non voleva che i presenti commentassero la sua espressione.

Cercò d'istinto il pendaglio da poco abbandonato, stringendolo attraverso la cappa e premendolo contro il petto in un moto ansiogeno: la presenza che stava scivolando sopra di loro, traspirando dalle pareti fesse della catapecchia, lo scosse con un senso di repulsione ancestrale che non aveva provato da diverso tempo. In un primo istante - la stretta - lo aveva paragonato al Primo, ma non tardò a correggersi. Quale che fosse l'oscenità che erano stati incaricati di trascinare in catene, era molto più simile all'uomo in rosso che non al nuovo maestro della compagnia. Una considerazione, quella, che non fece che estendere lo squassarsi di quel brivido antico che continuava a scuoterlo.
Per una volta, benedì la sua insonnia.

Qualunque cosa sarebbe successa oltre quella soglia, non correva
il rischio di ripercorrerla nei propri incubi.

[...]

La muratura aveva saputo di muschio; passando l'indice lungo una parete sbrecciata dell'anticamera ricavò una sensazione tattile di miseria, che lo accompagnò quanto bastava a suggerirgli che la casupola era in cattivo stato da ben prima del loro intervento. La sua attenzione, tuttavia, era calamitata dal pomolo della porticciola dirimpetto al trio, scosso dalle vibrazioni quasi impercettibili di una nenia costante. Bronnigar sollevò Silenzio dalla guaina per un paio di centimetri, rinfoderandola in un gesto brusco per produrre uno schianto squillante.

« Falla smettere. » sputò, imperativo. Prima che l'egomante potesse rispondergli, tuttavia, mastro
Oberrin lo intercettò con uno scuotersi del capo in diniego.

« Non è lui, Bronn. »
Bisbigliò, trasportato dall'adagio della cantilena.
Si umettò le labbra.

« Non è lui. »
Entrarono.

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Al contrario di quanto aveva immaginato, l'abominio non era al centro della camera, ma rannicchiato in un angolo. Il viso affondato nelle ginocchia e le gambe premute contro il torace, quello che gli si presentò era un male privo tanto dell'eleganza quanto del rigore geometrico degli idoli pre-Terza Energia che ricordava miniati agli angoli dei suoi vecchi tomi di esoterismo. Il corpo sottilissimo ed esangue, le braccia scarne e diseguali e i lunghi, aridi capelli albini emanavano una sensazione di malessere e di abbandono che aveva imparato ad associare con la conta dei corpi che segue ad una battaglia campale. Si avvicinò di un paio di passi, stringendo saldamente Shamshir contro il proprio fianco: chinandosi ad esaminare la creatura e - non senza esitazione - attentando a sollevarle il braccio per poi lasciarlo ricadere su sé stesso, notò con sollievo che era priva di sensi. Scoccò ai due compagni una muta richiesta di assistenza che si vide rifiutata con un sorriso. Rassegnato verso il da farsi, si fece scorrere quello stesso braccio lungo il collo per sollevare il corpicino senza troppo sforzo, scortando il démonio fuori dal casolare. Per un folle istante, venne folgorato dal ricordo di quella vacuità onnipotente che lo attraversò al culmine della campagna del Sud, poco prima che Shagwell giustiziasse il Dorniano.
Congedò il pensiero con un secondo brivido, avviandosi
con passo marziale verso l'uscita.

SPOILER (click to view)
Con "[...] consegnarlo a un dio.", Asmodeus si riferisce ad Eitiniel; con "un altro. ( dio )" al re Toryu.
 
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view post Posted on 19/4/2011, 17:23
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And...bla..Bla..BLA
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Mia piccola Eitinel.
Mia dolce, cara, piccola Eitinel.
Una cosina incantevole, bella e deliziosa come una minuta bambolina di ceramica, tanto mirevole da poter essere posta su un piedistallo di cristallo e a lungo osservata, a lungo ammirata.
Perfetta. Ideale.
Non una sbavatura nelle tue iridi di giada, fra i tuoi capelli di seta.
Non un neo sulla tua pelle di neve.
Mia piccola, cara, Eitinel.
Tu e i tuoi sorrisi d'ametista.
Quel tuo modo di inclinare la testa un poco di lato quando, conscia della goffaggine altrui, ridi sotto i baffi della sua ottusità.
Eitinel, la Bianca Inquisitrice.

Decisamente troppo, troppo, per chiunque.
Troppo seducente.
Troppo candida.
Troppo distante.
Troppo.
Semplicemente.

Ed ora, ora che mero burattino nelle mie mani, alzando un braccio sfioro delicatamente il profilo delle tue labbra saggiandone la morbidezza.
Ora che, debole marionetta, mi beo del profumo della tua pelle, sensazione floreale all'olfatto.
Finalmente
MIA.
Mia, bella Eitinel.

Ora come mai soggiogata, ammansita, domata. Addomesticata come una feroce belva a cui sia stata messa una museruola e una gabbia dalla quale le sia impossibile scappare.
Quanti, prima di me, avrebbero sperato? Avrebbero osato tanto?
Intrappolare la grande tigre. Rinchiudere la terribile fiera.

Oh No Eitinel. No, mia dolce bambolina. Non pensare a Lui.
Non devi pensare a Lui.

Vi è grandezza in questo tuo corpo d'alabastro.
Vi è potere in questa tua mente ossidiana.
Sogni e incubi. La stessa materia grezza di cui si servono gli Dei per creare il proprio mondo d'allucinazione.

Perché ritornare umana proprio ora? Proprio ora che sei ad un passo dall'onnipotenza? Dalla grandezza sconfinata?
Davvero...Non pensare a Lui.
Non Pensare a Niente.

E canta per me.
Canta per me mia piccola Sherazade. Canta le mille storie che io inventerò per te, che intreccerò fra le tue dita così che infine, quando tutto sarà compiuto, non esisterà altri che quella sottile trama da me stesso intessuta.
Dalle tua mani di neve annodata.
Dalla tua voce argentina raccontata.
Parola per parola, una serie instancabile di note tali da costringere chiunque sia in ascolto a dimenticare, lentamente, tutto ciò che era stato in nome di ciò che verrà.

C'è qualcosa che salveresti? Qualcosa che risparmieresti?
Mia Piccola, preziosa, bambolina di pezza.
Per te non è difficile dimenticare, vero? Non è cosa nuova obliare tutto e cambiare a tuo piacimento la realtà che ti circonda.
Far subire agli altri la tua medesima sorte non deve sembrarti un compito così gravoso, dunque.

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Canta per me. Canta.
Eitinel, anima di cristallo.
Ignara che nella tua voce si nasconde la nota nascosta della morte.
La sottile traccia della disperazione.
Poiché alla tua canzone, alla famelica armonia che sguscia dalle tue labbra e ovunque si insinua, vi sarà certo una fine.
La nota stonata che per ultima si interrompe serrando la gola, distruggendo l'armonia e reclamando, proverbiale, il silenzio.
Poverina.
Come farfalla a cui, nel proprio volo più alto, infine si spezzino le ali.

E già la tua voce si incrina. Già il pallore della tua pelle si guasta.
Che la tua anima si stia ormai esaurendo?
O che il solo ricordo che ancora ti tiene legata al mondo stia, infine, per svanire?

Quegli occhi. Quella figura. Quella voce profonda, cauta, carezzevole.
Vuota di qualsiasi intonazione che la rendi, probabilmente, umana.

Mia piccola, povera, misera E...

Un lieve fremito delle palpebre.
Un tremito dell'iride.


" Io Ti Sento, Asgradel "
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" Tu esaudirai il mio desiderio. Altrimenti non esisterà corpo in cui potrai nasconderti. Memoria che potrai obliare.
Io Ti ucciderò"


Nel rivoltarsi dell'ombra, nel guastarsi di quel mondo sottile e lieve come promiscuo compromesso fra sogno e realtà, parve quasi di udire il creparsi di grandi arcate, di alti ponti e sconfinati orizzonti.
Leggero, impercettibile.
Niente più che l'incrinarsi di sottili vetri, di leggere patine spesse come lamelle di perla.

Un nuovo, vago, fremito delle palpebre di Eitinel.


E poi, improvvisa, devastante,
l'Esplosione.
Il roboante frantumarsi di cielo e terra, di quei mari e quei monti che fino ad un attimo prima l'Asgradel aveva creato per coloro che, obbedienti, avevano combattuto per lui entro il portale.
Selve oscure. Deserti aridi. Piane sterminate.
Tutto ciò, all'unisono, come l'inarrestabile sfaldarsi di un castello di carte giunto alla propria memorabile fine, andò contemporaneamente in pezzi crollando e franando su se stesso in un assordante mugghiare e rombare.
Insostenibile esaurirsi di un Sogno.
Irreparabile sfaldarsi di una tela troppo bella, troppo ingannevole per essere reale.
Di quel verdeggiante Paradiso Perduto, concesso solo a coloro che più avrebbero brillato fra i Grandi.


E quando ogni cosa si stropicciò, crepò ed infine rovinò come l'ultimo memorabile soccombere dell'Empireo, ci si sarebbe aspettati che dalle grandi porte nel Cielo, ora costrette a spalancarsi loro malgrado, ne uscisse una gran quantità di macerie e rovine.
Resti di vallate, di paludi, di grandi reggie e paesini sparuti. Tutto giù, tutto buttato alla rinfusa nell'oscuro bacino che ora si era sostituito al Clan Sorya.
Eppure nella vastità della caduta, in quel mortale balzo nel vuoto, chiunque avrebbe visto solo alcuni, miseri corpi precipitare come inermi foglie ghermite dal vento.
Due, Quattro....Sei.
I sei Campioni. I sei Vincitori.
I soli che, sopravvivendo alla prima, inesauribile, fame dell'Asgradel, avevano guadagnato la possibilità di combattere al suo fianco senza scomparire nel nulla, inghiottiti dalla semplice ingordigia di un Dio troppo Grande, troppo Onnipotente per curarsi delle bestie che gli brulicavano attorno.


SPOILER (click to view)
Eccoci, finalmente.
Inizio scusandomi con tutta l'utenza ed in particolare con i partecipanti al secondo turno per il ritardo mostrato in questi giorni.

Il primo turno si è appena concluso e tutti i perdenti si sono già dissolti nel nulla dinnanzi agli occhi stupefatti di coloro che, viceversa, hanno passato questa iniziale selezione. Secondo le promesse fatte ai partecipanti, questo sarebbe stato il momento della famosa entrata in scena delle truppe e delle battaglie laddove, con il titolo di Campioni, i pg in questione si sarebbero trovati a spalleggiare l'Asgradel contro l'usurpatore. Eppure qualcosa pare andare storto. Ancora avvolti dalle immagini fittizie delle arene cangianti, i pg avvertono distintamente che qualcosa di inaspettato sconvolge l'innaturale stasi di quel mondo sospeso. Dopo questo primo segnale, più potente di qualunque allucinazione, una colossale esplosione distrugge letteralmente l'intero portale facendo collassare su se stessa ogni cosa ivi contenuta. Le grandi Porte si spalancano e da esse, uniche cose Reali, i pg si ritrovano letteralmente scaraventati nel vuoto in una vertiginosa caduta nel bacino nero che ha completamente sommerso il Sorya. Unico punto di riferimento, la Torre di Velta risplende abbagliante nel centro esatto del lago, la sua gigantesca entrata sbarrata a chiunque. La mancata spiegazione del perché dell'intera faccenda è voluto.X'D

Questa è fondamentalmente l'intro di tutto ciò che verrà poi. Per evitare di compiere troppe azioni all'unisono rischiando così di oberarvi di nozioni da descrivere, ho preferito spezzare l'esordio in due segmenti. Seguendo l'esempio di Ray, per evitare di rallentare oltre la quest non chiederò nemmeno io a tutti voi di postare uno per uno. Basterà che vi mettiate d'accordo con i vostri compagni di squadra così che uno solo di voi, facendo le veci degli altri e trattando i loro pg autoconclusivamente ( dopo previo accordo, ovviamente), posti qui di seguito. Nel caso in cui, viceversa, desideriate comunque fare il vostro personale post, tanto di guadagnato ( anzi!^___^''). Avete una settimana di tempo e il topic nella sezione "Confronto" per qualunque necessità chiarimento.
 
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view post Posted on 21/4/2011, 11:08
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Capitolo n. 2 - Verso l'oscuro baratro del nulla.




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Crepuscolo, ancora.

Freddo.
Lasciò il suo sguardo vagare attraverso l'oscurità tutt'intorno, mentre i tratti, prima distinti, ora soffusi, dei luoghi della sua mente, scomparivano. Non vide più la foresta, non vide più gli animali appena scorti. Era solo il nero, il nero, il nero, che lo circondava.
E il nero lo tormentava, lo
T O R T U R A V A.

Vacillò,
quasi cadde in terra, di nuovo.
Perché stava succedendo? Perché, ancora una volta?
Perché non poteva guarire?

-

Ma la risposta la conosceva. Era stato lui ad aver voluto quella non-vita.
Era stato lui a bramarla.
Era stato lui a desiderare qualcosa di proibito.
Era stata Eitinel a concedergliela.
E la Dea si era tramutata in Demone, la Vita si era tramutata in qualcosa peggiore della Morte.
Avrebbe odiato Eitinel, se solo avesse potuto.
Lei sapeva cosa sarebbe successo. Lo sapeva. Sapeva che gli avrebbe tolto ogni emozione, l'avrebbe prosciugato di ogni briciolo di umanità. L'avrebbe trasformato in un mostro.

Sì, un mostro, era quello che rimaneva. Uno spettro, un'immagine sbiadita dal tempo, non più curata,
non più viva.

eppure la colpa non era sua, non lo era, non lo era -

Tutto ciò che avrebbe voluto fare, ora, era MORIRE, se solo avesse potuto.
VIVERE, se gli fosse stato concesso.


Ma la realtà non gli permetteva né l'una né l'altra cosa. Non poteva far altro che rimanere in quello stato di transizione per sempre. E non aveva desideri, non aveva altro pensiero, non aveva più emozioni. Ciò che gli era rimasto, era il

BUIO

-

.
.
.
Crack.
L'universo sul quale si era ritrovato, qualche istante dopo, si iniziò a crepare, pieghe malate, da cui uscì solamente liquido bluastro
(non è nulla più che la tua mente abbi fiducia)
e che si propagarono, sotto i propri piedi, sotto le ginocchia che erano scivolate a terra, prive di forza.
Era finita, ancora una volta.

Ma lo sapeva, era tutto dentro la sua mente.
Lui stesso, vi era dentro. Senza possibilità di fuga.
...
Ed era di nuovo solo.

L'illusione, quel mondo, esplose, infine. Si sgretolò, come sabbia portata dal mare.
Avvenne tutto rapidamente, troppo veloce perché il Dannato avesse potuto anche solo muovere un muscolo del suo effimero corpo. Sentì se stesso cadere, nel vuoto, proprio come una bambola priva di aiuto, priva di essere, senza alcun mezzo per contrastare la caduta libera che la portava giù, sempre più in basso.
Non riusciva a guardare nulla, i propri capelli gli sferzavano il volto con violenza. E l'occhio destro riprese a pulsare.
A congelare.

La caduta non sembrava avere una fine.
Non aveva alcuna voglia, alcun desiderio, di muoversi. Sarebbe stato inutile. Non avrebbe potuto salvarsi, ormai. E nessuno avrebbe potuto salvarlo. O avrebbe voluto. E ripensò a quello che non troppi (minuti?) prima era successo, all'ingresso nella Torre, al luogo in cui si era ritrovato. A quando avevano compiuto un passo verso l'ignoto, da cui solo ora ora ne era uscito.
Con prepotenza, si oserebbe affermare.

Torre.
Attraverso il vento che fischiava violento sul suo corpo, mentre si spostava per lasciar cadere il Guardiano, questi vide la Torre di Velta, imponente quanto prima, unica cosa visibile. Unica cosa che lo riportava
lo tratteneva
alla Realtà.
In un moto istintivo girò lo sguardo verso destra, e ciò che vide lo lasciò stupito. Ebbe una sola immagine di ciò che aveva osservato, prima che, finalmente, si schiantasse al suolo.

...

No, non era l'unico a cadere nel vuoto.
Ma neppure si era schiantato.
Riuscì ad allargare le braccia, prima che un denso miasma nero le sommerse, le stuzzicò, le bruciò. Era caduto nel Gorgo, e solo ora l'aveva capito. Fu preso dal panico, dall'innocente panico di chi sa che sta per morire. Con una calma serafica di chi, in fondo, sa di desiderarlo.

Ma non l'avrebbe mai ottenuto, era tutto inutile. Non aspettò oltre, doveva uscire dal nero catrame, dall'incubo oscuro dentro il quale si era ritrovato. Mosse lentamente le braccia e distese le gambe, per raggiungere l'unica cosa che esisteva
(tutto era distrutto, tutto era perduto)
che era la Torre. Ancora da solo, ad affrontare i propri incubi. Ma sapeva che, questa volta, non erano suoi. Erano di Eitinel.
Erano dell'Asgradel, ormai.

.

Era una scena lontana.
I bambini correvano intorno alla maestra, avevano paura del buio. Tremavano, vedevano mostri, nell'oscurità. La maestra li rassicurava, diceva che no, non c'era alcun mostro intorno ad essi. Ciò che vedevano era solo una proiezione della loro mente, solo una loro paura che prendeva forma. Dava loro calore. E i bambini sorridevano, ancora un poco tremanti.
Ma anni dopo, quel luogo era caduto in pezzi, vittima della distruzione. E i mostri sì, esistevano, li avevano scovati.
E quel luogo, non esisteva più.
Erano solo una proiezione della loro mente?
I bambini, avrebbero certamente affermato di no.



Le forme intorno al corpo martoriato dal miasma del Dannato iniziavano a prendere le forme più varie, mentre egli stesso cercava di rimanere a galla, cercava di domarle. Non erano le ombre della sua mente, non erano quelle che provenivano dal suo corpo, non poteva far nulla. Doveva avanzare.
Sbucò un volto mostruoso, all'improvviso, davanti a lui, d'ombra -
il Guardiano cadde all'indietro, affondando nel miasma. Viscoso, si stava premendo contro la sua pelle, voleva tenerla per sé. Non un bello spettacolo, inoltre.

... Doveva uscire, e subito.
C'era il rischio di passare l'eternità in quel luogo, tormentato dagli incubi della Dea. Non voleva annegarvi.

Non poteva permetterselo.
E non l'avrebbe permesso.

Mosse rapidamente le sue gambe e braccia, seppur a fatica, prima di risalire; qualche secondo ci mise per mettere a fuoco la Torre. Davanti a lui, si alzava in tutta la sua imponenza. Uscì dal Gorgo con difficoltà, mosse qualche passo sulla riva.
Si ritrovava al suo cospetto, ancora. Come un cane che si ritrova, ancora una volta, davanti a casa. Senza felicità nei suoi occhi, tuttavia.
Questa volta, le immense porte erano chiuse, sigillate.
Alzò lo sguardo, come a cercare colei che lo stava chiamando. Con una lenta nenia, come in un
Sogno.
La sua padrona, nulla di meno.
Le braccia inermi, prive di vita, mentre l'oscuro miasma si ritirava, cadevano sui suoi fianchi, mentre il dolore provocato dal Gorgo si attenuava, si ritraeva insieme agli incubi.
Socchiuse gli occhi, respirò a fondo, distese i lineamenti del volto.

« Io sono... »

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No, non avrebbe voluto dirlo. Non avrebbe voluto che quella frase rappresentasse la REALTA'... eppure era così.
Si stava rimettendo nelle mani dell'Asgradel, che dimorava in lei. Si stava rimettendo nelle mani della Bestia che l'avrebbe inghiottito nel nulla, l'avrebbe eliminato, che avrebbe spezzato i fili che lo tenevano a metà tra la Vita e la Morte. O che non l'avrebbe neppure considerato.
O che forse, l'avrebbe inglobato in sé.
E aprì gli occhi, in un'espressione di follia.

« ... il tuo servo, Eitinel. »

sorrise.





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[ReC 400.][AeV 175.][Perf 125.][Perm 525.][CaeM 200.]

Status Fisico. » Illeso.
Status Mentale. »Privo di emozioni, deciso a continuare.
Energia Residua. » 100%
Attive utilizzate nel turno. »
Attive dai turni precedenti. »
Passive in uso. » Immune al colpi fisici in stato di calma, chiaroscuri che gli percorrono il corpo, vista notturna, percezione Auspex, influenza psionica passiva, difesa psionica passiva, le difese psioniche contano un livello superiore in stato di calma (annullando il malus del Ba Xian), può cambiare aspetto e nascondere le ferite.

Consumo energia tecniche. » [Trentasette.][Diciassette.][Sette.][Due.]
Note. » Al primo turno grazie alla passiva dello Xian distribuisco 100 punti ad una caratteristica.
Essendo usciti dalla dimensione del duello, ho supposto che il mio pg riprenda possesso dei poteri dell'artefatto, insieme ai suoi malus e problemi derivanti, in particolare l'occhio destro.
In questo post il turbamento di Hocrag e il suo pensiero di Eitinel come dea crudele prende caratteri espliciti. Al termine del post, una volta giunto alle porte della torre, recita un giuramento che simboleggia la sua condizione di Dannato, più per se stesso che per qualche ascoltatore, anche se lo fa a voce alta. E il sorriso, come si può facilmente intuire, non è di felicità, anzi.
Anche se non può più provare vere emozioni, quindi nemmeno negative.
Musiche, ancora una volta, di Hans Zimmer.


 
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view post Posted on 21/4/2011, 14:26
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Sogni.
Sogni dissacranti ed amorfi.
Placide districazioni della mente ignara del fato che le è avverso.
Parti innocenti di una mente che vaga solitaria, lambendo le coste della pazzia,
ma sussurrando mestamente – nel buio della propria astrazione – ogni buia paura inconfessabile.
Ogni perverso desiderio.


Paura e desiderio.
Di questo sono fatti i sogni ?




C
onvulsione. Nell’astratta intensità di quei bagliori primordiali, richiudevo le palpebre rapidamente, lottando contro la mia stessa debolezza innanzi a tanta possanza, al fine di non perdere la percezione di qualsivoglia realtà si fosse cocciutamente imposta a quella informità diffusa. La realtà si districava in pochi, minuscoli particolari: la densità del terreno, i contorni accennati del mio avversario ancora accovacciato a poca distanza da me, lo sfondo mutevole, ma percepibile, il velato candore di una brezza innaturale che sfiorava la mia pelle con l’innaturalità di uno spirito che mi accarezzava i fianchi. Perdere qualsivoglia di tali infinitesimali punti fermi, avrebbe ricongiunto il già ristretto confine che ancora mi separava da una incosciente follia della mente, impossibilitato – com’ero – ormai di coglier la differenza tra l’illusione e la materialità, tra il vero ed il falso, tra ciò che la mia mente percepiva e ciò che soltanto credeva di percepire.
Lentamente, però, persi anche quelle flebili cognizioni: insistendo su questo punto, avanzai lento ovunque il mio cammino mi dirigesse, senza potermi orientare. Ad ogni passo, però, perdevo un riferimento, affrettandomi di concentrarmi su quello successivo, fino a perdere anche quello. E ad ogni passo, invero, perdevo anche la cognizione di me stesso, la fiducia in ciò che ero e facevo, la forza e la volontà di lottare una battaglia che già si prendeva gioco di me, schernendo i miei sensi così infantili e spaventati da quella lucentezza, da non poter far altro che affidarsi alla mutevolezza del reale. Ed il reale si districava sempre più in un’opinione del tutto relativa: informe e mutevole per chi si stesse prendendo la briga di dargli quegli infiniti sensi, in quel momento.

Del tutto incomprensibile per me,
disgraziatamente.

Quando poi ebbi terminato i riferimenti cui affidare il mio corso, sentii una distinta scossa.
Un qualcosa che, debole come un vagito strozzato, giunse però infinitamente chiaro al mio orecchio.
Se non altro per la netta difformità da ogni altro suono fino a quel momento percepito.

Un crepitio leggero.
Tanto chiaro da sembrar molto più reale di tutto il resto.
Tanto echeggiante da sembrar provenire da ogni spazio di quel nulla.
Tanto potente da far passare ogni altro dettaglio del tutto in secondo piano.

Era come se qualcuno stringesse tra le dita quella lucida teca di realtà nella quale ero prigioniero.
E che la stesse cingendo con tanta forza, da averla scheggiata appena.
Anticipandone una prossima rottura.


▬▬▬▬▬▬▬ ▬▬▬▬ ▬▬▬▬ ▬▬▬▬▬▬▬

<< Temi il buio, Lucien? >>

Diceva mia madre, tessendo tra le dita una sciarpa di lana scura.

<< Alquanto madre... il buio nasconde insidie, mi ostacola la vista... >>

Mia madre sorrise appena, udendo l’innocenza delle mie parole.

<< Non dovresti, Lucien. Il buio è meschino, è vero, ma non ti inganna:
del buio hai paura da subito, dal buio ti aspetti ogni pericolo
>>

Squadrai mia madre alla luce del camino, tendendole il volto paffuto di bambino.
Le sue storie mi terrorizzavano, invero, ma non vi avrei comunque rinunciato per niente al mondo.

<< Dovresti temere la luce molto di più: essa ti avvolge calda, ti infonde sicurezza.
Eppure, quando troppo intensa, anch’essa ti cela la vista: anch’essa ti nasconde pericoli.
Ma dalla luce non te lo aspetti, essa ti ingannerà sempre...
>>

Dal camino divampò una fiamma intensa, balenando nella penombra del salone come un invasore desiderato. Ebbi un breve sussulto del cuore, scandito dal rumore di uno spillo per cucire che si ribellava al suo compito, ferendo un dito di mia madre.

<< ...la luce è vigliacca. Ti colpisce, quando meno te lo aspetti. >>

Disse con sguardo irato, fissando il camino, mentre sangue rosso sgorgava copioso dal suo dito ferito.

▬▬▬▬▬▬▬ ▬▬▬▬ ▬▬▬▬ ▬▬▬▬▬▬▬



E fu solo il primo sussulto.
Ciò che seguì, fu l’inizio della fine.



D
ivampò con la stessa rapidità con cui era giunta quella luce, invadendo ogni creazione circostante come un nulla informe, ma stagliandosi nel centro come fosse il suo esatto opposto. Un tutto: un tutto di energia e distruzione, probabilmente. Un tutto indefinito, che non ebbi tempo e modo di riconoscere, se non tramite sensazioni di diffuso panico indistinto cui reagì ogni centimetro del mio corpo.

Un’esplosione.
Una g i g a n t e s c a esplosione.

<< ...ma, cosa... ? >>



S
eguì il crepitio di pochi attimi, che mi si scandirono come infiniti. Ed in un lampo sentii le pareti di vetro della realtà infrangersi in mille pezzi, cedere all’immensità di qualcosa di potente ed ancor più astratto, che ne aveva decretato la fine nel momento stesso in cui si apprestavano a cangiare nuovamente. Ed invero mutò tutto, ancora una volta, ma con la grazia di un uragano che spazza via ogni cosa. Cambiò tutto: ma non rimase più nulla. Ed al primo sbatter di ciglia che il cuore mi permise, sentii il terreno sotto i piedi spalancarsi in enormi crateri, cedere all’ordine di quel roboante boato – senza pensare nemmeno per un momento di disattenderne la volontà.

Del bagliore intenso fatto di nulla, scivolò lenta,
come gocce su un vetro umido,
la certezza che non avrebbe avuto mai fine.
Ma ciò che lambì quella ignobile dissolvenza,
fu qualcosa di avverso ed ancora più terribile.



E
d invero riconobbi appena la piana buia dalla quale aveva avuto origine quel viaggio attraverso la mia coscienza, in quanto Il gorgo oscuro, bacino di marcescente depravazione liquida, aveva coperto ogni cosa, invaso ogni angolo, inghiottito ogni anima e coscienza di tutta l’area circostante. Un gorgo enorme, un cratere di ribollente artificiosità oscura, si dispiegava come un manto nero sotto di me, contorcendosi rapidamente, quasi assaporando il momento stesso in cui ne avrei raggiunto l’inviolabile profondità. Riuscii appena a ricercare, intorno a me, qualsivoglia aiuto o appiglio – improbabile ed impossibile – dettato dalla furiosa incoscienza di un istinto che tentava, ancora una volta, di strapparmi dalla morte, mai convinto – come questa volta – che non vi sarebbe stato modo o ragione di evitarlo, purtroppo. Ed appena intravidi altri corpi, altre anime, altri esseri ricadere in quel mare oscuro, come meteore su di una piana brulla ed arida. Altre anime, ma poche: quasi nessuna, rispetto a tutte quelle fissate innanzi al portale. Scorsi nel vuoto la depravazione degli altri esseri, e di loro riuscii a distinguere alcune poche anime che già erano note alla mia mente: per vero, vidi gli altri scellerati con cui strinsi quel patto insidioso, quand’ancora ero lontano da quella terra oscura. E mi parve di distinguere i contorni armoniosi e freddi di Alexandra, cui tesi una mano, nell’inutile tentativo di raggiungerla in qualche modo.

Prendimi.
Prendimi con te.
Ed aiutami a capire.
Perche cado nel nulla.
Salvami. Salvaci, almeno tu.



I
l messaggio non fu mai pronunciato, la lingua non si mosse mai davvero, stretta tra la vertigine della discesa, e la paura della morte. Invero, seguitai lento la mia caduta verso il gorgo oscuro, insidiandolo come una meteora in un bacino di denso fango. Caddi come un peso morto, a poca distanza dall’alta torre che – nonostante tutto – ancora si stagliava, unico elemento di distinzione in quel tutto informe – nel centro del bacino.

Troppo lontano.
Ancora.



I
l nero manto si dispiegò intorno alla mia pelle come un lenzuolo di raso scuro, stretto ed avvolgente. Caldo, nella sua trascendenza, avvertii quasi un piacevole cingere di tenerezza intorno alle mie gambe, al mio torso ed alle mie braccia, mentre l’oscura piaga densa parve prodigarsi di cicatrizzare le ferite ancora aperte, come fuoco ardente sulla cute lesa. Se non fosse stata per l’assenza d’aria, per la pressione al cuore che quel mare nero mi provocava, l’avrei avvertito quasi come t e n e r o, gentile e p r e m u r o s o, col mio essere scosso nel corpo e nell’anima.

Nient’altro che una nuova illusione.
L’illusione della tenerezza.
L’illusione di candore che ti da la m o r t e , prima di cingerti.
Tentacoli oscuri stringevano intorno a me.
Trapassavano la gola, fino ad immergersi nelle profondità dello stomaco.
Attentavano ad una mia nuova discesa negli inferi.
Sarei morto, prima di cogliere la differenza.
Trascinato lento, verso il fondo.

C a n t o

D’improvviso udii.
Qualcosa che nel vento spirava, flebile ma distinto, tra il volgersi implacabile dei neri fiotti.
Un canto soave, qualcosa che già avevo udito, ma che solo in quel momento percepivo davvero.
Un canto dolce, ma terribile: un musicale volgersi di emozioni struggenti.
La Torre cantava di una melodia echeggiante d’infinito, richiamando a se ogni angolo
di quella terra invasa dall’oscurità.
Udii quella melodia con i ricordi che pervadevano la mia anima.
Memore di immagini che non conoscevo come mie proprie, eredità di qualcosa che
già appariva come lontano nel tempo di anni ed anni.
I ricordi che un tempo non furono miei, ma legami indelebili con le recondite conoscenze
dell’essere che molti temevano.

Ma che io mi preoccupavo, spaventato, ancora di considerare umano.
Le memorie di Ray.
Ed il ricordo di Eitinel.

Eitinel

Eitinel

Eitinel

Ancora lei.
Eitinel
Ancora una volta.

Eitinel e l’Asgradel.
Intrecciati d’infinito sulla sommità dell’immensa Torre.



C
he ne fosse stato di lei, chi fosse lei – e quale fosse il suo legame con l’Asgradel, sarei morto senza saperlo. Sepolto nell’abisso nero, non avrei mai più distinto quella melodia, senza più interpretarne il suono e districarne il significato. Sarei morto, senza la passione di quella musica, senza la coscienza di colei che la intonava. Sarei morto senza l’Asgradel, consumato da un fiotto di male che non attendeva altro che la mia resa incondizionata.

No, ancora una volta
No.

Il mondo cambia.
Il sogno si trasforma in paura.
L’emozione diviene morte delle coscienze.
Ma io ero già morto: io ero già pronto.
Che il mio compito non potesse essere ancora terminato
lo dovevo ad infinite popolazioni.
Lo dovevo a Lithien.
Al mio fumoso avversario.
A Kreisler, lo straniero.
Ad Alexandra.
A Ray.

A me stesso.

<< Che della melodia si riempiano le mie braccia, perché il mio cammino ancora non è finito... >>

Gridai al cielo, squadrando l’immensa marea che ancora si volgeva nel vento per afferrarmi,
non rinunciando – affatto – alla speranza di attirarmi a se, nel profondo.

<< Sarebbe troppo facile, rinunciare ora. Non mi avrete, ancora... >>

Arrancai rapido ampie bracciate, sforzandomi di nuotare in quel mare amorfo e vivo.
Mi portai in prossimità della torre, scorgendo – determinato – le ampie porte sbarrate.

image

<< Dolce Eitinel – che tu lo voglia o meno – io sto arrivando da te... >>

Ringhiai a denti stretti, rispondendo – invano – a quel lamento melodioso.

<< E canterò, al tuo cospetto, il tono greve del giusto... >>



SPOILER (click to view)
ReC:
300
AeV:
275
PeRf:
225
PeRm:
350
CaeM:
225
Immenso:
36%
Alto:
18%
Medio:
9%
Basso:
5%



image

Del Fisico: Cicatrici sparse sulle braccia (Illeso).
Del Psichico: Agitato (illeso).
Dell'Energia: 100%

Delle Attive: //

Delle Passive:

La Solitudine... (razziale): difesa psionica passiva
L'Illusione mi scorre nelle vene (dominio I): illusioni castate senza vincoli fisici né concentrazione;
L'Illusione è parte di me (dominio II): illusioni scontate del 5%, ma mai sotto l'1%;
L'Illusione non ha ostacoli: (personale) illusioni non riconoscibili con abilità passive;
Il Potere mi ha corrotto (personale di metagame): permette di usare abilità necromante;
Il Fantasma li rende eterni (personale): le evocazioni sono intangibili e immuni ad attacchi fisici;
Anello del Potere: consumi ridotti di 3%, ma mai sotto l'1%, non cumilabile col risparmio delle illusioni;
L'Abiezione... (personale): ammaliamento psionico passivo, induce terrore nei presenti;

Delle Armi:

Washi, la carezza del fantasma: equipaggiata braccio sinistro, artigli non estratti;
Frusta: legata alla cintura

Del Riassunto:

Shakan dopo l'esplosione, cade nel gorgo. Durante la caduta vede gli altri, e gli pare di scorgere Alexandra, che tenta di chiamare con la mano. Poi affonda nel gorgo e quasi vi affoga, fino a sentire il canto di Eitinel: dunque raggiunge la torre di Velta.

Delle Note:

Bene, un pò lunghetto ma ci tenevo a descrivere bene il senso della "caduta", sia fisica, che morale, e la lotta per raggiungere la Torre. Spero piaccia la musica, è dalla colonna sonora di Sucker Punch, un vecchio successo "Sweet Dreams", riadattato per il film).

edit: correzioni al layout


Edited by janz - 21/4/2011, 16:08
 
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Un passo dopo l’altro, Zaide galleggiava all’interno del suo stato di semicoscienza, avanzando senza accorgersene lungo il baratro che lei stessa si era scavata.
Un tunnel apparentemente senza fondo, specchio del buio senza fine della sua anima in cui baluginava a tratti il volto inanimato del cadavere abbandonato al suo destino; probabilmente ora la polvere rossa lo avrebbe coperto come un sudario, ma poca consolazione le diede il pensiero che la volta celeste gli avrebbe fatto da tomba.
Come un automa senza volontà Zaide non si curava della strada, né della meta.
Era a malapena conscia della propria totale solitudine, e del palpito pulsante del proprio cuore, l’unica cosa che sembrava ancora inspiegabilmente, fastidiosamente viva.
Ti-tac. Ti-tac. Ti-tac.
Come se nulla fosse accaduto. Il vago senso di irritazione verso quell’insistente alito vitale che le ricordava incessantemente la sua inutile esistenza di essere umano sulla faccia della terra la indisponeva: non desiderava pensare né ricordare, né essere in qualunque modo consapevole di se stessa.
Nausea. Quel senso di impietoso malessere deformava ogni prospettiva, facendola sentire un gigante goffo in equilibrio precario su una fune tesa nel vuoto.

Camminava, ma non percepiva lo spazio attorno a sé. Il buio totale pareva avvolgere il nulla, gli occhi della ragazza non scrutavano altro che l’immobilità nera del vuoto di fronte a sé; ma in quel luogo sospeso i concetti di davanti, dietro, sopra e sotto sembravano assumere un significato molto relativo.
Di cui in ogni caso Zaide non si curava.
Non riusciva, non poteva ignorare il sordo ronzio che riempiva il silenzio della sua mente mentre il suo unico desiderio era solo svuotarla, cancellare ogni traccia di ciò che era stato fatto e di ciò che sarebbe accaduto.

Avrebbe continuato a marciare nell’abisso della sua morte in eterno. Qualcosa, qualcuno forse le aveva concesso di scavarsi la sua tomba e forse ora l’avrebbe lasciata vagare nei meandri della sua coscienza finchè la vita non avesse deciso di esalare fuori da quel corpo già inerte.

Un vago pensiero le attraversò involontariamente la mente sfinita. L’Asgradel. Cos’era stato dunque quel duello per lui? Inutile carneficina senza scopo? Insensato sollazzo di un essere inconoscibile e imperscrutabile? La morte di due innocenti non significava dunque nulla per lui, qualunque cosa fosse?

Ma poi l’inferno esplose.

Istintivamente Zaide si coprì la testa con il braccio, mentre attorno a lei le pareti di roccia si sgretolavano come sabbia in un boato assordante. Improvvisamente ridestata dalla trance, la fanciulla iniziò a correre forsennatamente nella disperata speranza che il tunnel avesse un’uscita. Doveva esserci, era la sua stessa volontà ad aver creato quella trappola mortale e ora avrebbe dovuto fare in modo di condurla alla salvezza.
Pietre e schegge aguzze precipitavano dal soffitto, graffiandola nella sua folle corsa.
L’oscurità che prima pareva impenetrabile persino alla vista acutissima della mezzelfa ora lasciò il posto a un turbinio di luci che si sovrapponevano al frastuono, generando una baraonda infernale in cui Zaide si sentiva schiacciata come un moscerino.

Il cuore le batteva all’impazzata, e nonostante la paura la giovane sentiva nuovamente la vita fluire frenetica nelle sue vene: come se, guardando in faccia la morte, il desiderio di vivere fosse finalmente esploso in tutta la sua potenza. Zaide continuò la sua fuga lanciandosi a rotta di collo in direzione di quella che sembrava una luce abbagliante, poche centinaia di metri di fronte a lei: la salvezza, l’uscita la chiamava con il promettente riverbero del sole alto nel cielo.
Schivò un grosso costone di roccia che franò accanto a lei e chiese ai muscoli tesi e sfiniti un ultimo sforzo: la luce era a un passo da lei.

Con fragore orrendo il soffitto della caverna si schiantò alle sue spalle proprio mentre Zaide si buttava a capofitto fuori da quella tomba, ma urlò di spavento non appena si rese conto che là fuori non c’era pericolo di frane, era vero, ma non c’era neanche nient’altro. Il vuoto si spalancava sotto i suoi piedi aprendosi in una luce senza fine, e Zaide si aggrappò con disperazione al picco roccioso da cui era appena emersa. Con un misto sconvolgente di terrore e pura adrenalina, si azzardò a lanciare un’occhiata verso il basso, scuotendo i lunghi capelli rossi che le sferzavano il viso nel vento freddo del nord: opalescente e abbacinante, un mare che pareva fatto al tempo stesso di luce e oscurità turbinava come in tempesta decine, forse centinaia di metri più in basso.

Che posto era quello?

Un violento scossone sgretolò un’ampia porzione di parete facendole slittare i piedi nel vuoto; con la pura forza della disperazione Zaide si tenne aggrappata alla roccia, le mani irrigidite dalla stanchezza insanguinate e doloranti, conscia che non avrebbe potuto resistere ancora lungo in quella posizione. Con uno sforzo immane tentò di issare il resto del corpo sulla sporgenza rocciosa, ma proprio in quel momento un boato immane sovrastò ogni altro rumore: la montagna ruggiva il suo canto di morte mentre iniziava, con una lentezza esasperante, a collassare su se stessa come un gigante dalle fattezze mostruose che si schiantava al suolo senza più forze. Pietre e macigni rotolarono con un rombo assordante giù per la fiancata scoscesa del dirupo, andando a perdersi nell’immenso nulla sottostante.

Era la fine.

Zaide chiuse gli occhi, mentre la roccia che era stata la sua ancora di salvezza fino a un istante prima si staccava dal costone, iniziando a precipitare insieme alla sua ospite.
Non voleva vedere. Sentì il vento fischiarle attraverso le braccia, urlarle tra i capelli e le dita; non riconobbe il suo corpo senza peso galleggiare nelle correnti d’aria, strappato con brutalità da un vortice all’altro; avvertì il sibilo concreto delle rocce che andavano a schiantarsi esattamente come lei, senza un solo pensiero al mondo.
L’idea della morte non la spaventava più ormai: il volo era già in sé così terrificante da non lasciare spazio ad altri timori.

L’impatto fu devastante e improvviso: molto prima di quanto Zaide si aspettasse, sentì i polmoni riempirsi di acqua gelata, facendoglieli scoppiare di dolore. Tutto d’un tratto tornò consapevole del proprio corpo, nel momento in cui ogni centimetro di pelle prese a urlare come se fosse trafitto da mille aghi: il gelo le perforava la gola annebbiandole la vista, e fu con indicibile sollievo che la fanciulla riuscì a riemergere con la testa fuori da quel mare infernale che le aveva appena salvato la vita.

Annaspando, riuscì in qualche modo a mantenere il sangue freddo e cercare di guardare oltre il proprio naso, ma quello che vide non l’aiutò ad orientarsi in quello che ora, sempre più, iniziava ad assomigliare a un oceano di madreperla fusa: le onde nere emanavano bagliori incandescenti, e non si increspavano nella classica spuma bianca, ma in creste argentate dalla consistenza indefinibile. Di certo non era acqua, constatò Zaide iniziando a recuperare un po’ di lucidità, anche se il freddo le penetrava nelle ossa facendola rabbrividire. Doveva uscire da lì al più presto, o le forze che così faticosamente stava cercando di tenere insieme l’avrebbero abbandonata: iniziò a nuotare seguendo una strana corrente, fluida e palpabile sotto il pelo delle onde, quando ad un tratto la visione più improbabile di tutta quell’insensata avventura le si parò davanti provocandole un sussulto di sorpresa che per poco la fece soffocare. Proprio di fronte a lei, alcune decine di metri oltre quella che doveva essere la riva, si stagliava la costruzione più maestosamente elegante che Zaide avesse mai visto.

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Lucente e sinuosa, splendeva come un faro agli occhi annebbiati della ragazza che non distolse lo sguardo ma intensificò gli sforzi per raggiungere quella visione che sembrava uscita direttamente da un sogno.

– La Torre… – ansimò Zaide, incapace di contenere lo stupore, – ...di Velta...Esiste davvero...

La sua incredulità giunse al culmine quando credette di scorgere, distanti ma riconoscibili, altre figure emergere dal profilo sinuoso delle onde del Gorgo: come falene inesorabilmente attratte da un lume si protendevano sfinite e affrante ma determinate quanto lei verso quel candido faro svettante nel nulla.

Tre, forse quattro individui lottavano per raggiungere la riva e conoscere il proprio destino. Zaide socchiuse gli occhi nel tentativo di identificare una quinta figura che sembrava scivolare nell'aria, sopra il pelo dell'acqua, simile a una grande, maestosa aquila. O un drago dal profilo sinuoso e misterioso. Aggrottò la fronte; la distanza era davvero troppa, ma forse... Se era lui, allora l'imperscrutabile disegno dell'Asgradel poteva davvero celare un significato recondito.
Ben presto Zaide riuscì finalmente a raggiungere la terraferma, dove si accasciò sulla nuda roccia bianca nel tentativo di recuperare il fiato.

– Il viaggio è stato davvero tanto terribile?

La voce non nascondeva un velo di distratta ironia, e Zaide non ebbe difficoltà a indovinare chi fosse il proprietario della lunga ombra sottile che si stagliava sul terreno candido come marmo levigato; non sollevò il capo, conscia di apparire miseramente lacera e sfinita, i capelli appiccicati al viso in ciocche disordinate e i vestiti bagnati e sporchi di sangue e fango.

– Shivian... – sussurrò la ragazza, con un misto di sollievo e timore.

Lui le avrebbe dato le risposte, una guida, un legame col passato e il futuro. Lui avrebbe cancellato il limbo in cui era precipitata nel momento in cui aveva accettato di misurarsi con un inetto.

– Stai bene? – domandò lui distrattamente, senza degnare di uno sguardo la sua compagna ma scrutando pensieroso la cima della torre slanciata nel cielo chiaro dell'Eden. Zaide annuì, impacciata, incerta se ricambiare la cortesia.

– Che ne è...Che ne è stato del tuo avversario? – chiese in un sussurro alzando lo sguardo sul ninja, non del tutto sicura di voler conoscere la risposta.

Per un istante, sul volto impassibile di Shivian comparve un'ombra che per Zaide fu più eloquente di cento discorsi. Una viva delusione unita a un indefinibile senso di disprezzo fecero scintillare i suoi occhi di frustrazione, rabbia e sete di rivalsa mentre lo sguardo indugiava ancora sulla sommità della Torre.
Zaide seguì il suo sguardo, senza badare alla mancata risposta di Shivian, e rimase a bocca aperta: il canto ammaliante della donna più bella e irreale che avesse mai visto si irradiava come una ragnatela su tutti loro, sulla sterminata distesa informe che chiamavano Gorgo, sulle terre oltre il confine e forse su tutto il continente; ascoltare la voce era al tempo stesso affascinante e rasserenante e agì sull'animo turbato della ragazza come un balsamo.

Shivian la riscosse dal suo torpore: – Vieni, dobbiamo trovare Hocrag.

A Zaide non sfuggì il velato disprezzo malcelato dietro quella frase, ma si accinse a seguire, seppur riluttante, il suo compagno. Secoli prima, le parve, Shivian le aveva citato quello stesso nome come loro terzo alleato: quanto tempo era passato? Non più di tre giorni certamente, anche se alla ragazza parve difficile riconoscersi in quella Zaide carica di feroce entusiasmo all'idea del massacro imminente; nelle ultime ore si sentiva invecchiata di cent'anni.

– Laggiù.

Mormorò laconico Shivian, accennando col mento in direzione dei gradini ai piedi della Torre. L'individuo che completava la Triade. Un indefinibile enigmatico compagno che osservava la Torre con devozione quasi maniacale che turbò Zaide: anche lei aveva subito il fascino del canto di Eitinel, ma quell'uomo sembrava un cavalier servente pronto a strapparsi il cuore per la sua signora.
La gradinata rispecchiava la stessa candida magnificenza che caratterizzava la mitica Torre di Velta, e Zaide quasi trattenne il respiro nel salire l'ampia scalinata lucente; notò una reazione simile da parte di Shivian e ne rimase sorpresa: non sembrava il tipo da lasciarsi mettere in soggezione da chicchessia, ma ancora una volta fu più rapido di Zaide a mascherare i propri pensieri, nonostante lei avesse colto la strana occhiata gettata non alla Torre bensì a Hocrag.
"Una strana alleanza", pensò la giovane, scuotendo il capo mentre il vento le scompigliava i capelli, cantando l'arcana parola di Eitinel.


image



CITAZIONE
Con questo post il team Götterdämmerung conclude il primo giro, dato che muovo autoconclusivamente anche Shivian in modo da non appesantire eccessivamente narrazione e tempi di postaggio.
Ho iniziato il post dalla fine del duello con Antal Halym, dove avevo lasciato Zaide vagare in stato catatonico all'interno di un tunnel-tomba forgiato dalla volontà secondo le regole delle arene del primo turno.
NB: Shivian non precipita all'interno del Gorgo ma riesce ad attutire la caduta tramite la passiva Appoggio, che gli consente di raggiungere la terraferma scivolando a mezz'aria.

Buona continuazione a tutti!



Edited by Zaide - 22/4/2011, 10:58
 
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Foxy's dream
view post Posted on 24/4/2011, 10:24






Raccolse ogni idea, ogni pensiero, ogni riflessione e le scacciò via, lontane dalla propria mente, lontane dal cuore, dal suo spirito tormentato. In quel momento lei era istinto, volontà, semplice e banale impulso naturale. Vi aveva infuso tutta sé stessa in quel pugno, termine risolutorio di uno scontro protrattosi troppo a lungo, approdando in una dimensione introspettiva in cui il senno era oramai perduto. Ma il tempo scorre, implacabile, e mentre l’eco del proprio ruggito squarciava il silenzio quasi tangibile facendosi largo prepotente e tirannide, mentre la figura traslucida di una leonessa appariva alle sue spalle come concretizzazione della propria essenza: quel gancio impattò sul muso del maghetto con furia mai vista, scaraventandolo su una colonna d’arenaria alle sue spalle in un tonfo secco e sordo.

« Hai detto che stavi aspettando, eh? »


Urlava inconsapevolmente, emotività e spontaneità si intrecciavano fra loro come serpi in lotta, l’una sull’altra, creando un ibrido di pura malevolenza e avversione contro ogni forma d’ideale.
Respirava affannosamente. Il petto si gonfiava e stringeva cercando di reggere quell’ulteriore sforzo fisico nonché mentale. Se l’intero palcoscenico del primo atto era stato eretto con lembi maltagliati di sogno e volontà, di memorie e desiderio, l’esatto opposto era per quei burattini costretti a combattere: fin troppo reali, così come sin troppo gravose erano le loro sofferenze, i loro patimenti.
Tuttavia alla regina non bastava, non le era sufficiente. Avrebbe fatto capire lui in pochissimo tempo quanto lei aveva compreso in una vita intera, rinfacciandogli il tono di sfida con la quale aveva osato sbarrarle il cammino, la strada che l’avrebbe condotta all’ascesa da quel campo di battaglia per guidarla paradossalmente su un altro, ben più vivido e concreto.

Strinse la destra a tal punto da non avvertire più alcuna sensazione, digrignò i denti in un’espressione arcigna e carica d’ira.
Corse.
Corse sul crespo manto renoso, sul ruvido specchio della propria anima, e prim’ancora che tentasse di rialzarsi, prim’ancora che elaborasse una qualsiasi reazione a quella carica furente, assestò un calcio al suo addome, al quale reagì tossendo rudemente.

« Come avevo detto:
in guerra non v’è gioia, né gloria, né salvezza e né futuro.
Quel che conta:
è il semplice sopravvivere. »


Ringhiò aspramente recuperando lentamente il controllo di sé, un respiro dopo l’altro, permettendo all’indole razionale di reprimere la fiera che talvolta si destava dal suo sonno.
Inspira. Espira.
Non si muoveva. Quella sottospecie d’alchimista non accennava un movimento. Eppure tremava, gemeva, era vivo: ma alla fu regina non importava, per lei era morto, un capitolo chiuso.

...


Gli istanti trascorrevano lenti, immobili in quel miasmatico fluire. Perle di sudore colavano lungo la tempia accarezzandole il viso. Il respiro adesso era regolare, forse ancora un po’ agitato. D’un tratto quel che poteva considerare il proprio avversario sparì perdendo consistenza come uno spettro, una figura eterea e opalescente, preda e vittima del nulla promesso agli sconfitti.

« Già… proprio come avevo detto. »


Concluse in tono basso, a sé stessa, convincendosi a sua volta della veridicità delle proprie parole, delle proprie convinzioni, sebbene altro non erano che il rammarico per un destino avverso e nemico, saggista e novelliere d’un copione talvolta incerto.
Chinò il capo.
Cos’altro avrebbe affrontato? Cos’altro avrebbe veduto? Non sapeva, no. Quel tarlo si era ormai insediato in lei, e aveva cominciato a divorare lento ma inarrestabile tra ogni positivistica visione dell’accaduto, catapultandola in un quadro cinico e materialista di un orizzonte frastagliato di rocce e sabbia.

Si voltò.
Stancamente, passo dopo passo, raggiunse la propria bastarda conficcata ancora in terra, ultimo baluardo di virtù e incorruttibilità, simbolo per eccellenza di una casta perduta nell’empio, attecchita in valori dimenticati o più semplicemente surrogati dall’amor proprio.
La afferrò, strinse l’elsa saggiandone ricordi dal vago sentore nostalgico, e infine la rimise al posto: al suo fianco, nel fodero, compagna di mille traversie.



« -ma che dia-? »


Sbottò ruotando il capo alle proprie spalle con in viso un’espressione tra lo stupore e lo spavento, impreparata all’ennesimo risvolto sull’altalenante sceneggiatura preparata per loro.
Un’esplosione, un fragore assordante si propagò per l’aere, sovrastato a sua volta dall’accecante supernova che infranse quella propaggine di mondo ritagliata dall’Asgradel come una sottile e fragile lastra di cristallo. E immediata giunse l’onda d’urto, che ancor più temibile e maestosa della deflagrazione stessa, travolse riducendo tutto in polvere e la polvere in sedimenti ancor più fini.
Come una formica nell’imperversare della tempesta fu spazzata via da una forza naturale fuor misura che la scaraventò via dal sogno e dall’incubo, dall’illusione di poter dare forma allo spazio al pari d’una divinità.
Precipitava.
Ad occhi socchiusi avvertiva l’aria sferzarle il viso e il corpo attraversando le fini rifiniture della sua armatura ammaccata lì sul petto, premente leggermente sul seno in un tocco molesto e quasi fastidioso, ma ancora una volta: che importava? Ce la doveva fare, ce l’avrebbe fatta, sì! E prendeva velocità, sempre di più, in balia della più nota legge fisica quale è la gravità.
Tornava al mondo che conosceva, tornava al nido che aveva scelto diverse lune addietro, tornava al luogo che ora poteva vantare la nomea di casa sebbene quel posto discostasse largamente dall’accezione propria del termine.

Velta.
Eitinel.
Il Gorgo.


La consapevolezza fu più forte del miraggio, la realtà più cruda dell’immaginazione. Tutto era oramai perduto, nulla era più come era, nulla era mai come era sempre apparso. Dolore.

« Gghh!!! »


Gemette. L’impatto con la superficie del bacino nero fu rude e doloroso. Tentennò. La mente ancora proiettata su quel conflitto scoppiato senza una motivazione apparentemente valida. Si costrinse a tener duro, obbligando quel corpo martoriato e segnato da mille odissee a reggere quell’ulteriore stress.
Buio.
Sopra e sotto si confondevano, destra e sinistra si riducevano a meri postulati d’una logica ingannevole e fuorviante, radicati in criteri d’assoluta normalità quando invece quella consuetudine aveva ceduto il passo all’incomprensione e all’incomprensibilità. Affondava, sì! Precipitava in quell’oscurità sempre più densa, sempre più fitta fino ad assumere la forma di tentacoli che l’avvolgevano e la spingevano al ventre dell’abominio, al nucleo del Sorya dormiente sul suo fondale. Lì fu il principio, lì era la fine. La stava raggiungendo, la stava catturando, nuovamente ammaliata dal mortifero bisbiglio dell’arrendevolezza, no! E luce fu.
Quasi ridicolo, imbarazzante. Velta splendeva di luce propria come una stella, un faro elevato a monito sulle ombre incalzanti della miasmatica pozza nella quale stava annaspando.
E abbracciò quella luce, ne fu avviluppata, ne avvertì il calore. La confortava, pronunciava il suo nome: era lei? No no no! Forse sì! Forse perché al mondo nulla è certo, neppure la morte: scampata anche a lei in ben più d’una occasione. Ma i polmoni reclamavano aria a gran voce, ossigeno, la mente vacillava, e una volta scossasi dal dormiveglia dell’incertezza dette moto al proprio corpo, una bracciata dopo l’altra in direzione del riverbero di speranza sopra il suo capo, molo d’ormeggio per l’ennesimo campo di battaglia.

Aria.
Respirò a pieni polmoni beandosi di quella sensazione, così semplice e banale, così stupida. Eppure sono i piccoli piaceri, le azioni delle quali non si serba memoria a dare alla vita il gusto d’essere vissuta.

Ancora un poco.
Ancora un altro poco.


Era a terra, finalmente fuori, via dal putridume e dall’aberrante mescolanza di energia e oscurità in grado di corrompere e infettare anche gli animi più puri e tersi, lo stesso cancro e la stessa essenza del Clan che non esiste.
Sollevò il capo.
Attimi congelati, persi nello spasimo del tempo. Ricordava tutto, rimembrava ogni singolo dettaglio, riluttante anche nel perdere frammenti d'Io e di passato, così cari e dolorosi dall’essere divenuti un supplizio del quale era assuefatta.

« Tsk! »


Ai suoi orecchi il canto di madama Eitinel, ai suoi occhi la mirabile Velta svettante contro il cielo, al suo cuore l’incredibile e spaventosa vicinanza a un potere tetro e arcano.
Un brivido le corse lungo la schiena, ma sedò quella disgustosa percezione incamminandosi come era suo dovere.
Passo lento, cadenzato, quasi militare. Qualcuno l’attendeva con la schiena poggiata su una roccia affiorante dal suolo, in posa, braccia conserte e sguardo tagliente, teatrale ed enfatico come era solito che fosse: Finnegan.

« E così anche il "Mastro di Chiavi" ce l’ha fatta. »


Commentò sarcastico accennando un sorriso sghembo pregno di chissà quali pensieri, chissà quali intenti, calcando sulle parole che componevano quel titolo onorifico come fosse un insulto o più semplicemente una presa in giro. Ma alla nera paladina poco importava, non si scompose, reagendo con un parco sorriso di rimando e tacendo, proseguendo sul suo cammino.

Un gradino. Un secondo. Un terzo ancora.
Prigionieri di un reverenziale silenzio salirono lungo l'irta scalinata dalle venature marmoree, splendente come l'avorio più pregiato, in rude contrasto con la tracotante oscurità che pareva voler ingurgitare quell’oasi di luce ancora intatta. Alcune figure erano già lì, figure già viste in qualche occasione lontana , ma non vi badò, riservando loro appena un fugace sguardo di malcelata sufficienza. Anche Shakan era lì, smarrito in una riflessione a voce alta, mediocre come al suo solito, ma stranamente risoluta nonostante la sua quasi estraneità a quel luogo.

- Dolce Eitinel – che tu lo voglia o meno – io sto arrivando da te...
E canterò, al tuo cospetto, il tono greve del giusto... -


« Anche se ciò ti condurrà ben lontano dal tuo Re? »


Proruppe interrogativa flettendo su quelle parole, esigendo una risposta, una conferma al patto stipulato con le sole e semplici parole, una piccola garanzia sul perdurare della sua validità.




SPOILER (click to view)
CITAZIONE


ReC: 250 | AeV: 225 | Perf: 250 | Perm: 325 | CaeM: 225

Critico: 33% | Alto: 15% | Medio: 6% | Basso: 2%



Energie: 100%
Status psicologico: Provata
Condizioni fisiche: Illesa

______________________ _ _

Abilità attive:


____________________________ _ _

Abilità passive:

• My Sword ~
La spada in possesso di Alexandra presenta sul piatto della lama un incantamento runico di colore rosso carminio ben visibile all’occhio. La bastarda potrà, in qualsiasi momento, innescare i poteri del dominio, e grazie all'incanto essa risulterà impossibile da distruggere nonostante gli attacchi che le potrebbero venir mossi. [Abilità passiva del Dominio Incantaspade I]
• My Hands ~
Le mitene in possesso di Alexandra presentano nel palmo un incantamento runico del tutto simile a quello della spada bastarda. Quest’arma potrà quindi, in qualsiasi momento, innescare i poteri del Dominio. Grazie all'incanto, inoltre, risulteranno sempre affilatissime e incapaci in alcun modo di perdere le proprie capacità offensive, oltre ad essere indistruttibili. [Abilità passiva del Dominio Incantaspade II]
• My Wish ~
Alexandra punta gran parte delle proprie capacità sulla magia. Avendo così affinato questo potere insito in lei, una volta raggiunto il 10% delle energie non sverrà. Ciò però non significa che non sarà stanca raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%. [Effetto passivo dell'abilità razziale]
• My Volition ~
Il dominio di Alexandra sul proprio corpo le permette di scagliare attacchi magici e fisici senza alcun tempo di concentrazione. Ciò permette un notevole vantaggio tattico e tecnico alla paladina, che racchiude in sè le proprietà di maga e guerriera allo stesso tempo. [Abilità personale passiva]
• My Verity ~
Le parole di una regina sono inviolabili, intoccabili, indiscutibili. Allora come poter mettere a freno la sua lingua, la sua dialettica forbita e pregna dei più valenti significati? Semplicemente impossibile, così come impossibile è arginare il fiume in piena della sua parlantina sciolta e suadente. In termini di GdR quest’abilità conta come un ammaliamento passivo che influirà su tutti coloro i quali ascoltano le parole di Alexandra, che andranno considerate come vere, sincere, sebbene in realtà possano essere l’esatto opposto. [Abilità personale di ammaliamento passivo]
• My Perception ~
Sensazioni. Il mondo si estende al di là di quel che è possibile percepire con tatto, gusto, olfatto, vista e udito, trascendendo la realtà in mille altre sfumature percepibili solo dall'istinto più sviluppato in forme di sensazioni. Una sorta di empatia che la collega alla dimensione delle anime, permettendole di avvertire le aure di amici e nemici nelle vicinanze come una sorta di sesto senso. [Bracciale dell'Auspex]

_______________________________________________________ _ _

Note:

Nulla di eccezionale. Riprendo la storia di Alexandra in questo evento dal post autoconclusivo nel duello contro il pg di Hole, dove si accanisce su di li in quel che potrebbe apparire un vero e proprio pestaggio da strada. Una volta calmatasi lo vede sparire, ripensando alla promessa/intimidazione dell'Asgradel quando espose le regole che avrebbero contraddistinto il primo turno. Poi recupera la spada, una bastarda, arma che simboleggia la casta dei cavalieri e il bagaglio di tradizioni alla quale Alexandra fu istruita, per sobbalzare al fragore dell'esplosione ed essere scaraventata giù nel bacino nero.
Persasi un attimo nell'oscurità (smarrimento avvenuto almeno un altro paio di volte in diverse occasioni) viene catturata dalla luce, e ripresasi riesce a emergere e approdare nei pressi di Velta. Qui appare Finnegan, che per mezzo di quella battuta sarcastica la saluta e insieme si incamminano sulle gradinate, esordendo con l'ultima frase che è quasi retorica .

Good! Anche il team Sic Volvere parcas termina qui.
La palla a chi di dovere... Read'ya! :8D:

 
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view post Posted on 3/5/2011, 16:22
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And...bla..Bla..BLA
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Assoluta, immota, eppure incredibilmente potente, in quella la voce di Eitinel parve ferire il torbido gorgoglio del Gorgo come una lucente, affilatissima, lama di cristallo.
Un'unica, lacerante, nota tale da zittire tutto il resto.
Ogni altro suono, ogni altro riverbero.

Un la?
Un mi?


Pur nella propria perfezione, nella propria inesorabile finezza, sarebbe stata cosa assai ardua definire eguale intonazione. Eguale inflessione. E paragonarla a lei, lei sola che con il proprio richiamo costringeva il mondo stesso a tacere. E ascoltare assorto, rapito, conquistato.
Diabolico, angelico, mistifico.
Quel suo sospiro serpeggiò lungo i bordi scavati del Gorgo e da esso, come ventre ridondante, ne uscì mille e più volte amplificata. Mille e più anime volte a cantare una sola, unica, devastante armonia.

E poi, improvvisamente, tacere di nuovo.
E subito dopo, lacerante, un nuovo innalzarsi di quell'unica, persistente, malia.
E di nuovo, il silenzio.
Nella breccia di un secondo, la Torre di Velta ebbe un nuovo, crepitante, fremito.
Briciole di arcate e di volte che cadevano improvvisamente come neve fra i suoi piedi già in ammollo nell'oscurità.

" Povera Eitinel "
sogghignò una voce femminile.
Giovane, tutto sommato, ruvida, probabilmente.
Un misto difettoso di freddezza e pacata gentilezza, quasi che quelle labbra, ora piegate in un freddo sogghigno mentre pratiche si prodigavano ad appannare col respiro un paio di lenti, non fossero del tutto avvezze a futili convenevoli o galanterie.
La Dottoressa sapeva sorridere, certo.
Eppure nei suoi occhi si poteva quasi intravedere il teso ricordo di un gelo permanente, imminente quanto il consumarsi di un cero al sopraggiungere del vento.

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Così quando ella, con semplice compostezza, inforcò i propri occhiali sul naso sottile, non sembrò affatto cosa strana che sul suo volto già si potesse leggere la strana inflessione della metodicità, dell'impellenza.

" Costretta a Cantare come un cardellino in gabbia. Giorno e notte, di modo che tutti possano sentirla ed accorrere a lei, meraviglia di Asgradel"
In un casuale riflesso di femminilità, ella si portò una ciocca di biondi capelli dietro l'orecchio destro.

" Non è cosa affatto strana che, fra tutti, alla fine l'abbia sentita anche Lui e, come da copione, non abbia impiegato che pochi istanti per constatare che il suo canto proprio non gli piacesse"
Di nuovo, sibillino, sul suo volto comparve l'ombra di un sorriso.

" Mandatele un'altra cantante degna di questo nome.
Vediamo se, ritrovandosi a canticchiare in un duetto, si stancherà infine di starnazzare come un'oca giuliva"


motteggiò con la traccia di qualcun'altro nella voce. Di qualcuno ben più grande e ben più crudele di una dottoressa con manie di grandezza.

" Ed ora sentite, sentite che meraviglia: quale sublime fuga di voci, quale controcanto prodigioso "

Solo ora, nell'aria, ecco il definirsi di una eco. Una nota un poco più sottile, un poco meno evidente della prima, soverchiante, melodia.
Un la?
Un re?

No. Non armonia. Non note e voci.
Solo il movimento al di sotto degli stessi.
Poco meno che il grattio delle corde di un violino, o il ripiegare di un tasto del pianoforte.
Ombre di suoni. Vestigia di strumenti.

" Questa è Lia, la mia bambina"
fu il commento vezzoso della Dottoressa. Ed improvvisamente fu come vedere qualcosa in lei destarsi. Una lieve, seppur inafferrabile, punta di vita tale da colorarle inaspettatamente le guance scarne, i lineamenti affilati.

" Questa è la sua voce, lo spudorato motteggio alla melodia che solo l'Asgradel sa sprigionare"
Nei suoi occhi, il tralucere di una dubbia felicità, un'incerta vaghezza di insania e orgoglio.

" E' tanto bella, la mia bambina"

rimbeccò muovendo un attimo le dita della mano destra sul contorno asciutto delle labbra. Un movimento cauto, debole, quasi il nascondersi di un mezzo sogghigno.
"L'ho creata con le mie mani. Pezzo dopo pezzo, vena dopo vena. Cellula su cellula. E alla fine le ho dato un nome. Qualcosa che sapesse di fiori e di primavera."
Terribile, Velta tremò ancora, convulsamente.
" Lia.
La mia piccola creatura canterina. Ascoltate. Sentite la sua voce..."

Sospirò piano, socchiudendo un attimo i grandi occhi per metà nascosti dalle lenti. In quella la grandi ante dell'ingresso, orrido gemito, franarono a terra proprio ad un passo da lei, le immense colonne atte a sostenerle che prendevano a creparsi in un groviglio di pieghe e filamenti.
La donna registrò l'accaduto con un morbido movimento della mano destra, ventaglio improvvisato per scacciare la polvere che le si era sollevata tutt'attorno.
Sbattè una o due volte le palpebre, quasi tentando di rimettere a fuoco la situazione. Ed infine, con un morbido piegarsi del capo, sorrise di nuovo.

" E' contenta, ora, la mia Lia. Ora che il Re le ha permesso di giocare con la vostra Dama. Ora che, finalmente desta, è in grado di fare tutto ciò che più le aggrada "

Se non fosse stato per il luccichio intenso delle iridi, o la svenevole passione con cui la Dottoressa parlava del suo Tesoro, chiunque avrebbe faticato per per vedere in lei il seme dell'insania. Così come il germe della fame nelle sua guance scarne. O il puzzo della morte nei suoi capelli biondissimi.
Eppure ora, ad un passo dal grande ingresso di Velta, il corpo sottile che fragile risaltava appena contro l'oscurità dello spazio alle sue spalle, la dottoressa pareva quasi una giovane adolescente. Fuori luogo nella maestosità del Sorya. Decisamente innaturale nel proprio indietreggiare di un passo, lo sgretolarsi della soglia che sporcava di grigia polvere il suo camice bianchissimo.

" La mia Lia è così brava, sapete."
riprese scrollandosi un attimo i calcinacci dal capo
"Ha solo un piccolo difetto: E' terribilmente impacciata. O Sbadata, a seconda dei casi. Nonostante io abbia tentato in tutti i modi di correggerla, tende a rompere tutto ciò che le capiti fra le mani. Tutto. Soprattutto i suoi giochi."
Ormai per metà all'interno della torre, la Dottoressa si esibì in un lieve sospiro dolente. Poco autentico, in realtà, ma pur sempre d'effetto.
" Ma son certa che il Vostro Asgradel non si romperà così facilmente. Certo che no. E' un essere sovrannaturale, lui. Non come voi che, mere pedine nelle sue mani, vi illudete di guadagnare anche solo un briciolo della sua onnipotenza semplicemente standogli accanto come gazze ladre."
In quella, un pezzo massiccio della volta sovrastante franò a terra sfracellandosi sulle gradinate della Torre. Tuttavia, la donna era già scomparsa all'interno dell'edificio, la sua sagoma che già si perdeva nell'inspiegabile oscurità ivi contenuta
"Vi avverto, dunque. Lia è terribilmente incauta con i suoi giochini. Non sarebbe saggio da parte vostra istigarla a considerarvi alla strenua di una delle sue bambole mettendovi ad inseguirla o a tentare in qualsiasi modo di fermarla dal raggiungere l'Asgradel"
Una pausa, debole, il sottile mutare della sua voce in qualcosa di più profondo. Pericoloso.
" Poiché voi vi romperete, questo è certo. E quando questo accadrà né Eitinel né il suo sommo possessore avranno alcuna possibilità di rimettere insieme i vostri pezzi."
E rovinoso, inarrestabile, il franare del magnifico ingresso di Velta. Cocci e pezzi ovunque, in una miriade di schegge marmoree.

" Già ora, ora che come idioti vi beate dell'illusione che la Dama sia ancora con voi a vegliarvi e a svezzarvi con il suo latte agrodolce. Già ora che a tratti la ninna nanna della vostra cara madrina si interrompe a tratti, rotta, ella non può nulla contro Lia e le sue voglie. Anche se il suo silenzio volesse dire morte ai suoi più fidati condottieri, misera carneficina dei suoi adorati bambini. Nell'ammutolire del suo sommo canto, io ora vi ordino, inutili pedine in questa guerra fra titani,
Giocate.
Giocate con Lia.
"


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SPOILER (click to view)
Ecco qui il secondo post.
Si scopre che Lia è stata mandata da Ray per far Tacere Eitinel e mettere i bastoni fra le ruote all'Asgradel. Lia infatti è in grado di cantare come Eitinel, e la sua voce, per qualche ragione, crea dei fortissimi problemi all'Asgradel. In ragione di questo è consigliabile fermarla prima che lo raggiunga. Il problema è che Velta sta letteralmente crollando su se medesima e, in primis, proprio in questo post le Grandi porte si stanno sgretolando impedendo, in definitiva, ai personaggi di mettersi all'inseguimento. Oltre a questo, i pg si ritroveranno ad affrontare un ulteriore problema: parlando di Giocare, la Dottoressa non si riferiva a qualcosa di figurato. Come una bambina alle prese con le sue bambole, la piccola Lia tende ad usare i propri poteri per "muovere" coloro che le stanno attorno. In questo caso, far massacrare le sue piccole marionette fra di loro nella simulazione della guerra di cui tanto la Dottoressa parla.

Chiunque non sarà entrato nel miasma di Eitinel precipitando, subirà un'influenza psionica di livello Critico. Chiunque sia entrato, viceversa, sporcandosi ed inzaccherandosi, avrà un'influenza esclusivamente Alta. Ciò è spiegato dal fatto che l'incubo appartiene ad Eitinel e, come tale, esso difende in minima parte coloro che ne sono entrati in contatto.
L'influenza psionica sarà ravvisabile in un sovrapporsi drastico e terribilmente acuto della voce di Lia a quella di Eitinel. Immediatamente dopo, qualunque pg che non resista all'attacco comincerà a muoversi contro la propria volontà imbracciando la propria arma ( qualsiasi essa sia ) e iniziando a sferrare una serie imprecisata di attacchi fisici contro un membro della squadra a sè contrapposta. ( Se non dispone di armi, sarà una serie di attacchi magici. Libera scelta sul costo). Questa influenza non provoca danno ai pg che la subiscono senza difendersi, ma costringe solo all'attacco. Nell'attaccare, tuttavia, si rischia di perdere troppo tempo e rimanere chiusi al di fuori di Velta ( modalità che verrà regolata da me al termine di questo turno a seconda di come vi sarete comportati). Difendersi comporta dispendio di energie che potrebbero tornare utili nel proseguimento della quest.
Tutti voi, nessuno escluso, perde comunque il 5% delle proprie energie totali, per cause ancora sconosciute.

- In questo post valuterò molto attentamente la coerenza mostrata da tutti i voi nel scegliere come comportarsi.
- Tempi di risposta: 3 giorni dall'ultimo post. Tempo massimo totale: 20 giorni.
- E' bene informarvi che per ogni turno di questa quest, nel mio post da qm decreterò autoconclusivamente la morte di uno dei pg partecipanti. ( esclusione definitiva dalla quest, nessuna possibilità di replica) I criteri di "morte" saranno attribuibili a puntualità nel postare, qualità dei post, comportamento e coerenza dei personaggi.
- E' bene che vi organizziate MOLTO BENE sui tempi di risposti e turni fra di voi, di modo da non creare disguidi e sovrapposizioni di post. Utilizzate il topic confronto o i mezzi che meglio preferite.
- Per qualsiasi dubbio, il topic confronto è a vostra disposizione.
- Finchè non verrà espressamente detto il contrario, il pk è OFF. La morte dei pg sarà esclusivamente circoscritta alla quest.



Edited by Eitinel - 4/5/2011, 00:58
 
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view post Posted on 4/5/2011, 21:35
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Valzer al Crepuscolo
I I r o u n d


Rantolavo nel miasma.
Dispiegato nella fosca turpitudine
di un richiamo che mi cingeva come arvicola
richiamata dalla melodia del corrotto pifferaio,
ero persuaso di non mancar di
risponder alla mesta adunata.
image
 

E’ il richiamo che mi conduce?
O è la placida volontà di rimarcar le mie glorie,
ed i miei onori ricercati nel profondo del mio
animo, che ancora oggi mi parlano
del mio destino e di quello di tutto
il regno rimasto orfano?



Sono io che mi conduco...
...o è l e i?



D
isincantato. Vagavo rantolante nella inezia del mio pensiero, calcando a fatica il cammino che conduceva al grande portone della Torre, dischiuso – per più – tra gli interrogativi del mio essere dissacrato, più che tra le paure di una terra ignota ed ostile. Qualunque melodia stesse intonando la Regina della Torre, disilludeva lentamente ogni mia risolutezza, ridisegnando le trame del mio cammino in ampie ed artificiose digressioni di fragilità, convincendomi – ad ogni attimo di più – che del mio fato avessi perso comando già da molto tempo, e che – nell’illusione di aver costruito scopi nobili per quella terra straziata dal rancore dilagante – ero, in verità, semplicemente caduto vittima delle volontà dei potenti, che di quelle terre mi illudevo di conoscere e che in quei miei artifici, avevo dimenticato di considerarne la capacità, o la propensione, nel plasmare l’altrui convinzione. Per vero: ero ancora v e r a m e n t e padrone del mio operato? O mi abbandonavo – incosciente – alle loro volontà ? Giogo nella loro mani.

G i o g o

« Anche se ciò ti condurrà ben lontano dal tuo Re? »


A
l mio fianco scorsi nuovamente la sagoma aggraziata, ma affaticata, di Alexandra, che – ignara dei miei turbamenti, o forse compiacente e sorniona – aveva dimenticato di rinfrancarmi in quel mio abbandono di debolezza, nel mentre che – precipitando dal nulla, verso l’infinto – le tendevo un braccio stanco. E mi piacque pensare – in quel momento – che ella non avesse affatto considerato quel mio gesto, in quanto non l’avesse scorto: mi piacque pensare – nel tumulto ansiogeno di quella risalita inumana – che di quel mio attimo di umana perdizione ella non avesse avuto sentore e che, in qualche modo, mi credesse ancora forte e solerte nelle mie convinzioni.

Mi piacque pensare che potesse avere
di me l’idea del condottiero risoluto: e che mai avrei mancato
di mostrarmi fanciullo al suo sguardo.
O spaurito.

<< Il mio cuore non ha mai abbandonato il regno, Alexandra... >>

Ansando, sospirai parole forti, cariche dell’indefessa forza che rimarcavo ai miei principi.
Non il Re – quello vero – non il Regno – quello giusto.
Nessuno dei miei principi aveva voltato lo sguardo dalle mie fedeltà.
Debole nel corpo e nella mente, urlavo quelle parole perché di esse potessi farmi scudo.

<< ...è per il Re che io sono qui, non dimenticarlo... >>

Rimarcai, rivolgendo lo sguardo prima a lei, e poi alla torre.
In quel frangente – però – esitai: un altro tumulto, un altro fremito.
Qualcosa di simile, ma anche di completamente diverso, a quanto udito poco prima, scosse l’imponente costruzione nera innanzi a me, nel momento esatto in cui posai l’occhio su di essa.
Che la vista mi facesse difetto, ora?

<< ...io sono qui p e r l u i – per il v e r o R e – e per la cura delle sue afflizioni... >>

Per curare le sue afflizioni
O per curare le tue?


Qualcosa trasalì la coscienza: una voce, un tumulto, un suono altrettanto potente, quanto la voce della
dama, ma – allo stesso tempo – di tono contrapposto, più violento e disarmante.
Un tono che lambiva la psiche con arroganza, ridisegnandone gli spazi.
Sconfinando la costrizione del mio animo.
Corrompendo il mio pensiero.

Io sono qui per il giusto.
Tu sei qui solo per la gloria, il tuo personale sollazzo.


Mi stranii rapidamente. Nel mentre seguitavo a fissare la torre e – allo stesso tempo – Alexandra, rischiarii la vista con fanciullezza innocenza, sperando – inutilmente – che quel gesto tanto loquace avrebbe chiarito l’astrazione. Nulla: nel ventre di quel magma oscuro, nulla pareva cambiato, rispetto ad un attimo prima.



O meglio, nulla di evidente: solo piccoli particolari.
La torre che tremava, sbriciolandosi pian piano: sgretolando le proprie colonne.
L’altro suono che si faceva più insistente. Cantando l’avversità del fato.
Cantando la follia di una carneficina.

La ragione non ha limiti: io so chi sono.
La ragione è figlia della convenienza: credi ciò che ti è utile.



Non voglio la morte di alcuno! L’Asgradel salverà il Regno!
L’Asgradel ti renderà potente: e dalle mani della dama otterrai quel potere!



Credo nei miei principi, del mio male ho fatto scudo!
Del tuo male fai arma: ti serve per farti strada tra i tuoi nemici!



I miei n e m i c i ... ?



P
rim’ancora che quell’inconscio moto di odio potesse chiarire qualsivoglia artificio che stesse devastando ogni mia convinzione, il canto si fece terribile: un acuto di inerzia ridondante parve devastar la mia mente, e finanche la Torre scura parve risentire del deflagrare di quel tono, perché si ridestò ancora, in uno scuotimento ancor più vigoroso e – questa volta – eterno. Non si arrestò, come i precedenti tremolii, allo scorrer del tempo e, di risposta ad ogni nostra incertezza, tutto parve nient’altro che il preludio alla prossima caduta: le porte – soprattutto – da rimarcabili ostacoli al cammino, sarebbero divenuti presto tomba di ogni mia certezza, nel mentre che – sgretolandosi anch’esse con rinnovato vigore – sarebbero divenuti non più portale, ma muro invalicabile sul percorso che avrebbe condotto alla torre. Si sarebbero fatte gioco dei miei principi e delle mie cedevoli certezze, ricoprendo con mestizia ogni possibilità di riuscita. Ed i torrioni, le guglie, gli archi ed ogni tramezzo sarebbe ricaduto al suolo: frana incontrollabile. Per vero, però, non fu solo
q u e l l o a far tremare anche le mie carni: nell’attimo esatto in cui consideravo, infatti, la dipartita di ogni certezza, scrutai altri esseri, uomini... ed una donna. Tutti in prossimità della Torre.

Figuri: scuri figuri.
Nient’altro che altre vittime di quel richiamo.
Nient’altro che altre pedine del fato.



Hanno sentito anche loro il richiamo del fato.
Vogliono anche loro il potere del creato: vogliono la t u a gloria.



E
scrutai nel vuoto oscuro di cui il miasma faceva da sfondo, la possibilità – remota ed inconscia – che di quelle parole qualcosa, un minimo, cingesse la verità. Considerai che le possibilità di vittoria divenissero infinitesimali alla luce dei poteri, perversioni e capacità che avrebbero riportato tali altri uomini, benché – di fatto – non fossimo diversi l’uno dall’altro per intenzioni e destino.

Eppure: eppure c’era qualcosa.
L’idea o soltanto la possibilità che avrebbero sottratto il m i o fato.



Il fato non è mio! E’ di tutti! Che importa se non lo raggiungo io?
Non è tuo? E per cosa hai sofferto? Per cosa hai lottato?



Ti piacerebbe che un altro lo raggiungesse al tuo posto?
No – no per certo.




Questo non è lecito! Questo non è quello che voglio!

Ma lo vogliono loro. E, se non lo farai, ti avranno.



Innegabilmente giungevo alle conclusioni che avevo evitato sin dall’inizio: erano n e m i c i.
Ed il frastuono rimbombava nella mente come un’emicrania insopportabile.
Pulsava i nodi del mio cranio con l’intensità di una perversa caoticità.
E riconsideravo quelle persone, illuminandone i satanici ghigni.

E, tra tutti, mi parve di scrutare il freddo distacco di un ragazzo alto.
Capelli neri, occhio vitreo, viso aggraziato di potenza.
Dal tono risoluto e distaccato, tipico dei vincenti.

La determinatezza di chi comanda: di chi è potente.
Di chi è pericoloso. Il più pericoloso dei miei nemici.



M
a la mano non frenava il senno, e la volontà galoppava rapida verso l’incoscienza dell’inquietudine. La paura dettava legge, ormai, senza che di essa si potesse far preda alcuna. Non potevo ricondurre il senno entro margini di ragionevolezza ed il corpo, invero, pareva rispondere soltanto al moto d’odio che mi aveva colto. E nel mentre che seguitavo ancora ad interrogarmi sul motivo per cui mi apprestavo a scattare come una molla impazzita, senza che potessi nemmeno considerarne la dolenza, tre tagli leggeri trasalirono il mio avambraccio sinistro. Le lame dell’artiglio erano già scattate all’infuori: solo il male, il dolore, mi diede sentore di ciò. Ed avvertii il potere malsano dell’arma che caricava la cognizione del male: l’artificio della guerra. Una guerra inevitabile, mentre quella melodia echeggiante nella mia testa, tambureggiava toni di belligeranza più sconfinata, sobillandomi alla dipartita di ogni inibizione. Convincendomi, sempre di più, che del fato maledetto non avremmo potuto farci tutti cavalieri.

Che soltanto u n o sarebbe sopravvissuto ad esso.
Urlai al cielo il pianto del mio cordoglio: dipanavo senza freni l’odio della mano,
senza conoscerne la convinzione della volontà.
Mi dannavo, ma non potevo fare altro.



Non è il male che si copre di gloria.


L’insolenza dell’innocenza ti ucciderà.



La vittoria non si coprirà di sangue.



Nella sorpresa che si cela la superiorità.



Sogno il giusto Re ed i suoi principi.



Correggi la tua rotta, anticipa le mosse.



Ma non mi hanno attaccato, loro.
imageMa è l’unico che porta ad essa.


La cieca acredine mi salverà, invece?



Si coprirà del tuo, altrimenti.



Che della viltà debba farmi una ragione?



La pace si ottiene solo con la guerra.



Mi strugge dover belliggerar contro ignoti.



Sfrutta la mancanza e attacca per primo.

N
ell’attimo che ne seguì i miei occhi si colmarono del rosso odio del sangue: una rabbia malsana e roboante, tanto potente da risultar fittizia anche all’evidenza più disattenta. Rabbia che si distribuiva equamente tra l’incosciente rancore per una volontà che era mutata artificiosamente, ed il cordoglio irritato per un gesto tanto avventato, quanto incosciente. Tremai, straziato, mentre mi avventavo ad ampie falcate contro l’uomo dai lunghi capelli neri che si ergeva imperante – ai miei occhi – tra tutti gli stranieri. Tesi il braccio sinistro, scrutando le lame imbevute di velenifera energia e volteggiandole in direzione dell’uomo, mirando con un affondo diretto al busto, nello stomaco, per poi ritrarre ancora il braccio e tentar di lambirne lo sterno con altri due vorticosi fendenti.

image

<< Che della mia mano sia fatta grazia, per questo gesto... >>

Sibilai tra i denti l’urlo tiepido del cordoglio.
Cosciente soltanto del tempo prezioso che spendevo in sangue...

...e ripagandomi unicamente con altri dubbi.

Di chi era quell’altra melodia?
Chi intonava un canto simultaneo a quello di Eitinel ?
Quale destino avrebbe corrotto il nostro cammino?



SPOILER (click to view)
ReC:
300
AeV:
275
PeRf:
225
PeRm:
350
CaeM:
225
Immenso:
36%
Alto:
18%
Medio:
9%
Basso:
5%



image

Del Fisico: Cicatrici sparse sulle braccia, 3 tagli sul braccio sinistro (Basso, 93,75%).
Del Psichico: Alterato, Confuso (illeso).
Dell'Energia: 100% - 5% 2% - 5% = 93%

Delle Attive:

CITAZIONE
Dita. Passano goffe sulla pelle, perché non sai come fare, perché sei imbarazzato, perché pensi che non dovresti. Ti soffermi appena il tempo necessario e poi fuggi, dando l’impressione più di uno schiaffo che di un gesto d’affetto. E lasci amaro sulla lingua della persona a cui hai destinato questa sgradita attenzione. Ma non te ne pentirai mai, non è vero?
E così anche i tuoi artigli, che normalmente fendono la pelle come lame, potranno ricoprirsi di un liquido simile a veleno per un turno con un dispendio pari a Basso. Il veleno colpirà la pelle del nemico, rendendola cancerosa e fumante. E lui proverà dolore, lo stesso dolore di chi viene rifiutato dalla rude carezza del fantasma, dell’uomo che non sa amare.

Delle Passive:

La Solitudine... (razziale): difesa psionica passiva
L'Illusione mi scorre nelle vene (dominio I): illusioni castate senza vincoli fisici né concentrazione;
L'Illusione è parte di me (dominio II): illusioni scontate del 5%, ma mai sotto l'1%;
L'Illusione non ha ostacoli: (personale) illusioni non riconoscibili con abilità passive;
Il Potere mi ha corrotto (personale di metagame): permette di usare abilità necromante;
Il Fantasma li rende eterni (personale): le evocazioni sono intangibili e immuni ad attacchi fisici;
Anello del Potere: consumi ridotti di 3%, ma mai sotto l'1%, non cumilabile col risparmio delle illusioni;
L'Abiezione... (personale): ammaliamento psionico passivo, induce terrore nei presenti;

Delle Armi:

Washi, la carezza del fantasma: equipaggiata braccio sinistro, artigli estratti;
Frusta: legata alla cintura

Del Riassunto:

Shakan subisce l'influenza del canto, che ascolta mentre è preso dai suoi soliti turbamenti e, contemporaneamente, osserva la torre di velta che si sgretola. Il canto agisce inconsciamente sulla sua psiche, portando a galla la sua solita anima "nera", che ogni tanto emerge, e convincendolo che egli vuole l'asgradel per se stesso e che lo perderà per colpa dei presenti: nell'introspezione malsana che ne deriva, egli non sente più nient'altro. Tra tutti i presenti individua quello che gli da l'impressione di essere il più potente e lo attacca con l'attiva di livello Basso e 2 fendenti base. Il prescelto, come già detto, è Shivian (solo che Shakan non lo conosce proprio).

Delle Note:

Anche questo post è una grossa introsprezione nell'animo di Shakan che, corrotto dal canto di Lia, lentamente si fa convincere dalla sua coscienza più nera e profonda che l'Asgradel lo vuole solo per il potere e che gli altri glielo ruberanno. In quest'ottica si interpretano le scritte di differenti stili e le immagini, spero sia chiaro e che piaccia - nonostante la lunghezza.

edit: correzione del layout e del calcolo sbagliato dell'energia residua.


Edited by janz - 5/5/2011, 00:47
 
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view post Posted on 5/5/2011, 22:32

Esperto
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Isterico e traditore, il cuore le batteva nel petto come un uccellino che cercasse disperatamente, forsennatamente, la via della salvezza oltre le sbarre della paura.
In quell’inferno dominato dall’incertezza, in cui nessuno poteva permettersi di mostrare segni di debolezza né titubanza, Zaide si sentiva disperatamente sola e in trappola: un albatro costretto a dondolare sulle proprie goffe zampe invece di spiccare il volo sopra la vastità dell’oceano, un delfino lasciato morire d’asfissia tra le conchiglie rinsecchite dal sole. In quel luogo mitico e ostile non trovava il senso della sua presenza, non vi apparteneva, non aveva nulla da offrire né da ricevere.
Tutto quel decrepito candore la logorava: i segni della regale possanza della Torre di Velta le incutevano un reverenziale timore che avrebbe preferito non assaporare, perché la rendeva ancora più piccola e meschina al cospetto dell’effluvio sacro che permeava quelle rocce secolari.

Osservò ancora una volta i suoi sedicenti compagni: Shivian aveva un aspetto così fieramente risoluto, come se conoscesse perfettamente ciò a cui stavano andando incontro; i suoi lineamenti decisi e spigolosi gli donavano un’aria aristocratica, quasi ieratica. Zaide aveva deciso di fidarsi di lui del tutto arbitrariamente, forse assecondando un istinto imperscrutabile, forse ammettendo a se stessa di non avere altra alternativa che seguire quel guerriero misterioso in quella che, ora lo sapeva, era una missione suicida.
Hocrag distava pochi metri da loro, indefinibile e ermetico dietro l’espressione quasi rapita con cui sembrava letteralmente assorbire ogni sillaba del canto di Eitinel, apparentemente ignaro del mondo circostante. Non aveva dato mostra di particolare interesse al sopraggiungere dei suoi compagni, né del resto Shivian aveva impugnato le redini del comando come Zaide si sarebbe aspettata: sembravano tre perfetti sconosciuti, impenetrabili e vigili nel proprio solitario mutismo.
La fanciulla si passò una mano tra i capelli quasi perfettamente asciutti, cercando di mascherare il proprio disagio; a quanto pareva, ognuno avrebbe dovuto proseguire il cammino con la sola forza del proprio sangue freddo, o della volontà, o di qualunque cosa si fosse rivelata necessaria.

Zaide si accostò alla lucente superficie liscia della grandiosa scalinata bianca, appoggiandovi il palmo aperto: con vaga sorpresa avvertì sotto le dita un tepore piacevole, quasi vivo, al contrario di quanto si sarebbe aspettata da quella splendida costruzione eburnea, tuttavia allo stesso tempo le parve di cogliere un fremito profondo provenire dalle profondità della terra che si ripercosse sulla liscia madreperla, facendola vibrare in modo sempre più intenso.

Ma qualcos’altro doveva accadere.


Perché ad un tratto non fu più sola la voce pura e melanconica della Dama: una seconda melodia parve scendere dal cielo intrecciandosi in un insidioso contrappunto che a tratti innescava forti dissonanze tra le due voci. Zaide iniziò a sentirsi stordita, confusa: ascoltava il canto ammaliante, rapita da quella glaciale e doppia purezza, ma avvertiva la nota stridente di qualcosa che non riusciva a definire, come una frequenza mal sintonizzata che distorceva il significato ultimo del messaggio.

Giocate.
Giocate con Lia.



Chi era Lia?

La mia Lia…
Lia è così brava, sapete.



Lia…

Lia.
La mia piccola creatura canterina.
Ascoltate.
Sentite la sua voce...



Zaide si appoggiò con tutto il corpo alla balaustra intatta della scalinata, ma una scossa più forte delle altre la fece vibrare così violentemente che per un istante l'intera Torre di Velta sembrò ondeggiare su se stessa. Calcinacci e frammenti di roccia alabastrina precipitarono sul terreno attorno a loro: non era più sicuro stare lì.
Eppure Zaide non desiderava staccarsi da quel pericolante basamento candido che minacciava di collassare da un momento all’altro: qualcosa la incatenava sul posto, costringendola a rimanere, ad ascoltare, ad obbedire.

Non sapeva chi fosse la donna a cui apparteneva la voce pragmatica e fredda che aveva nominato la misteriosa Lia, né le interessava saperlo: probabilmente le sarebbe bastato voltare di poco il viso verso l'ampio ingresso della Torre per scorgerla, ma Zaide non si mosse dai gradini marmorei, sconcertata e ipnotizzata dalla duplice malia di quel canto stregato.
Una pressante sensazione di pericolo ignoto le attanagliava la bocca dello stomaco, rendendola tesa e all’erta più di quanto già non fosse, e fu allora che li vide.
Non aveva degnato di uno sguardo i tre sconosciuti risucchiati dal Gorgo insieme a lei, Shivian e Hocrag fino a quel momento, ma ora che tutti e sei erano così prossimi all’imboccatura della Torre, Zaide poté squadrarli con più attenzione. Scacciò come una zanzara molesta la constatazione che tutti e tre avevano un aspetto estremamente valente e minaccioso, certo più prestanti ed equipaggiati di lei, che indossava solo la sua inseparabile cintola di cuoio sopra una veste leggera.
Il suo sguardo si posò sull’unica donna del gruppo, una creatura dal volto angelico incorniciato da una cascata di capelli rilucenti di bagliori argentei e dallo sguardo ardente di chi ha combattuto innumerevoli battaglie, il giovane corpo protetto da una robusta per quanto ammaccata armatura di fattura esperta. Per un istante, Zaide posò gli occhi sul compagno accanto a lei, un nerboruto guerriero dall’aspetto minacciosamente bellicoso, ma senza curarsene: in genere non temeva chi ostentava tanta possanza fisica.

Nell’aria si scioglieva ininterrotto il canto sinuoso dei due angeli, mentre frammenti di roccia sempre più grossi presero a cadere sui gradini marmorei sollevando polvere e schegge; il sordo boato del lento ma inesorabile sgretolarsi della Torre non copriva tuttavia la voce fredda della donna misteriosa.

E' tanto bella, la mia bambina…
La mia Lia…
Ha solo un piccolo difetto.
E' terribilmente impacciata.
O Sbadata, a seconda dei casi.

Nonostante io abbia tentato in tutti i modi di correggerla, tende a rompere tutto ciò che le capiti fra le mani.

Tutto.

Soprattutto i suoi giochi.



I suoi giochi.
Giochi.

Gocce di sudore freddo imperlarono la fronte di Zaide mentre il suo sguardo si posava sull’ultimo membro dei sopravvissuti; non capì se il brivido profondo che le corse lungo la schiena fosse dovuto alle parole della donna, che le si stavano conficcando nell’anima, o all’aspetto dell’uomo i cui occhi di ghiaccio parevano perforare lo spazio circostante.

Ma son certa che il Vostro Asgradel non si romperà così facilmente.

Certo che no.

E' un essere sovrannaturale, lui.
Non come voi che, mere pedine nelle sue mani, vi illudete di guadagnare anche solo un briciolo della sua onnipotenza semplicemente standogli accanto come gazze ladre.



Zaide non poteva distogliere lo sguardo da quell’essere spettrale, evanescente eppure così orribilmente reale, conscia dell’irrazionale morsa di terrore che le mozzava il respiro; la sua mente sembrava preda di un nevrotico tormento interiore, invasa com’era da un eccesso di informazioni: il canto, l’attrazione nei confronti della Torre, la voce lucidamente ipnotica della donna, Lia, l’Asgradel, le pedine dell’Asgradel, il crollo, Shivian, i tre sconosciuti…Amici o nemici? Qual era la loro missione? E quella di Zaide?

La ragazza si premette i pugni chiusi sulle tempie, resistendo strenuamente all’impulso di gridare per chiedere pace: si sentiva immersa in una Babele incomprensibile di voci e idiomi sconosciuti che gridavano per ottenere la sua attenzione.

Promessa e vendetta.

Tentazione e costrizione.


Sarebbero stati chiamati a scegliere, questo era certo. Ma probabilmente l’unica strada percorribile era quella di una morte certa, come la donna stava soavemente sottolineando.
Ma Zaide non sarebbe rimasta inerte, non si sarebbe lasciata morire cedendo un brandello di anima alla volta come aveva rischiato di fare quello che ora le pareva un secolo prima. Avrebbe lottato.
Sbranato.

I suoi occhi guizzarono nuovamente sui suoi compagni e sui tre avversari o alleati sconosciuti: anche loro erano in preda all’angoscioso trauma che urlava nel cuore di Zaide? Un movimento sospetto catturò immediatamente la sua attenzione, facendole puntare lo sguardo con riluttanza estrema sull’uomo dai tratti spettrali che le ghiacciava il sangue nelle vene. Le parve di scorgere un tremito nella sua immobilità, un fremente e rabbioso anelito di sangue che si tradusse un istante dopo in un rapido e micidiale assalto ad artigli sfoderati, un guizzo di lame che sferzò l’aria tesa in direzione dell’unico uomo che Zaide potesse considerare, se non amico, alleato.

Accadde tutto in una manciata di secondi, ma gli occhi attenti di Zaide seguirono la scena come al rallentatore: con terrore folle si accorse che Shivian non solo non sembrava intenzionato a parare l’assalto brutale dell’avversario, offrendo la candida pelle come bersaglio perfetto, ma osservava la scena con sardonico distacco, come se fosse un semplice spettatore e non la vittima designata dell’assalto. Incredula, le parve addirittura di cogliere un barlume di boriosa sfida in quegli enigmatici occhi scuri.
Zaide non rifletté nemmeno un istante. Dalle sue mani tese sgorgò una cascata argentea e vorticante che sfrecciò nella breve distanza che la separava da Shivian e si posò sul suo petto indifeso come uno scudo traslucido: le lame artigliarono la dura consistenza madreperlacea rintoccando come campane spettrali, mentre le sagome indefinibili degli spiriti richiamati da Zaide vorticavano cangianti illuminando il volto pallido e imperturbabile del ninja.
Aveva agito istintivamente, ma altrettanto istintivamente si pentì di quello slancio che avrebbe potuto essere interpretato come un’interferenza da parte di Shivian: ma ormai ciò che era fatto era fatto, e Zaide tornò a fissare quell’uomo dagli occhi vuoti. Le faceva paura, era inutile negarlo, ma la ragazza fu più rapida del suo terrore e gli scagliò contro due pugnali mirando alla gola dell’uomo fantasma, consapevole della futilità di quel gesto ma costretta dal precipitare degli eventi a non rimanere inerte ad aspettare.

Vi avverto, dunque. Lia è terribilmente incauta con i suoi giochini...



Il mondo girava come una trottola impazzita agli occhi di Zaide, nauseata dal turbinio di colori, suoni e pensieri che si ammassavano nella sua mente provata.

Giochi.
Ancora.
Il crollo.
Lia.Eitinel.
Pedina.
Pedina.
La mia bambina. La mia bambina. Lia.
Vi romperete.
Vi romperete.Giochi.
Illusi.
Illusi
Vi romperete.



Zaide urlò, gli occhi strizzati nell’infantile tentativo di chiudere fuori il mondo, di spegnere quel caos infernale, di annientare l’incomprensione che la soffocava.

Poi fu solo silenzio.

Un’immobilità innaturale sembrò calare pesante sul mondo, un velo di mutismo pareva aver avvolto ogni suono, ogni alito di vita. La giovane riaprì gli occhi, spaventata.
Attorno a lei, impietrite come statue di cera, stavano le figure dei suoi due compagni e i tre nemici, congelati in pose innaturali: i lunghi capelli di Shivian non ondeggiavano nel vento che aveva cessato di soffiare, a mezz’aria galleggiavano le lame scagliate solo un istante prima da lei stessa, e il collasso della Torre si era arrestato su se stesso. Un grosso cornicione staccatosi dalla cima dell’edificio incombeva pericolosamente a pochi metri dal terreno, nuvole di polvere cristallizzate tingevano di fosca opacità il candore un tempo abbagliante di Velta, e il silenzio regnava assoluto e devastante.

Non era sua intenzione arrestare il flusso del Tempo. Lo stato di profondo turbamento in cui era precipitata doveva aver innescato un istintivo meccanismo difensivo, e ora non poteva permettersi di sprecare quella manciata di preziosi secondi che aveva insperatamente guadagnato: si fece strada scavalcando le bianche pietre che nel crollo stavano iniziando ad accumularsi alle macerie e salì i gradini che le rimanevano a rotta di collo. Finalmente le porte della Torre di Velta si ergevano maestose di fronte a lei. Immense. E impenetrabili.

Zaide si buttò con tutto il suo peso contro il battente sbarrato, e in quell’istante una tremenda scossa di terremoto fece tremare le porte che iniziarono a creparsi e sgretolarsi, gettando polvere e calcinacci sui capelli rossi della giovane: il tempo aveva ripreso a scorrere, ma Zaide non volle voltarsi indietro a guardare cosa accadeva sul campo di battaglia.
Spinse con tutte le sue forze, sperando di riuscire a forzare l’ingresso di quella Torre d’Avorio, senza sapere perché ritenesse di doverlo fare né che cosa l’avrebbe aspettata oltre quelle mura leggendarie.
Sapeva solo che non aveva altra scelta.

“Perché io mi romperò, questo è certo. E quando questo accadrà né Eitinel né il suo sommo possessore avranno alcuna possibilità di rimettere insieme i miei pezzi.”

Giocate.
Giocate con Lia.




image





Zaide

Rec [ 250 ] AeV [ 225 ] PeRf [ 125 ] PeRm [ 450 ] CaeM [ 225 ]

[c. 33%; a. 15%; m. 6%; b. 2%]



In questo post cerco di descrivere l'angosciato senso di inadeguatezza che attanaglia Zaide, dapprima nei confronti del luogo leggendario in cui si trova e di quella che intuisce essere Eitinel, e poi nei confronti dei membri della squadra avversaria. Subisce contemporaneamente la malia del canto duplice di Eitinel e Lia, percependo le parole della Dottoressa (pur senza notarla concretamente), a cui si sovrappone l'influenza psicologica dovuta alla passiva di timore di Shakan.
Coglie l'attacco di Shakan rivolto a Shivian e decide di intercettarlo notando l'apparente apatia del suo compagno, evocando un vortice di spiriti [Basso] che si para come uno scudo davanti al petto di Shivian, dopodichè, irrazionalmente, scaglia due pugnali mirando alla gola di Shakan.
La sua confusione mentale la porta a cercare di fuggire dalla situazione che lei stessa ha creato, così blocca involontariamente il flusso temporale e raggiunge l'ingresso della Torre.

Note: per ogni mio post (sempre che non muoia ora) utilizzo un titolo/incipit e una coda in una lingua differente, specchio della confusione mentale (la "Babele" citata nel testo) di Zaide, frastornata da eventi che non capisce. Nello specifico, il titolo significa "Promessa" e il frammento in tedesco riportato in questo post è tratto dalla lirica "Il re degli elfi" di Goethe, e la traduzione approssimativamente è questa:

"Caro bambino, vieni, vieni da me.
Faremo tanti bei giochi insieme,
sulla spiaggia vedrai quanti fiori variopinti,
e mia madre ha una veste tutta d'oro"


Naturalmente è il re, ingannatore, che parla, il frammento riportato in coda invece è dal punto di vista del bambino:

"Padre mio, papà,
ma tu non riesci a sentire
le promesse lievi
che mi sussurra il re degli elfi?"


Mi pare una poesia particolarmente adatta alla situazione!

La musica invece, che per questo turno il team Götterdämmerung utilizza in comune, è "Words of the Angels" di Ivan Moody, e rappresenta l'intreccio delle voci di Lia e Eitinel.


Energia:
95%-2-6 = 87%

Stato fisico:
Illesa

Stato psicologico:
Sotto l'influenza psionica del canto di Lia (Alto) e soggiogata dal timore nei confronti di Shakan (influenza passiva); scossa ed estremamente confusa, fa fatica a discernere la propria volontà da quella imposta.

Attive:
Arabesques [UNO] - Basso 2%
La Serenade Interrompue - Medio 6%

Passive in uso:
Risparmio energetico [-3% ai consumi]

Equipaggiamento:
Athame del Corvo con Trappola Annullante incastonata
Athame delle Anime
Set di 20 18 pugnali
Linfa vegetale

CITAZIONE
ARABESQUES [UNO] - Zaide è in grado di evocare un vortice di spiriti in virtù del suo legame con il mondo ultraterreno, il cui Passaggio è normalmente a senso unico: il mortale che lo attraversa segna con tale passo il suo ultimo contatto con la Vita terrena. Zaide ha ottenuto da Morrigan, a cui è legata da un destino profondo, la capacità di attraversare il Passaggio per condurre con sé gli spiriti nel mondo terreno, che ella potrà plasmare a suo piacimento in caso di combattimento. Tale emanazione, che potrà originarsi esclusivamente a partire dalla sua persona, apparirà normalmente come una massa priva di una forma chiaramente definita di sostanza bianco grigiastra in cui però rimarrà possibile scorgere i lineamenti di una moltitudine di creature. Zaide può modificare la sostanza come desidera utilizzando quindi questo potere sia in attacco che in difesa. La potenza di questi attacchi viene considerata pari al consumo di energie speso per evocarli.
[Abilità di manipolazione del Non-Elemento difensiva - Consumo Variabile]

CITAZIONE
LA SERENADE INTERROMPUE - Zaide è in grado di fermare il tempo per una decina di secondi. Mentre il tempo sarà fermo, però, non potrà né utilizzare tecniche, né attaccare il proprio avversario, ma muoversi, nascondersi, o identificare un nemico troppo veloce. Il tempo verrà fermato in un post, e deve tornare a "muoversi" al termine dello stesso. Utilizzata per difendersi va considerata una difesa assoluta.
[Pergamena verde Stop - Consumo Medio]



 
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Foxy's dream
view post Posted on 5/5/2011, 22:50






Le parole della nera paladina s’insediarono fameliche nella mente di colui che era divenuto il proprio interlocutore, scatenando nella sua mente una sorta di ammirazione, di compiacimento verso sé medesimo, spingendolo ad esaltare i propri propositi enfatizzandoli a virtù probe e irreprensibili, pregi e valori perduti, sentimenti ripudiati e disconosciuti dalle genti.
Asseriva d’esser lì per il proprio Re, di non aver perso memoria del suo regno e del suo popolo, sottolineando ed esaltando l’archetipo di sovrano giusto e dignitoso che aveva intenzione di erigere sulla propria immagine di difensore. Silenzio, no! Ancora parole, vocaboli che si persero nel vuoto, nel placido silenzio di un’occasione carica d’angoscia e tensione, dove ogni barlume di speranza era stato spazzato via dal timore dell’incertezza, dall’assoluta incapacità di prevedere quel che sarebbe stato di loro, di quel che sarebbe stato degli sconfitti.
Allo stesso tempo le sue iridi ambrate guizzavano indagatrici da un dettaglio all’altro, balzando inermi dal terreno al viso di Shakan, scivolando sui suoi tratti rudi e mascolini in ascolto ancora dei suoi soliloqui da mastro circense, per infine ricadere sulla dama che aveva deciso di seguire a costo della sua stessa vita: Eitinel.
In qualche modo le aveva donato un’occasione, l’opportunità di sollevarsi a protagonista dell’ennesimo conflitto, meno sanguinoso e bruto di quello vissuto nel passato più lontano delle sue reminiscenze, ma così grande e magnificente dal poter evolversi in una vera e propria catastrofe.
Agghiacciante.



« Ma- »


Proruppe sommessamente riprendendo coscienza di sé. Un brivido le corse lungo la schiena increspando la maiolica finissima di cui pareva lavorata la sua pelle, lattea e candida come la porcellana del migliore artigiano.
Inspirò. Espirò.
Il lento articolarsi del presagio si arcuò nell’udire un controcanto al vocalizzo di madama Eitinel sul parapetto della Velta splendente, in lotta col mondo e con il mondo, vittima e carnefice, predatrice per non essere a sua volta predata. Ma il digrignare di zanne, lo sfregare di artigli, la caccia al potere per assurgere a un qualcosa di superiore alle divinità stesse fino a progredire a forza della natura, un qualcosa di ovvio e scontato eppure inevitabile e implacabile come lo spirare del vento o l’infrangersi delle onde. Un conflitto fra dei o presunte tali, ma che preservavano comportamenti ancora troppo umani, lascito di trascorsi ed esperienze difficili da dimenticare.
D’un tratto però il duetto si fece più insistente, la femminea voce dell’Asgradel venne lentamente ottenebrata dal canto niveo e puerile di una fanciulla, che in un maestoso crescendo si acuiva fino a instillarsi fra note e modulazioni, fra cadenze e inflessioni fino a deturpare la melodia della prima in virtù d’una cantilena macilenta e inascoltabile.
Sudava.
Un rivolo di sudore le colò lungo il viso lambendola come una ruvida carezza. Cosa stava accadendo? Di chi o cosa era quella voce? Ansia, apprensione, preoccupazione. Un indicibile numero di sensazioni si accavallavano le une alle altre, in un mescersi continuo, in un incresparsi di mille flutti.
Digrignò i denti cercando di resistere allo scempio che stava avendo luogo nella propria mente, mentre la torre sussultava quasi reagendo anch’essa all’aberrante duetto. Guglie e cuspidi presero a frantumarsi sotto i violenti scossoni di quel sottile conflitto, le sinuose forme e gli intricati motivi barocchi precipitarono in calcinacci informi delle dimensioni più disparate mentre le titaniche porte che ne occludevano l’entrata venivano schiuse invitando i sei sopravvissuti ad entrare in quella trappola per topi.
Due piccoli passi indietro. Paura, timore.
Solo in quel momento, nel fragore di quello sfacelo, nell’irrompere di quel frastuono, si avvide della comparsa di una donna vestita di un lungo camice bianco da medico, dei lunghi capelli biondi a incorniciarne il viso sul cui naso puntuto poggiava un paio di occhiali. E parlava a loro, parole talvolta abbuiate dal precipitare di qualche architrave che nell’echeggiante impatto verso il suolo adombrava le sue locuzioni aguzze e pungenti come lame. Ma fu difficile per lei non ascoltare l’ultima velata minaccia, fu difficile per lei non dare addito al suo inappagante sproloquiare.

" Già ora, ora che come idioti vi beate dell'illusione che la Dama sia ancora con voi a vegliarvi e a svezzarvi con il suo latte agrodolce. Già ora che a tratti la ninna nanna della vostra cara madrina si interrompe a tratti, rotta, ella non può nulla contro Lia e le sue voglie. Anche se il suo silenzio volesse dire morte ai suoi più fidati condottieri, misera carneficina dei suoi adorati bambini. Nell'ammutolire del suo sommo canto, io ora vi ordino, inutili pedine in questa guerra fra titani,
Giocate.
Giocate con Lia.
"

...

Lia.


Un nome semplice, un nome come tanti. Ma di chi diavolo stava parlando? Cosa voleva, cosa pretendeva da quel fosco gioco di poteri? E chi era quella donna che con magniloquente spavalderia si faceva beffa di ben sei guerrieri, i migliori scelti per quell’incombenza?

...


Improvvisamente il corpo parve non risponderle, il braccio destro come un automa spinto per inerzia si mosse in direzione dell’elsa della spada, al fianco sinistro, per afferrare e stringere quello strumento di morte sebbene rivestisse i propositi più nobili del mondo. Giustizia, equità, rettitudine. Ma in quel momento venne destituito di quelle idee per sminuirsi a mero pezzo di metallo, un’arma come un'altra, no! Con quanta forza ebbe in corpo si negò a quell’invito alla violenza, ritraendo il braccio di una ventina di centimetri, tremante, ancora assuefatto da quel bisbiglio.
Con fatica portò la mano al viso affondando le dita nella sua cute madreperlacea, contraendo i muscoli facciali in un vistoso sforzo di concentrazione, pretendendo dalla sua mente ancora un briciolo di lucidità per sottrarsi al velenifero sussurro, a quell’appello alla brutalità.
Tremava, ancora.
Un guizzo, l’esplodere di un battito di ciglio, e vide Shakan scagliarsi con passionale veemenza su uno dei tre anonimi figuri, sull’uomo apparentemente più capace e forte, protraendo i suoi artigli nell’esecuzione di quella che poteva apparire un’aggressione immotivata e fine a sé stessa.

Resistere.
Resistere.
Resistere.

« Shakan, fermo! »


Urlò per quanto i polmoni le concedessero, titubante nello spingersi ad aiutarlo in quella furente offensiva o nel fermarlo mozzando le radici al seme dell’insania germogliato in lui. Ma il suo compito divergeva largamente dalla propria volontà, i suoi desideri si posizionavano diametralmente opposti a quanto il suo dovere le obbligava di fare, sì! Cosa fare però? Gli istanti arrancavano lenti nel loro crudele susseguirsi, doveva prendere una decisione prima che l’ingresso alla torre divenisse impraticabile.



« …
Dannazione! »


Ringhiò fra sé sopprimendo l’umana empatia che l’illusionista una volta le mostrò dinanzi alla cattedrale di Santa Madre Nuova. Ma sapeva che l’avrebbe perdonata, sì! L’avrebbe perdonata in virtù degli utopici obiettivi che animavano i loro corpi, che spingevano le loro menti ad esigere più e ancora più. Dopotutto c’era anche Finnegan con loro, l’imperscrutabile e imprevedibile titano i cui scopi e obiettivi lungevano ancora dalla sua comprensione. L’avrebbe aiutato lui - forse.

« Lascio tutto nelle tue mani, Finnegan. »


Concluse imperativa scattando in un corsa a lunghe falcate in direzione delle porte di Velta, facendo ben attenzione alle macerie e ai calcinacci che con singolare regolarità precipitavano in terra palesando il primo ostacolo a quell’ardua scalata: ce la doveva fare, ad ogni costo.

...

Through pain.
Through sacrifice.

...





SPOILER (click to view)
CITAZIONE


ReC: 250 | AeV: 225 | Perf: 250 | Perm: 325 | CaeM: 225

Critico: 33% | Alto: 15% | Medio: 6% | Basso: 2%



Energie: 100% - 6% - 6% - 5% = 83%
Status psicologico: Provata
Condizioni fisiche: Illesa

______________________ _ _

Abilità attive:

• Little Mind ~
Una tecnica utile contro gli avversari più subdoli. Grazie ad essa, Alexandra, potrà liberarsi da qualsiasi effetto negativo che affligge la propria mente, che si tratti di illusioni, confusioni, maledizioni o semplicemente influenze psicologiche purché di livello Medio o inferiore. Questa tecnica basa la propria potenza sulla ReC. [Pergamena del Paladino: Rivelazione] x2
____________________________ _ _

Abilità passive:

• My Sword ~
La spada in possesso di Alexandra presenta sul piatto della lama un incantamento runico di colore rosso carminio ben visibile all’occhio. La bastarda potrà, in qualsiasi momento, innescare i poteri del dominio, e grazie all'incanto essa risulterà impossibile da distruggere nonostante gli attacchi che le potrebbero venir mossi. [Abilità passiva del Dominio Incantaspade I]
• My Hands ~
Le mitene in possesso di Alexandra presentano nel palmo un incantamento runico del tutto simile a quello della spada bastarda. Quest’arma potrà quindi, in qualsiasi momento, innescare i poteri del Dominio. Grazie all'incanto, inoltre, risulteranno sempre affilatissime e incapaci in alcun modo di perdere le proprie capacità offensive, oltre ad essere indistruttibili. [Abilità passiva del Dominio Incantaspade II]
• My Wish ~
Alexandra punta gran parte delle proprie capacità sulla magia. Avendo così affinato questo potere insito in lei, una volta raggiunto il 10% delle energie non sverrà. Ciò però non significa che non sarà stanca raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%. [Effetto passivo dell'abilità razziale]
• My Volition ~
Il dominio di Alexandra sul proprio corpo le permette di scagliare attacchi magici e fisici senza alcun tempo di concentrazione. Ciò permette un notevole vantaggio tattico e tecnico alla paladina, che racchiude in sè le proprietà di maga e guerriera allo stesso tempo. [Abilità personale passiva]
• My Verity ~
Le parole di una regina sono inviolabili, intoccabili, indiscutibili. Allora come poter mettere a freno la sua lingua, la sua dialettica forbita e pregna dei più valenti significati? Semplicemente impossibile, così come impossibile è arginare il fiume in piena della sua parlantina sciolta e suadente. In termini di GdR quest’abilità conta come un ammaliamento passivo che influirà su tutti coloro i quali ascoltano le parole di Alexandra, che andranno considerate come vere, sincere, sebbene in realtà possano essere l’esatto opposto. [Abilità personale di ammaliamento passivo]
• My Perception ~
Sensazioni. Il mondo si estende al di là di quel che è possibile percepire con tatto, gusto, olfatto, vista e udito, trascendendo la realtà in mille altre sfumature percepibili solo dall'istinto più sviluppato in forme di sensazioni. Una sorta di empatia che la collega alla dimensione delle anime, permettendole di avvertire le aure di amici e nemici nelle vicinanze come una sorta di sesto senso. [Bracciale dell'Auspex]

_______________________________________________________ _ _

Note:

Fatto! :8D:
Anyway: il post si articola abbastanza semplicemente sebbene la lunghezza, ma gli elementi da descrivere e i personaggi così singolari mi hanno ispirata particolarmente. Il tutto cominia dalla risposta di Shakan all'ultima domanda di Alexandra presente nel mio post precedente, ma lei vi bada poco (come alcuni sapranno lei non ha molta pazienza) e dopo aver compreso che quella promessa era ancora valida inizia ad indagare con lo sguardo fino a che avverte qualcosa con la prima esclamazione. Da qui in poi parte una specie di conflitto interiore, e tra coscienza e incoscienza ricorda le parole di Ray nella giocata "Underdark" fino a trarne conclusioni tutte sue.
Velta trema, e così comincia il delirio della psionica in atto, Alexandra casta Rivelazione del paladino (difesa psionica di livello Medio) una prima volta sottraendosi in parte al suo effetto, e dopo un altro po' di subbugli introspettivi, quando ordina a Shakan di fermarsi, casta per una seconda volta Rivelazione, annullando del tutto l'effetto.
Infine, analizzando tutte le scelte disponibili, opta per il dovere anziché un puro e semplice appagamento personale o l'aiuto al proprio compagno, ed ecco che lascia tutto nelle mani di Finnegan per poi addentrarsi nella torre di Velta.

 
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view post Posted on 5/5/2011, 23:27
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C a t a r s i

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原因 電源


Ben poca cosa appariva ora l’incessante turbine che rivoltava le acque del Gorgo in confronto alla cascata d’informazioni che la nuova, misteriosa voce femminile stava riversando sui sei contendenti ai piedi della Torre di Velta; una voce sprezzante che però mal s’intonava col contrastante canto delle due entità relegate sulla sua sommità.
La melodia onirica che aveva inondato l’animo del mezzo demone fin dalle prime battute del suo precedente combattimento e che lo aveva persuaso ad una reale fiducia nelle possibilità dell’Asgradel si era ora mutata in un contrappunto fitto di dissonanze: non più inequivocabile espressione di una suprema forza creatrice ma semplice e palese messaggio di distruzione totale e assoluta.

Come già era successo allora anche questa volta Shivian non riuscì, o evidentemente non volle, arrestare il continuo flusso di emozioni che prepotentemente si faceva strada all’interno della sua coscienza: quasi sperasse di trovare in essa una risposta ai dubbi e agli interrogativi che lo avevano assalito dopo lo scontro con quel commediante troppo fragile e indegno per ambire a rappresentare un essere fino a quel momento considerato leggendario. Perso per un attimo in quella nuova melodia in attesa di risposte che non sarebbero mai giunte sembrò dimenticarsi del mondo che lo circondava. Avrebbe dovuto forse cercare un contatto, interagire sul serio con i propri alleati, ai quali non aveva riservato che scarne frasi di circostanza e sguardi distaccati; ma una volta ripresosi da questa nuova delusione non era già più il momento di dedicarsi a loro.
Shivian rivolse la propria attenzione alle altre tre figure rimaste ai piedi della Torre di Velta, tutte come lui e i suoi alleati novelli Generali delle armate dell’Asgradel, forse condannati nuovamente ad essere eterni pedoni in una scacchiera i cui pezzi sembravano venire svelati solo progressivamente.

Tutto si ripeteva in un ciclo di cui si stentava a vedere la fine.
A differenza di quanto successo in precedenza ora però Shivian era stanco di subire passivamente questi continui diversivi: aveva già partecipato al LORO gioco malsano, seguito le loro sporche regole e ucciso chiunque non si fosse mostrato degno di proseguire oltre quel cammino progettato da un dio senza scrupoli.
Dopo che, senza alcuna traccia d’indecisione o rimorso, già si era esposto in prima persona, arrivando al punto di macchiarsi le mani del sangue di colui che molti non avrebbero esitato a definire suo compagno, questa volta avrebbe seguito le proprie regole senza più sottostare ad alcun gioco!
Gli istanti passati in solitudine nel ventre di Lu Dongbin dopo la morte dell’attore avevano nuovamente forgiato le sue convinzioni tanto da non fargli battere ciglio di fronte alla rapida offensiva portata da un Generale suo pari. Avrebbe dimostrato a lui, ad Eitinel, all’Asgradel e alla stessa Lia come Shivian sapesse evolversi da pedina a Titano.


image


Accolse il rapido incedere del suo avversario con una freddezza che avrebbe sconcertato chiunque osservasse la scena dall’esterno: ad ogni suo passo immerse sempre più in profondità lo sguardo in quelle pupille spente che avrebbero scatenato brividi di terrore anche nel più navigato dei guerrieri.
Né temette in alcun modo il momento cruciale dell’impatto con gli artigli affilati dell’altro, certo di poter godere del prevedibile istinto protettivo della propria compagna che, reclutata in un momento di estrema fragilità interiore, ancora non sarebbe riuscita a comprendere l’oscurità dell’abisso in cui lentamente Shivian la stava facendo sprofondare.
In quei lunghi secondi lo sguardo misto d’odio e soddisfazione che rivolse all’ avversario, ora scoperto dopo la sua fallimentare offensiva, preannunciava una tetra, feroce prosecuzione: affidandosi unicamente alle proprie percezioni extrasensoriali, senza nemmeno aspettare il sibilo dei pugnali lanciati da Zaide serrò rapido la mano destra a pugno, avvolgendo l’incauto avversario nella propria aura e avvicinandolo violentemente a sé e ai pugnali che, inesorabilmente mortali, gli sfrecciavano incontro.

Sospinto tra le note contraddittorie delle voci che ancora permeavano l’aria, Shivian non infierì oltre sull’avversario ma si spostò immediatamente in avanti così da non interferire con la traiettoria dei pugnali.
I suoi obbiettivi ora non erano più in quel luogo.
Nessuno degli altri due Generali rimasti meritava una briciola della sua stima o fiducia: presto o tardi tutti si sarebbero mossi per contrastarlo ed impedirne l’ascesa fino alla sommità della torre di Velta. Accorgendosi a malapena dell’improvvisa scomparsa della stessa Zaide, Shivian con rapide falcate si spostò verso l’imponente guerriero che, assieme alla ragazza in armatura appena dileguatasi, era il più vicino al vacillante portone d’ingresso. Con la stessa rapidità fece scivolare la mano destra verso l’impugnatura della spada sopra la spalla sinistra completando il movimento d’estrazione con un fendente dal basso verso l’alto con l’intento di colpire in diagonale il busto del suo nuovo bersaglio: ma non era solo il semplice, banale attacco di una misera pedina che il guerriero avrebbe dovuto temere!
Nello stesso istante in cui la lama venne liberata dal suo fodero, il busto di un’immensa sagoma umanoide costituita da una fioca luce azzurrina apparve, ancora parzialmente evanescente, tutt’attorno a Shivian.
Il Titano era ora nuovamente libero d’agire: con un violento colpo dell’avambraccio destro il gigante di luce cercò di scaraventare lontano dalla porta il secondo generale mentre con la sinistra sembrava voler proteggere Shivian da ulteriori crolli della struttura così da permettergli di avanzare all’interno della torre.







Shivian °}

[ReC:225] • [AeV:250] • [PeRf:175] • [PeRm:525] • [CaeM:250]


± Energia__ 89%
± Status Fisico__ Illeso.
± Abilità Passive Vista aumentata, auspex passivo, consumi ridotti del 3%, 3 slot tecnica a disposizione, resistenza passiva alle influenze psioniche, immortale.

SPOILER (click to view)
Colui che osserva ogni cosa
Sono passati molti anni da quando Shivian ha iniziato il suo cammino all’interno del clan Goryo e da quel momento il suo stesso fisico sembra essere entrato in uno stato di profonda comunione con le energie magiche del mondo. In termini numerici questo comporta un aumento di 100 punti della PeRm e un abbassamento di 25 punti della PeRf. Il suo potere ne risulterà talmente aumentato che potrà acquistare le pergamene solitamente riservate a coloro in possesso dell'energia Blu. Oltre a questo i suoi studi lo hanno portato a meglio comprendere anche i meccanismi base che regolano la magia. Permettendogli di acquistare pergamene del Mago altrimenti proibitegli. [Abilità Passive I &II Livello di Metamagia]
Infuso a tal punto di potere Shivian è in grado di azioni ben sopra i limiti comuni: una gestione ottimale delle proprie energie gli consente di risparmiare sempre il 3% e, al presso di rinunciare a qualsiasi movimento potrà sfruttare anche tre slot tecnica al posto dei classici due. [Anello del Potere e Double]
Imparare a sfruttare la propria energia interiore per sfidare le leggi fisiche è stata una delle prime lezione apprese. Concentrando la propria energia nei piedi è in grado di camminare su una superficie verticale come se fosse orizzontale e di rimanere in piedi anche sui soffitti. Quando invece l'attenzione viene osta sulle mani potrà renderle adesive. Appresa rapidamente questa prima lezione l'ulteriore passo è stato il totale controllo sulle forze gravitazionali che ora gli permettono di camminare tranquillamente a mezz'aria, correre e saltare, purché sulla stessa altezza. Potrà salire sempre di più saltando e saltando, poiché sarà lui a decidere l'altezza a cui poggiarsi. Potrà quindi anche ridiscendere a terra, semplicemente desiderandolo. Questa tecnica non richiede particolari tempi di concentrazione o di movimenti per l'attuazione, e può essere attuata con grande rapidità e quasi senza doverci neanche veramente pensarci. [Pergamena Favore dei muri e Appoggio]
Talmente ampi sono state gli adattamenti che ha dovuto imporsi per accedere pienamente al mondo divino che non gli era più sufficente godere di una capacità visiva tale da non essere più influenzato da fortissime luci, tenebre assolute, non illusorie, e fumi o nebbie di qualsiasi tipo [Amuleto della visione] ma dovette imparare a scrutare il mondo allo stesso modo degli dei, affidandosi semplicemente alla differente colorazione e interazione delle auree che lo circondavano. Una volta raggiunto un simile stato nulla gli poteva più essere nascosto. [Bracciale dell'auspex]
Di tutte le razze, i mezzi demoni sono senz'altro quelli più denigrati, allontanati e scacciati di tutti. Proprio per questo, quindi, hanno dovuto imparare a cavarsela da soli e non farsi mettere i piedi in testa da nessuno. A forza di crescere in questo modo, i mezzi demoni si sono abituati a gente che tenta di intimorirli, minacciarli o irretirli e hanno sviluppato quella che potrebbe definirsi una particolare "Abilità razziale". Sono infatti parzialmente immuni alle influenze psicologiche. Non a tutte, si intende, altrimenti risulterebbero atoni e privi d'emozioni, ma senz'altro, a differenza di tutte le altre razze, si lasciano intimorire meno facilmente e persuadere con notevole difficoltà.
Il timore provocato dalla vista di demoni o angeli, ad esempio, non avrà su di loro effetto.
Sensazioni profonde come forti paure, o tanto grandi, però, avranno comunque effetto. Quest'abilità è una normale difesa psionica di livello passivo. [Abilità razziale Mezzodemone]


± Abilità Attive

  • Pergamena Attrazione Violenta [consumo Medio]

SPOILER (click to view)
Colui che distruggerà il mondo
Un'evoluzione dell'attrazione. Il mago, allungando il palmo verso un qualsiasi oggetto o persona, è in grado di esercitare una forza su di esso per attirarlo verso di se. La forza è tanto grande da sradicare un piccolo albero, quindi è praticamente impossibile opporsi ad essa. Nonostante ciò, è possibile erigere barriere di qualsiasi tipo nei pochi attimi prima che la tecnica abbia effettivamente effetto; quando la forza inizia ad agire, lentamente, sul proprio corpo.
Non sono necessari particolari tempi di concentrazione, e l'attacco risulta essere piuttosto utile e versatile.


  • Pergamena Idra Einherjar - Gigante di Luce [consumo Immenso Incastonata nella spada]

SPOILER (click to view)
Spendendo un enorme consumo di energie, il guerriero sarà in grado di evocare un gigantesco serpente ad otto teste ed otto code, dal colore violaceo. Le dimensioni di quest'essere saranno immense, pari se non superiori a quelle di un drago adulto.
Questo si scaglierà contro l'avversario, pericolosissima, per distruggerlo. Nonostante possa sembrare una banale tecnica evocativa, il serpente andrà considerato una vera e propria tecnica. Svanirà infatti una volta provocato un danno critico all'avversario, o se contrastato.
La sua potenza è però incredibile, tale che potrebbe sradicare un'intera foresta solo con un gesto delle sue code. Non una creatura facilmente affrontabile, seppur solo per un turno.


± Note
Dopo un iniziale momento di riflessione subisco l’influenza psionica che lo porta a contrattaccare Shakan utilizzando la pergamena Attrazione Violenta per rendere decisamente più pericoloso e meno evitabile l’attacco con i pugnali di Zaide. Ancora prima dell’impatto mi tolgo di mezzo caricando con un semplice colpo fisico Arthur Finnegan. Immediatamente si attiva anche la pergamena incastonata nella spada Idra [riscritta sotto la forma del busto di un titano di luce] che cerca di colpire Arthur così da allontanarlo dall’ingresso e permettermi di entrare con ancora maggiore facilità.

Visto l’utilizzo particolare della pergamena incastonata lascio a Kaktuar piena decisione su come considerare ed eventualmente difendersi dall’attacco in questione tenendo conto che non viene interamente riversato sul suo personaggio ma utilizzato per lo più “ad area”.

I Kanji giapponesi iniziali significano semplicemente Secondo Turno.
 
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view post Posted on 6/5/2011, 08:17
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Capitolo n. 3 - Voci.




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I portoni.

Il suo corpo tremò.
Ma non era affatto il suo corpo. Sotto il suo sguardo immobile, sorridente
eppure privo di allegria
vide le Porte sgretolarsi, massi cadere al suolo, impattarvi, sollevare nuvole di polvere.

Il canto di Eitinel non cessava.
E sembrava la colonna portante di ciò che stava succedendo. Lei, la sola causa di tutto.
Ma anzi, una nuove voce più acuta si sovrappose, si mescolò, si adagiò su di essa. E fu sicuramente in quel momento che la mente del Dannato, posizionato davanti alle immense porte, iniziò a bruciare.

Non era mai esistito nulla di così acuto. I suoi occhi, come accesi da nuova luce, si spalancarono. Avrebbe voluto portarsi le mani sulle orecchie, chiudere fuori la lenta nenia che lo stava martoriando, ma non lo fece. Gli piacque, ascoltare quel canto.
Canto di Morte.

-

Ed ancora una volta, una persona, una sola, era responsabile di tutto quello che stava succedendo. Una sola persona li voleva morti, li voleva uccidere. Erano lì per salvarla, ma Eitinel avrebbe tolto loro la Vita. O la Morte.
... O entrambi, proprio come aveva fatto con lui.

ricordò il momento, ancora una volta, in cui l'aveva designata come sua Dea, e ciò che era celeste era improvvisamente diventato
nero

Ma ne aveva avuto tutto il diritto. Lui...
...
... le apparteneva.

...
Eitinel
...
Tu
... mi odi?


image

... Io, sì.
...

Voleva ucciderla.

Prese in mano la spada, in un gesto lento, quasi fastidioso per un osservatore. Il tempo sembrava rallentatosi improvvisamente, come se gli Dei
Eitinel
avessero steso un candido velo sulla zona. Come se i colori fossero diventati più soffusi, e nello stesso tempo più insitamente forti.
Hocrag si sentì vivo.
Abbassò lo sguardo. Si sentiva improvvisamente diverso.
L'unico modo per uscire dalla sua condizione... l'unico modo per continuare a star meglio, ora lo vedeva, ben definitamente. Era chiaro.
Era uccidere la Dea. Uccidere colei che l'aveva fatto morire, quindi rinascere. Colei che si era impadronita di lui. E finalmente, il vincolo che li legava si sarebbe sciolto, rendendolo libero. Solo a stento, riuscì a reprimere una risata.
Ora... la riusciva ad
O D I A R E

E vagò con lo sguardo a destra a sinistra. Ma di lei,
(lo sapeva, non ci volle credere)
nessuna traccia.
Il respiro del Dannato si fece affannoso. Il tempo iniziò a scorrere più velocemente. Era il momento giusto, doveva agire. Doveva ucciderla, non avrebbe avuto altre possibilità. In questo modo, tutto ciò sarebbe finito, l'Asgradel avrebbe cessato di esistere e con esso i popoli che si uccidevano a vicenda, per possederlo.
Se solo avesse potuto incontrarla ora... Ora, che per qualche istante riusciva ad oltrepassare il vincolo che lo legava a Lei...
Ma non riusciva a comprendere che tutto quello che voleva fare, era follia.

Fece due passi in avanti, mentre la spada strisciava sul terreno, tracciando un leggero solco, sostenuta da un braccio ora privo di forza. E fu da qui che vide qualcosa, che cambiò il suo stato d'animo. Ancora una volta.
Vide qualcuno.
Vide il Mastro di Chiavi.
E lui la conosceva, sapeva chi era. Apparteneva al suo stesso Clan
(sembrava passato così tanto tempo, ormai Hocrag era cambiato, non lo ricordava nemmeno più, si sentiva diverso)
ed era un membro della Gerarchia che faceva capo ad Eitinel. Era lei, senza ombra di dubbio.
... E il suo sorriso si allargò.
Con una nuova forza alzò la lama, allargando leggermente anche l'altro braccio, pronto a dirigersi verso di lei. Ma il suo sorriso diminuì, quando vide che ella stava scappando.

- non poteva permetterlo. Oh, no.
Si diresse velocemente verso le Grandi Porte che stavano cadendo a pezzi, che iniziavano ad ostruire il passaggio. Se il Guardiano l'avesse persa, per lui non ci sarebbe stata più alcuna possibilità.
Non poteva perderla. Doveva ucciderla. Lei, invece di Eitinel.

Lei, invece di se stesso.

Raggiunse rapido l'enorme porta; poco mancò che un masso lo colpisse in pieno, e impattò alla sua immediata destra. Il Guardiano si spostò verso sinistra, leggermente, ma cadde, e tutto fu buio.
Buio, e freddo.
Ancora una volta.
E la scena, si era congelata. Era diventato tutto immobile. Privo di un inizio e di una fine.
Proprio come Hocrag.
Immortale.

Alzati, dai.

Chi sei?
La voce senza nome era stata privata di ogni contorno definito. Stava sognando, o Eitinel si era materializzata davanti a lui?
Eitinel si era mostrata, perché il Dannato compisse ciò che gli spettava?
Riusciva a vedere solo le sue gambe, e nulla più che una gonna svolazzante. Eppure, il filo di vento era troppo debole per poter creare una tale forza.
No, lei non era Eitinel. Non poteva essere lì.

« Tu sei... Tu sei... »

Sapeva chi fosse la donna, ma non riuscì ad esplicitarlo. E lei sapeva chi fosse lui. Lei era la donna che l'aveva prescelto, la donna che aveva scelto di dimorare in lui. Colei che aveva scelto di condividere la propria Immortalità; entrambi senza una fine, entrambi condannati in eterno.
Lei gli sorrise.
Non la vide, non poteva vederla, ma lo sapeva. Il suo corpo era freddo come il ghiaccio, eppure non si sentiva male. Gli faceva piacere.
Lei gli voleva bene.
Condividevano lo stesso destino, ormai. Entrambi uniti in un solo Sogno.
Lei non gli diceva di non uccidere Eitinel.
Non parlò più, ma non serviva. Ciò che aveva bisogno, il Dannato, era di un momento di silenzio assoluto. E lei, la Donna, lo sapeva bene.
Perché entrambi sapevano, che doveva smettere di ascoltare il canto. E non tentò neppure di portare le mani sulle proprie orecchie, perché non sarebbe servito a nulla; ma bastò, forse troppo semplicemente, chiudere la propria mente. Chiudere il Sogno in cui viveva.
Era l'unica cosa rimastagli: sì, su quello poteva ancora agire.
E il canto diventò solamente una flebile figura di sottofondo, quasi inudibile. Eitinel, doveva essere salvata.
Non avrebbe mai potuto ucciderla.
Ormai, la scelta era stata fatta.
E il Guardiano, apparteneva alla sua padrona.

Guardò nuovamente le sottili gambe della donna.
Le sorrise.
E i bordi diventarono confusi, le immagini si sovrapposero, e le parole che aveva tentato di pronunciare poco prima gli rimbombarono in testa. Voleva dirle, voleva riuscirci, avrebbe potuto liberarsi di un peso enorme -


image


Ma forse inutilmente. Finché tutto non tornò Bianco.

-

Aprì gli occhi, vide il cielo, vide se stesso circondato da grandi pezzi di pietra a poca distanza da lui.
Era tornato.
Si alzò velocemente,
(non notò il suo braccio sinistro, una parte era diventata quasi invisibile)
superò con un piccolo salto alcuni dei massi caduti - continuavano a cadere, ma non se ne curò, questa volta.
E si diresse verso Velta. Verso il cuore dell'Asgradel ormai. Verso Eitinel.
Attraverso lo squarcio che si era formato con il crollo del portone. Verso l'apertura che si stava ormai per chiudere, lentamente com'era stata creata.
Tutto si svolse rapido, a scatti, a veloci sequenze, parti di una pellicola non ben attaccate fra loro.

Si diresse verso Alexandra.





image

[ReC 400.][AeV 175.][Perf 125.][Perm 525.][CaeM 200.]

Status Fisico. » Sfasatura parziale dell'avambraccio sinistro, come Malus dello Scrigno. (danno Basso); botta causata da un masso alla parte destra del corpo.
Status Mentale. » Prima estremamente turbato dall'influenza psicologica, in seguito ritrova abbastanza lucidità.
Energia Residua. » 78%

Attive utilizzate nel turno. »
« Per proteggerlo dal mondo »
Catalizzatore dei poteri di Hocrag il bracciale è però anche sua principale difesa contro qualsiasi offensiva mirata a danneggiarne la mente. Immateriale scrigno ove nascondere la propria coscienza gli permette di ignorare attacchi di tipo psionico con un consumo di energie pari a quello dell’attacco subito. Tale azione però rinchiudendone maggiormente lo spirito limita anche i suoi poteri mentali impedendoli di alterare il proprio aspetto o di utilizzare gli altri poteri del bracciale per ogni turno in cui sfrutta una simile difesa. Eventuali abilità attivate in precedenza però non sono influenzate da questa limitazione proseguendo come se nulla fosse successo. [Abilità Variabile di difesa Psionica] - Usata a consumo Alto.

Attive dai turni precedenti. »
Passive in uso. » Immune al colpi fisici in stato di calma, chiaroscuri che gli percorrono il corpo, vista notturna, percezione Auspex, influenza psionica passiva, difesa psionica passiva, le difese psioniche contano un livello superiore in stato di calma (annullando il malus del Ba Xian), può cambiare aspetto e nascondere le ferite.

Consumo energia tecniche. » [Trentasette.][Diciassette.][Sette.][Due.]
Note. » Serve una breve spiegazione. Il canto di Lia, confuso con quello di Eitinel istiga ad attaccare: l'ho interpretato come un sentimento di violenza, che interessa Hocrag; questo sentimento è verso Eitinel, in primis - come nel post precedente, in cui il mio pg la vorrebbe odiare - ma non essendo ella presente fisicamente (e facendo tornare tutto come stabilito nelle regole del giro), il sentimento viene dirottato verso Alexandra, che Hocrag conosce perché Mastro di Chiavi, e quindi anche lei legata ad Eitinel come lo è Hocrag stesso. Si noti che qui i sentimenti di Hocrag, come effetto del canto, prendono caratteri più profondi. Come se Hocrag, liberato dal canto di Lia, può tornare a provare sentimenti - anche se esclusivamente negativi. Hocrag quindi se la prende con Alexandra perché, essendo legata ad Eitinel, anche lei opera per il Male, in fondo; inoltre, sa benissimo il Dannato di essere anche lui al servizio di Eitinel, e per questo ho considerato fondamentale questo passaggio e questa spiegazione: "punendo" Alexandra, è come se potesse sentirsi meglio punendo anche se stesso, per aver troppo desiderato e aver riposto in mani sbagliate la sua vita e la sua morte, ritrovandosi così a soffrire - o meglio, a non poter nemmeno soffrire - per l'eternità.
Ma a questo punto interviene lo Xian, dopo che Hocrag è stato colpito da un masso anche di stricio (non era abbastanza lucido per usare la passiva contro gli attacchi fisici), che "congela" la scena - il freddo è ricorrente nelle abilità dello Xian, in particolare nell'occhio destro, dove si trova la biglia - e gli fa tornare un poco di lucidità, aiutandolo ad erigere una difesa psionica contro il canto di Lia, durante la visione di He Xiangu. Si rialza e vede molti massi intorno a sé (questi non l'hanno colpito perché la passiva è tornata in funzione grazie alla calma). A questo punto Hocrag entra nel portone. Se in seguito vorrà attaccare lo stesso Alexandra per i motivi sopracitati - anche senza l'istigazione alla violenza da parte di Lia -, non ci è dato saperlo, ed è questo il significato dell'ultima frase. Si vedrà in seguito :8D:
Come i miei due compagni, questa volta, musiche di Trio Mediaeval.


 
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view post Posted on 9/5/2011, 19:01
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Io.


Io sono una forza dell'Universo.
Sono cieco alla vita, lontano. Vento tra le fronde del tempo, io non vedo anime.
Tutto va perduto.
Ogni cosa è da vedersi alla distanza opportuna, almeno una volta, per realizzare. Io – io sono il vento del cosmo. Non ricordatevi il mio nome, non il mio volto. Non fermate le mie mani e lacrime, d'approssimazione o gelida tempra astrale. Io non ci sono, non più.
Questa non è la mia storia, questa non è la mia battaglia.
Sono io quella grigia nebbia che invade la strada nelle mattine più buie, alla soglia del sepolcro della gelida notte appena trascorsa. Sono io quel rumore lontano prima di una tempesta, sono io quella luce dal cielo, quel ruggito dal paradiso. Sono io –
Questa non è la mia guerra, questo non è il mio mondo, ma su questa pietra continuano a posarsi i miei piedi stanchi, ancora questo sangue continua a bagnarmi il volto, ancora questa via nasconde per me una novità, forse, dietro la nebbia di fallace memoria che l'avviluppa.
Sono io quella nebbia.

Canto di morte e rinascita, sibilante samsara, ancora, ancora, ancora.
Ancora perfora la mente del mostro. Ancora il vento fa frusciare le foglie, lontano. Ancora l'acqua scivola furente sulle spalle della Terra, ancora il lampo frantuma il cielo scuro. Ancora e di nuovo sono e siamo condannati alla giostra del fiume.
Ancora gl'occhi sgranati restano immobili innanzi al terribile Pandemonium, palazzo dei caduti. Ancora la carezza del gelido vento sotterraneo colpisce il mio corpo avvolto dalla bruma.
Sono cieco alla vita, lontano. Sono una forza dell'universo in moto costante, furente.
Danzo all'ombra del pentagramma degli dei fanciulli e piango piano della mia sorte, stringendo la presa sull'elsa del ricordo, pesante, la mia arma.
Sono io quel vento.

Sei spiriti nel gioco della quadriglia, tutti sordi e ciechi.
Arthur è cieco alla vita, lontano. Vento tra le fronde dello spazio, non vede più tempo oltre l'eternità.
Ancora una volta, due, tre volte. Ancora e per sempre, osservando appena un po' distante il fiume che scorre. Ouranos danza quieto, come sempre, sempre, sempre.
Sempre alzerà dunque la flamberga, guardando i guerrieri danzare. Sempre fugge questo tempo maledetto, traendoci nel giro delle sue acque. Sempre muoio e sempre vivo, sempre nuoto controcorrente, rosso mantello, verso il passato perduto.
Sono io, Arhur Finnegan, quel tempo.
Ma io un nome non ce l'ho.

L'Esistenza è cosa assai relativa, modesto frutto d'una complessa cernita approssimante di alcuni di quegli esseri che si professano senzienti. Ho visto l'universo, ho visto l'Abisso, anche se per un attimo appena. Eccovi dunque nella vostra guerra, tutti assieme, conosciuti ed ignoti volti. Eccovi combattere per altri o per voi, per disperazione o dolore, per rabbia, per principio.
Eccomi combattere per inerzia, per induzione, deviazione del moto originale.
Arthur è una forza dell'universo, sa che tutto va perduto.
Ogni cosa cadda morente sul letto del fiume celeste, spegnendosi ogni stella, svanendo ogni rinascita. Sono io quel tempo, sono io quel nome. Sono vivo, morto, immortale. Sono nebbia e poi nulla, Samsara. Sono io quella spada e quelle braccia,contratte in attesa dell'impatto. Sono io quell'Abisso.

Inspira a fondo questa paura, tu che resti sordo alla supplica dei dannati.
Curva ancora la schiena ed ancora alza le armi contro il nemico, perché tutto ciò è perduto. Fa' strisciare al suolo quegli stivali di ferro mentre ancora il rosso mantello s'alza rombante all'apparire della nebbia. Due spiriti nel gioco della quadriglia eseguono ancora la prima figura. Chiuse le palpebre, aperto il cuore. « Lascio tutto nelle tue mani, Finnegan. »
Sono io quella supplica.

In piedi avanti le porte dell'Asgradel. Il tempo non esiste, mai è esistito.
L'Esistenza non esiste. Non vivo, non muoio. Mai combatto davvero e mai davvero la mia mano lo arresta. Nulla è vero, univoco.
È determinato unicamente dall'intersezione, sovente approssimata, dei campi visivi comunicanti. Questione sottile, non puoi comprenderla. È solamente l'Universo, comunque. Nulla di importante.
Importa solo, adesso, la vita.
Importa ciò che è accaduto, ciò che accadrà. Ciò che sento, oltre le orecchie, oltre il cuore, ciò che come una freccia trapassa la mia mente. Muoio, solamente. Nulla di notevole.
Sono io quella mano, quella nebbia.
Sono quelle fauci spalancate. Sono quel titano di luce che mi sta attaccando, e sono anche colui che il titano ha sguinzagliato. Sono il lastricato sotto alla mia ombra, le pareti del baratro scuro. Sono il metallo dei coltelli a mezz'aria tra altre due anime in ballo e sono quelle anime, quei ricordi. Sono questa torre ed ogni cosa entro essa, ogni orrore, ogni menzogna.
Sono il vento, sono il fuoco.
Sono solamente un uomo, ora che m'avvicino meglio. Sono un omino in armatura, con il braccio teso in avanti e la mano aperta, senza pensieri altri se non rabbia. Sono quella paura intrinseca, nota, tremenda. Sono uno dei bersagli della furia degli dei in guerra, e sono anche quegli stessi dei.
Colpiscimi, nuovo nemico mio. Uccidimi ancora, forza.
Annienta questo vento, questo fuoco nella mia mente. Osserva la nostra agonia, colosso di luce.
Ascolta il ruggito della tempesta –
Sono io quel ruggito.

Sono Arthur Finnegan, quel tempo che dici di comprendere –
Sono nebbia e spirito senza nome, mobile massa di confusa memoria. Sono tutto l'amore possibile in ogni possibile universo, e tutto l'odio assieme. Sono vivo, adesso, nella mia ultima corsa.
Sono cieco e sono sordo, ma la mia gola non resterà muta.
Inspira ancora. Osserva schiudersi gli artigli del mancato destino attorno alla mia mano, cingendo la tua. Sono nebbia, loro. Sono incubi dimenticati che cedono alla corrente del ritorno, fantasmi.
Sono io, io, io, io.
È la mia forza ultima, ancora, che ferma la tua corsa. Ascolta bene, ad orecchi tesi. Io sono il fuoco del cosmo, il vento del Fiume. Ascolta con attenzione – io sono il tuono.

« WROAAAAH »



Balzò avanti, schizzando in aria come una cometa scarlatta. Il ruggito del mostro ancora echeggiava entro le pareti della voragine mentre quello già caricava, scostando con forza il candido braccio del colosso di luce con la sua nuda mano aperta vestita di nebbia, potente come un dio. Volava, il leone rosso, verso un'altra anima nel gioco del ritorno. Urlava – urlava forte.
È questo mondo, ancora troppo freddo. Sono io, sempre io.
La corrente mi attira verso il centro del gorgo e sempre Ouranos scorre verso valle. Sempre termina, la mia corsa, contro un muro da abbattere. Una supplica ancora, un inno d'odio. Non ce ne sarebbe neppure stato bisogno, Lia. Davvero, non serve. Non mi importa.
Siamo appena a metà del nastro, ma non è certo la prima volta che la cassetta viene ascoltata. Non sarà l'ultima, amici miei. Odio, odio ogni cosa. Freddo è il mio amore, dunque, per questo meschino universo, eppure esiste.
Sono io, Arthur Finnegan, e assieme al mio sogno io mi sono spezzato. Io sono caduto, sono morto.
Io sono un altro dio fanciullo, in fin dei conti. É la giustizia dell'Universo, la legge del caos.
Io sono il caos.

Difenditi, ignoto Shivian, dalla furia delle fiamme. Trema all'udir la mia nenia, assai differente da quella degli altri dei. Il mio ruggito è limpido, palese, cristallino. È terribile nella sua forma, cacofonico, sofferente. È la mia ninna nanna, il canto del leone.
Muori, ignoto shivian, sotto la lama della mia spada. Ancora ed ancora ed ancora.
Vivi, anima perduta nella danza, perché alla fine della musica non esisterà più nulla.
Che anche il tuo sogno venga spezzato, e che così possa essere per mano mia.
Sono io questo odio.


_



SPOILER (click to view)
image

Arthur Finnegan

CITAZIONE

ReC: 250 200
AeV: 225 200
PeRf: 375 750
PeRm:175
CaeM: 250
Energia: 78%
Stato psicologico: Nessun danno mentale.
Condizioni fisiche: Danni residui e di lieve entità alla spalla sinistra..

Passive sfruttate:


CITAZIONE
Passiva di dominio - II
Non solo forza, ma anche estrema Resistenza. I portatori di questo Dominio, man mano che il loro potere crescerà, riusciranno a scoprirne nuove ed esaltanti caratteristiche. La seconda in ordine crescente sarà appunto un notevole incremento della Resistenza Fisica, intesa come irrobustimento del corpo del portatore. In particolare, a prescindere dalla Razza, il possessore del Dominio a questo livello possiederà una pelle molto più coriacea del normale, più difficile da scalfire. Inoltre sanguinerà leggermente meno, in quanto sarà più difficile scatenare emorragie nel suo corpo, ed infine potrà avvalersi di un'ossatura pressoché indistruttibile, poiché sarà estremamente remota la possibilità che le sue ossa si fratturino.

CITAZIONE
Passiva di dominio - I
La forza dei portatori di questo Dominio è, come già accennato, estremamente elevata. Non solo in termini numerici, sia chiaro. Essi sono proprio forti a prescindere da qualsiasi standard, tant'è che, a questo livello del Dominio, gli sarà possibile sollevare pesi molto elevati. Un esempio? Spade bastarde a due mani, mazze chiodate enormi, alabarde di grosse dimensioni...tutte queste armi saranno impugnate senza problemi dal possessore del Dominio, che le maneggerà come fossero spade normali, o fioretti leggeri.

CITAZIONE
Phatos
Perf raddoppiata in stato emozionale fortemente alterato.

CITAZIONE
Anello del potere maggiore
Risparmio del 3% su ogni tech castata.



Attive impiegate:


CITAZIONE
Arma Sacra (x2) - incastonata in Daydream, compagno animale. - Primo turno - 2/3 usi perCombat
Usata sullo stesso/a Daydream, fantasma di nebbia, che per l'occasione prende le sembianze di un grosso artiglio felino, fatto di nebbia e avvolto da piccole saette, segnalando l'attivazione della pergamena. Per due turni il mio compagno animale sarà pervaso da una carica magica globalmente equivalente ad una tecnica di livello Alto, appunto perchè castata due volte nello stesso momento.
Piccolo appunto: Utilizzando questa tecnica non avviene nessuna trasformazione al livello tecnico: semplicemente il mio fantasma di nebbia diventa una sorta di nuvola dalla forma sopra indicata e viene caricato di energia magica, SOLO DAL PUNTO DI VISTA SCENOGRAFICO. Tecnicamente il mio compagno animale si sta frapponendo tra me e l'offensiva di shivian, potenziato da 'arma sacra' doppia. Scenicamente è come se la nebbia, sempre visibile e piuttosto densa, formasse una sorta di zampa etera attorno al mio braccio, in modo simile a ciò che Shiv ha fatto con la sua tech.

CITAZIONE
Urlo di guerra - Pergamena del guerriero - costo Basso
Tecnica psionica di stordimento, agente per via acustica. Dalla bocca del guerriero scaturirà un potente urlo di guerra, spaventoso e fragoroso, che si diffonderà per tutto il campo di battaglia, urtando le orecchie delle vittime. Chi dovesse sentirlo, verrà colpito da un breve attacco psionico che - se impossibilitati a difendersi - li stordirà per qualche secondo: giusto il tempo necessario perché il guerriero possa trovare un'apertura nella difesa delle vittime. Le persone influenzate sentiranno un forte giramento di testa e rimarranno scosse per qualche attimo, trovando notevoli difficoltà nell'organizzare la loro successiva difesa.
Lo uso simulando il ruggito del Leone di Nebbia, come l'altra volta.

CITAZIONE
Titan Stand - Personale attiva variabile - costo alto
___In termini di GdR, Athur potrà avvalersi di una difesa a 360° dalla potenza corrispondente al quantitativo di energia impiegatavi (senza il depotenziamento tipico delle difese a 360°), e quindi efficace contro ogni altra tecnica non illusoria di potenza pari o inferiore. L'attuazione della tecnica non richiede particolari tempi di concentrazione, ed i suoi effetti si manifestano all'istante, spesso senza che il cavaliere se ne renda conto.
___Questa tecnica basa la sua potenza, oltre che sul consumo energetico, sulla PeRf del guerriero (non sulla PeRm). I suoi effetti dureranno per l'intero turno d'attivazione, durante il quale Finnegan potrà continuare a muoversi, ma più lentamente. La sua AeV e la ReC verranno infatti ridotte della stessa percentuale di energia spesa per la tecnica, fino alla fine del turno.



Riassunto & Note:



Avendo io sviluppato all'interno del post il caratere artistico più di quello ruolistico è possibile che le azioni compiute dal mio personaggio non risultino sufficientemente chiare, perciò è bene che spieghi.
Arthur subisce in pieno l'influenza psionica di Lia e, dunque, si getta nella mischia alla cieca.
Anzitutto indebolisco l'attacco di shivian con una zampa (sinistra) del leone di nebbia, nelle modalità riportate in alto, procedendo poi a deviarlo con un semplice gesto della mano (sempre sinistra), ovviamente potenziato dalla titan stand al livello alto.
Non subisco quindi danni, procedendo a contrattaccare Shivian in preda alla furia, lanciando anche l'urlo di guerra. Il tutto avviene in pochi secondi. L'attacco fisico è un largo e rapido fendente alla cieca portato con lo spadone nella mano destra. Occhio alla perf.
Inutile specificare che l'urlo di guerra è una tech agente su tutto il campo di battaglia, o almeno nell'area a me adiacente.
Chiedo perdono, Janz. :asd:

 
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view post Posted on 14/5/2011, 13:12
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Lia.
Lia, la mia piccola bambina.
La mia bella, dolce, bambolina.


Nell'affannarsi di quei pochi, fragili istanti, parve quasi di avvertire il debole riverbero di una risatina malevola.
Il diafano e sibillino trillare di un ghignetto malizioso, dispettoso. Più simile a quello di uno spiritello capriccioso che di una persona in carne ed ossa.

Che fosse stata Lei?
Lei, la Dottoressa dalle lunghe ciglia e i capelli color paglia, tanto bella quanto inquietante nella propria raccapricciante frigidezza?
Tanto longilinea da far impallidire qualunque ostentata scena di anoressica magrezza?

Nel miserabile soccombere dei cancelli di Velta, nel loro rovinoso cedere ed infine sprofondare nelle lusinghe di un'ammaliatrice inesorabile, irresistibile, nessuno parve notare quel misero sberleffo.
Quella cinica virgola intessuta poco prima dell'insorgere dell'Oscurità, del plasmarsi ovunque di un velo denso, stopposo, insondabile. Tanto spesso da colmare, e non viceversa svuotare, la Torre di tutta la propria immensa grandezza.
Soli, improvvisamente abbandonati dal rumore e dalla rovina. Cinque respiri, ora, a sondare senza fiato le soglie imprevedibili dell'ignoto.
O sei?
O forse
forse
Sette?

image


" Non è bellissima?"
Nella penombra di un improbabile tramonto, le lenti della Dottoressa tralucevano appena di un fioco color caramello. Il viso nascosto per metà dall'ombra delle persiane che a poco a poco sbiadiva anch'esso, catturato dall'oscurità incalzante.
Si lasciò sfuggire un quieto sospiro, i bordi delle labbra che le tremavano per un istante, dando a tutto il suo sguardo un che di vacillante, infermo.
Nella camera numero 11 c'era odore di disinfettante. Una pregna morsa allo stomaco di acido e fragranza di limone, ottima per rendere anche quell'atmosfera crepuscolare, quell'intenso color Rosso Sangue, freddo e incolore come un laboratorio d'analisi.
Ma gli ospedali, in fondo, non erano tutti uguali?
Camera 1. Camera 2. Camera 3.
Cambiava qualcosa, a parte la disposizione dei letti?


" Il mio amore. La mia adorata bambina..."
La voce della Dottoressa, ora mite e contratta, parve quasi la brusca virgola su un foglio irto di parole. Un senso continuo spezzato, per qualche ragione, da un appunto puntiglioso. Uno stop mal affermato.
Sorrise ancora. Piano. Lievemente

" Nella sua perfezione, nessuno direbbe che vi è una traccia distorta, un lieve accenno di difetto. Il vago presagio che ella non sia un frutto divino ma umano, una mistura di scienza e tecnologia uniti fra di loro al pari dell'Argilla con cui Dio creò noi molto tempo fa."

Vago, pur lieve, il ripetersi di un Bip regolare. Atono. Più simile al palesarsi del tempo che al reale trascorrere del medesimo.
Bip.
" Lia è unica, meravigliosa." riprese quindi la dottoressa, con voce ora dolce, quasi melanconica "Eppure è Artificiale."
Bip.
"Tanto difforme dalla naturalezza con cui esiste l'Asgradel da renderla a lui del tutto speculare.
Tanto esso è un miracolo, quanto ella è, per contrapposto, un abominio."

Esitò nell'aggiungere quell'ultima frase. Le palpebre che fremevano appena nel socchiudersi e scostarsi dello sguardo dall'astro morente.
Quasi le costasse molto, davvero molto, ammettere i limiti del suo genio, della sua portentosa Pietra Filosofale.
B...ip

" Come il negativo di una diapositiva, ella brilla della medesima luce, ma opposta.
E se le chiedessi di risplendere un poco di più, un solo misero scintillio ancora, ella non potrebbe far altro che volgere lo sguardo al Vero sole e da esso rubare il chiarore, la bellezza. E tramutarla in oscurità. Poiché ciò che è Falso non potrà mai originare dal nulla, creare dal niente. Potrà copiare. Potrà emulare."

Abbassò appena il capo paglierino, ora ramato degli ultimi, flebili, raggi solari, risalendo ora con dita sottili il contorno delle proprie labbra tremanti.
" E Corrompere "
B..i...p
Solo allora, con un movimento per metà elegante, per metà vezzoso, ella volse le spalle al sole, lasciando che il riflesso delle lenti nascondesse per un attimo l'intensità del suo sguardo.
Nel lucido ovale di quegli improvvisati specchi, la sagoma di un letto posto al centro della stanza. Bianche lenzuola. Bianchi cuscini. Bianco pigiama, quello indossato dall'uomo disteso e addormentato in un intrico sospetto di macchinari.
Neri capelli. Bianca pelle. Tratti affilati.

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Per un secondo, un flebile istante, la Dottoressa parve sorridere. Sogghignare, un che di perverso che incrinava non per l'ultima volta i suoi bei tratti da fotomodella.

Shivian?
" Vi avevo detto di stare attenti" fu il morbido rimprovero di lei " Vi avevo sconsigliato di entrare a far parte dei giochetti perversi della mia bambina. Dico bene? Ma come al solito la gente ascolta solo quello che desidera sentire ignorando tutto il resto."
Si umettò le labbra, scrollando infine il capo con noncuranza.

B...p

" Cercate almeno, almeno, di farla divertire, ora."

Un lieve fremito delle palpebre.
Un tremito dell'iride.
Il tremare, ancora una volta, di Velta.


O

E l'impressione di essere scaraventati di forza, mossi di peso e con violenza gettati fuori da un sogno, giù, di nuovo, ancora, nella vita reale.
Nell'ancora oscura Torre, inviolata di luce e tacita di suono.
Nel ventre pulsante di un mastodontico Dove gonfio e non vuoto di quell'assenza tale da confondere echi e rumori. Da stemperare vicinanze e accorciare distante.

Velta?
Davvero?
Quella
Velta?


Nelle tenebre mute, nel tacere affamato dell'ombra, solo lo schiudersi di una porta in lontananza.
Il fascio di Luce gialla che proietta nel suo cono ambrato le ombre di una strana foresta. Di una irta selva fatta di braccia e gambe, di corpi adunchi e schiene infossate. Di ventri pulsanti eppure immoti, immobili, congelati nell'esatta freddezza di un tramonto artificiale, tentatore.
L'oscurità, e poi la luce che attira falene e zanzare. Che illude speranze e aspettative. Ma che ciononostante salva dall'angoscia, dalla disperazione.

Un lieve fremito delle palpebre.
Un tremito dell'iride.
Il tremare, ancora una volta, di Eitinel.


La foresta e le sue glabre cortecce si scuotono un poco in un sussulto incerto, fremente, nel nuovo, acuto, innalzarsi di due voci cristalline, svettanti, irresistibili.
Inarrestabili nella propria arrampicata verso il paradiso, verso la più acuta nota, unica ed irripetibile fine di una fuga senza predatori e prede.
E di nuovo, ancora, orribile, il silenzio.
Lo smorzarsi di entrambe.
Il brecciarsi ovunque della magnificenza della Torre.

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" Avanti, cari e dolci burattini.
Avanti.
Siete già stanchi?"


Onnipresente, onnivedente, la figura della Dottoressa pare non curarsi di ciò che la circonda. Circondata dall'aura ambrata della porta, si può appena notare il chiarore del suo camice bianco. A suo agio in quel miasma senza confini, si sistema i capelli con un gesto. E sorride, placida, dell'orrore.




SPOILER (click to view)
Terzo post^__^
Come da copione le cose si complicano. I personaggi entrano nell'oscurità di Velta, trovandosi completamente avvolti dal buio e dal silenzio. Eppure sanno di non essere soli. Avvertono certamente che c'è qualcosa attorno a loro. La malia di Lia, sempre presente e ancora più potente all'interno della Torre, li costringe ad avere una visione ( un ricordo o una memoria) nella quale uno dei protagonisti è Shivian, morente in un letto d'ospedale. Il ritorno all'oscurità di Velta è dovuto ad Eitinel e al suo solito duetto con Lia che rende instabile tanto lei quanto la bambina e il suo "gioco". Molto lontano, ossia al di là della "selva di corpi" si schiude una porta che proietta un cono di luce, unico punto di riferimento per i personaggi.

Importante n.1
1) Shivian è semplicemente scomparso, senza un minimo segnale del perché e del per come.
2) Ovunque nel piano dove dimorano i personaggi sono presenti delle creature mostruose, ferme e immobili come se fossero state pietrificate. Non attaccheranno i pg a meno che essi stessi non facciano la prima mossa. Andranno considerate ognuna come di energia gialla, in tutto e per tutto simili alle evocazioni di Lia. ( quindi molto, molto, molto sgradevoli). La grandezza varia. Per caratterizzazione, vi lascio carta bianca sulle dimensioni.
4) La dottoressa è dinnanzi alla porta, la vedete infatti controluce. questa volta però non si tratta della dottoressa ma del mostro che ha assunto le sue sembianze come "incipit". Quindi inizialmente lo vedete tutti come lei. quando però si concentra su zaide, allora gli altri notano le sue vere forme. Questo mostro però ha una particolarità: se lo si guarda dritto in faccia ( meglio ancora, negli occhi), acquista le sembianze di una persona "cara". Se non lo si guarda dritto in faccia, invece rivela il suo vero aspetto. Si tratta di una illusione psionica di livello Alto. Il mostro conta come energia Rossa e sarà assimilabile ad una delle creature evocate da Lia. Attenzione.
5) La porta che si è schiusa, permetterà ad uno, ed uno soltanto, di entrare. Questi verrà sommerso da una luce pazzesca che non gli permetterà di vedere nulla. Per tutti gli altri, non appena sarà entrato il primo la portà si chiuderà lasciandoli completamente nell'oscurità.

Importante n.2
Kactuar: il tuo pg subisce un'illusione psionica di livello Critico tale da indurlo a credere di aver ucciso Shivian.
Zaide: la creatura che si sta avvicinando vuole attaccare il tuo pg in primis. Quindi, attenzione.
Janz: Mentre tutto il finimondo accade, il tuo pg è grado di sentire nella sua testa una voce che gli pone una semplice domanda " E' questo il tuo desiderio?" Ti prego di mandarmi la tua risposta via mp, così che ti possa comunicare quanto di dovere^___^ E..non postare per primo.

Il primo eliminato, come è facile intuire, è Shivian. Le spiegazioni e le modalità della scelta verranno dette a fine quest per una questione di trama e strategia.
Come prima, ognuno di voi ha tempo 3 giorni dall'ultimo post, per un totale di 20 giorni ancora.
Spero di aver detto tutto....Per qualsiasi domanda o recriminazione, ditemi pure.

IMPORTANTE: anche in questo turno i pg subiscono una misteriosa perdita del 5% delle energie.


Edited by Eitinel - 15/5/2011, 16:50
 
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