Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Valzer al crepuscolo ~ Requiem

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Jason~
view post Posted on 2/4/2011, 12:14




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Erano stati allertati i gendarmi, e s'era radunata una gran folla.
La via era quella dei ciabattini e delle lavandaie, presso al fiume che scorreva - tanto placido quanto sudicio - lungo l'intero villaggio. I primi a giungere in loco raccontavano agli altri che passavan di lì che erano state udite grida. Acuti strilli di panico da parte di una donna di malaffare, la quale rincasava all'alba dopo una notte assai remunerante. Quindi lo scalpiccio convulso dei molti curiosi; l'aprirsi delle imposte nelle case circostanti.
Il serpeggiante brusio che portava con sé la notizia:
un cadavere era stato rinvenuto alle prime luci del dì; e recava i segni inconfutabili di un truce assassinio.
Sopra ai ciottoli umidi in tanti s'affrettavano per vedere, per sapere, avidi di pettegolezzi con cui riempire le giornate a venire - che sarebbero altrimenti risultate tediose e sempre uguali le une alle altre. Fu con fatica che i tutori della legge penetrarono tra la gente ed infine giunsero al cospetto del derelitto corpo.
Geròme Drupin, che serviva nella gendarmeria cittadina da oltre vent'anni, non aveva mai visto atrocità simili. Il suo giovane collega neppure, ma fu meno abile nel celare il proprio disgusto e raccapriccio. Rigurgitò di gran carriera, dopo esser corso sulla sponda della cloaca a cielo aperto. Ad una prima analisi risultava chiaro che la vittima era stata aggredita da una qualche bestia famelica; delle tante che dimoravano nei boschi antistanti il centro abitato, il buon Geròme non avrebbe saputo dire quale fosse. Grande certamente abbastanza da aprire uno squarcio irregolare nel petto dell'uomo - sì: il corpo doveva essere appartenuto ad un maschio adulto, forse di razza umana - con un'artigliata.
Frontalmente la salma non presentava altri evidenti segni di colluttazione o ferimento. Il gendarme si approssimò meglio al muro cui era adagiato l'oggetto delle sue attenzioni, indugiando con lo sguardo sul suo aspetto. Doveva esser stato un nobiluomo, a giudicare dal cappotto che ancora - sgualcito e stracciato - indossava. La cravatta che spuntava timidamente dalla blusa pareva di foggia bislacca, particolarissima e singolare. Ed ancora, il cappello a tesa larga che celava il volto aveva l'aria d'essere logoro e inadatto a quell'abbigliamento.
Fu quando Geròme tentò di spostare il corpo, che quello ebbe uno spaventoso sussulto.
Si mosse, scatenando il terror panico nei presenti - comprese le due guardie. Sollevò debole un braccio prim'ancora che la testa, afferrando con presa inaspettatamente salda il polso del più vicino pubblico ufficiale.
Il suo viso, nell'istante in cui si levò schioccando sofferente, era coperto da una maschera di tela.
Ed al collo non v'era alcuna cravatta, ma un grottesco cappio d'impiccagione.
Tra i tanti gorgoglii e raschianti versi gutturali che emise,
una sola parola venne distinta chiaramente da tutti i testimoni:

"Kishin"


Qualche ora prima.

Quel luogo gli dava i brividi.
Nonostante vi fosse accolto come fratello tra fratelli, padre in mezzo ai figli, ospite nel seno di ottimi amici, Jason era turbato. Lo intimorivano i costanti sibili di cui l'ombra celava gli autori; le zampe che strisciavano nell'oscurità; la moltitudine di voci mostruose e inconoscibili che l'attorniavano. Eppure era ancora al centro di quel piccolo pozzo di morte intelaiato con sottili reti d'aracnide.
Dinnanzi a lui, una crisalide immensa e candida.
Suo fratello - non per legame di sangue, ma per affinità d'animo:
il Kishin.

"Cosa ti affligge, Cheval?"
un mormorio perduto nella voragine: "Cosa?"

Da qualche giorno, oramai, il corpo rinchiuso all'interno di quella gabbia cristallina si agitava.
Si dimenava convulsamente per poi quietarsi a lungo, dopo gli improvvisi spasimi. Non rispondeva mai ai richiami sempre più disperati dello Spaventapasseri, e ciò cominciava a tormentare l'elfo con un cruccio crescente. Complici le reazioni inaspettate di alcuni Bebilith, i quali ostentavano una certa sfiducia nei suoi confronti - cosa inaudita, ed oltremodo sconcertante.
Taluni figli del Kishin - lo aveva veduto coi propri occhi, scrutando l'immenso buio - erano perfino penetrati nell'iride di quell'occhio che era l'Abisso. Senza più fare ritorno. Mano a mano che il tempo scorreva via, scivolandogli dalle mani, ecco che altri piccoli mostri s'insinuavano dentro la cupola del padre, sparendo per sempre.
Jason sospettava che il loro padre li stesse richiamando a sé, pronto ad emergere.
Aspettava e temeva quel momento con pari, contrastante forza.
Quando giunse, fu impreparato.
Il rigurgito più macabro cui avesse assistito lo coinvolse come a rispondere alle sue domande insistenti: ecco! - annunciava in silenzio il niveo bozzolo - ecco cosa affligge il mio inquilino. La sofferenza estrema che lesse negli occhi dell'Uno quando egli fu vomitato di fuori dalla sua culla; la rabbia ed insieme il dolore, una furia omicida che mai gli aveva osservato mostrare.
Arretrò, in preda ad un'angoscia contenuta a malapena dalla Mangiasogni.

"...fr..fratello?"
indugiava, spaurito e fragile.

La sua guardia era abbassata, in un momento di raro sconforto.
Fu allora che avvenne; fu allora che si fece sconfiggere dai sentimenti; fu allora, che la bestia che chiamava fratello lo tradì. Venne aggredito con furia, e fu incapace di difendersi. Aveva visto il Kishin muoversi. Eppure non ebbe modo, né tempo di bloccarlo. Lo strazio fu immane: percepì le proprie carni dilaniarsi al tocco acuminato dell'altro, affamato di prede come mai prima d'allora. Si ritrasse con un grido - e quel gesto allarmò il nido intero.
Sciamarono da ogni lato, ma stavolta fu pronto: in un impeto di adrenalina dettato dal panico, sfuggì.
Mille e più corvi emersero dal terreno nel punto in cui l'Abisso apriva le sue fauci sul mondo. Al loro seguito dieci, cento volte tanti aracnidi affamati. Dovette ricompattarsi, impossibilitato a mantenere la forma di stormo troppo a lungo. Era ferito. Sudava. Dappresso al margine della foresta si aggrappò ad un pioppo e volse lo sguardo indietro.
L'esercito dei Molti si era destato, e già il mondo si scuoteva al loro passaggio.
Ma lui non ne era in capo. Questo pensiero lo terrorizzava.
Dovette correre, affannosamente farsi strada nell'intrico di arbusti.
Lo raggiunsero più volte, ferendolo a morte. Li respinse ancora, e ancora.
Per tutta la notte Jason fuggì,
inseguito dagli incubi.


SPOILER (click to view)
Scena riservata alla fazione "Leviatano".
Attendere conferma dai QM prima di postare.


Edited by Andre_03 - 2/4/2011, 13:17
 
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Kishin
view post Posted on 19/4/2011, 17:06






Era estate; il caldo gli scivolava indosso come una vestaglia appiccicosa, stirandosi sulla sua pelle e impedendogli di prendere sonno.
L'asfissia lo accarezzava con le dita di un fantasma, concedendogli di quando in quando brevi aliti di frescura - le boccate d'aria di un affogato.
Le coperte pesavano su di lui come un macigno; mettendosi seduto, ebbe per un attimo la sensazione che non sarebbe riuscito a togliersele di dosso, sentendole roride e pesanti come una colata di pece.

Più di ogni altra cosa, tuttavia, sentiva che il mostro lo stava osservando.
L'aveva visto prima di chiudere gli occhi; elegantemente appeso al soffitto scrostato, con le otto lunghe zampe poggiate con delicatezza su di esso, che si muoveva lungo l'intonaco - o ciò che ne rimaneva - con la stessa premura di chi sta per saggiare la temperatura dell'acqua in ebollizione con il proprio dito indice.
Il ragno aveva poggiato lo sguardo su di lui, e si era pietrificato.
Lì, aveva atteso che la luce facesse il suo corso; pazientato che nulla turbasse l'aria intorno a sé -
- immobile, nella statuaria certezza che la preda fosse già catturata nella propria ragnatela.

Avrebbe potuto giurarlo;
di vederlo tentennare leggermente coi cheliceri, nel buio,
altalenare le zampe come un pianista melaconico
e fissarlo con metodica voracità:
una fame primordiale, senza tempo - irragionevole, ma non irrazionale
lo sguardo di un allevatore che attende pazientemente di poter passare il coltello lungo la gola delle bestie al suo controllo.

E quando non vi fu più luce,
ebbe la sensazione che il ragno fosse già su di lui,
passargli fra le vesti, intessergli i capelli,
deporre le proprie uova sotto la sua pelle, scavandovi con ferma eleganza.
Ogni parte del corpo iniziò a prudergli freneticamente,
ogni lembo di pelle gli si infiammò, come percorso dalla marcia di migliaia di creature invisibili,
impedendogli di dormire.

Il ragno lo stava cacciando - solo con lo sguardo.
L'aveva catturato; già ingabbiato nella propria tela,
stava giocando con lui come fa un gatto col topo,
popolando i suoi incubi più reconditi, le sue vesti e il suo letto
infettando i suoi pensieri; avvelenando la sua mente.

Il Re che non perde mai
era dentro di lui.

[...]

N-n-non avrebbe potuto raggiungerlo, lì.
N-n-non dentro la tela; n-n-on al centro di Samarbethe.
NON DOVE IL SUO POTERE ERA PIU' FORTE!
n-n-non dove la sua carne era più debole...

E-ep-pure, anche all'interno di quel palazzo di seta, il Kishin sentiva la lingua ap-piccicosa del sovrano scivolare sulle sue carni; le punte delle sue dita ac-carezzare le sue ossa scoperte.
Come se fosse lì con lui. Come se lui; come se lui; come se lui po-potesse...
CH-CHE E' ...?!
La sua mossa repentina richiamò l'attenzione di tutti i Bebilith lì intorno; i ragni si volsero e si arrampicarono lungo la sua armatura, nel tentativo di incoraggiarlo.
Ma loro non po-potevano capire. Loro non sapeva-vano che cosa gli era capitato.

Alzò le mani, e affondò le unghie nella propria nuca, in una dolorosa mossa di supplizio.
Le ma-ma-mani, così simili a quelle del sovra-a-ano. Lo stesso che sentiva co-così vicino, da quando si erano incontrati.
co-così simili; co-così differenti.

LA MENTE DEL SOVRANO SI STAVA FACENDO LARGO NELLA SUA
COME UNA GRASSA LARVA, COME UN VIRUS
INFETTANDO; SPORCANDO OGNI COSA

protraendosi in una lenta e lubrica indottrinazione
che l'avrebbe condotto al suo cospetto, inevitabilmente.

Singhiozzò, impotente
una mo-mosca; egli non era che una mo-mosca, ora che il Kodoku; il DIO
stava iniziando a tirare i fili di una ragnatela che aveva lanciato già tempo addietro.

NONERANIENTEDIPIUCHEUNASUCCOLENTAPREDA
NIENTEDIPIUCHEUNLAUTOPASTO
ILSOSTENTAMENTONECESSARIO

Ma no-non
n-n-non
non...

"...fr..fratello?"

non avrebbe avuto nessun altro che lui
e nemmeno lui


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« Non... più.
...mai... più.
»

 
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view post Posted on 19/4/2011, 17:12
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Ovunque, intorno a lui, il mondo nuovo;
the brand new world
che si smontava e si rifaceva incessantemente, intermittente come un miraggio in lontananza, ma vero tanto quanto l'arsura del deserto che l'ha generato.
Come se fossero all'interno della mente di un architetto, il paesaggio si rimodellava in continuazione, decadendo e riformandosi senza pace, ad una velocità che l'occhio sosteneva appena. Le genti alzavano le mani al cielo, le riabbassavano, urlavano e intonavano cori, cadenzati dai giganteschi tamburi dell'esercito di Gruumsh - ingenui. Era bastato loro mostrare una pallida imitazione dei miracoli del loro Dio perché si schierassero con lui, il loro tanto decantato Valse God.

Assistette ancora per qualche secondo alla ricostruzione del mondo che si apriva lungo l'orizzonte; uno spettacolo mutevole e contrastante che poteva essere osservato solo da lì, dalla cima del maniero.
Ciò che accadeva in lontananza, tuttavia, non era che un'impressione; la tenue proiezione delle aspettative del sovrano
il mondo che cambiava in continuazione, la terra che si trasformava, le città che crollavano per ricostruirsi con più rapidità di quanta ne avevano messa nel cedere.
Da lì, dalla cima del maniero
che era divenuto un antenna, un faro splendente, un ripetitore di pura volontà di potenza
si poteva assistere all'impossibile che prendeva forma; si poteva oltrepassare l'orizzonte con lo sguardo e sentire l'odore, il sapore e il tocco di cose a miglia di distanza.

In quel luogo, chiunque era Dio.
Con la sua sola volontà, poteva far cambiare il paesaggio,
benché queste non fossero che pallide impressioni di una realtà immutabile.
E il sovrano, lì
aveva invitato i propri generali
perché godessero di un minimo frammento del suo potere, riflesso nei loro corpi e nelle loro menti;
per un istante, prima che desse loro nuovi ordini.

Viktor, Tristàn, Rekla
Dalys, Tommaso, Zephyr
Avrebbero potuto far ribollire come pentola il gorgo, far del mare come un vaso di unguenti. Nessuno sulla terra sarebbe stato pari a loro, fatti per non aver paura. Li avrebbe temuti ogni essere più altero; essi sarebbero stati i re su tutte le bestie più superbe.

Di per sé, la cima del maniero, appariva molto più modesta del potere in essa racchiusa.
Un piastrellato di marmo bianco senza mura, piatto e quadrato, spoglio di alcun arredamento, con al centro una brutta scacchiera in pietra e dietro ad essa
Ray.
Che passava lentamente le punte delle dita sui suoi pezzi, con l'aspetto di un Dio antico.
Il suo corpo emanava scariche di folgore bianca, e di esso non si distingueva alcun tratto somatico - solo gli occhi, che brillavano come perle di onice fusa nelle proprie orbite, mandando scintille di quando in quando.
Saltuariamente, la pelle del suo corpo nudo e perfetto si contraeva ed esplodeva in una cascata di fiamme di colore pallido, che si schiantavano senza voce lungo il marmo del maniero.
Poco lontano dai suoi nuovi generali e capitani - nelle loro misere spoglie mortali - egli pareva persino più impressionante di quanto non intendesse.
E ciò nonostante, tutta la sua attenzione era concentrata sui pezzi innanzi a lui.

image

Lì, sul campo di battaglia, egli aveva provveduto a muovere pedoni e alfieri perché aprissero la strada ad un utlizzo ardito della regina - una mossa che avrebbe potuto condurlo ad una rapida vittoria, o ad un utile sacrificio del pezzo. In vista di quella seconda ipotesi, le sue dita indugiavano già con ferma intenzione sul cavallo di destra, nell'attesa che il proprio avversario - che non era lì davanti a lui - facesse la prossima mossa.
Come gli era stato insegnato e come poi aveva sperimentato lui stesso nel corso degli anni, le guerre raramente si combattono con le armi e le armature, sul campo di battaglia.
Spesso, si riducono alla semplice e frenetica corsa agli armamenti, così che il portavoce della propria fazione possa farsi fregio di una potenza abbastanza grande da sminuire quella del proprio avversario innanzi al resto del mondo; una forza abbastanza impressionante da inculcare nella sua testa l'idea papabile di una possibile resa, che verrà a concretizzarsi da sola con le proteste dei suoi sudditi.
Finché c'era la possibilità di annichilire l'Asgradel e condurlo all'annullamento volontario, lui non sarebbe sceso in campo.
Non direttamente, almeno.

Per farlo, tuttavia, aveva bisogno di molto più potere di quanto ne possedesse in quel momento.
Poteri che fortunatamente aveva fatto in modo di archiviare; assi nella manica che si era riserbato di non trarre allo scoperto quando avrebbero attirato troppa attenzione.
Armi per indebolire il nemico, o per potenziare lui stesso.

« Tempo fa » esordì senza alcun preavviso, con la presunzione di chi si aspetta che i propri ascoltatori pendano dalle sue labbra in ogni istante « ho soggiogato una creatura che mi ha ispirato nella conduzione dei miei progetti più recenti. »
e alcune delle persone lì presenti avevano assistito; alcune avrebbero potuto prevedere le azioni del sovrano, sentendo parlare di quei "Kodoku".
« Ella era magnifica e perfetta; la controparte naturale di ciò che io sono riuscito a ricreare solo artificiosamente, con mezzi umani. » affermò senza espressione, atono « E decisi di non assimilarla; di non farla mia. »
Allontanò la mano dal cavallo sulla scacchiera e alzò lo sguardo sui propri interlocutori.
« Decisi invece di lasciare un seme dentro di lei. Un seme che sarebbe cresciuto e fiorito col tempo, e l'avrebbe condotta da me a seconda delle necessità. »

Lentamente, mosse qualche passo più leggero dell'aria allontanandosi dal gruppo, verso l'orlo sbeccato dello spiazzo.
Lì, afferrò l'orlo dell'orizzonte con la mano, tirandolo delicatamente verso di sé, dando l'idea spiacevole che tutto ciò a cui i propri generali avessero assistito fino a quell'istante non fosse che un drappo pitturato.
« Qualche giorno fa, ella è giunta al mio cospetto. »
Tirò, e il cielo parve crollare e spezzarsi, rivelando un cadavere che, fino a qualche secondo prima, era celato da nulla più che un sospiro che l'aveva reso invisibile.
« Tuttavia, il Kishin non è più come avrei voluto mantenerlo. »

Innanzi a loro, il corpo macilento del Kodoku, giaceva immobile, come privo di vita, finalmente consono alle proprie fattezze.
Tuttavia, vi era in lui la scintilla della vita; i Bebilith si spostavano sopra il suo corpo pietrificato, piangendolo battendo i cheliceri, con il suono di mille gocce di pioggia.
Stava disteso come una statua, gli occhi vuoti fissi al cielo.

« Pare che egli, poco prima di perdere se stesso nel groviglio del Leviatano, si sia accorto di cosa stava accadendo in lui. »
Non poté che non farsi strappare un sorriso, ripensando al genio della creatura che aveva davanti in quel momento.
« E dunque, per evitare che lo facessi mio e per proteggere i suoi cari, è caduto in una sorta di coma autoindotto. »

Il Kishin
dormiva
così da non poter divenire parte del Leviatano,
così da inabissare la propria mente sotto uno spesso strato di incubi
lontano dalle mani del sovrano, lontano da Ray e dal Leviatano
poiché sapeva cosa sarebbe successo e che poteri avrebbe ottenuto il sovrano
nel caso in cui fosse riuscito a farlo suo. O almeno, lo intuiva.

« Il vostro compito, è semplicemente quello di svegliarlo. »
concluse con malizia malcelata
« Quando sarete pronti a farlo, vi basterà poggiare i palmi delle vostre mani contro il suo corpo.
Delicatamente, prego.
»



CITAZIONE
Iniziamo la quest, finalmente. Prima di tutto, accettate le mie doverose scuse per un ritardo dovuto a un periodo che avevamo pensato molto meno pesante di quanto si è rivelato in realtà.
La situazione è quella descritta nel post, né più né meno. Tuttavia, essendo quello che vi spetta un semplice post di presentazione, ho intenzione di farvi prendere le cose alla leggera. Non è necessario che per questo giro, infatti, rispondiate tutti e sei: mi basta un post per ogni squadra; in pratica, mi basta che posti un solo componente di ognuna delle due squadre, che avrà il permesso di PnGizzare i compagni (concordando con loro sulle loro azioni). Naturalmente, se un partecipante sente di voler dedicare un proprio post per intero, può ovviamente decidere di farlo (possono anche partecipare tutti, volendo. Accordatevi come preferite, a me basta un post per squadra e il numero di post fatti non penalizza né premia in alcun modo i partecipanti - ma la qualità naturalmente sì, com'è ovvio).
Avete una settimana di tempo. Potete utilizzare il topic "Valzer al Crepuscolo" nella sezione "Confronto" per qualsiasi domanda e, naturalmente, per organizzarvi tra di voi nel decidere chi rappresenterà la squadra nel caso in cui non vogliate postare tutti quanti.

 
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J|mmY
view post Posted on 20/4/2011, 19:23




Requiem
«Ritorno alla vita»
[I]

Tutte le creature del mondo
sono come un libro o un dipinto,
uno specchio per noi:
simbolo fedele
della nostra vita, della nostra morte,
della nostra condizione, del nostro destino.
La rosa dipinge la nostra condizione,
del nostro stato è commento appropriato,
è insegnamento per la nostra vita;
mentre fiorisce di primo mattino,
come fiore senza petali sfiorisce
nella vecchiezza della sera.

~

Perciò il fiore respirando spira
mentre impallidendo appassisce,
già morente sul nascere;
insieme antica e nuova,
insieme vecchia e fanciulla,
la rosa sbocciando imputridisce.


• • •

Le caviglie tremolavano, ciondolavano nel vuoto alla ricerca di un appiglio che mai avrebbero trovato, dondolavano convulse e urtavano tra loro. Rekla era ancorata al soffitto, i polsi imprigionati da spesse catene d’acciaio che quasi sanguinavano nella loro morsa.
Come un maiale in attesa del macello, la ragazza era appesa e inerme, vuota e nuda come un verme fuori dal proprio buco.
Poi, all’improvviso, un’ombra, una strana figura che avanzava lenta e decisa, mentre poco alla volta andava rivelandosi alla penombra con una fisionomia anomala, quasi irreale, grottesca: arcuate e villose zampe di capra sorreggevano malamente un busto scolpito, imponente, umano eppure incredibilmente estraneo, freddo eppure inebriato di fulgide gocce roventi. Il fumo, poi, pareva issarsi furente al di là di un volto abominevole e ombrato, ma penetrante e aguzzo come le incandescenti iridi vermiglie che feroce rivolgeva al pasto.

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«C-chi s..»
Le parole le si mozzarono in gola, il tremolio scomparve per lasciar posto alla tensione e all’impotenza. Incapace di ribellarsi, la giovane donna rimase spoglia finanche del suo coraggio, impietrita dinanzi all’incessante avanzata della morte stessa.
L’essere sorrise sadico. Alzando il braccio le indirizzò un’arcaica tiritera che riconobbe come aliena, e ciononostante ne ebbe dannatamente paura.
Da dove veniva, costui?
Chi lo aveva spedito da lei? E, soprattutto, come vi era giunto?
Domande su domande, dubbi su dubbi a cui nessuno avrebbe dato una risposta, ma che in cuor suo Rekla sentiva d’avere ormai da tempo.
Lucifero.
Ripeteva quel nome dentro di sé con immane veemenza, cantilenava una vendetta che bramava sempre più ad ogni suo passo, sempre più ad ogni conquista che il re dei tormenti faceva nella sua fragile mente maledetta.
Una rivalsa, però, che non sarebbe mai stata abbastanza da redimerla.
Il caprone si spinse il tanto sufficiente da fiutare il suo terrore, crepando il suo viso deturpato dalle fiamme di perfida soddisfazione. Poi, gli artigli raggiunsero il suo corpo, e una piccola lama iniziò a premere vigorosa nell'interstizio tra i seni nudi.
La Nera Signora digrignò i denti, ruggì il suo dolore e urlò imprecazioni d’ogni sorta. Ma nulla. Dal suo corpo il verbo pareva come essere stato strappato dal rancore che nutriva giorno per giorno; come un cadavere immolato a una perduta causa, logorava il suo animo con rabbia e sofferenza inaudite, spolpando le sue ossa di quel poco di ragionevolezza che restava, sviscerando e alimentando le sue più insite paure e debolezze.
Sentì il gelido tocco della lama sfiorare la pelle e farsi strada al suo interno, penetrare a fondo, squarciare i muscoli e spingere sulle ossa. Le percepì scricchiolare fastidiosamente sotto l’imponente peso del suo arto, e le parve quasi di morire.
I n f i n e.
Per un attimo le parve di sentirsi come realizzata, realizzata di vedere finalmente compiuto il proprio destino, il suo unico scopo di vita: la morte.
Ma se mai fosse stata così rapida, certo non sarebbe accaduto quel giorno, non lì, non per opera di un abietto servitore infernale.
Lucifero serbava per lei ben altro che del mero divertimento di un mezz’uomo.
Il carceriere sollevò leggermente il braccio, fece cigolare rumorosamente altre costole e afferrò qualcosa. Pulsava.
Rekla alzò lo sguardo, mentre la vita le scivolava sempre più languida tra le dita esili e atrofizzate, come sabbia che placida e serena si dileguava nella voluttuosa danza del vento. L’aria le mancava, ma la tartassante melodia di un tamburo pareva arginarla in sé come un corpo vuoto, strappandola al tanto sospirato epilogo: il suo cuore, pompava frenetico e convulso tra le sporche zanne dell’individuo, che ora più che mai pareva godere del suo odore e prendersi gioco del suo male.

Poco a poco, però, sotto i colpi serrati e decisi di un machete, il Cerbero ricadde a terra, privato di gambe e braccia, denudato, scioccato e sempre più distante finanche dal più labile alito di vita.

«Ecco cosa sei» ringhiò, nel silente stillicidio di sangue, la voce rauca e animalesca della bestia «nient’altro che un pezzo di carne!»

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Quando Rekla riaprì le palpebre, il tepore di una brace rovente le inebriò il viso e la scaldò. Si guardò intorno, ma vide solo un bivacco accesso e la luce del giorno fare breccia nella fitta penombra notturna.
La Constantine vibrava ancora tra le dita, e Rekla carpiva il sibilo della sua goliardica beffa farsi strada imponente dentro di sé. Il solito incubo, il solito dannato incubo.
Di scatto strinse l’elsa e scagliò l’arma dritta verso le fiamme: la lama avvampò qualche istante, divenne incandescente, poi si frammentò e si ricompose nuovamente in mano al possessore, come se mai si fosse mossa.
Conviveva con la maledizione oramai da anni, giorni lunghi secoli che marcavano a ritmo serrato l’irreversibile corruzione che aveva dentro, una parte del suo animo che non le apparteneva ma che sapeva di non poter più scindere da se stessa.
Abbassò lo sguardo e finì a fissare quella bolla, una sferetta lucente al cui interno danzava il liquido argenteo che un tempo era la sua spada. Si compianse, per la sua impotenza, per il gioco di cui era inevitabile protagonista, per le atrocità ch’era costretta a commettere e di cui non sapeva più fare a meno.
I ricordi di lei bambina erano ormai svaniti con quanto rimaneva della sua sottile sanità mentale.
Rekla Estgardel era morta o, forse, mai realmente esistita.

[...]

Il rumore della pioggia era oramai lontano, il cielo plumbeo aveva rimpianto la povertà di un mondo attanagliato dalla morsa della corruzione, di uno sporco incrostato alla pelle di ogni vivente e che ne infettava ogni minuscolo lembo. Ma adesso persino le nubi s’erano arrese, chetandosi alla luce del giorno.
Al suolo era rimasta solo terra umida, sulla quale le piante della Nera marchiavamo orme lente e cadenzate, caute come una belva a caccia della preda.
Incredibilmente, si ritrovò a varcare nuovamente quella a cui un tempo ci si rivolgeva con “entrata del Maniero”, il luogo dal quale era scampata dopo aver sconfitto l’ennesimo, stupido essere umano.
Uomini
si disse
dai loro un filo sul baratro e ci si avvinghieranno come puttane in calore.

Tac - tac - tac
Il meticoloso ticchettio degli stivali scivolava placido e sicuro sulle viscide scalinate che portavano alla cima, la mano sostenuta dall’elsa, pronta a scattare qualora ve ne fosse stato bisogno, e le pupille ferrigne adombrate da palpebre semichiuse e uno sguardo assente.
Una pelle diafana, poi, inebriata dalla delicatezza della seta, lineamenti affusolati imperlati da qualche fuggevole lacrima di rugiada e un morbido crine corvino che s’adagiava cauto sulle scapole sfregiate.
In un mondo normale, Rekla sarebbe potuta essere un’avvenente meretrice, una di quelle che ti lacera col solo desiderio, che ti accarezza con le sue taglienti unghia rosee, per poi abbandonarti nell’insoddisfazione di soffici lenzuola slavate d’un letto non necessariamente tuo.
Tuttavia, il pensiero di poter essere anche solo sfiorata dalla lurida ingordigia di un comune peccatore le instillava una sgradevole buona dose di ribrezzo e sdegno.
Nessun uomo avrebbe mai potuto possederla.
Nessun uomo avrebbe mai avuto l’occasione d’udirla gemere come una cagna, non senza esalare l’ultimo respiro l’istante dopo.

Quando la lunga e interminabile scalata ebbe fine, i gradini sfociarono in quello che parve essere uno spiazzo scialbo e privo di arredi, un quadrato di pietra marmorea che svettava impietoso sull’ombra di un regno estinto e che ora più che mai le trasmetteva pietà e compassione.
Solo allora si rese conto di non essere mai stata sola: altri cinque figuri spiccarono come effigi alla tiepida luce del sole; tra di esse riconobbe immediatamente Tristàn e Viktor, ma degli altri tre avrebbe persino giurato di non averli mai visti prima.
Erano lì, tutti a commemorare la sudditanza al Re che non perde mai, come devoti d’una setta che tutt’ora stentava a morire inevitabilmente tra le pieghe del tempo.
Mai come allora si sentì tanto più fuori luogo.
Propinò qualche passo dietro di sé, accennò di lasciare quel sudicio luogo, poi si fermò.
Qualcuno stava parlando, una figura che finanche lei stessa aveva tralasciato, un essere la cui identità sbocciò solo allo schioccare delle sue labbra.

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R a y

Rekla si voltò e piantò gli occhi scarlatti dritti su quel corpo nudo e scolpito, le cui fattezze erano mutate a tal punto da divenirle quasi estranee.
Sentì la gioia montarle dentro e la rabbia confondersi ad essa in uno spruzzo d'indelebile stupore.
Ray era vivo, lei non era pazza e finalmente aveva l’opportunità di sradicarlo da quel suo ignobile scranno.
Ciononostante, prese coscienza che farlo adesso, tra tutti coloro che poteva dire suoi servi, avrebbe significato morte certa.
Così tentò dunque di farsi forza e deglutire quell’amaro boccone di consapevolezza, faticando a trattenersi e ad assecondare le voluttuose dicerie del fu sovrano.

«Ci hai spinti a combatterci.» esordì pacata e contenuta «Ci hai attratti in questo nodulo di rovine.»
La sua voce parve quasi spezzarsi nel progredire; parola su parola la calma si disperdeva con facilità sempre più disarmante, mentre i suoi occhi scivolavano titubanti sui brandelli d’oscenità che dalle sue dita erano stati plasmati.
Guardò l’abietto, guardò il Kishin.
«E adesso» -pausa- «ci chiedi di assecondare la tua... sadica bramosia di potere?»
Nel pronunciare quelle ultime marcate sillabe, il suo volto si contorse in un’indignata espressione di disgusto.
«Scordatelo. Ricordo ancora bene quell'abominio» mosse l’indice metallico e lo rizzò verso la creatura pietrificata nella sua orripilante turpitudine «e non diverrò anch'io sua schiava.»


SPOILER (click to view)
Dunque, la prima parte di post consiste nella solita/o illusione/incubo di Rekla. Esso altro non è che un macabro gioco di Lucifero, il quale tenta di instillare nella ragazza un pressante senso di impotenza, sfruttando le sue debolezze e i suoi desideri (la morte, in questo caso, rappresenta entrambi) così da renderla più malleabile ed asservibile. Ma il piano del dannato non si ferma solo a questo: costui, infatti, intende far capire a Rekla quanto quest'ultima non sia che un semplice burattino nelle sue mani e, in quanto tale, alla mercé del suo inoppugnabile volere (come, ad esempio, il momento in cui le strappa il cuore o la fa a pezzi). Spero di non essere stato troppo crudo, offensivo o grottesco: qualora ciò fosse accaduto, però, me ne scuso infinitamente.^^
Aggiungo, inoltre, che Rekla ricorda ancora il Kishin e ciò che fece a Claymore nell'Incubo, motivo per cui ha rifiutato di toccarlo.
Infine, ho PnGzzato entrambi i miei compagni semplicemente "notando" la loro presenza sulla cima del Maniero; ciò al fine di evitare un eccessivo controllo dei loro pg e per agevolare un eventuale loro "recupero descrittivo".
Subito dopo la prima parte, la tecnica che viene attiva - pur contro la volontà stessa di Rekla - è la seguente:

CITAZIONE
Formula prima | Ineluttabilità della forma: per le sue particolari caratteristiche, è palese che Abraxas non possa essere solamente un corpo fisico: la lama è un sigillo, energia pura concretizzatasi e consolidatasi nella forma di un'arma, rinchiudendo lo spirito di Constantine al suo interno in modo che esso sia non solo rinchiuso all'interno del brando, ma che lui sia invero parte del brando stesso; del suo filo, dell'elsa, dell'acciaio, dell'osso e delle bende che ne ricoprono l'impugnatura. Essa è dunque ben più di una mera accozzaglia di leghe lavorate e, in quanto tale, la sua esistenza non è legata al mero corpo fisico. Spendendo un consumo Nullo, il portatore potrà infatti frangerla in mille schegge invisibili che si disperderanno per l'aere, prima di ricomporsi improvvisamente nella mano del caster stesso. Così egli potrà recuperare il brando se lontano da lui, se ne è stato disarmato, o ricostruirlo nel caso in cui fosse andato distrutto dai colpi di un bruto; questo, purché la Nera Signora sia in grado di vederlo o l'abbia portato con sé nel corso delle sue avventure: questa capacità non può essere infatti utilizzata per richiamare la lama nel caso in cui essa non sia già nelle sue vicinanze.

Cronologicamente parlando, nonostante abbia postato per primo, Rekla arriva immediatamente dopo tutti voi.
Per il momento ho evitato di riportare lo schema riepilogativo, poiché semplice post di presentazione.
A voi.^^
 
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~ D a l y s
view post Posted on 21/4/2011, 21:01





Sarebbe stato sempre lui, come in un sogno.
Sempre da distante, come durante la favola.
A chiamarla. Sottovoce, da dentro l’anima. Lui che suonava per lei e lei che lo ascoltava. Aveva fatto in modo di poterlo udire sempre, nel profondo degli incubi e durante l’amplesso della passione. Aveva scelto di non poterlo ignorare e lui aveva suonato per lei.
Quella giornata di sangue. Sospirando dolcemente. Aveva scelto di richiamarla alla realtà un’ultima volta.
Si era rialzata, concludendo la propria narrazione. Come se nulla fosse successo.
Si era portata una mano al ventre vuoto, domandandosi se la sua bambina avesse scelto di scappare lontano per farsi rincorrere un’ultima volta. Aveva socchiuso gli occhi alla ricerca di una verità che credeva di conoscere.
Bambina mia, la mamma giocherà con te più tardi.
La mamma deve andare, ora.

E i capelli le aderivano al volto, sudati. E il respiro era mozzo, e il sangue le scivolava addosso e lentamente scompariva, come se tutto non fosse stato altro che un sogno. E come in un sogno la sua schiena dipinta si era inarcata senza sforzo e l’aveva risollevata.
Lei era solo un burattino. Fatto per muoversi agli ordini di colui che l’aveva ordinato, che con mani invisibili l’aveva scelta propria.
E la sua bambina era rimasta a casa.
A casa con papà.
Lasciandola andare, forse rimpiangendola appena un po’, mentre strascicava i passi verso l’ingresso di quella stanza buia. Perché le brave bambine devono fare il riposino fino a che papà e mamma non tornano. E l’onda pece dei suoi capelli era parsa un manto, l’ultimo sipario steso su quell’amore perverso e brutale.
Mentre lentamente il suo passo si faceva più sicuro. Mentre con un’ultima scrollata di spalle non vi era più stanchezza in lei. Gli occhi che si rischiaravano, passando alla solita scintillante maliziosità. Ed era soltanto una ragazzina, una giovane donna accaldata che aveva bisogno di farsi aria. Con un ventaglio, profumo di sudore e battaglia tutto attorno a lei, che emanava dalla sua pelle.
Ma soltanto per pochi secondi, prima che tornasse fresca come dopo un bagno. Prima che le sue labbra e le sue guance tornassero dei primari colori che la contraddistinguevano. Come un dipinto. Come una melodia.
Quella che era sbocciata all’altezza del suo sterno in un fiore umido. Prima soffocata poi sempre più pura, le aveva fatto levare il capo, rivolgerlo verso il fulcro di tutto quel mondo turbolento, di tutta quella realtà che era in realtà solamente fantasia.
Lui la voleva di nuovo.
Non è il papà, bambina. Ma non disprezzare la tua mamma per questo.
E aveva portato una mano al cuore, soffermandosi per un attimo sul desiderio di ascoltare all’infinito. Ma non si poteva fare, non in quel luogo mutevole. Un solo secondo e lei sarebbe potuta scomparire. Mentre lei voleva essere là dove lui stava suonando, là dove avrebbe finalmente avuto il posto che si era guadagnata. La Voce l’aveva chiamata e aveva chiamato anche lui.
Sentiva ancora la sua mano sulla guancia, violenta. E la desiderava sentire ancora e ancora, con la stessa sicurezza, a riportarla indietro così come ora faceva con la propria musica.
Chiuse gli occhi, inspirando un’aria che non era aria e ascoltando il battito del proprio cuore di un secondo, quasi il suo intero essere stesse trattenendo un frammento di respiro. Quasi la vita potesse dilatarsi all’infinito sull’armonica fondamentale di quegli accordi.



Sbattè le palpebre, mentre quella musica lenta si arrestava.
Lo guardò, guardò la sua schiena tesa nello sforzo di trarre l’ultimo suono. Percepì il suo movimento, riuscì a prevedere il suo gesto, lo sentì dentro di sé prima che all’esterno. E si tese lievemente verso l’alto ad accompagnarlo.
Sapeva che lui percepiva lo sguardo di lei. Non avevano bisogno di parlare. Sapeva che lui l’aveva aspettata, ma ora non provava alcuna gioia, come chi abbia semplicemente assolto ad un compito ovvio e non si aspettasse diversamente.
La musica guizzò di nuovo per poi spegnersi, uscire da lei.
Uscire. Come.
Già.
Come
Qualcosa si incrinò dentro di lei, forse un ricordo.
Mamma?
Ma lo scacciò, perché in quel mondo si poteva falsare anche il ricordo. Perché in quel mondo la sua bambina stava aspettando il papà a casa, riposando. Le piccole mani – oh mani così dolci – appoggiate sotto la guancia, inumidite dal lieve respiro.



image



Ma non era lui, non erano loro i veri protagonisti di quella scena titanica. Di quella beffarda scacchiera.
Bianco e nero.
Nero e rosso.
Lei non era che una macchia, un petalo gettato dal vento tra quei pezzi in attesa di muovere. E non servivano parole per capire che la mossa sarebbe stata decisiva. Poteva quasi percepire l’angoscia di quella regina scoperta, le gonne appena sollevate in attesa di sferrare un attacco inevitabile. Il lieve tremore del pensiero, la mano di un padrone esigente e impietoso sulla nuca, proprio come era per loro.
Un padrone senza emozioni, senza volto. Solo due occhi fissi su di loro.
Eppure un padrone familiare. Che emanava molta più coscienza di tutte quelle sagome monocromatiche, sottomesse e indistinte. Di tutti quei corpi pulsanti di inutili passioni. Si erano sfiorati e posseduti sotto quegli stessi occhi che ora li dominavano e li denudavano.



« Il vostro compito, è semplicemente quello di svegliarlo. »



Guardò la creatura dormiente, il suo aspetto rivoltante.
La guardò e si ricordò di averla già vista. Quel corpo straziato, racchiuso in una teca da cui aveva cercato di fuggire. Mentre i suoi tacchi rossi ne macellavano i figli. Parti di un ventre marcio. Uccisi da piedi maledetti dal destino.
Come il suo parto. Un ventre peccaminoso che si era sacrificato per un amore impossibile. Schiacciato da molte menti, da molti giudizi.
Comprendeva quel sonno, quale che ne fosse il reale scopo. Comprendeva il desiderio di obliarsi che l’aveva più volte assalita. Di poter chiudere occhio e sprofondare nell’incoscienza dove non esisteva la paura. E rimanervi, anche solo per un secondo in più, per non dover aprire gli occhi e affrontare tutto ciò che stava oltre le palpebre. Per ritardare quel momento ancora di un istante.
Provò pietà per quel mostro che non aveva alcuna possibilità contro una volontà tanto forte da mutare il mondo.
Lo aveva estratto da un sipario. E il sipario era il cielo. E il fondale erano le loro anime. E gli appartenevano perché le aveva acquistate come ninnoli da quattro soldi e le aveva modellate a proprio piacimento. E ora, che lo condividessero o no, non avevano più scelta.
Come non è scelta la melodia, seppure sembra improvvisata. Come non è scelta la danza, seppure appaia naturale.
E lei doveva tornare a casa. E prima avesse svegliato, prima avesse spento la propria pietà, prima la sua bambina sarebbe stata felice.
La mamma tornerà presto. Tu dormi piccola mia. Fai la nanna.
Un sorriso innaturale si dipinse per un secondo sul suo volto scomparendo subito.
Si portò il ventaglio davanti alle labbra, con la vezzosità che le era abituale. Fissò quel volto senza volto, che avrebbe potuto essere qualunque volto. Fissò quella regina titubante. E gli altri attorno a lei.
Soffio lieve tra le labbra la propria sfida.



Nessuno può resistere al Leviatano. Nessuno può resisterci.
Svegliamo la Bella Addormentata
”.


image



Equipaggiamento: Mietitrice Scarlatta (non utilizzata); Bloody Maries (indossate); Leviatano (in mano)
Consumi: //
Energia Residua 100%
Danni riportati: //
Azioni: Mi ricollego al combattimento contro allea, con Dalys sempre sprofondata a metà tra la coscienza e il sogno. Non descrivo tutto il tempo passato fino al punto in cui giunge sulla cima del Maniero, ma viene guidata lì dalla musica di Tommaso che ha suonato il violino (le corde sono composte dall'anima di Dalys e quindi lei può sentirne sempre il suono). Mi limito a rivolgere la parola ai miei compagni di squadra.
Ho anche ipotizzato che parte delle ferite subite nel duello precedente si sia assorbita con il trascorrere del tempo, ma se così non fosse correggo immediatamente ^^.

Ho usato uno slot per evocare il leviatano in forma di ventaglio tra le mani.

La musica è Cantarella (Vocaloid).
EDIT: inserita la musica che avevo citato ma che poi non avevo messo xD

Passive in utilizzo




Autocontrollo ~ Al 10% Dalys non sviene

Ammaliamento ~ Risparmio energetico dall'1% al 5% per le tecniche illusorie e aumento di un livello dei loro effetti

Intimità ~ Abilità passiva che induce fascino nell'osservatore

Dominio ~ Equilibrio su qualsiasi superficie

Danza di Salomè ~ Sfuggevolezza dei movimenti (abilità passiva)

Equilibrio ~ Equilibrio su qualsiasi superficie



Attive Utilizzate



//



Edited by ~ D a l y s - 23/4/2011, 17:35
 
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Mirkito15
view post Posted on 2/5/2011, 14:41




Le dita corrono lungo la sagoma liscia, marmorea, di un biancastro color d'avorio. Difronte è ebano, scuro, snello nelle forme armoniose. Una scacchiera, simbolo di conflitto, di battaglia fatta non d'armi, ma di attente e studiate strategie; sottili sotterfugi, inganni, distrazioni, capovolgimenti, scambi di pezzi, attacco, resa, un Re che crolla al suolo, sconfitto, ma non mangiato.
Per un attimo Tommaso si chiese se loro fossero dalla parte dei bianchi o dei neri.
E le parole del Re - quello bianco di folgore - annichilirono ogni dubbio.
Sicure dispiegavano la matassa, dando sfoggio di quanta arguzia fosse stata impiegata - nel lungo, estremamente lungo tempo - per ordire quella trama dai colori morti. "Colui che fa proprio il potere del tempo è immortale", il bravo stratega aspetta, non è mai avventato; costruisce un puzzle pezzo dopo pezzo, incastra i frammenti secondo le proprie regole. Non è l'immagine a guidare le sue scelte, ma la sua volontà ferrea di dar vita ad un disegno voluto, preciso, senza sfumature di sorta, concreto come un corpo marcescente presente poco più in là.
A quel punto, bianchi o neri che fossero, sapeva di star combattendo seguendo un percorso obbligato, un sentiero avvolto dall'ombra di un bosco incombente ai lati; allontanarsi significava oblio, dispersione, morte senza speranza.
Decise di seguire il percorso.
In silenzio si avvicinò a ciò che di più vivido potesse palesarsi in un campo di sterminio: corpo a pezzi, lebbroso e sporco, corrotto e marcio. Rabbrividì, giusto un secondo, tremando leggermente come foglia al vento, tenace nell'aggrapparsi al ramo autunnale. Abbassò lo sguardo vergognandosi della sua momentanea debolezza.
Quando lo rialzò vide la Rosa, ascoltò la fiaba, allungò il palmo, toccò il corpo...


CITAZIONE

Tommaso Valbasso
Energie • 100%.
Stato Mentale • Eccentrico.
Stato Fisico • Illeso.
R&C•375 ○ A&V•325 ○ P&Rf•150 ○ P&Rm•500 ○ Ca&M•250
Note • Post di passaggio, niente di ché. Ho interpretato comunque che il senso di potere descritto da Ray si rifletta su un recupero completo dei personaggio, sempre rimanendo in linea con la nuova patch e perciò il 100% di energie.


 
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Zephyr Luxen VanRubren
view post Posted on 3/5/2011, 19:09




Sgranò gli occhi, folgorato dalla stolida consapevolezza che lo trafisse alla visione di quel corpo marcescente.
I pensieri s'accavallarono nella sua mente in una colata d'olio bollente, costringendo il suo corpo a tremare per un istante, obbligando l'orgoglio a rintanarsi spaurito nelle recondita della ragione.
Dislocato dalla mera volontà -ora divina- del Regnante Invincibile, l'essere che più di ogni altro minacciava la fedeltà e l'onore di Cenere, apparve innanzi ai prescelti, pronto a scardinare le certezze e il gelido entusiasmo acquisito in seguito alla chiamata sulla cima del Maniero. Proprio lì, dove il potere del Re distorceva il mondo intero, dove Zephyr sentì di aver raggiunto il picco massimo del suo essere suddito, il Kishin si era materializzato.

Come se il Re volesse punirlo dopo averlo scelto tra i mille del Leviatano,
come se quel mostro contasse davvero più dell'intero Clan
l'orgoglio di Zephyr Luxen VanRubren venne rimesso in riga

Gettato dalla torre più alta, lanciato nel vuoto di una malinconia soverchiante.
Allungando il braccio verso un obiettivo impossibile, questi non può far altro che allontanarsi ogni volta di un poco, per rimanere tale.

Come quella notte.
Dannata e maledetta. Tiepida e conturbante.
Lo sguardo si spostò distrattamente verso la Rosa, sfuggevole oggetto di un desiderio ormai soddisfatto, chiedendosi se, senza l'abominio che riempiva i suoi pensieri, i loro destini si sarebbero incrociati lo stesso, errando nei meandri contorti di un coacervo emotivo sporcato dal dubbio che senza di lui non l'avrebbe mai conosciuta. Conosciuta davvero. Come ora.
Non volle pensarci. Non quando le risposte potevano significare un debito nei confronti dell'essere che attirava a tal punto le attenzioni e gli elogi del Monarca -e le Sue parole lo confermarono con cinico tempismo- da scatenare in lui una smodata g e l o s i a.
Il Kishin era senza eguali; perfetto nella sua mostruosità.
Eppure, per quanto non avesse intenzione di contraddire il suo Signore, Zephyr non riusciva a scorgere l'ambito nel quale un mostro simile potesse essere superiore a lui. E, rattristato dalla propria cecità nel discernere le qualità, il ragazzo abbassò le iridi malinconiche sul mostro.
Perchè non poteva lasciarsi distrarre dai ricordi.
E dal rancore.
E dalla gelosia.
E dalla Rosa.

Attese quindi il procedere prima dalla Principessa e poi del Musicista Duca, suo eccentrico pari del quale stava cominciando ad apprezzare le qualità, prima di muoversi a sua volta, il passo compassato, lo sguardo assente, verso il simulacro del suo tradimento.

« Il vostro compito, è semplicemente quello di svegliarlo. »
Di svegliare una creatura che lui odiava. I n v i d i o s o come non mai dell'interessamento del Re nei suoi confronti.
« Quando sarete pronti a farlo, vi basterà poggiare i palmi delle vostre mani contro il suo corpo.
Delicatamente, prego.
»

Rosi da un astio debitamente celato, gli occhi batterono lentamente, accompagnati da un sospiro appena percettibile.
Le gambe si flessero. Il suddito s'inginocchiò.
image

« Obbedisco. »

Ovviamente. Come sempre.
Se quello era il suo compito, lui l'avrebbe portato a termine.
Nonostante tutto.
Malgrado se stesso.



SPOILER (click to view)
Energia Rossa
Energia 100%
Consumi:

Equipaggiamento
- Pantagruel (daga)
- Kaitse (spada a due lame)[x]
- The Long Walk (stivali)
- Occhio della Lince e del gatto [+50 PeRm e ReC]
- Linfa Vegetale (ridona il 10% di mana)

Status Fisico: //
Status Psicologico: disturbato dalla presenza del kishin
Forma: Umana


[ReC 375] [AeV 300] [PeRf 100] [PeRm 400] [CaeM 175]

Abilità passive:



CITAZIONE

la R e s i s t e n z a dell'Oracolo
Risparmio del 3% su ogni consumo e azzeramento dei tempi di concentrazione [Pergamena Risparmio Energetico + Passiva di Azzeramento Tempi di Concentrazione] Capacità di combattere anche sotto il 10% di mana [Pergamena Aura di Energia; +50 ReC, -25 PeRf]
Tre slot in caso di immobilità
[Passiva del Terzo Livello Metamagia]


CITAZIONE

T e r r i f i c a è l'anima dell'angelo di cenere
Terrore psionico passivo contro pg di livello energetico inferiore e che non siano angeli [Passiva Razziale Avatar + Effetto scenico in Forma Angelica] passiva di Auspex fisico [Bracciale dell'Auspex]


Azioni: In pratica aspetto che la Rosa e Tommy facciano la loro mossa, per poi farmi avanti e obbedire al Re.
Note: Allora, ho riscritto questo post almeno cinque volte, e devo dire che le altre versioni erano lunghe almeno il triplo, quindi, come post introduttivo non mi da niente di che lamentarmi.
In pratica, la note del ballo, durante l'abiezione, Zephyr aveva scelto di killare -senza riuscirci- la versione kishin di Blame, mancando quindi di concentrarsi sulla liberazione del Re. E da questo nascono quindi i diversi riferimenti al "tradimento" perpetrato da Zephyr verso il Re, del quale la Rosa -tra l'altro- è a conoscenza. Inoltre, per via delle attenzioni che il mostro suscita nei confronti di Ray, Zephyr è invidioso del mostro.
Nel caso si rendano necessarie altre specifiche editerò spiegando bene il tutto -ovviamente fino al successivo post del qm.

- Ho omesso il fatto delle ferite e gran parte dei dialoghi, spero di non aver creato problemi.


 
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view post Posted on 5/5/2011, 11:39
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Allungando lo sguardo alla base del proprio maniero e al ciò che non c'era più che si estendeva al di là d'esso, il sovrano passò qualche meditabondo istante a decidere della sorte del proprio fu generale.
I tamburi e le melodie degli orchi gli ispirarono l'idea di gettare Rekla direttamente nelle loro mani, lasciando che se la passassero a turno, possedendola da dietro con più forza possibile, com'era usanza di Gruumsh; alcuni si sarebbero tagliati la gola a vicenda pur di tenere per sé il bottino di una donna umana in salute - una servitrice perfetta, in grado di adempire a qualsiasi compito le venga assegnato, sia esso di natura sessuale o meno. Di quel tempo, le ancelle erano divenute più rare e quelle rimaste perivano spesso per lo stress fisico alle quali venivano sottoposte. Rekla, tuttavia, era sufficientemente in salute da poter sopportare qualsiasi abuso per lungo tempo, senza morire.
Convenne che non avrebbe potuto trovare un dono migliore per l'Hoepriester - non fosse per la tempra e il carattere impetuoso di lei.
Si girò a guardarla come se non fosse altro che il cavallo più selvatico della propria stalla, meditando con sufficienza sul suo abbattimento o per quale altro utilizzo avrebbe potuto impiegarlo.

Per fortuna, gli uomini non sono cavalli;
possono essere educati
con maggiore rapidità: basta un trauma, un'esperienza, un dolore.
Lui lo sapeva;
era stato uno di loro, un tempo.

image

Pochi attimi dopo che i suoi veri generali avessero posato la propria mano sul corpo macilento del Kishin, tutti e cinque persero i sensi e caddero al suolo privi di alcuna forza che avrebbe potuto trattenerli in piedi. Prima che Rekla vedesse in questo la conferma delle proprie paure, tuttavia, la lucida pavimentazione di marmo sotto di lei si spaccò con un boato.
Krrr-aooom - fece il soffitto del maniero, quando la mano artigliata di Chevalier emerse da sotto di esso, facendolo esplodere in mille schegge e chiudendosi lungo la caviglia della fu generale.
Rekla combatté.
Pur sorpresa, pur in netta inferiorità, ella combatté con tutte le sue forze per liberarsi dalla stretta del golem e eliminarlo.
Ricorse ad ogni sua capacità e, tuttavia, ogni volta che si ritrovava ad utilizzare uno scudo energetico di troppo, o si sbilanciava in una mossa troppo ardita, il sovrano socchiudeva le palpebre in un gesto di liquida compiacenza e, sollevando l'indice verso di lei, le scaricava una bordata d'energia nel fianco, sbalestrandola in terra e provocandole un danno doloroso, ma mai fatale.
Capitò che Chevalier riuscisse a colpirla in pieno volto, schiacciandola in terra. Capitò anche che fosse Rekla a superare le sue difese e danneggiarlo.
Ma, inesorabilmente, la ragazza finì col disperdere tutte le proprie energie.
Il corpo butterato finì col rovesciarsi in terra, incapace di continuare a combattere, ricoperta dai segni che gli aveva lasciato un avversario troppo grande per lei.
Innanzi a lei Chevalier la studiava con sguardo di ghiaccio, rantolando pesantemente. Aveva perso l'intera parte sinistra del suo corpo e diverse dita della mano destra.
E tuttavia, nella sua sclera bianca e vuota si rifletteva un'inesorabilità che rendeva tutti quei danni, per quanto gravi, inesistenti.
Come se anche i suoi pezzi divisi avrebbero potuto rialzarsi e lanciarsi autonomamente contro i propri nemici; come se non sarebbe bastato distruggere il suo corpo per impedirgli di difendere il proprio sovrano.
Nei suo sguardo spento, riluceva la scintilla dell'immortalità.
E mentre Rekla ne restava incantata per alcuni attimi, Chevalier alzò le due dita rimastegli della mano destra e le allungò verso il sesso di lei.

Forse nessun uomo avrebbe potuto mai possederla.
Forse nessun uomo l'avrebbe sentita gemere come una cagna.
Ma al Re, seduto poco lontano, a studiare la scena, sarebbe bastato nutrirsi di quei brevi attimi di violenta sottomissione. Bearsene con lo sguardo e rivolgere a loro la sua più malcelata sufficienza.
Poiché egli non era più uomo, né umano. E tuttavia lo era ancora nella sua più primitiva essenza.

Eppure, all'ascoltare le grida di dolore di Rekla che veniva penetrata con violenza
innanzi alle lacrime che le rigavano il viso - alle labbra che sanguinavano e alle braccia che si dimenavano senza forze
egli
non sentì
nulla.

_________________________________________________________

Luna nel Deserto non era una ridente cittadina.
Come si può intuire dal nome, ella si ergeva fra le dune del così detto "mare senza onde", uno dei deserti più piccoli e al contempo più aridi del continente, come una perla di marmo bianco. Era esistita sin dalle razzie del Mezzodemone e, con ogni probabilità, persino da prima ancora. Situata all'incollatura di una frattura dimensionale, il suo corpo era stato generato prima ancora che venisse abitato, così che i primi uomini a trovarla si insediassero nelle già erette costruzioni, edificate da forze incomprensibili.
Nulla di tutto questo, tuttavia, aveva impedito che al suo interno si sviluppasse un governo organico; né le maledizioni degli spiriti antichi, né le incursioni di abitanti extraplanari, né i campi di briganti a cui era stato dato misericordiosamente il nome di Dispersi. Un sistema linfatico strutturato perché vi fosse sempre qualcuno a difesa della città; possibilmente il più saggio fra gli abitanti - affatto il più ricco, o il più facoltoso.
Così Cheval Cyrill Gaillard - uomo del popolo, opinionista, politico, alchimista e valente oratore - ultimo per discendenza della nobile stirpe dei Gaillard, figlio di Tywin, e cittadino più in vista - nonché più potente - di Luna del Deserto, non era al potere, né mai lo sarebbe stato.
Al posto che chiunque avrebbe detto gli sarebbe spettato, stava invece il Gran Maestro Virgil Poole, uomo che a breve avrebbe superato il secolo, sorretto dal suo attendente e magister (Magistrato) Raeghar Blackwood, che a discapito del nome altisonante, non era che un piccolo, piccolo, piccolo uomo.
Tuttavia, nulla di tutto questo dispiaceva, a Cheval.
La sua posizione libera ma facoltosa gli aveva permesso di costruirsi una fama slegata dai doveri di una carica politica influente, nonché di condurlo lungo strade che sarebbero state giudicate inappropriate per chi avrebbe dovuto guidare la cittadina.
Egli aveva potuto visitare bordelli, conoscere il popolino, avere decine di figli bastardi, assistere i più deboli con le sue stesse mani - piuttosto che per mezzo d'altri - e combattere in prima linea contro le creature malefiche che abitavano il deserto, o i branchi disorganizzati di Dispersi.
Il pezzo degli scacchi del Cavallo, rosso su campo grigio, simbolo della sua famiglia, era divenuto uno stemma per chiunque intendesse vivere la propria vita appieno, in maniera sia avida che intelligente, sia buona che potente, seguendo il suo esempio.
Chiunque aveva almeno una ragione per ammirare Cheval.
C'era chi lo adorava per la volta in cui aveva respinto un assedio dei Dispersi alle porte della città con solo la sua guardia personale. Chi lo ammirava per averlo visto portarsi a letto più di tre puttane contemporaneamente. Chi aveva avuto la vita salva grazie al suo intervento magico, che aveva risanato i campi essiccati della propria famiglia.
E benché tutte queste cose stessero svanendo, sull'orlo dei quarant'anni, nessuno avrebbe mai potuto affermare che Cheval non fosse stato un uomo che aveva vissuto la propria vita appieno, godendo del proprio non essere al potere e facendo di questo un'armatura - una forza - uno scudo, invece di creparne nell'invidia, com'era stato per alcuni dei suoi precedessori.

Naturalmente, tuttavia, dove sta l'amore del popolino, sta il disprezzo dei potenti.
Per chi ha effettivamente capacità decisionale è difficile accettare la presenza di un "semplice" cittadino in grado di riscuotere più successo politico di se stessi. Ed è difficile ignorarlo ancor più quando esso prende parte attivamente alla vita amministrativa del borgo, assecondato da tutto il suo seguito. E' impossibile, poi, non considerarlo una minaccia al proprio potere.
Le guerre d'opinione fra Cheval Cyrill Gaillard e Raeghar Blackwood - che fra le altre cose aveva anche il dovere di essere portavoce del Gran Maestro Poole, ormai troppo anziano per poter presenziare a qualsiasi riunione - erano note a chiunque a Luna nel Deserto, e avevano ormai raggiunto proporzioni storiche.
Quando il primo votava per l'intervento diretto, il secondo si richiudeva nella pazienza e nella codardia.
Quando il secondo appoggiava l'idea di sfruttare a proprio vantaggio la presenza della corruzione, il primo intendeva eradicarla fin dalla fonte.
Due uomini differenti - due diverse linee di pensiero - che si erano combattute nell'amministrazione (ufficiale ed ufficiosa) del paese fino a quel giorno.

Il tribunale era gremito, come sempre accadeva in quelle occasioni.
Raeghar Blackwood sedeva nella posizione sopraelevata del giudice, circondato dai propri attendenti. Si lisciava la barba scura con mosse lente e calcolate, come se la stesse spazzolando. Era vestito di seta azzurra e, per quanto in alto potesse sedere, nulla avrebbe potuto nascondere la sua infima statura, mascherata da un gigantesco copricapo simile a un turbante, che avrebbe dovuto dare l'idea di un secondo capo poggiato sopra al suo primo.
Cheval, dal canto suo, stava su un piccolo palco alla sua sinistra, circondato dagli uomini della propria guardia personale, in attesa del verdetto della giuria.
Aveva gli stopposi capelli biondo sabbia tagliati corti e sul suo viso segnato dall'età si potevano distinguere i tratti forti e schiacciati che l'avevano maledetto fin dall'infanzia. Checché ne raccontasse il popolo, non era certo per il suo aspetto fisico che era riuscito a conquistare due mogli e una quantità incalcolabile di baldracche.
Sotto i suoi occhi si aprivano due borse scure e fra le sue labbra si allungava una paglia dal quale si alzava un piccolo filo di nebbia grigia. "Balocchi da Alchimista" le chiamava Raeghar con disprezzo, senza sapere che il fumo era un'attività ormai famosa e condotta in diversi paesi al di là del mare senza onde.
Quel giorno, Cheval aveva deciso di portare i colori della propria casata. Indossava lunghe vesti da beduino color porpora strette da cinghie grigio chiaro lungo la vita, il torace e sugli spallacci. Gli stivali erano stretti lungo i piedi tanto quanto le numerose fasce scure che ricoprivano il vestito, facendo sì che svolazzasse il meno possibile - aveva sempre odiato la tendenza dei propri confratelli stregoni ed alchimisti ad indossare quelle che i guerrieri più rozzi non avevano mai esitato a definire gonnelle, ma non poteva sottrarsi alle consuetudini del proprio ordine. Non del tutto, quantomeno.

Checché se ne lamentasse, comunque, rimaneva meglio vestito dei sei condannati di quel giorno.
Quattro uomini e due donne, tutti Dispersi, incatenati ai polsi e alle caviglie e abbandonati lungo il marmo lucido innanzi al podio dove sedeva Raeghar.
I loro corpi erano ricoperti da stracci che lasciavano ben poco all'immaginazione, abbandonando le loro virilità allo scoperto, senza che avessero la possibilità di coprirsi.
Non avrebbero di certo patito il freddo, lì nel mezzo del deserto, ma ciò non avrebbe mai giustificato un simile trattamento.
Cheval scaracchiò in una sputacchiera lì accanto prima di sollevarsi e rivolgersi a loro.

« I vostri crimini vanno dall'omicidio allo stupro; dal furto alla frode; dal tradimento all'azione di guerra pianificata. »
Raeghar sbuffò sonoramente, ma Cheval procedette fingendo di non averlo sentito.
« Avete chiesto un processo che non meritate, ma noi abbiamo avuto la clemenza di concedervelo. »
Si allontanò dalla propria guardia, allungando lo sguardo sui propri interrogati.
« Immagino che intendiate dunque discolparvi dai vostri crimini. »



CITAZIONE
Eccoci qui.
Dunque, spiego bene cos'è successo. Dopo aver toccato il Kishin, i vostri personaggi hanno perso i sensi e si sono ritrovati a Luna nel Deserto, una cittadina non troppo piccola al centro del mare senza onde, una pianura senza vita. Voi siete, nel particolare, i sei Dispersi incatenati contro i quali è stato indetto il processo. Siete accusati delle turpitudini peggiori e non avete idea della ragione per la quale vi trovate lì, né come ci siate arrivati. Vi è stata data tuttavia la possibilità di discolparvi dai vostri crimini, ed è questo ciò che dovrete fare nel vostro prossimo post (oppure potrete agire come ritenete più consono faccia il vostro personaggio). Non avete né armi né vestiti né artefatti; siete incatenati e incapacitati a muovervi.

Importante: Il tribunale nel quale vi trovate è gremito di persone ma, a parte i sopra nominati Cheval Cyrill Gaillard e Raeghar Blackwood, tutti gli altri sono dei corpi morti in vita. Ciò non è stato descritto nel post poiché Cheval e Raeghar si comportano come se tutto fosse normale, senza badare all'aspetto delle persone intorno a sé. In pratica, tutti gli abitanti di Luna nel Deserto meno i due succitati sono morti. Certo, i loro corpi si muovono come se fossero in vita, come se fosse tutto normale, ma in realtà sono scheletri che parlano come se nulla fosse, cadaveri dal capo squarciato, corpi affetti da malattie lezzose e - più di quanti riusciate a contarne - membra carbonizzate (i cadaveri bruciati compongono la maggioranza delle persone che riuscite a vedere). Il tutto, tuttavia, sembra normale: i morti parlano, respirano e si comportano come se fossero vivi a tutti gli effetti solo che sono... uh, cadaveri.

La quest si svolgerà in maniera molto semplice: ad ogni turno verrà eliminato il personaggio che riterrò si sia comportato in maniera peggiore, secondo i criteri di Scrittura, Strategia, Sportività, Coerenza, Iniziativa e Puntualità, più chiunque non abbia risposto entro i limiti di tempo proposti. Al termine, supererà il secondo giro del valzer la squadra di cui almeno un partecipante sia giunto al fondo della quest (ovvero, la squadra cui tutti e tre i partecipanti non siano stati eliminati). Ad ogni eliminazione stilerò dei brevi giudizi che giustificheranno la mia scelta - insindacabili, come di norma.

Per ora, il vostro compito è quello di reagire come preferite nei panni dei sei Dispersi in processo, ben sapendo che vi è stata data la possibilità di discolparvi da quei crimini dei quali siete accusati ma che non ricordate affatto: a tutti gli effetti, l'ultima cosa che ricordate è quella di aver toccato il Kishin sul soffitto del maniero. Mi raccomando, reagite in maniera coerente sia alla quest che al vostro personaggio.

Rekla non è stata eliminata dalla quest; le viene altresì inflitto autoconclusivamente il trattamento riportato nel post, dopodiché anch'ella si ritrova assieme ai suoi compagni e alla squadra avversaria incatenata innanzi a Raeghar Blackwood, senza ricordare di aver toccato il Kishin; le sue memorie si interrompono allo stupro da parte di Chevalier.

Per qualsiasi domanda, avete la possibilità di utilizzare il topic in confronto, che ha la funzione di bando. A tal proposito, può essere utilizzato anche per organizzarvi tra voi. Avete dieci giorni per postare e non vi è una turnazione, mettetevi d'accordo se dovete/volete, preparate i post e avete il permesso di pubblicarli in qualsiasi ordine preferiate.



Edited by Ray~ - 5/5/2011, 13:13
 
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J|mmY
view post Posted on 5/5/2011, 16:53




Valzer al crepuscolo
«Ritorno alla vita»
[II]

La bella donna che cotanto amavi
subitamente s’è da noi partita,
et per quel ch’io ne speri al ciel salita,
sí furon gli atti suoi dolci soavi.

Tempo è da ricovrare ambo le chiavi
del tuo cor, ch’ella possedeva in vita,
et seguir lei per via dritta expedita:
peso terren non sia piú che t’aggravi.

~

Poi che se’ sgombro de la maggior salma,
l’altre puoi giuso agevolmente porre,
sallendo quasi un pellegrino scarco.

Ben vedi omai sí come a morte corre
ogni cosa creata, et quanto all’alma
bisogna ir lieve al periglioso varco.


• • •

Combatti l’oscurità, Rekla.

La parole spezzate aleggiavano fiacche nella mente come fantasmi sospinti da un labile anelito d’aria, placati dall’incessante rigurgito d’anni che li aveva accolti, sepolti dal sozzo terriccio bruno e marchiati a fuoco da un triste e lugubre epitaffio.

Purga il tuo animo corrotto.

La voce del maestro irrompeva nello stomaco con ferocia inaudita, mentre gli arti scivolavano nel vuoto involontari ed istintivi, vuoti e glabri come la pelle putrida e marcia di un corpo morto che non ha più alcuna ragion d’essere, ma a sufficienza per sopravvivere, per resistere.
Il respiro affannato si perdeva confuso a movimenti sconnessi, il cuore palpitava irruento e nervoso, premeva con nerbo sulle sottili ossa del torace, e la vista quasi l’abbandonava nel solerte progredire di quell’irreale miasma d’incubi e ricordi.

Svuota la mente e colma il cuore.

Ma lei non poteva, non più oramai.
Lei non aveva cuore.

Quando il silenzio tramontò sulla scena con la stessa leggiadria di una materna carezza, la Nera Signora tacque, smise di ansimare, si chetò e pianse.
Limpide lacrime le rigarono il volto lurido di polvere, tracciando solchi profondi a tal punto da scavarle ogni fibra dell’animo, da suggellare la morbida pelle con l’infido marchio della sofferenza.
Poi, il f r e d d o;

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lo sentì investirla d’improvviso, lo sentì farsi strada per le sue cosce nude, salire voglioso e premere a fondo, sempre più a fondo, e ancora, e ancora, e ancora.
La durezza di quell’attimo rasentò l’inverosimile, la possanza con cui le tozze falangi dell’essere violarono le carni parve quasi irreale e prematura.
Rekla rimase immobile, inerme, impotente, spoglia finanche della più misera voglia di vivere. Sentì il potere fluire nel ventre e beccheggiare tra le interiora come un viscido verme di ghiaccio, sentì la carne farsi fragile al suo tocco e il corpo perdere sensibilità e vigore ogni attimo di più, fino a mozzarsi di singhiozzi e singulti, di deboli gemiti e inconsapevoli vagiti.
Era niente più che una bambola di pezza, ora, un fantoccio sazio d’ira nelle mani dell’inferno, che poteva stuprarla, possederla e farla sua in qualsivoglia istante lo volesse.
Era vuota.
Vuota e sola.

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Quando le palpebre si schiusero sulla folla, le ci volle qualche rapido secondo perché i suoi occhi prendessero coscienza di ciò che incoerente le si era improvvisamente mostrato dinnanzi.
Organi sbrindellati, ossa maciullate e muscoli divelti facevano da cornice a un momento inenarrabilmente banale: vincolata al marmo cereo per i polsi e le caviglie, con indosso solo pochi stracci e il corpo ancora dolente, Rekla allungava inquisitoria lo sguardo da una parte all’altra del bislacco auditorium.
Cadaveri putrefatti e sozzi di sangue – eppure dannatamente vivi - si disperdevano a macchia d’olio tutt’intorno ad uno alto podio dove sedeva un piccolo uomo sfarzoso - ancora intero - che si carezzava meccanicamente una lunga barba ispida e scura, quasi fosse stranamente nervoso. Indossava un appariscente copricapo quanto simile a un turbante e una delicata veste di seta azzurra, la cui pregevole fattura avrebbe catturato persino il più restio dei cleptomani.
Dalla sua tronfia espressione di superbia, però, parve poi saettare un sonoro sbuffo di tedio, non appena una seconda elegante figura sprizzò dagli spalti palesando il suo chiaro intento a prendere parola.

«I vostri crimini vanno dall'omicidio allo stupro; dal furto alla frode; dal tradimento all'azione di guerra pianificata.»
Omicidio? Frode? Stupro? S t u p r o… ?
Le pupille guizzarono a destra e a manca: sul volto del magister, poi sull’interlocutore e ancora sulle catene che la arpionavano come un segugio al guinzaglio.
«Avete chiesto un processo che non meritate, ma noi abbiamo avuto la clemenza di concedervelo» continuò l’uomo con voce sicura e querelante, mentre Rekla strattonava rabbiosa le braccia e mugugnava tra sé.

«Daj mi meč» bisbigliò pacata.
«Immagino che intendiate dunque discolparvi dai vostri crimini.»

«Ge mig ett svärd» sillabò una seconda volta.
Il corpo della fanciulla iniziò a tremare e contorcersi, come afflitto da una convulsa crisi epilettica, assumendo pose innaturali e oscene, macabre e grottesche, battendo i denti come fossero le fameliche fauci di una fiera impazzita.
Sclere vuote e slavate, dunque, sgusciarono dal volto e s’issarono al cielo, come ad invocarne l’oltraggiosa presenza tra gorgoglii ed indecifranbili intrugli di parole, tra latrati e strida sguaiate.
«Bana kılıç ver.»
La voce ne uscì distorta e rauca, animalesca, graffiante e ritmata, quasi fosse intenta a cadenzare a passo lento il gelido avanzare della nenia che andava intonando oramai sempre più ferocemente.

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«D-at-e-mi la s-pa-d-aaaaaa!!»


SPOILER (click to view)
Ho solo un paio di note da fare:

- ho evitato di riprendere le dinamiche "Rekla vs Chevalier" per raccontare il fenomeno dall'interno della ragazza, motivo per cui appare piuttosto ristretto - seppur volontariamente.
- le frasi iniziali sono un'eco nella mente di Rekla, mentre fronteggia Chevalier.
- le frasi che vanno ripetendosi nella parte finale, invece, significano "Datemi la spada" (il Diavolo, secondo la mitologia, conosce tutte le lingue del mondo).
- il senso di quest'ultime è dovuto al fatto che, come penso saprete, il potere di Rekla e il cuore dell'intera maledizione sta proprio nella spada, la quale funge da argine alla possessione; motivo per cui Rekla sorbisce tutto quanto descritto a fine post una volta sprovvistane.
- chiedo scusa per la brevità a dir poco inusuale del post, ma è stato un tantino difficile stilarlo, e spero d'esserne uscito quanto meno dignitosamente. Scusate ancora.^^
 
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~ D a l y s
view post Posted on 8/5/2011, 16:28






Il Giudizio Vien Dal Mare e Sta Per Essere Emesso
Nessuno Puo Liberarsi Dal Peccato Che Storre Nelle Vene



Socchiuse lentamente gli occhi.
Le palpebre erano pesanti, tanto tanto pesanti. E dire che si era ripromessa di svegliare la bella addormentata. Forse l’aveva contagiata con la propria malattia, trascinandola nel sonno. Forse labbra amiche l’avevano sfiorata con dolcezza riportandola in vita.
Socchiuse gli occhi e stiracchiò un sorriso sornione di sarcasmo. Sarebbe stato un bel sorriso, davvero uno dei suoi sorrisi migliori. Di una Danzatrice sicura di poter finire in fretta il proprio compito e tornare a casa dalla propria bambina.
Freddo.
Si domandò se fosse semplicemente una folata di vento o forse se il Sovrano avesse scelto di portare l’inverno.
Intorno ai polsi.
Aggrottò la fronte, senza riuscire ancora a mettere chiaramente a fuoco ciò che si rifletteva sulle sue iridi. Non comprese subito. O forse semplicemente non volle.
Freddo.
Alle caviglie, là dove il peso del mondo pareva essersi concentrato.
E notò di essere in ginocchio, come se stesse pregando un qualche dio in cui non credeva.
A tutto il corpo.
E fu allora che se ne rese conto.
Quando provò ad alzare la mano per stropicciarsi gli occhi e stiracchiarsi. Quando tentò di muovere la propria schiena affusolata in una curva sensuale. E si trovò bloccata al proprio posto, come inchiodata da un peso anomalo. Forzata a guardare avanti, e stranamente stanca. E stranamente.
No. In realtà non troppo stranamente.
Nuda.
Sbattè gli occhi una, due volte, guardando il proprio corpo emergere dalla stoffa strappata. O forse la stoffa semplicemente tentare inutilmente di conquistare il suo corpo come un’edera intenta a colonizzare un’elegante parete di marmo.



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Perché?



Questo si domandò senza guardarsi attorno, semplicemente fissa su se stessa. Non ricordava di aver combattuto, di essere stata spogliata. Non ricordava di essere stata imprigionata. Eppure pareva aver lottato come una tigre ed essere stata torturata.
I ricordi le erano forse stati cancellati? Forse la missione era già completa? Forse la sua bambina la stava aspettando e lei non era tornata.
A quel pensiero una morsa gelida le avvolse la fronte come una corona, facendole levare il capo di scatto.



The Sound Of The Sea's Rumbling Made The Black Clouds Gather
Even The Wind Is Summoning A Storm
The Mysterious Words Made The Witches Smirk
The Banquet Of The Irregular Night Repeats Itself Again And Again



Loro erano attorno a lei.
Incatenati, ma non fu questo a colpirla particolarmente. Non ci fu imbarazzo in lei, non il tentativo di nascondere quella nudità che buona parte di loro conosceva.
Un brivido la percorse, perché anche loro erano nella sua stessa condizione. Poteva percorrere i loro ventri scoperti, il petto e le spalle. Là dove le sue mani una volta si erano posate con voluttà, scoprendoli lentamente, guidando i loro mantelli verso terra. Fissò l’angelo con cui aveva giaciuto, la memoria della sua pelle ancora impressa sulle proprie labbra screpolate. Erano come allora, eppure era tutto così diverso, così paradossale.



Perché?



E oltre il muro della loro spossatezza parevano esserci degli spettatori, come se quello non fosse niente altro che un macabro palco. Parevano bisbigliare e muoversi concitati. Parevano nutrirsi della loro immobilità. Eppure non avevano alcun bisogno di nutrirsi, né di bisbigliare, né di muoversi.
Perché nessuno di loro avrebbe dovuto essere lì. Erano tutti.
Tutti.
Si bagno le labbra con la lingua, cercando di svegliarsi da quell’incubo assurdo.
Tutti morti. Corpi marcescenti intenti a recitare nello spettacolo della vita. Forse ad espiare un peccato che li costringeva in catene non troppo dissimili dalle loro.
E avrebbe voluto staccare gli occhi da quello spettacolo orrendo, ma qualcosa la calamitava, come se fosse ipnotizzata.



Forse anche tu sei qui, bambina mia?
Qui tra questo pubblico?
Sei forse tornata a prendermi?



La cercò disperatamente, le labbra socchiuse.
Fino a dove il suo sguardo riusciva a spingersi.



Sta Nel Male
The Golden Butterflies Are Dragged Into Hell



« I vostri crimini vanno dall'omicidio allo stupro; dal furto alla frode; dal tradimento all'azione di guerra pianificata. Avete chiesto un processo che non meritate, ma noi abbiamo avuto la clemenza di concedervelo. »



Il Peccato
Thier Wings Were Also Tainted By Sins



Fissò gli occhi su di lui, come se la sua voce fosse riuscita ad attirarla in una nuova trappola.
Accusatore, forse giudice, quale che fosse il suo ruolo non le piaceva. Era brutto, di quegli uomini che nelle favole si ricollegano al mostro o al cattivo. E pareva intenzionato a toglierli di mezzo. A non farla tornare a casa mai più, ammesso che lei avesse ancora una casa. Che il tempo fosse trascorso clemente. Che la sua bambina – la sua bambina non poteva essere lì, vero? – fosse ancora ad attenderla.



« Immagino che intendiate dunque discolparvi dai vostri crimini. »
«D-at-e-mi la s-pa-d-aaaaaa!!»



Non aveva senso, no. Alcun senso.
Perché lei aveva commesso molti crimini, certamente, ma non quelli. Quelli non li ricordava. Eppure c’erano le catene, le torture, loro abbandonati in quella sala.
Ed erano nudi, un po’ come i primi uomini davanti al giudizio di Dio. Ed attorno a loro c’era solo la morte, quasi fossero alle soglie del Paradiso. E due spiragli di vita, apparentemente follemente ignari di tanta morte, pronti a garantire anche a loro l’inferno.



Don't Cry, Destroy These Captured Illusions
Just Once, Raise Above Your Demise
The Unfullfillable Promise Burns Into My Heart
And Stirs The Deep Red



Si domandò se non fosse tutta una scusa. Se loro in realtà non sapessero la verità, ciò che lei – bambina mia! – aveva veramente commesso.
Ma non pareva avere senso. Appoggiò la testa sulle gambe, annusando l’odore del proprio sudore. Era acre, come se non si lavasse da tempo. eppure credeva fossero passati solo pochi istanti.
Nessuno di loro, dopo tutto, poteva dirsi innocente. Nessuno di loro poteva conoscere l’accusa che veniva rivolta.
Eppure qualcosa le diceva che non sarebbe stato importante. Perché lei.



E’ tutta colpa mia.
Perdonami.
Perdonami se puoi.



Perché era lei ad aver commesso il peccato peggiore. E il suo peccato era lì, nudo al suo fianco. E da qualche parte ad attenderla. O forse a non attenderla affatto. E quello era il castigo. Avrebbe dovuto stendere il collo e sottomettersi.
E forse lo avrebbe fatto, se non avesse avuto una missione da compiere, una promessa da mantenere. E forse lo avrebbe fatto, perché in fondo cosa sarebbe potuto cambiare, se non ci fosse stata la sua bambina ad attenderla.
Aveva promesso che sarebbe tornata. Non l’avrebbe delusa. Non lei.



La mamma non ti deluderà.
Non di nuovo.



Da qualche parte nella sua mente emerse l’immagine dell’uomo che l’aveva accusata. Di quell’uomo brutto. In un flash. Dell’altro uomo, quello a cui aveva fatto poco caso. Quello che non pareva concordare con il primo, anche se forse era solamente un’impressione. Un uomo che non si notava, quasi insignificante.
Ma ogni uomo, anche il più insignificante, ha un sogno, non è vero? E lei, una donna insignificante, lo sapeva meglio di chiunque.
Lì, con le labbra premute tra le cosce, sorrise. Lì lasciò che il potere fluisse dentro di lei mentre si sollevava a guardare negli occhi il proprio giudice silenzioso. Mentre il suo aspetto mutava, sebbene lei non potesse vederlo, e nemmeno alzarsi.
Altri occhi, altre labbra, si sarebbero levati in una supplica muta.



Perché ci accusi, perché fai questo?
Bambina, la mamma tornerà.
A qualsiasi costo.

Perché mi lasci qui?
Perché sono qui?



Giusto il tempo di parlargli, per poi tornare a chinare il capo, le ciglia frementi nel peso della paura, di ciò che avrebbe dovuto affrontare.
E tornò se stessa, lasciando scomparire quel miraggio di un attimo, richiudendolo nel contenitore del proprio corpo, promettendolo di nuovo se solo le avessero dato il tempo di replicare quel trucco tanto scontato e tanto spettacolare.



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Tu Sei Senza Pieta, Ma Quanto Sarà Pesante Il Mio Castigo?


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Equipaggiamento: //
Consumi: Medio x1 (-8%)
Energia Residua 100 - 8 = 92%
Danni riportati: //
Azioni: Dalys si risveglia senza comprendere per quale motivo si trovi sul posto. E' però convinta che tutto sia dovuto al fatto che la sua colpa (riferimento alla quest Figli di un Mondo Ingrato) sia stata scoperta in qualche modo dal Sovrano e forse punita. Decide comunque di non mollare, perchè ha promesso alla figlia (??) di ritornare da lei. Avendo quindi notato che Raeghar sembra poco concorde con il loro accusatore, usa su di lui la tecnica Nostalgia. Per qualche secondo - il tempo di porre domande - si trasforma nella donna del desiderio di questi, quale che essa sia, per poi tornare se stessa. Il tentativo è quello di smuoverlo in qualche modo e spingerlo a raccontare.

Musica e testi collaterali provengono dalla opening di Umineko no naku koro ni.

Passive in utilizzo




Autocontrollo ~ Al 10% Dalys non sviene

Ammaliamento ~ Risparmio energetico dall'1% al 5% per le tecniche illusorie e aumento di un livello dei loro effetti

Intimità ~ Abilità passiva che induce fascino nell'osservatore

Dominio ~ Equilibrio su qualsiasi superficie

Danza di Salomè ~ Sfuggevolezza dei movimenti (abilità passiva)

Equilibrio ~ Equilibrio su qualsiasi superficie



Attive Utilizzate



Nostalgia ~ Ogni uomo si vanta con i propri compagni, in taverna o prima della battaglia, parlando di quella donna, proprio quella, che gli ha rubato il cuore. Ipocriti, pensa la Rosa, ipocriti. Eppure grande è il potere che tale donna, mutata d'aspetto grazie al desiderio del proprio amante, può esercitare. E così anche la danzatrice, capace di trasfigurare il proprio aspetto nell'arte, la geisha, bianca maschera di cera plasmata dai desideri del proprio mecenate, potrà ricreare il desiderio. Essa riuscirà, sfruttando il desiderio del proprio bersaglio, a ricoprirsi di un incanto che le faccia assumere l'aspetto fisico della donna che egli avrà maggiormente amato o che maggiormente desidera, acquistandone anche il tono della voce e qualsiasi altro dettaglio possa contribuire ad indentificarla.
Naturalmente la trasformazione, creata grazie all'abilità della Rosa, sarà puramente illusoria e non modificherà il reale potere, agilità o forza della ballerina.
Come reagirai, uomo, vedendoti colpito dove sei più debole? Questo si chiede la Rosa, già oggetto dei più sfrenati desideri, rigirando l'anima del proprio bersaglio tra le dita.
[Consumo Medio, dura finchè è presente il bersaglio e coinvolge anche i terzi presenti sulla scena, sempre finchè il bersaglio è presente.]

 
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Mirkito15
view post Posted on 11/5/2011, 01:24





SPOILER (click to view)


• Sacrificio •
Lo sguardo della folla è torvo, compiaciuto dello spettacolo offerto; tanti piccoli occhietti scuri, socchiusi al bagliore del giorno, puntati su quegli sventurati invasori. Avevano scelto la città sbagliata, non era lì che dovevano dar sfogo alle loro pulsioni.
Almeno questo è quello che credevano tutti.
Chissà perché infatti, loro non ricordavano. Nemmeno un accenno di flashback concernente i fatti accaduti, neanche fossero ubriaconi appena usciti da una taverna che avesse servito loro vino a volontà. Semplicemente sbucciavano le loro ginocchia scoperte su quel tappeto di ceci, come erano abituate a punire le vecchie suore nelle scolastiche accademie.
Coperto di stracci, con la bocca impastata dall'arsura che punzecchiava feroce sul capo schiacciato a terra, Tommaso riprendeva lentamente in sensi. Si morse le labbra, tentando di spargere la poca saliva rimastagli sulle sottili linee rosse, giusto per ravvivare l'arido campo di rughe che increspavano ogni accenno di smorfia. Gli occhi intanto si abituavano alla luce cocente; lenti si schiudevano protetti dalle folte sopracciglia sparse a trama intrecciata sul suo sguardo. Un corpo marcio aveva toccato e altri corpi morti incontrava davanti a sé: quasi banale.
Eppure si sentì sorpreso di ascoltare voci note in mezzo alla bolgia della festante (?) folla. Quando alzò il capo sperò per un istante di essersi sbagliato: Zephyr fu il primo, poco più in là, ancora probabilmente privo di sensi, non più coperto di lui. Dalys non si fece attendere poi molto. Lei già sveglia, con le grazie in vista, eccitante e sensuale anche in catene, se non di più. Percepì il proprio sesso pulsare, dominato da calori molto più animali e interni a lui, del sole abbronzante di quel pomeriggio.
Le successive parole, supplichevoli e strozzate, lo fecero sentire un verme inerme.
» Perché ci accusi, perché fai questo?
Perché mi lasci qui?
Perché sono qui?
«
Un verme malato e sessualmente disturbato, che anche solo per un momento aveva potuto pensare al possesso di un corpo incatenato, piuttosto che difendere l'onore della donna che gli aveva donato tutto, senza chiudere nulla in cambio. Il dolore scoppiò, alle tempie, rimbombante, come un orologio a pendolo che scocca preciso l'ora.

DONG!
Le labbra si stirano.
DONG!
I denti digrignano con forza.
DONG!
Male.
DONG!

Complice l'arsura, la fatica, la stanchezza, il rimorso, il senso di impotenza che lo permeava dominandone gli istinti.
» AAAHHH! «
Movimenti convulsi di un epilettico, mentre il ferro arrugginito consuma i polsi e scava solchi sanguinolenti; liberarsi è impossibile, è piuttosto evidente, ma l'istinto dice di combattere come un pazzo furioso. Strattona con forza - ormai infima nel suo corpo stremato -, ma non ottiene nulla. Pochi istanti prima si sentiva un Dio, al cospetto di altro Dio ancor più splendente. Ora non era altro che scarafaggio privato di testa, vivo per miracolo, giusto per dare tempo alla fame di compiere il resto, ponendo fine a sofferenze inutili.
Non capiva!
Era ridicolo.
Come poteva essere successo?
Cosa era successo?
Sollevò ancora il capo, incrociò lo sguardo con quel ragazzo, quello in prima fila, con la lunga cicatrice sullo zigomo destro; aveva la carnagione bluastra, di chi non respira da tempo, le speranze della sua età celate dietro ad un velo di malinconia, arse vive dal fuoco della morte prematura.
Lì scavò a fondo, cercando particolari importanti nel suo passato. Cercava un tampone a quei "DONG" continui. Cercava cose semplici, risposte a domande ormai pressanti.
Cercava se stesso...
Non poteva però aspettare, non in quello stato pietoso; non poteva rimanere in silenzio come un perdente, ignobile essere schifoso e perverso. Urlò, con quanto fiato gli rimaneva, per accaparrarsi la sua dose di eroicità nel marciume della sua situazione. Urlò per lei, fondamentalmente, per non perdere un'altra donna. Quella volta nemmeno il suo ego gli avrebbe permesso di scappare davanti a suppliche tanto vicine.
» I vostri crimini sono... «
Beffardo fece il verso, per poi concedersi una risata secca.
» Date a Cesare ciò che è di Cesare luridi idioti.
Tanto geniali da fermarci, ma altrettanto stupidi da non capire.
«
Una sottile goccia di sudore gli si formò sulla tempia, colando lentamente sulla fronte, per accelerare infine lungo la sagoma del naso e giungere alla bocca.
Era salata.
» Liberate questi straccioni posti sul patibolo con me, il vero genio.
Riconoscetemi almeno la cortesia di attribuirmi i meriti che mi appartengono.
Ho plasmato io le loro menti, penetrando a forza i loro pensieri, così come ho stuprato con gioia le vostre donne.
«
Abbassò lo sguardo a terra, non volendo affatto incrociarlo con la Rosa. Non doveva esserci alcun legame tra di loro, avrebbe semplicemente reso il tutto più difficile.
» Affiancarmi certi smidollati, dividere la gloria con loro?
Questo è una storpiatura!
«
Sputò, l'intero pastone formatosi in quei minuti di veglia vennero scagliati verso la prima fila di avventori.
Gli parve di colpirne un paio.
» Sono un eroe, non lo capite?
Ho portato movimento nelle vostre squallide vite di pastori.
Voi lo trattate così un genio?
Un manipolatore come me?
Il Michelangelo dell'Inganno merita questa fine?
Vigliacchi, venite a prendermi come uomini. Smettetela di farvi gli sbruffoni sull'alto dei vostri troni mentre io sono in catene.
Soprattutto: TOGLIETEMI QUESTI VERMI SCHIFOSI DA VICINO! NON MERITANO DI CONDIVIDERE LA MIA ASCESA!
«
E cadde, in ginocchio, sorridente.
Intanto dentro moriva, disperato e piangente.
Per te Dalys...


CITAZIONE

Tommaso Valbasso
Energie • 100%.
Stato Mentale • Sofferente.
Stato Fisico • Incolume.
R&C•375 ○ A&V•325 ○ P&Rf•150 ○ P&Rm•500 ○ Ca&M•250

Attive in uso •

L'arte ha bisogno o di solitudine, o di miseria, o di passione. È un fiore di roccia che richiede il vento aspro e il terreno rude. ○ "L'arte ha bisogno o di solitudine, o di miseria, o di passione...". Un'esistenza difficile da accettare, quella dell'artista. Alienato dal mondo, solo nel suo mondo confuso e crudele. Preda di continue passioni sfrenate e incapace di mostrare agli altri ciò che nasce in lui e da lui. Un destino malevolo, che non è stato scelto, ma ha scelto egli stesso chi colpire. Così anche Tommaso rientra in questa cerchia di psichedelici creatori di meraviglie. Eppure lui non si lascia scoraggiare dalla lontananza che lo esilia dalla realtà che lo circonda. No, lui tenta, in ogni momento, in ogni istante e durante ogni singolo respiro. Tenta, e ancora, e ancora, e ancora. Prova con le sue forze di far capire agli altri cosa lui ha nel cuore. Li rende partecipi del suo mondo e in esso spera che possano perdersi anch'essi...
[In termini di gioco Tommaso potrà farsi carico dei ricordi altrui, racchiudendo in sé l'intera conoscenza del loro passato; incrociando lo sguardo del proprio avversario, e solo quello, sarà in grado, spendendo un consumo di energie pari a Basso, di venire a conoscenza in poco meno di un istante di tutto il suo passato, le sue sofferenze e i suoi dolori, solo scrutandolo negli occhi, o se non altro degli eventi più importanti e sconvolgenti del suo passato. A seguito, durante il corso del duello, potrà sfruttare queste conoscenze come meglio desidera, per influenzare psicologicamente il suo avversario e rendersi sempre più superiore a lui. Non sono necessari particolari tempi di concentrazione o imposizioni delle mani per attuare questa tecnica, che va saputa maneggiare con grande maestria. Può essere contrastata con opportune difese psioniche (Pergamena Occlumante; Cinque Quattro Consumi Nulli; Incastonata nel corpo)]
Note • Spero che questa che ho fatto non sia una cavolata. In ogni caso, per farla breve, prima Tommaso si risveglia, usa occlumante su di un giovane presente tra la folla (questo viene fatto nella speranza che tra i ricordi del giovane siano presenti informazioni su ciò che è accaduto), poi, per tentare di salvare in qualche modo Dalys, egli si addossa l'intera colpa, attribuendo agli altri la sola debolezza di esser stati manipolati.


 
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Zephyr Luxen VanRubren
view post Posted on 14/5/2011, 18:37




Ricordava di aver chinato il corpo sul mostro e di avervi poggiato un palmo, di aver indugiato per un istante su quella missione lui tanta cara e al contempo tanto dolorosa. Di avere, per un bieco momento della sua esistenza, dubitato del suo Re; la persona di cui bramava solo un granello di compiaciuta ammirazione.
Ma, ritrovatosi per l'ennesima volta in un mondo ai limiti dell'immaginazione, tanto straniante quanto apparentemente perverso, lo sguardo si era sbarrato quasi senza che lui se ne rendesse conto.
Le ginocchia avevano minacciato di cedere, tremanti, un brivido di freddo trafisse la pianta dei suoi piedi privati dei propri stivali perlacei e, quando mosso inconsciamente in polsi per provare a se stesso di essere realmente privo del proprio vestiario si accorse di come avesse le mani legate, cappi metalliciche si stringevano attorno ai suoi polsi per trasformarlo da Duca del Re Invincibile a uno schiavo.
...come se il Re che gli aveva dato fama e potere avesse deciso di strappargli via tutto in una sola volta.
E Cenere sentì il proprio cuore sussultare.
Tentennò disorientato, la testa che vorticò per un'interminabile frazione di eternità.
Deglutì, la gola secca, ingoiando un boccone amaro.

Non poteva cedere dopo aver perso tutto.
Doveva superare l'ultimo ostacolo, l'ennesima prova.
E mostrare al Re che non solo il Kishin meritava la Sua attenzione.


And then,
I see you standing there
Wanting more from me
And all I can do is

t r y


image


C L A I M I N G - F O R - T H E - H I G H E S T
P I T C H

The ash reaching the sky

Perchè lui era uno dei suoi Generali.
Prescelto come pochi in un esercito di molti.
Duca del Re e Oracolo della Cenere.



Sebbene ansante, Cenere riprendeva lentamente coscienza di sè.
Il collo si era torto lentamente da una parte all'altra dello schieramento di prigionieri, scoprendo che tutti i prescelti del Re avevano fatto la sua stessa fine. Come se il Re gli avesse intimato di toccare il Kishin solo per godere di come i loro generali venissero massacrati psicologicamente e fisicamente l'uno dopo l'altro da quello stesso mostro che lui ambiva a conquistare.
Perchè, in fondo, il Duca lo sapeva bene: Invincibile e ormai Onnipotente, il Re non aveva certo bisogno di mezza dozzina di mortali per svegliare un cadavere. Un cadavere vivo, tra l'altro.
Abituato a vedere il corpo della Rosa privo di stracci che ne coprissero le nudità, le concesse comunque un'occhiata più lunga di quelle riservati agli altri sventurati compagni, solo per bearsi di un corpo per il quale avrebbe ucciso. Era già successo, in fondo.

« Immagino che intendiate dunque discolparvi dai vostri crimini. »
Ricordò quelle parole pronunciate pochi momenti prima, e un sorriso amaro si dipinse sul volto abbattuto del ragazzo. Udendo la parola crimine l'aveva inconsciamente accostata alla missione che era stato chiamato a svolgere, al dolore provato nel comprendere come avrebbe dovuto svegliare il mostro che lo privava della sua più grande ambizione.
Non era più quella che ricordava un tempo, donna di fuoco e acciaio, superba e insalfibile. Cosa le era successo? Quando? C o m e ?
I legaci di ferro che lo imbrigliavano sussultarono rabbiosi innanzi al terrore di Dalys, salvo poi prendere coscienza del contesto e attendere, prima di fare la propria mossa. Prima di far esplodere l'intero tribunale che li stava inquisendo. Lui, l'aguzzino, sarebbe stato il primo.
Non fece però in tempo a trovare il giusto vocabolo che definisse la figura della persona innanzi a lui, che l'insulso sbraitare di Tommaso calamitò il suo sguardo irritato. Ricolmi di atarassica arroganza, i sottili occhi rossi quasi vennero disgustati dal tentativo di lui di accollarsi tutte le colpe.
...piuttosto che attore in una recita scadente, Zephyr lo preferiva mentre muoveva l'archetto sulle corde del violino.
Il picchiare a terra delle ginocchia dell'altro Duca lo riportò alla realtà, distogliendo l'attenzione dei pensieri che l'avevano estraniato da un discorso che forse avrebbe dovuto interessarlo di più. L'accusatore li aveva incriminati davanti a una folla che rassomigliava il Kishin, biechi morti in grado ancora di proferire oscenità, e gli aveva addirittura chiesto di discolparsi.
E quasi sorrise, intendendo come, i loro giudici, espletavano formalità già decise in maniera piuttosto decente. Solo sceneggiate, perchè, qualsiasi cosa dicessero, avevano intenzioni di ucciderli comunque.
E lo stesso valeva per l'Oracolo di Cenere.
Guardò di sbieco i composti dipartiti alle sue spalle, paradossalmente in decomposizione e dallo sguardo spento, privato dalla scintilla vitale da un fuoco che lui stesso avrebbe riappiccato volentieri, giusto per vederli morire una seconda volta, agonizzanti mentre si contorcevano tra le spire di una fiamma che scarnificava i loro cadaveri.
Una smorfia accompagnò il solerte collo voltarsi verso l'oratore che li incriminava, costringendo le iridi scarlatte a puntare l'essere -quasi patetico- che li guardava con superiorità. E per quanto restìo a parlare con una simile persona, sospirò indeciso, sentendo la gola in preda all'arsura minacciare la sua imperturbabilità.
Certo era che comunque non avrebbe lasciato che il buffone di Tommaso attirasse tutta l'attenzione su di sè.

« Sarei pronto a rifarlo. Tutto quanto. »

All of the moments that already passed
We'll try to go back and make them last
All of the things we want each other to be
We never will be

« Mille, e mille altre volte ancora. »
L'inframezzarsi di una nota malinconica
« Solo per il mio Re. »


E se davvero doveva morire per mano di quei cadaveri senzienti, allora sarebbe morto.
Trascinando con sè nell'oltremondo le loro spoglie carbonizzate, il loro giusto posto.
Privandoli per la seconda volta di un'immeritata esistenza.



SPOILER (click to view)
Energia Rossa
Energia 100%
Consumi:

Equipaggiamento //

Status Fisico: //
Status Psicologico: Infastidito praticamente da qualsiasi cosa gli sia vicino, tranne forse Dal e i suoi compagni che non ha sentito parlare.
Forma: Umana


[ReC 375] [AeV 300] [PeRf 100] [PeRm 400] [CaeM 175]

Abilità passive:



CITAZIONE

la R e s i s t e n z a dell'Oracolo
Risparmio del 3% su ogni consumo e azzeramento dei tempi di concentrazione [Pergamena Risparmio Energetico + Passiva di Azzeramento Tempi di Concentrazione] Capacità di combattere anche sotto il 10% di mana [Pergamena Aura di Energia; +50 ReC, -25 PeRf]
Tre slot in caso di immobilità
[Passiva del Terzo Livello Metamagia]


CITAZIONE

T e r r i f i c a è l'anima dell'angelo di cenere
Terrore psionico passivo contro pg di livello energetico inferiore e che non siano angeli [Passiva Razziale Avatar + Effetto scenico in Forma Angelica] passiva di Auspex fisico [Bracciale dell'Auspex]


Azioni: //
Note: Post complicato per diverse passaggi che possono risultare poco chiari e che non danno subito una spiegazione immediata, lo riconosco.
Comunque al centro della mentalità di Zeph c'è il titolo grande che ho messo poco dopo l'inizio del post. Il fatto è che, ovviamente (come accade sempre, e non so se per colpa mia o no) il pg ha sempre mille motivi per pensare alle cose più disparate: che siano Ray, la Rosa o il Kishin -che gli sta alquanto sulle palle. Quindi ho cercato di condensare il tutto senza spiegare ogni cosa con frasi interminabili e lunghissime.
Zephyr, in pratica, vuole solo un pò di considerazione da parte del Re, e ovviamente che Tommaso non faccia l'eroe di turno a sue spese. Abbastanza stupido rischiare la vita per una cosa simile, però bè... è solo un ragazzino :v:

@Jimmy: perdonami per non averti inserito. A volta capita semplicemente che Zephyr non caghi qualcuno perchè il suo inconscio se ne sbatte altamente :v:
Scherzi a parte, in una situazione simile, la sua attenzione è andata più alla Rosa spaventata e Tommaso che urla piuttosto che al resto del gruppo -con il quale non ha rapporti :sisi:

EDIT: corretti alcuni errori.
Specifico inoltre che in questo post (perchè è essenzialmente il primo post di gioco) ho inserito il mio titolo personale per la giocata.





Edited by Zephyr Luxen VanRubren - 15/5/2011, 15:56
 
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Tristàn Cousland
view post Posted on 15/5/2011, 02:13




1


Beati siano i giusti, luci fra le ombre.
Nel loro sangue è scritta la volontà del Creatore.

Cantico delle Benedizioni 4:11



Tristàn non avrebbe saputo descrivere la sensazione che lo travolse.
Se tutto non fosse stato così dannatamente reale, se il terrore che lo assalì non fosse stato così maledettamente tangibile avrebbe creduto di trovarsi in un sogno. O meglio, per essere preciso lo avrebbe definito un incubo. Non vi erano una sorridente Morrigan, non vi era un bambino placidamente addormentato tra le sue braccia, non vi era Altura Perenne, non vi era suo padre ancora in vita, non indossava una comoda vestaglia, i ciliegi non erano in fiore, il sole non splendeva alto in cielo, il suo corpo non era perfettamente intatto, privo di qualsiasi traccia della corruzione che aveva volontariamente accolto in sè: quello sarebbe stato un sogno, una perfetta realizzazione dei suoi desideri più nascosti, un piccolo paradiso artificiale messo in piedi dalla sua mente, un incoraggiamento per non fargli perdere la speranza.
Non vi era un antefatto, non vi era un ricordo, non vi era una spiegazione.
Si ritrovò in un nuovo ambiente, in una nuova realtà, come se la sua anima avesse viaggiato nell'Ignoto e si fosse reincarnata inspiegabilmente in un nuovo essere. Come in un sogno. Nei sogni non si ricorda mai come tutto è cominciato, si affronta una situazione già ben delineata e complessa senza alcuna memoria degli eventi antecedenti.
Aveva chiuso gli occhi, tutto si era fatto scuro.
Aveva riaperto gli occhi e si era ritrovato in un'aula di tribunale.
image
Non mosse un muscolo, non fece un passo, trattenne il respiro.
Era paralizzato.
Non ricordava assolutamente come fosse finito in quel sinistro luogo.
Gli ultimi momenti dipinti nella sua mente riguardavano Ray, Rekla, Viktor, tre sconosciuti e il racconto di una creatura non ben definita, il Kishin, che avrebbero dovuto risvegliare.
Pochi attimi prima si era sentito invincibile. Si era guadagnato la fiducia di colui che gli avrebbe permesso di sfruttare il potere dell'Asgradel, era divenuto un generale dell'esercito reale. Al suo fianco vi erano state, inoltre, le uniche due persone con cui aveva avuto un rapporto privo di violenza. Non poteva definirli amici, non erano più che semplici conoscenti, tuttavia erano i due individui più vicini alla definizione di "amico" che aveva in quel continente ancora quasi totalmente sconosciuto. Il primo, suo compagno nel Goryo, lo aveva aiutato durante la caccia dei Prole Oscura, mentre la seconda si era unita loro senza tentare di fotterli in alcun modo.
Il Flagello gli aveva insegnato ad accettare qualsiasi aiuto possibile, indipendentemente da chi fosse venuto.
Non avrebbe mai messo la mano sul fuoco riguardo la fedeltà dei due, ma allo stesso tempo non avrebbe preferito nessun altro al suo fianco; forse solo Hyena, il suo comandante, il quale aveva dimostrato ben più di una volta la sua strabiliante potenza.
Sbattè le palpebre in un movimento involontario, nella segreta speranza di risvegliarsi, nella speranza di realizzare che quella fosse solo una terribile allucinazione.
Non fu così. E la voce di un uomo sconosciuto tuonò nell'aula, scuotendolo.
Non appena ritrovò un frammento della perduta lucidità si guardo tutt'attorno, gli occhi spenti, un espressione inebetita sul volto, quasi patetica, come quella di un bambino alla disperata ricerca di risposte.
Troppi i perchè, troppe le domande che non avrebbero trovato risposta.
Solo allora i suoi sensi tornarono operativi, solo allora realizzò di essere nudo e in catene.
Inclinò il capo e alzò le braccia, fissando con alienazione i pesanti catenacci che lo tenevano ammanettato: i polsi, lacerati e sanguinanti, le mani ricoperte di calli e graffi, un paio di unghie tranciate di netto. Notò anche il suo membro, la sua virilità, volgarmente esposta a decine e decine di sguardi: con rinnovato senso del pudore abbassò le mani e le incrociò dinnanzi alla sua vergogna, coprendosi come meglio potè.
Beffardo il destino. Lui, un carceriere della Fat Whore, ridotto nuovamente allo status di prigioniero.
Lui, che tante volte aveva scortato pericolosi detenuti in catene, si ritrovava - come anni prima a Fort Drakon - al loro posto, umiliato e privato di ogni suo diritto.
Al suo fianco vi erano gli stessi uomini e le stesse donne con cui aveva intrapreso la missione di liberazione del Kishin. Tutti nel suo medesimo, deplorevole stato. Diede un'occhiata ad ognuno di loro, lesse nei loro volti la sua stessa confusione. Nessuno lo colpì in particolar modo ad eccezione della sconosciuta: indugiò fin troppo sulle sue forme, sulla pelle chiarissima a fatica nascosta dagli stracci che indossava, ammaliato dalla fierezza del suo portamento nonostante stessero rischiando di morire. Si ritrovò ad ammirarla, a contemplarla, a desiderarla. Sentì la passione scalpitare in lui, liberarsi dall'angolo oscuro della sua anima in cui l'aveva reclusa dopo la perdita di Morrigan. Non durò a lungo: il senso di colpa tranciò di netto ogni fantasia, accompagnando un'ondata di auto-disprezzo.
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Distolse lo sguardo e con orrore notò le raccapricianti condizioni del suo corpo.
Data la sua nudità, tutti avrebbero notato il macabro dipinto che era, il fantasma sbiadito del cavaliere che era stato.
Una grottesca macchia scura - troppo scura per essere scambiata per un normale livido - si estendeva dalla muscolosa spalla sinistra fin giù lungo le costole, quasi fino a toccare la coscia. Sgranò gli occhi, mentre un espressione inorridita si dipingeva sul volto. Il contrasto con il resto della sua carne, bianchissima, era palese. I biondi e lunghi capelli tentavano inutilmente di mascherarla alla vista. La disperazione lo colse. Normalmente la corruzione avanzava molto più lentamente, donando ad un Custode Grigio almeno una trentina di anni di vita. Duncan - e ricordando ciò Tristàn trovò la forza per non crollare - lo aveva però informato che in determinate situazioni il processo di mutamento avrebbe potuto velocizzarsi: sarebbe però bastato uno specifico unguento per eliminarne ogni traccia.
Sbuffò e, abbattuto, restò in silenzio ad ascoltare le accuse che gli vennero rivolte.
Man mano che l'inquisitore vomitava accuse, il Custode credette sempre più di trovarsi in un incubo.
Meditò anche riguardo la possibilità di esser caduto vittima di un demone, e di essere quindi nel mondo dei sogni, l'Oblio. Solitamente solo coloro dotati di poter magici potevano accedere consciamente a quel reame, tuttavia anche lui, un uomo d'arme, si era avventurato lucidamente in quelle lande negli anni precedenti. Niente però corrispondeva, nessun indizio potè confermare quell'oscuro presagio: un demone non li avrebbe mai lasciati uniti, li avrebbe isolati, avrebbe fatto leva sui desideri segreti di ognuno e li avrebbe plagiati a suo piacimento, fino al raggiungimento del suo scopo: possedere il più debole, sfruttandolo come ponte per il mondo dei comuni mortali. In ultimo, i contorni fisici erano ben definiti, sembravano reali, non distorti ed animati.
Un silenzio di tomba, rotto solamente dal costante sferragliare delle loro catene, cadde tra i presenti una volta che i capi d'imputazione giunsero al termine.
Deglutì un boccone amaro, con un solo pensiero,
non voglio morire qui.
non voglio morire qui.
non voglio morire qui.
NON VOGLIO MORIRE QUI!

Avrebbe voluto urlarlo. La sorpresa lasciò spazio alla rabbia. Avrebbe voluto lanciarsi contro l'uomo che aveva parlato, suo giudice, sua giuria e suoi boia. Avrebbe voluto sputargli in faccia la verità. Avrebbe voluto distruggerlo con la sola forza dei pugni. Colpirlo fino a fargli perdere i sensi. Fino a sporcarsi le nocche del suo sangue. Come osava accusarlo di crimini tanto efferati?
Quell'impeto lo fece rinsavire, ebbe quasi un effetto curativo sulla sua psiche così maledettamente devastata. Ora aveva un nemico, un nemico diverso da solito, un nemico che non avrebbe potuto abbattere con la mera forza fisica.
Se avesse dovuto essere un animale in catene, ebbene, sarebbe stato un fiero leone, non un agnello spaventato.
Mosse qualche incerto passo in direzione del giudice, ignorando del tutto gli sguardi beffardi della folla circostante.
Le parole però gli morirono in gola quando vide il comportamento della donna che aveva conosciuto tempo prima. Assistette basito alla sua esplosione d'ira. Non potè credere che un corpo così minuto e femminile potesse sprigionare tanto odio.
Nulla era rimasto della ragazza apparentemente fragile, ferita e bisognosa d'aiuto.
Nulla era rimasto della fanciulla che lui e Viktor avevano soccorso da un improvviso attacco di Darkspawn.
«Rekla, maledizione, calmati o ci farai ammazzare tutti!»
Sbottò con un filo di voce, lanciandole uno sguardo allucinato, con gli occhi inniettati di sangue.
Ma niente di ciò che disse la ragazza potè comparare la follia degli altri due.
Il primo, il quale doveva essere dotato di un ego smisurato, si prese ogni colpa, forse nel tentativo di apparire ai loro occhi come un eroe: Tristàn nella sua nazione era stato consacrato come tale, e sapeva che non era certamente quello il modo per far tramandare le proprie gesta dai menestrelli di corte. Se anche quegli gli avessero creduto, indipendentemente dal fatto che dicesse il vero, o si stesse solo esibendo in una colossale menzogna, lo avrebbero giustiziato senza pensarci due volte: e con ragione; lui stesso, se si fosse trovato dinnanzi a creature in grado di compiere gli atti citati, le avrebbe decapitate senza esitazione, certo di aver liberato il mondo da una piccola porzione di Male.
Il secondo, un uomo ambiguo e dai tratti eccessivamente effeminati, decise di assecondarlo nella sua scempiaggine, ammettendo di aver commesso quelle ignobili azioni.
La situazione stava precipitando e Tristàn sentì la spada di Damocle incombere su tutti loro.
Doveva mostrare che almeno lui era ancora dotato di senno. Se i suoi compagni erano intenzionati a farsi ammazzare, lui di certo non lo era; aveva ancora un compito da portare a termine. Una battaglia da concludere, una donna cui tornare. Non gli avrebbero strappato la sola possibilità di raggiungere la Felicità tanto agognata.
«Le vostre accuse sono del tutto infondate.»
Esordì a gran voce, puntando lo sguardo a turno su entrambi gli accusatori, come a voler trasmetter loro tutti la sua determinazione. Non aveva commesso quei crimini e lo avrebbero capito anche loro.
«Vi chiedo di mostrarmi presunte prove della nostra colpevolezza.
Sempre che queste non siano state fabbricate ad arte.»

Nonostante avesse abbandonato già da anni la comoda vita della nobiltà, non era nuovo agli intrighi di corte. Conosceva la mentalità degli uomini di palazzo, machiavellici e manipolatori, abituati ad agire alle spalle, a tramare nell'ombra e privi di alcuna morale: avrebbero fatto di tutto pur di sbarazzarsi degli oppositori.
«Non posso sapere cos'han fatto questi sventurati, miei compagni in questa tragedia, ma per quanto mi riguarda posso affermare con certezza di non aver mai commesso alcunchè di ciò che mi accusate.»
Sentenziò con decisione, nonostante il palato impastato e disidratato.
«Nonostante le mie attuali condizioni...»
Abbassò lo sguardo, perfettamente conscio di quanto fosse malridotto in quel momento.
«Sono un nobile del Ferelden e membro dei valorosi Custodi Grigi. Il mio onore non mi avrebbe mai permesso di ferire un civile, di derubare un onest'uomo o di violentare una nobildonna.»
Fece una pausa, come a voler far imprimere la sua verità testa di ogni ascoltatore.
«Sono solo un uomo che cerca disperatamente la sua famiglia.»
Concluse così la sua improvvisata arringa difensiva. Aveva scelto di essere onesto, di non fabbricare bugie che avrebbero solamente potuto peggiorare le loro sorti, già sufficentemente critiche.
Ray, però, dov'era? Perchè li aveva abbandonati? Perchè non li stava guidando?



SPOILER (click to view)

[ReC 275] [AeV 275] [PerF 325] [PerM 325] [CaeM 700]
[Basso. 2%] [Medio. 6%] [Alto. 15%] [Critico. 33%]
[Energia. 150%]

Status Fisico: Illeso.
Energia Totale: 100%
Energia Utilizzata: ///
Energia Restante: 100%

Abilità Passive
    ¬L'essenza di un Custode.
    ± Di tutte le razze, i mezzi demoni sono senz'altro quelli più denigrati, allontanati e scacciati di tutti. Proprio per questo, quindi, hanno dovuto imparare a cavarsela da soli e non farsi mettere i piedi in testa da nessuno. A forza di crescere in questo modo, i mezzi demoni si sono abituati a gente che tenta di intimorirli, minacciarli o irretirli e hanno sviluppato quella che potrebbe definirsi una particolare "Abilità razziale". Sono infatti parzialmente immuni alle influenze psicologiche. Non a tutte, si intende, altrimenti risulterebbero atoni e privi d'emozioni, ma senz'altro, a differenza di tutte le altre razze, si lasciano intimorire meno facilmente e persuadere con notevole difficoltà. Il timore provocato dalla vista di demoni o angeli, ad esempio, non avrà su di loro effetto. Sensazioni profonde come forti paure, o tanto grandi, però, avranno comunque effetto. Quest'abilità è una normale difesa psionica di livello passivo.
    ± Con la sicurezza migliora anche il controllo delle proprie capacità combattive; fino a quando il possessore di questo dominio riuscirà a mantenere il sangue freddo e a non lasciarsi prendere dall'ira - o da altre sensazioni che finirebbero con il turbarlo - il suo valore di CaeM risulterà raddoppiato. Questo non influirà nelle sue doti di tiratore ma lo renderà estremamente abile in ogni genere di schivata, affondo o anche nel disarmare il proprio avversario. Chiunque apprenda questa disciplina di scherma risulterà essere un combattete eccezionale e ogni suo duello sarà un vero spettacolo in quanto a grazia e maestria.
    ± Non sempre però la grazia nei movimenti e le abilità di schermidore possono contrastare la forza bruta; cercare di disarmare o anche solo contrastare un bestione di più di due metri con una spada dalle dimensioni più simili a quella di una trave di ferro risulta spesso una missione disperata anche per il combattente più abile. Questo però non vale per coloro che sono diventati sempre più abili in questo stile di combattimento; una delle ultime lezioni impartite dai maestri consiste appunto nel focalizzare la propria calma e il proprio sangue freddo per riuscire a contrastare anche il più forte degli avversari. Fino a quando il possessore del dominio non si lascerà prendere dall'ira o non si lascerà turbare ogni colpo portato con la sua spada conterà come una tecnica di livello basso rendendolo quindi superiore a qualsiasi colpo portato da avversari anche enormemente più forti di lui.
    ± Questa pergamena non conta come una vera e propria tecnica, quanto come un'abilità passiva. Aumenterà infatti i "ReC" del personaggio di 50 punti, diminuendone però i "PeRf" di 25. Esternamente non vi saranno cambiamenti, e il guerriero apparirà come quello di sempre, anche se le sue capacità di concentrazione e i suoi riflessi saranno nettamente aumentati, a discapito di un leggero indebolimento fisico.La tecnica sarà sempre attiva e non avrà un consumo. Un ulteriore vantaggio è quello di permettere al guerriero di poter combattere anche una volta raggiunto il 10% delle energie, senza svenire. Un personaggio normale, infatti, trovatisi con poca energia o nulla, si sentirà spossato o comunque non in grado di combattere. Un guerriero con questa tecnica, invece, potrà tranquillamente continuare ad avanzare, quasi senza sentire la fatica, pur senza più poter utilizzare tecniche che comportano un dispendio energetico, che lo porterebbero alla morte.

Tecniche Utilizzate
    Nessuna.


Note:
Niente da dire. Il post dovrebbe essere chiaro. Tristàn ha scelto di essere onesto, per nulla deciso a prendersi colpe tanto gravi senza almeno provare a difendersi.
 
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Kishin
view post Posted on 20/5/2011, 10:02




« Basta così! »

La voce di Cheval tuonò, rimbalzando fra i muri della sala e dando per un secondo l'impressione che tutta la giuria si fosse alzata nella stessa esclamazione.
Non aveva detto nulla dei primi interventi dei Dispersi, né era intervenuto quando le loro versioni dei fatti si erano fatte discordanti. Tuttavia, quell'ignomia sull'essere un cavaliere del Ferelden l'aveva costretto ad intervenire.
La sigaretta gli era cascata dalle labbra nella furia dell'esclamazione, spargendo ceneri ai suoi piedi. I suoi vestiti, voluttuosi, avevano fatto sì che l'attenzione del pubblico non fosse catturata solamente dal tono del suo intervento, ma anche dalla sua gestualità.

« Che cosa sperate di ottenere fornendoci versioni inventate e contrastanti dei fatti? »
Con occhi incandescenti, si volse soprattutto alla donna che aveva tentato di blandire Raeghar e all'uomo che s'era preso tutta la colpa. Non gli erano sfuggiti i loro incanti psionici e - benché non si sarebbe mai aspettato una simile perizia da due Dispersi - aveva dissolto con un gesto le loro bugiarderie prima che potessero ottenere l'effetto sperato.
Lo psion richiedeva che si avesse disciplina, inventiva, arte. Non era certo un trucchetto di prestigio nel quale sperare di riuscire a esimersi fra i ceppi di una gogna.
Quei flebili incanti non avrebbero convinto nessuno; men che meno dopo l'intervento purificatore di Cheval.

« Forse volete creare confusione? Intendete allungare i termini di questo processo? »
In cuor suo, aveva già ottenuto la risposta.
Quegli uomini avevano voluto giocarsi tutto con le loro arti - di certo, questa era l'unica ragione per cui avevano richiesto udienza a lui e Raeghar.
Una mossa errata: dovevano essere gli unici Dispersi del mare senza onde a non sapere che lui possedeva più potere magico dell'intera cittadina di Luna del Deserto messa assieme. O forse si erano semplicemente creduti più potenti, più carismatici di quanto un corpo nudo e delle catene potessero instupidire.

« Una possibilità sola vi era stata data. » Affermò allungando il dito indice verso i loro visi « E una possibilità sola avete sprecato. Le prove a vostro carico sono inconfutabili e i testimoni non mentono » "a differenza vostra, pare" « dunque, senza altro indugio, vi condanno tutti e sei a morte! »

Tch, tch, tch, tch, tch

Quel suono lo interruppe prima che potesse concludere la sentenza.
Il suono inequivocabile di Raeghar che picchiava la propria lingua contro i denti, scoprendoli in un sorriso.
Un verso che aveva sentito mille volte nel corso dei processi, con il quale il suo "rivale" era solito annunciarsi prima di un'obiezione. Un ticchettio che aveva popolato i suoi incubi e che un giorno - se Dio avesse voluto - sarebbe costato la lingua stessa al magistrato. Se fosse toccato a lui, gli avrebbe riempito la gola di ragni e avrebbe fatto sì che gliela divorassero lentamente.
Rivolse uno sguardo d'odio al portavoce, lasciando che lo interrompesse. Intervenire o annunciarlo si sarebbe rivelata una mossa errata; pronunciare qualsiasi frase avrebbe dato modo a Raeghar di prendere le affermazioni e rivoltarle come un guanto, screditandolo innanzi a tutto il villaggio.

« Cheval, mio caro, non penso proprio che ci sia bisogno di essere così duri. »
La voce da usignolo del portavoce lo fece rabbrividire, come sempre quando si trovava innanzi al suo corpo tozzo e villoso. Come se un orso rigurgitasse miele gustosissimo.
« In fondo, hanno ammesso le proprie colpe - uno di loro ha persino intenzione di assumersi tutte le responsabilità. » indicò al Disperso con il palmo della propria mano « che bisogno c'è di mandarli a morte tutti e sei? Sono fermamente convinto che alcuni di loro potrebbero rendersi estremamente utili per noi, in futuro. »
Cheval non si lasciò sfuggire lo sguardo di lascivia con il quale Raeghar si rivolse alle donne dei Dispersi, anche se era chiaro che - a se stesso - non stava rivolgendosi in quella direzione.

Che Raeghar avesse dei traffici coi bruti, ormai l'aveva appurato.
Negli ultimi mesi gli erano state portate innanzi innumerevole testimonianze degli accordi del magistrato con le popolazioni al di là dei confini della città. Alcuni sostenevano addrittura che il portavoce concedesse loro il privilegio di compiere alcuni crimini efferati in cambio di parte del ricavato delle loro razzie. Altri sostenevano che Raeghar fosse innamorato di una donna che i Dispersi tenevano in ostaggio, e che la concessione di stupri e omicidi fosse l'unico modo che fosse stato lui concesso per mantenerla viva e al sicuro.
Ma quel gioco presto si sarebbe concluso.

« Che cosa proponete, dunque? » incalzò Cheval, pregno di disprezzo « Vi raccomando di pensare alle famiglie dei disgraziati che sono stati vittima di questi mostri, prima di prendere la vostra decisione. »

Il magistrato carezzò la propria forza per qualche secondo di meditazione, prima di continuare.
Di certo, si stava soffermando sul valutare quale sarebbe stata la scelta più conveniente per lui; un pensiero che costrinse Cheval a digrignare i denti per non urlare.

« Di due di loro sarà fatto un esempio. » osò sorridere, mentre lo disse « Mentre gli altri resteranno nelle celle del mio palazzo, in attesa della possibilità di redimersi. »
"O della possibilità di compiere altri crimini impuniti" pensò l'uomo del popolo.
Se voleva che le cose andassero minimamente per il verso giusto, tuttavia, avrebbe dovuto agire in fretta: non poteva lasciare a Raeghar il diritto della scelta su quali Dispersi mantenere in vita e quali eliminare, o si sarebbe ritrovato con i più pericolosi ancora in piedi.
Li osservò tutti, dal primo all'ultimo.
Tre di loro emanavano un'aura palesemente più grande degli altri - e uno di questi era una donna. La donna.

Si approfittò del tono mellifluo del magistrato, per il suo prossimo intervento, infilandosi nella discussione prima che la sua pigrizia gli permettesse di intervenire.
« Così sia, dunque. » per un istante godette nel vedere Raeghar a bocca aperta, pronto alla decisione, le proprie parole troncate dalla sua repentina presa di posizione « Prendete il vecchio che non ha parlato e quello che si fa passare per il loro Re. »
I due dispersi vennero trascinati poco più avanti, nello spazio vuoto che li divideva dal giudice.

Cheval allungò una mano verso di loro e da sotto della manica dei suoi vestiti iniziarono a fuoriuscire una quantità incredibile di piccoli ragni, che caddero malamente in terra. I loro cheliceri schioccarono rumorosamente, dando l'impressione che all'esterno si fosse messo a piovere.
La cascata non si interruppe finché la quantità di aracnidi non fu superiore in massa a un cane adulto, tutti intenti a camminare gli uni sugli altri, alcuni immobili, altri presi a lavorare la tela che fuoriusciva appiccicosa dalle loro bocche.
Poi, come un flusso ordinato, ad un gesto dell'uomo del popolo, questi si diressero verso i due condannati dove, innanzi a tutta la giuria
- iniziarono a divorarli.

Alla fine, non aveva avuto il coraggio di uccidere una donna, per quanto pericolosa.

___________________________________________

Erano trascorsi diversi giorni dall'incidente.
I erano stati divisi in due gruppi: il cavaliere e quella che pareva in grado solamente di farneticare in lingue sconosciute erano stati sbattuti in una cella piuttosto ampia, mentre la donna e quello che aveva voluto passare per il suddito integerrimo Cheval in persona s'era assicurato fossero allontanati dagli altri, messi in una stanza ben più buia e ben più stretta.
Era da questi ultimi due che si stava dirigendo. Scortato da due guardie, si fece strada nelle segrete umide della magione di Raeghar, infastidito dalla polvere che le loro cappe viola stavano sollevando, strisciando contro il terreno. Indossavano due elmi privi di celata e una cotta di maglia adornata di veli, nella tradizione di Luna del deserto; entrambe, avevano due lunghe alabarde strette nelle mani.
Quando la porta della cella venne aperta, Cheval si rese conto di quanto duramente avessero seguito i suoi ordini.
La gabbia non aveva finestre, né torce. In un angolo stava un secchio per gli escrementi e il terreno era ricoperto da un pagliericcio umido, imbevuto dalle lacrime e dal sangue di tutti quelli che ci erano passati. Nell'angolo più lontano dal secchio stavano due forme indistinte, raggomitolate.

Dalys e Zephyr, così gli avevano riferito.
Lanciò loro un fagotto contenente dei vestiti puliti - i migliori che fosse riuscito a procurarsi. Sete e velluti nello stile degli abitanti del deserto, dei colori viola e blu della loro nazione, ma anche grigi e rossi della sua famiglia.

« Alzatevi e vestitevi. » disse duramente « Ho bisogno di voi. »

Non poteva sapere che, nello stesso momento
gli ufficiali del magistrato si stavano dirigendo dagli altri due, liberandoli per differenti intenti.



CITAZIONE
Innanzitutto mi scuso per il ritardo, ho avuto un paio di contrattempi che mi hanno permesso di postare solamente ora.
Per quanto riguarda il post, non penso di dover spiegare nulla - è tutto molto chiaro - ma se avete domande, potete usare il topic in confronto, come al solito.

Ho intenzione di sviluppare questa quest come un vero e proprio racconto sviluppato da più punti di vista: io sto narrando quello di Cheval, e a voi toccano gli altri. Non sorprendetevi dunque se vi lascerò spesso ampie parti di libera descrizione a vostro piacere e fantasia, anch'esse sono parte della valutazione. Nel prossimo post, ad esempio, avrete di che sbizzarrirvi.

Dalys e Zephyr: Vi viene chiesto da Cheval di trovare nella camera di Raeghar le prove che dimostreranno la sua colpevolezza e i suoi inciuci con i Dispersi. Queste prove potrebbero essere documenti o resti di razzie, o altro ancora, a vostro piacimento. Questa sera stessa si terrà una festa nel palazzo di Raeghar e voi avrete la possibilità di infiltrarvi e intervenire - la sua camera è, tuttavia, difesa da due guardia (contano come energie verdi e pericolosità D; prendete come esempio i Monmouth qui, ma utilizzanti l'elemento "sabbia" invece che "ghiaccio"). Vi lascio molto da descrivere: come Cheval vi da gli ordini (pngzzatelo senza timore), l'arrivo alla festa, la festa stessa, il palazzo di Raeghar, etc. etc. Potete impossessarvi delle prove (anche queste a vostra discrezione) come meglio credete; l'importante è che facciate tutto autoconclusivamente (avete ovviamente la possibilità di pngzzarvi l'un l'altro nel corso dei post, per esempio lasciando a Anna il compito di descrivere la prima parte della missione e a Gemini la seconda; insomma, totale libertà). Avete due post a disposizione (uno a testa) per portare a termine l'incarico: consultatevi e producete - voglio che pensiate letteralmente di stare scrivendo una storia ;D (non vi viene ridato il vostro equipaggiamento).

Rekla e Tristàn: Anche a voi viene affidato un incarico da condursi autoconclusivamente e con un post a testa, sebbene molto differente da quello di Anna e Gemini. Vi viene ridato il vostro equipaggiamento e vi viene detto che vi sarà concessa la grazia se solo voi catturerete una bestia estremamente pericolosa e la consegnerete alle guardie dfi Raeghar. Questa bestia è un Bebilith (ne trovate la descrizione qui). Venite condotti in una caverna dove queste creature vivono, molto lontano dal villaggio, e lasciati lì a compiere il vostro dovere - le guardie vi attenderanno all'esterno. I bebilith girano in gruppi da tre, il vostro compito è portarne fuori uno solo, ma quanto più illeso possibile. Anche voi dovete procedere autoconclusivamente, potete pngzzarvi a vicenda e avete diritto di descrizione su tutti gli elementi della storia, proprio come se la steste portando avanti a voi. Vale tutto quanto ho detto per Dalys e Zephyr, in questo senso.

Riguardo all'eliminazione: ovviamente il vecchietto che non parla è Viktor, che viene eliminato nel momento stesso in cui Cheval né percepisce l'aura spaventosamente grande e malvagia. Per quanto riguarda Tommaso, la questione è più complessa: semplicemente, mi siete sembrati tutti allo stesso livello sotto un punto di vista puramente di capacità (chi più d'intrattenimento chi meno, ma nessuno nettamente inferiore), dunque ho deciso di procedere con coerenza. L'utilizzo di incanti psionici è stata una mozza estremamente azzardata in un tribunale, anche se peggio ancora è stato assumersi tutte le colpe; miscelando questo con la potenza del personaggio percepita da Cheval, ho optato per Mirko, benché il suo post non fosse in alcun modo peggiore degli altri: semplicemente, per la storia, la tua sarebbe stata la scelta più logica - spero che comprenderai.

Per qualsiasi domanda, ribadisco, c'è il topic in confronto. Come per il turno precedente, avete dieci giorni di tempo.

 
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J|mmY
view post Posted on 21/5/2011, 19:33




Valzer al crepuscolo
«Ritorno alla vita»
[III]

Fredda la mano e il cuore e le ossa,
freddo anche il sonno è nella fossa:
mai vi sarà risveglio sul letto di pietra.
mai prima che muoia il Sole e la Luna tetra.

~

Nel vento nero le stelle anch'esse moriranno,
ed essi qui sull'oro ancora giaceranno,
finché l'oscuro signore non alzerà la mano
sulla terra avvizzita e sul mare inumano.


• • •

Secondi su secondi, tempo che indicibile s’ammucchiava ad altro tempo in un turbinio di lamenti infiniti, crogiolo d’insofferenza e baratro impietoso.
Adagiata su di un cereo lastricato, abbandonata all’apatia di quell’interminabile momento, Rekla fissava a braccia e gambe divaricate il soffitto evanescente, il pallido riflesso di ciò cui al suo interno la Nera era costretta ad assistere ancora, e ancora, e ancora, e ancora. Uno specchio smisurato, tra le cui fauci di vetro oramai crepato andava ripetendosi la medesima scena da anni ed anni, grottesca e disumana, in un lento susseguirsi d’oscenità e oltraggi, di dolori e guaiti.
Oltre la lastra v’era solo se stessa, ancora distesa ad arti spalancati, ancora con la medesima aria di atroce impotenza stampata in viso, che fluttuava inquieta senza mai però lasciarla alla sua tanto ricercata agonia.
La scena era sempre la stessa.
Il corpo impotente della fanciulla era abbandonato, lacrime di amarezza sgorgavano aspre da esangui sclere vuote, mentre sulla delicata e morbida pelle si allungava il corpo sporco e catramato di lui, di chi governava i peggior’incubi degli uomini, di chi riempieva le loro più insite paure e corrompeva finanche i più puri pensieri, ora divenuto concubino e sovrano incontrastato delle sue fragili carni da donna.
Era stanca, stremata, s f i n i t a.
Ogni volontà d’animo, ogni attesa di libertà, ogni respiro mozzato, tutto sfumava al cadenzato incedere su lei, al deciso slittare tra le cosce, carezzando voglioso ogni centimetro di quella tenue piacevolezza violata.
La solitudine lambì il suo cuore, mentre una volta ancora il Cerbero rimirava la scena tramortito, impassibile eppure corroso dal tempo, devastato dagli anni di una perduta guerra interiore, una disputa che lei in primis non avrebbe avuto la presunzione di vincere; né ora, né mai.
Le speranze mutavano adesso in utopie.
La paure sgusciavano adesso in realtà.
La consapevolezza diveniva adesso l’unica chiave della pura coscienziosità.

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Giustizia, la sospinta arroganza di sapere ciò che è giusto, la deviata visione di uomini la cui lingua bramava vendetta.
Giustizia, un valore sottile e aguzzo come il filo d'uno stiletto, un baluardo che assai facilmente l'uomo sapeva far suo illegalmente.
E adesso, a d e s s o, osavano forse costoro giudicarla? Lei? Il Guardiano degl'inferi? Colei il cui nome affogava nel castigo?
Stoltezza, viltà mascherata d'audacia, volubilità infettata d'ira e ammorbata di superbia. Uomini, per così dire, celati dagli stessi peccati che li rendevano tali.
Sorrise.
Rivelò i canini pronunciati e la dentatura biancastra, inarcò le sopracciglia con aria di beffa, assaporando già l'attimo in cui sadica avrebbe affondato le zanne negli animi impuri di chi tanto osava sfidarla, accusarla sino a tal punto.
Stupro, omicidio, furto: tutti atti da lei compiuti, certo, ma a cui nessuno avrebbe mai dovuto opporsi; non senza pagarne le conseguenze, almeno.

«Di due di loro sarà fatto un esempio.» pausa «Mentre gli altri resteranno nelle celle del mio palazzo, in attesa della possibilità di redimersi.»
E così accadde, invero.
Quando le guardie le si accostarono e le catene si sciolsero, infatti, la rabbia sbocciò ferale quasi fosse la fame sopita d’una bestia a lungo obbligata.
Rekla si dimenò convulsamente, graffiò, s’avvinghiò ai suoi aguzzini lacerando con unghia e denti: uno di loro – il più giovane e inesperto, probabilmente – riportò profonde lacerazioni al volto e sanguinosi morsi al collo, che parvero incidervisi con violenza a dir poco inumana.
S’erano condannati, seppelliti con le loro stesso luride mani.
Avevano risvegliato un potere e una ferocia che neppure la mercenaria – per quanto tenace fosse – era in grado di domare.
Non più oramai.

[. . .]

Strattonò le vesti, riassettò la chioma corvina, assicurò le gemelle e la piccola ai fianchi sinuosi.
Non appena i suoi averi le furono restituiti, quella sottile linea chiamata “coscienza”, unica sopravvissuta di un’atroce ed empia ecatombe, tornò viva e pulsante, seppur debole e fuggevole.
Il greve olezzo di pulviscolo le impregnava gli abiti e impastava le narici, mentre un nauseante retrogusto d’umido sgusciava tra i seni rendendoli appiccicosi e madidi.

Erano passate solo poche ore da quando erano partiti, un tempo irreversibilmente lungo durante il quale il lento ansimare di puledri e lo scalpiccio di zoccoli sul selciato era divenuto l’unico vero suono udibile per miglia e miglia ancora. Solo adesso, al gelido infittirsi delle tenebre sui loro scalpi, qualcosa pareva però denudarsi tra la ruvida roccia, rigettato dall’oscurità e accompagnato dalla sola flebile melodia del vento che placido sospirava tre le insenature.

«Siamo arrivati. Il nido dei Bebilith è oltre queste rocce.» Indicò una stretta incavatura sulla parete «Ricordate: dovete riportarne uno vivo.»
E, così com’era giunto, l’uomo di Luna del deserto si ritrasse nella cinerea foschia montana, svanendo in essa come un evanescente fantasma di fumo.
Rekla smontò dalla sella e, non appena toccò terra, caracollò vistosamente perdendo più volte l’equilibrio: data la sua insensata indole selvaggia, infatti, le guardie avevano dovuto imbottirla di un denso liquido verdognolo, il cui devastante effetto solo adesso iniziava a darle finalmente tregua; l’avevano drogata, intorpidita e sconvolta nell’anima, un’anima che ora più che mai dimorava impotente tra le sozze grinfie del Bastardo.
Più perdeva il controllo, più lui lo guadagnava, più si prendeva gioco delle sue debolezze e ne infettava ogni misero spigolo smussato.
Stava diventando s u a.

Varcò incurante i tumuli di ghiaia che delineavano l’ingresso, avanzò sicura per la spelonca vuota e nuda sulle cui mura svettavano spuntoni grondanti grumi di liquame e scorie maleodoranti, mentre sentiva i passi di Tristàn farsi largo proprio dietro di lei.

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L’attacco arrivò improvviso, senza che Rekla potesse neppure fare in tempo ad accorgersene. I suoi riflessi furono lenti, ma abbastanza pronti da vederli sgusciare dai macigni: erano in tre, tre imponenti e abominevoli aracnidi inferociti. Uno di essi la puntò d’istinto, drizzando un secco affondo di chela alla coscia destra della ragazza, che si squarciò irrorandosi di copiosi flutti rossastri.

«Cazzo.»
Le parole le si mozzarono in gola, mentre gran parte della gamba iniziava a tumefarsi e tingersi di violaceo: veleno, del fottutissimo veleno di ragno. Conosceva fin troppo bene gli effetti di quell’attacco, li aveva visti spesso coi suoi stessi occhi, e ora che tutto accadeva proprio a lei - la Nera Signora - ogni cosa diveniva più consistente e truculenta. I muscoli si contrassero, ogni brandello le si atrofizzò e divenne difficile finanche respirare.
Rekla rimase immobile, frastornata e sbigottita da quell’indesiderata presenza, che soddisfatta la osservava dall’alto dei suoi due metri.
La creatura, però, non perse tempo a riflettere e scattò furente verso la giovane. Questa si mosse lenta e schioccò solo due dita; d’un tratto, dalla lingua di terra che li separava, arti scomposti e carni marce sbucarono tra lamenti e grida, tra pianti e sogghigni. Bambini le cui membra erano state strappate, vite spezzate nel fiore degli anni adesso ammorbate di macabro squallore, rivelando al mondo budelli incapaci di trattenerne le interiora o gli umori. Cadaveri, carcasse vuote robotizzate dal comando ch’era stato impartito loro.
Si interposero all’attacco, spalancarono le fauci facendole scrocchiare sonoramente, prima che sei di essi andassero inevitabilmente in frantumi nell’impatto.
I restanti cinque, invece, rimasero completamente immobili, in attesa e pronti a reagire al minimo impulso gli fosse stato dato, un segnale che non mancò certo d’arrivare.

«Sopprimete questo stronzo.»
E scattarono, mentre il braccio della Nera volteggiava redivivo e pennellava un semicerchio nel vuoto avanti a sé. Di lì a poco, strascichi d’oscurità cominciarono a spandersi nel silente turbinio d’affanni, per poi infrangersi impuniti all’inarrestabile dissolversi di ciò che si rivelò essere una stupida, dannatissima copia. I senzavita implosero al contatto, mentre le ombre svicolavano tra ossa e detriti e giungevano al vero nemico con inatteso successo.
Rekla socchiuse le palpebre e inspirò a fondo, assaporando ogni pezzetto di quell’interminabile istante di fulgida agonia. Quando riaprì gli occhi, le iridi sfrecciarono rapide al di là dell’antro, dove il Bebilith la fissava e mugugnava indistintamente. L’essere dilatò bieco le due grandi chele trasversali che prorompevano disgustose da quella che sarebbe dovuta essere la bocca, lasciando che sibilassero fastidiosamente nel frastuono bellico che imperversava irruento tra quelle possenti mura granitiche. Poi fendette l’aria con una delle due zanne superiori: un’onda di viscido liquido bluastro ne scaturì silente e letale, secca e decisa a porre fine a quella tediosa nottata di caccia.
Ma Rekla reagì senza esitazione, mentre poco lontano udiva il cavaliere del Ferelden darsi da fare col secondo dei gemelli; e quindi, sollevando il braccio metallico, issò il palmo avanti al volto, cosicché un fluido rivolo argenteo s’ergesse solido e impenetrabile.
L’attacco giacque inerme, ma qualcosa di ben più perverso stava risvegliandosi.

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Constantine.
Il Demone Bastardo.

Tum tum
I passi incedettero meticolosi e spezzati, ansiosi e placidi nella tetra quiete notturna. Una pace lugubre parve quasi avvolgere il suo cammino, mentre morbidi ciuffi catramati fuggivano all’asfissiante stretta della cappa.

Tum tum
Si fermò. Impassibile, gelida, fiera, soppiantata da un’immagine sfocata che rifletteva assai malamente quanto di buono le restava nello spirito, quanto di puro, di innocente e umano.
Le pupille sfumarono ingenue su di un pallido sfondo, e niente più che corrotte sclere vuote dominavano adesso un volto deformato e deturpato, su cui profonde ferite non del tutto cicatrizzate emergevano quasi fossero sadici vessilli di un passato riesumato.
Una cicatrice per ogni peccato.
Uno sfregio per ogni depravazione.

Tum tum
Nessuna pietà.
Nessuna compassione.
Rekla sfilò Dolore dal fianco destro, mentre la mancina si faceva vanto dell’inquietante struttura della Constantine: un pregevole agglomerato d’ossa e diamante nero, uno stupefacente commisto di bellezza e fatalità.
Poi… il tempo parve fermarsi.
Un sussurro, come istigato dalla tiepida brezza notturna, spezzò la quiete con la delicatezza d’un tuono a ciel sereno, effondendosi con grazia e frustrante soavità. Dolore era stata scagliata verso il Bebilith con inaudita veemenza, mentre la Nera si rivoltava già su se stessa e frustava una decisa mezzaluna d’argentovivo verso un gigantesco spuntone pendente dal “soffitto”.
Questi non tardò a cedere, ricadendo e travolgendo in pieno l’aracnide rimasto illeso dal lancio.

Tum tum
Ma gli eventi, non andarono come previsto.
Avvolto da una lugubre cortina di nebbia, il Bebilith sparì come d’incanto, risucchiato dalla tana che l’aveva vomitato, forse, fuggito dinanzi all’ira del più potente degli dei, forse. Ma si sbagliava.

Tum tum
L’esplosione arrivò dal fianco sinistro, un’immane deflagrazione dai connotati devastanti, un imprevisto a cui la fanciulla dedicò la sua attenzione solo dopo che uno degli artigli approfittò di quell’unico, infimo, attimo di squallida distrazione per infilzarla come il più sudicio dei maiali. La detonazione l’aveva colpita in pieno e gran parte del corpo era stato sfigurato e scorticato, più di quanto già non fosse stato fino ad allora.
Carni lacere e muscoli divelti, pelli squarciate e ossa sporgenti.

Tum… tum.
Il Demone guardò la bestia, e la bestia guardò il Demone.
Secondi infiniti, quelli, scanditi dalla fulgida consapevolezza di essere soli, soli in un oceano d’immoralità, quasi come fossero loro stessi gli ultimi sopravvissuti di una specie volgare e corrotta, quasi fossero loro stessi i due unici contendenti di un’inutile supremazia.
La Nera Signora allungò il Dono sulla grinfia che le trapassava lo stomaco, la spinse ancor più indentro e rise alacremente.

«Nem érdemli meg az életet.»
Tu non meriti di vivere.
E, senza rivolgergli altro che la propria indignazione, l’afferrò e iniziò a cantilenare tra sé una reboante nenia, che andò a ripetersi ancora, e ancora, e ancora, e ancorancorancorancorancorancora.
Sentì le carni della bestia tremolare fra le sue dita, il cuore esplodergli nel petto e il terrore impossessarsene irreversibilmente.
Era la fine… per entrambi.
Afferrò Constantine e se la portò alle labbra: immediatamente, un fitto alone metallico - eppure incredibilmente denso – l’avvolse come fosse uno spesso velo d’argento, un lenzuolo che premuroso vi si dispiegava con cura assai scrupolosa, rivestendola nella sua interezza.
Infine uno scatto, secco, risoluto, impietoso ed implacabile.
La testa dell’insetto sprizzò eccitata verso l'altro, mentre la carcassa senza vita s’accasciava ora esanime e scialba d'energie.
I n f i n e.

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. . .
. .
.

Raggomitolata su se stessa, la mercenaria sussultava convulsa e rabbrividiva. Il suo viso era rivolto disperato su una minuscola pozzanghera d’acqua sporca, catturato da un riflesso che sapeva essere dissonante da ogni plausibile concezione.
I suoi occhi erano mascherati da una sottile venatura umana, nonostante i lineamenti che li cingevano sembrassero trascendere dal reale e astrarsi da ogni comune fisionomia vivente. I connotati erano stati oramai irreversibilmente deformati: canini sporgenti e acuminati, zigomi alti e guance incavate, orecchie appuntite e fronte corrugata di dolore, un dolore che sentiva non l’avrebbe mai più abbandonata.
Aveva perso ogni futile bellezza, ogni avvenenza, ogni significato. Rimaneva solo una stolida bambola di pezza, un burattino nelle mani di coloro che amavano prendersi gioco della sua vita.
Ma adesso stava perdendo finanche quest’ultima.
Alzò la testa e guardò Tristàn dimenarsi tra i due parassiti, dare di affondo a manca, scatenare fendenti a destra. Come fosse una macchina da guerra, il Custode Grigio avanzava fiero ma a fatica sui proprio nemici. Solo quando lo vide in difficoltà, Rekla alzò il braccio e piantò determinata la Constantine nel terreno, carezzando poi la piccola bolla argentea poco sopra l’elsa.
Di lì a breve venti non-morti si sarebbero levati dal suolo, mossi dalla ferocia che li governava, giganteggiando sulla scena come venti imponenti torri di un’inespugnabile fortezza.
Perché così lei voleva.
Perché così lei aveva deciso.
Perché le serviva lui. Le serviva vivo.

«In cosa credi, cavaliere? Nell’umanità, forse?» chiese non appena tutto si fu fermato, arrancando come un vecchio eremita dall’aspetto oramai deperito e trascurato, facendo perno sulla lunga spada di diamante come fosse l’austero bastone della sua improvvisa senilità «Io no… e voglio che tu mi uccida.»
Il corpo iniziò a mutare ancora più vistosamente: dal volto già deforme, lembi di pelle ricaddero come carne morta, mentre piccole pupille incandescenti svettavano su Tristàn minacciose e affamate.
Lo percepiva, lo sentiva avanzare dentro di sé, lo sentiva penetrare nel suo animo, corroderle il cuore e rubarle ogni straccio d’ossigeno. Faticava a respirare, sospirava pesantemente, ma trovò comunque fiato per quelle ultime, stentate parole.

«Ucc… idimi! U-uccidimi… prima che anche ciò in cui credi… muoia con te!»
Tristàn rimase impietrito e spaventato, turbato da quanto feralmente stava dispiegandosi innanzi a sé, combattuto dall’adempiere a quella richiesta tanto afflitta: uccidere colei che lo aveva soccorso, colei che lo aveva accompagnato in quell’interminabile viaggio. Esitò.
Ma poi, quando il corpo della fanciulla ringhiò come una belva indomabile, palesando la voracità e la disperazione che la logoravano, spalancando le fauci minacciosa verso l’uomo, questo socchiuse gli occhi – una lacrima di cristallo parve increspare i suoi marcati lineamenti – e deciso vibrò il colpo mortale.

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E il silenzio, nient’altro che il silenzio, accompagnò quell’ultimo secondo di perfida indignazione.
Cosicché anche il più infido degli esseri potesse tornare il libertà.
Cosicché anche Rekla Estgardel, finalmente, potesse riassaporare il gusto di essere vivi.

.
. .
. . .


You Are Free Now.



SPOILER (click to view)
CITAZIONE
Rekla Estgardel
La Nera Signora

Stato Demoniaco
ReC 250 | AeV 175 (350) | PeRf 425 (850)| PeRm 450 | CaeM 175

« Energie: 100 - 6 - 6 - 15 - 15 - 6 - 33 - 6 = 13 %
« Status fisico: danno basso da paralisi, danno alto da esplosione in tutto il corpo e danno basso da perforazione all'addome.
« Armi: Constantine • sfoderata; Gemelle • scagliata - riposta


~ ~ ~

C o r r u z i o n e

Attiva
Lussuria: la radice della parola "lussuria" coincide con quella della parola lusso - che indica un'esagerazione - e quella della parola lussazione - che significa deformazione o divisione. 
Appare quindi chiaro il suo significato, il quale designa qualcosa di esagerato e di parziale. Il lussurioso cioè è portato a concentrarsi solo su alcuni aspetti del partner (il corpo o una parte di questo) che diventano il polo dell'attrazione erotica; tutto il resto è escluso, l'interezza è negata. 
Il corpo viene oggettivato e la persona spersonalizzata: le vesti, gli accessori, i gesti, la musica, le luci arrivano ad assumere un'importanza fondamentale poiché devono supplire alla mancanza di un altro tipo di seduzione che scaturisce da un'intesa psicologica e affettiva, oltre che fisica. E' proprio grazie a questa profonda intesa psichica che, ad un unico gesto di Rekla, dal terreno rivoli di mercurio fluiranno per plasmarsi in incantevoli riproduzioni di cadaveri. In tal modo, una schiera di non morti -da una decina a una ventina- risorgeranno per scagliarsi voracemente contro il suo avversario. Al termine del turno i morti si dissolveranno in cenere, fungendo da vera e propria tecnica. Nonostante il loro numero, infatti, il massimo quantitativo di danni che potranno causare all'avversario sarà pari a Medio, svanendo una volta raggiunta questa soglia. Una tecnica inaspettatamente utile, che può avere anche delle inusuali applicazioni difensive. Consumo di energie: Medio + Medio.

Primo Vizio dell'Animo|Mestizia: Mestizia, profondo stato di malinconia ed afflizione, catatonico miasma di negative emozioni e terribili sensazioni, contenuta nonostante la devastante matrice turbolenta che la investe. E così, con un qual si voglia gesto fisico o meno, la Nera Signora ha la facoltà unica e irrefrenabile di avvolgere tutti coloro che la circondano con lo spesso manto di questo incrollabile vizio dell'anima. La mercenaria, invero, potrà ordinare all'oscurità di dannare l'animo dei propri avversari con quanta più brutalità la sua mente possa concepire. In termini tecnici Rekla, dopo qualche secondo di concentrazione, sarà in grado di animare le ombre dell'intero campo di battaglia che, dopo essere tornate in vita, si lanceranno contro l'avversario circondandolo. Esse lo dilanieranno, riempiendolo di pesanti ferite da taglio per un danno complessivo pari a Medio, prima di ritirarsi e tornare alla normalità, com'erano sempre state. La tecnica è utilizzabile anche al buio più totale o quando le ombre sul campo sono pochissime: il danno provocato dalla stessa non cambierà assolutamente. Consumo di energia: Medio.

Quarto Vizio dell'Animo|Egoismo: Per egoismo si intende un insieme di comportamenti finalizzati unicamente, o in maniera molto spiccata, al conseguimento dell'interesse del soggetto che ne è autore, il quale persegue i suoi fini anche a costo di danneggiare, o comunque limitare, gli interessi del prossimo. La radice del termine è la parola latina ego, che significa io. I comportamenti egoistici possono a volte degenerare in forme patologiche, determinando condizioni di solitudine sociale che possono sovente sfociare persino nel suicidio. Allo stesso modo il Cerbero rivendica la propria individualità generando, dopo almeno un secondo di ferma concentrazione, una barriera semisferica completamente in mercurio davanti a sé. Questa si formerà a poca distanza da lui, sarà abbastanza alta da ricoprirlo per intero, particolarmente larga e risulterà essere quasi indistruttibile. Un'ottima difesa contro attacchi sia magici che fisici, che non copre però tutto il corpo. Attacchi di elemento luminoso/sacro che andranno ad impattarvi andranno considerati di un livello superiore; viceversa, attacchi di energia oscura andranno considerati di un livello inferiore al normale. Di per sé, va considerata una normale barriera di potenza Alta.
Consumo di energie: Alto.

Formula quarta|Stile dell'illusione: Il controllo; lo sfruttamento; la sottile arte della soggezione: questo è uno dei compendi di Abraxas, che fornisce a colui che la impugna la capacità di divenire spugna per i poteri dei demoni rinchiusi al suo interno; di assorbire ogni brandello di forza e utilizzarlo contro il proprio avversario - o perlomeno, di farglielo credere. Il brando sa bene infatti che è oltremodo pericoloso lasciar fuoriuscire all'esterno anche solo un piccolo brandello dei diavoli che contiene, dunque ne lascia sopravvivere solamente le idee, le impressioni e le paure. Spendendo un consumo pari a Medio, la Nera Signora potrà demonizzare il proprio aspetto per la durata di due turni, facendo solamente pensare che Constatine abbia preso possesso del suo corpo: ella sembrerà ben più rapida e forte di quanto non sia in realtà, e l'avversario non potrà che credervi, soggiogato dall'impotenza della propria ingenuità. In termini tecnici, l'avversario verrà afflitto da un attacco psionico di potenza alta, della durata di due turni, che gli mostrerà la portatrice di Abraxas con l'aspetto di un Cerbero, e che lo costringerà a trattarla come se possedesse il doppio di PeRf e AeV rispetto ai suoi parametri normali (qualsiasi power up si applica prima di questo raddoppiamento apparente). Questo, tuttavia, solo se si dovesse giungere ad uno scontro fisico: nel caso in cui Rekla castasse delle tecniche fondanti la propria potenza sulla PeRf o sulla AeV, non si applicherebbe la regola del raddoppiamento.

Incisione del B a s t a r d o III: Al terzo livello crescono le potenzialità del Demone, in ogni senso. Tutto ciò che si è sottoposto a incanto potrà, in qualsiasi momento e senza concentrazione, ricoprirsi di un alone argenteo, in virtù della manipolazione mercurica. Le modalità e gli effetti resteranno identici ai livelli precedenti, ma si potrà variare forma e intensità della magia riversata per ciò che concerne aspetto e potenza dell'incantamento. Una mezzaluna o un sottile raggio saranno una delle offensive possibili, così come rimane a discrezione di Rekla l'ammontare di energia (da cui consegue la forza dell'effetto) da spendervi. Consumo: Variabile Alto + Critico.


Passiva

Incisione del B a s t a r d o I - II - III:
- Possibilità di caratterizzare una delle proprie armi da mischia con un particolare orpello (una runa, un simbolo, o una scritta). Quell'arma - e solo quella - potrà in qualsiasi momento innescare i poteri del dominio. Grazie all'incanto, inoltre, essa risulterà impossibile da distruggere nonostante gli attacchi che le potrebbero venir mossi. (I)
- Possibilità di caratterizzare una seconda arma tramite l'incantamento, anche una a distanza, anche se in questo caso dovranno essere incantati i proiettili. Le armi (e i proiettili) incantati potranno in qualsiasi momento innescare i poteri del dominio. Grazie all'incanto, inoltre, risulteranno sempre affilatissime e incapaci in alcun modo di perdere le proprie capacità offensive, oltre che indistruttibili. (II)
- Grazie all'incanto, si aggiunge un terzo effetto alle armi incantate, rendendole permanentemente prive di peso per quanto riguarda il possessore del sigillo. Ogni altra persona percepirebbe il peso reale dell'arma. Inoltre, non potranno neppure essere sottratte al portatore, e in alcun modo rubate. (III)


-Gola: Rekla raggiunge il successivo livello dell'Incisione del Bastardo. (Livello III)

-Superbia: Essendo innamorata di se stessa e di una forse inesistente superiorità, la giovane ha coltivato un carattere duro e scorbutico che non ispira affatto fiducia in chi la affianca ma, talvolta, insinua un timore lieve che però non ha alcun effetto contro i demoni o gli individui di livello superiore.

-Terzo Vizio dell'Animo|Ambizione: Che sia negativa o positiva, l’ambizione - così come la sua assenza - sottende tutte le azioni umane malvagie o meritevoli che siano. L’ambizione sfrenata può portare all’insoddisfazione perenne, a cambiare schizofrenicamente campo di interesse o obiettivo pur di avere una nuova vetta da scalare, mentre un’accezione positiva di questa attitudine psicologica può coincidere con una sana spinta a migliorarsi e non accontentarsi, a superare i propri limiti. Rekla Estgardel è forse l'essere più ingordo e privo di scrupoli del pianeta, pericoloso e raggelante nell'infinita contaminazione della sua mente. E' proprio grazie a quest'incessante bramosia, però, che la Nera Signora è riuscita a cogliere frutti misteriosi ed unici, rari e preziosi come le più pregiate ricchezze del mondo. In termini pratici, ella è in grado di usufruire delle capacità di una seconda classe: il ladro. A tal modo ciò potrà senz'altro spalancare alla regina dei morti molteplici vie ad un'innumerevole quantità di attacchi e strategie, tutte indubbiamente mirate a stroncare sul nascere l'esistenza del malcapitato avversario.

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Riassunto combat: Il Bebilth attacca improvvisamente Rekla, ferendola alla gamba con la combinazione delle pergamene "Inafferrabile" (Medio) e "Colpo paralizzante" (Medio), dopodiché riparte con un semplice attacco fisico. La ragazza, però, evoca undici infanti non morti con l'ausilio di "Lussuria" (Medio), che ho supposto attutissero l'attacco che ho considerato pari a un basso. I cinque non morti rimasti, di entità offensiva bassa, vengono riscagliati con il supporto di "Mestizia". L'offesa dei cadaveri s'infrange su di una copia del Bebilith - creata con "Copia reale" (Medio) - mentre le ombre generate da Rekla lo travolgono e dilaniano (danno Medio al Bebilith). Il mostro risponde con l'attiva del terzo livello del dominio "Incantaspade" (Alto) che ho supposto avere come elemento il veleno. Ma l'onda livida non ottiene gli effetti sperati, infrangendosi contro la tecnica "Egoismo" della mercenaria, che contrattacca - dopo essersi trasformata in forma demoniaca - lanciando la daga Dolore verso l'aracnide (attacco fisico) e sferzando contemporaneamente una mezzaluna di mercurio con l'attiva del dominio (Alto) verso una stalattite pendente dal soffitto. Il Bebilith riesce a difendersi dal lancio, ma non si accorge della roccia, prendendo in pieno un danno Alto.
Ciononostante, pur agonizzante, l'insetto utilizza la pergamena "Invisibilità" per sparire nella foschia ed attaccare Rekla prima con la tecnica "Tiro esplosivo" (Alto), poi con un semplice colpo fisico: entrambi gli attacchi vanno a segno, causando alla ragazza un danno Alto e uno Basso.
In balia dell'ira, Rekla afferra la chela del mostro impedendogli di ritrarsi dal suo addome ( potenziando la PeRf e l'AeV grazie alla tecnica "Stile dell'illusione") e sferra a distanza molto ravvicinata un fendente letale supportato dall'attiva del dominio (Critico) per decapitare, letteralmente, l'avversario.
Una volta terminato il combat, infine, si rivolge a uno dei due Bebilith rimasti per evocare nuovamente venti non-morti con "Mestizia". Lascio completa libertà ad Escape nel gestirli come meglio preferisce. :sisi:

Note: dunque, per coloro che se lo stanno chiedendo, SI, Rekla è morta, e SI, ho volutamente scelto di autoeliminarmi dal Valzer al Crepuscolo.
Sono assolutamente certo che molti di voi penseranno che sia paura, vigliaccheria, noia nel continuare o che altro, ma vi sbagliate: ho semplicemente una brutta malattia che si chiama "Interpretazione", cosa che per me viene prima d'ogni altra nel giocare la Nera Signora.
La domanda che vi pongo è: come credete si sentirebbe Rekla in questo momento? Potrei porvela mille e mille volte e la risposta sarebbe sempre la stessa.
Rekla sarà anche stronza, perfida, malvagia, sadica, egoista e chi più ne ha più ne metta, ma è prima di tutto una donna, e in quanto tale si sente debole, fragile, inerme, impotente e una stupidissima bambola di pezza nelle mani degli eventi. Lo stupro di Chevalier è stata solo una goccia, l'ennesima di una lunghissima serie. La maledizione sta prendendo il sopravvento, si è impossessata della sua anima, del suo cuore, della sua mente, e non vuole lasciarle prendere anche il suo corpo. Motivo per cui sceglie l'unica via non ancora battuta per fermarla: il suicidio. Rekla non ha mai voluto vivere, ben che meno adesso.
Ringrazio tutti coloro che hanno, anche solo di sfuggita, letto i miei post, ringrazio i miei compagni e i Qm per la splendida opportunità datami.
Mi scuso con Escape per averlo abbandonato in questa disputa di potere (XD) e con Ray qualora la mia decisione gli avesse creato qualunque tipo di problema. E' stato il post più difficile che abbia mai scritto, e spero d'esserne uscito quantomeno degnamente.
Bè, direi di aver detto tutto. Non mi rimane che augurarvi un grosso in bocca al lupo e, ovviamente, che vinca il migliore.^^
 
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24 replies since 2/4/2011, 12:14   2508 views
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