Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Valzer al crepuscolo ~ Crescendo, Scena free - Asgradel

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view post Posted on 12/4/2011, 09:25
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And...bla..Bla..BLA
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Il fiume del Fato conosce il proprio Destino.
Presagisce la propria Via.
Intuisce la propria Fine.
Tanto ardua è la Vita, per coloro che son morti.
Che la brevità di un istante dura eternità ed ere senza l'invecchiare della pelle, lo sfaldarsi delle ossa e il prosciugarsi delle vene.
E nel dubbio si è costretti ad avanzare, scheletri di incertezza, senza che nemmeno la morte porti infine l'agognato sollievo all'ego che si turba e distorce nell'accanimento.

Perché mi stai chiamando, o mia amata?
Perché la tua voce, un tempo tanto bella, ora mi pare l'eco lontana di una lugubre litania, stanca fiele di un suono che si ripete,
vuoto?

Nel saggiare il sentore della sabbia fra le labbra incrostate di vento, la figura ritta e fiera nella gelida tormenta, Ashlon non potè che socchiudere gli occhi nell'udire quella vacua risonanza riverberare ancora, fluida, nell'aere.

Che sia stata Morte a renderti tanto triste?
O che il Guardiano della Anime abbia chiesto la tua luce in cambio di una nuova vita?
Strappandoti Amore. Spogliandoti di Gioia. E violando il tuo cuore, rubandoti per sempre la Voce?


Il fiume del Fato conosce il proprio Destino.
Traccia con dita sottili il diabolico sentiero della sua esistenza ed infine marcia.
Instancabile.
Inarrestabile.
Verso la propria meta.

Così, anche i Predatori di Neiru marciano.
Dedalo infinita di passi.
Scorcio nodoso di volti contratti, irrigiditi dalla tormenta, dall'inclemenza di una Terra che da molto li ha rifiutati e che non contenta ancora li vuole ricacciare nell'oscurità.

Marciano.
Serpente dai mille riflessi scarlatti che lento scivoli nel sibilo di mille fiati, mille sospiri.
Non esiste fatica per coloro che son morti. Non esiste respiro.
Essi si cibano solo di Tenebre. Calpestano solo polvere.
E danzano, uniti, una sola melodia, una sola nota.
La voce di colei che, Sirena ammaliatrice, Pifferaio diabolico, intona le fattezze del loro, memorabile, cammino.

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.
.
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Sulla bianca pelle, il Primo Fiore sboccia come cremisi macchia di sangue nella neve. Come anemone viziosa, che seducente schiuda le proprie labbra in una corolla di sfumature vermiglie.
Parrebbe il primo segno di un risveglio, di una memorabile ripresa alla Luce di una bellezza altrimenti svanita nell'oblio, nell'incoscienza.
Rosso su bianco, il primo segno su una tela intonsa.
Eppure, mentre il tatuatore ritrae l'ago puntuto dal proprio cameo, nulla pare agitarsi in quell'opera improvvisata, imprevista.
Né l'esalare di un sospiro. Né il sopraggiungere di un movimento.

E' inutile

Non si sveglieranno. Della loro anima non è rimasta che la scintilla.


Nella sua voce il debole sentore della rassegnazione. Patina umida, ovattata, nell'infuriare della tormenta.
Ashlon concede solo una rapida occhiata prima a lui e poi ai corpi dormienti poco distante, ombre di ciò che un tempo furono. E subito il suo sguardo si sposta in avanti, verso l'orizzonte, come se qualcuno o qualcosa avesse nuovamente catturato la sua attenzione.


Quanto basta. Lasciate che ci seguano.

Come tutti gli altri, prima o poi il Fiume del Fato li troverà e li guiderà a Lei

.
.
.



SPOILER (click to view)
Chiunque non sia riuscito a passare nel primo turno del valzer si ritrova ora qui, nel bel mezzo della marcia dei Predatori di Neiru. Riuniti in un'unica, sterminata, armata, essi stanno attraversando le terre dell'Eden per giungere infine nel luogo indicato dall'Asgradel. Ogni pg, pur essendo del tutto incosciente e privo di coscienza di sè, sta già avanzando di seguito all'esercito, spinto in avanti dalla medesima nenia che li richiama. L'asgradel ha fatto in modo che tutti si ritrovassero qui così che i Predatori potessero ridare a tutti un minimo di forze mediante l'applicazione del Veleno ( chiamato Fiume del Fato) capace di infondere incredibili poteri e potenzialità in coloro che riescono a sopportarne gli effetti. L'alternativa, in poche parole è: o morire, o rimanere in vita con un poco di energie. Il marchio del veleno assomiglia in tutto e per tutto ad un fiore rosso ( meglio pensare ad una anemone di mare scarlatta) dovuta alla capillarità e alla diffusione della sostanza nel corpo. Ovviamente questa sostanza provoca terribili dolori e forme di rigetto ma...ogni pg è nuovamente in vita, a tutti gli effetti arruolato nella fazione dei Predatori, in marcia verso il campo di battaglia.
 
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Verel
view post Posted on 12/4/2011, 17:46




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Occhi aperti su un mondo nuovo. Un dipinto riflesso dalla luce di mille colori, come un sogno della realtà stessa. I passi di migliaia di creature sarebbero dovuti risuonare nei timpani di Verel come la realtà li aveva creati, come Dio li aveva creati. Invece erano come illusioni, ombre distanti e vicine e nemiche e amiche. E così li imitavano i volti, sfumati ed irriconoscibili o subito dimenticati come un déjà vu. La mente era ora aperta al mondo. Ed ogni cosa veniva guardata secondo un nuovo occhio, per poi venire subito dimenticata nel processo di una esistenza in bilico tra l'onirico e il mondo del risveglio. La sua stessa identità veniva a volte strappata dalla sua mente, per poi tornare dopo pochi istanti attratta dalla sua vera anima.
E quella era l'unica cosa sul quale si poteva aggrappare, perché tutto stava scivolando via come un sogno. Come il suo sogno.
A s g r a d e l
Un essere divino con le vesti di una fanciulla dai capelli quasi scuri, come scoloriti da una forza malefica, e dagli occhi spenti, come scavati da un sonno più simile alla morte del riposo. Era l'unica immagine che non si staccava dalla parete di pensieri, l'unica che resisteva audace al vortice divora ricordi. L'aveva vista per un istante, sapendo per certo che essa era il Dio svettante su una torre di macerie, e ne fu disgustato. Non poteva averlo sognato. Non poteva essersi immaginato il disgusto che provava per sé stesso mentre desiderava uccidere l'Asgradel, fonte di speranza e violenza. Un essere che forse non si curava di loro, degli uomini, ma che suscitava in loro un tale sentimento...
E mentre i ragionamenti andavano e venivano, dimenticati, l'unica cosa che non cambiava era la figura di Dio.
E.. Ei...
Dimmi il tuo nome.
-
Aveva combattuto, poco prima? Si, quasi certamente. Un mantello mosso come una striscia di sangue nel vento, una polvere dalla tenacia e dalla forza leonina, una folta chioma e la volontà del caos stesso. Ma il suo volto era perduto nel lago nero dei suoi ricordi. Li avrebbe mai ritrovati? Al termine del conflitto, se fosse riuscito a conservare la vita, avrebbe riavuto tutto? Ora anche le ferite erano scomparse. Al loro posto, un germoglio rossastro aveva fatto capolino sul dorso della sua mano. Lo osservò, non osservandolo davvero. Guardandoci attraverso, scrutando la sensazione così strana da provare in una situazione onirica: dolore. Lo invadeva, armato di mille e più tentacoli, avrebbe potuto farlo contorcere e urlare, ma suscitò soltanto un masochistico interesse. Cos'è questa sensazione? Avrebbe voluto chiedere a quella figura sfocata che gli stava imprimendo il marchio addosso. Ma le sue labbra non si schiudevano, come addormentate. Mentre invece il resto del corpo si muoveva da solo, unendosi al fiume umano che attraversava le lande verso una zona sconosciuta.

Un ideale è qualcosa che non si dovrebbe estinguere mai. Essendo un essere umano, in fondo doveva averne avuti anche lui. Eppure Verel non riusciva ad afferrare il perché delle sue azioni precedenti, quelle che riemergevano tra i ricordi almeno. E continuava a camminare, incessantemente, senza sapere il perché neanche nel presente. E la disperazione saliva. E l'ansia cresceva.
Forse l'unica cose che aveva voluto era quel nome...

L'aria condensata sfilò tra le labbra, formando una tenue nebbia che andava rapidamente diradandosi proprio come quel rauco sussurro pronunciato con tanto sforzo:
« Dimmi il tuo... nome. »


SPOILER (click to view)
Non si può ricordare perfettamente un sogno. Ed ora che Verel è divenuto a far parte del sogno dell'Asgradel stesso, la sua mente vacilla tra la consapevolezza della realtà e la sensazione che sia tutta una illusione. Ci sono vari riferimenti ad Eitinel nel post: il suo sogno, l'amnesia, il bacino nero che sovrastava la sede del clan (interpretato come il luogo dove i ricordi perduti vanno a finire), poi il flashback appena accennato del sognatore (l'Asgradel col corpo dell'Inquisitrice). E poi c'è soltanto il desiderio di conoscere il nome della stessa Inquisitrice, il nome di Dio, con la speranza che sapendo qualcosa di colui che origina il sogno, i ricordi tornino.
Lo so che non è un post lungo o particolarmente approfondito, ma spero che apprezziate comunque. ^.^
 
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°My heart in the Mist°
view post Posted on 13/4/2011, 20:46




Amleto
El sueño de la razón produce monstruos





Tutto era come in un sogno, un dormiveglia estatico in cui realtà e pensiero si fondevano in un unico conglomerato privo di forma e senso. Ma, a differenza del bagno ristoratore che ogni notte permetteva alle fatiche di dileguarsi dal corpo, in quel momento la mente stessa era assopita in un torpore tanto forte da rendere incontrollato il flusso caotico di pensieri che vi scorreva dentro. Lati inesplorati di sé venivano pigramente a galla, altri affondavano senza fretta verso il fondale di pece del subconscio. No, non vi era pace in quel dormire, solo una paralisi della psiche e del corpo tanto forte da sconvolgere ogni cosa presente in quel guscio spolpato di ogni capacità di governo.

Morire. Dormire. Niente di più.



Un istante prima era morto. In quel momento non lo poteva ricordare, perché l'immagine della sua dipartita, come quella della rinascita, era perduta in quel caotico flusso cerebrale. Ma il dolore era ancora vivo, sì, esso persisteva, e anche la nausea, e la debolezza... ma tutto veniva percepito con distacco, come se non fosse lui a soffrire, a contrarsi per i conati di vomito e ad avanzare, fragile, in mezzo a quella schiera di dormienti.

E nel dormire porre fine alle mille angoscie e ai dolori che la carne eredita.



Camminava. Un canto lo guidava verso l'ignoto, miele di Dio per migliaia di api create a sua immagine e somiglianza. Il popolo che aspettava, fremendo, i comandamenti del proprio Signore, dopo aver donato a lui tutte le proprie capacità ed essersi ridotti a gusci schiavi dei capricci di un'entità senza scrupoli. Ignavi che non avevano avuto la forza di scegliere, e ora costretti a seguire un vessillo ingannevole. Tutti persi nello stesso sogno di ubbidienza, ognuno seguiva e veniva seguito dalla schiera infernale.

MA QUALI SOGNI SOPRAVVERREBBERO A QUEL SONNO DI MORTE?



Qualcosa dentro al Bandido si svegliò.
Non la sua coscienza, no, essa era ancora immersa nella terra onirica e fredda, a marciare.
Qualcosa, nel profondo del suo essere, prese conoscenza con singulto, schiocco di una rudimentale quanto pericolosa bocca. Il corpo esterno del Bandido vacillò, rallentò per qualche istante. Poi si fermò, in preda agli spasmi.

Dolore.



L'essere dentro di lui digrignava i denti insistentemente, incapace di sopportare quella sofferenza e quella nausea insopportabili. Un malato che, risvegliatosi dopo un lungo sonno ristoratore, scopre di soffrire ancora gli stessi sintomi che pativa nell'addormentarsi. Questa creatura si era già svegliata molto tempo prima, prima di essere relegata nuovamente nei recessi dell'animo del ragazzo. Anche quella volta aveva sentito nausea, aveva percepito debolezza in quel corpo.
Ma ora era stanca.

Avrebbe plasmato quel corpo in qualcosa di più affine ai suoi desideri.

Le mani del Bandido corsero ai lembi della sua camicia e la strapparono, scoprendo i ghirigori scarlatti che coloravano il suo petto pallido. Non coscienza, non volontà, semplice istinto. Sentiva dolore, in quel punto, una lama che perforava orizzontalmente i muscoli per avanzare sempre più vicina al cuore. La creatura intuiva cosa sarebbe successo se ciò fosse accaduto.
Non c'era più intenzione in quel corpo, solo impulsi incontrollati, desideri e perversioni che ormai imperavano nella psiche. Fiamme che avvolgevano quella ragione addormentata e che si propagavano all'esterno, avvolgendo gli arti, il torace, la carne e le ossa. Entravano in circolo, nelle vene, asciugavano lo stomaco dei suoi succhi acidi.
Poi, ogni cosa divenne nera. Cacciò un urlo, e tutto ciò che di pece aveva dentro uscì dai pori della pelle, dalle ghiandole salivarie, dai condotti lacrimari.
Il sonno della ragione genera mostri.

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Lui era il peggiore di tutti.



SPOILER (click to view)
El Bandido è in preda all'incoscienza dovuta al veleno, quando una parte di sé stesso, svegliatasi grazie al "sonno della ragione", libera in lui la parte demoniaca, innescando la tecnica di trasformazione che lo rende un essere dalla pelle nera come la pece. Infine caccia un urlo, prima di tornare a camminare assieme agli altri.
Ho tentato di rendere l'atmosfera più surreale possibile, lasciando da parte le descrizioni ambientali e enfatizzando quelle poche sensazioni che una mente in dormiveglia può percepire chiaramente. Spero non risulti illeggibile.
 
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Blind
view post Posted on 20/4/2011, 14:48





Freddo, umido, morte.
Dove sono? Chi sono?
Sono… vivo? Guardo le mie gambe muoversi, ma non capisco.
Cosa è successo? Come è successo?
La mente mi fa male, il corpo è pesante, gli occhi bruciano: tenerli aperti un attimo è un’ eternità di dolore.
Sto… strisciando, trascinando in modo ignobile le gambe.
Dove sto andando?
Poco importa, tanto sono deceduto.
Volto il capo a destra e sinistra lentamente, la bocca è semiaperta, lo sguardo distante.
Non sono solo.
Siamo un esercito, o qualcosa che gli è simile: stiamo marciando come una schiera, come tanti mostri già morti.
Un forte emicrania mi fa piegare in avanti il volto.
Ricordi: un flusso costante e preciso.
Balmur è l’ ultima persona che ho visto.
Eitinel è l’ ultima persona in cui ho riposto la mia fiducia. Forse male.
Io le diedi tutto me stesso, io sono morto per lei. E lei dove si trova? Cosa ha fatto lei per me? Niente. Io sto marciando ancora per i suoi ideali, io mi sto muovendo per lei. Io sto soffrendo per assecondare il suo volere.
Le vene portano l’ incendio in tutto il corpo.
COSI’ FINISCE LA MIA VITA. COSI’ MI RECO IN GUERRA POSSEDENDO UN CORPO NON MIO.
COSI’ MI RECO ALLA PRIMA ED ULTIMA MIA SCONFITTA.
Sebbene la mia volontà cerchi di farmi desistere da quella marcia di morte, le mie gambe continuano ad avanzare. L’ Asgradel mi chiama, mi invoca come la più potente delle divinità. L’ Asgradel mi nausea, ma io rispondo pronto, come il più fedele dei paladini.
La sua potenza su di me è massima, sono succube della sua forza.
Carità, Carità, dove sei? Aiutami, liberami da questo tormento. Spezza il giogo che blocca il mio capo. Liberami da questa maledizione. NON SCELSI IL SORYA PER MORIRE COSI’.
Il mio sacrificio sarebbe dovuto essere spontaneo, valorizzato da un duello epico. Dove sono i nemici, dove è la GLORIA in tutto ciò?
No, non ci sarebbe stata una fine degna della mia persona.
Guardo stancamente i miei commilitoni.
Saremmo stati spazzati via come foglie al primo vento d’ autunno.
Kran, risorgi al mio fianco, donati nuovamente a me. Strappami da questa follia, strappami da questa esistenza.
O vivere o morire,
FINO ALLA FINE ULTIMA.
Non vi sarebbero state posizioni intermedie.
Ed eccoci a camminare verso l’ ignoto, verso la disfatta, verso l’ eternità. Coloro che avevo combattuto, coloro che avevo ucciso e deturpato, erano affianco a me, a proteggere la mia destra e sinistra. Perché? Perché i miei nemici sono divenuti miei amici?
Vorrei estrarre la mia lama e recidergli la gola.
Non posso.
Vorrei trapassargli il petto con il mio artiglio.
Non posso.
Cosa sta accadendo?
Siamo come flutti destinati a precipitare nella cascata.
A diventare parte integrante di qualcosa di più grande.
ADDIO.
Scar Garrett si sta recando verso la sua morte.
I capelli neri gli occludono la vista, ma tanto non gli serve: lui non è più



CITAZIONE
un peto del genere era da tanto che non lo scrivevo :argh:
Premetto che è la prima volta che scrivo in prima persona al presente. Spero di aver dato l' idea di un guerriero stanco e moribondo. Dal prossimo mi rifaccio, statene sicuri :sisi:

 
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Caccia92
view post Posted on 20/4/2011, 23:37




Tamburi e Canzoni di Morte
Non chiedere nulla.


Tamburi.
Tum! Tum! Tum!
Canzoni.
Leggere e irresistibili.
Melodie di morte.

Marciamo.
Insieme contro l'alba e il tramonto.
Marciamo.
Inarrestabili, come i morti.
Marchiati a fuoco e distrutti.
Senza un'anima e una mente.

Noi marciamo.



Cos'è questo suono? Mi sembra di averlo già sentito da qualche parte...mi sembra quasi familiare. Cos'è? Non è una melodia comune agli esseri umani, non è una canzone fatta di parole e vibrazioni vocali. È un richiamo. Io lo seguo...non lo conosco e lo seguo.
Ma non sono solo. Ci sono altri uomini che camminano insieme a me, piccoli frammenti di storia che convergono tutti ad una fine già scritta. Siamo uniti dal legame più forte e più grande di tutti: il nulla. Sì, perché è il nulla che perseguita le nostre menti, è il nulla che ci guida e che ci fa da padrone. Niente sembra reale ora, ogni avvenimento diventa accettabile. Ma noi marciamo, nonostante la distruzione, nonostante i flussi di ricordi e le profonde ferite, noi marciamo sul sentiero desolato. Facciamo parte di un esercito solido e silenzioso, trattenuto con forza dalla canzone della morte. Nessuno può fuggire, nessuno può sottrarsi.

« Sono...il marchio... »

Le mie parole non sembrano le mie parole. I miei passi non sembrano i miei passi. Io non sembro io.
Avverto solo la presenza di uno strano dolore sulla spalla, un anemone rosso che si sta prendendo il resto delle mie energie. Lo voglio togliere e non voglio. Sono confuso. Cosa devo fare?
Devo seguire la canzone, ma non la voglio seguire. Non devo, non sono obbligato. Ho combattuto fino a questo momento, avevo un carattere indipendente da difendere...io sono...io...io sono...

Chi sono io?


Oddio...non lo so.
Lo sapevo e adesso non lo so più...perché mi fai questa domanda?
Ho fatto la domanda e nessuno mi ha risposto. Doveva rispondere la mia anima, ma è rimasta di stucco. Non sa cosa dirmi in questo momento. Quindi non ho scelta: seguo gli altri.
Seguo il richiamo, seguo quello strano suono che è così dolce e così bello. Chi è? Chi sei? Un passo, un altro, un altro ancora, il fiume ci trascina verso la foce al di là dell'alba e del tramonto. Noi marciamo. Privi di coscienza e senza identità, noi marciamo.
Mi sento sporco e non mi sento sporco. Qualcosa sta avvelenando il mio cuore, ma non mi sta uccidendo. Anzi, mi regala rinnovata forza per continuare il cammino. So che questo veleno serve a portarmi fino alla meta e so che gli altri ne sono colmi. Non li osservo, conosco soltanto la situazione. E non la conosco. Tutto è confuso e inaccettabile e accettabile. Spingiamo i muscoli senza spingerli davvero, muoviamo le gambe senza muoverle davvero e pensiamo senza pensare davvero.

Chi siamo?

Noi siamo l'Asgradel.






SPOILER (click to view)
Ho cercato di imprimere l'idea della netta confusione che c'è nella mente di Dagg. Non si riconosce più, non ha valori ed è senza identità. Fa fatica anche a riconoscere gli altri, sa solo che bisogna marciare tutti nella stessa direzione. E seguire il richiamo.
Avverte il veleno dentro il suo corpo, ma non può agire perché non ha il controllo sull'anima e sulla mente. Non sa cosa vuole..per ora segue solo la melodia dell'Asgradel.
 
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view post Posted on 21/4/2011, 10:59
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All Heavens sent to dust
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Il Fiume

Un passo dopo l'altro; migliaia di orme che portano al campo di battaglia.




Silenzio. Silenzio, silenzio, silenzio. O forse no.

No, lo Spirito non sentiva silenzio. Assopitosi per un attimo, le orecchie avevano cessato di raccogliere i suoni dell'ambiente che lo circondava. Qui e lì un uomo si fermava e si piegava in due rigettando ciò che aveva tentato di mangiare pochi minuti prima, altri gemevano, e altri ancora respiravano a stento in rantoli soffocati.

Il clima non era dei migliori, anzi: erano state ben poche le marce che Jevanni avrebbe mai definito più opprimenti di quella.
Perché la marcia doveva essere marziale, mentre quella che stava compiendo assieme agli altri uomini e donne e non umani era tutto fuorché lo spirito battagliero.

Visilne avrebbe ricamato su questo racconto parlando di un esercito fiero dalle armature scintillanti e i destrieri poderosi, per rendere più dolci le notti dei bambini che si riunivano attorno al camino della locanda.

Già..Visilne..

Gli occhi rimisero a fuoco il paesaggio paradisiaco che lo circondava, lasciandogli un sentore di tristezza fra le labbra. L'odore di pioggia fredda che scivola sul vetro di una finestra.

I passi affaticati si alternavano sul suolo, lasciando impronte prima destre poi sinistre, lentamente e infinitamente. Sentiva una stanchezza immane gravargli sulle spalle e sugli arti con il peso di un macigno di granito. Lui che aveva imparato ad alienare il dolore, sentiva ora il corpo intero andare a fuoco per gli sforzi eccessivi. Marcia mortale: quello era il nome da poter affibbiare alla processione. Il Guerriero non poté non lasciarsi sfuggire un grugnito, mentre il collo si sforzava di ruotare per permettere all'uomo di guardarsi attorno.

Mille e più. Forse più di ventimila, per quanto lo Spirito potesse saperne.
Era gigante il fiume di soldati che scorreva nelle valli dell'Eden.
L'imponenza di un esercito divino, che comprendeva ogni sorta di essere, legando rivalità e odio in briglie di acciaio e sangue. Le briglie del cameratismo bellico, forse troppo volubili e fragili nel momento del bisogno. Eppure in un mondo come quello, che alternativa vi era?

Jevanni non aveva la coscienza piena di quello che faceva, forse per stanchezza, o forse per il calore che imperversava nel corpo come magma.
Magma, già.
Lui, il Guerriero dell'Inverno, reso incapace di combattere e fiaccato dalla febbre. Una visione patetica, senza dubbio vergognosa per l'uomo dagli stivali imbrattati di fango. Fango privo di sangue, di una terra ancora vergine della battaglia che sarebbe venuta.
Si può mai arrivare ad una battaglia? Si. Ci si può arrivare, e in un modo solo.

Camminando.

Si voltò, alla ricerca di volti familiari, ma non ne trovò subito. La legione che si spingeva in avanti nelle terre sacre dell'Eden forse perché non li avrebbe riconosciuti comunque. Il Guerriero non aveva il pieno controllo dei propri ricordi, come nemmeno delle proprie azioni. Un urlo, squarciò la lugubre marcia dei soldati. Nel riconoscere la voce Jevanni si girò a destra, per guardare il Bandito, percependo nelle corde vocali l'angoscia e la follia che rasentavano l'insanità assoluta. Eppure, invece della pelle pallida, vi era ossidiana. Ossidiana venata di rosso sangue, che sembrava mutare in roccia lavica nel punto in cui un Marchio prendeva forma. Il Marchio.

Imitò il proprio compagno scostando gli anelli metallici di Brina dal proprio petto, e immediatamente sotto il collo alla propria sinistra trovò la fonte della vampata di fuoco che lo stava debilitando dall'inizio del risveglio.
Il fatto di non ricordare quando si fosse risvegliato, tra l'altro, non migliorava il tutto.

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Il Marchio si stagliava sul suo corpo pallido e ancora più diafano, tanto che osservarlo induceva dolore agli occhi. Rosso intenso, di fuoco; tutto veniva inghiottito dalle venature confluenti nel nucleo infernale che pulsava dolorosamente. Era una cicatrice: quel genere di cicatrici che solo chi è sopravvissuto a qualcosa di mostruoso può comprendere appieno.

Era sopravvissuto all'Asgradel.

Lo stesso Asgradel che aveva voluto servire. Amara ironia, che l'uomo non riuscì a cogliere.

Colse invece un canto. Una nenia infinita, che accompagnava ciascun gemito, ciascun respiro dei soldati, ciascuna mente. Anche la propria, inconsapevolmente. E Jevanni comprese.

Lui non era qui senza motivo. Era morto un'altra volta, e riportato in vita dall'Asgradel.

Heh..

Chinò il capo, lasciando che i filamenti argentei ricoprissero il viso celandolo agli altri. Era un legame ben più profondo, di quello della camaraderie. Era qualcosa di più istintivo e abissale, di esterno ma assieme interno, che esulava dai sentimenti di patriottismo o fratellanza. Era come se qualcuno gli stesse suggerendo che non vi fosse bisogno nemmeno di sentirsi un compagno.

Perché in fin dei conti lui non stava certo combattendo per i compagni d'arme.

Lui stava combattendo per l'Asgradel.








SPOILER (click to view)

. Stats Briefing .

Jevanni Glacendrangh

ReC 175 | AeV 175 | PeRf 300 | PeRm 100 | CaeM 425

Condizioni fisiche:
- Ferite: ///
- Quantitativo danni da tecnica: ///

Condizioni mentali:
- Stato d'animo: Sofferente e debole.
- Quantitativo danni da tecnica: ///

Energia: ///

Armi:
- Orizzonte [Rinfoderata]
- Stella del Tramonto [Rinfoderata]
- Brina [Indossata]

Abilità Passive:
///

Abilità Attive impiegate:

///

Sintesi: "Oscurati" gran parte dei parametri riferiti al combattimento dato che per ora il mio personaggio è incapace di ingaggiare battaglia. Se si dovesse rendere necessario, ovviamente, ripristinerò il tutto. Ah, perché inserisco uno specchietto in una scena free? Non lo so. Però mi piace.
Sostanzialmente vi sono varie elucubrazioni sparse per il post, non faccio niente di importante o 'plateale' che gli altri potrebbero notare in seguito.


 
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Lucien.
view post Posted on 21/4/2011, 20:55




Aràldica


Il suo primo ricordo danza in tondo.
E' una piccola macchia vermiglia, un fuoco fatuo che vive agitandosi come foglia nella brezza, e consuma i bagliori di luce sospirante, debole, spenta. Si spinge prima sulla sinistra e poi sulla destra, confuso, barcolla e si contorce e subito dopo si libera dell'intreccio con se stesso. E' un lurido straccio, un velo, uno stendardo che sussurra ai suoi occhi socchiusi fra i gravi vapori di stanchezza; ma ora vedono l'alabarda scura a cui è legata quella guida, irresistibile nenia che getta i suoi sensi lontano e ancor di più, oltre.
E d'un tratto si manifesta un miracolo secondo, in quel luogo di luci e ombre, una percezione fine e sottile che assorbe sempre più vigore, ora che si avvicina inesorabile con il suo alito: il suo sguardo la cerca rapito tentando di superare vano il rosso che lo cattura. Non è immagine, non è colore: è voce, è musica. Quel tono scivola come onda nel suo ritmo ammaliante, è armonioso e cadenzato, e sorride allo stendardo. Raccoglie le dita di quello fra le sue e l'anima debole che li osserva comprende che insieme sono una cosa sola, un'unica presenza; l'attrazione mai avrà fine, non potrà smettere di mirare all'amore di quelle due sensazioni.
Non esiste più niente altro.

Perché mi costringi?


Le labbra si dischiudono e sfugge un sospiro caldo dalla bocca: il giovane ha avvertito improvviso qualcosa che ora rovina del tutto la perfezione di quel suo mondo. Per un solo istante gli è parso di aver udito una voce diversa da quella che intona l'arcano canto, e non proviene dalla via che indica lontano; solo questo, e il barlume di anima si lascia scuotere dal crescendo di un dissidio, un tormento. Bramosa di ritrovare quel breve spillo di tempo, si contrae in uno spasmo doloroso e sofferente, rinunciando a vincolare ancora i suoi occhi all'emblema di rosso danzante.
E lo sguardo precipita grave sulle sue mani.
Un'incisione poco visibile su entrambi i polsi, due linee di nero gemello; sotto di esse scivolano calori scarlatti sulla pelle d'avorio, si incrociano confluendo nei piccoli grumi che affiorano lungo le vene. Allora sbocciano e si separano tutte nei petali stretti, meraviglia per il volto fiacco del marchiato che, confuso, si abbandona a un'espressione di piacevole stupore. Un Fiume scorre sulle sue braccia, libera lentamente la carne dal torpore. Si chiudono serene le sue palpebre, trattiene il respiro per qualche attimo, sollevando il mento agli squarci di vento, che ora percepisce carezzarlo freddi. Eppure, quando tutto torna ordine e calma, è costretto a riconoscere un dolore acuto e pulsante, una ferita profonda che grida nelle sue viscere, a cui si unisce lo strazio del veleno sulle mani: si dissipano i vapori attorno all'anima ad ogni tremendo battito di cuore, è questo il male che trattiene la sua vita.

Perché mi costringi ancora al dolore per te?
Non ho forse... sofferto abbastanza... ?


Il mercenario barcolla in avanti, che sia dannata la violenta ustione sulla gamba, i segni di una lotta. Le mani protese dall'istinto a proteggerlo, la destra cade sul terreno arido e le dita stringono la polvere: uno soffio grigio sotto i suoi piedi e ora con lenta fatica si rialza, le braccia che ricercano equilibrio. Ciò che ha scosso la sua anima è stata la consapevolezza di una voce anche dentro di lui, i suoi pensieri e i flebili ricordi; avrebbe forse preferito restare dimenticato nell'Oblio, piuttosto che dover sopportare quella tortura. E riprende il suo cammino, la marcia dolorosa, è senza fine la danza dello stendardo e il suo canto: il loro intreccio insiste e rapisce i suoi sensi, negandogli di vivere pienamente. Lo lega a sé la volontà superiore di una Divinità, da cui non è possibile rifugiarsi, e il suo destino è quello di servire il volere della terra. Quella sconvolge il suo demone, ora lo riporta alla coscienza e ora gli impedisce di volere fino in fondo ribellione e libertà.

Cammina, cammina, cammina.
Nulla ha ormai più senso, nella sua mente. I suoi occhi vedono la marcia di un esercito. Il furioso clangore metallico di armature e il turbinio di voci e i fuochi accesi sono quelli di una guerra, del loro rosso si dipingerebbe il cielo se fosse uno specchio. Tutti corrono verso la stessa direzione, sono insieme un immenso ariete. Tra gli altri, il Desiderio ha preso con sé anche lui, l'imponente guerriero dai lunghi capelli chiari: eccolo, l'indice sollevato di Lucien indica il suo volto poco più in là, nel fragore della battaglia. E il suo sguardo torna infine sull'emblema, guida delle truppe, la mente alla nenia, così reale da nascondere a tratti il boato di armi; le mani si stringono e contorcono nel dolore, i capelli neri si agitano al vento e alle nubi cupe, trema il respiro. L'abominio si nasconde dentro le ferite, fremono le sue piccole dita. Il marchiato perde se stesso nel doloroso richiamo che lo guiderà a Lei.
Per te il sangue e la guerra.




SPOILER (click to view)
Toh, alla fine sono riuscito a rispondere anche io. Devo dire che è stato particolarmente piacevole scrivere questa scena, soprattutto le prime righe, che non mi sarei aspettato mi avrebbero convinto a stare sulla tastiera per molto.
Non penso ci sia bisogno di spiegazioni; l'unica cosa da dire è che mi spiace se non ho marcato troppo l'aspetto del dolore, soprattutto quello della bella ferita lasciata dallo scontro, ma non mi sentivo in vena di essere così pignolo e pesante su questo. Penso di aver approfittato della confusione interiore e dei sensi per scrivere un post improntato più sul livello crescente di coscienza di sé, che nella conclusione torna a spegnersi.
That's it. Spero piaccia!
 
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PARACCO TRAVESTITO ALOGENO
view post Posted on 28/4/2011, 19:30




Rebirth
Rinascita



« Ouch! Maestro, fa male! »

« Sta zitto, Aang, abbiamo appena iniziato »


L'ago tornò a pungere leggermente la pelle del giovane, lasciando che il pigmento celeste penetrasse a fondo e si fissasse nella tenera pelle del ragazzino. La mano esperta tornò al calamaio, immergendovi il proprio strumento con un movimento fluido. La punta oziò un momento all'interno del contenitore, prima di uscire di nuovo celeste, un abbagliante celeste splendente. Il colore era quasi vivo e pareva possedere una luce propria quando veniva estratto dal suo involucro, prima di essere trasferito in un altro. L'ago penetrò di nuovo, facendo sobbalzare leggermente il monaco, senza che però altre lamentele uscissero dalla sua gola contratta: al Monastero bisognava imparare in fretta le lezioni, sopratutto quelle riguardanti la disciplina. La pelle attorno al punto iniziò ad arrossarsi, prima che il colore si unificasse in un'unica striscia celeste che dalla spalla scendeva fino al dorso della mano, rigorosamente immobile. Respirava affannosamente, in una battaglia contro il dolore che lo invadeva, dalla sommità della testa fino al dorso dei piedi. Il Maestro Wusei lo guardava attentamente a braccia incrociate, mentre il tatuatore continuava la sua opera con mano esperta sul corpo del ragazzino.

« Come ti senti, Aang? »


« A parte il dolore non sento molto altro, Maestro »

I due uomini si scambiarono uno sguardo, prima di tornare al ragazzo steso sul letto della sua stanza. La tatuatura era uno dei momenti più difficili dell'addestramento al Monastero. Il primo contatto con il Flux, che veniva iniettato direttamente sottopelle, poteva causare diversi problemi al monaco: dalla perdita di uno dei sensi alla pazzia improvvisa, dall'auto cannibalismo alla morte, senza che i Maestri potessero fare molto per impedirlo, anche perchè i casi meno gravi tendevano a tornare presto alla normalità. I casi in cui il primo tatuaggio non causava nessun genere di rigetto erano rari e ritenuti segno di grande potere nel soggetto.

« Maestro? Non mi sento molto bene »

« Cosa senti, Aang? »

« Mi fanno male gli occhi e.. Maestro? Non vedo più niente! »

« Aang? »


« Aang? »



« Aang! »

image



Aang?


Apatia?


Morte?


Il tatuatore continuava imperterrito nella sua opera, lavorando sul corpo immobile del giovane. Intingeva l'ago nel suo veleno, con precisione chirurgica lo iniettava sotto pelle, asciugava il sangue, riprendeva dall'inizio. Un ciclo continuo di creazione su un corpo morto, destinato solo ad una tomba, ma forse ancora salvabile. Forse.
La spalla di Aang ora era invasa dal rosso, il nuovo tatuaggio sovrapposto al vecchio, il nuovo veleno che si mescolava all'antico. Sulla debole scapola era nato qualcosa, un'anemone rossa che come un fiore cresceva robusta sul ramo del tatuaggio di Flux. Lo ampliava, lo integrava, lo completava.

Striature cremisi iniziarono a mischiarsi al celeste sulla pelle sottile del monaco, spostandosi lungo i tatuaggi del corpo come navi in un fiume in piena. Il corpo avrebbe voluto avere un fremito, la bocca si sarebbe aperta in un urlo silenzioso di dolore, le dita sottili si sarebbero contratte ad artigliare il terreno nel tentativo di trovare un appiglio, un momento di pace da quel dolore che inondava il suo mondo. Lacrime sgorgarono, scorrendo lungo le guance, dai suoi occhi quando il veleno li raggiunse, colorandoli per un attimo di cremisi.

E il corpo si mosse, reagendo a qualcosa. La chiamata di qualcuno, forse. Assieme al suo involucro, molti altri si mossero, formando un fiume di corpi, un'ondata di ombre che camminavano all'unisono. Barcollando, si muovevano verso il loro obiettivo, sconosciuto a loro stessi. Passo dopo passo e sull'orlo dell'incoscienza il veleno continuava ad avanzare, svegliando i più forti e uccidendo i più deboli. Tonfi ovattati facevano da sottofondo alla marcia dell'esercito. La terra accoglieva coloro che non erano stati degni di sopravvivere.



SPOILER (click to view)
Ed eccomi qui, ce l'ho fatta anch'io. La prima parte tratta il passato di Aang, quando ha ricevuto il tatuaggio, la seconda una parte del "risveglio". Penso che scriverò ancora per approfondire la seconda parte, ma per il momento posso ritenermi soddisfatto.

 
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view post Posted on 28/4/2011, 19:46
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Oblio.
Non aspettava solo noi? I perdenti, coloro che non erano riusciti a soddisfare l'Asgradel ed il suo desiderio. Coloro che non erano riusciti a rientrare nella categoria dei Campioni; a loro spettava solo l'oblio, aveva detto qualcuno. Io rientravo in questa categoria. Avevo deluso l'asgradel. Me stesso. Il mio Dio.
Per questo guardami!
Cosa era successo?
Stavo camminando, sentivo i piedi che avanzavano a ritmo. Uno, due. Uno, due.
Come quell'orologio che mi aveva spinto a varcare la soglia della torre di Velta, o di quello che ne rimaneva. Come quella voglia di vincere che mi aveva spinto a combattere, e combattere, ma a perdere.
Era l'oblio, quello?
Che strana sensazione. Non avevo il controllo del mio corpo, né della mia mente. Riuscivo solo a camminare davanti a me. Scorsi delle figure, ma non riuscii ad identificarle realmente. Delle voci, dei versi, dei suoni. Qualcosa stava succedendo, ma né i miei sensi, né la mia mente volevano identificarne l'origine.
Chiusi gli occhi; pensai di farlo.
Era tutto scuro. Tutto intorno a me sembrava ombra e alcuna luce riusciva a trapassare quello scuro strato. Ero solo, ma non ero solo. Ero vivo, ma non ero vivo.
Non sapevo cosa in realtà stesse succedendo. Riaprii gli occhi.
Riuscivo a mettere a fuoco meglio le cose, riuscivo a capire dove mi trovavo. Un campo, un grandissimo campo di terre incolte ed una marcia, una ritmatica marcia condotta da alcuni tamburi che sbattevano, solenni.
Bum, Bum. Uno, due. Tic, tac.
E noi tutti marciavamo, tante figure che senza alcuna coscienza avanzavano senza una meta, senza uno scopo. O almeno, io non ne avevo.
Perché mi trovavo lì? Avrei forse rincontrato lui?
No.
Lui era morto. Morto.
Morto.
Quando me ne sarei reso conto, una volta per tutte?
Per questo guardami!
Guardami, ti prego.
Guarda il simbolo della rinascita, guarda il marchio della mia sconfitta.
Guardami marciare verso la morte e goditi lo spettacolo.
Perché presto, presto saremo di nuovo insieme.
E potremmo suonare, per sempre.

Guardami, per questo.

Ho una frenetica voglia di suonare.
Qui, adesso.
Posso?

CITAZIONE
Mana: 100%.
Status Fisico: Ottimale.
Status Psicologico: Confuso, spaventato.
Note: Post prettamente di introspezione di Noah, quello che pensa dopo la sconfitta, quello che vorrebbe dal suo maestro e quello che vede, o comunque pensa di vedere. Un post semplice, ma alla fine è una ruolata free, no?
Yay! :8D:

 
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view post Posted on 9/5/2011, 15:21
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And...bla..Bla..BLA
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Avete visto?
Avete visto?
Avete visto?
Signore?

Avete visto?
Signore?

Si sono svegliati. Sono tornati.

Sono tornati.

Tornati come pecore all'ovile.
Tornati come acque al mare.
Tornati, semplicemente, con quella strenua volontà con cui i viventi si attacco alla vita. E non mollano la presa. E insistono.
Fino a rompersi unghie e denti per non venire disarcionati
dal furioso cavallo imbizzarrito che è l'esistenza.

Ashlon è troppo vecchio, troppo Alto per ricordare tale sentimento. Troppo distante dal concetto di Morte per poterne ancora saggiare sulla punta delle dita la fremente consistenza, quel brivido sottile che scorre giù per il collo, lungo la schiena, sorpassando come sinuoso serpente una vertebra dopo l'altra.
Si, la morte. Serpente tentatore per coloro che non desiderano cedere, ancora, alla fine.
Sulle sue dita può ancora vedere, ombra esangue, il ricordo di quel bacio. Di quel morso che un tempo, tentando di catturarlo, la serpe gli diede.

"Vieni con me" gli aveva detto " Vieni da me, o altissimo Magister "

Nell'ombra dei suoi occhi, Ashlon può notare, uno ad uno, i medesimi morsi sulla pelle di coloro che, solo per poco, sopravvissero.
Che siano sul dorso di una mano, nella parte più estrema delle spalla o altrove. Eccoli, le vestigia di una lotta solo in apparenza mai vissuta, mai affrontata.
Impercettibile, dalle sua labbra sfugge un sospiro.
Povere, sventurate, creature.
Per un nulla risparmiate, per un niente mandate di nuovo al macello da Lei, lei che sola avrebbe potuto salvarli per sempre con un suo semplice sguardo, con un suo infimo gesto.

Colse il movimento di uno di loro.
Spaventato, incerto, come un bambino appena venuto al mondo.

O anche allora, anche quando la loro debolezza li avrebbe condotti di nuovo verso l'estremo istante ella, mossa ad indicibile compassione, li avrebbe risparmiati ancora?

Avrebbe catturato le loro anime con la punte delle proprie dita d'alabastro e ancora, mai stanca, li avrebbe abbandonati sulla Terra, larve di se medesimi?

Oh, mia Amata.
Mia dolce, terribile, Amata.
Se il mondo delle tenebre fosse profondo soltanto la metà del tuo stesso cuore, allora nessuno dovrebbe mai temere l'oscurità.

E se io stesso non sapessi che sei tu, e solo tu, colei che un tempo tanto desiderai e bramai, allora ora, anche ora che i miei piedi mi portano innanzi a te come uomo in penitenza, non saprei affatto come poterti, ancora, AMARE.

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"Prendete"
Il tono della recluta è sommesso, pacato, foco. Quasi che la sua voce non fuoriesca dalle sue labbra ma direttamente dal pensiero. Dall'anima.
Nei suoi occhi, il ricordo di uno sguardo, la percezione che dietro le iridi vi sia effettivamente qualcuno che stia guardando. Ma senza lasciarsi cogliere, sospettare. Senza, effettivamente, mostrarsi.
Socchiude piano le palpebre, lentamente, ogni volta che le sue labbra si schiudono per parlare ad uno dei nuovi arrivati. Non un tic. Semplicemente, concentrazione. Poiché ogni parola esige di esser detta in un solo modo. Ed uno soltanto. E altri modi non sarebbero altro che errori. Abominii. Imperdonabili incertezze per coloro che la perfezione volle farli tornare in vita.

Così tende piano dell'acqua, dei tonici profumati di erme medicamentose. Delle garze e delle bende per ovviare ai dolori della battaglia. E con lui, altre mani e altre figure, ancor più silenziose, gravitano leggere attorno ai corpi dei sopravvissuti.
Non chiedono di essere viste. Fanno semplicemente ciò che va fatto, come un unico spettrale organismo che si muova per mano di molti ma per mente di uno solo.

Ashlon sospira.
E la recluta parla ancora.

" Ognuno di voi potrà scegliere di stare con uno dei suoi simili. Ma sarebbe cosa più saggia che vi cerchiate un compagno della nostra specie di modo che possiate apprendere da lui come comportarvi nell'imminente battaglia."
tace un attimo, socchiudendo le palpebre come se ascoltasse qualcosa. O pensasse ad altro.

" Non siete come noi. Ma ora nelle vostre vene scorre il medesimo colore tale da rendervi nostri fratelli. Seguite il Fiume del Fato e scegliete il vostro compagno. Ma fate attenzione. Coloro che scelgono il proprio destino poi dovranno rispondere ad esso"

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SPOILER (click to view)
Per chi volesse, ecco la continuazione della scena free.
Dopo la resurrezione, tutti i vostri pg vengono in qualche modo curati e rimessi in condizioni umane. Dopo di che vi viene chiesto di scegliere un particolare indumento e di schierarvi in uno dei reparti a vostra scelta della fazione dei Predatori.
Gli indumenti hanno la funzione di omologarvi a tutto il resto delle truppe e si attestano in linea generale su uno stile "orientale", pur includendo anche armature ( la cui scelta spetterà alla vostra sportività e coerenza).
La scelta del reparto è puramente soggettiva. Di BG i predatori di Neiru scelgono la propria fazione a seconda di dove il Fiume del Fato si dirige nelle varie iniziezioni. Potrebbe accadere lo stesso per voi^___^ O ancora, a seconda del carattere o della struttura fisica. Per chi avesse voglia, consiglierei una breve scorsa alle varie truppe ( lo stile di combattimento e i vestiti potrebbero dipendere proprio da questa scelta). Il legame di cui parla la recluta non è detto a caso ma fa proprio riferimento a questo processo di formazione.
Inoltre. Potrete scegliere se mettervi in contatto con gli altri pg giocanti, o cercarvi un compagno all'interno dei reparti che diverrà a conti fatti il vostro " maestro-amico". Anticipando le domande: E' possibile scegliere compagni sia uomo che donna. Più anziani o più giovani. Fate voi.
Potrete trattare questi png autoconclusivamente.

Scusate la qualità del post ma oggi non sto proprio bene.ç___ç




 
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°My heart in the Mist°
view post Posted on 15/5/2011, 21:19




W O N D E R L A N D


Svegliati.
No.
Svegliati.
No.
Svegliati
NO



Continuava a dormire. A dormire e a sognare, a essere cullato nella nera pece di quell'incubo d'estasi e di dolore. Priva di mente e senno è l'Alice per cui quel fatale Paese delle Meraviglie è stato eretto; nero era il coniglio, disseminata di lame e borchie la tana attraverso la quale ella cadde.
Ma Alice era felice. La bambina sorrideva, denti affilatissimi e scuri, scuri come la notte priva di stelle, venivano mostrati dal taglio che aveva sul viso, oscena e disgustosa mezzaluna di morte che senza pudore si esponeva davanti alla folla. Le escoriazioni sul suo corpo sanguinavano, le bruciature tormentavano la sua carne, ma di pece si era cosparso il corpo la bimba, di nera caligine erano fatte le sue membra.

Di morte era il nero canto che usciva dalle sue labbra,
terribile musica che risuonava ancoraaaaaaaAAAAAAAAAAAAAAAAAH



«Tenetelo fermo! Tenetelo fermo!»

Svegliati.
No.



Il dolore divorava le membra della bambina, e si mescolavano il grido di sofferenza a quello di ferocia, requiem a due voci che riempiva l'aria attorno a lei. Il pubblico era orripilato, la folla fuggiva, ma continuavano a urlare i due cantanti, inebriati dalla loro stessa voce. Piangevano gli spettatori a quel suono, amare lacrime scorrevano disperate sul loro volto tracciando solchi acidi e profondi lungo le loro guancie. Volevano fermarlo le loro mani, volevano bloccare quel singulto mortale che distruggeva le loro speranze. Ma Alice si difendeva, voleva continuare a cantare e a ballare e a urlare e quella stanza distruggere con le proprie corde vocali, strumento di apocalisse.

«Sedatelo, cazzo! Non riusciamo a bloccarlo!»

Odio ardeva come fiamme sulla sua carne, bruciava e bruciava solo il suo corpo e le sue vesti, senza appiccarsi a null'altro. Stelle erano i suoi occhi, cielo notturno il suo corpo, e quell'insieme era tanto abbagliante da apparire insostenibile non solo per la vista, ma anche per l'anima: quell'abominio non poteva essere accettato, quello scarto del pensiero divino doveva essere soppresso.

Svegliati.
No.



Ciò che non era riuscito alle braccia lo compì una sottile, affilata punta di metallo. Senza dolore trapassò la carne, nessuna sensazione giunse al cervello di Alice se non una gelida carezza. La bambina vendicò la ferita con la tagliente ferocia di un artiglio. In quella pittura allucinata il rosso si aggiunse al nero, l'odore freddo del metallo si mischiò a quello soffocante delle fiamme in un devastante afrore di morte. La mano venne portata alla bocca acuminata, con voluttà la lingua accarezzò le dita e si inebriò del sapore penetrante del liquido scarlatto. Una smorfia di compiacimento sfigurò il suo volto già estasiato.

«Ancora...»

No.
Svegliati.



Alice morì. Dalla ghigliottina della regina di cuori cadde la sua testa senza un rumore, placido assassinio di un male che sarebbe dovuto terminare molto tempo prima. Scompariva il sogno, sparivano le volute oscure dal suo corpo e si acquietavano le crudeli fiamme. Ma urlava ancora la bambina, cogli artigli sferzava ancora l'aria nel tentativo di trovare la carne di chi l'aveva uccisa in un patetico ultimo riflesso omicida.
Tutto divenne ovattato, una cortina d'ombra avvolse ogni cosa. Solo contorni indistinti erano visibili, assurde visioni di un mondo privo di senso.

Svegliati.
NOOOOOOOOoooooooooooooo



Istanti. Forse molto meno, forse il tempo si era addirittura fermato, orripilato da quello che era appena accaduto. Gli occhi si aprirono di nuovo, palpebre tremanti di un neonato che vede la realtà per la prima volta. Le pupille vennero ferite dalla luce, pungente come uno spillone acuminato, ma esse resistettero. No, non sarebbero cadute di nuovo in quell'incubo terribile, non si sarebbero abbandonate di nuovo alla pece. Si lasciarono abbacinare dal chiarore insopportabile, ma dolce era quella tortura rispetto al crudele destino che avevano dovuto sopportare.
El Bandido si era svegliato. Spodestata Alice, la sua coscienza aveva ripreso posto sul trono della sua mente, che lenta riprendeva il suo futile calcolare e pensare. Un senso di oppressione tormentava lo stomaco del ragazzo, nausea causata da una sensibilità che veniva riacquistata troppo rapidamente. Lo accecava la luce, lo tormentava la durezza del suo giaciglio, lo indeboliva il bruciore in ogni parte del corpo. Ma soprattutto lo disgustava l'odore del sangue che avvolgeva le sue membra. Di chi era quel cruore che lo ricopriva così abbondantemente? Chi l'aveva avvolto in quell'amorevole e disgustosa coperta di frattaglie?
Non voleva la risposta. Voleva solo che quell'odore sparisse, che con la violenza venisse lavato via.

«Chi è questo? Perché non è stato curato?»

«Ha aggredito tre dei nostri durante la procedura. Abbiamo dovuto usare un tranquillante.»

Suoni insopportabili erano quelle voci alle orecchie del Bandido, rumori articolati che rimbombavano nel suo capo dolorosamente senza lasciargli tregua. Volle supplicare, ma le sue labbra lasciarono fuoriuscire solo un singulto disarticolato.

«Non sembra troppo malconcio. Da dove è uscito tutto quel sangue?»

«Dalla sue pelle. È stato semplicemente... scioccante.»

«Vediamo di metterlo a posto, ora.»

Messo a posto? Guarito?
No, non voleva essere guarito, non voleva che la sua mente fosse di nuovo permeata da quel freddo e sadico mondo. Morire, quello desiderava veramente, quello voleva che accadesse. Liberarsi della fatica angosciosa che permeava la realtà, sbarazzarsi di tutta una vita trascorsa senza scopo, senza una meta che non fosse la morte.
La morte di suo padre. La morte di Sam.

...Cosa c'entrava lui con l'Asgradel? A cosa serviva il potere dei desideri a una persona che aveva sottomesso la propria esistenza alla Fine? Perché la fine era ciò che desiderava, ciò che aveva aspettato con tutto il cuore, finché esso non si era consumato ed era divenuta una nera sfera di pece.

Le sue membra vennero attraversate da una scossa sottile, sommesso sussurro che ancora una volta gli restituiva la vita da cui per tanto tempo aveva tentato di sfuggire. Abile sarto della carne, vennero ricucite le ferite e tamponate le infezioni dall'incantesimo, panacea irreale in una terra dove tutti rincorrevano qualcosa che non esisteva, qualcosa che ora li desiderava vedere morire combattendo per lei.
Ma d'altro canto le cose più crudeli sono spesso quelle che non esistono. Perché non hanno una coscienza che li possa fermare.

«Cosa facciamo ora?»

«Dategli da vestire e fategli scegliere una casacca come agli altri. Se si ribella ancora, non siate indulgenti.»

«Alzati, ora.»
N...



Il peso del ragazzo si spostò sulle natiche, i muscoli delle gambe si irrigidirono appena per consentire al busto di alzarsi lentamente, sospinto dalle poderose braccia. Non un dolore, non un fremito. Solo il riaccendersi di una volontà che era stata abusata per troppo tempo, solo il ritorno della bestialità nel profondo della psiche.

«Qual è il tuo nome, bestia?»

Verso la voce cercarono i suoi occhi di guardare, ruotando lentamente nelle orbite che bruciavano ancora per la luce. Il nero della pupilla si restrinse e si allargò, abisso oscuro che decideva quanta luce inghiottire nel proprio infinito fondale. Quando si decise, quando quel muscolo si fermò senza esitazione, allora fu la fronte del Bandido a muoversi, a corrugarsi per la sorpresa e la perplessità.
Due figure si ergevano davanti a lui, l'aspetto slanciato e armonioso, statue dedicate a una dea della bellezza naturale. Perché natura era ogni cosa che li componeva: le loro labbra erano boccioli di rosa ricamati su una pelle di velluto e cotone dal palladissimo colore, quasi accecante, quasi prezioso come l'oro bianco o il platino; bianchi i capelli, che come radici sottili cadevano dal loro capo posandosi sulle morbide spalle e sulla serpentina schiena. Ma erano gli occhi il vero capolavoro: bianche sfere di purissimo avorio, a tal punto belle e lucide da non poter essere prodotto dell'uomo, perché ogni cosa dalle mani umane prodotta contiene in sé tutta la fragilità e la corruzione di quel genere.
Erano natura quelle due figure sottili. Ma come la natura, esse erano crudeli e insensibili al dolore altrui. I due magnifici bulbi lo dimostravano senza alcun pudore, esternando il proprio disprezzo verso quella figura che si era da un attimo alzata.

«Non ho nome.»

Si mossero appena le sue labbra per permettere a quel suono di uscire. Sospiro sommesso di chi il proprio nome aveva sostituito per non dover essere mai più chiamato. Ma lo sguardo della creatura davanti a lui s'inasprì terribilmente.

«Non prendermi in giro, uomo. Dimmi come ti chiami.»

Sottile e fredda come il ghiaccio fu la minaccia che venne accostata alla morbida pelle del suo corpo. Il ragazzo non reagì. La sua volontà era ancora troppo debole, troppo assonnata perché una ribellione fisica potesse essere concepita. Ma abbastanza perché essa si potesse compiere con il mero utilizzo delle parole.

«Non ho nome.»

La frase venne ripetuta forse con maggiore freddezza della minaccia dell'elfo. Quasi un insulto, quasi un beffeggiamento spudoratamente irrisorio.
La creatura strinse i denti. La lama affondò nella pelle. Un millimetro, meno. Una carezza brutale per aprire un sorriso nella carne. Dentro al ragazzo la bestia affiorò di nuovo, di crudeltà fu il lampo che attraversò i suoi occhi per un istante. Sì, voleva di nuovo il fuoco, voleva di nuovo il sangue e la follia.
E voleva di nuovo il canto, marcia funebre per un esercito che sarebbe stato comunque mandato alla morte.
La mano a destra si mise a pugno, bramosa di violenza, bramosa di affondare gli artigli (ancora sporchi di sangue, ancora imbrattati di scarlatto piacere) in altra carne, in altri morbidi corpi pronti a morire.

Ma qualcosa interruppe quei neri pensieri di gioia.

«Yurineh, togli quel dannato pugnale dalla gola del soldato.»

«Si sta prendendo gioco di me. Non merita di continuare a vivere.»

La lama venne scostata via con forza dal collo del ragazzo, e il suo respiro tornò regolare, non più animato dall'ira, non più guidato dalla crudele voluttà. Perché colei che era appena arrivata catturò completamente il suo sguardo e la sua coscienza.

Non fu per la bellezza, perché ormai il cuore del Bandido ne era insensibile, ubriacato dalle forme abbondanti delle prostitute e delle donne che adagiava sul proprio letto nelle notti fortunate. Ben poco generosa era al confronto la sagoma dell'elfa, dai seni piccoli e la corporatura atletica che tuttavia non riusciva a offuscare minimamente la sua femminilità.
Quella donna le ricordava qualcosa. Per questo ne venne catturato, per questo gli aspri rimproveri rivolti all'elfo che l'aveva aggredito divennero incomprensibile linguaggio.

«Non credere che con te sia finita. Se ci servi vivo non è perché sei “speciale”. Carne da macello, questo è il tuo ruolo in questo esercito, e sappi che sei perfettamente sostituibile da altre centinaia di individui.»

«Ora, seguimi.»
Sì.




SPOILER (click to view)
Lungo. Troppo lungo per poterlo finire. La fase della vestizione la metterò in un post successivo, qui ho essenzialmente provato un nuovo stile che intendo utilizzare in futuro.
 
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view post Posted on 15/5/2011, 22:23
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La Gavetta

Un pasto, una divisa, un compagno..frammenti di un passato dimenticato.




Quando riprese coscienza, Jevanni non riuscì a spiccicare una parola per diversi minuti.
Sarebbe stato per lui difficile, in fondo, ricordare l'utilizzo della parola?
No. Parlare era semplice: insito nei suoi pensieri, nella sua lingua trattenuta fra i denti. Però..no. Semplicemente no.

Non riusciva a parlare. Un meccanismo che, privo di leva, non aveva moto. Non aveva agente. Non aveva nulla che potesse metterlo in azione.

Non aveva niente. In tutti i sensi. E, assieme, nessuno.
Aveva la vita, ma a che pro dichiararlo? In realtà non possedeva nemmeno quella. La vita era coscienza, e lui la coscienza non la percepiva. D'altronde, se l'avesse percepita, ne avrebbe avuto coscienza.

Pensieri complessi e troppo intricati perché avessero un vero senso, stranianti e confusi come un cespuglio di rose spinose che intrappolano una farfalla. Povera farfalla: nessuno ti ha mai detto che le rose più rosse sono quelle più malvagie?
Cosa v'era di più tremendo di morire senza morire, di sentire l'anima collassare senza motivo reale, e quindi di venire annientato senza possibilità di replica?
Perché si, Jevanni era davvero morto. Ora ne era sicuro.

Spiriti e morti non sono sinonimi, eppure il Guerriero era sicuro di esser stato sia l'uno che l'altro nel medesimo istante. Spirito di una persona morta, e morto a seguito di un combattimento con un artigiano.

Eppure lui aveva vinto.
Eppure Jevanni AVEVA vinto!

..eppure era morto.
Eppure era vivo.

Dove maledizione mi trovo?

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Ehi. Sei sveglio.

La voce femminile lo risvegliò dal sonno della ragione, riportando la mente del guerriero alla realtà.

Realtà che in realtà era faticosa, e lasciava all'altro ben poco spazio al pensiero. Pensieri incapaci di raggiungere un significato vero e proprio, che cercavano di trovare un legame che li unisse. Fili che tentavano di annodarsi e intrecciarsi per creare una trama di ricordi, di cause e conseguenze, di istanti conseguiti l'uno dopo l'altro. Eppure..ciò risultava tanto difficile. Tanto strano.
Forse, per assurdo, tanto inutile.

Lasciatemi morire...

Non era una domanda. Sei sveglio. Tirati su, umano.

Stavolta la voce era più insistente, imponendosi come un faro nel buio nella propria mente.

Un vero e proprio coma (Black-out) della propria fragile linea di pensiero. Il momento in cui il cervello smette di mantenere il controllo della realtà, e rifiuta ogni segnale esterno.

Qualcosa si stava muovendo nella propria testa, infiammandola; una sensazione che ricordava o meglio, che avrebbe potuto ricordare. La sensazione di perdizione incalzante, portando alla deriva la più dritta delle menti.

Si, decisamente la sua mente mentiva, e sicuramente, tutto quanto era solo una vita ridisegnata sulla falsa riga di uno scrittore malato. Tutto quello non era vero.

Lasciatemi m..

Le dita gelide (gelide fino ad un certo punto, Glacendrangh, non vedi che è il tuo petto a bruciare?) cominciarono a tamburellare impazientemente sul fiore rosso sbocciato poco sotto la clavicola dell'uomo. Ciascuno dei battiti digitali sembrò una spina infima nei polmoni. Spine che in rapidissima sequenza mozzavano il respiro affaticato dello Spirito (se Spirito era ancora), risvegliandolo progressivamente.
Forzandolo a riprendere la coscienza, la vita che si era rifiutato di raccogliere fino a quel momento.

Ti. Vuoi. Degnare. Di. Alzarti?
Ti. Vuoi. Degnare. Di. Vivere?

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Chi sei?

Mentre Jevanni si alzava a sedere, la donna si voltò e raccolse da uno sgabello un lenzuolo pulito per posarlo sul pavimento in legno levigato e pulito.
Evidentemente, si trovava in una specie di ospedale di guerra.
Quando la parola gli balenò in mente, gli occhi saettarono in preda al panico verso le gambe e subito dopo le braccia. No, non sembrava gli fosse stato amputato nulla. Effettivamente non si era nemmeno ferito in nessuna maniera, all'interno del combattimento, ad eccezione di alcuni lividi. Si tastò le spalle, cercando di sentire se dolevano ancora, ma rimase sollevato nel sentire che tutto quanto si era rigenerato. Inoltre il senso di nausea era sparito, e la percezione cresceva ogni attimo che passava. Sentiva come tutti i segnali riacquistavano significato. Si sentiva vivo.

Il petto continuava a bruciare, sebbene di meno; quando il Guerriero fece scivolare le dita sui lineamenti rossi, ebbe timore che le vene potessero esplodere sotto il suo tocco.

Erano vivide. Tanto, tanto vivide.

Cosa mi sta succedendo?

Seyrleen Ilyn'Zath. Seyrlina, come voi umani lo tradurreste.

Lo Spirito annuì e si portò la mano al petto, chiusa in un pugno.

Il mio..

Jevanni Glacendrangh. Abbiamo conoscenze profonde del tuo passato, Guerriero.

Gli occhi dell'uomo divennero due fessure, l'espressione improvvisamente sospettosa. Questo era certamente inaspettato. Quanto sapevano, in realtà? Era al corrente delle leggende tessute sulla sua figura, esagerate all'estremo per ridare gloria e spessore a tempi di sangue e oscurità. E se in realtà si stesse riferendo solamente a quelle? Dopotutto, ricordi risalenti a seicento anni prima sarebbero stati ridicoli. Chi poteva ricordare, oltre a lui, cose avvenute tempo addietro?

Ah.

La donna presentatasi come Seyrleen si voltò. Nel movimento, i capelli sembrarono fluttuare leggeri nell'aria. Leggeri come neve.
Forse a dare quell'impressione fu il colore candido della lunga chioma lasciata sciolta. Forse ancora fu la sua pelle, liscia e levigata, perfetta come porcellana, ad incantare il tutto. Splendeva come biancore nella notte, come neve caduta nel cuore delle tenebre a rischiarare un mondo nuovo.

Da un certo senso di vista, era una fortuna che a risvegliarla fosse stata lei.

Non sembri convinto, Spettro dell'Inverno.

Gli occhi ambrati, privi di pupilla, si fissarono in quelli del Guerriero. Inizialmente la pelle dell'uomo si accapponò, notando l'iride perfettamente pura e incontaminata dalla presenza di una pupilla. Ne ebbe timore, forse addirittura raccapriccio.

Forse perché quella ragazza sembrava vedere ben altro che il mondo vero e proprio?

La tenue luce di una candela fatua era l'unica cosa che portava chiarezza nell'oscurità della stanza. Era evidente che quel posto fosse ben riparato dal sole: la stessa pelle della ragazza evidentemente non vedeva da una vita quell'astro infuocato che aveva reso bronzee le pelli delle ragazze più temprate dai lavori di campagna.

No..no, non sono convinto. Perché, tanto per cominciare, dovresti sapere tutto ciò? Anzi, dovreste? Il mio passato..

Lei lo interruppe alzando la mano solennemente, e scuotendo il capo. Chiuse gli occhi e indicò con l'altra mano l'armamentario dell'uomo adagiato accuratamente in uno scrigno aperto.

Sei colui che sei secoli addietro impugnò questi artefatti umani?

Jevanni rimase impietrito nel notare Orizzonte e le altre armi, il cuore in gola nel notare quanto poco avesse notato la loro assenza. Cosa gli stava succedendo?
Annuì, muto, non riuscendo a trovare una risposta dignitosa o adatta. Anche lei chinò il capo in segno di assenso, e raccolse con cura Orizzonte con entrambe le mani. L'avorio del fodero, mai pallido quanto la carnagione della ragazza (se giovane era), baluginò alla luce della candela.
Quasi a suggerire prendimi.

Sei Jevanni Glacendrangh, dell'Astro Rosso. Molti si sono fregiati come tuoi discendenti, reclamando queste armi. Ma tu non ne hai mai avuti, vero?

Ancora una volta, l'uomo confermò in silenzio. Erano a conoscenza del suo passato. Profondamente, con ben più esattezza dei bardi che cantavano false gesta. False leggende, falsi miti, falsità su falsità che ignoravano il dolore celato dietro alle imprese decantate da umani sciocchi. Umani mortali, che dimenticavano troppo rapidamente il dolore altrui.

E' un mistero, come tu sia riuscito a mantenere una tale stretta sulla tua anima. Non vorrei sbagliarmi, ma ho l'impressione che tu lo ignori proprio come noi.

Lei porse Orizzonte a Jevanni, il quale la prese con uno sguardo di religiosa contemplazione. Quando alzò lo sguardo, incontrò gli occhi della donna fissi su di lui. Il senso di raccapriccio era svanito, era invece subentrata una sensazione di curiosità. Curiosità tipica di un bambino che non poteva staccare gli occhi da uno spettacolo. Si sentiva attratto da quegli strani occhi, non tanto per la bellezza quanto per la loro 'esoticità'.

Temo sia così. Tutto ciò che so, è che volevo vivere. La mia volontà ferrea non potrebbe..non da sola perlomeno..

Nuovamente lei alzò la mano e lo interruppe a metà frase, sorridendo lievemente.

Niente è impossibile, Guerriero..non dopo il tuo ritorno in questo triste mondo.

L'altro annuì, sorridendo a sua volta guardando altrove; era vero, da questo punto di vista. Che Bergsonn non si fosse mai sbagliato, dopotutto, era una possibilità non del tutto ridicola. Una fitta al petto gli fece portare la mano destra sui lineamenti rossi che tracciavano il fiore di sangue, marchio della sua seconda resurrezione.

Questo..dolore..cosa significa?

Seyrleen prese un vaso da uno scaffale alla sua sinistra, e intinse le sue dita affusolate nell'unguento color miele che riempiva le pareti di cristallo del recipiente. Quindi fece tamburellare nuovamente le dita sulla pelle dell'uomo, in corrispondenza delle vene più visibili sull'epidermide.
Ad ogni tocco il dolore diveniva più confuso, e un gelo indicibile scuoteva i muscoli sottostanti.

Il dolore è il segnale del corpo che qualcosa è stato compromesso. Ma tu intendi forse, con quella domanda, cosa ti abbia compromesso. E cosa sia stato messo a repentaglio, nel tuo corpo.

Fece una pausa e si pulì le dita su un fazzoletto che teneva annodato sul braccio destro, per poi avvitare nuovamente il tappo per chiudere il recipiente medicamentoso.

Nel tuo caso, il tuo intero sangue è stato infettato con un veleno letale chiamato Fiume. Hai sofferto precedentemente gli effetti più gravi e debilitanti, e ti sei dimostrato capace di sopraffare la morte ancora una volta. Il simbolo, che vedi lì

Continuò indicando il fiore scarlatto dal quale partiva il calore, ora affievolito, e con l'altra mano scostò un lembo della sua veste scoprendo il petto. Rese visibile un marchio, in un punto simile a quello dove si trovava quello del Guerriero.


Non è che il punto nel tuo corpo nel quale si raccoglie gran parte del Fiume. E prima che tu te lo chieda..siamo stati noi ad iniettarlo. Perché? Per salvarti la vita.

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Jevanni rimase in silenzio, assorbendo i concetti appena usciti dalle labbra dell'elfa mutamente. Le mani andarono a strofinare le tempie, sopprimendo a fatica l'impulso di grattare i punti dove l'unguento era stato posato.

Era morto..ma era tornato in vita grazie un veleno mortale. Paradossale, senza dubbio paradossale, come le matematiche che parlavano di due segni minori che magicamente divenivano maggiori.

Che assurdità era mai questa?

Senti il bisogno di essere lasciato solo?

Lo Spirito chinò il capo e fissò le coperte, decorate con intrecci simili a quelli del marchio rosso; non riuscì immediatamente a rispondere, stordito dall'idea che il suo corpo fosse ora saturato da una sostanza che in realtà avrebbe dovuto ucciderlo. Per quanto ridondante, era un pensiero che non riusciva ad abbandonarlo del tutto.

Era assurdo. Totalmente assurdo.

Una discrepanza nella logica.
Un uomo morto e resuscitato era morto nuovamente, ed era mantenuto in vita da qualcosa che in realtà dovrebbe ucciderlo per una terza volta. Ma che, in realtà, lo manteneva in vita.

Io..credo di si.

Comprensibile.

Si voltò e scostò il velo che faceva da porta alla stanza; gli lanciò un'occhiata da sopra le spalle e indicò lo scrigno alla propria destra.

Lì troverai l'altra tua arma, e ci siamo presi la libertà di ricucirti una divisa sui brandelli di quella vecchia. Spero ti piaccia. Sul tavolo alla tua sinistra inoltre c'è un brodo per metterti su in forze. Quando avrai finito, chiamami pure. Resto accanto alla soglia.

Detto questo scomparve dietro il velo, e Jevanni rimase effettivamente solo. Suo compagno, il silenzio assoluto rotto unicamente dal suo fiato. E il suono dei pensieri, che si affollavano con tanta violenza nella testa da non riuscire a produrre una singola frase dotata di senso logico. Sentì ancora una volta la mente perdere la presa sulla realtà, e si morse il labbro nel vano tentativo di mantenersi aggrappato a ciò che sentiva. E percepiva.
Era faticoso..faticoso e doloroso.
Non era questo, dopotutto, il male di vivere che molti decantavano?

Si alzò a fatica, decidendo in un primo momento di ignorare il brodo, e barcollò verso lo scrigno. Raccolse la cotta di maglia, scuotendola perché si svolgesse del tutto tintinnando musicalmente, e la guardò.

Ad inizio rimase senza fiato, notando come i brandelli che componevano il tessuto fossero stati ricuciti e nei tratti irrecuperabili sostituiti. Ai motivi geometrici erano stati sostituiti ghirigori appena visibili, ricuciture varie e decorazioni che riportavano alla veste che la donna aveva portato.

Blu scuro e leggero all'altezza del torso, il tutto aumentava di spessore e peso nell'area sottostante alla cinta. Inoltre il metallo dell'armatura era stato battuto dove si era deformato, e numerose piccole riparazioni che in secoli avevano intaccato il carapace, la seconda pelle del Guerriero.

Ma se da un lato ciò non poté non rallegrarlo, dall'altro il suo animo si incupì.
Perché i doni non arrivavano mai senza prezzo, a meno che essi non fossero una ricompensa. Ma tutte quelle cure e tutti quei piccoli gesti...

Sto per tornare in guerra.












SPOILER (click to view)

. Stats Briefing .

Jevanni Glacendrangh

ReC 175 | AeV 175 | PeRf 300 | PeRm 100 | CaeM 425

Condizioni fisiche:
- Ferite: ///
- Quantitativo danni da tecnica: ///

Condizioni mentali:
- Stato d'animo: Immensamente confuso;
- Quantitativo danni da tecnica: ///

Energia: ///

Armi:
- Orizzonte [Non tenuta]
- Stella del Tramonto [Non tenuta]
- Brina [Non indossata]

Abilità Passive:
///

Abilità Attive impiegate:

///

Sintesi: Questo post è stato scritto per le prime due parti (delimitate dai divider) in uno stato di totale abbandono mentale. Troverete espressioni e frasi che solitamente mai metterei, e sono state create in perfetta sintonia con lo stato psicologico nel quale io (persona) verso. E' pertanto privo di razionalità e senso, tanto che sarà difficile seguirne il senso.
La terza parte è, delle quattro, la più lunga e quella più lucida. E' quella nella quale Jevanni viene a conoscenza di ciò che gli è accaduto, e la situazione gli è spiegata dall'NPC Seyrleen Ilyn'Zath, facente parte (nel caso interessasse) del reparto Cadetti dei Predatori di Neiru. In loro il Fiume è concentrato sul petto e sulla schiena, proprio dove Jevanni ha collocato il proprio tatuaggio (nel post chiamato perlopiù 'marchio'), migliorando la loro resistenza.
La quarta parte è stata scritta in uno stato mentale nuovamente scombussolato, quindi potrebbe essere scivolata nell'incomprensibile ancora una volta. Ma personalmente a me sta bene così: è principalmente l'introspezione ad essere confusa. La personalità è ancora influenzata dall'Asgradel, pertanto troverei giusto che la mente sia incoerente nel flusso di pensieri.
Sono felice di esser riuscito a finire di scriverlo prima di impazzire del tutto.


 
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PARACCO TRAVESTITO ALOGENO
view post Posted on 4/6/2011, 01:33




Awakening
Risveglio & Vestizione



Solo tenebre contornate dal nero assoluto. Un'arida valle desolata, abitata solo da ombre cieche alla disperata ricerca di uno scopo e di una luce.


Era questa la sua ricompensa? Il dono dell'Asgradel per i suoi servigi? Una vita (??) di morte, servo eterno di un potere immortale? Aang non lo accettava, non lo capiva nemmeno. Si sentiva tradito da chiunque, preso in giro e scimmiottato da poteri superiori. Un pedone in un enorme scacchiera, in cui l'unica cosa che poteva fare era marciare. Un passo dopo l'altro, un'azione dopo un'altra, solo un servo, prima del Re, poi dell'Asgradel. Una marionetta tatuata nelle mani di un burattinaio che agisce indisturbato dall'ombra. Ora però ne era profondamente stufo, ma non aveva ancora le forze per ribellarsi: era soltanto un debole, un ragazzino con la voglia di diventare più forte per sè stesso. Per non essere ancora tradito. Da nessuno.


My close-walled soul has never known
That innermost darkness, dazzling sight,
Like the blind point, whence the visions spring
In the core of the gazer's chrysolite…
The mystic darkness that laps God's throne
In a splendour beyond imagining,
So passing bright.


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L'elfo entrò nella tenda, scostando la spessa stoffa con un gesto imparato con l'abitudine: aveva passato molto tempo a seguire quegli uomini feriti. Alcuni ce l'avevano fatta, ritrovando presto le forze e scegliendo il proprio posto e accettando il Fiume del Fato; altri avevano scoperto di essere troppo deboli per accoglierlo ed erano morti tra terribili tormenti, mentre i loro teneri corpi morivano lentamente. Alzò la testa, muovendo gli occhi ciechi di lato e inclinando la testa, quando un urlo agghiacciante arrivò da fuori, sancendo la fine di un altro che non ce l'aveva fatta. Alzò una mano, attraversata da venature rosse, a sistemare una ciocca bianca dietro l'orecchio appuntito, tornando a puntare gli occhi ciechi sul monaco, ancora disteso sul lettino.

Allungò la mancina su Aang, carezzando la pelle dove era stata incisa la prima volta, seguendo il percorso del Fiume con le dita affusolate. Gli occhi bianchi guardavano nel nulla, ciechi, la bocca era semi aperta in un'espressione di concentrazione. L'elfo annuì tra sè, interrompendo il contatto vicino al polso sinistro del monaco e sorridendo appena, compiaciuto. Parlò con voce dolce e leggera, scuotendo i lunghi capelli bianchi mentre rivolgeva lo sguardo su di lui.

« Il Fiume scorre bene.. »

Come se vedesse sul serio, alzò le mani con sicurezza, tastando la fronte e le tempie del monaco, scostando appena le medicazioni che le coprivano: il ragazzino non era ferito gravemente, ma l'impatto avuto con l'Asgradel era stato troppo per lui, come per tutti gli altri. Rassicurato almeno sulle sue condizioni fisiche, gli diede le spalle, avviandosi lentamente verso l'uscita della tenda, ma si fermò subito, voltando la testa come per un rumore improvviso. Forse un'alterazione nel respiro di quel corpo fermo, ma avvertiva quasi incosciamente che il monaco stava per risvegliarsi.



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Aang?
Svegliati! Dormi ancora?
Basta! Smettila!



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Può una persona uscire da un coma sentendosi bene? Quasi come liberati, alleggeriti da un peso che non si sapeva di portare. Un fardello invisibile, che all'inizio ti dà un pò di fastidio, ma poi diventa parte di te. Inizi a pensare che faccia parte del tuo corpo, facendolo tuo inconsapevolmente. Il tuo sguardo si posa su di lui, la tua mente pensa «Oh, tutto normale qui» e passa oltre. Finchè non diventa sempre più pesante, più fastidioso: si adatta, prende posto, come su un comodo divano, e diventa veramente una parte di te. Prima che tu te ne renda conto, diventi Tu il Tuo problema.

Aprì gli occhi, lentamente. Nonostante la penombra della tenda, la luce ferì le sue iridi, facendo richiudere le palpebre. Si sentiva profondamente intontito, come se fosse appena uscito da un lungo sonno, di cui non era pienamente consapevole. Mosse piano le dita di mani e piedi, cercando di riprendere il controllo del suo corpo lentamente, concentrandosi sui movimenti più elementari. Apri una mano. Chiudila. Inspira. Espira. Apri gli occhi.

Solo allora si rese conto di non essere da solo, lì dentro. Una figura minuta era voltata verso di lui, con un leggero sorriso sul volto incorniciato da capelli pallidi. Si alzò di scatto, mettendosi seduto sul lettino improvvisato, scomposto da lenzuola di lana ruvida. Un grave errore, per lui e in quel momento. La debolezza che avvertiva da steso non era nulla in confronto a quello che avvertì mettendosi eretto. Vide la stanza girare su se stessa, ondeggiando come in un mare in tempesta. Si sentiva appunto come un naufrago: solo - se non per quella figura ancora silenziosa - e in un posto sconosciuto. E quel bruciore diffuso che avvertiva, lo faceva sentire debole come un gattino appena nato.

Nonostante tutto questo, però, si sentiva più leggero, come se quel riposo forzato fosse stato rinvigorente invece che sfiancante. Avvertiva qualcosa di diverso, dentro di lui, anche se non capiva ancora cosa. Alzò gli occhi scuri sul piccolo elfo che - immobile - sostava tranquillo vicino all'uscita della tenda. Era davvero esile, anche per essere un elfo: un bambino secondo i canoni umani, ma probabilmente con più anni di quelli che l'aspetto lasciasse immaginare. I capelli argentati, lunghissimi, cadevano dietro le orecchie appuntite a incorniciare il viso affilato, dominato da un naso pallido, puntato leggermente all'insù. La sua intera figura, avvolta in un insieme di fasce di tessuto chiaro, gli ricordavano le vesti leggere ma comode del suo Monastero. Le mani, piccole ma affusolate e ben curate, erano attraversate da venature e arabeschi scarlatte e sistemate una nell'altra in un gesto di vaga sicurezza.

Se l'elfo avesse potuto vederlo, probabilmente si sarebbe sentito leggermente offeso: il monaco era rimasto a bocca aperta, col viso glabro atteggiato in un'espressione di stupore mista a sofferenza trattenuta. Prima che Aang riuscisse però a scollare la lingua dal palato per parlare, il silenzio venne interrotto ancora una volta dalla voce esile ma sicura del piccolo elfo.

« Il mio nome è Carnil Calimel. »

Una piccola pausa, come se si aspettasse una obiezione, da parte del monaco.

« Sono qui per assicurarmi che il Fiume del Fato segua il suo percorso, dentro di te. »

Muovendosi a passi brevi ma sicuri, attraversò lo spazio dentro la tenda, recuperando dei vestiti simili ai suoi, probabilmente anche della sua taglia.
Fasce di stoffa grigia e bianca, tenute assieme da fili di lino leggero ma resistente. Il tessuto terminava all'altezza delle spalle, lasciando le braccia - e soprattutto le mani - libere da ogni impedimento. Si voltò nella sua direzione, puntando sul monaco i piccoli occhi completamente bianchi.

« Indossali, sono puliti. »

Gli voltò le spalle, fermandosi solo alla piccola obiezione mossa dal monaco, che tossì, tenendosi la pancia, in risposta alla richiesta dell'elfo.

« Fai con calma, ti aspetto qui fuori. »

Sorrise appena e uscì scostando la stoffa, lasciando che un pò di luce entrasse a rischiarare la tenda. Il monaco ne approfittò per guardarsi un attimo intorno, cercando soprattutto di ricordare cosa fosse accaduto. Invano, in quel momento. Con un rantolo di sollievo, vide il suo bastone poggiato con cura su un lato della tenda. Tornò a stendersi e a cercare di radunare i pensieri che vagavano sconnessi da quando si era svegliato. Si portò una mano alla fronte per tastare le fasciature, ma il braccio si fermò a metà, quando vide una cosa molto strana. Il suo tatuaggio, di norma di colore celeste, stava assumendo una sfumatura rossastra, come contaminato da qualcosa di sconosciuto.

Cercò dentro di sè, avvertendo la familiare scintilla di Flux, ancora viva e in attesa. Sospirò di sollievo: era ancora utile a qualcosa. O almeno, quell'elfo la pensava allo stesso modo, se lo aveva curato e tenuto in vita nonostante tutto. Forse.


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Si vestì lentamente, accogliendo con gratitudine il fresco delle stoffe pulite sulla pelle accaldata. Riuscì persino ad alzarsi al primo tentativo, senza sentirsi troppo confuso. Fece qualche passo titubante, tenendosi al letto per evitare incidenti spiacevoli. Arrancando, raggiunse il suo bastone e lo strinse forte tra le mani. Lo carezzò con lo sguardo, controllando che fosse ancora come lo aveva lasciato. Tutto sommato, era in buono stato.

Rassicurato, si avviò verso l'uscita, scostando con la mano libera la pesante stoffa che lo proteggeva dal mondo esterno. La luce lo assalì: il monaco, di nuovo vivo, mise ancora piede sulle terre dell'Asgradel.



But the many twisted darknesses
That range the city to and fro,
In aimless subtlety pass and part
And ebb and glutinously flow;
Darkness of lust and avarice,
Of the crippled body and the crooked heart…
These darknesses I know.





Uff, ce l'ho fatta, non ci credo. Maggio non mi ha dato pietà, scusatemi se posto soltanto ora. :riot:
Edit: nel caso non si fosse capito, ho scelto un Tatuatore ^^


Edited by PARACCO TRAVESTITO ALOGENO - 4/6/2011, 14:18
 
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Lucien.
view post Posted on 9/6/2011, 19:01






Penetra, s'insinua.
Scorre e si separa.

Il lume di una fiamma più in là, che arde fra pietre e legno neri, ormai consumati, scava nel suo viso pallido e fiacco ombre scure, fosse profonde sotto gli occhi lucidi e sanguigni, avvolti in una malinconica foschia. Il crepitio lento delle lingue di fuoco accompagna i suoi pensieri, tutte le parole che richiama allo spirito per cogliere il nome di quelle sensazioni, delle emozioni di cui ha idea d'essere partecipe. Nella sua cella di ovattato silenzio, riparata dal lontano clangore delle armi, l'immaginazione le disegna dietro il suo capo come sfere, come fuochi fatui, forme perfette che non sono né di terra, né d'aria. Ma sono in realtà dei pilastri talmente imponenti nello scarlatto del cielo al crepuscolo, che neppure il demone è in grado di scorgerne la sommità, la fine, il cuore. Quali sono i nomi di quella mancanza, dell'insoddisfazione e di quel desiderio che ora corrodono la mente, ora la costruiscono, quando la corrente impetuosa impedisce di volgere indietro lo sguardo?

Penetra e si conficca nella carne.
Ma subito scorre e sboccia.

Per un istante il pensiero è certezza, prende possesso della coscienza, ma ora si sgretola e disperde come polvere, come soffio insieme ad ogni suo respiro; ed è già dimentico di tutto. Il suo essere si completa e si scioglie: questo è quello che ora percepisce d'istinto, fra due colonne, due limiti di non ritorno nel tempo che lo circonda. Oltre quella coppia di rintocchi la vita non prosegue, né si ferma, ma di nuovo la attende il corso dei due Fiumi. Ha ascoltato, ha sentito gli altri indicare con questa parola il liquido rosso che disegna i suoi polsi, le sue mani. Il suo tono è così vivace e intenso da far sembrare la pelle sottile e trasparente, come il velo chiaro di una danzatrice. E dietro di esso, come se danzasse un corpo vivo, le linee del marchio purpureo si piegano in movimenti tanto casuali e intricati quanto affascinanti, portatori d'ispirazione. E' dal mezzo di quelle forme virtuose che si genera il nuovo sangue, seguendo il ritmico pulsare dei due battiti; dal veleno insidioso si diffonde vita lungo le braccia, sulla sua bocca immobile e sugli occhi. Ogni volta le dita tremano impercettibili.

Osserva il Fiume, contempla il suo impeto a tal punto
che i sensi dimenticano il cuore imprigionato nel suo petto.

Le Mani sono il mio Cuore.
Le mani sono il mio cuore pulsante.
.
.



Ma un'ombra nera si avvicina. Si aggiunge alle altre che già danzano attorno al fuoco.
Il suo passo è accompagnato da voce d'acqua piccola e limpida: ne è colmo il secchio che quello stringe fra le dita della destra. Un elfo, uno dei Rossi, è lo stesso viso aguzzo che, dopo il breve discorso all'esercito e ai suoi risvegliati, ha allontanato il mezzo demone dal manipolo di guerrieri, per portarlo alla sua tenda. Alla luce oscura della fiamma s'incupiscono i begli ornamenti d'amaranto sulla sua veste, sulla tunica e la cinta; si gettano riflessi e bagliori sulle piastre bronzee legate a proteggere la spalla sinistra. E quando s'inginocchia accanto allo spadaccino ferito, la sua presenza è un gioco di luci e ombre. Il suo volto straniero parrebbe femmineo, agli occhi ignoranti di un uomo di borgo, dolce e calmo nonostante la freddezza delle linee che lo disegnano: come pietra bianca modellata e levigata dalle mani abili di un artista. I lunghi capelli dal colore schiarito s'insinuano, strisciano sul suo capo, piegandosi in tenui riccioli sulla fronte, e accarezzano gli zigomi fieri e pronunciati. Dalle orecchie d'inusuale forma, allungate fino all'altezza delle sopracciglia fini, si separano due eleganti ciocche che poggiano infine sul suo petto. Regale il suo fare lento, regale l'aspetto. Di fronte a quell'essere dalle sembianze di mistero, il tempo pare sciogliersi nell'attesa di una sua parola.

Guarda le mie mani.
La voce muta è come se sospirasse dallo sguardo perso del Demone.


Lentamente protende verso di lui i due polsi aperti, e sotto la pelle non smette di vivere il Fiume, vibrano silenziose le dita. Le labbra restano dischiuse, come se il suo respiro sibilasse il dubbio e gli ermetici pensieri che aleggiano intorno alla sua mente; gli occhi vacillanti cercano una risposta in quelli dell'altro, scavando oltre le ombre che ne mascherano le luci. Delusione, nello scoprire che le iridi dell'elfo sono ancor più vuote delle sue; e subito dopo, stupore e fascino. Incerto, lo osserva stringere delicato la sua sinistra fra i guanti, per poi avvicinare il capo piegandolo leggermente di lato. La luce ora riflette il colore ambrato attorno alle sue pupille di fumo, mentre quello pare ricorrere all'olfatto per riconoscere il mondo attorno a lui, all'udito per rischiarare i suoni più impercettibili. Comprendendolo d'istinto, il guerriero trattiene il respiro, come per rispettare le sue orecchie, e in quel silenzio di nuovo riconosce egli stesso i battiti che scuotono il suo corpo. Allora lo straniero libera silenziosamente una delle sue mani da quella stoffa bruna, rivelando sui suoi palmi un miracoloso disegno: le unghie sono intrise di sangue pulsante, colme del rosso intenso che confluisce dalle intricate linee del fiore sulla sua pelle. Terribilmente lento, come se trascorressero ore invece che secondi, prende a sfiorare il Fiume ancora giovane del ferito; alla luce del fuoco, pare quasi che dalla punta del suo indice stia colando a stille quell'oro purpureo di cui è composto, sul punto di sciogliersi come acqua da un istante all'altro. Muove sinuoso le dita, ferme e sottili come aghi, magre spille, e con quella sua arte sembra guidare la crescita di alcuni dei petali sul polso di Lucien, reciderne altri.

« Tu... Sei stato tu, a farmi questo, non è vero? »

« Sì. Ne hai timore, guerriero?
Allora eri disteso a terra e il tuo corpo era lacerato da atroci ferite. Eppure notai le tue mani: erano tra le più belle che avessi mai visto, nonostante fossero ricoperte di quel tuo sangue...
Così decisi che non sarebbe stato male donarti una parte del mio fiore, per ridarti la vita. Saresti stato dilaniato dalle fiere del bosco, i tuoi occhi sarebbero stati presto pasto per i corvi, e saresti infine tornato alla Terra... Senza di me.
Dovresti essermi grato. »


« Mo... morto. »

Morto. Al pronunciare di quella parola, tanto semplice quanto netta, brutale, al suo riecheggiare nella mente annebbiata si accompagnano per prime confusione, ansia, paura. Non crede ancora che quella sia la risposta allo stato d'alienazione in cui si trova immerso, con l'animo e la carne insieme. E per un attimo è come se si risvegliasse da quei sensi a metà fra il sogno e la veglia, ritraendo bruscamente a sé il braccio dalle mani di quell'essere senza nome. Mai lo avesse fatto. Subito penetra nel profondo del suo palmo la punta acuta di una freccia, è fine la sensazione che in quel frangente di tempo lo pervade, è la puntura di un ago; e poi, sconvolto, si piega in avanti con la schiena, abbassando il capo e stringendosi le spalle con le braccia, perché nuovi dardi lo hanno trafitto. Percepisce precise sul petto due ferite come dirupi scoscesi, e un grumo di nero nel mezzo della gamba sinistra. Con la bocca respira a fatica, è grande e inaspettata la sorpresa. Piccoli sibili emette dalle labbra, mugolii di piacere. E' costretto a trattenere le risa morbose che risalgono lungo la gola, insieme all'aria che ancora porta dentro di sé, mentre di nuovo all'interno dei due rintocchi tutto ritorna nella foschia e alla stancante mancanza d'identità.

Non riesce più a sopportarlo.
Ma quando rialza lo sguardo, l'elfo lo sta fissando col suo viso tagliente
e preme forti le dita contro la sua fronte.

« Stupido. Recupera il tuo controllo,
perché non tollererò che tu rischi di rovinare la mia arte una seconda volta. »


« Ah, vai al diav... »

Fermo, immobile.
In un istante tutto torna nel silenzio, sotto quello sguardo, vuoto e allo stesso tempo così imperante; il turbamento del Demone si placa sotto il dominio dell'incantatore.

« Non ti muoverai finché non avrò finito di medicarti le ferite. Lo farai? »

« Sì... »

« Sei ancora confuso: questo lo comprendo. Ma dovrai forzare il tuo animo a risvegliarsi del tutto, se non vuoi rimanere vivo soltanto a metà.
Puoi ricordare chi è stato a sfregiare così il tuo corpo? »


Lo straniero abbassa silenziosamente il capo, rivolgendo le proprie attenzioni alle violente ustioni sul ginocchio, e ora alcune lunghe ciocche di capelli coprono i tratti del suo viso; non appena allontana le dita dagli occhi del risvegliato, quello si abbandona in uno stato di placida fiacchezza, poggiando le spalle contro la pietra levigata dietro di lui, lasciando che le sue mani si accascino al suolo di terra battuta. Scivolano via tutti i pensieri attorno al sinistro gesticolare di quel soldato dei Neiru, come se la figura di quello nell'immaginazione fosse nascosta da un velo di tenebra, e al contrario un immateriale vessillo pare comandare loro e guidarli verso quell'unica domanda. La voce dell'elfo è lontana, eppure imprigionante con il suo eco senza fine, del tutto simile a quell'altra melodia che risuona per la sua testa da quando ricorda di essere stato vivo. E così comincia a riportare alla memoria le visioni di un passato che gli sembra troppo distante, cercandole con il riflesso degli occhi perso in alto, fra le prime stelle che compaiono nel cielo. L'acqua danza nel secchio: solo una volta muove le pupille ad osservare l'altro bagnargli la ferita, e mentre quello la libera dalla polvere e dalle tracce di sangue nero, il mezzo demone avverte continue e piacevoli vibrazioni, finché le sue labbra non s'inarcano leggere.

« Un monaco... Un giovane monaco. Non smettevo di odiarlo perché ero sicuro che quel luogo fosse soltanto mio, e di nessun altro. Ma non ricordo più molto di quell'incontro, perché allora provavo una sensazione che non sono più in grado di definire a parole... Acuta, pulsante.
Ah! Non smettere, ti prego.
E' piacevole. »


Una macchia scura si dilata nel centro delle bende.
Lo straniero indugia per qualche attimo, poi volge i sensi verso di lui
e con la destra sfiora le ferite sul suo petto, e le tocca e immerge le dita nel grumo nero, vivo.
Ma quello sorride, socchiudendo le palpebre alla notte.

« Demone... La tua natura è strana, Demone. E diversa, affascinante.
Voglio sapere, quali sono le tue intenzioni, ora che i tuoi sensi hanno di nuovo vita? »


« Ah... Combatterò. La sua voce non smetterà mai di riecheggiare per la mia testa, finché non sarà finita. Combatterò per lei. »

Ecco, non riesci a pensare altro, dopotutto; la tua anima è ancora nelle mani di altri.
Ma sorrido anche io.
.
.


Nella dormiveglia, gli occhi scarlatti del guerriero fissano il vuoto oltre le lingue ormai deboli del fuoco; è una luce ancor più cupa, insinuandosi all'interno della tenda perde vigore, e si mescola indistinta insieme con il buio. Eccoli che danzano, nella loro unione, e si distinguono talvolta alcuni tratti di bagliori circolari. Tutto è silenzioso, l'aria è mite fuori e dentro il petto di Lucien. Nella dormiveglia, la mente meccanica ripete le parole di quel guaritore, e con la memoria ripercorre le linee del suo volto. Rivede la sua figura scomparire oltre il velo, sente i suoi passi farsi lontani.

Ora riposa. Quando sarai di nuovo sveglio, indosserai gli stessi miei abiti
quelli di ogni combattente dei Neiru gloriosi.
Sarai con me quando giungerà il momento di affrontare i suoi nemici.

Domani, io ti dirò il mio nome, e tu mi dirai il tuo.









Okay, se qualche folle non vuole arrendersi a leggere questo post, beh... è semplicemente folle :v: Spero si capisca, almeno un po'. Nella prima parte mi sono concentrato sul Fiume e sulle pulsazioni del veleno che il personaggio avverte dentro di sé, mentre nella seconda avviene l'incontro con il Neiru che appunto lo ha tatuato ridandogli la vita. Questo pezzo è costruito sulla scia dell'ultima passiva che ho comprato, le cui proprietà, nella storia, vengono acquisiste dal Demone che dimora nel personaggio proprio dopo questo risveglio.
E' da un po' di tempo che continuo a trascinarmi dietro questo post, per cui ora sono felice; ma, come al solito, spero di non pentirmene domani.
 
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Verel
view post Posted on 28/7/2011, 15:26




You got sucker's luck...
Have you given up?
Have you given up?



" Cos'è... successo? "

Cadde nel vuoto, lanciata con voce roca, quasi strozzata, quella domanda. Sembrò attraversare il volto dell'altro come acqua, per poi ricadere nel silenzio.
Erano passati pochi minuti, eppure sembravano settimane.
Sembrava di guardare un dipinto talmente da vicino da non poterne osservare nessuna caratteristica, fissando soltanto le fibre della tela che gli facevano da scheletro. Per poi allontanarsi, lentamente, e scoprire colori, volti e movenze che andavano ad aggiungersi a quello scheletro come muscoli ed ossa. Così erano sembrati a Verel quei pochi ed interminabili minuti: la scoperta di ciò che già sapeva, il diradarsi di una nebbia fitta. Ed in quel momento, la nebbia aveva lasciato soltanto un evanescente velo bianchiccio che rendeva il paesaggio della sua memoria spettrale.
Il ragazzo era seduto su uno sperone roccioso, studiando i nuovi abiti che teneva ancora stretti tra le mani, assaporandone il tessuto tra i polpastrelli come una carezza gentile. Ancora non li aveva indossati, contrariamente alle indicazioni del Predatore, lo stesso che gli si era avvicinato pochi istanti dopo il "discorso" di Ashlon, trovandolo il uno stato quasi catatonico ed inanimato.
Forse era stato schiaffeggiato. Verel non ricordava molto bene i dettagli della loro prima conversazione, ma un certo fastidio alla guancia sinistra gettava qualche ipotesi. Da allora si era velocemente ripreso, sotto lo sguardo severo nel Neiru.

" Hei, Deinoras, mi hai sen- "
" Fa. Silenzio. "
La pronta risposta dell'elfo gli arrivo come una sciabolata. La pelle candida del Neiru, ed i suoi occhi senza iride sembrarono accartocciarsi nell'espressione di rabbia, o meglio, di sconforto. Verel lo sentiva bene nel cuore del suo compagno, un rancore spaventoso, la paura e la sofferenza. Benché non ne conoscesse le origini, poteva osservare come avessero scavato abissi nel suo cuore, da cui provenivano soltanto parole aspre. Ignorando tutte le possibili maledizioni che avrebbe potuto ricevere, Verel parlò di nuovo, ma questa volta con tono pacato, sottomesso. Un cane bastonato.
" Devi davvero odiarci... "
Centro. Deinoras sgranò gli occhi, fissando prima Verel, e poi il terreno ai suoi piedi, come se non riuscisse a sostenere la presenza dell'umano. Sembrò che stesse per rispondere, prendendo fiato ed alzando di nuovo il capo, ma anche quell'accenno cadde nel vuoto. Passarono diversi minuti in cui ognuno dei due continuava a fare quello che stava facendo, controllando l'equipaggiamento, affilando le armi. Minuti in cui ognuno dei due faceva una cosa ma pensava ad un altra.
Fu il Neiru ad avvicinare Verel, e quando parlò sul suo viso era calato il gelo dell'astio che non aveva mai avuto fine

" Io odio l'Inquisitrice "
Si fermò lì, e parve non voler continuare più, per non rischiare che la breccia nella fortezza dei suoi pensieri si espandesse e lo rendesse vulnerabile. Balbettò poco, per poi abbandonarsi al suolo dell'eden. Si reggeva la fronte con la mano destra mentre continuava a fissare il vuoto. " Ha eroso la nostra terra. Ha distrutto le nostre tradizioni - e nel dire questo fece un lieve cenno al suo Fiume del Fato, le cui spire salivano dalla spalla destra al collo- per colpa sua sempre più di noi aspirano al completo potere del Fiume, solo per esserne stritolati.
Ed ora, siamo immischiati in una guerra che farà ancora morti, combattendo per lei!
"
Verel vide le spalle del Neiru rilassarsi, il volto perdere la sua rabbia. Rassegnato ad un destino ineluttabile.

" Stiamo scomparendo. "

Have you given up?
" Non arrenderti "
Not now
not
yet

-

I nuovi abiti di Verel svolazzavano, sferzati dal vento di quelle montagne. Una specie di tunica color zaffiro che aveva semplicemente posato sopra i suoi indumenti normali, aperta. Assieme a lui, moltissimi altri identici, uniti da un colore e poche tecniche per uccidere. Deinoras era affianco a lui, ancora un po frastornato dallo sfogo ma rasserenato dal sorriso disarmante che Verel gli aveva mostrato. Chiaramente, questo non glielo disse, ignaro che il ragazzo poteva comunque percepirlo.
E marciavano, assieme a migliaia e migliaia. Un arcobaleno di colori che presto si sarebbe unito sotto un'unica tonalità.
...

" Andiamo. "
" Ricorda che la tua gente ti aspetta. Non morirmi tra le braccia. "
" Farò del mio meglio. "

Deinoras sorrise, malinconico.

Energia: 100%


Abilità Passive:
● Cuore di carta: le pagine ingiallite, usurate e stropicciate del quaderno sono il suo cuore, l'inchiostro che le attraversa è il suo sangue e le emozioni che racconta sono la sua anima. Si potrebbe dire che un libro non sia troppo diverso da un sentimento, quasi un'incarnazione di emozioni. Verel ha scritto tutto ciò che si sentiva in cuore sul diario, che ora è diventato il suo tesoro ma anche il suo specchio, dove poter osservare quanto si è cambiati e cosa si è diventati. Ma è anche una lente per guardare gli altri. Fintanto che Verel possiede il diario, sarà in grado di percepire le emozioni di chi gli sta intorno, scalfendo la superficie degli animi altrui, verso il loro cuore di carta.
 
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15 replies since 12/4/2011, 09:25   1071 views
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