Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Valzer al crepuscolo ~ Ragnarok

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view post Posted on 23/8/2011, 13:43
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Molte sono le leggende a proposito della "Battaglia del Crepuscolo".
Molte le storie che nacquero da quelle lande desolate, aride piane scavate con mani di ferro dai Territori Centrali e poi spianate con lama d'acciaio dai passi di eserciti sterminati, di guarnigioni infinite. Masse di cavalieri e di bestie addensati gli uni agli altri come pascoli di uomini, come greggi di anime prossime dal cadere.

" Takank’ner arraj , takank'ner!"

" Avanti feccia! Avanti! "

Si narra che allora la terra rosseggiasse di un sole nero, vitreo occhio di demone sospeso nel cielo e li stante, irraggiungibile, mentre tutto sotto iniziava a tremare sotto l'avanzare dei pelleverde. Corpi nerboruti, pelle scabra, grandi spalle flesse nella pesantezza di una massa muscolosa. C'è chi ricorda che pareva quasi di vedere il Borgo inverdire, densi ciuffi verdebruno a ricoprire come nodosa sterpaglia i suoi cocci e le sue macerie annerite in una selvatica tundra in rapida espansione. Ad ogni passo il cigolio delle armature, il torcersi delle cinghie, il torrido esalare del respiro dalle narici incrostate di sabbia e sangue.
Vecchie storie raccontano che L'Occhio di Gruumsh non conoscesse sconfitta. Che il sangue di ogni Hoëpriester versato a terra non andasse perduto ma generasse altri pelleverde. E che da dietro l'orbita vuota consacrata al loro Dio, essi potessero addirittura vedere la morte in persona imperversare sul campo di battaglia assumendo talvolta le sembianze di una lama fantasma o di una freccia avvelenata.
Colui-Che-Non-Dorme-Mai veglia su di loro, si diceva. Ed ora che il suo segno risplende alto nel cielo, quanta speranza può esserci che egli volga per un attimo il proprio sguardo altrove lasciandone cadere anche solo uno?

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Poi, acuto e al contempo tonante, il roboante risuonare del Maniero. Lo scuotersi della tetra struttura mentre uno ad uno, una voce dopo l'altra, i corni di Gruumsh si andavano destando fendendo l'aria con i propri scuri toni. Lacerando, rombante genesi di ogni altro suono, la ferma compostezza delle fila di orchi. Ora serrate e unite nella cadenza di una marcia. Ora confuse, sciolte in una rocambolesca esultanza, in una furiosa frenesia di corpi e armi.

E se solo fosse ancora stato sangue a scorrere nelle loro vene, se solamente i loro corpi fossero ancora stati fatti di mera carne e ossa, di semplice cuore e cera forse, forse da lontano, dalla greve distanza che ancora li separava dai mastodontici avversari, qualcuno avrebbe probabilmente avvertito l'armata dei Predatori tremare. Torcersi, il pallore dei loro volti oramai arido come sabbia nell'imperversare della polvere.
I Racconti li descrivono come fantasmi silenziosi, niente più che candidi spettri all'apparenza tanto fragili da poter scomparire nel sole come sogni al sopraggiungere del giorno.

" Gruumsh mez het'e! El irz'anunov vohr mek’ ashysor payk’arum! "
" Gruumsh è con noi! E' nel suo nome che oggi combattiamo! "

Non un movimento. Non un respiro. Non uno sguardo.
Nemmeno la più vergognosa esitazione attraversò gli occhi ciechi dei Predatori quando, brecciarsi dell'aria tutt'attorno, roboante esplodere ovunque delle latranti grida dei pelleverde, l'intera armata di Gruumsh cominciò finalmente a riversarsi in avanti contro di loro. Una carica devastante, mille figure corazzate che si muovevano all'unisono nella più pura dimostrazione di forza che mai avesse visto testimone Asgradel. E già in alto mille e più soli si erano affiancati all'unico Occhio, roventi dardi traccianti un'iperbole nel cielo e volti a precedere il minaccioso assalto. Eppure, nel tremare della Terra, nello scomporsi delle macerie animatesi ed ora rotolanti tutt'attorno come topi alla fuga, Neiru. semplicemente, attese.
Aspettò l'inevitabile, l'imprescindibile quanto prossimo istante in cui la fragile distanza fra il potere e il volere si sarebbe annullata nel sonoro incontrarsi di spade e corazze ed allora ogni cosa non sarebbe più stata il prima e il dopo ma solo Ora, ora e mai più.
Ad un passo dall'inizio, pochi avvertirono il riverbero di una voce spirare fra le fila dei Predatori. Una voce leggera, foca, nulla più che un bisbiglio inavvertibile per orecchie che non volessero sentire. Poi, le sciabole di goblin e bugbear che già si levavano in alto per colpire, un uomo si mosse. Non gli arcieri barricatisi nelle retrovie. Non i cavalcatori di fiere posti poco più avanti. Non gli umili fanti pronti a concedere la propria vita in onore di una causa ben più grande. Solo un Uomo.
E pur essendo molte a svariate, tutte le leggende lo ricordano allo stesso modo. Lo descrivono come il più splendente fra tutti. La creatura più fulgida e abbagliante del campo di Battaglia, unica lama d'argento la cui sola presenza pareva capace di accecare chiunque si ponesse dinnanzi alla sua figura.

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Uno solo. Per tutti.
Ashlon, voce di Neiru, alzò dunque una mano, e solo allora nel cielo i molteplici soli trovarono la propria fine in una scura volta d'oscurità. E solo in quella bestie di varia forma e natura sbucarono improvvisamente dalle file compatte degli elfi per slanciarsi a perdifiato in avanti. E solo in quella dal cielo, ombra tonante ed inesorabile, un'immensa alabarda si schiantò direttamente fra le fila dei Predatori dividendo letteralmente le truppe in due monconi divisi.
Un attimo di silenzio, di rigido sgomento negli occhi vitrei dei risparmiati.
Ed infine, come digrignante rivoltarsi di una belva feroce, un nuovo cenno di quella mano ora invisibile, un nuovo ordine da quella voce silente.
Molti dicono che Ashlon riuscì a fermare l'alabarda piovuta dal Cielo con una sola mano. Altri che fu l'arma stessa a colpire lui solo risparmiando le truppe tutt'attorno. Ciò che è sicuro, è che l'istante dopo le truppe di Neiru erano passate al contrattacco, i più deboli avanti e i più forti poco dopo, le lance già tese contro i Giganti in carica, i goblin al seguito ed in mezzo a loro, ombra scura scagliatasi innanzi ancor prima dell'ordine di battaglia, un tetro cavaliere nudo e privo di nulla che non fosse il prezzo di mille e più battaglie e della propria fede verso Gruumsh.
Col tempo, le pitture acquose utilizzate per le cerimonie avevano smesso di bruciare sulla pelle verde di Bara-Katal.
Eppure allora, in quel brumoso Crepuscolo la cui fine pareva voler segnare la Storia stessa, i rossi segni della terra spalmata con dita d'acciaio sul suo corpo parevano quasi un Fiume, un Fiume del Fato ricamato per lui solo, Hoëpriester di Gruumsh.

Plic..
Plic...
Pl...ic...

Nel sottile riverbero dello specchio ogni cosa tremò lievemente, brivido di pelle, mentre il nero sole divampava quale occhio sgranato ad un soffio dalle dita di Eitinel.
Dama addormentata, ora riversa a terra, i morbidi lineamenti sfatti in una stanchezza quasi mortale, quasi fatale.
Respirava appena la Regina Bianca, alfieri e cavalli tutt'attorno che giacevano in frantumi ai suoi piedi, pedine spezzate di una guerra vinta solo per inerzia, per mera fortuna.
Densa tenebra ad addensarsi fra le loro vesti zuppe di sangue e sudore, sudari tessuti nel breve interludio fra la base e la cima di Velta, Torre Infernale.

" Stanca, mia Dama? "

Flebile, l'incresparsi della stanza intera. Il torcersi piano degli specchi nel risalire, tetro, di uno sguardo ghignante.
Non vi fu risposta, certo che no. Eppure parve per un attimo di vedere le dita di Eitinel scattare come a volersi chiudere su se stesse. Il corrompersi dell'oscurità, quasi il risolino tetro dell'abisso.

" Eppure lo sai, o dolce Regina, che la guerra non è ancora finita, si?
Che c'è ancora molto, moltissimo, da fare?"


In un unico movimento, gli occhi di lei si schiusero allora lentamente.
Vitrea, l'assenza di pupilla alcuna vagò un attimo nel nulla, prima a destra e poi a sinistra, l'iride bruna che rifletteva senza in realtà vederla la nera consistenza della sala.
Poi, scuro, l'incupirsi dello sguardo. L'affiorare di una punta corvina, di una densa macchia di petrolio via via sempre più estesa fino a coprire il vivido ambra di Eitinel. Ed infine, malevolo, l'affiorare di un sorriso.
Vibrò ancora l'abisso, febbrilmente, mentre con occhi di cenere ella si tirava allora a sedere, la cascata di chiome che ricadeva tutt'attorno come una marea lattiginosa andando a lambire i corpi sfatti dei "campioni".
Lei li scrutò un attimo, quasi sovrappensiero.
Poi socchiuse ancora gli occhi. Lentamente.

" No.
No, mia cara.
Che tu lo voglia o no,
Non è ancora finita. "

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E fu allora che, agonizzante lamento, la voce di Velta esplose per un'ultima, fatale, volta.
Tremanti i muri. Tremanti le pareti. Tremanti i soffitti.
Tremante la Dama al culmine dell'intera struttura, i tratti ora sfilacciati nella lacerante intensità di quell'ultimo canto, le chiome d'argento sparpagliate ovunque nel vertiginoso svuotarsi del bacino tutt'attorno, torrenziale risalita dell'oscurità verso l'alto in una nera colonna d'ombra la cui fine già si perdeva fra le nuvole.

" No. Mia cara "

Tuonò orribilmente il cielo, lampi oscuri che brecciarono una, due volte la scura consistenza del firmamento per poi scaraventare a terra nere saette e grigi fulmini.
Per un attimo ogni cosa fu rugghio e clamore, le fondamenta del mondo che andavano una dopo l'altra a pezzi per lasciare il posto ad una nuova, orribile, potenza. Un potere, l'ultimo, sterminato.
Tutto ciò che resta.
Tutto ciò che rimane,
del nulla.

" Non è ancora finito niente finché non sarò io a deciderlo"

Acuto, il richiamo della Nera Fenice fu il solo capace di ridurre ad un niente il rumore di poc'anzi. Improvvisamente, nello sbattere delle sue immense ali, lampi e fulmini parvero misere scintille da poco o nulla.
Gridò ancora, lungamente, e quando finalmente con un unico slancio l'essere d'ombra si fu librato in cielo, Eitinel si concesse di ridere, delirante, per un'ultima volta.

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L'Asgradel stava arrivando.




Primo post del terzo turno.
La scena vede i due schieramenti, Occhio di Gruumsh e Predatori di Neiru confrontarsi proprio dinnanzi al maniero distrutto. Si tratta questo di un post per metà introduttivo, per metà volto a descrivere lo status-quo di quanto accade.
I tre partecipanti della fazione Leviatano sono già nell'accampamento degli orchi, quindi vedranno con i loro occhi tanto lo schierarsi quanto la prima carica dei pelleverde composta dai goblinoidi davanti e dai Bugbear dietro ( carne da macello per definizione ). Più dietro, gli arcieri iniziano con la solita pioggia di frecce e gli sciamani con le più potenti palle di fuoco ed altre rappresentazioni di magia arcana. Nella prima carica è presente Bara-Katal il cui attacco ha già mietuto vittime nei Predatori.
Contro gli attacchi aerei i Custodi della fazione di Neiru hanno innalzato una barriera magica. Oltre a questo, essi stessi rispondo all'offensiva caricando con i Novizi, i Fiori Recisi e i famigli dei costruttori ( Del tutto simili alle fiere crudeli di D&D quali lupi, tigri etc). Ashlon per ora non entrerà in campo, ancora provato dall'attacco di Bara-Katal.
La frase finale " l'asgradel sta arrivando" non vuol dire che fisicamente arrivi l'Asgradel ma che la sua forza e quanta ne concerne sta giungendo in aiuto dei Predatori. Per chiarezza: questo è l'ultimo grande sforzo che il Dio può permettersi visto che Lia ha decisamente debilitato la sua forza. Ciononostante non mi sento di dire che questo sia il suo canto del cigno.

Fazione Leviatano

La fazione degli orchi è organizzata di modo da mantenere il più riparati possibile gli sciamani. Essi lanciano le loro palle di fuoco e compiono i rituali direttamente dalle macerie del maniero. I più resistenti invece sono stati posti davanti come scudo naturale agli attacchi corpo a corpo. Le fazioni più importanti e pericolose quali i consiglieri, gli Hoepriester e gli assassini non hanno ancora fatto la propria comparsa, tenuti nascosti come cavalleria. Non essendoci alcuna foresta o altipiano da cui fare la magica comparsa alla "signore degli anelli", l'unica possibilità di un attacco a sorpresa deriva dal nascondersi dietro il maniero per poi sbucare nel momento più opportuno.
La fazione degli elfi si trova in svantaggio in quanto non può contare su alcuna protezione. In ragione di questo i custodi ( maghi) i veggenti e i vari tiratori sono doppiamente protetti onde assicurare una massiccia difesa magica e un'offensiva aerea costante. Costruttori e cacciatori sono le loro guardie del corpo. Cadetti, novizi e Umili spettatori si preparano all'offensadifesa. I tatuatori, alias healer sono dispersi all'interno dell'esercito onde non divenire un bersaglio facile.
La barriera innalzata dai predatori ha la funzione di bloccare incantesimi e manifestazioni arcane. Cede ogni qualvolta le si scaglino addosso due mortali. Dinnanzi all'avanzata di orchi si staglia inoltre una barriera psionica frantumabile da una controffensiva Alta. Si tratta di un diversivo per distrarre i primi Orchi/goblin che la attraversano.
In questo primo post i tre partecipanti della fazione leviatano dovranno fondamentalmente "prepararsi alla battaglia" registrando gli accadimenti e scegliendo come comportarsi in questo primissimo post di acclimatamento. Per definizione, i numeri di morti ora come ora non si contano ancora superando ovviamente le possibilità di stima diretta sul campo di battaglia. L'unica richiesta è quella di essere coerenti. Distruggere una delle due barriere, infierire sui primi Predatori, aiutare gli attacchi aerei porterà dei significativi aiuti alla carica dei pelleverde. Qualsiasi scontro potrà essere trattato autoconclusivamente.
Inutile dire che la situazione è nettamente a vantaggio delle truppe di orchi sia per potenza che per ubicazione.


Fazione Asgradel
Redivivo dal trip mentale offerto da Lia, Torre ed Eitinel, Shakan è fisicamente l'unico sopravvissuto all'interno della Torre. Egli è stato letteralmente inglobato dalla Dama che gli ha concesso un desiderio in cambio del suo aiuto. La scena si situa proprio un istante dopo la morte di Lia, nel momento in cui l'Asgradel riprende le forze impossessandosi nuovamente di Eitinel. Finnegan è stato fatto a pezzi, Alexandra idem e Shakan ha perduto la spropria corporeità. Nei primi due casi, i resti verranno letteralmente cuciti dalla tenebra presente nella sala. La mente di Alexandra verrà riesumata dal ricordo che lei ha ceduto ad Eitinel proprio come si farebbe da un capello con il DNA: come una diapositiva ella sarà esattamente come prima di entrare nella stanza. La mente di Finnegan invece sarà recuperata da Lia, assorbita da Eitinel. Esso sarà quindi risalente a poco prima della morte. Finnegan dunque ricorderà tanto Alexandra quanto Shakan.
Shakan invece troverà se stesso direttamente dall'altra parte dello specchio in cui precedentemente era "entrato". Per lui sarà come se fosse trascorso un secondo. La sua immagine riflessa tuttavia porterà impresso sulle mani un fitto intrico nero, molto simile ad un arabesco. Nel mondo "reale" non si vedrà nulla. Per ora, l'entità e l'utilizzo di tale dono è sconosciuta.
Alexandra serberà il ricordo di Shakan ma non di Finnegan. Le sarà però possibile recuperarlo riflettendo un attimo sull'immagine di quest'ultimo. Oltre a quello Finnegan ricorderà entrambi. Shakan, unico ad unirsi a tutti i ricordi di Eitinel, ricorderà tutti, anche gli altri 3 partecipanti al 2° turno, ma non il proprio ricordo donato.
Tutti e tre si troveranno all'interno della Torre ed assisteranno al crearsi della fenice che, prima di partire alla volta del maniero, aspetterà che essi salgano sul suo dorso. Il primo turno per loro sarà dunque il risveglio, il viaggio e la prima veduta del campo di battaglia dall'alto.


Tutti i partecipanti partono in questo turno con il pieno di energie e condizioni fisiche ottimali. La gestione della psiche starà alla coerenza. I tempi di risposta sono di 4 giorni dall'ultimo post. Con questo si intende globalmente e per tutti. In tutto vi sarà la possibilità di due giorni di proroga. I tempi ridotti sono dovuti al fatto che i post dovranno essere brevi e spediti, nulla di sueperelaborato a meno che non vi prenda un'ispirazione improvvisa e fulminea^___^
Poiché so di aver sicuramente tralasciato qualcosa di molto importante, non abbiate pietà nella sezione confronto.


Edited by Eitinel - 23/8/2011, 17:34
 
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Lenny.
view post Posted on 24/8/2011, 10:48






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« Oggi è un buon giorno, per morire. »


DRUM! DRUM! DRUM!

Tamburi. Tamburi nella polvere. Echi di nuova morte a venire.
La landa desolata digradava dal maniero, terreno ineguale fiancheggiato una lebbra di rovine collassate, crateri slabbrati, relitti dilaniati. Sopra tutto questo, lungo il campo sfumato da un sole inesistente, soldati, formazioni, armi.
« Falkenberg! »
Viktor mulinò la verga nel vento.
« Fate largo al generale Falkenberg! »
Orchi dalla pelle verdastra imprecarono. Ranghi di avanzata si spezzarono, ordini di marcia si frantumarono.
« Via dalla mia strada, cani maledetti! »
Un varco si aprì nell’esercito del Re che non perde Mai.

Viktor von Falkenberg cavalcò fuori dalla foresta di soldati verdi. Un Mosè scaturito dagli incubi, alla guida di un popolo eletto vomitato dagl’inferi.
Sulla sua scia, corazze colore della cenere su corpi colore degli acquitrini. Orchi e goblin, l’intera colonna d’assalto.
Il nuovo esercito del Beccaio.
Alla conquista dell’Asgradel. Del suo Asgradel.
Sarà nostro!
Occhio di Gruumsh, maestri di strage al seguito del vessillo di un occhio demoniaco. Dottori di razzia e stupro ora guidati da un uomo che non era un uomo, il generale Viktor von Falkenberg, il Beccaio. Razze diverse al servizio del medesimo signore.
Ray!
Altri suoi generali un cavaliere di nome Tristàn e una baldracca di nome Rekla. Viktor li conosceva bene entrambi, i suoi compagni. Inetti come cani storpi che grufolano tra rifiuti decomposti. Pedine di un sovrano tanto avido quanto una sanguisuga gonfia di sangue appestato.
Anche tu sei al suo servizio, Beccaio.
Un grande re ipocrita come una cortigiana tanto laida quanto timorata.
Per adesso.
Che annegava nei suoi deliri di onnipotenza credendosi dio.
Per adesso!
Nel nome dell’eterno uni formatore della guerra eterna.
Il dio potere.
« Uomini. » Gli esseri al suo fianco non erano uomini. Ringhiarono lo stesso qualcosa come risposta marziale. Viktor estese il bastone di lato. « Con me! »
Furono dietro di lui dal piede dell' altura. Il ferro e il cuoio, piccole e grandi aberrazioni verdastre.
Il sole era una cupola nera tra i resti del mondo morto. Ciononostante, illuminava.
Senza riscaldare.

Aveva abbandonato una guerra, nel mondo dell’anno domini milleseicentotrenta
Per trovarne una nuova, in un’altra terra. Il tempo degli uomini era finito nella nuova terra: troppo debole, troppo stupida la razza umana.
La nuova guerra, quella per l’Asgradel, stava calando sulle terre del Re che non perde mai. Razze, armi, soldati e conquiste diverse.
DRUM! DRUM! DRUM!
Peana di nuova strage annunciata.
Alla fine, la guerra era sempre la stessa. Eserciti come scacchi deformi su una scacchiera asimmetrica. Grovigli di armi contro il cielo torbido. Asce e mazze e spade come scettri della demolizione.
Viva la Guerra!
..dove la fede tace.
Viva la Morte!
..dove la politica giace.
La Grande Morte!
..dove restano solamente le armi.

Viktor trattenne le redini, braccio destro. « Fermi! » Alzò il braccio sinistro, mano aperta. Coprì l’intero pendio un ampio gesto ampio. « AAALLLTT! »
La colonna si fermò dietro di lui, figure verdastre contro il sole in discesa, ombre lunghe sulla steppa rossa di sangue.
Alla tua destra!
Viktor volse la testa di scatto, verso destra. Qualcosa non andava come doveva, tra le prime file del suo esercito. Soldati barcollavano, si curvavano verso terra, urlavano di dolore. Qualcosa di etereo, dilatato, magico, si stava insediando nella loro testa, respingendo indietro la carica brutale dell'orda.
Viktor lavorò di redini. Il destriero indietreggiò, nitrendo di protesta.
I soldati nemici erano ombre esili, patetiche se messe a confronto con i suoi soldati. Estese la destra verso il nulla dell’esercito nemico, dita contratte, come a voler serrare in mano l’aere putrido di retrovie, fetido di guerra stagnante.
« Eccoti.. » Sussurrò, assottigliando gli occhi. Eccola. Percepì una barriera magica, una lieve distorsione invisibile ad occhio umano, in grado di confondere la debole mente della truppa.
Viktor, eretto sulla sella, caricò energia spirituale. Reticoli di vene in rilievo apparvero sulle tempie, sulle braccia. Dopo pochi secondi, riuscì a penetrare oltre la barriera invisibile. Riuscì a dissolverla nel nulla. Da solo.
Diede una strappata di redini, riportò il cavallo lungo lo schieramento.
« Guardie, a difesa! »
Guardie.
Scorta personale.
Una decina di orchi semplici. Più due orchi veterani. Più grandi, più forti. Come li chiamavano? Il loro nome era impronunciabile: Hoparisters, Hopirist, Hoëpriester.. Non importava. Serrarono a quadrato attorno al destriero del loro generale. Una muraglia di corpi, corazze, picche, spade.
Oltre il quadrato di ferro, campo libero per un attacco dalle retrovie.

L’ultimo suo sguardo andò indietro, al maniero. A un dio fasullo assiso su un trono che non trema, all’interno del bianco castello.
Viktor sorrise.

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« Buon giorno per morire anche a te, Ray. »

Un sorriso che non era un sorriso.
Solo la salma, di un sorriso.

..e puntando la Eiserne Wache verso il sole nero, sparò il segnale per gli arcieri di Tristàn.




SelfportraitwithDeath

Umano: Rec 325 ~ AeV 150 ~ PeRf 125~ PeRm 525 ~ CaeM 225
Demone: Rec 400 ~ AeV 100 ~ PeRf 100~ PeRm 850 ~ CaeM 150

~ Basso 1% ~ Medio 5% ~ Alto 13% ~ Immenso 29% ~

Energia residua: 100% -13% = 87%
Status Fisico: Illeso
Status Psicologico: Ottimale

Passive in uso
Ehrgeiz_ Possibilità di reincarnarsi dalle ombre in caso di morte (Immortalità).
Sakrileg_Mimetizzazione perfetta all'interno dell'ombra e dell'oscurità. / Percezione visiva perfetta al buio (se naturale)
Streben_Possibilità di usufruire di tre slot tecnica anzichè due, a patto che Viktor resti nella sua postazione.
Haftbefehl_Potenziamento dell'abilità attiva del dominio Metamagia.
Schrecken_Cognizione passiva di qualsivoglia illusione/ammaliamento operati in campo.
Certain burden_Considerevole invecchiamento estetico/Aura venefica che rinsecchisce e avvizzisce gli esseri viventi che lo circondano.

Achtung_Auspex passivo/Difesa da auspex passivi/Passiva psionica di timore nei riguardi di Falkenberg, se i personaggi vicini sono di energia inferiore alla sua.
Byl jednou jeden netvor bez jména_Nessuno può ricordarsi del vero nome del Beccaio, a meno che non sia lui stesso a desiderarlo.


Attive utilizzate



~ Haftbefehl__ _La magia è nata per servire l'uomo, dicono, e non per dominarlo. Adagio questo che non ha nessun valore, o almeno non per il Beccaio. Lui si serve della magia per dominare l'uomo. E questa sua mossa difensiva ne è un esempio più che fulgido. Un perentorio, marziale, assoluto ordine d'arresto proveniente dalla volontà del Falkenberg. Cosa possono gli altri insignificanti maghetti da due soldi contro il volere dell'Oberkommandierende, se non soccombere? Se non chinare il capo dinanzi al suo potere ultraumano? In questo caso il Beccaio, con il solo ausilio del pensiero, sarà in grado di dissolvere qualsiasi magia passiva lo circondi e qualunque magia lo minacci direttamente, come se non fosse mai esistita.
Un ulteriore potenziamento di questa abilità permette che il consumo necessario al dissolvimento di una offensiva magica sia esattamente proporzionato a quest'ultima. Ad un consumo Basso si dissolveranno attacchi di livello Basso, a consumo Medio attacchi di livello Medio, ecc.
{Abilità Personale passiva 1} {Dominio Metamagia Attivo: Consumo di energie Variabile Alto}


Riassunto azioni: Alla guida della ondata d'assalto orchesca, Viktor nota subito tra i primi sul fianco destro gli effetti della barriera psionica di livello Alto. Con un consumo Alto dell'attiva del dominio Metamagia (potenziato dalla passiva Haftbefehl) dissolve del tutto la suddetta barriera, cosicché gli orchi possano procedere senza problemi.
-Per il momento lascia la guida dell'assalto a Rekla, preferendo studiare la situazione. Chiama a sé la sua "scorta personale" formata da dieci orchi e due Hoëpriester.
-Punta la pistola da cavalleria verso il cielo e spara l'unico colpo nel cane, per dare il "segnale" a Tristàn.


Avrei voluto fare di meglio come primo post, ma i tempi sono quelli che sono e dopo di me devono scrivere-postare altre due persone =)
Buon divertimento a tutti!
 
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view post Posted on 25/8/2011, 18:32
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Shhh! Fate silenzio!

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Gocce di sangue sul nero lenzuolo, nemmeno si vedono.
Finnegan dorme, sogna. Tutto è nero, e ci sono solo loro nel cuore dell'abisso. Un timido fuoco riluce ancora, come una candela che sta per spegnersi. Arthur si china, le scosta i capelli dal viso. L'incubo li avvolge della sua scura nebbia acida, ma il Dormiente ha capito. La solleva piano, crede forse di ricordare. Accolta nel rosso mantello, immobile, respira appena. Il cavaliere, le gote lambite dal fato più triste, emerge dal silenzio con la grazia di un uragano. Sussurra appena:
« Non ci si capisce proprio niente, di questa vita.

“Cessata l'agitazione della gente radunata attorno al consiglio militare, parlò Oloferne, comandante supremo dell'esercito di Assur, rivolgendosi ad Alchiòr, alla presenza di tutta quella folla di stranieri, e a tutti i Moabiti: « Chi sei tu, o Alchior, e voi, mercenari di Efraim, per profetare in mezzo a noi come hai fatto oggi e suggerire di non combattere il popolo di Israele, perché il loro Dio li proteggerà dall'alto? E chi è dio se non Nabucodònosor? Questi manderà il suo esercito e li sterminerà dalla faccia della terra, né il loro Dio potrà liberarli. Saremo noi suoi servi a spazzarli via come un sol uomo, perché non potranno sostenere l'impeto dei nostri cavalli. Li bruceremo in casa loro, i loro monti si inebrieranno del loro sangue, i loro campi si colmeranno dei loro cadaveri, né potrà resistere la pianta dei loro piedi davanti a noi, ma saranno completamente distrutti.»”
[Giuditta 6,1]

«Non darmi del folle, perché non lo sono.»
Le palpebre sono ancora troppo pesanti, ma Arthur è già in piedi. Dopo troppo tempo, per la prima volta, una fresca brezza gli lambisce il volto. Non darmi del folle, piccola donna nera, perché non lo sono. No, davvero, nessuno vorrebbe vivere per sempre. Il personaggio, poi, è quasi perfetto.
Non parlarmi di onore. Non parlarmi di dignità.
« Gli uomini non sono altro che larve d'odio e di vendetta.» E le crisalidi si schiudono troppo presto. Buffo, nevvero?
Oloferne era in mezzo alla folla, che muta tendeva l'orecchio. Le sue palpebre erano ancora troppo pesanti. « è la sua stessa malattia. Si, una malattia mortale.»
Velta non ha più soffitto, ed ogni immagine è solo fuoco o ombra. Riverberi, sfocature di quella realtà solo collateralmente materiale. Lo ricordi? Ricordi il mio nome? Il loro dio è solo una fiaba. Nabucodonosor è l'unico dio. Un uomo, solo lui, è l'unico dio. Sapete cosa vuol dire?
Si che lo sapete.
Oloferne sta ridendo.

“La pazzia non è più una rarità: non lo so. Però c'é Finnegan che vede e sente cose che nessun'altro può vedere, in ogni post. Bello.”
[Blame]

« AhaAhaAhaAha »
« AHAHAAHAAHAAHAHA »


Arthur Finnegan sta ridendo a crepapelle, ad occhi chiusi. Divarica appena le gambe, curva la schiena in avanti e preme le mani sul ventre. Ride, ride e basta.

Dal terzultimo diluvio, abbiamo riscontrato l'esistenza di quattro traslazioni non consecutive di Enlil, la Terza Coscienza. I testi confermano un'analogia di fondo nella condotta di tre traslazioni su quattro. Enmerkar, Gilgamésh, Ruin. È ancora presente un'inspiegabile eccezione. Sappiamo bene cosa fece Beth.
Dicono che ne sia nata un'altra, dopo tutto questo tempo. È venuta a contatto con Amlodi, e pare che sia anche più potente del guerriero rosso. È un dannatissimo Punto Preferenziale, più vicino all'originale di quanto non lo siano stati i suoi predecessori.
Non possiamo permettere che Nammu si svegli. Non di nuovo.

“Arthur Finnegan. Nessuno, nessuno in tutta la storia di Asgradel da quando sono qui ha fatto un simile monologo. In ogni caso, è perché non c'è l'autovoto. “

[Stray]

« AHAHAAHAAHAAHAHA »
« Come, dico COME ABBIAMO POTUTO -AhAhAh! »
« Come osiamo perpetrare la violenza e l'abuso tra queste sacre mura?
Se mai abbiamo avuto onore e dignità, diciamo adesso i nostri nomi e cosa ha spinto fin qui la nostra ricerca ... »

Si, dai, facciamo una summa dell'accaduto.
Facciamoci due risate.
« … se non la folle volontà d'incontrare una divinità che mai ha seduto tra le mortali genti! »
« AhaAhaAhaAha »

Non ci si capisce proprio niente di questa vita.
Dalla fessura tra le ciglia, di poco schiuse, Arthur vede un deserto, e poi una città. Fa caldissimo, e lui è tutto ammantato. Non indossa nulla di rosso, e continua a ridere come un folle.
« Israele non ha nessun dio, idiota! E questa non è la sola vita, il solo onore.
Ogni cosa può essere fatta risalire al suo archetipo.
Qualsiasi Dio, qualsiasi Divinità è solo la brutta copia di un essere umano.
Statuette d'argilla.»

In effetti, data la descrizione, io potrei benissimo essere un Dio.
« Dannatamente profetico, Nera Paladina.»


La sabbia rossa copriva tutta la terra sino all'orizzonte. I generali ed i comandanti si stavano allontanando, ed ormai la battaglia era decisa. Restavano solo Alchior e due dei generali di Assur. Al centro di una stanza buia, senza soffitto, una statua di Nabucodonosor giaceva distesa sul suo altare di marmo, circondata da specchi fluttuanti. Arthur non sapeva cos'altro dire.

“Lo sai cosa simboleggiava l'argilla per gli antichi? E' un materiale che viene dalla terra, sotto ai piedi di uomini completamente oppressi dal trascendentale. L'argilla è il primo materiale che l'uomo ha imparato a modellare, plasmare e costruire: è il trastullo dei giocattoli delle divinità, piccoli uomini che giocano a fare gli dei. E' una menzogna troppo pesante per librarsi in aria e troppo leggera per resistere alla vita. Tutto ciò che è fatto con l'argilla è empio e fragile, un vile frutto della terra. La razza d'argilla, la razza degli uomini che non hanno mai incontrato la divinità, è merda.”
[Anonimo]

Il personaggio è senza dubbio molto calzante.
Se Arthur Finnegan, all'epoca dell'ultimo Diluvio, fosse o meno una traslazione – beh, diciamo che non hanno ancora deciso. Attendiamo altre informazioni.
Quando inizia il post, dite?
Quando volete, cari lettori.

I suoi occhi luccicavano mesti, tenui lumi celesti –
umili resti di un fuoco assai più fulgido.
È caduta una cometa. È lì a terra, immobile. Il piccolo violino nero suona sempre più piano. Alexandra giace a terra. Non ricordava il tuo nome. Alexandra non ti ha ancora ucciso. Alexandra si fa più vicina, mentre le cammini incontro. Inciampi, scivoli, la spalla ti fa sempre più male. Non ricordava, non ricordava, non ricordava.

Déjà vu?


Io non lo so che cos'era. Se me lo chiedi, non riesco a risponderti. Io proprio non lo so perché camminiamo in terra e respiriamo aria, e non viceversa. Non lo so perché non riesco a dormire, di notte. Non lo so perché le cose succedono, non lo so perché piove dai miei occhi. Se fossi un dio, tutto quanto avrebbe una spiegazione. Se fossi un treno, sarei in ritardo. Se fossi una stella, una tra le più luminose della volta celeste, splenderei dai confini dell'universo solamente per dire agli uomini: eccomi! Sono io il vostro dolore! Io sono il significato della vostra vita, mi avete trovato, non soffrirete più!
Se davvero fossi stato reale, e io non lo so se sono reale, avrei anche potuto amarti.
Sto parlando, ma le mie labbra non si muovono. Noi siamo solo due anime perdute che corrono verso siti opposti. Hai incrociato il mio cammino, triste cometa, ma io sono Arturo, e splendo tanto da bruciarti. Se fossi un uomo piccino, avrei anche potuto godere del tuo candido splendore – ma io sono Dio, e il mio impeto ti ha abbagliato. Perdonami.
Gocce di sangue sul nero lenzuolo, nemmeno si vedono. Finnegan dorme, Finnegan sogna. Finnegan risplende, brucia sé stesso ed ogni cosa attorno a lui. Finnegan vuole morire, ma Finnegan non lo sa. Finnegan esplode. Finnegan canta, ma nessuno riesce ad ascoltarlo. Si avvicina ad Alexandra, che non ricordava. Tutto è nero, e ci sono solo loro nel cuore dell'abisso. Un timido fuoco riluce ancora, come una candela che sta per spegnersi. Arthur si china, le scosta i capelli dal viso. L'incubo li avvolge della sua scura nebbia acida, ma il Dormiente ha capito. La solleva piano, crede forse di ricordare. Accolta nel rosso mantello, immobile, respira appena. Il cavaliere, le gote lambite dal fato più triste, emerge dal silenzio con la grazia di un uragano. Sussurra appena .
Accadde sul fondo del vecchio Gorgo, senza nessun motivo particolare.
Se qualcuno se ne ricordasse ancora, beh, è impossibile determinare.

Ripetizione esasperante.
Se sei un lettore impaziente, se non riesci a capire questo paragrafo
Se vuoi sapere come va a finire la storia
Se pensi di poter giudicare le parole
Se non hai ancora capito che QUESTO è il personaggio
anche le cazzate
anche la metaletteratura
anche l'ironia di quelle poche cose che dice
Se non pensi che questo post possa essere da energia blu
o rossa …

È vero: fu decisamente profetica. Non credo sapesse, allora. Eppure, eppure ---
Eppure è ancora quasi buio, attorno ad Oloferne. Ha un mantello rosso, adesso. Poco convenzionale, per un abitante del deserto. Poco pratico di certo. Scomodo? Forse.
Eppure sono ancora tutti per terra, attorno a Finnegan. Non sembra aver ancora visto Eitinel.
Shakan ed Alexandra sono privi di sensi, o così sembra. C'è una nebbiolina sottile sottile, come sui monti al mattino presto. Una luce rossa sbuca dal cespuglio, e cadi proprio sul cestino pieno di more. Pungono un po', ma non importa affatto: il sole sorge lentamente, alla velocità dell'Universo. Ha la forma di un'aquila, o di una fenice. Non si capisce molte bene, in effetti.

… o verde
gialla, bianca, grigia, marrone scuro
Se davvero, leggendomi, pensi a quanto cazzo sono sportivo
a quante cazzo di pergamene ho
a QUANDO DIAMINE FARO' QUALCOSA
Se sei un lettore che non capisce
che sono io


« SONO IO ARTHUR FINNEGAN »
e che è questa la mia testa, vista da dentro
oltre alla poltiglia cerebrale,
Se sei quel lettore saccente che non capisce cos'è
o ancora non lo sa.
Ripetizione esasperante.
Se vuoi sapere come va a finire, non leggere questo post.
Un po' di ribellione, che ne dite?
Una città nel deserto rosso
le cui dune ansano come un mantello
alla velocità dell'universo, con cui il mondo si muove
è la mia velocità

la velocità di un raggio di luce attraverso miliardi di miliardi di chilometri nel puro vuoto interstellare, senza nessun odore e nessun suono. È la velocità con cui si sposta l'asse terrestre, nel corso dei millenni, sino a traslare il suo polo celeste. Polaris, esatto.
Solamente un'anonima enorme massa gassosa che brucia e muore dall'altra parte della galassia, una tra le tante.
Se sei quel tipo di lettore, beh, non è per te che scrivo.
Torneremo tutti ad essere argilla, proprio come Enkidu. Le passive di immortalità non sono in vendita dal saggio. Ogni cosa va incontro alla sua fine, che lo ammetta o meno.
Le mie parole, però, sono potenzialmente immortali.
Non solo.
LE PAROLE sono potenzialmente immortali. TUTTE. Sempre in prospettiva, sino al fuoco. Mai oltre.
Se quindi sei quel tipo di lettore, o di giocatore, che pensa di poter giudicare le parole,
di darci un voto,
« Sappi che molte più volte e molto più lontano nel tempo, saranno le parole a giudicare gli uomini. »
Un demiurgo verbale. Lo siamo un po' tutti quanti, qui. Si, è vero, la cosa potrebbe apparire presuntuosa.
Magari è solo un altro sogno, il richiamo della Culla del Caos.
Dal terzultimo diluvio sono state edificate quattro Fortezze Cosmiche, da che ci risulta. Non sappiamo bene in cosa consistano o dove siano state costruite, ma alcuni antichi ma attendibili documenti esprimono senza traccia di insicurezza che il nome dell'ultima di queste fortezze, di queste grandi quattro, è Arca o Culla del Caos. A volte la chiamano Scudo, non so perché.

Arthur si è girato verso ciò che resta del muro della vecchia stanza di Eitinel l'Immortale. Crede ancora di trovarsi nel deserto, a comandare le armate di Assur contro gli dei di Israele. Vede immagini e luoghi che non può aver visitato. Parla, intercalando sentenze coscienti con frasi sconnesse, provenienti da un tempo remoto.
Arthur Finnegan, cavalier dormiente, sta adesso solcando il mare di pece nera della stella di Nammu, ed assiste alla creazione dei fiumi dell'inferno. Allo stesso tempo -o ad un tempo immensamente diverso- eccolo che vede con gli occhi di Enlil, e strappa Ki da An, sommo padre celeste. Eccolo che crea i suoi seguaci. Eccolo che invidia, che uccide. Eccolo che cade, e poi risale. Ed eccolo in cima alla torre di Velta, nel continente di Asgradel, da qualche parte nell'Eterno Ritorno, tra Vicolo Stretto e Parco della Vittoria.
Solamente Caos
in qualche misura più organizzato dell'ordine, ma molto meno comprensibile.

IL MONDO è MIA RAPPRESENTAZIONE. Amen.
“In tutto il campo ci fu un grande accorrere, essendosi sparsa la voce del suo arrivo tra gli attendamenti. Una volta sopraggiunti, la circondarono in massa mentre era fuori dalla tenda di Oloferne, in attesa di essere annunciata a lui. Erano ammirati della sua bellezza e ammirati degli israeliti a causa di lei e si dicevano l'un l'altro: « Chi disprezzerà un popolo che possiede tali donne? Sarà bene non lasciarne sopravvivere neppure uno, perché se fossero risparmiati sarebbero capaci di ingannare tutto il mondo».
Vennero fuori le guardie del corpo di Oloferne e tutti gli ufficiali e la introdussero nella sua tenda. Oloferne era adagiato sul suo letto, che era posto dentro una cortina intessuta di porpora ricamata d'oro, di smeraldo e di pietre preziose.
Gli annunciarono la presenza di lei ed egli uscì sull'ingresso della tenda, preceduto da fiaccole d'argento. Quando Giuditta avanzò alla presenza di lui e dei suoi ufficiali, tutti stupirono per la bellezza del suo aspetto. Ella si prostrò con la faccia a terra per riverirlo, ma i servi la fecero rialzare.”

[Giuditta 10,18]

No, forse non è il personaggio più indicato.
Finnegan sta precipitando nella luce più densa, non vede o ha visto o vedrà altro che luce, ed un'infinità di altri colori ed ombre. Contro tutto e tutti, se ne vale la pena.
Sta quasi per cadere dal bordo di Velta, infinitamente alta, quando il suo viaggio torna a pochi anni prima. Forse mesi, forse giorni, o secoli. Il tempo, comunque, non è una cosa importante.
Erano in una chiesa, in una cattedrale. Combattevano per il proprio scopo, altrimenti detto onore o altro ancora. Arthur non ricorda come è andata a finire. In realtà non è affatto finita.
Dico davvero.
Poi era sul fondo del Gorgo, ancora più giù, dove la nebbia diventa roccia e la roccia diventa spazio vuoto, interstellare. Ogni sorta di colore a braccetto con il nero. Avete visto quel film di Kubrick, quello nello spazio? Avete letto del cavaliere dormiente, che sul fondo del mondo ancora si crede una stella? Arturo, il grande camminatore, gigante rossa. Lui ancora non capisce.
O forse non vuole capire.

Arthur Finnegan è una forza del cosmo, è una Volontà ordinata e strutturalmente subordinata -come ognuno- ad un flusso principale, un mainstream organizzativo che, per la disperazione dei demiurghi di nicchia, ha portato alla costruzione di un curioso ed innovativo modello a cellule, o organico. Ne abbiamo di svariati modelli. Questo ad esempio, sullo scaffale più in basso, è in grado di sopravvivere praticamente da solo, con appena un po' d'acqua ed un po' di luce. Mi dispiace, ma ci è rimasto solo il modello verde.
Quell'altro, invece, un po' meno economico, è in grado di correre e saltare. No, non è ancora adatto per respirare nel vuoto. Credo dovremmo aspettare la prossima rigenesi del prodotto, ma con l'economia d'oggigiorno non si sa mai. Le piace, quindi?

Le luci al neon sono risucchiate verso il fuoco dell'ellisse, e dall'altro fuoco sorge il sole.
Forse non è il sole, ma solo An-Ki. Di nuovo.
Forse non è An-Ki e nemmeno il sole, ma un'altra di quelle fenici che ogni tanto spuntano. Si, piccolo, forse siamo in un libro, o più probabilmente un E-book. Pirata, ovviamente.
Senza petrolio, comunque, l'inchiostro costa davvero un occhio della testa.
Meglio internet, mi dicono.
Lavorate, schiavi. Argilla. Merda che cammina.
Obbedite a Nabucodonosor l'Immortale, vostro ultimo Dio. Gli idoli di Israele presto cadranno, e Gruumsh con loro. Il maniero, la Casa del Signore, sta per essere cancellato dalla memoria.
Non ci saranno parole a giudicare il Monarca, ma solamente l'oblio millenario. Non esiste nulla di peggiore, nulla di più giusto per lo sconfitto.
Saranno le parole, LE PAROLE, che giudicheranno gli uomini e le donne, vivi e morti. Non c'è nessun ordine, anche a volerlo inventare.

Si può dire tutto di questo bizzarro multiflusso a singhiozzo, ma non che sia incoerente. O surreale. O delirante.
È tutto lucidissimo, come uno specchio appena fatto, con una bella cornice di vetro decorato ad angolo e filo, sabbiatura leggera e colore nero, con dei grandi glifi dalle ampie volute, tipo barocco.

Fondamentalmente, come ogni dio e divinità è l'immagine distorta di un uomo o di una donna, allo stesso modo ogni possibile e reale o probabile e parzialmente esistente regione -laddove è spazio e si può conoscere- dell'Universo non è altro che una traslazione ridotta e distorta di una cosa apparentemente molto, molto più semplice. Apparentemente.

Nammu sta sognando il mondo.
Punti di vista preferenziali, Traslazioni, Divinità d'argilla, tutto quanto.
Immagina di poter leggere questo post tutto in un secondo, e di poterlo capire tutto in quel poco tempo. L'Universo è più lento di così. La Luce è più lenta di così.
Immagina di poter mangiare la Terra intera, e di poter sentire ogni sapore in quella, e di poter distinguere ogni verità ed ogni pensiero di ogni singolo essere umano o animale o minerale, di sentirne, sentirne davvero, la Volontà interna.
Qualcuno, tempo fa, lo chiamava Atman. Dovrebbe essere una sorta di frazione del Brahma, che però lo comprende in toto. No, non quelli di Rosanna.
Leibniz, lui provò a dirlo. Ogni monade è specchio dell'universo che la contiene, sù per giù. Ogni uomo, dall'eroe sulla cima della torre di Velta sino al più lercio degli accattoni, contiene l'Universo intero.
Non prendetemi alla lettera. È solo un goffo tentativo di far intendere voi che ciò che chiamate Tempo e ciò che chiamate Spazio non solo non esistono come pensate, ma addirittura non possono essere definiti come status da un linguaggio che, come il nostro, NON Può AMMETTERE un concetto che CONTEMPLI ed INCLUDA la CONTRADDIZIONE dell'ESISTERE e del NON ESISTERE come status SIMULTANEO, ammesso che sia Tempo. Gimel.

Se sei uno di quei lettori che vogliono solo sapere come va a finire
(beh, non saresti arrivato a leggere sino a qui)

Se sei uno di quei lettori che crede di poter comprendere qualcosa di vero leggendo il falso, e di poter allo stesso modo sovvertire la verità in piacevole falsume-
Se anche tu sei in qualche modo JHWH, come lo chiamano alcuni,
e se anche tu puoi
e vuoi
e sai -bada: devi esserne in grado-

Se sei uno di quegli scrittori, magari, fermamente convinto della ridicolezza dei confini delle parole-
Allora leggi tutto.

Baudelaire ti avrebbe chiamato fratello.
Io dico che la parola Fratello non ha significato.
Io ti avrei chiamato Argilla,
che è il più alto e nobile dei materiali.
Ed è la più bella delle immagini, nel luogo più alto di Asgradel, già in volo verso il campo di battaglia, a cavallo di una fenice.
Gli occhi e le orecchie di Arthur continuano ad ingannarlo. Eccolo, nel cielo, che afferra le orecchie del drago peloso ed urla VAI, VAI!
In sottofondo c'è la sigla finale di Neverending Story, comunque.

Se pensi che questa non sia più letteratura
o che sia solo troppo sperimentale
o che davvero non sia IO, davvero io, quell'Arthur Finnegan che ride come un pazzo sulla cima del castello di Eitinel l'Immortale, e che al contempo scrivo qui le sue gesta – non proprio un paladino arturiano, eh?
Sappi che, dato un numero grandissimo ma finito di fattori ed un tempo infinito, le combinazioni si ripeteranno sempre tutte un numero infinito di volte, generando un numero finito di mondi in costante e graduale intercambio. La velocità è quella dell'Universo, che ormai avrai capito non sussistere. Il tempo continua ad essere una cosa di poco conto.
Potremmo usare il termine “Reale” in attribuzione a qualsiasi cosa sia anche immaginabile, ed anche a moltissime cose che non lo sono.
La Teoria Referenziale ci fa un baffo.

Finnegan apre le palpebre, e non vede più Assur. Non vede An-Ki, non erge Pandemonium. Finnegan apre le palpebre e vede tre individui suoi simili, raggi di energia piovuti dal cielo come ardenti enormi comete, dall'immenso potere, scagliati sul fondo del mondo da qualche Dio dispotico. Quattro sacchi di carne -lui compreso- che danzano forte alla luce della luna nello specchio, vivendo per un solo altro anelito d'Infinito. Ne basta poco, ad una persona, per perdere aderenza verso la pianta dei piedi.

« AhaAhaAhaAha »


Alexandra si è già svegliata. Il Dormiente non se n'è ancora accorto, ma la donna deve aver ascoltato buona parte del suo delirio. Neverendingstoo-oryyyy, na na na na na na na na naaaa...

« AHAHAAHAAHAAHAHA! »

« Ciao Regina! »
Chiamami pure pazzo,
oppure Illuminato.
Chiamami pure Arthur
e prometti di ricordare il mio nome.
Credo di essere morto ancora, sai?



Contro tutto, qualsiasi sia la barriera, se ne vale la pena. Contro tutti, and against all odds.
A questo punto dovrebbe iniziare qualcosa di somigliante ad una narrazione, mentre la voce della Regina Nera inizia a risuonare sulla vetta ed Arthur apre finalmente le palpebre, fino in fondo.
Gli occhi, però, sono sempre chiusi. Ancora chiusi.


« ... »

Sotto il cielo più scuro, sedotta da un'aurora rosso sangue, persino Velta sta tremando.
Attorno alla torre nera, tesa verso il firmamento, una fiamma turbinava e roteava. Sbatteva forte le ali, gridava, attendeva i tre generali.
L'Asgradel stava arrivando.
Alla fine non importa più di tanto. Comunque vada, comunque finisca, questa non sarà l'ultima guerra. Non sarà di certo l'ultima vita. O Vita, in generale, secondo Volontà fondante.

Un tuono, poi un lampo. In controluce, quello che era il simbolo del potere del Sorya sembra solamente un'altra ombra lunga, vibrante d'elettricità.
Ed erano al centro della meridiana di Asgradel, seguendo quell'ombra, la sua direzione, per sapere dove andare. Il sole, in alto, era tinto di nero.
All'apice della follia, o della saggezza, Arthur era euforico. Il sangue pulsava forte, quasi dando il ritmo della sinfonia finale, e scuoteva ogni muscolo ed ogni organo del corpo del guerriero, del guerriero perfetto e maledetto, che s'apprestava adesso a realizzare la sua aspirazione.

“E vidi nel cielo un altro segno, grande e meraviglioso: sette angeli che avevano sette flagelli; gli ultimi, poiché con essi è compiuta l'ira di Dio.
Vidi pure un mare di cristallo misto a fuoco; coloro che avevano visto la bestia, la sua immagine e il numero del suo nome, stavano in piedi sul mare di cristallo. Hanno cetre divine e cantano il canto di Mosè, il servo di Dio, e il canto dell'Agnello.”

[Apocalisse 15,1]

Bruci il mondo come queste ali di fuoco, e che ne sia fatto poi uno nuovo. Solamente adesso, Arthur arrivava a capire l'inutilità di un simile provvedimento. Ciò che esiste, se davvero qualcosa esiste, non è mai distrutto. Sorrideva spavaldo, voltandosi adesso verso l'altro vecchio commilitone, l'altra parca del fato. Colui che l'aveva ucciso, in un certo senso.
Il berseker non fu gentile.

« E tu, brutto stronzo fumante: aspetta di incontrarmi alla fine di questo casino. »

«Arthur Finnegan … »

Tentennavano, sulla cima dell'Universo. Velta era scossa da brividi, eccitata come una bestia in calore. Arthur non riusciva a provare odio, verso Shakan. Alla fine dei conti, non era poi tanto male morire.

« ...non meriti inutili scuse così come io non merito di risponder di alcuna colpa qui, adesso. D'altronde convincerti dell'inevitabile ora sarebbe inutile, quindi placa la tua ira per quando avrò modo, e tempo, di darvi credito... »
« ... Quando tutto sara' finito, hai la mia parola che non mi sottrarrò al confronto... »


Quando tutto sarà finito, amico mio, spero proprio di essere morto. Magari per davvero, stavolta.

Camminò piano verso il centro della stanza, senza fare rumore. I suoi piedi, in effetti, non toccavano il pavimento- fluttuavano, poggiandosi come su di un piano invisibile a quasi mezzo metro da terra. C'era un po' di nebbia, attorno a lui.
Ed ecco Nabucodonosor, che siede beata sul suo altare di marmo. Specchi rotti tutto in giro.
Ed ecco Alexandra, ancora confusa, che non ricorda. Cocci di memoria sparsi per la stanza.
Ed ecco la fenice volare rapida, con lieve fruscio, orbitando attorno a quell'ultima stanza divelta.
Ed ecco Shakan, imperscrutabile, ed ecco la sua risposta. Un uomo onesto, sembrerebbe.
Ed ecco, in alto, il sole ormai scuro come china. Il cielo è in sfumature rosse e viola, pesantemente nuvoloso.
Ed ecco il Sorya, che non esiste più.
Ed ecco Arthur, Arthur Finnegan, cavaliere dormiente. In effetti non ha mai avuto un cavallo, ma questi sono solo dettagli di poco conto. Eccolo che fluttua, camminando nella bruma, sorridendo.
Il tempo della distruzione, finalmente.
Egli avrebbe distrutto tutto, ogni cosa. Avrebbe cancellato la morte cancellando la vita. Vendicandosi sul fato, avrebbe cancellato la morte. Anche solo la propria.
Poco a poco iniziava a capire il disegno di fondo. Danzate, danzate, ci si diverte un mondo alla veglia di Finnegan. Ci si diverte un mondo.

La schiena era un po' più pesante di quanto ricordasse. Controllò cosa vi fosse, e vi scoprì qualcosa di nuovo. Era uguale a Lethe, affilata e gigantesca. Sull'elsa vi era una sequenza di caratteri che non sarebbe riuscito a leggere. Il sorriso sul suo volto si allargò ancora, gli occhi si strinsero. Tornò a guardare Eitinel, come in trance sul suo seggio. La stretta sull'elsa di Stige acquistò forza, e le vene del braccio pulsarono forte al'unisono. Poco a poco iniziava a decidere.
La volta della cattedrale, adesso deserta, è di una bellezza unica. C'è nebbia attorno a lui, ma Arthur continua a parlare come nulla fosse. Inveisce, accusa. Attacca. Qualcuno, un po' più in là, lo ammonisce stizzito. Aspri ricordi che solo adesso balenano agli occhi, al cuore. Promise di ricordare? Come osò perpetrare violenza tra quelle mura? Alla ricerca di una divinità, mi sembra. Profetico.
Tornò serio, alzando lo sguardo al cromatico spettacolo celeste. Ci si diverte un mondo alla veglia di Finnegan.

« Davvero, davvero profetico.»
« non ci si capisce proprio niente, di questa vita »

Ripetizione esasperante.

Non c'è alcun legame, nessun ulteriore criterio di fondo nel moto subcosmico della Volontà. Oh, non implica certo coscienza. Non confondiamoci le idee.
Sta vibrando, l'Universo intero sta vibrando. Di nuovo.

« Saprò aspettare, Shakan.»
Sorrise spavaldo in sua direzione, tacitamente augurando al suo debitore di non intristirsi troppo, una volta finito tutto e scoperto il cadavere di lui, di Arthur, con un sorriso in volto. Un sorriso vero, si intende.
Dura da troppo tempo, sai?

Parlò Alexandra, con voce spezzata: « A-arthur... ricordo il tuo nome - chi sei? »
Ha gli occhi come di vetro, la fronte corrucciata. Si regge la testa con una mano, sofferente.
Il tempo stringeva.
Chi sono? «Sono l'idea che hai di me. » Nulla di più semplice.
« Ora però dobbiamo andare.» L'Apocalisse ci sta aspettando. La rivelazione, come da etimologia.
Sul colle di Armaggeddon saranno gli uomini a vincere, oggi. Tutti gli dei cadranno.
A proposito...

«Andare dove? A morire come ci è stato imposto? »

Arthur ascoltava le parole della donna, ma guardava fisso la vecchia bianca dama, intonsa sul suo largo trespolo. Rispose ironico alla guerriera:

« Ah Ah Ah! Morire? Già fatto, grazie.»

Si voltò serio, inquadrando con sguardo quasi minaccioso i suoi due occasionali vecchi alleati, cercando di ridefinirne la posizione in quel bizzarro mosaico. Forse sarebbe stato il caso di abbattere anche loro, in quel preciso momento. Probabilmente Arthur era meno forte di quanto credeva, allora. Rispose ad Alexandra, proprio mentre le ali della bestia sacra scagliavano una potente folata di vento caldo verso di loro, quasi ad ammonirli per il ritardo.

« Andiamo a distruggere il mondo, affinché qualcuno possa ricostruirlo. »
« non volete venire? »

« No, non è questo - non è così.
Mi chiedevo: perchè noi? »

Il corpo della donna immortale, Eitinel, Nabucodonosor, Lucifero, la sua carne lattiginosa era ora attraversata da sottilissimi filamenti neri, che come la trama di un tappeto esotico le avvolgevano gli arti ed il collo, le striavano il volto perduto, proteso verso l'alto. Il dio di Assur è un uomo, Nabucodonosor. Non esistono uomini invulnerabili.
Il collo della despota era esposto, ogni tendine era teso, quasi si poteva distinguere il sangue che scorreva sottopelle. Finnegan non era mai stato tanto serio come quando, stringendo la presa sull'impugnatura della Zweihander Styx allora al suo fianco, la estrasse veemente e verso l'alto, dalla sinistra con la mano destra. Nessuno gli stava chiedendo di farlo. Nessun altro alibi, adesso.
Tutti gli dei devono cadere. Devono morire tutti, tutti quanti. Non sorrideva.

Rispose alla paladina nera con un tono innaturalmente calmo, simulando un ghigno mentre si voltava verso di lei: «con un finito numero di fattori in un tempo infinito, prima o poi il nostro turno doveva pur venire. » Arthur, in quelle parole, era più innocente di un bambino.

« Destino o coincidenza, quindi? O stupida logica? » era tornata a guardarlo negli occhi.
In fondo non c'era proprio niente da ricordare, o da dimenticare.
Alza il volume.



« Destino? Forse.
Ed anche se fosse?
Quale altro scopo hai, regina mia, in questa tua vita? »

« Nessuno, a dirla tutta. Non sei stato l'unico a morire, quest'oggi, e poi rinascere.
Ho una nuova occasione? No. Ho un'altra occasione per morire ancora. »


Non c'è nulla di male, anzi. Oh, avrebbe voluto dirglielo. Non c'è nulla di male nell'abbandonare questo fottuto mondo, crudele, sanguinario. Per gente come noi, per personaggi come noi, il fato non ha in serbo alcun giorno piacevole. Siamo le marionette del dolore, e questo i bardi non potranno capirlo mentre narreranno di noi. La morte è solo il finale previsto, il lieto fine.
« Non mi resta che partecipare all'ennesimo massacro... »

Sembrava abbattuta, stremata. Dava l'impressione di non poter reggere altro sangue, altro metallo, altri brutti nuovi ricordi. Comprensibile. Condivisibile.

Io sono Arthuro, grano di corallo, e splendo tanto da bruciare il mondo intero.
Il tempo di chiedere perdono è finito.

“Giuditta, fermatasi presso il letto di lui, disse in cuor suo: «Signore, Dio d'ogni potenza, guarda propizio in quest'ora all'opera delle mie mani per l'esaltazione di Gerusalemme. È venuto il momento di pensare alla tua eredità e di far riuscire il mio progetto per la rovina dei nemici che sono insorti contro di noi».
Avvicinatasi alla sponda del letto che era dalla parte del capo di Oloferne, staccò la scimitarra di lui; poi, accostatasi al letto, afferrò la testa di lui per la chioma e disse: «Dammi forza, Signore, Dio d'Israele, in questo giorno». E con tutta la sua forza lo colpì due volte al collo e gli staccò la testa.”

[Giuditta 13,5]

Siamo solo assassini per conto di Dio, spietati cacciatori di alibi. Lo siamo sempre stati.

Erano già qualche metro più in là, pronti a salire sul mostro di fuoco che gli avrebbe condotti, con ogni probabilità, da quel sovrano maledetto. Un altro dio. Non il più vicino, però.
Shakan, sin ora cheto, parlò un'ultima volta. Arthur non lo guardava.

« Ormai siamo tessere di un mosaico che si compie: strumenti di un progetto lontano, tenuti in vita da nient'altro che dal nostro compito. Siamo pedoni della sua scacchiera: il nostro scopo e' avanzare, perche' non possiamo fare altro. Il nostro dovere, invece, e' vincere, perché e' l'unica scelta che ci resta... »

Era così indifesa, debole, così trascendente da poter essere estirpata con appena un gesto, neppure troppo forte, del braccio o della spada. La lama di Stige sfiorò il pavimento sibilando. Arthur camminava come su di una scala, arrivando sempre più in alto nel vuoto dell'atmosfera. Giunse ad un passo da ciò che restava di Eitinel, Eitinel la dea. Asgradel. Nabucodonosor.

« ...l'unica che ci renderà liberi... »

Il cavaliere sovrastava la minuta figura, sagoma in controluce. Lo sbatter d'ali della fenice scuoteva forte il mantello rosso -che ora pareva nero- e diradava la nebbia fantasma attorno ai piedi dell'assassino. Io sono l'uccisore di Dio. Io sono Enmerkar, Nimrod che edificò Babele.
Io sono la forma della potenza dell'uomo, che insorge contro questa generazione divina.

Il tempo, comunque, non è una cosa importante.
Shakan ed Alexandra erano spariti, ma più verosimilmente erano solamente ignorati. La punta della nuova flamberga, affilatissima, assaggiava già la carne del suo collo, il sapore del sangue di un dio.
Sarebbe scivolato sul metallo come l'acqua di un fiume, appena qualche secondo dopo.

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Sarebbe caduto anche lui, Nabucodonosor il tiranno, se solo Stige avesse anche sfiorato la pelle di Eitinel. Ci si diverte proprio tanto, alla veglia di Finnegan.

La spada tornò al proprio posto, legata alle cinghie contro i reni di Arthur, proprio accanto alla gemella Lethe. Il mantello ansò ancora, la criniera del leone si mosse in avanti. No, non era la cosa più giusta da fare. Non in quel momento, almeno.
Per l'ennesima volta, ancora, Finnegan sorrise. Sbeffeggiamo assieme questa vita, questo mondo.
Tutto ciò che siamo è polvere nel vento.

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Anche lui montò sul dorso della creatura di fuoco, in quel maledetto cielo rosso.
Ricordò l'ultima battuta di lei, ed anche se con ritardo, le rispose:
« Morire è solo un'altra idea, Alexandra.
Non ci serve nessuna giustificazione per prenderci una vita, o diecimila.
È oggi che gli dei cadono, ed è oggi che noi splenderemo. »

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« AhaahahAHaha »
«Forza! »
«AVANTI!»



Schizzò come una cometa, svanendo come un sogno dopo il risveglio.
Solamente polvere nel vento, dopo tutto.



« Se è così che devono andare le cose… »
Sussurrò la paladina.
« AMEN! Così sia. »


_



png

Pretty Experimental, Isn't it?

CITAZIONE

ReC: 225
AeV: 225
PeRf: 425
PeRm:225
CaeM: 250
Energia: 100%
Stato psicologico: Nessun danno mentale.
Condizioni fisiche: Nessun danno fisico.

Passive sfruttate:


Appoggio (Ladro/Rossa)
Questa tecnica conta come un'abilità passiva. Una volta acquistata, il ladro sarà in grado di muoversi nel cielo come sulla terraferma. Potrà infatti camminare tranquillamente a mezz'aria, correre e saltare, purché sulla stessa altezza. Potrà salire sempre di più saltando e saltando, poiché sarà lui a decidere l'altezza a cui poggiarsi. Potrà quindi anche ridiscendere a terra, semplicemente desiderandolo.
La tecnica non comporta alcun dispendio energetico.
I piani d'appoggio devono essere unicamente orizzontali, e rispettare la normale gravità. Non si potrà quindi camminare in verticale, o verso l'alto, o a rovescio.

Usata a scopi scenici, per camminare sospeso a qualche centimetro da terra.

Incremento della Forza (FDT Lv1 - Passiva)
L'incredibile potenza muscolare di Finnegan gli consente di sollevare oggetti pesantissimi, che un normale essere umano non riuscirebbe neppure a smuovere. Qualsiasi arma, per quanto possa essere pesante, sarà maneggiata con la stessa rapidità e agilità con la quale un normale spadaccino muoverebbe una daga o uno stocco. La Forza del guerriero supera abbondantemente i normali limiti biologici naturalmente imposti agli esseri umani, ed in essa può essere facilmente riconosciuta un'influenza mistica, oscura.

Giusto per muovere a destra e a manca Styx, la nuova flamberga.


Attive impiegate:


Nessuna.


Riassunto & Note:



Flash, visioni iperindividuali, perdita di aderenza. Resurrezione, nel mezzo, e poi ritorno e dialogo. partenza.
L'ordine non è proprio definito, non cronologicamente. Non sto quì a spiegare tutte le fonti e tutto il resto, sennò lo spoiler risulta più lungo del post, e so che non è questo che volete. Sappiate che comunque ci sono un po' di riferimenti a delle giocate passate, oltre che ad una struttura narrativa di fondo che non è il caso di spiegare in questa sede.
Dunque, dunque- tutto ciò che è in rosso (darkred) e tra virgolette è il parlato di Finnegan. Le scritte in porpora (purple) sono di Lady Alexandra e quelle in blu midnightblue) sono di Shakan. A prescindere da quello che accade visto dai miei compagni di squadra, Arthur è perduto nelle volute del tempo e cammina e parla apparentemente senza criterio, come se delirasse. Sembra molto euforico, ma il suo umore varia in modo estremamente repentino diverse volte nel corso del post.
Al risveglio degli altri due Pg ho iniziato ad usare uno stile un po' meno audace, narrando un bel dialogo (che abbiamo tutti e tre studiato a parte e concordato, quindi non c'è nessuna vera autoconclusività quì) e poi, dopo una breve parentesi riflessiva, saliamo sulla fenice e partiamo.
Non ho narrato del volo e del campo di battaglia, preferendo non appesantire ulteriormente il post. Rimando questo punto al prossimo giro, magari.

Ricollegandomi a quanto detto sopra, ci è sembrato più conveniente sintetizzare e concordare una scena piuttosto articolata a priori, per poi sfruttarla nei nostri post in modo che la partenza risulti più verosimile. Con un sistema più tradizionale, non avremmo mai potuto fare un dialogo del genere in un solo post a testa.

Ogni spunto del flusso verbale nella prima parte del post è perfettamente volontario. Ho voluto infrangere la norma del gioco, scavalcare qualche limite un po' troppo vicino che ormai sembra scontato rispettare se si gioca ad un gdr del genere. Alcuni potranno non apprezzare, ma questo non è un problema mio quanto loro.

Un altro grazie a Stray, per aver scovato delle soundtrack che rasentano la perfezione.
Spero che il post vi sia piaciuto, e che altrettanto vi piacciano quelli dei miei commilitoni.
L'Asgradel sta arrivando.

 
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Foxy's dream
view post Posted on 25/8/2011, 18:46






Se è vero quel che si dice,
se è vero che il battito d’ali d’una farfalla
sia in grado di generare un uragano dall’altra parte del mondo,
allora chissà:
il quieto spegnersi di un’anima
è forse in grado di smuovere una lacrima dall’occhio vitreo d’un corpo esanime.

-plic-
Un suono, forse.
O forse ancor più: un grido.

Alexandra. Svegliati o mia regina, sveglia!
Non senti l’urlo d’agonia di questo mondo? Ti cerca.
Vuole il tuo tocco, pretende il tuo sguardo.
Ma tu non senti, e non vedi. E resti muta, ferma, immobile.
Cenere e polvere il tuo Io. Sangue e sabbia sfatta al soffio d’un vento iniquo.
Il tuo pensiero brancola nel buio di una fitta selva e scappi.
Fuggi perché ora il tuo mondo è pace e silenzio.
Uno statico affresco di natura morta. E sorridi.
Ma qualcuno non ti ha dimenticata o mia amabile regina:
tocca a te, ancora, un’altra guerra, lo stesso mondo. Lo stesso dolore.
Una volontà non tua corrode quel tuo nuovo esistere,
e non più sangue, cenere, polvere e sabbia,
ma vista, gusto, udito, tatto e olfatto.
Un’altra volta quel dolore, un’altra volta viva.
E piangi mia regina, piangi!
Non fermarti. Piangi.


Silenziosamente accoccolata su sé stessa, riversa in terra, versava lacrime amare, pregne d’un dolore riscoperto, di una colpa destatasi dal torpore del suo sonno.
Ferma, immobile, si chiedeva se fosse davvero ancora viva, se quel corpo fosse il suo, se quelle lacrime non fossero il frutto di un altro incanto, o la palese manifestazione d’un profondo rammarico. E pensava, ancora, non voleva, eppure pensava. Cogito ergo sum, asserì Cartesio. Ma a cosa serve il pensiero se la sua diretta conseguenza è un’inestricabile tristezza, un’inestinguibile sconforto? Non sapeva. La logica le suggeriva di rialzarsi, ma il cuore le imponeva di restare lì un altro poco ancora, a crogiolarsi nell’inerte stasi d’un presente in continuo avanzare.
Respirava, piano.
Il sottile puzzo di stantio si inerpicava nelle sue narici, provocandole un vago senso di nausea.
Era viva.
Il corpo intorpidito dal freddo glaciale di quel pavimento d’ossidiana splendente.
Era viva.
Il sottile brusio del silenzio, e poi una voce, dolcemente femminea, un verso, stridulamente ferino.
Era viva.
Il latteo rilucere di qualcosa nella penombra dell’ultima stanza.
Era viva.
L’acre sapore della sconfitta a inaridirle il palato.
Era viva. E piangeva.

Una vita di stenti, un frenetico susseguirsi di vittorie e sconfitte, delusioni e suggestioni a contornare una vita ricca di accadimenti ma scarna d’amore e d’affetti. E adesso una nuova chiamata alle armi. Perché lei, perché? Non era stata capace di fermare una bambina come poteva pretendere che potesse far fronte a un intero esercito? Le convinzioni venivano giù con veemente fragore, le une dopo le altre. Se l’intero viaggio fino a quella stanza era stato un avvicendarsi di prese di posizione, se il suo ego era stato eretto per resistere ai duri colpi della vita, adesso non rimanevano altro che fumanti macerie e residui d’orgoglio sparsi nel suo petto.
Eppure, nonostante tutto, avrebbe combattuto.
Lentamente le dita scivolarono sul perfetto lastricato marmoreo facendosi salda base d’appoggio. A quell’impercettibile movimento seguì l’intero suo corpo, che come una macchina ben congegnata si articolò alla perfezione, nuovamente forte, doppiamente energica.
Un profondo e inelegante respiro, e fu in piedi.
L’incredulità fu presto surrogata dall’arrendevole accettazione di quel che le toccava fare. Destino, fato, coincidenza, che importava? Pareva non poter abbarbicarsi a nulla, e dallo stesso nulla era stata chiamata, astante e pedina, trastullo d’un dio capriccioso. No! Non era pronta, dacché ricordava non lo era mai stata, ma forse c’era un motivo, sì! L’aveva scelta per un motivo.


Sollevò debolmente il capo, e fra la distruzione di quella stanza spogliata dell’arcano splendore di cui rifulgeva, s’avvide di non essere la sola a presenziare al cospetto di Madama Eitinel, avviluppata in una sorta di trance mistica – neppure lei era stata capace di resistere.
Forse, forse era la prima volta che la vedeva per davvero. Il candore della sua pelle macchiato dall’inquieto potere d’una divinità senza nome o definizione. Lo chiamavano Asgradel.
Ma cos’è una parola, un nome proprio? Come può riassumere tutto e nulla nel suo spoglio definirsi? Impossibile. L’Asgradel esisteva per definizione, egli era ed esisteva a prescindere d’ogni postulato fisico o scientifico, ed era a una passo da lei, stanco e provato. Quale migliore occasione per arraffare il più grande dei tesori: il Potere dei Miracoli?

“Il fascino del male è cosa assai pericolosa.
Corrompe, bisbiglia, sussurra.
Imperiosa si frappone tra le convinzioni accumulate in una vita intera
svilendole a parole vane e vuote. Sangue, cenere, polvere e sabbia. Cos’altro?
La risposta era sin troppo semplice.”


Un passo, poi un secondo, un po’ stentato.
Cosa stava facendo? Era così difficile rimaner saldi e fortemente legati ai propri costumi, agli ideali di cui ci si era fatti manto fino a qualche giorno prima?
Un tempo non troppo lontano – qualche ora appena – credeva che un’arma potesse rappresentare qualcosa, un’idea comune scolpita e forgiata da un umile fabbro. Ma cosa è in realtà una spada bastarda se non un pezzo di metallo studiato per mietere morte?
Nulla aveva più significato, tutto era perduto.

« Ciao Regina! »


Una voce sgraziatamente mascolina tuonò briosa.
E subito lo sguardo capitolò sull’impudente uomo. Corporatura massiccia, magnificente armatura, mantello carminio. Sull'orlo macilento della Velta divelta si ergeva in tutta la sua statuaria possanza. Non ricordava, non ancora. Sangue, cenere, polvere e sabbia.

« … »


Si fece scudo di un dignitoso silenzio. Non capiva, nulla aveva più significato, tutto era perduto mentre la torre tremava, scossa da mille e più fremiti di rabbia commista a dolore. Persino lei non sopportava più il peso del Potere per definizione, persino lei si stava negando al suo compito.

« E tu, brutto stronzo fumante: aspetta di incontrarmi alla fine di questo casino. »
Lui ricordava, un dono per pochi quel giorno.

« Arthur Finnegan...

...non meriti inutili scuse così come io non merito di risponder di alcuna colpa qui, adesso. D'altronde convincerti dell'inevitabile ora sarebbe inutile, quindi placa la tua ira per quando avrò modo, e tempo, di darvi credito...

... Quando tutto sarà finito, hai la mia parola che non mi sottrarrò al confronto... »


Shakan. Lui, sì! Lo ricordava bene, forse troppo. La rocambolesca risalita per la Velta svettante, il contatto umano con la di lui pelle, una stretta di mano a confermare un patto già suggellato diverse lune addietro, no. Troppo lontano adesso, un invalicabile muro li distanziava, e probabilmente non avrebbe potuto far nulla per riconciliarsi a lui.
Aveva peccato di debolezza, e aveva pagato con la morte, cruenta ed efferata.

« Davvero, davvero profetico. »
Il cavaliere osservò il cielo, costellato di un’unica gigante supernova color carbone.
« Non ci si capisce proprio niente, di questa vita. »


Quelle parole, quella voce. Ricordava, e penava. La nera paladina si portò una mano al viso per lenire il mal di testa che accompagnò la furia di ricordi, immagini, dolori, profumi. Uno psichedelico agitarsi di consapevolezza, di una coscienza di cui aveva perso memoria. Sprofondava nell’abisso, più a fondo di quanto avesse mai immaginato. Rivisse ogni istante, mille e più volte, un trascendentale percorso dal ventre del Sorya fin nei Territori Occidentali, un andirivieni sempre più nitido, una messa a fuoco introspettivamente introversa.
I polpastrelli affondarono nel viso, il palmo a nascondere la smorfia di dolore.
Dolore a nascondere altro dolore.

« A-arthur... ricordo il tuo nome - chi sei? »
Tremante nella voce, insicura nelle movenze.
La mano cedevole lungo il fianco.


I colori riemergevano dal baratro per ricomporre un quadro completo di ogni sfumatura. E tutto si tinse nel mentre una cinerea fenice volteggiava sotto il plumbeo tetto del mondo, madido lembo di una volontà superiore, apocalittico richiamo d'un conflitto senza precedenti. Cosa, cosa diavolo stava accadendo?

« Sono solo l'idea che hai di me. »
Tornò serio, spegnendo il sorriso che era abbondato sul suo volto,
fissando Eitinel coscritta dalla sua stessa immorale condizione di Dea.
« Ora però dobbiamo andare. »
Tagliò corto.

« Andare dove? A morire come ci è stato imposto? »
Non era più la stessa Alexandra.


L’impavida regina era morta e da essa ne era nata una donna ben più paurosa e insicura, restia all’essere agguantata. Giocare con le vite altrui, muovere i fili dei propri burattini affinché attingessero dalle loro risorse per espletare un compito altrui, con la mendace prospettiva di poter creare dal nulla, di poter realizzare qualcosa in una vita altresì troppo breve.
Il tacito assenso al seguito della muta proposta, ma no! Non le interessavano argomenti come quelli, non più. Voleva ricordare, ricordare chi era per sputarvi sopra: come aveva potuto essere così ingenua? Avrebbe lanciato il sasso sul distorto riflesso sul limitare del lago, cancellandolo e deturpandolo, con la consapevolezza che sarebbe poi tornato, per ripetere il gesto a monito di quanto accaduto.

« Ah Ah Ah! Morire? Già fatto, grazie. »
Si voltò verso di lei, prima ironico e poi tristemente serio.
Cangiante come una nuvola d’agosto.
« Andiamo a distruggere il mondo, affinché qualcuno possa ricostruirlo. »
Proseguì enfatico.
« Non volete venire? »

« No, non è questo - non è così. »
Si incupì nello sguardo, abbassandolo.
Le era impossibile reggere la determinazione del cavaliere.
« Mi chiedevo: perché noi? »


Silenzio, se non lo sferzare dell'araba fenice. Avvicinandosi al corpo della Dea inerme, il cavaliere estrasse la propria lama dal fodero, minaccioso, paurosamente convinto del proprio agire. Alexandra non si mosse. Ricordava, ricordava la sua indole, il suo istinto deicida, rimembrava ognuno dei suoi folli vaneggi nella cattedrale consacrata a Elhonna nella lontana cittadina di Norgoht. Eppure non mosse un muscolo, non proferì una parola né un verso riconducibile a tanto.
Silente, si limitò ad osservare.

« Con un finito numero di fattori in un tempo infinito,
prima o poi il nostro turno doveva pur venire. »

Asserì con zelo puerile.

« Destino o coincidenza, quindi? O stupida logica? »
Ribatté schietta, ravvivandosi un po’ nello sguardo.

« Destino? forse. Ed anche se fosse?
Quale altro scopo hai, regina mia, in questa tua vita? »

Proseguì Arthur, quasi accogliendo, comprendendo la regina.
E lei era felice, felice perché qualcuno la capiva.
Era proprio vero che erano spiriti affini, era vero che condividevano qualcosa.
Un’idea, forse. O forse qualcosa in più.

« Nessuno, a dirla tutta. Non sei stato l'unico a morire, quest'oggi, e poi rinascere.
Ho una nuova occasione? No. Ho un'altra occasione per morire ancora. »

Non nascondeva la paura di una completa disfatta, il timore di perdere nuovamente.
Sarebbe stata sincera, per una volta. Sarebbe stata Alexandra, forse l’ultima volta.
« Non mi resta che partecipare all'ennesimo massacro... »
Proseguì stanca, abbassando appena le spalle, non sopportando più il peso di quel fardello.

“Notte poi partorì l'odioso Moros e Ker nera
e Thanatos (morte, generò il Sonno, generò la stirpe dei Sogni;
non giacendo con alcuno li generò la dea Notte oscura;
e le Esperidi che, al di là dell'inclito Oceano, dei pomi
aurei e belli hanno cura e degli alberi che il frutto ne portano;
e le Moire e le Kere generò spietate nel dar le pene:
Cloto e Lachesi e Atropo, che ai mortali
quando son nati danno da avere il bene e il male,
che di uomini e dei i delitti perseguono;
né mai le dee cessano dalla terribile ira
prima d'aver inflitto terribile pena, a chiunque abbia peccato.”

[Teogonia, vv. 211-222]


Lo sguardo, dalla sommità di Velta, si riversò infine sull’ultimo prodigio di Madama Eitinel. Forse aveva ragione Finnegan, forse era vero che lo spazio e il tempo offrivano loro un’occasione, l’opportunità di tornare. E chi meglio di una fenice, figlia delle proprie stesse ceneri, poteva rappresentare una condizione sì vicina?
Provò pietà per sé stessa, incapace di destarsi e lottare come loro. Arthur, Shakan. La vittoria non era l’unica delle possibilità contemplate, così come la sconfitta, ed anche nella sconfitta ci si poteva ergere vittoriosi: era sufficiente volerlo. Di doman non c’è certezza, indicò de'Medici nella Canzona di Bacco, appurando un lieto voler vivere, no! Le era impossibile. Aveva da sempre cercato certezze, mai trovandole. Forse avrebbe dovuto smettere di cercarle e chissà: magari le avrebbe così trovate, frutto del caso e non della volontà.
Intanto Alexandra e Shakan si dirigevano in fronte alla leggendaria creatura, scesa in terra per accogliere sul suo dorso il peso degli ultimi tre campioni, e portarli sull'ennesimo campo di morte, cimitero a cielo aperto.

« Ormai siamo tessere di un mosaico che si compie: strumenti di un progetto lontano, tenuti in vita da nient'altro che dal nostro compito. Siamo pedoni della sua scacchiera: il nostro scopo e' avanzare, perché non possiamo fare altro. Il nostro dovere, invece, e' vincere, perché e' l'unica scelta che ci resta... »


Nel mentre le parole di Shakan fendevano il fitto silenzio intessutosi, Arthur si avvicinava alla fu Eitinel, ora guscio per qualcosa più grande, brandendo ancora la lunga flamberga, sibilante e bramosa di morte. Il cuore prese a pulsarle ancor più veemente nell’osservare il suo occhio lascivo sdrucciolare sul di lei collo, pesanti rintocchi allo scoccare della nuova ora.

« ...l'unica che ci renderà liberi... »


E le parole dell’illusionista si spensero, così come s’assopiva la volontà deicida del cavaliere, profondamente umana, similmente idilliaca. E infine la donna voltò lo sguardo all’animale, accarezzandone il collo con fare materno, abbozzando un sorriso nello scoprire che non tutto era perduto, che qualcosa aveva ancora un significato in quella misera esistenza. E non più sangue, cenere, polvere e sabbia, ma vita, pura e semplice.
Prima di tutti vi montò sopra, afferrando il funereo e caldo piumaggio.

« Morire è solo un'altra idea, Alexandra.
Non ci serve nessuna giustificazione per prenderci una vita, o diecimila.
È oggi che gli dei cadono, ed è oggi che noi splenderemo. »

Sentenziò il titano, riproponendo qualcosa già udito.
« AhaahahAHaha »
Un riso sincero, per nulla folle o insano.
«Forza! »
«AVANTI!»


« Se è così che devono andare le cose… »
Sussurrò la paladina.
« AMEN! Così sia. »


E via sulle ali del vento.
L'Asgradel stava arrivando!




CITAZIONE


ReC: 250 | AeV: 225 | Perf: 250 | Perm: 325 | CaeM: 225

Critico: 33% | Alto: 15% | Medio: 6% | Basso: 2%



Energie: 100%
Status psicologico: Provata
Condizioni fisiche: Illesa

______________________ _ _

Abilità attive:


____________________________ _ _

Abilità passive:

• My Sword ~
La spada in possesso di Alexandra presenta sul piatto della lama un incantamento runico di colore rosso carminio ben visibile all’occhio. La bastarda potrà, in qualsiasi momento, innescare i poteri del dominio, e grazie all'incanto essa risulterà impossibile da distruggere nonostante gli attacchi che le potrebbero venir mossi. [Abilità passiva del Dominio Incantaspade I]
• My Hands ~
Le mitene in possesso di Alexandra presentano nel palmo un incantamento runico del tutto simile a quello della spada bastarda. Quest’arma potrà quindi, in qualsiasi momento, innescare i poteri del Dominio. Grazie all'incanto, inoltre, risulteranno sempre affilatissime e incapaci in alcun modo di perdere le proprie capacità offensive, oltre ad essere indistruttibili. [Abilità passiva del Dominio Incantaspade II]
• My Wish ~
Alexandra punta gran parte delle proprie capacità sulla magia. Avendo così affinato questo potere insito in lei, una volta raggiunto il 10% delle energie non sverrà. Ciò però non significa che non sarà stanca raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%. [Effetto passivo dell'abilità razziale]
• My Volition ~
Il dominio di Alexandra sul proprio corpo le permette di scagliare attacchi magici e fisici senza alcun tempo di concentrazione. Ciò permette un notevole vantaggio tattico e tecnico alla paladina, che racchiude in sè le proprietà di maga e guerriera allo stesso tempo. [Abilità personale passiva]
• My Verity ~
Le parole di una regina sono inviolabili, intoccabili, indiscutibili. Allora come poter mettere a freno la sua lingua, la sua dialettica forbita e pregna dei più valenti significati? Semplicemente impossibile, così come impossibile è arginare il fiume in piena della sua parlantina sciolta e suadente. In termini di GdR quest’abilità conta come un ammaliamento passivo che influirà su tutti coloro i quali ascoltano le parole di Alexandra, che andranno considerate come vere, sincere, sebbene in realtà possano essere l’esatto opposto. [Abilità personale di ammaliamento passivo]
• My Perception ~
Sensazioni. Il mondo si estende al di là di quel che è possibile percepire con tatto, gusto, olfatto, vista e udito, trascendendo la realtà in mille altre sfumature percepibili solo dall'istinto più sviluppato in forme di sensazioni. Una sorta di empatia che la collega alla dimensione delle anime, permettendole di avvertire le aure di amici e nemici nelle vicinanze come una sorta di sesto senso. [Bracciale dell'Auspex]

_______________________________________________________ _ _

Note:

Nulla di più di quanto ha già espresso Kactuar nel suo spoiler finale.
Abbiamo sviluppato questo dialogo ancor prima di stendere il post per intero, proponendo una scena credibile sotto tutti i punti di vista, così che rimembranze, sensazioni ed emozioni fluissero al ritmo del dialogo stesso.
Come è facile notare, nel mio post è presente il medesimo dialogo ma vissuto dal punto di vista di Alexandra. (ovviamente la formattazione del testo dei dialoghi è stata semplificata per conformarsi più alla semplicità del mio layout, una scelta estetica quanto espressiva, per sottolineare che il tutto è vissuto da lei e con lei).
Bhé, che dire, perdonate il post eccessivamente lungo, ma era un'occasione imperdibile per testare qualcosa in più della solita narrazione, e sopratutto per discostarmi dal mio solito stile in cui mi stavo fossilizzando.
Spero sia piaciuto, e auguro un buon lavoro a tutti. AYE!!!

PS: mi riservo di inserire nello specchietto le passive che agiscono sempre e indistintamente.
Qualora dovessi utilizzare una passiva che agisce in un determinato modo dall'essere quasi riconducibile a un'attiva, la inserirò adhoc per quel turno. Spero non sia un problema, ma nel caso lo sia, vi prego di avvisarmi preventivamente.

 
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Tristàn Cousland
view post Posted on 26/8/2011, 18:35




Death In Fire


The wait is soon at end, always charge, never bend
Morning is here, make your stand, live for honor, glory, death in fire!
Total war is here, face it without fear
Age of sword, age of spear, fight for honor, glory, death in fire!
See the fire rise. Flames are raging high!
Soon all will burn and die, burn for honor, glory, death in fire!
Storm of lethal flames, only death remains
Ragnarok is closing in, die for honor, glory, death in fire
Forces of chaos are on the move; everyone, choose your side
And know the day is coming soon, the day for all to die
The day is here when Bifrost breaks, nor sun or moon will rise
When the dead rise from their graves, and Surtur spreads his fire!

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Il mondo stava mutando.
Inginocchiato sull'arido terreno dove fino a qualche settimana prima vi era stato il maniero del Sovrano, di Colui che mai aveva perso, nel luogo in cui avevano alloggiato le sue apparentemente invincibili legioni, Tristàn slacciò delicatamente la chiusura del guanto metallico che ricopriva la mano destra, facendolo cadere al suolo con un rumore sordo: solo una modesta nuvoletta di polvere si alzò, seguita da un'altra, gemella, quando compì il medesimo gesto per l'arto sinistro. Rivelò dita lunghe ed affusolate, muscolose e ricoperte di calli e cicatrici: mani rovinate, mani molto differenti da quelle di un'artista, mani forgiate dal più duro dei fabbri: il fabbro della guerra, colui che forgiava uomini del suo calibro, sempre più rari in un mondo dove il senso dell'onore stava tristemente lasciando spazio alla codardia e all'inganno, ai doppigiochi e ai tradimenti. Un'epoca stava terminando e un'altra - peggiore, a suo pensiero - stava per prendere il suo posto. Forse proprio la battaglia, ormai inevitabile, che a breve sarebbe cominciata avrebbe sancito l'inizio di una nuova Era, il sorgere di una nuova Divinità.
Chinò il capo in avanti, i bianchi capelli ondeggiarono, vacillarono mossi da una leggera brezza, mentre affondava le mani nella terra. Ne strinse delicatamente nei palmi una porzione, chiudendo gli occhi e recitando un'antica preghiera alla Madre Terra: un residuo dell'antico culto pagano che si era poi estinto con la venuta di Andraste, la profetessa del Creatore. Quel gesto gli ricordò suo padre; era stato lui, in gran segreto, a spiegargli come onorare il campo di battaglia prima di unirsi alla stessa, prima di affidare la propria vita nelle mani dei compagni e del destino.
Aveva congedato gli altri Custodi affinchè potesse ritagliarsi un momento di solitudine, un momento di pace e tranquillità, nonostante il frastuono che, imperterriti, continuavano a produrre gli orchi accampati a poca distanza. Imprecò a denti stretti verso di loro, più simili ad un accozzaglia di ubriaconi che ad un esercito degno di Ray. Onestamente non comprendeva perchè, tra i tanti accorsi alla sua chiamata, aveva scelto di accogliere anche quelle creature. Era vero che il loro numero era impressionante, che fossero delle fortezze moventi e che sul campo di battaglia non avevano rivali, tuttavia Tristàn non avrebbe messo la mani sul fuoco riguardo la loro affidabilità. Mostri così simili ai Prole Oscura non potevano celare un animo nobile.
L'Asgradel aveva invece optato per un esercito più eterogeneo, composto comunque in gran parte di elfi. O almeno ciò avevano riferito gli scout dell'esercito del Sovrano, rivelando un possente esercito in marcia verso di loro.
Subito dopo il ricevimento di quelle notizie vi era stato un consiglio di guerra in cui erano stati convocati anche i tre generali umani, scelti personalmente da Ray: il Grigio ebbe così modo di ritrovare Rekla e Viktor. La prima non sembrò riconoscerlo, non notò nemmeno lo sguardo vacuo e perplesso di Tristàn, mentre il secondo, col suo solito fare arrogante aveva sputato insulti a coloro che avrebbero dovuto fronteggiare. Per la seconda volta in poco tempo egli decise di non rivelare la verità, di tacere una realtà troppo dolorosa: non disse nulla alla ragazza di ciò che era accaduto a Luna del Deserto, preferì non rievocare spiacevoli ricordi poco prima di una delle battaglie più importanti della loro vita.
Il concilio, comunque, non durò troppo a lungo: più che una vera e propria discussione riguardo strategie e tattiche, fu una gara tra comandanti Pelleverde per decidere quali unità avrebbero rappresentato il fronte assieme ai goblin. Totalmente menefreghisti nei confronti della morte, con ammirevole sprezzo del pericolo, tutti sembravano ansiosi di prendere parte ai primi assalti, tutti ardenti dal desiderio di spaccare per primi le teste degli elfi, da loro reputati nient'altro che femminucce.
Viktor e Rekla, a loro volta, scelsero di unirsi alla colonna d'assalto. Tristàn restò chiuso in un angoscioso silenzio per quasi tutta la riunione, riflettendo su quale sarebbe dovuto essere il suo ruolo in quel massacro: era un cavaliere e il suo posto era nel mezzo della battaglia, tuttavia era anche un padre. Ragionò più come uomo che come soldato. Questa volta aveva qualcosa da perdere, non poteva permettersi di morire, non quando la vita di altri dipendeva dalla sua. Non quando tutti gli altri facevano a gara per avere il suo posto nell'avanguardia.
Quando prese la parola lo fece per esporre un'idea che inizialmente non trovò approvazione, ma perpetrata con passione riuscì a convincere anche le dure teste degli orchi: qualche ora prima, vagando nel campo, aveva notato alcune vecchie catapulte apparentemente in disuso. Aveva così ordinato di sistemarle e di renderle efficenti, pronte a tirare in qualsiasi momento.
Il suo posto sarebbe stato nelle ultime file dell'esercito, all'intero dei resti del borgo. Un ruolo poco onorevole, ma necessario affinchè la sua idea portasse vantaggio alla loro fazione. Non avrebbe affidato la sua tattica nelle mani di uno stupido orco: avrebbe orchestrato lui il tiro incrociato di catapulte e arceri. La morte nel fuoco, quello sarebbe stato il suo regalo per l'esercito dell'Asgradel.
_________________________________________________________

E venne il momento.
Fu un inizio di guerra atipico.
Non vi furono neanche dei tentativi di utilizzare la diplomazia: non si vide nemmeno l'ombra di un ambasciatore. Entrambe le fazioni coinvolte sembravano accettare senza paura una guerra totale, una battaglia in cui non vi sarebbe stata alcuna pietà verso gli sconfitti.
Alla stoica calma dei figli della natura, si contrapponeva la barbarica eccitazione che sconquassava gli animi e i corpi dei mostri dalla pelle verde. Cioè che però Tristàn avrebbe mai dimenticato erano i tamburi: suoni potenti e continui, sordi ed interminabili laceravano l'aria tutt'attorno, esprimendosi in una rumorosa cantilena di decadenza e morte, un preludio sonoro che presto avrebbe lasciato spazio alle urla più disumane di coloro che sarebbero caduti. Lance sarebbero state spezzate, frecce avrebbero trovato la tenera carne di gole e tempie, spade avrebbero spezzato ossa e tranciato arti: sotto quel nero sole, nero sangue avrebbe fertilizzato la terra. La morte in cambio della vita.
La vita, il privilegio per cui combattevano. Il potere assoluto, il premio per coloro che avrebbero visto una nuova alba.
Armato di tutto punto, con la scintillante armatura indosso, con entrambe le spade ancora nei rispettivi foderi, l'Eroe del Ferelden picchiettava nervosamente un dito sul petto, osservando l'impressionante scenario che si estendeva dinnanzi il maniero: un mare di creature che si estendeva fin dove occhio umano potesse vedere, due eserciti divisi da pochi metri si preparavano alla battaglia.
Stendardi e bandiere di ogni colore si agitavano nell'aria, sospinti dal vento, dando un tocco pittoresco al tutto.
Una calma innaturale avvolgeva l'intero panorama, la quiete prime dello scoppio della tempesta.
Infine avvenne l'inevitabile.
Con una mossa che Tristàn non potè non definire "poco intelligente", il possente mare Pelleverde si riversò sulle elfiche scogliere dell'Asgradel. Il generale del Ferelden serrò la mascella e trasse un lungo respiro, preoccupato per la stolta avventatezza che aveva mosso l'avanguardia. Non vi era un briciolo di strategia nei loro attacchi; come tori imbizzarriti si limitavano a caricare a testa bassa. Grave errore. Erano stati loro a marciare fin laggiù, gli orecchie a punta quelli a cercare lo scontro, loro avrebbero dovuto arrischiarsi con un primo attacco, loro avrebbero dovuto pagare il primissimo tributo di sangue, loro i primi a cadere trafitti dalle picche.
Giocherellando nervosamente con il pomo della spada decise di smettere di angustiarsi osservando quello spettacolo. Preferì tenere la mente occupata e lucida con questioni più importanti.
Il compito che però sarebbe toccato ai Custodi Grigi presenti sul campo di battaglia non riguardava il guidare cariche o il tentare di accerchiare il nemico: a loro spettava l'importante missione di indebolire le linee elfiche prima del vero e proprio assalto orchesco, loro avrebbero spezzato spezzato l'unito blocco di difensori, avrebbero portato caos e confusione così da facilitare enormemente il compito dei loro alleati.
Al comando della lurida marmaglia di orchi addetti all'utilizzo delle catapulte - preziose macchine d'assedio ora riadattate per essere efficenti anche in campo aperto, contro nutriti gruppi di fanti - era stato assegnato il gigante Vaarg: un quadro paradossale, quasi comico, il vedere simili creature alle prese con congegni meccanici di quel tipo. Rudi e poco abituati a non dar spettacolo nel cuore della battaglia, ora combattevano bestemmiando e imprecando - nelle relative lingue d'origine - con corde, misuratori di distanza, leve e preziosi vasi di nera pece. Insomma, il vichingo, ad eccezione del colore della pelle, si sarebbe potuto tranquillamente scambiare per un orco; Tristàn, il giorno prima, l'aveva visto sfidare a braccio di ferro alcuni pelleverde che avrebbero marciato in prima linea: era addirittura riuscito a piegarne due, prima che un ufficiale gli ricordasse la superiorità fisica cui godevano gli orchi sul genere umano.
Jensen, l'unico del gruppo dotato di reali capacità nel tiro con l'arco, venne assegnato a comando del contingente di arcieri posizionato su quelli che un tempo erano stati i bastioni del maniero. Diverse braci, accese e scoppiettanti, vennero posizionate dinnanzi loro, in modo tale che quando sarebbe giunto il momento avrebbero potuto infuocare i loro dardi prima di scagliarli contro i nemici, facendo piovere su di loro una tempesta di acciaio e fuoco.
La bella maga, invece, aveva involontariamente suscitato un sentimento di affettuosa protettività nei confronti di tutti gli altri tre Custodi, i quali, all'unanimità, si erano prodigati per convincerla a restare nelle retrovie, tra i resti del maniero. Ovviamente una donna forte ed indipendente quale lei era, mai avrebbe accettato senza un reale motivo: Jensen, così, colto da illuminazione, le spiegò che le sue arti arcane sarebbero state più utili per curare i feriti anzichè nel momento in cui i due eserciti sarebbero venuti a contatto. Vaarg e Tristàn concordarono, benchè non gli importasse più di tanto della sorte degli orchi che sarebbero stati feriti durante gli scontri: in un contesto normale, infatti, probabilmente i nemici sarebbero stati gli stessi Pelleverde, benchè ora fossero degli improbabili alleati.
Tristàn, dal canto suo, si era posizionato sulla più alta delle torri, semi-distrutta ma che forniva un'ottima visuale sul campo di battaglia, nonchè un eccellente luogo dal quale comandare le truppe a lui assegnate. Al suo fianco vi erano due Hoëpriester orrendamente sfigurati, entrambi privi di un bulbo oculare: non conosceva molto sulla cultura degli orchi, tuttavia aveva notato diversi ufficiali muniti di quelle stesse menomazioni, tanto che gli venne istintivo domandarsi se non fosse una qualche sorta di macabro rituale. Ma ciò non era importante. Ciò che contava era che quei bestioni gli erano stati assegnati dallo stesso Bara-Katal come guardie del corpo. Curioso poichè più che far sentir protetto Tristàn - e da quando non bastava la sua sola spada? da quando necessitava di mostri di quel tipo? - la presenza delle due creature lo innervosiva, quasi fossero lì per controllarlo, per assicurarsi che non commettesse errori. Erano entrambi capaci di parlare la lingua degli umani ma nonostante questo confabulavano nella loro parlata madre, escludendo di fatto il cavaliere da ogni possibile riflessione sull'esito della battaglia. Poco male, non era di certo la prima guerra cui si trovava costretto a prender parte: sapeva in che modo avrebbe dovuto contribuire alla vittoria, così come lo sapevano i suoi uomini.
Tutti gli uomini orchi al suo comando avevano preso posizione non appena i loro fratelli avevano lanciato le prime cariche contro il fronte elfico alla ricerca di una rapida vittoria. Alcuni avevano manifestato palesemente la propria indignazione, asserendo che avrebbero preferito morire in prima linea anzichè prender parte allo scontro dalla distanza, come dei codardi. Fortunatamente, tuttavia, nessuno aveva rotto i ranghi per lanciarsi all'assalto, tutti avevano mantenuto la propria posizione in attesa del segnale che il Falkenberg avrebbe lanciato loro al momento più propizio.
«CARICATE LE CATAPULTE!»
Ruggì Tristàn in direzione di Vaarg. Una trentina di orchi scomparvero tra le macerie, tornando poco dopo con pesanti vasi di cera ancora sigillati. Grugnendo per lo sforzo li caricarono sulle catapulte, nell'ubicazione dove normalmente sarebbero stati posti macigni e pietre. L'idea era semplice ma geniale: dei contenitori di pece erano stati trovati nei sotterranei del maniero, ancora in perfetto stato, ancora ardentemente letali. Si era limitato a fare due più due: catapulte caricate con pece e frecce infuocate.
La carica degli orchi si era arrestata, il fronte si era spezzato e il fitto corpo a corpo era stato interrotto. Una decina di metri, cosparsi di cadaveri di entrambe le fazioni, dividevano ora le lame dal loro piatto di sangue.
Un colpo dello strano affare che il vecchio generale portava con sè esplose in cielo. Era il segnale.
Viktor aveva svolto alla perfezione il compito che gli era stato assegnato, ora le terribili macchine d'assedio avrebbero potuto bombardare lo schieramento dell'Asgradel senza danneggiare in alcun modo i Pelleverde.
«CATAPULTE! LANCIARE! ARCIERI, CARICATE!»
Gridò il Grigio con tutto il fiato che aveva in corpo, certo che tutti l'avrebbero udito.
I macchinari vennero azionati e il nero sole venne oscurato da una decina di grosse comete color marrone. La distanza supposta era stata calibrata nel migliore dei modi, con un approssimazione sufficentemente accettabile. Sibilando, i contenitori di pece piovvero sui difensori. Alcuni di questi si infransero al suolo, ai piedi degli elfi, spargendosi sulla nuda terra, altri si frantumarono su di loro, uccidendone alcuni sul colpo e schizzando su tutti coloro che si trovavano nelle vicinanze. Una marea nera venne vomitata sulle linee elfiche più vicine agli orchi - questi ultimi lanciarono grida di vittoria, roteando asce e lame con impazienza.
«ARCIERI! TIRARE A VOLONTA'!»
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Un attimo dopo, una singola freccia, solitaria e letale, si impennò in aria, descrivendo un ampissimo raggio prima di precipitare sulle fila nemiche. Una freccia ardente, dalla punta affilatissima: il dardo di Jensen, arciere dalle doti fuori dal comune. Fu il primo a tirare, la sua freccia la prima a trovare la gola di un elfo, il quale non ebbe nemmeno il tempo di lanciare un urlo; stramazzò al suolo, mentre una fontana di sangue si liberava dalla ferita.
Circa due secondi dopo una pioggia di fuoco investì i reparti elfici più vicini all'esercito Pelleverde.
Il calore trovò la tiepida pece. Il terreno s'infiammo e in poco tempo valorosi guerrieri dell'Antica Razza si trasformarono in torce umane, in sagome ardenti che si dimenavano accasciandosi al suolo, combattendo contro un nemico che rapidamente andava arrostendo i loro corpi. Il disordine serrò in una morsa la disciplina, il coraggio cedette il passo alla disperazione. Presto il puzzo di carni carbonizzate sarebbe giunto anche alle narici del comandante elfico: l'amaro sapore dell'inevitabile avanzata del Sovrano.
Tristàn non rimase però a guardare lo spettacolo. Non provò alcuna gioia nel vederli patire tra le fiamme. Solo uno stoico senso di soddisfazione dovuto alla riuscita del piano. Null'altro, il suo cuore sembrava essersi svuotato. Sensazione non nuova: in battaglia le emozioni sono più un fastidio che una virtù, possono portare gli uomini a commettere azioni sconsiderate, facendoli trascinare dall'umore del momento.
Vedendo che gli orchi si preparavano a sfondare le linee difensive, ordinò di cessare il fuoco, non volendo trafiggere suoi alleati.
«Vaarg, Jensen, restate qui e proteggete Samantha. Questa non è la vostra guerra.»
Non ascoltò nemmeno le prediche dei due. Prese a scendere le scalinate della torre scomparendo alla loro vista assieme ai due Hoëpriester, parte della sua guardia personale. Non si sarebbe gettato tra le prime linee, sarebbe rimasto con la retroguardia, così da poter coordinare eventuali manovre d'accerchiamento.
Il richiamo del campo di battaglia non poteva più essere messo da parte.



[ReC 275] [AeV 275] [PerF 325] [PerM 325] [CaeM 700]
[Basso. 2%] [Medio. 6%] [Alto. 15%] [Critico. 33%]
[Energia. 100%]

Status Fisico: Illeso.
Energia Totale: 100%
Energia Utilizzata: ///
Energia Restante: 100%

Abilità Passive
    ¬L'essenza di un Custode.
    ± Di tutte le razze, i mezzi demoni sono senz'altro quelli più denigrati, allontanati e scacciati di tutti. Proprio per questo, quindi, hanno dovuto imparare a cavarsela da soli e non farsi mettere i piedi in testa da nessuno. A forza di crescere in questo modo, i mezzi demoni si sono abituati a gente che tenta di intimorirli, minacciarli o irretirli e hanno sviluppato quella che potrebbe definirsi una particolare "Abilità razziale". Sono infatti parzialmente immuni alle influenze psicologiche. Non a tutte, si intende, altrimenti risulterebbero atoni e privi d'emozioni, ma senz'altro, a differenza di tutte le altre razze, si lasciano intimorire meno facilmente e persuadere con notevole difficoltà. Il timore provocato dalla vista di demoni o angeli, ad esempio, non avrà su di loro effetto. Sensazioni profonde come forti paure, o tanto grandi, però, avranno comunque effetto. Quest'abilità è una normale difesa psionica di livello passivo.
    ± Con la sicurezza migliora anche il controllo delle proprie capacità combattive; fino a quando il possessore di questo dominio riuscirà a mantenere il sangue freddo e a non lasciarsi prendere dall'ira - o da altre sensazioni che finirebbero con il turbarlo - il suo valore di CaeM risulterà raddoppiato. Questo non influirà nelle sue doti di tiratore ma lo renderà estremamente abile in ogni genere di schivata, affondo o anche nel disarmare il proprio avversario. Chiunque apprenda questa disciplina di scherma risulterà essere un combattete eccezionale e ogni suo duello sarà un vero spettacolo in quanto a grazia e maestria.
    ± Non sempre però la grazia nei movimenti e le abilità di schermidore possono contrastare la forza bruta; cercare di disarmare o anche solo contrastare un bestione di più di due metri con una spada dalle dimensioni più simili a quella di una trave di ferro risulta spesso una missione disperata anche per il combattente più abile. Questo però non vale per coloro che sono diventati sempre più abili in questo stile di combattimento; una delle ultime lezioni impartite dai maestri consiste appunto nel focalizzare la propria calma e il proprio sangue freddo per riuscire a contrastare anche il più forte degli avversari. Fino a quando il possessore del dominio non si lascerà prendere dall'ira o non si lascerà turbare ogni colpo portato con la sua spada conterà come una tecnica di livello basso rendendolo quindi superiore a qualsiasi colpo portato da avversari anche enormemente più forti di lui.
    ± Questa pergamena non conta come una vera e propria tecnica, quanto come un'abilità passiva. Aumenterà infatti i "ReC" del personaggio di 50 punti, diminuendone però i "PeRf" di 25. Esternamente non vi saranno cambiamenti, e il guerriero apparirà come quello di sempre, anche se le sue capacità di concentrazione e i suoi riflessi saranno nettamente aumentati, a discapito di un leggero indebolimento fisico.La tecnica sarà sempre attiva e non avrà un consumo. Un ulteriore vantaggio è quello di permettere al guerriero di poter combattere anche una volta raggiunto il 10% delle energie, senza svenire. Un personaggio normale, infatti, trovatisi con poca energia o nulla, si sentirà spossato o comunque non in grado di combattere. Un guerriero con questa tecnica, invece, potrà tranquillamente continuare ad avanzare, quasi senza sentire la fatica, pur senza più poter utilizzare tecniche che comportano un dispendio energetico, che lo porterebbero alla morte.

Tecniche Utilizzate
    ///

Note
Penso sia tutto abbastanza chiaro.
Tristàn non scende in campo insieme a tutti gli altri, non si lancia nel cuore della battaglia. Resta, almeno inizialmente, tra le rovine del maniero a condurre gli attacchi coordinati di catapulte e arcieri. Le catapulte, caricate con vasi di pece, si frantumano sui difensori, parte dei quali prende poi fuoco grazie alle brucianti frecce. Questo espediente, dopo la distruzione della barriera psionica Alta da parte di Viktor, dovrebbe scombussolare la linea difensiva nemica, dando la possibilità a Jim di carica sfruttando la confusione generata. In conclusione, il Custode fa per scendere dalla sua posizione sopraelevata per unirsi con la parte finale - quella che potremo definire retrogruardia - dell'esercito orchesco.

Ancora un paio di piccole note:
-Per quanto riguarda la pece ho chiesto a Ray via mp.
-Per quanto riguarda le catapulte ho chiesto nel topic del Valzer e la stessa Eit ha confermato la loro presenza nell'esercito orchesco.
-Tristàn definisce "affare" il fucile di Viktor in quanto non conosce le armi da fuoco.

Ah, aggiungo che per me il Player Killing è Disattivato.

 
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J|mmy
view post Posted on 26/8/2011, 18:42




Ragnarok
t h e e n d o f a l l t h i n g s
0qI4A


La nera signora è tra noi,
cammina silenziosa tra le file,
bisbiglia parole appena percepite,
scuote il guerriero tremante in silenziosa attesa,
guarda bramosa colui che
perso nella lucida follia della battaglia nemmeno la nota.
Scatta in avanti con furia devastante,
prende per la gola il morente...
congelando il suo sguardo in vitrei occhi oramai privi di vita
dardeggia quà e là, aprendosi un rosso sentiero tra i viventi,
alle spalle lasciandosi pallide parodie d'uomini una volta possenti.
Alla fine s'allontana con un muto sorriso sulle gelide labbra,
mentre già i suoi neri araldi si radunano per un altro orrendo festino.


~~

Sterile è la terra su cui i piedi giacciono, gelido è il vento che accarezza il viso sfregiato.
Non v'è pietà nella dimensione dei nessuno, né sapore in un mondo misero di lingue; non v'è quiete tra le lande dell'inferno, né gioia tra i lamenti dei dannati. Uno ad uno questi trascorrono il loro tempo, sepolti dalla loro stessa inscindibile empietà e travolti in un'eterna sfinge di castighi e imprecazioni. Là dove il sole si cela all'animo più bruto, non v'è sollievo oggi come mai vi sarà nei secoli dei secoli. Il Nulla e il Tutto divengono uno, bene e male saturano una realtà che finge di conoscerli, una comune coscienza che tanto s'illude di dipartirli.
No, non v'è beatitudine laggiù, ma perpetua è la dannazione dell'essere.
Quella notte la luna splendeva alta e luminosa tra le ruvide labbra della montagna, i soffi d’aria s’infittivano, sussurravano taglienti, cullavano il ridondante moto dei suoi passi. Pelle scarnificata, pupille risucchiate dalla costrizione che l’attanagliava, il ventre nudo come gran parte delle proprie carni, il respiro più labile finanche della propria consapevolezza.

«Vuoi la libertà. Non è vero, Rekla?»
Priva di energia, sviscerata di ogni speranza e vitalità, debole.
La fanciulla si volse distrattamente, pochi centimetri, quanto bastava, perdendosi da subito nell’oscurità cui gli occhi non potevano oramai sottrarsi, neppure volendolo.
«Io posso dartela, lo sai. Ma non v’è libertà senza prigionia, né luce senza tenebre.»
Il soffocante ansimare dell’ombra si fece nitido, ma più alcun suono fuggiva ai suoi passi, né tratti di sorta solcavano quel viso tanto irreale.
Una nube di denso fumo nero: avanzava lenta, progrediva cadenzata verso colei che voleva
e che sapeva di poter avere.
«Abbraccia la pena, accetta la schiavitù… e avrai quanto agogni.»

Dopotutto, esili sono i confini di chi nulla ha più da perdere, poiché ogni cosa gli è stata strappata con straziante compiacenza da chi aveva assai poco di umano in sé.
Eppure, le notti calavano anche in quella distorta realtà, nido di serpi e demoni, genesi di follia e disperazione, di fame e vendetta, di omissione e macabri sussurri. Madre di ogni peccato, frutto di crudeltà e inganni. Quella stessa dimensione era stata sua, come tale poteva dire solo il proprio cuore, che ora come mai quasi stentava a palpitarle in petto.
Non ricordava nulla, nient’altro al di fuori di quella voce torrida e recondita, rauca neppure fosse il gelido singulto di una bestia imprigionata. Solo una parola le riecheggiava dentro, sette lettere incrociate quasi misericordiosamente dalla speranza che aveva perduto secoli or furono – tanto le parve esserle stato verosimilmente rubato: l i b e r t à.
Era forse quella la via? Era forse il destino, o qualcuno che di lei sapeva più di quanto ricordasse, a suggerirle un tale dono?
Poco importava, nulla valeva in quell’oblio. Esitante oltre ogni limite, seppur scevra d’ogni pentimento, allungò il braccio, lo stesso infagottato da una pesante impalcatura d’acciaio nero e cristallo, lo stesso che sussultò non appena la nube osò sfiorarlo.
Come dilaniata da un fulgido riverbero argenteo, questa ululò alla luna – ora screziata di rosso – prima di implodere in innumerevoli filamenti; resti, teneri brandelli di chi li aveva uniti, risucchiati infine dal metallico arto dapprima proteso, poi ritratto d’istinto. Non parve ricordare nient’altro; solo il buio e le palpebre che, grevi, calarono come ghigliottine nella notte, fino a svanire nell’oblio dissoluto.

gDpxg

Q4cdp

Un'ennesima eco di corno la riscosse, misto agli eccitati guaiti delle falangi orchesche, guidate dalla divina volontà del Gruumsh loro dio. Il cavallo scalpitava tra le cosce, il fiato caldo dell’animale rovistava il terriccio su cui gli zoccoli posavano in fremente attesa. Per un attimo le parve che quell’unico essere le fosse familiare, e non si trattenne dal dispensagli una pacca di gelida approvazione. "Cleopatra", ricordava quel nome, uno dei pochi di cui fosse in grado.
Allungò lo sguardo avanti a sé, Rekla, orgogliosa e superba dalla sua sella, eretta e fiera come una nera regina d’inferno. La sua pelle trasudava morte, il suo viso annebbiava le menti, i suoi capelli catturavano il sole. Un sole nero, invero, effigie e personificazione di un’apocalisse che per secoli avrebbero tramandato, blaterando di padre in padre di un Occhio che tutto vede o di uomini che morirono valorosi, fra scuri e sciabole, fra sangue e lacrime.
Ma non avrebbero parlato di lei, non avrebbero sporcato il suo nome con simili idiozie né insozzato le sue gesta con futili pomposità; perché non sarebbe morta, lei, né avrebbe versato lacrime in quel triste giorno di lauta mietitura.

Di lei avrebbero ricordato solo la furia.

E così assicurò le daghe ai fianchi, impinguò il petto già prospero, rassettò il bustino e sguainò la spada che più di tutte giganteggiava sui lividi scalpi: Constantine, compagna di vita e di sventura, consorte fredda e inestricabile. La issò alta, cosicché tutti potessero ammirarla, portandola fin sopra al mondo, la punta rivolta al cuore nero e l’elsa imprigionata dalla solida manca del Cerbero.

«Vandag is nie die hel jou siel sal eet!»
«Quest’oggi l’inferno non divorerà le vostre anime!»
«Vandag is nie jou dilanierà bly of verrottende karkasse op jou banket!»
«Quest’oggi non dilanierà i vostri resti, né banchetterà sulle vostre putride carcasse!»
«Sluiting geledere, sterf roes! Hoekom die hel vandag sal smaak net bloed elf!»
«Serrate i ranghi, feccia moribonda! Perché quest’oggi l’inferno assaggerà solo sangue elfico!»

Cleopatra nitrì nervosa, impennò sulle zampe posteriori, mentre gli orchi intorno a loro ululavano esaltati e grugnivano alle nitide parole della Nera Signora. Vi fu il silenzio, come l’attimo precedente un immenso salto, e l’esercito di Gruumsh scattò in avanti, chino sui propri stessi muscoli, ottenebrato dalla propria stessa sete di vittoria. Carne da macello, nulla più, ma abbastanza numerosa da ridestare l’attenzione nemica.
Fu il caos.
Vide gli incanti degli sciamani schiantarsi impudentemente sull’evanescente cupola mistica, mentre le catapulte delle retrovie scagliavano la pece e gli arcieri dalle rovine del Maniero scoccavano raffiche di fuoco. In un attimo le intere file elfiche avvamparono, il dolore stesso divenne palpabile e appagante per la Nera, che dall’alto del proprio seggio calò la manca e sentenziò l’estrema ventura.

oVhGd

«ALL'ATTAAACCOOO!!»
Furono uno, due, tre e quattro ancora; in molti perirono al suo incedere, in molti tacquero impotenti, in molti e molti ancora avrebbero assaggiato l’amaro pasto della morte. Cavalcò a sinistra, districandosi tra le fila di vivi e cadaveri, lanciando la puledra al trotto tra elfi e belve, tra corazze e artigli puntuti. Sferzò sul fianco, affondò rapida, tagliò sicura.
Le carni bruciate dell’avanguardia elfica, tuttavia, non osarono darle tregua, mentre poco lontano il sordo tonfo della bastarda sul terreno di Bara-Katal cullava ogni suo movimento, ogni sua palpitazione.
Spazio, avevano bisogno di spazio, ora che le schiere nemiche erano fiacche, ora che le fiamme crepitavano ripetute sul campo: dovevano raggiungere i maghi, abbatterli per distruggere la cupola, e farlo in fretta.
Rekla sollevò il Gauntlet, dando di speroni in direzione del capitano del Gruumsh. Attese che fosse vicina, abbastanza perché la Piccola – sciabolando – disegnasse una fievole mezzaluna nel vuoto. La scudisciata sfrecciò ripida, improvvisa. Il colpo s’infranse funesto sulle prime due falangi elfiche, mutilando una decina di Neiru in un singolo colpo.
Ma l’Asgradel avanzava. Come fosse una fatale macchina da guerra, i suoi ingranaggi muovevano minuziosi, lesti, pronti ed efficienti, soppiantando le perdite con disarmante immediatezza. Altra carne subentrava al macello, altre cavie ignare alla furia della Nera Signora.
Dovevano guadagnare energie, stremare il nemico, prima di inforcarlo un’ultima decisiva volta.
Rimaneva da chiedersi solo una cosa, dunque: dov’era Ray?
Dov’era colui che, solo, rammentava a malapena?


~

« Negli inferi è precipitato il tuo fasto, la musica delle tue arpe;
sotto di te c'è uno strato di marciume, tua coltre sono i vermi.
Come mai sei caduto dal cielo, Lucifero, figlio dell'aurora?
Come mai sei stato messo a terra, signore di popoli?

Eppure tu pensavi: salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono,
dimorerò sul monte dell'assemblea, nelle parti più remote del settentrione.
Salirò sulle regioni superiori delle nubi, mi farò uguale all'Altissimo.
E invece sei stato precipitato negli inferi, nelle profondità dell'abisso! »


CITAZIONE
Rekla Estgardel
La Nera Signora

Stato Umano
ReC 225 | AeV 175 | PeRf 275 | PeRm 375 | CaeM 175

« Energie: 100 - 15 = 85 %
« Status fisico: affaticata.
« Armi: Constantine • sfoderata; Dolore e Sofferenza • riposta - riposta


~ ~ ~

C o r r u z i o n e

Attiva
Incisione del B a s t a r d o III: Al terzo livello crescono le potenzialità del Demone, in ogni senso. Tutto ciò che si è sottoposto a incanto potrà, in qualsiasi momento e senza concentrazione, ricoprirsi di un alone argenteo, in virtù della manipolazione mercurica. Le modalità e gli effetti resteranno identici ai livelli precedenti, ma si potrà variare forma e intensità della magia riversata per ciò che concerne aspetto e potenza dell'incantamento. Una mezzaluna o un sottile raggio saranno una delle offensive possibili, così come rimane a discrezione di Rekla l'ammontare di energia (da cui consegue la forza dell'effetto) da spendervi. Consumo: Variabile Alto.

Passiva

Incisione del B a s t a r d o I - II - III:
- Possibilità di caratterizzare una delle proprie armi da mischia con un particolare orpello (una runa, un simbolo, o una scritta). Quell'arma - e solo quella - potrà in qualsiasi momento innescare i poteri del dominio. Grazie all'incanto, inoltre, essa risulterà impossibile da distruggere nonostante gli attacchi che le potrebbero venir mossi. (I)
- Possibilità di caratterizzare una seconda arma tramite l'incantamento, anche una a distanza, anche se in questo caso dovranno essere incantati i proiettili. Le armi (e i proiettili) incantati potranno in qualsiasi momento innescare i poteri del dominio. Grazie all'incanto, inoltre, risulteranno sempre affilatissime e incapaci in alcun modo di perdere le proprie capacità offensive, oltre che indistruttibili. (II)
- Grazie all'incanto, si aggiunge un terzo effetto alle armi incantate, rendendole permanentemente prive di peso per quanto riguarda il possessore del sigillo. Ogni altra persona percepirebbe il peso reale dell'arma. Inoltre, non potranno neppure essere sottratte al portatore, e in alcun modo rubate. (III)


-Gola: Rekla raggiunge il successivo livello dell'Incisione del Bastardo. (Livello III)

-Superbia: Essendo innamorata di se stessa e di una forse inesistente superiorità, la giovane ha coltivato un carattere duro e scorbutico che non ispira affatto fiducia in chi la affianca ma, talvolta, insinua un timore lieve che però non ha alcun effetto contro i demoni o gli individui di livello superiore.

-Terzo Vizio dell'Animo|Ambizione: Che sia negativa o positiva, l’ambizione - così come la sua assenza - sottende tutte le azioni umane malvagie o meritevoli che siano. L’ambizione sfrenata può portare all’insoddisfazione perenne, a cambiare schizofrenicamente campo di interesse o obiettivo pur di avere una nuova vetta da scalare, mentre un’accezione positiva di questa attitudine psicologica può coincidere con una sana spinta a migliorarsi e non accontentarsi, a superare i propri limiti. Rekla Estgardel è forse l'essere più ingordo e privo di scrupoli del pianeta, pericoloso e raggelante nell'infinita contaminazione della sua mente. E' proprio grazie a quest'incessante bramosia, però, che la Nera Signora è riuscita a cogliere frutti misteriosi ed unici, rari e preziosi come le più pregiate ricchezze del mondo. In termini pratici, ella è in grado di usufruire delle capacità di una seconda classe: il ladro. A tal modo ciò potrà senz'altro spalancare alla regina dei morti molteplici vie ad un'innumerevole quantità di attacchi e strategie, tutte indubbiamente mirate a stroncare sul nascere l'esistenza del malcapitato avversario.

-Nel ricordo del dolore, l'unità di un cuore spezzato: indifferenza al dolore; pur provandolo, il portatore non si farà influenzare da esso.

-La comprensione del dolore, così da annientarlo: auspex passivo che si attiva una volta che il portatore viene ferito sia fisicamente che psicologicamente. Egli diverrà in grado di determinare l'esatta posizione di chi ha fatto partire l'attacco.

~ ~ ~


Note: dunque, come d'accordo con i miei compagni, Rekla è la terza a muoversi. Dopo aver atteso che Viktor dissolvesse la barriera psionica Alta e che Tristàn attivasse le catapulte con pece e frecce infuocate, la Nera lancia nuovamente la carica dalle prime linee nel varco creatosi. Le fila dei Predatori sono sensibilmente provate dalle fiamme, e ciò acuisce ancor più indubbiamente il già netto vantaggio orchesco.
La scorta di Rekla consta di due Hoëpriester, tre Barbari e cinque Cacciatori, tutti al suo seguito nell'attacco: è proprio tra le schiere elfiche, inoltre, che la ragazza sferza orizzontalmente una potente mezzaluna di mercurio (Alta) che investe e mutila più di una decina di Neiru.
Specifico che Rekla non ricorda nulla, Ray a parte (seppur vagamente); a tal fine, quindi, va chiarito che conosce il ruolo ricoperto dai propri compagni (generali) ma non chi realmente essi siano. L'intento della ragazza è raggiungere i maghi elfici, inforcare i nemici sfruttando la potenza e il supporto di Bara-Katal per poter così abbattere la barriera a doppio mortale. Rekla parla orchesco per questioni di bg (Lucifero conosce ogni lingua).
Per me il Pk è decisamente Off, morire una volta m'è già bastato.
Spero di aver rispettato ogni direttiva e di non aver commesso errori e/o dimenticanze di sorta. Passo la mano a chi dopo di me. :v:
 
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Lenny.
view post Posted on 26/8/2011, 19:36






Attaccarono.
Un’orda verde, corazze pettorali brunite, elmi in ferro arrugginito. Un flusso che fece tremare la terra sotto i suoi piedi, un rombo che continuava a crescere. Fino a sembrare un ruggito di ferocia del sottosuolo.
DRUM!DRUM!DRUM!

Dilagarono in carica frontale. Formazione concava, centro arretrato, armi protese. Un’orda di fantasmi urlanti, sussultanti nelle lunghe falcate: picche e asce e spade si abbassarono a grappoli, come una orrida selva obliqua.
Orchi ed elfi rovinarono in avanti, gli uni sugli altri, gli uni addosso agli altri. Una giostra di arti sradicati, picche spezzate, teste tranciate.
Il resto dell’orda nemmeno rallentò. Getti rossi volarono a perdersi nella terra.

Fiamme spaziavano tra le file del nemico. Soldati come anime dannate che si torcevano, che si macellavano sul lastrico dell’inferno. Idea dell’altro generale, Tristàn Cousland: attendere il segnale degli altri due generali, sfruttare le catapulte per lanciare vasi colmi di pece nera. Subito dopo, dopo, stormi di frecce infuocate a calare, ad avvampare sulla landa della demolizione.
Viktor ascoltò l'inintelligibile discorso dell'altro generale, Rekla Estgardel. Per un terzo donna, per un terzo soldato, per un terzo demone. E algida puttana per tutti e tre i terzi.
Lui e la sua scorta rimasero dietro.
A osservare. Senza interferire, senza ubriacarsi di sangue nemico così presto. A studiare come gli eventi avrebbero mutato le sorti della battaglia. A un esercito di uomini, avrebbe ordinato di caricare sul fianco destro, formazione a cuneo. Tercii di assalto della scuola di Ambrogio Spinola sul fianco sinistro, avanzata coperta dai tiratori sulle retrovie. Attacco a tenaglia.
Ma quello non era un esercito di uomini. Forse non era mai stato, un esercito.
Solo furore cieco, primevo, dell'orda.

Viktor riarmò il cane della Eiserne Wache. Sputò un grumo di bava viscida per terra. Disprezzo puro.
« La gloria degli idioti sul campo dell'onore dei coglioni. »
Commentò, secco. Distante, remoto, quasi indifferente alla battaglia di una guerra che non era la sua. Prossima a una vittoria che non gli sarebbe mai appartenuta.
Riportò gli occhi sul mattatoio urlante. Ossa cedevano, muscoli si squarciavano, gole esplodevano. Soldati cadevano sulla terra impregnata di sangue, corpi di picchieri si ammucchiavano gli uni sugli altri, rotolando oltre il margine della battaglia, sprofondando nelle articolazioni disgregate, nei tendini frantumati.
Oltre tutto questo, oltre avversari e falsi compagni, oltre re e cavalieri, mostri e aberrazioni, Toryu e Sorya e Goryo, lo attendeva il Vero Potere.
Una nuova forma di potere, in grado di sconfiggere la dissoluzione di ogni altro dominio.
I lati della bocca di Viktor si contrassero. Rughe come crepe si formarono ai lati degli occhi a uncino, del naso a becco.
Una nuova concezione di fede, in grado di schiacciare l'illusione di ogni altro Dio.
Denti giallastri si affacciarono sul mondo rosso. La ghigna esplose in una risata isterica, raschiante.
Non cercava la vittoria.
Se ne fregava della sconfitta.
Una sola ricerca. Un'unica promessa.
L' ASGRADEL!

Viktor cercò la fiasca d'acquavite nella falda della giubba. « Forza e coraggio, piccolina. » Ingollò una lunga sorsata, se la rigirò in bocca. Acquavite simile a sangue inquinato scivolò sulla barba incrostata, sulla gola sudicia.
Infine, la risputò verso il massacro messo in atto da Rekla Estgardel.

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« Corri pure a addentare la tua libbra di gloria. »


semplice post di completamento, per agganciarmi a quelli dei miei due compagni.


Edited by Lenny. - 26/8/2011, 20:53
 
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view post Posted on 27/8/2011, 17:33
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Valzer Al Crepuscolo
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Terzo turno

valzerturno3post11

R a g n a r o k




L'offuscata lucentezza della lucida discrasia che mi avvolgeva si dipanava in ogni angolo dell'orizzonte: rimiravo il volgersi nebuloso della mente che si stagliava oltre le nuvole coi rimpanti propri di un sonno pacifico che scivolava lento. Il mio corpo segnava, già al di là del tempo, il momento fatale che l'aveva corrotto, rivolgendo a me la verità del secondo - di quel solo attimo che era trascorso, nonotante l'animo restituisse al cuore l'eternità di un sogno dal quale non avrei mai voluto svegliarmi.
I brevi momenti di risveglio li legai a me con brama quasi infantile: serrai poco gli occhi per non farmi corrompere da una luce che avrebbe ridestato i foschi pensieri, e strinsi al petto le braccia, lasciando che il fioco calore della mia pelle mi dipingesse indosso la dolce protezione di un grembo materno. Ma tutto fu vano, giacché nessuna luce giunse mai tra le fessure del mio sguardo e nessun calore mi venne restituito mai. E ciò, invero, mi causò ancora maggiore preoccupazione.

E' venuto il tempo, infine.

Sfiorai appena il luccichio traslucido dello specchio con pacata delicatezza, tangendone la superfice opaca come se cingessi le trame delicate di una pregiata seta. Il riflesso della mia mano mi preoccupò poco, rifrangendo sulla mia cute pallida con un segno nero e poco armonico che avvolgeva i miei palmi, imperscrutabile ad occhio alcuno che non potesse rimirarlo entro quell'opacità.
Non mi sarei stupito, mai: la dama ancora rimaneva immobile sul suo talamo, mutando anch'essa nella visione onirica che lo specchio tingeva al mondo. Ella aveva plasmato qualcosa: aveva spalancato lo sguardo al mondo per disegnare l'ultima strofa di quella melodia. Ed io ora la potevo sfiorare, toccare e sentire su di me: tanto lei, quanto la melodia. Tanto me, quanto la responsabilità di quel compito: suonare per lei, l'ultima strofa. Mi aveva reso parte del suo sogno, ed io l'avevo reso irrimediabilmente mio.
Al tempo, poi, ella mi avrebbe parlato di quelle ramificazioni oscure e loro significato intrinseco.

Ho bisogno di aver fiducia in lei.

La stanza mi parve poco mutata: il cielo oscuro illuminava d'ombra l'immensità dell'apocalisse, infiammando il mondo in quei suoi ultimi istanti di pace. Rimirai nel nero le fattezze del guerriero e della regina plasmarsi a loro volta ed assurgere al rango di alfieri del divino.
Non mi stupii affatto che li avesse chiamati a se, non tanto quanto mi stupì di non scorgere anche gli altri. Eppure, non era affar mio: le beghe, le insofferenze e le trame segnate non avevan più ragione di preoccupare la mente di una pedina divenuta spia e poi strumento dell'ultimo respiro di vita del creato. Sfiorai la regina con uno sguardo, trattenendomi dal bagnarlo dell'ebrezza di un bacio, per la felicità di rivederla viva. Non potevo: non sapevo se viva lo fosse davvero, o se lo sarebbe rimasta per molto ancora.

...e il mio compito è diverso, ora.

Avanzai piano, con passo fermo, fissando talvolta il cielo ed il potere che si plasmava in vascello.
L'animo forte, in quel corpo malato, avrebbero segnato il mio cammino, sforzando al mio ego di non perdere fiducia negli attimi in cui tutta la mia vita avrebbe tracciato il suo corso, futuro e passato. Dovevo solo apparire forte: sicuro, fiducioso, per una volta nella vita. D'altronde il cuore non poteva cedere, ed altro mezzo non v'era che quello di credermi - credersi - ultimo dei divini, ma primo dei mortali. Alfiere scelto per quel compito assoluto. Il primo dei cavalieri di lei. L'ultimo delle spie di lui.

« ...brutto stronzo... »

Il tono che vibrò dal guerriero parve incrinare appena quella calma apparente che mi sforzavo di circondare attorno alla torre: non potevo negare - non ancora - la titubanza corrotta di una colpa che non avevo del tutto dimenticato.

valzerturno3post12

« Arthur Finnegan... »

Il segno di una lama che trafigge un cranio ancora inquietava la mia falsa risolutezza, ed il mio animo si disperava nell'idea che avrei potuto fermarmi, se fossi stato più forte. Ma non era più il tempo dei rimorsi: il cammino aveva segnato ben più di un perimetro offuscato. S'era dato una rotta precisa, ed il passato integrava soltanto un futuro da combattere ancora, e da guadagnarsi. Per qualche ragione - invero - nelle parole di lui mi parve di ritrovare una qualche consapevolezza di ciò, e non dovetti far altro che assecondarla.

« ...non meriti inutili scuse così come io non merito di risponder di alcuna colpa qui, adesso.
D'altronde convincerti dell'inevitabile ora sarebbe inutile, quindi placa la tua ira per quando avrò modo, e tempo, di darvi credito...
»

Non avrebbe avuto senso negare o tentare di spiegare: brillava la speranza che egli comprendesse, al di là delle parole, l'importanza di un confronto che scemava innanzi all'immensità di ciò che il presente riservava per noi. La consuetudine di una qualche forma di galanteria si mosse piano tra le rovine di Velta, sforzandosi di trovare un cuore, un animo... o un cervello - da qualche parte - tra la matassa di muscoli che disegnava la circonferenza di Finnegan.

« ...Quando tutto sara' finito, hai la mia parola che non mi sottrarrò al confronto... »

Se sarai ancora vivo.

L'allusione era evidente e sapevo che l'orgoglio del guerriero non si sarebbe tirato indietro dal coglierla. D'altronde era già morto una volta ed innanzi alla robustezza di un cuore glorioso che si rafforzava nel sangue dei suoi nemici, egli trascriveva una taciuta legge della spada che - in quel momento - dava e me l'onore e l'onere di decidere quando mai asservire quel patto.
Non avevo più credito per vili ciancerie ed udii appena lo scambio di battute dei due, al cospetto della sommità della torre. Le sentii passarmi attraverso, sfiorarmi l'animo come un vento fresco di tramontana: cingermi appena le membra come una melodia soave, sottesa, che accompagnava l'inevitabile battaglia e che perdeva importanza innanzi ai pensieri che suadevano me ed il mio cuore. Mi bagnai di arroganza, ma non fui pentito nel farlo: fissando il Sole nero in cielo, infatti, rividi il suo occhio, il suo volto, ribadendo il pericolo di una guerra che si apriva innanzi a noi e che non poteva essere raccontata con le parole, in nessun modo.

Il mondo è cambiato: lui lo sta cambiando.

« Ormai siamo tessere di un mosaico che si compie... »

Dissi infine, rigurgitando il peso di una doglianza che mi bloccava l'animo. Il dovere di una spiegazione che ereditavo dalla viltà di una vita trascorsa e che, in passato, mi sarebbe costato lacrime amare e fiumi di discorsi ben più ampi di quelle scarne battute.

« ...strumenti di un progetto lontano, tenuti in vita da nient'altro che dal nostro compito.... »

Sorrisi appena al pensiero delle metafore con cui plasmavo la frustrazione che mi pervadeva: il segno di un gioco unico, uno spartito lungimirante in cui noi avevamo gracchiato tutto il tempo alle esatte tonalità che lui si aspettava, infiammava l'agonia di un ego che si scioglieva piano piano, minuto in minuto. Col quale, però, imparavo a convivere.

« Siamo pedoni della sua scacchiera: il nostro scopo e' avanzare, perche' non possiamo fare altro.
Il nostro dovere, invece, e' vincere, perché e' l'unica scelta che ci resta...
»

Ed il rifrangersi del sole nero, sulle ali piumate della fenice che si stagliava a pochi passi da me, segnarono il tempo dell'ultima figura: di quell'immagine perfetta che identificava, infine, l'inevitabilità della nostra condizione. Avevamo giocato sulla sua scacchiera, come pedoni bianchi dell'esercito avversario: figure anonime, tutte uguali, costrette soltanto ad avanzare e ad andare incontro al nostro destino. Ma il fatto stesso che egli ci avesse condotto fin lì, non poteva non significare che alcune tenui variazioni avessero cambiato il progetto. Se vita c'era ancora, su quella torre in rovina, significava che l'imprevisto, in qualche modo, aveva colto anche l'invincibile sovrano.

« ...l'unica che ci renderà liberi... »

E forse quell'imprevisto sono proprio io.

Salii sulla fenice senza pronunciar più verbo alcuno, mirando l'oscuro sfondo ed i fiochi lampi di battaglia che mi sembrò di scorgere più col cuore, che con lo sguardo: titubanze di una paura crescente che, anche se mi sforzavo di soffocare ogni secondo, riaffiorava comunque il secondo dopo, tradendosi con un labbro appena incrinato e di poco tremolante. La fenice prese il volo nell'attimo esatto in cui imposi a me stesso che il viaggio sarebbe iniziato, macchiandomi - ancora di più - dell'arrogante convinzione che anche lei, come il fato, fosse ormai ai comandi di chi si stava sacrificando per loro. Invero, però, in lontananza i lampi tenui divennero fiamme, come il sotteso profondersi dei venti divennero urla di dolore, e l'oscurità blasfema si disegnò in fiumi confusi di sangue ed interiora. E come una rugosa veggente dagli occhi languidi di dolenza, non mi fu difficile leggere in quella confusa matassa putrescente il tumulto profondo della sconfitta.
I pedoni bianchi languevano, nella loro inferiorità: come l'orda assatanata che lo componeva, l'esercito del re avanzava famelico, reggendosi sui cadaveri dei suoi meschini alfieri. Nutrendosi dell'odore di morte che si lasciava dietro ad ogni assalto vinto.
Il Re germinava sulle carcasse dei Predatori di Neiru

Biechi orchi reggono il tuo cordoglio, maestà.
Com'è caduto in basso il nostro regno...


Null'altro avremmo potuto: non la forza, non la potenza di qualsivoglia magia avrebbe ribaltato quel destino.
In un istante, pensai l'impronunciabile. L'unica via che avrebbe condotto alla speranza, sarebbe stata la stessa dei codardi e dei cacciatori di taglie. L'ombra più nera, la via del fantasma che ero e della viltà che mi ha sempre dipinto, avrebbe condotto il nostro segno. E se non la mente, però, l'occhio avrebbe presto confuso quella bieca tattica, giacché egli avrebbe visto in me il desiderio di vigliaccheria che facevamo nostro.

« Egli vede, attraverso di me... »

Dissi calmo, distaccato: seguitando a fissare l'orizzonte, mentre un lembo inerme di stoffa veniva strappato dalla mia manica per condurre, sul mio volto, il più necessario degli oblii. E continuai lento, giustificando quella mia movenza.

« Se vogliamo raggiungerlo dall'ombra, è necessario che egli non comprenda... »

Non subito, almeno.

Non vedrò il tuo volto, Ray.
Non fin quando non sarò sicuro di raggiungerlo.


E l'ultimo mio sguardo si posò sulle anime cadenti dei predatori, e sul loro ruolo di carneficina.

Sacrificio.
Scalzamento.
valzerturno3post13

Una tattica che al Re non sarebbe stata ignota.
Non fino al momento in cui non fosse arrivata a comprenderla, almeno. La tattica che priva l'avversario delle difese, sacrificando - se necessario - proprie pedine. Condurre l'inevitabile: additare la vittima da sgozzare all'altare della vittoria. Avremmo sacrificato i predatori per liberare il campo di battaglia dall'esercito nemico, facendo agio sulla sete di sangue e di vendetta che forse avrebbe condotto gli orchi a spingersi oltre i limiti della ragione: a perseverare nella loro carica, ben oltre il necessario. Nel mentre, però, la fenice riguadagnò l'oblio, la nera oscurità del cielo, nascondendosi alla vista di chiunque sul campo di battaglia e prescindendo da qualunque carneficina per aggirare il nemico. Per poi, infine, giungere al cospetto del Re solo nel momento in cui egli si sarebbe manifestato.
Confidando, invero, che prima o poi l'avrebbe fatto.

L'Asgradel stava arrivando.

No, affatto.

« Sono io che sto arrivando, Ray... »

valzerturno3post14

Sfogherò la mia determinazione, segnando il confine del tuo mondo:
e ti redimerai.

Sfatai il mio freddo distacco nell'attimo stesso in cui compresi che nessuno avrebbe mirato il mio volto rigato dal pianto, ripensando al manto fiammeggante che ora sostituiva la terra inviolata del Re che non perde mai. Ed in quel frangente, vinto ancora dal rimorso, riempii il nero orizzonte che vedevo sotto quella mia tempranea cecità con la risolutezza di un figlio che si volge al capezzale del padre ormai accecato dalla follia e dal dolore, ringraziando quell'oscurità per celarmi la sofferenza di un Maniero distrutto e di un Borgo vinto. Ma spesso duole più un cuore che non scorge il male che viene fatto al suo corpo.

Sono tornato.



immyspecchietto

ReC:
300
AeV:
275
PeRf:
225
PeRm:
350
CaeM:
225
Immenso:
36%
Alto:
18%
Medio:
9%
Basso:
5%


Corpo: Illeso (100%)
Mente: Illeso (100%)
Energia: 100%

Attive: ///


Passive:

CITAZIONE
La Solitudine - Shakan, nella sua condizione di umano posseduto da un demone ancestrale, ha dovuto isolarsi dal mondo ed esiliarsi da qualunque civilità organizzata: da allora vaga solitario, di villaggio in villaggio, di terra in terra. In questa condizione maledetta, ha dovuto imparare a cavarsela da solo, a non farsi sopraffare da niente e nessuno, a sorprendersi il meno possibile. Per questo è piuttosto abituato a ricevere intimidazioni, minacce, illusioni e scherni. Per questo ha imparato a difendersi da esse ed è quindi parzialmente immune alle influenze psicologiche. Non a tutte, si intende, in quanto la sua natura umana ancora lo tormenta e lo inganna, rendendone il cuore sensibile alle sensazioni più profonde, ma, senz'altro, si lascia intimorire meno facilmente e persuadere con notevole difficoltà. Il timore provocato dalla vista di demoni o possedenti della "Forza del toro", ad esempio, non avrà effetto.Sensazioni profonde come forti paure, o tanto grandi, però, avranno comunque effetto. Quest'abilità è una normale difesa psionica di livello passivo. [Passiva razziale del Mezzo-Demone]

CITAZIONE
L'illusione è complicità. L'abbraccio del demone ha consentito a Shakan di acquisire una notevole attitudine alle illusioni, decisamente superiore a quella di un essere normale. La sua perfetta comprensione delle stesse e la naturale predisposizione farà si che le tecniche illusorie vengano castate istantaneamente, senza alcun vincolo fisico. Basterà il suo solo volere per attivare all'istante qualsiasi delle sue tecniche illusorie.
Naturalmente è necessario un contatto con l'avversario, se non fisico, almeno poterlo seguire con lo sguardo. Qualsiasi tempo di concentrazione necessario però ad attivare un'illusione sarà totalmente azzerato. Inoltre Shakan ha ormai una padronanza tale delle proprie capacità illusiore da essere in grado di limitare al minimo lo sforzo necessario per castarle: pertanto ogni sua tecnica di manipolazione o di evocazione illusoria, avrà anche il costo abbassato del 5%. Se una tecnica scendesse al di sotto dello 0%, il costo sarà automaticamente dell'1%. Questo effetto non è cumulabile ad eventuali altre tecniche di risparmio energetico. [I e II livello del Dominio Illusionista, Passive] Infine, le illusioni di Shakan sono ormai tanto potenti da risultare più autentiche e credibili del normale, paragonabili quasi alla realtà stessa. Per questo motivo, riconoscerle e distinguerle risulterà molto difficile per chiunque, anche per avversari con spiccate doti cognitive o peculiari capacità in merito. Le illusioni di Shakan, dunque, saranno riconoscibili solo con abilità attive, risultando impossibili da distinguere con "semplici" passive. [Personale 1/6, Passiva]

CITAZIONE
Il fantasma è eterno. Attraverso la magia oscura che ha imparato ad utilizzare dopo la fusione con Borgan, la divinità ancestrale che lo tormenta dal profondo dell'animo, Shakan può evocare creature in battaglia di singolare natura. Tale magia, infatti, in quanto derivante da Borgan, è inevitabilmente "corrotta" dal suo potere illusorio: pertanto, tutte le evocazioni di Shakan appariranno del piano materiale come spiriti erranti, immagini fugaci o illusioni spettrali. Le evocazioni da necromante, dunque, non avranno la consistenza di corpi materiali, ma saranno spiriti traslucidi, apparizioni spettrali, in grado, però, di causare normalmente danni fisici o magici a seconda del tipo e classe dell'evocazione. In quanto spiriti, però, saranno intangibili al tatto evitando, dunque, ogni danno fisico, che li attraverserà come se non esistessero, ma non magico. [Personale 3/6, Passiva]

CITAZIONE
Il potere mi ha maledetto. L'abbraccio del demone ha consentito a Shakan di sviluppare una innata propensione verso la magia più oscura, nonostante non abbia mai avvicinato tale potere prima d'ora, scoprendo di riuscire ad apprenderla rapidamente e a servirsene con facilità. Shakan può utilizzare abilità da Necromante. [Personale 4/6, Passiva di Metagame]

CITAZIONE
L'Abiezione. A seguito del contatto ravvicinato col Re che non perde mai, nel pieno della sua ascensione al rango di nuovo essere immortale, indefinito ed eterno, Shakan ne è uscito corrotto nel corpo e nell'animo dal suo potere oscuro, anche più di quanto egli stesso non abbia compreso. Da allora, infatti, la sua presenza spettrale viene percepita ancor più intensamente dai presenti, al punto da tramutarsi in un vero e proprio pavido condizionamento: il suo portamento, la sua voce, le sue movenze - da quel momento in poi - prescindendo da qualunque sua volontà o da ogni suo potere, sono portatori di un sommesso e subdolo sentimento di paura, che i più non possono ignorare in alcun modo. Essi lo temono, tremando ad ogni suo incedere e scuotendosi ogni qual volta lo stesso rivolga loro la parola. Shakan, dunque, causerà nelle vittime inconsapevoli un ammaliamento psionico passivo, ovvero un terrore primordiale tale di chi percepisce indistintamente qualcosa di mostruoso e contorto, turbandosi per la sola sua presenza e definendolo inconsciamente nell'unico modo possibile: qualcosa di a b i e t t o. [Personale 5/6, Passiva]

Armi:

CITAZIONE

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Cupiditas - questo il nome che l'arma ha dato a se stessa - è una katana di foggia a dir poco grossolana. Ha una lama di semplice acciaio mal temprato, impossibile da distinguere da altre migliaia di sue simili. L'impugnatura, la guardia e la guaina sono mutate nel colore e nell'aspetto quando l'Asgradel vi si è riversato impetuosamente dentro: ora mostrano sfumature tra il grigio e l'azzurro, decorate con fronzoli neri. Eppure i suoi poteri sono grandiosi, pericoli mortali tanto per colui che la brandisce quanto per i nemici che egli affronta. La cosiddetta Lacrima dell'Asgradel ha una volontà propria che non si esprime attraverso la manifestazione fisica o mentale di un alter-ego eletto a sua rappresentanza: si tratta più di un volere latente, istintivo, fatto di pensieri riconducibili alla tempesta di vita che domina il mondo stesso. Non è una spada malvagia, ma nemmeno può essere detto il contrario. Semplicemente, può comunicare con chi la impugna tramite un flusso di pensieri fatto di immagini, suoni, colori e sensazioni concentrate in un coacervo indistinto comprensibile solo al predestinato cui è inesorabilmente legata: Shakan "il Fantasma". Nel tentativo di vincolarsi ad un oggetto inanimato, difatti, la volontà suprema ha dovuto aggrapparsi allo spirito più forte che, attraendola a sé, poteva darle maggiore sicurezza di non svanire per sempre. Non può essere separata da lui nemmeno con la forza: qualora venisse distrutta, rubata, cancellata dall'esistenza in un qualunque modo conosciuto a mortali e non, l'arma del desiderio inespresso ricomparirebbe sempre al fianco del suo padrone dapprima come forma liquida - simile a una pozza vivente d'acqua piovana - e quindi ricompattandosi in solido [Malus - la spada può sempre comunicare col portatore ignorando eventuali difese psioniche; Passiva - l'arma è legata a Shakan e non può essergli sottratta].
Cruciatus ~ Infinito tormento del giusto castigo. Quest'arma è nata a causa di Shakan, durante l'ordalia intessuta dal Re Invincibile e dalla Bianca Dama che è passata alla storia come Valzer al Crepuscolo. È stata la volontà stessa del Fantasma a generare la scintilla che poi ha portato un frammento dell'Asgradel ad insinuarsi nella katana; o meglio, è stato il desiderio dell'uomo che ne ha costretto una lacrima - singola goccia di potere infinito - a posarsi sull'insignificante lama d'acciaio di una comunissima spada. Il desiderio, e quello soltanto. Un bisogno di giustizia tanto grande da dominare gli animi più deboli, incatenandoli ad un destino grigio senza uscita. Cupiditas è figlia dunque di quel sentimento, ne è pervasa, sottomessa alla monomaniaca brama del creatore e portatore. La rappresenta, in una certa misura: è come la prova tangibile che quanto accaduto sulla Torre di Velta in macerie non era una pia illusione voluta dai mostri che in essa si affrontavano. Shakan è davvero asceso a divinità, per alcuni istanti. Ne ha assaporato i pregi e i difetti. Ha conosciuto la difficoltà di fare del bene, difendere il giusto dall'iniquo, sostenere la vita; ha potuto tastare con mano il delirio di onnipotenza che conduce alle tenebre della distruzione totale e della morte dei mondi. Per sempre porterà con sé quei ricordi, indelebili nella memoria e non alterabili in alcun modo. Finché vivrà essi saranno motivo di rammarico costante, infinito. Un senso di colpa dalla natura indistinta: li hai lasciati morire, Shakan; li hai uccisi tu; sei diventato come Lui, nient'altro che un'ombra assetata di potere - saranno solo alcuni dei pensieri che potranno attraversare la sua mente, assieme a tanti tenebrosi altri. Eppure in questo incessante tormento il Fantasma potrà non essere solo. Gli basterà volerlo per trasmettere a un singolo individuo le sue paure, il suo supplizio, le sue autoaccuse. In un attimo e per un attimo, potrà condividere ogni ricordo di quella volta (o solo le emozioni ad esso correlate) con una persona a sua scelta, invadendo la mente della vittima con un'onda terribile di ansietà congiunte [Passiva - i ricordi dell'episodio che ha prodotto Cupiditas tormenteranno Shakan e non potranno essere dimenticati o alterati; Media, psionica - Shakan può condividere quei ricordi o le sensazioni ad essi collegate con un bersaglio singolo].

Washi, la carezza del fantasma: equipaggiata braccio sinistro, artigli non estratti;

Riassunto:

Shakan risponde a Finnegan e ad Alexandra, poi sale sulla fenice. Questa viene condotta verso il campo di battaglia, ma tenendosi a distanza, rimane in un punto in cui non possa essere vista. La tattica è quella di far avanzare l'esercito nemico verso i predoni (che stanno perdendo) ed aggirare il campo, andando direttamente su Ray quando (e se) apparirà.

Delle Note:

1) La tattica della fenice è un'idea concordata con Foxy e Kac: è un tentativo di fare "azione di squadra" anche da parte nostra, dato che ci è stata data la possibilità di muovere la fenice autoconclusivamente. Alla fine la tattica la "aziono" materialmente io solo per un fatto di tempistica ed evitare che anche i miei compagni debbano postare ancora. In tal senso, diciamo, è bene specificare che è una decisione presa da tutti e 3;
2) Shakan cambia un pò psicologia: sostanzialmente sentendosi l'ultimo sopravvissuto tende a sentire molto la responsabilità che grava su di lui e si fa forza, sfogando la propria frustrazione solo quando non è più visto. Finnegan e Alexandra sono trattati altrettanto freddamente per non scadere più in facili sentimentalismi, data la difficoltà del momento: oltretutto Shakan teme che siano tornati in vita solo in quanto "strumenti" dell'Asgradel (o di Eitinel), e che, quindi, moriranno una volta assolto il compito (in un modo o nell'altro);
3) Il post non credo sia dei migliori, ho provato anche ad essere più sintetico per non tediare ulteriormente i lettori sull'ormai arcinota psicologia di Shakan;
4) Ho citato tutte le passive di Shakan per intero, dal prossimo post metto solo brevi riassunti;
5) La citazione scacchistica è un modo per integrare la logica di Shakan con quella di Ray e provare a soprenderlo "sul suo territorio": si capisce che Shakan è quasi del tutto all'oscuro di scacchi e tattiche relative, quindi è qualcosa più di scenografico, che altro;
6) Scusate il ritardo >_>

 
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view post Posted on 2/9/2011, 20:13
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Q6Qu7


Spesso si dice che le qualità di un pelleverde si possano comunemente contare sulle dita di una mano.
Il pollice rappresenta la naturale predisposizione alla guerra, l'innata e basilare conoscenza che ognuno di essi ha di come la parte puntuta di una spada o di una mazza debba infilarsi o almeno sfondare il corpo del nemico.
L'indice è la capacità di orientarsi, ossia di sapere sempre e comunque da che parte si trovi il nemico e da quale l'amico.
Il medio è la forza, la bruta tessitura donata ai loro corpi onde renderli massicce ed inarrestabili macchine di distruzione. Resistenti al freddo, al caldo, alla fame e all'acciaio più di chiunque alto.
L'anulare indica l'istinto e la tecnica, qualità marginali eppure essenziali per trasformare un comune animale da macello in un vero e proprio guerriero.
E il mignolo.
Il mignolo è l'intelligenza, ovviamente.

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Chiusa a pugno, stretta in una morsa inesorabile tale da trasformare nocche e giunture in una semplice quanto letale arma da impatto, nessuno noterebbe che li, al margine più scoperto e certamente meno offensivo, la mano possieda anche un mignolo. Un vicolo cieco, una molle parentesi necessaria di protezione, di rispetto per la propria naturale minorità.
Nessun guerriero che sia degno di tale nome se la prenderebbe con un mignolo. Forse con un medio, oppure con un indice, certo. Ma il buon galateo vuole che la delicata arricciatura della mano goda di una inespressa benevolenza tanto in offesa quanto in difesa.
Anche il mignolo dei pelleverde, ovviamente.

Così, quando dalle prime fila lanciate all'attacco alcuni Bugbear presero a rallentare improvvisamente la propria avanzata, rilassare appena le spalle nell'inclinarsi della testa di lato e poi, con imprevista foga, chiudersi a riccio in un coro di urla disperate, nessuno ebbe tanto di che stupirsi. Nessuna leggenda che valesse la pena di essere ricordata si era mai prodigata poi molto a difendere quella specie e neppure ora, ora che i più stupidi fra loro cedevano alle malie di un nemico invisibile, vi fu qualcuno che spese un solo attimo per la loro sorte.
Nel tremito convulso del terreno, nel rovinare in avanti del verde suolo di pelliverde quasi che la terra stessa si muovesse in avanti, il calpestio di mille piedi coprì il trucido suono delle loro grida disumane. Il loro arrancare, storditi, prima a destra e poi dritti in direzione della prima lama hoepriester sguainata verso di loro come unica ed estrema ratio.

" Anogut gaz' hannerig "
"Inutili bestie"

Dunque, nella Battaglia del Tramonto il primo sangue non fu di elfo, ma bensì di orco mentre, uno dopo l'altro, l'intero esercito di Gruumsh si liberava dei propri scomodi mignoli.
E già la prima falange si slanciava in avanti oltre la barriera visibile solo all'occhio attento di un generale; e già i corni del Maniero risuonavano il via libera nell'esaurirsi della stessa alla volta delle prime fila di Neiru, quand'ecco che dall'alto una pioggia di fuoco andò ad abbattersi sulle fila nemiche. Alcuni ricordano che nel rosseggiare della meriggio sembrò quasi che fosse stato il cielo medesimo a lasciarsi sfuggire lacrime di fiamma e di cenere. Preludio dell'inferno, essa calò sui Predatori come piaga divina seminando il panico fra coloro che si erano sporti più in avanti per attaccare.
Perse l'equilibrio l'avanzata elfica. Un critico trattenersi di fiato mentre pallide chiome andavano in cenere, pelli color dell'avorio cadevano a pezzi nel rovente abbraccio della luce. E fra di essi ecco il balzare in avanti dei sopravvissuti, di coloro che nell'agilità e nella forza avevano saputo evitare il peggio. Docili bambini, visi d'angelo, fiere bestie percorse senza pietà dalle cicatrici del Fato. Una silente ripresa il cui brusio rabbrividiva nella eco contratta dei passi di Titani molto più avanti. Di musi scavati nella perfidia della sfida.
Nell'incontrarsi di Verde e Argento, di nero e bianco, fu la colossale carica di Hoggar Barbarossa ad intonare la prima raccapricciante nota. Grido di rabbia, in realtà, orrido latrato di una Fiera cui sia stato negato il primo succulento boccone e allora vada scoprendo i denti ai propri compagni di branco, colpevoli di non aver rispettato la giusta gerarchia. Primo sangue. Prima falcata. Primo fendente. Prima vittima.
Cosa che il fuoco e chi ne era stato a capo non avevano fatto.
Nel ruggire della montagna quale egli era, i predatori tutt'attorno che si disperdevano all'impazzata parevano quasi neve mossa dal vento del suo incedere. Granelli di polvere, cristalli di ghiaccio scompigliati dal turbinare dei suoi immensi passi.

"Hajord , yev hayhoyelov! T’uyl mi tvek’ vor zhamanaky mekusanal !"

" Avanti, maledetti! Non lasciategli il tempo di ritirarsi!"

E più indietro lo sfondare della fanteria pesante, il precipitarsi di ogre e giganti dall'andatura pesante, dalla bruta goffaggine, il naturale ingobbirsi delle loro schiene che li rendeva quanto più simili a massi in movimento mentre con prepotente ferocia menavano fendenti qua e la seminando vittime alla rinfusa. Alcuni ricordano fra di loro di una donna, una bellissima donna dagli occhi spiritati che nelle fiamme e nella cenere avanzava senza pietà alcuna. Dalla sua persona lame d'argento a falciare plotoni in ritirata, dalle sue labbra la brutale lingua degli orchi che latrava ordini, spronava i suoi mostri a caricare, ad attaccare come se non vi fosse un domani.

«Sluiting geledere, sterf roes! Hoekom die hel vandag sal smaak net bloed elf!»
«Serrate i ranghi, feccia moribonda! Perché quest’oggi l’inferno assaggerà solo sangue elfico!»

La leggenda vuole che allora, nel grottesco precipitare all'indietro dei Predatori vittime dell'inarrestabile incudine di Gruumsh, nel sollevarsi di nebbie e mostruosità capaci solo di rallentare ma non di fermare i pesanti passi di quegli esseri invincibili, un grido raggelante fendette improvvisamente l'aria. Uno stridio disumano, una attonita, straziante e al contempo incredibilmente eterea vibrazione tale da far tremare cielo e terra. In un sol attimo ogni Predatore, ogni elfo rimasto fino ad allora inerte o meno alla difesa di una battaglia già volta alla sconfitta, parve inesplicabilmente trattenere il fiato. Movimento comune, riflesso contemporaneo. Nel medesimo istante una fragile tensione percorse tutta l'armata Neiru vibrando elettrizzante da uno all'altro, dal primo all'ultimo, unico essere, per poi giungere infine ad Ashlon, solo per tutti. E di nuovo il suo alzare un unico braccio. E nuovamente il suo tacito comandare senza che occorresse alcuna parola, alcuna espressione poichè i suoi fedeli capissero. Comprendessero.
E poco dopo, nell'esaurirsi di quello stridio lacerante, nell'improvviso risalire da tutto il campo di battaglia di una greve e pesante caligine dal colore della foschia e dal sapore di sudore, un solo mormorio serpeggiò fra le fila di elfi. Un suono armonico, una intonazione eguale, un'esclamazione sofferta. La voce di coloro che non possono parlare.

M5Y78
Moril

L''attimo dopo, un nuovo stridio.
Il torcersi di quella memorabile puntina sul foglio ineffabile del fato.
Poi, il brutale fendersi di nebbie e vapori, il brusco frantumarsi di un fino ad allora invisibile velo calato chissà quando e chissà come sull'intero schieramento di ambo le parti. Ed infine, lama di greve oscurità nella caligine grigio-bruna, nere fiamme d'inferno trapassarono da parte a parte il campo di battaglia dividendo con un unica proverbiale linea Gruumsh e Neiru. Un muro calato dal cielo, generatosi dal nulla e nel nulla proclamatosi salvatore di coloro che in silenzio avevano saputo credere in lui.
Dal nero ricordo di un incubo, la Fenice sbucò improvvisamente dalla foschia generata da Ashlon. Spalancò in un vortice d'oscurità le sue immense ali e, assordante, proclamò ancora una volta il proprio arrivo con un fischio raggelante, nere lingue di fuoco che nuovamente si schiantavano sul campo di battaglia seminando morte e distruzione da entrambe le parti. I racconti la descrivono con le sembianze di una demone infernale, di una bestia d'ombra o, talvolta, come la mortale concretizzazione di un Dio vendicativo destatosi e tornato a nuova vita in un folle miscuglio di rabbia e disperazione. Potenza, nella sua più semplice e distruttiva essenza.

di-NI36
Moril
forse...

Ali da demone, corpo di drago, come un angelo della morte ella planò sui più inermi e mietè fra di loro la propria ira immortale. Nessuno parve notare ciò che ella trasportava con sé. Quei due o tre mortali che, più grandi ed al contempo più piccoli di tutti gli altri, sostavano su suo dorso come invisibili spettatori della scena. E come avrebbero potuto? Esiste altro nello sguardo di colui che vede la morte scendere dall'alto? Nel nuovo, lacerante, grido della fenice, il terreno ai piedi di orchi ed elfi ebbe un improvviso sussulto, un grave quanto inavvertibile creparsi da cui, bisbiglio inudibile, parve poco dopo sgusciare un ansito incolore. Uno fra molti, solo fra tanti, Ashlon si lasciò sfuggire un vago sorriso. Ed allora ogni ombra del terreno di battaglia smise inaspettatamente di seguire i movimenti del proprio portatore. Contemporaneamente, il mondo riflesso sul terreno si bloccò lasciando che solo quello sovrastante continuasse liberamente il proprio corso.
Un nuovo sibilo, un nuovo fruscio.
E l'attimo dopo dal terreno già gonfio di sangue e dolore presero lentamente a sollevarsi scuri esseri senza forma e senza apparente consistenza. Sagome scure, volti torbidi, arti contorti. Nubi scure fasciate di un vitreo riflesso di realtà. Nebulosi ricordi di vite. Ombre, forse.
Le Ombre di Eitinel. I suoi preziosi incubi, in realtà.
Dall'alto il nuovo, mortale, richiamo della Fenice. L' inesorabile, perentorio, ordine dell'Asgradel.

Avanti. Avanti.
In nome di Moril.


di-2U50





Prima di descrivere quanto accade e non, vorrei ricordare una specifica: l'andamento della guerra di questo secondo turno non è già prestabilito. Che sia una fazione o l'altra a vincere dipende in larga misura dall'operato dei partecipanti, dai loro errori e dalle loro azioni che ovviamente influenzeranno quanto fatto.
Detto questo.
L'avanzata degli orchi coglie, come prevedibile, gli elfi impreparati sia per potenza che per brutalità. L'azione di Tristan sbaraglia le fila ancora prima che Hoggar, capofila della carica, sfondi le linee nemiche. La falange più debole dei novizi e dei fiori recisi viene facilmente contrastata. Tuttavia i bugbear lanciati all'assalto al posto che sfondare "in avanti" sfondano " all'indietro " poiché la barriera psionica eretta non viene distrutta. Questa decisione è dovuta al fatto che Viktor utilizza la tecnica del dominio metamagia per dissolverla, ma il dominio metamagia è in grado di contrastare effetti magici che abbiano almeno una manifestazione fisica, non psionica. Da parte mia posso dire di aver peccato nella chiarezza del riassunto, ma nel post Viktor si accorge della barriera non per qualcosa di visivo ma per l'effetto sugli orchi. Tanto la contraerea elfica quanto quella dei pelleverde( capitanata da Tristan) continuano indisturbate dando modo a Rekla di aggiungersi alla generale mischia con un attacco diretto e abbattere la barriera magica. La sua scorta perde 5 cacciatori nell'azione.
La battaglia parrebbe a senso unico senonché giunge la Fenice dell'Asgradel. Prima del suo arrivo Ashlon erige una sorta di "velo" di nebbia per coprirne l'ubicazione e rendere difficoltoso il combattimento sul campo di battaglia ( essa colpisce tanto gli orchi quanto gli elfi, ma i secondi hanno più possibilità di destreggiarsi essendo dotati di sensi più sviluppati). La prima azione della Fenice è quella di sparare una lunga fiammata (amaterasu) nel centro esatto dello scontro colpendo, dunque, insieme ad elfi e orchi anche Rekla e i suoi. La potenza dell'attacco vale come Critico. Di seguito a questo essa inizia a volteggiare a bassa quota sul campo sparando a destra e manca altre fiammate ( non della stessa potenza della prima. Medie e Alte). In particolare, essa cercherà di accanirsi sulla barriera istantaneamente eretta dagli sciamani orcheschi contro i suoi attacchi magici. Come quella elfica, la barriera regge fino a due mortali ed è del tutto simile ad una cupola che circonda le fazioni più "deboli" o preziose come sciamani e Hoepriester. Aiutando la fenice la si potrà sfondare. Oltre a questo, dal terreno le ombre di tutti i partecipanti al conflitto prendono vita divenendo delle vere e proprie creature in forma solida. Si tratta dei sogni di Eitinel varianti da energia Bianca ad energia Verde, per ora. Forme e stazza sono a libera descrizione, trattandosi per definizione di creature abili di assumere qualsiasi aspetto desiderino. Queste combattono solo con attacchi fisici.
Approfittando della confusione generale, un grosso manipolo di Costruttori si scosterà dalle retrovie per attaccare sul fianco sinistro. Il loro obiettivo è quello di aggirare il grosso dell'esercito e premerlo più verso il centro dove la Fenice, le frecce e le manifestazioni magiche continuano ad imperversare maggiormente. Essi avranno con sé i propri famigli che, come ricordato, sono bestie dalla potenza temibile.
Dall'altra parte, gli orchi proseguono l'assalto, mandando alla carica anche i Giganti, usati come veri e propri arieti fra le fila elfiche. Pur resistenti di propria natura, sarà necessario fornir loro una qualche protezione altrimenti ben pochi potranno giungere in profondità nell'esercito elfico. Iniziano a muoversi anche i barbari, concentrati però su un attacco laterale. Come da descrizione, i barbari possono andare in furia immortale. Le ombre si dirigeranno un poco ovunque, mietendo random vittime. Per loro natura, tuttavia, esse vengono naturalmente attratte da fonti di magia potenti. Se lasciate libere di vagare alla cieca esse sono una minaccia modesta. Se catalizzate o capitanate ( esse rispondono agli ordini come se fossero cani addestrati ) divengono molto più pericolose. . Oltre a questo, sarà necessario occuparsi della Fenice, per ora il pericolo più grande presente sul campo di battaglia. La sua potenza è pari ad una energia viola, e l'unico modo di affrontarla è aspettare che ella passi radente al campo per "sputare fuoco". Pur non potendola abbattere, le si può impedire di "soffiare" colpendola con un attacco abbastanza potente o distraendola con un diversivo plausibile. Su questo lascio piena libertà salvo dire che è importante ostacolarla. Sarà anche possibile saltarle in groppa per un limitatissimo periodo di tempo, ma fate ben attenzione alla sportività. Ultimo appunto. Sul campo di battaglia è calata una nebbia magica castata da Ashlon.

I tempi di risposta rimangono gli stessi, compresi i due giorni max di proroga. Scusate invece per il mio ritardo nel postare, spero di non aver commesso troppe imprecisioni.
CITAZIONE
Levrosin ur Peròl | Sussurro dell'Ade: Dopo qualche secondo di ferma concentrazione e il lento intonare del canto del Bacino corrotto, Ashlon richiamerà attorno a sé le fluttuanti anime dei Predatori di Neiru. Tutti riuniti, un debole coro di sospiri, essi si rappresenteranno in una densa nebbia che, lentamente, andrà a coprire tutta l'area circostante. Questa, densissima e creata grazie ad uno stile assai elaborato, risulterà cento volte più impenetrabile di qualsiasi altro tipo di nebbia, tanto che sarà praticamente impossibile tanto per l'avversario, quanto per il caster, scorgervi attraverso. La nebbia si estende per un ampio diametro e dura due turni compreso quello d'attivazione, svanendo al termine del secondo turno, o al volere del caster. [Pergamena Verde. Consumo Medio]


 
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J|mmy
view post Posted on 5/9/2011, 00:59




Ragnarok
D a w n o f t h e p h o e n i x

United we stand
Divided we fall


“Combatti”, ti dicono, “lotta per ciò in cui credi”, ti esortano.
Combattere, ma combattere per cosa quando ogni tua speranza è sfumata nell’oblio più profondo? Combattere per chi quando persino il tuo nome ti appare sfocato e rarefatto, sottile come un minuto filamento di paglia secca, pronto ad avvampare in un istante, un singolo istante, prima di spegnersi solo come solo aveva osato ribellarsi.
“Lottare”, parola saggia, audace, coraggiosa, eroica. Una parola adatta a cavalieri e nobili d’alto lignaggio, uomini che del proprio orgoglio hanno fatto un monito invincibile, coprendosi di timore altrui ed abbigliandosi d’onore e floride virtù, di fermezza e iridescenti armature, munendosi di tutto ciò che possa ferire.
Ma a quanto giova una corazza, quando il peggiore dei mali è la coscienza?
Come puoi affrontare qualcosa che neppure la tua mente scorge in un’immensa distesa di pallida bruma?
Semplicemente non puoi, poiché non v’è peggior nemico di se stessi.

WZDxz


Ma lei lo avrebbe fatto ugualmente;
vuoi perché priva di reali alternative, o solo perché stupida, folle, fiera come pochi persino di quegli orgogliosi signorotti. Non era una nobile, lei, né un generale o una guerriera, lei, ma sarebbe rimasta in piedi comunque, lo avrebbe fatto senza ragione alcuna, ma lo avrebbe fatto a costo della vita stessa, fino allo stremo.

Combatti per ciò in cui credi, Rekla!
Ma tu in cosa credi?


La torbida puledra del nord impennò vertiginosamente, troppo perché la ragazza potesse impedirlo, sobbalzando convulsamente verso l’alto. Rekla tentò invano di spingersi fino alle briglie, ma queste le sfuggirono e venne letteralmente sbalzata di sella. Quando riaprì gli occhi, ciò che vide fu solo corpi ammassati gli uni agli altri, carne maciullata mista ad altra intenta ad esserlo, pezzi di pelleverde sparsi qua e là dove solo terra arida ed erbetta secca un tempo dimoravano pacifiche. Il mondo come lo aveva sempre conosciuto era cambiato, deturpato dalla volontà di un sire e del suo eretico di turno, sfigurato dalla mera inconsapevolezza di fedeli all’oscuro di ogni volontà del loro assurdo dio, segugi pronti a morire per la parola “gloria”.
Ma lei, della gloria, ricordava a malapena il significato, ben che meno il valore.
No, Rekla Estgardel non cercava la gloria – non avrebbe saputo che farsene, dopotutto – no, lei cercava il potere. Il potere come pochi avrebbero mai potuto dir di conoscere, il potere in ogni sua sembianza, in ogni sua sfumatura, il potere dell’essere uno.
E, per averlo, avrebbe ucciso ancora, e ancora, e ancora, e ancora.
Il bramito della puledra la colse alla sprovvista, il raccapricciante verso dilagò nel caos come un fulmine nella tempesta, dimenandosi fra clangore d’armi e ruggiti di bestie.
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«No!» fece appena in tempo a sussurrare.
Fu la battaglia, la stessa in cui lei – la Nera Signora – aveva deciso di condurla al proprio fianco, scelta che si rivelò pessima: le fu addosso in un momento, ne ignorò gli strazianti lamenti di dolore, la travolse e la ingerì quasi fosse un’immonda belva dal manto olivastro. Cleopatra svanì nella calca, i suoi vagiti si chetarono, le sue morbide spoglie corvine si dispersero nel frastuono.

United we stand
Divided we fall


«No…» ripeté sconvolta, mentre quanto rimaneva dei suoi ricordi si dileguava con la stessa fuggevole grazia della foschia che, adesso, calava funerea sui loro scalpi, come a voler rimarcare il triste compianto di quell’ennesima, tragica perdita.

Combatti per te!
Combatti per la tua vita!


Abbassò lo sguardo, rassegnata, sfiancata, stremata, sconfitta.
Come se l’intero suo corpo fosse oramai privo di vita, cadde in ginocchio, la lama ancora in pugno che urtò il terreno, le braccia molli adagiate al suolo riarso, inerme nell’infinita mistura d’urla e fragori, incessante andirivieni di grugniti e tamburi. Gli orchi stavano avanzando, ma non sarebbe più stata Rekla a guidarli nel loro stupido suicidio.

~~

«Non lo senti? Non percepisci la rabbia che ti logora?»
Ancora una volta quella voce, ancora una volta quel terribile incubo.
«Perché ti ostini a resistermi? Perché non comprendi il mio volere?»
Non più monti racchiudevano quelle parole, né pungente vento scandiva il loro tono mellifluo. Questa volta ogni sussurro, ogni sibilo, ogni tentazione scorticava uno strato d’anima oramai troppo superficiale perché perdurasse ignoto. Questa volta era il suo cuore a parlarle, concretizzando la volontà di ciò cui – in verità – aveva da sempre anelato. Il sapore della sconfitta era amaro tra le labbra, l’opaco velo del diniego troppo esile ai suoi occhi, ove solo acquiescenza e sottomissione rimanevano vividi e pulsanti come fari nella notte. Il potere era tangibile, adesso, mentre la furia montava prorompente oltre ogni dire e la collera si ritraeva unica guardiana per la sua incontrastata realizzazione.
«Rendici uno!»


~~

Un gelido brivido le percosse la schiena madida di sudore, le gambe parvero ritrovar forza, premettero vigorose sul terriccio, si distesero con incredibile leggerezza. Il capo ancora chino, lo sguardo assente e vacuo, le iridi ombreggiate appena da una sottile patina color perla e il petto procace paradossalmente immobile. Parve persino che la Nera non respirasse affatto, che colei che s’era appena rialzata fosse qualcuno di ben diverso da colei che aveva riversato al suolo.
Ed invero fu esattamente così.
Rekla Estgardel si spense. Come il sole al diramarsi del crepuscolo, la cacciatrice lasciò che l’ombra ne cingesse l’anima già putrida e nera, che il buio l’avvinghiasse nella bieca costrizione del dolore, che le tenebre ne riproducessero il volere al flebile e malsano protrarre di dita.
Il braccio si sollevò quasi inconsapevolmente, il polso si distese e l’indice della destra si drizzò come ad indicare un punto remoto.
La scorza prima pallida della perfida fanciulla assunse ora limpide opalescenze argentate, che fluirono all’esterno come sangue che umetta una ferita mai rimarginata. L’ammasso di mercurio prese forma accanto a lei, dunque s’ingrossò ancora, e ancora, e poi ancora. Cicatrici e ganci si tracciarono evidenti sulla superficie purpurea, che lentamente iniziava a tramutare in organica e putrida polpa di cadavere; pezzi di pelle rancida si fusero gli uni agli altri con palese dissonanza, tessuti ed organi sbocciarono laddove quest’ultima non giunse a sufficienza per coprirli; un’immensa stazza di due metri o poco più, infine, si erse fra i solidi crani orcheschi, torreggiando su loro come fossero miseri puntini sul suo possente incedere.

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Constantine prese vita, non più fiacca immagine d’una mente brutalizzata – benché asservito alla brama di colei che ne aveva schiuso il sigillo – ma pura consistenza di un odio senza pari, figlia di dolore, madre della sua stessa corruzione.
L’aborro si erse in tutta magnificenza, rigonfio, nauseabondo, agghiacciante e rozzo. Fu in quella statuaria postura, lievemente ingobbita dalle catene che strattonavano i capezzoli e dall’esorbitante peso dei propri flaccidi muscoli, che la cascata di fuoco lo raggiunse, investendolo delle stesse fiamme che un tempo lo avevano forgiato, suggellando un legame che adesso come mai penetrava il fievole confine dell’umana ragione. Proteso sull'evocatrice, scavato da decine e decine di strinature nerastre, l'energumeno ringhiò al bruciore lancinante, allo strazio ed al dolore che non furono che tediose carezze sulla sua pelle logora, bozzolo che ben peggio aveva sorbito nella sua spicciola esistenza.

«Voi!» bofonchiò la creatura, tuonando cupa in direzione del plotone di barbari che progrediva verso destra «Proteggete i giganti! Svelti!»
La voce rauca le parve quasi familiare, come se quest’ultima l’avesse da sempre accompagnata, cullata in truculenta oscenità, istruendole una ferocia che in pochi potevano realmente asserire d’aver visto.

Constantine
Il Demone Bastardo

D’un tratto, tutto le fu più chiaro. Quelle catene, quella sudicia creatura mugugnante al suo fianco erano un monito, forma e sostanza di ciò che in cuor suo aveva solo ed eternamente disdegnato, ora unica e indissolubile parte di sé, aberrante parto di demoni e vampe portato al compimento per il mero piacere di tormentarla ed imprigionarla al contempo.
Improvvisamente ricordò t u t t o.
Ma era tardi, troppo perché potesse ribellarsi. L’unica cosa in rivolta fu il suo stomaco, mentre il resto del corpo muoveva scioccamente all’obbligo di ordini cui non aveva più alcuna possibilità di sottrarsi.
La foschia s’infittì. Da lontano, echi di nenie dimenticate s’insinuarono tra i due immensi contendenti, compattandoli gli uni agli altri, custodendoli in un fallace involucro di nube color piombo.
Che fosse opera della Fenice?
O semplice pulviscolo provocato dalla marcia dei pelleverde?

Di lì a poco, la luce riaffiorò assai debolmente nella battaglia. Rekla scattò di fianco, allungò la lama corvina verso il torace di due Predatori intenti a squartarla: scivolò di lato schivando il primo attacco, torse allora il busto e menò un secco fendente alla coscia del primo Novizio che capitolò tramortito; giunse il turno del secondo, dunque, cui la Nera – incombente – mozzò dapprima il braccio armato, per frustare poi una ripida scudisciata diagonale che aprì il torace dell’elfo dalla spalla all’inguine in un singolo colpo.
La morsa del Gruumsh non osò frenarsi.
Da carne al macello lottavano...
... da carne da macello sarebbero morti.

Iniziò quasi ad ammirare il fegato di quei fetidi pelleverde, un popolo oltremodo selvaggio, proprio come le piaceva. Se era destino che cadesse tra quelle sozze carogne, lo avrebbe fatto con orgoglio, invero, poiché non v’era essere più simile a Rekla di un orco in preda all’ira.

«Non lasciamoli respirare! Spingeteli dai fianchi!»
Ululo di obbedienza, col quale gli orchi risposero meccanicamente.
Ma qualcosa che neppure la Nera Signora avrebbe potuto predire prese a vivere proprio tra le loro serrate fila.

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Ombre… dannatissime ombre!
Vide i corpi lividi dei goblinoidi dimenarsi e fondersi a quelli color pece dei loro stessi, inverosimili riflessi. Il caos li fagocitò uno ad uno, ingannati come furono da qualcosa che neppure il più astuto di quell’inutile feccia avrebbe potuto avvertire.
La generalessa reagì con istinto. Fece appena in tempo a sollevare due dita perché dal terreno sgusciassero minuscoli arti lacerati dai vermi, dilaniati dal tempo: cadaveri, putridi e lerci senzavita che scattarono alla volta delle ombre più prossime divorandole disumanamente.
Dapprima fece sì che il resto della propria scorta, i due Hoëpriester e i tre Barbari, venisse divincolato. Poi mandò quest’ultimi in direzione delle tenebre più lontane.
Se l’Asgradel credeva di poterli fermare con degli stupidi incantamenti, avrebbe presto riscosso un’amara realtà.
Una cosa, tuttavia, era più che certa:
se il nemico era ricorso a simili artifizi, significava che temeva la loro avanzata;
e se il nemico temeva la loro avanzata, allora, doveva voler dire che la fine era per lui oramai imminente.


~

«Tu eri un modello di perfezione, pieno di sapienza, perfetto in bellezza.
Eri come un cherubino ad ali spiegate a difesa;
io ti posi sul monte santo di Dio, e camminavi in mezzo a pietre di fuoco.
Perfetto tu eri nella tua condotta, da quando sei stato creato, finché fu trovata in te l'iniquità.

Crescendo i tuoi commerci ti sei riempito di violenza e di peccati;
io ti ho scacciato dal monte di Dio e ti ho fatto perire,
cherubino protettore, in mezzo alle pietre di fuoco.»



CITAZIONE
Rekla Estgardel
La Nera Signora

Stato Umano
ReC 225 | AeV 175 | PeRf 275 | PeRm 375 | CaeM 175

« Energie: 85 - 33 - 2 = 50%
« Status fisico Rekla: illesa.
« Status fisico Constantine: danno alto da ustione sparso in corpo.
« Armi: Constantine • sfoderata; Dolore e Sofferenza • riposta - riposta


~ ~ ~

C o r r u z i o n e

Attiva
Il dono dell'inferno è un gauntlet - un guanto d'arme - che ricopre il braccio del portatore dalla punta delle dita alla clavicola, di diamante nero e acciaio scuro, pregno dei peccati di chi lo indossa e di tutti i suoi lati più perversi. Una maledizione che è ora in mano a Rekla, in grado di dare forma alla sua parte più profonda ed oscura, materializzandola accanto a sé e incatenandola al proprio servizio. Spendendo un consumo pari a Critico, infatti, ella potrà evocare una creatura mostruosa e grottesca; un costrutto umanoide di carne e pelle, alto un paio di metri, dalla corporatura robusta e il ventre rigonfio, lunghe braccia culminanti in mani artigliate e il corpo ricoperto da visi, piccole braccia e ossa dei disgraziati che l'hanno composto. Benché all'apparenza possa sembrare goffa e rigonfia, tale creatura sarà caratterizzata da una potenza strabordante; una forza che solamente l'evocatore sarà in grado di controllare. La schiena del colosso, infatti, sarà cosparsa di ganci che tireranno la sua pelle, connessi a lunghe catene che termineranno proprio nel Gauntlet: tramite di esse Rekla potrà controllare i movimenti del mostro, tirando i lacci per impedirgli di avanzare o trattenerlo, e rilasciandolo per permettergli di dare sfogo alla propria furia. Il costrutto sarà infatti contraddistinto da un'implacabile brama cannibale nei confronti dei propri avversari: un'ira che manifesterà con continui gemiti e grida, a meno che il suo evocatore non lo ammonisca altrimenti. In generale, le catene sono abbastanza lunghe da permettere al mostro di muoversi liberamente, ma Rekla può decidere di allungarle o ritirarle a piacimento, per avere un controllo più diretto sul comportamento dell'abominio. La creatura resta in campo per due turni compreso quello d'evocazione e conta come un'evocazione di potenza alta di un livello energetico inferiore a quello del proprio padrone [Tecnica di evocazione di potenza critica].

Ira: Ciascuno di noi si identifica solitamente con la parte educata e razionale di sè e rifiuta di riconoscere come propria la parte passionale, della cui attivazione è responsabile "l’altro". É sempre qualcuno o qualcosa che ci fa arrabbiare...
In realtà, la rabbia è una passione che fa parte di noi e che dovrebbe indurci a guardarci dentro con più attenzione. Se qualcuno ci fa arrabbiare, infatti, significa che in noi c’è qualche cosa di irrisolto, una disarmonia. In caso contrario non ci arrabbieremmo, ma affronteremmo la difficoltà con calma, moderazione e logica. Invece tutti abbiamo sempre qualcosa che ci fa sbandare, perdere il controllo, perchè tutti abbiamo delle intolleranze, delle debolezze o qualche vecchia ferita non completamente rimarginata. Spesso infatti quando ci arrabbiamo non è per il fatto contingente, ma per qualche cosa d’altro, di più “antico”, dimenticato forse. E così, la classica “goccia che fa traboccare il vaso” ci fa esplodere. Cosa fare allora? Reprimere la rabbia? No. Essa, come le altre passioni, è una dinamica del corpo che lo danneggia sia quando è eccessivamente compressa, sia quando è scatenata senza limiti. Ma Rekla tutto questo lo sa già. Dopo qualche secondo di ferma concentrazione, infatti, il Cerbero sarà in grado di canalizzare una parte consistente della propria rabbia e potrà richiamare a sé una piccola e indefinita quantità di creature che, gioiose e goliardiche come non mai, si lanceranno contro il proprio avversario nel tentativo di circondarlo e arrampicarsi sul suo corpo, attaccandolo e ferendolo con zanne e artigli. In realtà, il semplice e mero contatto con questi piccoli demoni provocherà all'avversario piccole necrosi alla pelle, che inizierà a marcire e cadrà lui dal corpo. I diavoletti così evocati spariranno dopo aver compiuto il loro dovere - provocando un danno totale pari al massimo a quello di una tecnica Bassa - o al termine del turno, tornando nel piano dal quale erano stati richiamati. Consumo di energie: Basso.


Passiva

La connessione tra l'evocatore e il mostro è molto più potente di quella che potrebbe mai avere con qualsiasi altra delle sue creature. Loro sono la stessa cosa, divisasi solamente con l'obiettivo di distruggere il proprio avversario. Per questo, i loro corpi sono legati insieme non solamente dalle mere catene che fuoriescono dal gauntlet. Nel caso in cui Rekla dovesse subire un danno provocato dal proprio avversario (e non autoinflitto tramite tecniche o atti impulsivi) ella potrebbe decidere di suddividere tale ferita e farne subire la metà esatta al proprio colosso, che griderà, alimentando la propria furia. Esemplificando, se Rekla dovesse subire un danno Medio, ella potrebbe decidere di prenderne solamente uno Basso, facendo sì che il mostro, tuttavia, subisca anch'egli un danno Basso. In poche parole, potrà smezzare qualsiasi danno rivolto alla propria persona, purché l'evocazione sia già presente sul campo. Viceversa, potrà anche decidere di suddividere i danni rivolti all'evocazione, subendone la metà, poiché i due non sono che diverse emanazioni dello stesso corpo [Tecnica passiva].

Incisione del B a s t a r d o I - II - III:
- Possibilità di caratterizzare una delle proprie armi da mischia con un particolare orpello (una runa, un simbolo, o una scritta). Quell'arma - e solo quella - potrà in qualsiasi momento innescare i poteri del dominio. Grazie all'incanto, inoltre, essa risulterà impossibile da distruggere nonostante gli attacchi che le potrebbero venir mossi. (I)
- Possibilità di caratterizzare una seconda arma tramite l'incantamento, anche una a distanza, anche se in questo caso dovranno essere incantati i proiettili. Le armi (e i proiettili) incantati potranno in qualsiasi momento innescare i poteri del dominio. Grazie all'incanto, inoltre, risulteranno sempre affilatissime e incapaci in alcun modo di perdere le proprie capacità offensive, oltre che indistruttibili. (II)
- Grazie all'incanto, si aggiunge un terzo effetto alle armi incantate, rendendole permanentemente prive di peso per quanto riguarda il possessore del sigillo. Ogni altra persona percepirebbe il peso reale dell'arma. Inoltre, non potranno neppure essere sottratte al portatore, e in alcun modo rubate. (III)


-Gola: Rekla raggiunge il successivo livello dell'Incisione del Bastardo. (Livello III)

-Superbia: Essendo innamorata di se stessa e di una forse inesistente superiorità, la giovane ha coltivato un carattere duro e scorbutico che non ispira affatto fiducia in chi la affianca ma, talvolta, insinua un timore lieve che però non ha alcun effetto contro i demoni o gli individui di livello superiore.

-Terzo Vizio dell'Animo|Ambizione: Che sia negativa o positiva, l’ambizione - così come la sua assenza - sottende tutte le azioni umane malvagie o meritevoli che siano. L’ambizione sfrenata può portare all’insoddisfazione perenne, a cambiare schizofrenicamente campo di interesse o obiettivo pur di avere una nuova vetta da scalare, mentre un’accezione positiva di questa attitudine psicologica può coincidere con una sana spinta a migliorarsi e non accontentarsi, a superare i propri limiti. Rekla Estgardel è forse l'essere più ingordo e privo di scrupoli del pianeta, pericoloso e raggelante nell'infinita contaminazione della sua mente. E' proprio grazie a quest'incessante bramosia, però, che la Nera Signora è riuscita a cogliere frutti misteriosi ed unici, rari e preziosi come le più pregiate ricchezze del mondo. In termini pratici, ella è in grado di usufruire delle capacità di una seconda classe: il ladro. A tal modo ciò potrà senz'altro spalancare alla regina dei morti molteplici vie ad un'innumerevole quantità di attacchi e strategie, tutte indubbiamente mirate a stroncare sul nascere l'esistenza del malcapitato avversario.

-Nel ricordo del dolore, l'unità di un cuore spezzato: indifferenza al dolore; pur provandolo, il portatore non si farà influenzare da esso.

-La comprensione del dolore, così da annientarlo: auspex passivo che si attiva una volta che il portatore viene ferito sia fisicamente che psicologicamente. Egli diverrà in grado di determinare l'esatta posizione di chi ha fatto partire l'attacco.

~ ~ ~


Note • ok, è probabilmente uno dei peggiori e difficili post mai scritti, quindi sarò conciso nelle specifiche:
- dopo una serie di fisime mentali, Rekla evoca (come prevedibile) il Dono;
- Constantine si frappone fra Rekla e il fuoco, protendendosi sulla prima e schermandola dall'intero alto (per il momento);
- il Dono parla ai Barbari di destra, ordinando loro di arretrare a supporto dei Giganti in pieno sfondamento;
- ho implicitamente descritto un lieve diradarsi della nebbia di Ashlon poiché gli sciamani, su propria iniziativa, se ne occupano coi loro incanti;
- una volta evocato, Constantine rimane in campo sbaragliando larga parte dei nemici in preda alla furia cieca;
- in termini di posizione, Rekla non è minimamente avanzata, anzi. Se proprio vogliamo essere specifici, la sola generalessa è addirittura lievemente arretrata;
- infine, la Nera evoca un indefinito quantitativo di demoni non-morti di potenziale basso a sostegno di sé e della propria scorta nell'abbattimento delle ombre. Come detto da Eitinel, sette di queste compongono un basso, ergo non dovrei trovare alcun problema nel liberarmene.

Credo di aver detto tutto e di aver rispettato i dettagli del caso, ma in eventualità contraria me ne scuso profondamente.
Certo è che, se non muoio arrostita, sverrò prematuramente per assenze di energie. :v:
A voi, come sempre.^^
 
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Lenny.
view post Posted on 5/9/2011, 13:13





"Sul crudele dio dei soldati
giuravano i reparti,
la multiforme testa sbattevano a terra.
E il sangue si accendeva, venando le tempie.
I pugni stringevano il ferro con fame
."



I fanti continuarono a calare. Grappoli di picche come selve oblique spuntavano tra i ranghi disordinati, mentre il vento trascinava foschia opaca su uomini, elmi, armi.
DRUM! DRUM! DRUM!
L’intero campo di battaglia era offuscato da quella bruma livida. I sipari lividi si distesero lungo l’intera landa, risalendo i pendii, strisciando oltre i soldati. Propaggini evanescenti si spinsero fino al castello.
Niente più terra del Re, niente più esercito del Re, niente più battaglia nell’ultima valle della terra. Ogni cosa inghiottita dalla barriera opaca. Un’esalazione frutto di chissà quale oscura fattura, Viktor non avrebbe saputo dirlo. A lui del resto non importava. Poteva avvertire l’essenza vitale di ogni essere nelle vicinanze: la vista binoculare era ridotta ad accessorio puramente facoltativo.
Fu qualcosa d’altro ad attirare la sua attenzione. un punto luminoso lassù, nel cielo.
Qualcosa che su quel campo di battaglia non avrebbe mai dovuto esservi.
Gli orchi al suo seguito blaterarono qualcosa con versi disarticolati, gutturali.
Il Beccaio strinse gli occhi sino a ridurli a due feritoie rosse.
Non era l’alba, ad avanzare. Ma il mostro sbagliato apparso nel posto sbagliato, al momento sbagliato.

Fenice.
Una sorta di uccello-rapace splendente nel cielo, come avvolto dalle fiamme.
Viktor non distolse lo sguardo da quella specie di avvoltoio. Continuò a stringere la fiasca di acquavite nella mancina. A stringere e stringere e stringere, dita contratte ad artiglio.
La fenice. Creatura leggendaria e incredibile, destinata a risorgere dalle proprie ceneri. Millennio dopo millennio, distruzione dopo distruzione.
Viktor sapeva che era impossibile spremere fuori gli incubi, dalla fiasca. Figurarsi altra acquavite.
La fenice scrutava al di sotto, nel baratro sanguinolento della battaglia. Sussultante cornacchia alata defecata da qualche racconto demente. O dal nemico, forse. O dall’Asgradel stesso, probabilmente.
La fiasca vuota si accartocciò, per poi ricadere al suolo.

Il colossale volatile planò sulla landa, diretto al maniero del Re che non perde mai. Spalancò il becco, luce abbagliante di un arcangelo sconosciuto che si dilatava sull’ultima valle della terra.
Per prima venne la folgore
Scese dal cielo, frutto vorticante di un essere leggendario. Si abbatté sulla terra, luce bianca, accecante, pulsò al centro del mattatoio. Cancellò il cielo, inghiottì il livore esalato dal suolo.
Poi arrivò il tuono.
Rotolò lungo le file, varcò i corpi, fece vibrare la terra. Il tuono fu udito dai vivi e dai morti. Una conflagrazione immane, impatto all’esatto confine tra i due schieramenti.
Ultima fu l’onda d’urto.
Parve spaccare la terra in due, devastando ogni soldato, di ogni esercito. Un’unica, immane esplosione terminale. Al confronto del ruggito di quella furia, l’imperversare della battaglia parve un patetico belato.
DRUM! DRU..
Il tamburo andò in briciole.
Il petto del tamburino esplose.
Anche l’intera prima linea di orchi, elfi, soldati, mostri, esplose. Sangue volava come acqua sorgiva, corazze demolite, facce annientate. Fuoco sibilò negli spazi tra i corpi, mentre i soldati nella seconda linea roteavano indietro. Sangue che volava su altro sangue. La polvere della landa diventava fango cremisi.

Viktor era lontano da tutto questo, abbastanza lontano. Eppure arretrò. Chiunque lo avrebbe fatto.
Ammaliato, affascinato da cotanta bellezza, da siffatta potenza. Lo sterminio, restava un’arte elevata. Come la scultura, come la buona cucina.
Afferrò una qualche erba rinvigorente dalla falda del pastrano, se la gettò in gola. Non si accorse neppure del suo cappello che volava via, trascinato da un refolo di vento.
Una creatura così raffinatamente artistica, nella sua devastante forza, nella sua fiammeggiante struttura, doveva..
I suoi occhi rosicchiavano il candore della fenice abbeverandosi di ogni goccia del suo splendore.
..doveva crepare.

Fu questione di pochi attimi. Spirali di tenebra presero a serpeggiare dalle sue mani nodose, condensandosi in un unico amalgama oscuro, un agglomerato di energia nera. Un umanoide che di umano non aveva nulla: solo una colossale armatura di ferro, che torreggiava sul più alto dei soldati orcheschi. Un mostro di ferro in guisa di cavaliere deforme, non meno alto di tre metri, pesante più di un pezzo di artiglieria campale. Tra il metallo nero solo gli occhi si scorgevano, fari perlacei privi di pupille.
Un colosso di ferro.

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Il ferro!
E' meglio dello scheletro.

Il Beccaio percepì il pericolo sorgere nella foschia livida. Una semina di deformi creature scure si raccolsero attorno la sua scorta, avanzando in agguato. Ombre. Nient’altro che undici ombre sotto umane spoglie. Anche lui sapeva creare qualcosa di simile.
« Schiacciateli! » Falkenberg, il generale Falkenberg, ringhiò nella nebbia. « Schiacciate questi dannati insetti! »
Anche l’orda al seguito di Falkenberg ringhiò nella nebbia. Orchi fluirono nella bruma, armi protese, petti gonfi di desiderio di morte.

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Il ferro!
E' meglio dell'anima.

Le undici ombre si frazionarono, cinque in avanti pronte al massacro. Il Colosso di Ferro aprì l’assalto, volò al fianco di Viktor in un vortice brunastro. Movimenti troppo veloci per una simile stazza. Mulinò le enormi braccia come dei gloriosi vessilli nel campo della morte, in diagonale calante. A a schiacciare, letteralmente schiacciare, i crani di due avversari in un colpo solo.
Poi gli schieramenti si scontrarono, mostri invisibili nell’aria scura dei miasmi della morte.
Fumo, polvere, caos. Tenebra rossa.

Il ferro!
Non sente dolore.

Altre creature avanzavano verso il centro dell’esercito dove si trovavano Viktor e la scorta. Il Beccaio riuscì a scorgerle grazie ai refoli di vento magico creati dagli sciamani, addietro. Un plotone di uomini e belve lontano poche decine di metri dal grosso dell’esercito, una colonna di nemici che avanzava dal fianco destro dello schieramento, per abbattersi su quello sinistro. Sfruttando la bruma livida e l’effetto sorpresa avrebbero di certo sferrato un colpo micidiale alle file del Re. Un colpo terminale che gli orchi non potevano permettersi. Il Beccaio di certo non voleva permetterlo.
Digrignò i denti, indispettito dal secondo ostacolo che si frapponeva tra lui e la Fenice.
Il combattimento tra la sua scorta, il Colosso e gli insetti neri, era terminato.
Un paio di Hopirister o forse Hoëpriester tornarono dal generale. Unici reduci della strage, soli sopravissuti della scorta. Insieme al Colosso di Ferro, ovviamente.
Non parlarono, si limitarono a scrutare il Beccaio, ad attendere altri ordini. Nemmeno il Colosso parlò. Nella guerra eterna, la voce apparteneva solamente ai distruttori e alle rovine e agli spettri.

Il ferro!
Non prova rimorso.

« Eisen Reiter. »
Gli occhi senza iridi del Colosso si levarono sul suo generale. Il Beccaio indicava a indice proteso quel gigantesco volatile splendente nel cielo. Sorrideva, le rughe che gli solcavano la faccia divennero curve grinzose nella bruma livida. « La vedi anche tu. Sai che fare. » Il Colosso non rispose. Non c’era niente da rispondere. Osservò e basta.
Viktor tenne lo sguardo sulla terra cremisi della guerra. E più oltre, nella bruma, sul fianco sinistro dello scontro, altre essenza pulsavano sempre più forti, sempre più vicine.
« Fallo. »

Il ferro!
Non conosce paura.

Viktor estese il braccio sinistro in avanti, mano di taglio. Procedere.
Cavalcò nel campo ella strage, diretto al fianco sinistro. Solo i due Hopirister o forse Hoëpriester di scorta fluivano dietro lui, corsa sfiancante dietro il destriero del loro generale. La terra era melma, sangue, viscere L’aria era veleno, vomito e merda. Il vento era nero, polvere e cenere.
Due terzi dello schieramento.
Ultima corsa davanti al fronte ribollente della battaglia. Adesso il Beccaio riusciva persino a percepire la loro fiacca essenza, ora quella degli uomini, ora quella delle fiere. File di uomini e bestie impossibili: orsi, tigri, lupi.
Per uno come il Beccaio una sola cosa: insetti da disperdere via dalla battaglia, anche da solo. Fastidiose comparse tra lui e l'Asgradel, tra lui e la Fenice, tra lui e la Vittoria. Chiuse il pugno. Attestarsi. La scorta rimase indietro, ad attendere.
Tirò le redini del destriero, eseguì una conversione trattenendo il cavallo di fronte allo schieramento in avanzata.
Si espose da solo, a sfida di fronte all’intero schieramento di uomini e belve. Come se cercasse di attirare la loro attenzione. E la morte.
Non la sua, di morte.
« VIA DAL MIO CAMMINO, LUBRICHE CANAGLIE! »
Levò la Eiserne Wache verso il cielo inesistente. Tirò il grilletto.
BANG!
« O GLI AVVOLTOI S’ INGOZZERANNO CON LE VOSTRE VISCERE! »
Mutò posizione con un movimento vagamente percettibile contro il sole ottenebrato dall’eclissi. La luce livida investì solo metà del suo volto.
I soldati videro i suoi occhi. E le tigri, i lupi, gli orsi videro. Tutti loro videro. E tutti loro sentirono.

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Furia.
Allo stato puro.


Il Colosso correva nella nebbia, tra le foreste di corpi smembrati e la cenere dei fuochi che strangolava la terra. Corse oltre quel labirinto annientato, diretto alla luminosità vacua di un’alba cancellata. La Fenice!

Il ferro!
Non dispensa umana pietà.

Planava tra gli eserciti, la Fenice. Vomitava fuoco, seminava distruzione, effondeva panico.

Il ferro!
Non si spezza nella colpa.

Si piegò sulle ginocchia il tempo di darsi uno slancio, e agile come un felino spiccò un salto impossibile, divorando la porzione di cielo che li separava. Un demone nero sorto da qualche sulfureo cratere infernale pronto a artigliare il più splendido degli arcangeli.

Il ferro!
Non langue nel sogno.

Fu un sibilo impercettibile nell’aria, pochi metri all’impatto contro la schiena del volatile.
Levò le mastodontiche braccia in alto, dietro la schiena. Dita come mazze ricurve intrecciate tra loro, occhi puntati sulla spina dorsale. Presto i due pugni si sarebbero schiantati come un maglio di metallo contro quel piumaggio candido. Ossa inviolabili si sarebbero spezzate, tendini sacri si sarebbero squartati, sangue leggendario sarebbe piovuto dal cielo.

Il ferro!
Non trema nell'incubo.

Un attizzatoio di ferro scagliato contro un frutto marcio.

Il ferro!
E' esso stesso un incubo.

Quello che doveva fare.
Semplice, mortalmente semplice.

Il ferro!
Ci guida nel fuoco.

Abbattere l'angelico rapace.
E qualsiasi cosa si trovasse sopra.



SelfportraitwithDeath

Umano: Rec 325 ~ AeV 150 ~ PeRf 125~ PeRm 525 ~ CaeM 225
Demone: Rec 400 ~ AeV 100 ~ PeRf 100~ PeRm 850 ~ CaeM 150

~ Basso 1% ~ Medio 5% ~ Alto 13% ~ Immenso 29% ~

Energia residua: 87% +10% -29% -0% = 68%
Status Fisico: Illeso
Status Psicologico: Deciso

Passive in uso
Ehrgeiz_ Possibilità di reincarnarsi dalle ombre in caso di morte (Immortalità).
Sakrileg_Mimetizzazione perfetta all'interno dell'ombra e dell'oscurità. / Percezione visiva perfetta al buio (se naturale)
Haftbefehl_Potenziamento dell'abilità attiva del dominio Metamagia.
Streben_Possibilità di usufruire di tre slot tecnica anzichè due, a patto che Viktor resti nella sua postazione.
Schrecken_Cognizione passiva di qualsivoglia illusione/ammaliamento operati in campo.
Certain burden_Considerevole invecchiamento estetico/Aura venefica che rinsecchisce e avvizzisce gli esseri viventi che lo circondano.
Achtung_Auspex passivo/Difesa da auspex passivi/Passiva psionica di timore nei riguardi di Falkenberg, se i personaggi vicini sono di energia inferiore alla sua.
Byl jednou jeden netvor bez jména_Nessuno può ricordarsi del vero nome del Beccaio, a meno che non sia lui stesso a desiderarlo.

Oggetti & A.Attive utilizzate



Linfa Vegetale__ _ Acquistata in erboristeria. Se masticata, riempie la riserva energetica del 10%.

~ Eisen Vormund__ _L'apogeo del potere evocativo del Beccaio sta in questa maestosa quanto grottesca creatura: un gigantesco golem di composto interamente di metallo nero come la notte. Una ancestrale forma umanoide in grado di demolire, devastare, annientare qualsiasi nemico osi intralciare la strada del suo padrone. Dopo una lunga serie di esperimenti magici, il Beccaio è riuscito ad imprigionare il potere di questo mostro all'interno della casta di creature evocabili a sua disposizione: basta solo qualche secondo di concentrazione e da una nube di ombre prenderà forma un meta agglomerato di tenebra che, localizzatosi al fianco dell'Oberkommandierende, assumerà le fattezze del golem di metallo nero. Questo avrà una gigantesca forma umanoide e non avrà poteri particolari, ma delle statistiche molto alte. Il golem verrà guidato dal Beccaio stesso e andrà trattato come un vero e proprio personaggio, quindi non autoconclusivamente. Fra tutti i golem esistenti è quello più equilibrato; veloce, nonché discretamente resistente sia al fisico che alle magie. Andrà considerato di un livello energetico inferiore a quello del caster, e come un'evocazione di potenza critica. Nel caso in cui lo si voglia mantenere sul campo di battaglia per più di un turno, andrà pagato un costo di mantenimento critico per ogni turno successivo a quello d'evocazione.
{Pergamena Golem di Ferro: consumo di energie Critico, mantenimento Critico}

~ Schrecken__ _Il modo migliore che possiede il Signore della guerra eterna per mantenere il suo rispetto. No, non rispetto: terrore. Incontrastato e dominante, una furia imperiosa ed oscura che investe unicamente lo spirito di chi si trova dinanzi l'Oberkommandierende. Spaventare il nemico significa averlo praticamente sconfitto, questa la logica fondamentale del Beccaio, nuovo persecutore delle arti oscure. Concentrando la propria energia, il Beccaio diviene in grado di scatenare in coloro che lo guardano o percepiscono la sua aura pressanti sensazioni di paura e terrore, in proporzione all'energia consumata per attivare la tecnica. Così che rifuggano dall'andargli contro, così che siano costretti a sottostare ad ogni suo dettame. Il timore sarà paragonabile a un'immediata sensazione di pericolo, una paura che durerà solo per l'attimo in cui colpirà il giocatore, lasciando in lui però una traccia di spavento che lo perseguiterà per il resto della giocata. Conta come una vera e propria influenza psionica, contrastabile con una normale difesa adeguata.
Ma l'abilità coercitiva dell'Oberkommandierende non si limita all'imposizione attraverso il pugno duro del terrore: le parole possono scorrere anche calme e melliflue, serafiche o sibilline, a seconda della miglior utilità. Viktor potrà difatti supportare le proprie parole di una convinzione e un tono tale da farle sembrare a qualunque ascoltatore assolutamente veritiere. Una tecnica estremamente versatile quindi, utilissima in molti e differenti casi: con questa tecnica chiunque non disponga di una difesa psionica adeguata non avrà alcun dubbio sulla sincerità di Viktor, che riuscirà ad ingannare chiunque semplicemente attraverso le le giuste parole. Naturalmente l'inganno sarà tanto più difficile da scoprire quanto la scusa utilizzata sarà coerente con l'ambiente e le circostanze. La tecnica di consumo Basso ha una durata istantanea, e condizionerà solo poche frasi successive all'attivazione, senza recare danni alla mente dell'avversario. Essa è basata sulla PeRM, essendo un condizionamento di natura magico.
Ma questo non è tutto: allo stesso modo in cui il Beccaio terrorizza i suoi nemici, così come egli rende malleabile il loro spirito, in ugual modo egli non può e non potrà mai assolutamente permettere che sia il suo spirito ad essere manipolato da esterni. Forgiato tanto dalla guerra quanto dall'oscurità, Viktor è divenuto in grado di liberarsi da qualsiasi trappola e tranello scagliato dagli avversari. Nel tempo il Beccaio ha sviluppato questa notevole difesa utile contro i più subdoli degli avversari, gli psionici.
Spendendo un consumo pari alla forza dell'illusione/ammaliamento/attacco psionico che gli è stato scagliato contro, infatti,egli sarà in grado di liberarsene, anche se prima deve necessariamente comprendere di esser stato colpito da un'illusione.
Questa tecnica basa la propria potenza sulla ReC del possessore, e non sulla sua PeRm.

{Pergamena Timore incavata nel corpo: consumo di energie Nullo x1 - Variabile Mortale - Critico ad area } & {Pergamena Non sono stato io: consumo di energie Basso} & {Ab. Personale 5 - Passiva } &{Pergamena Disarmante: consumo di energie Variabile}


Riassunto azioni:
-Viktor osserva l'entrata in campo della fenice, ingerendo della linfa egetale e recuperando il 10% delle energie.
-Desidera abbatterla, ma le ombre dei sogni di eitinel (undici in totale, quanto lui e la sua scorta) lo accerchiano. Evoca a costo Critico un Golem di ferro (energia rossa) che assieme all'intera scorta (dieci orchi e due hoepriester) fa fuori tutti i nemici. Sopravvivono i due hoepriester e il golem.

-Durante il combattimento il vento magico evocato dagli sciamani riesce temporaneamente a rendere visibile il campo di battaglia. Viktor si capacita quindi del sopraggiungere imminente dei costruttori sul fianco sinistro (lui e la scorta si trovano nelle retrovie dell'esercito, al centro esatto).

-Ordina al Golem di attaccare la fenice, mentre lui cavalca da solo verso lo schieramento dei costruttori (seguito a piedi dai due hoepriester, che rimangono indietro). Una volta giunto dinanzi la colonna di uomini e belve, attira la loro attenzione sparando un colpo di pistola verso il cielo e urlando a squarciagola. E' in questo frangente che casta una psionica di Timore a livello mortale (ovvero Critico ad area) che riesce a far arretrare le prime file dello schieramento, e a bloccare quelle indietro. Almeno per il momento. Aggiungo che Viktor è convinto, davvero convinto, di poterli fermare tutti da solo =/

-frattanto il Golem sfrutta il momento giusto, mentre la fenice plana alla minima distanza dal suolo (come suggerito da eit) per saltarle in groppa. Contando che pesa circa una tonnellata e che sferra un doppio pugno diretto alla spina dorsale, spero riesca quantomeno a farle venire il torcicollo.



 
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view post Posted on 5/9/2011, 13:52
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Valzer Al Crepuscolo

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Terzo turno

valzerturno3post23

Volano nel sangue
le ardenti fiamme della rabbia
che trasudano dalle lame affilate
irridendo carni tozze
nel magma pastoso della battaglia.
Ogni giovane inerme
mosso da nient'altro che necessità
porta presunzione alla guerra,
distorcendosi poi nel terrore
dopo la putrida mattanza
che segue ogni assalto.

E mille medaglie dorate
non sarebbero mai bastate
a restituire al tepore degli affetti
la vita dei propri cari.
Nient'altro che ignominia
mossa in nome della gloria
smuove la guerra abietta
saziandosi del sangue dei figli
di una patria maledetta
che non ha mai chiesto ad alcuno
di morire per essa.


R a g n a r o k2




Fame di guerra non c'era mai stata.
Anche nel pieno del delirio, quando pure il sacrificio più bieco, che agli occhi di un innocente avrebbe trasudato della vergogna di un peccato capitale, pareva asservirsi come necessario alla causa del mio proprio orgoglio, non mi ero mai capacitato della guerra. Avevo un cuore vergognoso, assetato di ambizione, o di semplice avversione per una vita che mi aveva dato tutto, tranne ciò che più desideravo, ma non assuefatto da quel bisogno di male diffuso, dalla ruvida incoscienza di centinaia di lame che distillano, a vicenda, le rosse lacrime di sangue da copri putrescenti: non avevo mai compreso la guerra, né mi ero mai abituato ad essa. Seguitavo - nonostante tutto - a vederci un'evidente follia illogica nella quale leggevo un significato incomprensibile.

Sentirla con l'orecchio fine di chi ode qualcosa di sgradevole, di incompreso, risuonava nel cuore come il lamento di un dannato: la vergogna di una sfida che ha trasceso qualunque razionalità. Serrai una mano al petto, fintanto che la fenice sorvolava, planando, la brezza mefitica di un'antro vasto di vergogna che si contorceva sotto di essa, disegnando appena le sagome dei due schieramenti opposti tra le trame opache di un velo di nebbia che stentava la vista. Con l'altra, poi, tesi una mano a quella benda con cui mi ero curato di proteggere il nostro segreto, nel mentre che - disincantato - mi chiedevo come potessi davvero ritenere importante nascondere la nostra discesa, a fronte di un unico lamento agonizzante che sospirava - sotto di noi - la lunga litania dell'ignominia in cui era sprofondata quella nostra maledetta terra.
E mi sentii stupido.

L'occhio del Sovrano avrebbe raggiunto qualunque visione di quell'immensità, circondandosi di chissà quanti altri artifici che ancora ignoravo e di cui non avrei mai avuto conoscenza. Invero, poi, sotto di noi si muoveva la morte, falciando senza ritegno quante più anime le capitassero a tiro. In quell'immensità di sangue, non ebbi difficoltà ad immaginarmi la brama di godimento di cui si nutrivano gli orchi, e la sommessa soddisfazione di Ray nell'assecondarla: nell'asservirla alla sua necessità. Mi impietosii, piuttosto, per l'esercito che asserviva alle nostre ragioni, che la dama Bianca - e l'Asgradel - avevano condotto lì per difendere chissà quale virtù. O per morire, semplicemente.

Era davvero necessario?

Diversamente da me, immaginai i miei compagni fieri nelle loro armature forgiate da mille battaglie, serrare il pugno nell'oscura compiacenza di uno spettacolo di morte così familiare, e così avvezzo alle loro spade incrostate di sangue scuro. Io, invece, tremavo: come foglia al vento, rabbrividivo al pensiero di dover decidere di così tante anime, qualora - invece - me ne sarebbe bastata una sola per porre fine a tutto quello. Quella del Sovrano.
Ma sotto la mia paura, e sotto le piume traslucide della nostra cavalcatura, la guerra imperversava al di la del mio o del loro desiderio.
Anime corrotte di male si scrutavano, indugiando sulle reciproche carni, fissando il limite tra i due schieramenti ove, attimo dopo attimo, si ripetevano indistinti genocidi, senza curarsi più del raccapriccio insito agli stessi. Al mio fianco, scorsi appena Alexandra, immaginandola - più che altro - scossa, ma fredda, nella sua fierezza di imperatrice. Mi fu preclusa, invece, la visione di Finnegan, carpendo con l'intuito come il suo cuore impavido l'avesse attirato nel pieno della mischia, appena essa era apparsa sotto di noi. E mi parve di scrutarlo con la coda dell'occhio, planare al suolo e scomparire tra le pieghe bianche del velo candido che ormai si stendeva sotto di noi.

Invero, quando i predatori sembravano ormai condannati dai colpi impetuosi delle lame disarmoniche, ma letali, dell'esercito dei pelleverde, l'ennesimo artificio della dama bianca parve scuotere le fila di una trama ancora lontana dalla sua conclusione: centinaia di ombre scrutai appena plasmarsi nel cuore della battaglia, all'interno dell'esercito del Sovrano, mutando il godimento di ciascun singolo occhio rosso, in una improvvisa smorfia di sconforto, tendente all'orrore laddove la forza bruta non pareva ovviare alla pochezza della ragione. E vi furono attimi, istanti, di straniamento generale, confusi nell'ansietà di uno spettacolo di cui non si comprende la natura, divisi nel limbo del dubbio circa la reazione cui far seguito a quell'evento. Laddove, però, le ombre si macchiarono dei primi assalti contro quello stesso esercito di cui integravano le fila, il panico parve diffondersi chiaramente tra lo sgomento di chi non era abituato a versi serrare i ranghi da manifestazioni di male tanto evidenti, e lo sconforto di chi segnava il passo del proprio destino innanzi alla vergogna di una sconfitta mai combattuta.

Sgomento. La paura dell'ignoto: la dama bianca faceva agio sui limiti di quello schieramento così poco avvezzo a confrontarsi con le proprie paure: e forse la paura avrebbe davvero disegnato i confini di una fine che mi immaginavo, ora, più vicina. Non con la forza bruta l'esercito della dama avrebbe sopraffatto il nemico, quanto piuttosto con l'astuzia: quello stesso inganno di cui il Re aveva fatto suo strumento, ma di cui mancavano per certo le proprie pedine. Strinsi anch'io il pugno, trattendendomi dal trascinare un qualunque contributo sul campo di battaglia, quasi come se la mia mano avrebbe dipinto la mia innocenza laddove si fosse limitata a guardare, senza agire. Fantasie: l'immagine delle lacrime versate presso la dama, della mia discesa verso l'oblio di cui avevo intessuto il mio peccato e tutte le colpe di cui avevo lastricato quel cammino, segnavano ormai un animo tutt'altro che innocente. Ebbi un sussulto indistinto, di cui, però, non colsi subito la provenienza.

Avrei dovuto trovare una giustificazione alle mie colpe, ricercandola negli occhi del mio Re, che ancora rincorrevo. Ma che, proprio per questo, avevo premura di raggiungere.
Mi alzai in piedi, facendo forza su quelle poche convinzioni, ed implorando le carni di non seguitare a tremare innanzi a quelle variazioni d'infinito estesi il mio lamento a tutto il campo di battaglia, richiamando un'atrocita dipinta di nulla che avrebbe infuso in quelle tanto paventate ombre, una scabrosa potenza ancor più crescente.

valzerturno3post21

« Siate all'altezza dei nostri peccati.
Non rendete vane le nostre colpe infinite...
»

Biascicai al vento poche parole di discolpa, nel mentre che numerose di quelle ombre appena sorte sul campo, avrebbero visto una propria gemella, del tutto uguale, apparire al fianco. Altre centinaia di creature nere, perfette nella somiglianza, avrebbero dovuto indurre ulteriore sgomento tra le fila nemiche: copie di un male viscerale, ma imperfette. Infatti, nient'altro che bieche immagini: soltanto creature immobili pericolose per la loro sola presenza. Ma estermamente reali, che nella confusione della mattanza avrebbero adombrato la ragione per quell'attimo in più: un attimo necessario a far dissipare la resistenza.
Infatti, l'esercito parve rispondere a quella mia iniziativa quasi l'avesse prefigurata nella propria tattica. Laddove, per vero, un gruppo di predatori di Neiru si era distaccato su di un lato, aggirando l'eserito nemico per coglierlo sul fianco, caricò con vigore nell'attimo stesso in cui le ombre si replicarono: volti contorti da una paura di cui si premuravano di mutare in forza, si mossero in un'avanzata silente, ma rapida, accompagnata dall'armonia di infinite creature animali che si affiancavano ad altrettanti elfi condottieri, rinfoltendone il numero ed elevandone la pericolosità.
Allo stesso tempo, però, un gruppo di orchi marchiati di sangue, pieni della propria vigorosa fame di battaglia, si distaccò dal gruppo principale pressappoco sul fianco opposto, tentando - apparentemente - di fare altrettanto. Lame taglienti, intonavano un canto sommesso, una marcia propria di un banchetto prossimo. In un istante, però, udii una melodia soffusa, contraria, che giunse appena alle mie orecchie tra le urla inumane dello scontro, ma che ben distinta sarebbe arrivata agli uditi violabili di quegli stessi orchi. Una melodia armoniosa, ma dissonante: in essa vi lessi toni già ascoltati, seppur differenti, tra le mura scure di Velta. La dissacrante tonalità delle note e la psichica deformazione di un canto che si innerva tra le menti nemiche, si profuse per variarne le percezioni e confonderne gli istinti. Fu evidente che i più potenti dei Predatori avrebbero ricreato in essi le immagini dei più acerrimi nemici, gli sguardi più deprecabili che essi avessero mai veduto o ricercato, accostandone la visione alle fila dei propri stessi alleati, degli orchi che avevano chiamato fratelli fino a qualche momento prima. Tentarono di rivolger quelle armi irrazionali contro i loro simili, sfruttandone la leggendaria immortalità propria degli orchi più biechi, che perdono la ragione a favore di una smoderata potenza, e che - inarrestabili - si sarebbero presi la briga di schiacciare, involontariamente, l'esercito dei pelleverde dal lato opposto al primo gruppo, scadendo in una carica altrettanto violenta. Ove mai il piano fosse riuscito, il gruppo dei pelleverde avrebbe intonato il proprio tradimento prim'ancora di rendersene conto.

Infine, nel centro, si avvicinava la sagoma violenta della fenice, della quale io e l'imperatrice ancora facevamo destriero. E laddove potemmo scorgere la testa dell'esercito degli orchi, sussultai nel riscoprire della robusta fanteria con cui presto si sarebbero aperti la breccia definitiva. Tra le prime linee, però, vi lessi uno sguardo differente. I tratti propri di un'umanità ben più evidente di quella dell'esercito che la circondava, i tratti femminei di una donna dallo sguardo inquieto - apparentemente - ma fermo di una risolutezza e una responsabilità che ne tratteggiavano i toni di un comandante. E, dietro di essi, un volto fiero, familiare.

« ...Rekla...? »

Sussurrai appena il suo nome, ricavandolo dalla profondità dei ricordi e scuotendomi da quel torpore nel quale mi ero rinchiuso durante il volo, fronteggiando la più meschina delle realtà: riconoscevo qualcuno tra i nemici. Un volto più maturo della ragazza che scrutai appena una notte di tanto tempo prima, laddove mi feci prortatore di un gioco infame cui il Clan Toryu aveva deciso di sottoporre alcuni suoi membri, quando il Re era ancora scomparso. Quando tutto quello, non era ancora nemmeno cominciato.
Alexandra parve notarlo almeno quanto me, decisa - evidentemente - a sferzare nel sangue quella volontà indomita e privare di un ulteriore sostegno il comando nemico. Mi fermai, esitando: come potevo darvi seguito? Io conoscevo quel volto. Avrei dovuto levare la mano su di occhi miei compagni, miei fratelli, dunque?

Ma prim'ancora che potessi considerarlo, ella già agiva: la mano tesa in direzione di Rekla e la volontà prossima a stanarne la bieca debolezza. Ed in quell'attimo di dubbio mi ritrovai a dover soppesare nel cuore la razionalità di un ragionamento più tattico, che giusto: creare un diversivo, aiutare Alexandra, o rimaner spettatore? Sgombrare il campo da ostacoli che avrebbero fatto fallire l'incurisione, o subire il rimorso della pietà, oltre che quello della sconfitta?
No, non potevo.

Eppure di quanti peccati mi sono già macchiato?
Già, di quanti?

Non segnava più il tempo il momento degli scrupoli, ormai: Rekla era strumento di un sovrano macchiato dal proprio rimorso, sarebbe caduta in disparte, scostata dal campo e non per forza uccisa. Sarebbe stata messa in disparte, per il bene di tutto il regno.
Era necessario.

« E sia. Ma non ucciderla, almeno...
non è necessario...
»

Salii in testa alla fenice fissando lei, ma sussurrando qualcosa in direzione di Alexandra nell'attimo stesso in cui era prossima ad attaccare. Mirai il volto di Rekla, sperando di incrociarne gli occhi laddove questi si fossero ripresi dalla luce e dalla fiamma. E nell'attimo fatale, scatenai il mio potere: digrignai i denti come un cadavere assetato di vita, mentre i miei lineamenti di sfocavano, divenendo opachi, traslucidi, membra inermi di un cadavere divenuto fantasma. Mutai nello spettro della stessa Rekla, immaginandomelo al momento in cui la sua anima affranta si sarebbe unita nell'eterno rimorso delle anime dei defunti, divenendo nient'altro che l'incarnazione del suo stesso rammarico. Le sbarrai gli occhi, inarcando labbra violacee e spalancando la bocca nera, urlandole contro la debolezza della propria condizione.

valzerturno3post22

« Sei schiava, Rekla! Sei schiava della tua scelta!
Lui ti ha condotto alla morte, disseminando in te il seme della vergogna!
Ti sei peccata del suo stesso male, violando la terra che avresti dovuto proteggere
e conducendola nel baratro in cui si ritrova adesso!
»

Se ne avessi o meno attirato lo sguardo, e sconvolto il cuore, solo il cielo l'avrebbe conosciuto. Rimarcai il mio peccato e ritirai l'illusione nell'istante stesso in cui la fenice riprese il cielo, interrompendo l'orizzonte che mi aveva unito a quella nera signora. Strozzai un urlo, come il brigante che si pente del proprio misfatto, gridandone il cordoglio nell'attimo stresso in cui lo compie.
Nel mentre, poi, anche Alexandra era scomparsa: avevo distolto lo sguardo da lei e dal suo lampo, fissandomi sui miei peccati. Ella, invece, non aveva dato credito alle titubanze, ricadendo nella mischia subito dopo quel primo attacco. Scorsi appena anche lei, planare tra la mischia e scomparire nelle trame fosche della bianca nebbia. D'istinto, trascesi il mio freddo distacco, incurante di chi o cosa ora vestisse i panni dell'imperatrice, ma apostrofandola col cuore di chi vede un affetto partire per la guerra.

« Tieniti stretta la tua vita, Imperatrice!
Ricorda che non ci verrà restituita una seconda volta!
»

Qualche attimo dopo poi, fu la fenice a decidere della guerra. Infatti, lungo l'esercito compattato sarebbe ricaduta la violenza del suo fiato: una fiamma ardente, luccicante di incenso, che si diffuse nel vento dissipando - per pochi istanti - il sottile velo di nebbia che scendeva su tutto il campo da battaglia. Fu, dunque, il fuoco. Il fuoco brillante della morte, che danzava malevolo in quell'infamità. Rigirando il pugno su di una ferita aperta che ledeva la mano della giustizia prim'ancora che essa potesse pronunciarvi: non c'era giustizia in quel massacro, qualunque esso fosse stato. Strinsi i la presa sul dorso della fenice, per non rovinare giù nel gorgo infernale lungo il quale scorreva - implacabile - la bruciante mattanza del male. Sotto di me, invero, potetti udire lamenti distorti: grugniti diffusi e lamenti inumani, eppur pietosi all'orecchio di chi non si era mai preparato ad accettarli. La frustrazione di un genocidio che si compiva in nome di nulla, con la consapevolezza di aver dato seguito ad un massacro che non si è mai voluto iniziare. Ma di cui, ormai, ero ugualmente colpevole.
Non scorsi più i due compagni, dispersi nel massacro, compresi soltanto che i predatori avrebbero provato a stringere al centro l'esercito avversario per dilaniarlo quanto più possibile con quelle fiamme impavide, che - gocce di inferno - seguitarono a distillarsi sul campo anche nei minuti successivi.

Infine, ritornando a sorvolare la battaglia, sempre più celata da foschia bianca divenuta ormai solida nebbia, fissai la barriera circolare che ricopriva la coda dello schieramento nemico, sperando che la fenice mi avrebbe condotto lì. Sperando di trovarvi il fulcro della mia ricerca, il traguardo di quel peccato senza fine. Sperando di riscoprivi la soluzione a quel massacro: la chiave di volta che l'avrebbe terminato. L'animale comprese o - più probabilmente - si frappose tra le mie ragioni introspettive con una ben più lucida tattica militare: passare la barriera, colpire il comando dell'esercito. E un'ennesima poderosa fiammata si infranse su quella cupola traslucida che io, a mia volta, ormai rincorrevo. Cercando nient'altro che Ray.

Mi hai trascinato ancora più in basso, violandomi di quello stesso tradimento di cui tu ti sei peccato per primo.
Ho tradito il patto immortale che mi legò al tuo regno, ma soltanto per rifondare quella fiducia che tu hai disincantato per primo.
La colpa la condividiamo in due, Ray: e da essa ti risolleverò, urlando al mondo la vera natura del tuo patimento.


« Dove sei, Ray?
Ti nascondi tra gli infiniti inganni del tuo essere.
Ma, in vero, ti rifiuti comunque di mostrarti...
»

Sospirai appena, traendo l'unica conclusione plausibile del suo sfuggire,
seppur la più improbabile.

« Non avrai paura di me...? »

Sentenziai con tono fermo, diretto - infine - a quel sole nero che scrutava su di me.



immyspecchietto

ReC:
300
AeV:
275
PeRf:
225
PeRm:
350
CaeM:
225
Immenso:
36%
Alto:
18%
Medio:
9%
Basso:
5%


Corpo: Illeso (100%)
Mente: Illeso (100%)
Energia: 100% -9% -4% -18% -15% = 81%

Attive:

CITAZIONE
L'illusione è potere.
Spendendo un consumo pari a Basso, Shakan sarà in grado di ricreare nella mente nemica, una sola immagine, che potrà essere un ricordo oppure un apparizione momentanea. Potrà modificare quindi le sue percezioni grazie ad una semplice illusione che sarà facilmente bypassata con un minimo di concentrazione. L'immagine verrà vista all'interno del campo di battaglia, ma sarà visibile solo per colui che è affetto dall'illusione in se. [I livello del Dominio, Attiva, consumo Basso] Shakan potrà, inoltre, cambiare anche plasmare l'aspetto della realtà circostante. La mutazione non sarà reale, bensì sarà un'illusione ambientale (un'immagine, quindi, e non una tecnica psionica - bensì magica), che si estenderà per tutto il campo di battaglia. Considerata la notevole potenza, l'illusione potrà essere lanciata una volta sola, ma durerà fino alla fine del combattimento. L'illusione potrà variare in ogni ambito, ma dovrà essere necessariamente fissa e non potrà impedire la vista all'avversario con tenebre o fitte nebbie. Potrà nascondere un dirupo, oppure mostrare falsi ripari. Questa colpirà tutte le persone presenti sul campo di battaglia, in quanto agisce su di esso e non sulle loro menti. Questo tipo di illusione inganna il senso della vista, dell'olfatto e dell'udito, ma non quello del tatto. Solo Shakan sarà in grado di percepire le vere realtà dell'ambiente mutato, mentre gli avversari dovranno necessariamente possedere una tecnica apposita per poter sciogliere questo incanto. Venire a conoscenza di essere al centro di una illusione non la spezza. [II livello del Dominio, Attiva, consumo Medio]

CITAZIONE
Il fantasma sono io.
Con un consumo di energia variabile, Shakan è in grado di creare una potente malia: modificando i tratti del proprio corpo, infatti, potrà indurre un potente sentimento di terrore generato alla propria immagine per come percepita dagli occhi di chi la osserva. Shakan apparirà, nelle menti altrui, trasformato in un fantasma: il suo corpo sarà pallido, taslucido, quasi trasparente, gli occhi lucenti e tutti i tratti e gli aspetti del proprio essere si modificheranno di conseguenza, in modo da apparire, in tutto e per tutto, una presenza "spettrale". Shakan potrà rendere tale "immagine" più o meno complessa (passando, per esempio, da semplice fantasma pallido e sfocato, a potente spirito di una divintà ancestrale): in questo senso, Shakan potrà scegliere la forma, la caratterizzazione e la natura "spettrale" che più gli sembrerà adatta alla situazione, dando l'impressione di parlare, muoversi, combattere e, in generale, relazionarsi, allo stesso modo in cui farebbe un vero fantasma della stessa tipologia. L'effetto effetto principale, però, sarà solo quello di generare terrore in proporzione alla variazione del consumo di energia. In concreto, infatti, il corpo di Shakan non muterà e la tecnica avrà comunque come effetto quello il solo indurre terrore nelle vittime. Ogni ulteriore conseguenza dettata da tale trasformazione sarà da considerarsi del tutto eventuale e rimessa unicamente alle reazioni inconscia delle vittime. La tecnica, pertanto, non sarà da considerarsi una "illusione" propriamente detta, ma, piuttosto, come un ammaliamento psionico, in grado di danneggiare la mente della vittima. L'effetto dura un post. [Personale 2/6, Attiva, consumo Variabile Alto]. Inoltre, Shakan - concentrandosi per pochi attimi - potrà assumere la consistenza di un vero spirito. Egli, infatti, sarà in grado di annullare la sua costituzione fisica, pur se nulla sembrerà alla vista: sotto questa forma sarà intangibile al tatto e qualunque corpo fisico lo attraverserà come se non esistesse, formando, nel punto toccato, un sottile strato traslucido, proprio come se si attraversasse uno spettro. Inoltre, se nascosto nelle ombre, lontano dalla luce, il corpo di Shakan diverrà invisibile. Tale invisibilità avrà la stessa potenza di una tecnica passiva, contrastabile con opportune tecniche di livello più alto. Pur non potendo esser colpito, a Shakan sarà anche impossibile colpire fisicamente: solo le tecniche funzioneranno normalmente. Il movimento non subirà effetti particolari. La tecnica può durare fino a per tre turni, compreso quello d'attivazione, terminando alla fine del terzo turno o prima, se Shakan lo desidera. [Pergamena da necromante "Corpo d'Ombra", Gialla, Attiva, consumo Medio] Infine, Shakan ha imparato a sfruttare la propria capacità di divenire intangibile per rifuggire vincoli terreni di qualunque tipo, superare blocchi ed ostacoli, e a trarne concreto vantaggio. Il fantasma, infatti, può divenire intangibile per pochi - brevissimi - istanti ed in punti del corpo ben specifici, di modo da liberarsi da qualsivoglia blocco o rallentamento magico che affligga il suo corpo, pagando un consumo pari al consumo speso dal nemico per bloccarlo. In GdR, la tecnica può essere usata - per lo stesso principio di liberazione dei blocchi - anche per far scattare serrature, o meccanismi simili, su porte e forzieri chiusi, al fine di aprirli, appunto. La tecnica è attuabile su qualsiasi tipo di blocco, anche fisico, come ad esempio le braccia di un energumeno strette sul proprio collo, ma non sarà estendibile a situazioni diverse da quelle specificate: l'intangibilità, infatti, sarà talmente breve e circoscritta da renderne impossibile ogni diversa applicazione. Questa tecnica basa la propria potenza sulla ReC del possessore, e non sulla sua PeRm. [Pergamena da ladro, "Lockpick", Blu, Attiva, consumo Variabile]

Passive:

CITAZIONE
La Solitudine - Difesa psionica passiva. [Passiva razziale del Mezzo-Demone]

CITAZIONE
L'illusione è complicità. Illusioni castate senza vincoli fisici, col 5% di sconto sul consumo energetico, ma mai sotto l'1% [I e II livello del Dominio Illusionista, Passive] Illusioni non riconoscibili o distinguibili con tecniche passive. [Personale 1/6, Passiva]

CITAZIONE
Il fantasma è eterno. Tutte le evocazioni sono intangibili e, quindi, immuni al semplice danno fisico. [Personale 3/6, Passiva]

CITAZIONE
Il potere mi ha maledetto. Permette utilizzo di pergamene da negromante. [Personale 4/6, Passiva di Metagame]

CITAZIONE
L'Abiezione. Passiva che induce timore nei confronti di coloro che si avvicinano a Shakan. [Personale 5/6, Passiva]

Armi:

CITAZIONE

spadajanzcopy

Cupiditas - [Malus - la spada può sempre comunicare col portatore ignorando eventuali difese psioniche; Passiva - l'arma è legata a Shakan e non può essergli sottratta].
Cruciatus ~ Infinito tormento del giusto castigo. [Passiva - i ricordi dell'episodio che ha prodotto Cupiditas tormenteranno Shakan e non potranno essere dimenticati o alterati; Media, psionica - Shakan può condividere quei ricordi o le sensazioni ad essi collegate con un bersaglio singolo]. Nel fodero.

Washi, la carezza del fantasma: equipaggiata braccio sinistro, artigli non estratti;

Riassunto:

Schematizzo per chiarezza:
- Shakan ha ancora la benda agli occhi e si perde la prima parte della battaglia, udendone i rumori;
- Quando apre gli occhi Finnegan è già sceso dalla fenice e Shakan lo vede scomparire tra la mischia e la nebbia;
- Vede le ombre formarsi ed usa un'illusione ambientale che crea copie esatte di tutte le ombre apparse: queste saranno uguali a quelle "reali", ma immobili e che non ostacolano la vista, essendo semplici immagini. Le illusioni di Shakan sono influenzate dalla passiva che le rende "reali", ovvero indistinguibili con semplici passive.
- I costruttori caricano da un lato nell'attimo esatto in cui appaiono le ombre "finte" (Shakan non si accorge che Finnegan è li);
- i custodi, dalle retrovie, provano ad utilizzare delle psioniche di "confusione" sulle menti dei barbari: lo scopo è quello di far credere loro che i loro più acerrimi nemici siano tra le fila dei loro stessi compagni, e quindi inducendoli a caricare contro di essi.
- La fenice raggiunge la testa dell'esercito degli orchi e, quindi, appare Rekla all'orizzonte.
- Vedendo Alexandra che punta Rekla e si prepara ad attaccarla, Shakan (dopo una serie di dubbi) lancia la sua variabile psionica a livello Alto per spaventarla e distrarla.
- Shakan chiude gli occhi per un attimo, affranto per aver attaccato un membro Toryu, quando li riapre anche Alexandra è scesa.
- La fenice lancia la fiamma Critica sull'esercito compatto (questa parte è stata definita dal QM, ovviamente, non da me). Seguondo le altre fiamme Alte e Medie ugualmente decise dal QM, appena accennate per completezza.
- Capendo che forse Ray è dietro la cupola, Shakan vuole dirigersi la, la fenice pure.
- La fenice lancia una fiammata Alta sulla barriera.

Delle Note:

1) Come si evince dal post, Shakan non è un guerriero: diversamente dagli altri, infatti, Shakan, pur essendo stato in passato relativamente malvagio, è sempre stato avvezzo all'ombra ed al sotterfugio, ma mai alla guerra. Non è mai stato un soldato, un condottiero, un generale, e non lo diventa magicamente adesso. Per questo rimane sulla fenice e si strugge per la guerra: non è abituato, la considera una follia.
2) Le parti in cui si parla delle azioni di Kac e di Foxy non dovrebbero essere considerate autoconclusività: partendo dal presupposto che tutte le azioni sono contemporanee, e che ci siamo accordati sulla strategia, mi limito a prendere atto delle azioni loro e ad agire di conseguenza. Laddove, comunque, si tema di ravvisare eccessiva autoconclusività in questo senso, faccio presente che è tutto concordato quindi - in questo senso - ciascuno di noi sa cosa farà l'altro e lo può descrivere.
3) Non essendo un condottiero, ciò che ho descritto nel post e che fa l'esercito di Neiru, non sono da considerarsi "ordini" di Shakan: Shakan infatti si limita a scrutare il campo e, nella nebbia, a decifrare i movimenti dell'esercito. Off-GdR, ovviamente molte cose descritte sono state decise da noi, sfruttando in maniera limitata le proprietà dell'esercito dei predatori così come ci è stato consentito di fare. Off-GdR, la parte affidata a me, era solo quella riguardanti la psionica sui barbari, lanciata dai Custodi che sono nelle retrovie di Neiru.
4) Sembrerà strano, ma mi sono ricordato che Shakan conosce Rekla! Mi sarà detto, quando l'ha vista? Be, a distanza di diversi mesi posso dirlo: Shakan era presente la notte della quest "Sangue nel bianco Maniero", e questo può essere confermato da qualunque admin. Quindi, in-gdr Shakan ha già visto Rekla quella notte, sa che è del Toryu, anche se non la vede da allora. In tal senso, però, immagina che sia stata "strumentalizzata" da Ray.
5) Per "confondere" i barbari, viene utilizzato il "grosso" del gruppo dei custodi, come già detto posto nelle retrovie. Ciò non esclude che un piccolo gruppo (due o tre credo) possano venire utilizzati altrimenti.
6) Ho fatto il possibile per integrate tattica militare a pensieri di Shakan, in questo senso la prima persona non mi è stata di aiuto, anzi, però ci ho provato >_>

 
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Foxy's dream
view post Posted on 6/9/2011, 00:25






Vola, vola lontano.
Riposa, sogna finché il tempo ti è amico,
finché nessun suono può lambirti,
finché la realtà è lontana,
troppo, invero troppo per raggiungerti.
Ma ella t’insegue, ti bracca come felide affamato.
È sulle tue tracce o mia regina,
e non c’è fuga alcuna né via di scampo alla sua brama.
Vuole tutto, come negarglielo?
Come esimersi dall’oneroso dazio ch’ella pretende?
Eppure, fino a quando avrai scelta non dovrai versare alcun tributo.
Il patto così asseriva, non ricordi?
Hai scelto di fuggire, per ora.
Abbi il coraggio quindi, la forza di reagire.
E di patire, in silenzio.

-Shhh... Silence please.
The show must go on-


Come nella tragedia antica, Leviathan è dominato da una forza alla quale siamo costretti ad attribuire il nome di Destino. Lo poteva ben vedere Alexandra, dall’alto della sua posizione, due oceani burrascosi in conflitto, l’uno opalescente e l’altro smeraldino, in continuo e presuntuoso infrangersi in mille flutti avorei. Scomposti e frastagliati, in guerreggianti e fragorosi altalenare, spingevano gli uni sugli altri come fossero organismi distinti e a sé stanti, perfettamente in sincronia con le due grandi menti ad articolarne le movenze.

Clangori d’arme, cozzare di scudi, urla, strepiti.
Se un suono o un melodioso vocalizzo può portare alla memoria un evento, un dolce amore, quale è il potere di un trucido frastuono, un gorgheggiante tumulto?
Ricordava la guerra, ricordava il dolore.
Come presenziando alla veglia funebre di un caro amato, i tre avevano trascorso il viaggio in assoluto silenzio, concentrati, avvinghiati al flusso di pensieri che serpeggiava nelle menti e negli animi, instillando paure e angosce dalle nature più diverse.
E se il vento e il cielo, se le nubi e quella stella tanto grande quanto vicina, più della luna o di qualsiasi altro astro nel cielo proponeva un paesaggio atono e immutabile, adesso il tutto era sprofondato in un ferreo concatenarsi di causa e conseguenza, mutevole fino ai limiti del possibile.


Lo vedeva, lo vedeva lo scempio, l’apocalittico risveglio del morboso Volere, cleptomane sentimento di rivalsa nei confronti del fato. Chi è triste rimane fermo e immobile, estraneo al mondo e al suo implacabile fluire; chi della rabbia ha fatto il proprio inno scalpita e freme nel tentativo di cambiare l’ordine delle cose; ma Alexandra, non sapeva neppure cosa provare in quegli istanti. Paura, forse. Di certo non estraneità, ma neanche rabbia. Era, esisteva, lo sentiva, avvertiva ognuno di quei sentimenti agitarsi in lei e con lei.
Ricordava il dolore, ricordava la guerra.

“Una volta vidi una foto:
un soldato puntava il fucile sul volto di un bambino.
In un primo momento non capii l’orrore di quel gesto,
il disgusto dell’uomo per il proprio stesso agire.
Ma cosa ancor più orribile fu la mia domanda,
alla quale tutt’ora non ho risposta:
se fossi costretta a scegliere, chi vorrei essere fra i due?”


Silenzio.
Il convulso sbattere d’ali della fenice scandiva il tempo come un conto alla rovescia. Ogni suo movimento un passo verso la Fine, che avrebbe condotto inevitabilmente all’Inizio di un nuovo qualcosa.
Le figure intanto si facevano più nitide all’occhio, i visi delicati degli elfi corrucciati dal dolore, i grugni deformi degli orchi cinti dall’estasi del sangue. E tutto era parte di uno in quell’istante, ogni emozione o sentimento non meritava d’appartenere ad alcuno sicché l’individualismo era defunto, ancor prima che le truppe avessero serrato le fila.
Eppure, nonostante ogni emozione invecchiasse in un istante, accartocciandosi come una foglia al volgere dell’autunno, se la nera paladina avesse aguzzato lo sguardo, avrebbe visto quelle emozioni sì forti prendere vita e forma. Avrebbe veduto quell’orco impugnare la mannaia sua arma per sgozzare senza un solo attimo di esitazione l’elfo in terra, ai suoi piedi, atterrito dall’inevitabile. Poco più indietro invece, un elfo ben più alto e slanciato incoccava una freccia, puntandola al petto del medesimo orco, nel tentativo di salvare il proprio compagno d’arme. Il braccio gli tremava. Cosa stava facendo?
Uccidere non è compito d’uomo seppur appaia quantomeno istintuale, tremendamente facile per chi è avvezzo a tale usanza. E allora la domanda sorge spontanea, insita nella paura di quegli attimi: come combattere un esercito di spietate macchine da guerra? Come fermare chi è profeta d’abnegazione? Leviathan, appariva davvero l’incontenibile forza del Destino.
Ma la donna non vide nulla di tutto ciò, salvata dalla nebbia che innaturale si levò ammantando ogni cosa, districandosi fra orchi ed elfi indistintamente, quasi a stendere un velo pietoso sull’osceno spettacolo.

Finnegan, dal canto suo, non attese ordine alcuno, né indicazione da coloro che poteva chiamare compagni. Agitando la mano in cenno di saluto scivolò giù nell’esercito degli elfi sparendo fra la confusione, divenendo uno dei tanti e fra i tanti. Nessun generale quel giorno, nessun comandante, tutti pedine nelle mani dei due Nuovi Dei.

« Arthur, no! »
Esclamò dannandolo.


L’araba fenice, provvidenziale creatura leggendaria, piegava intanto sul centro della battaglia, in quell’orgiastica massa informe di corpi e acciaio. Il putrido fetore di morte era nauseante, così come quello dei corpi senza vita, calpestati e affossati fino a divenire campo di battaglia anch’essi.
Gli occhi della regina si chiusero a due fessure appena, intenti a scrutare tra le fitte nubi qualcosa che potesse esserle d’aiuto, o di stimolo a combattere. E la vide, fiera, superba come la ricordava. I capelli corvini a incorniciare un malevolo ghigno, due occhi scuri tralucenti perfidia e cattiveria. Rekla, proprio lei, stolta e instabile ragazzina posseduta da qualcosa di più grande.
La secca espressione sul suo viso improvvisamente si ornò di rabbia, peccaminoso sconcerto nell’osservarla mietere morte lì nel ventre del caos. La sinistra ancora attaccata al caldo e fitto piumaggio, la destra invece puntata in sua direzione, a pugno chiuso e con l’indice proteso. In un istante un lampo di luce dipanò nel tentativo di colpirla in pieno viso, al centro esatto della fronte.
Dopo quell’attacco avrebbe saputo – forse – che non era la sola su quel campo di battaglia, e che una sua conoscente era venuta a farle visita, per ripagarle l’affronto di quel giorno nel grande deserto.

« Stupida ragazzina.
Cosa stai combattendo? »

Un sussurro contratto dall’ira.


D’improvviso però, assistette a qualcosa che comprese subito essere opera della Bianca Madama. Per quanto fosse impagabile la meraviglia del suo agire, il suo operare era estremamente caratteristico, e riconoscibile in quanto tale.
L’impronta del Sorya: l’incubo di Eitinel.
E in quel momento un fuoco divampò nel suo petto, inorgoglita da quella prodezza, perché significava una cosa soltanto: il Sorya non era morto, Eitinel non era stata schiacciata dal potere dell’Asgradel. Una speranza, una mendace illusione. Non importava nulla di tutto ciò.
Le ombre degli astanti tutti presero vita concretizzandosi in corpi tanto solidi quanto reali.
Seppe cosa fare di quel dono, seppe come catalizzare quella forza.

« Shakan! Pensa tu al resto. »
E senza proferire più parola alcuna
si gettò nella calca dei Neiru.

« Ombre, siete legate al Sorya, siete l’Incubo in cui noi abbiamo vissuto. »
Una voce udibile dai soli spettri sarebbe riecheggiata per il campo di battaglia,
instillandosi come il trillo d’una sveglia che pretende attenzione,
annunciando l’inizio d’un nuovo giorno.
« Obbeditemi! Il Mastro di Chiavi vi chiama a raccolta. »
Ordinò imperiosa, mentre le più prossime cominciavano già a reagire a quel richiamo.
« Radunatevi avanti ai fu nemici di Neirusien, serrate le fila.
Il vostro incubo sarà l’inizio della tragedia qui riunita. »


Lentamente, come cenere allo spirare del vento, le ombre si spostarono in prima linea, tanto strette da comporre un’unica marea nera di fu uomini e bestie, di chi caduto nell’ombra del Sorya era stato poi chiamato a divenirne parte. E non solo il presente, non solo l’inganno, anche il passato era risorto per combattere il futuro. In quella guerra nessuno poteva esimersi dal gravoso compito, e comprese il perché di quel nuovo esistere, comprese il diritto che ora poteva vantare, comprese che non tutto era perduto.
Ma le urla non cessarono, la violenza degli orchi incalzava frenetica e senza sosta. Impietosa si faceva sempre più pressante. All’orizzonte colossali aberrazioni si ergevano imponenti, lasciando presagire la preponderanza fisica di cui erano propri.

« Linee!
RIPIEGAREEEE!!! »

Urlò con quanta più forza avesse in petto.
A quel comando le linee ripiegarono serrandosi nuovamente,
rinnovando l’ordine che parevano aver perduto in un primo momento.


La nera paladina strinse i denti, avrebbero avuto bisogno di un ulteriore diversivo per tornare nei ranghi, per guadagnare il tempo necessario affinché la manovra fosse portata a compimento col minor numero di perdite possibile.
E improvvisamente, senza che se ne rendesse conto, si portò per un attimo in testa al gruppo per deflagrare in un flash che avrebbe coinvolto tutti nella sua area circostante, per poi voltarsi e fuggire anch’essa, posizionandosi fra le ombre e gli elfi, così da gestire entrambe le truppe senza difficoltà o contrattempi.

« Arcieri! Puntare ai Giganti.
FUOCOOOO!!! »



E a quel nuovo comando una pioggia di frecce avvelenate sarebbe piovuta dal cielo. Chi meglio dei Tatuatori avrebbe potuto fermare i colossi che inesorabilmente si facevano avanti? Loro, sì. Padroni del veleno, usufruitori d’una tecnica subdola e sleale. Sarebbe bastato solo un graffio per provocare tremende emorragie, e a quel punto neppure la più forte delle creature avrebbe potuto resistere.
Alexandra sorrise debolmente, forse neppure se ne avvide. Non si rendeva conto di aver preso parte a uno scempio ben più grande di quello già vissuto. Ma ora tutto era diverso, lei prima fra tutti era diversa.
Maestosa infine, nello spalancarsi del suo becco puntuto, la fiamma fosca e oscura divampò dal rostro della fenice abbattendosi con forza sull’epicentro del caos scatenatosi, mietendo vittime da ambo le fazioni. Gli elfi più lenti o inabilitati alla manovra evasiva perirono, così come alcuni orchi coinvolti nel suo ardere impetuoso.

« Non doveva andare così. »
Lo sguardo si congelò mesto sull’ardere delle fiamme.
Era davvero il suo ruolo quello che stava interpretando?
Era tremendamente strano. Si sentiva nata per quello.
Dopotutto era il destino ad averle offerto una possibilità simile,
e per una volta, avrebbe cavalcato la sua onde anziché remarvi controcorrente.
Per una volta, la prima volta, non certo l’ultima volta.
Ricordava il dolore, ricordava la guerra.




CITAZIONE


ReC: 250 | AeV: 225 | Perf: 250 | Perm: 325 | CaeM: 225

Critico: 33% | Alto: 15% | Medio: 6% | Basso: 2%



Energie: 100% - 15% - 2% = 83%
Status psicologico: Vagamente stordita dall'impeto della guerra
Condizioni fisiche: Illesa

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Abilità attive:

• Lightning ~
Allungando una mano o un dito contro il proprio avversario e spendendo un quantitativo di energie pari ad Alto, Alexandra genererà un sottile raggio di luce veloce quanto un proiettile che, una volta colpito l'avversario, lascerà una piccola ustione sul punto d'impatto e, un po' a causa dell'altissima velocità del colpo, un po' per via della forza impressa, provocherà un violentissimo urto alla parte colpita, che indurrà conseguentemente il nemico a cadere sotto la forza della tecnica stessa. Sui demoni il potenziale offensivo di questa tecnica sarà pari a Critico, sugli angeli invece sarà pari a Medio. [Pergamena del Paladino: Lampo di luce]

• Shiny ~
Spendendo un quantitativo di energie pari a Basso, Alexandra potrà lanciare un flash abbagliante da qualsiasi punto dal suo corpo, o dal corpo stesso, che accecherà e stordirà l'avversario per qualche secondo. Il flash costringerà i demoni a tornare in forma umana, e gli arrecherà grandi danni se trovatisi a fronteggiarlo in forma demoniaca e, inoltre, non arrecherà alcun tipo di impedimento all'agente, che potrà utilizzarlo come utilissima mossa elusiva prima di un attacco. Il flash non avrà alcun tipo di effetto contro gli angeli. [Pergamena del Paladino: Flash abbagliante]

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Abilità passive:

• My Sword ~
La spada in possesso di Alexandra presenta sul piatto della lama un incantamento runico di colore rosso carminio ben visibile all’occhio. La bastarda potrà, in qualsiasi momento, innescare i poteri del dominio, e grazie all'incanto essa risulterà impossibile da distruggere nonostante gli attacchi che le potrebbero venir mossi. [Abilità passiva del Dominio Incantaspade I]
• My Hands ~
Le mitene in possesso di Alexandra presentano nel palmo un incantamento runico del tutto simile a quello della spada bastarda. Quest’arma potrà quindi, in qualsiasi momento, innescare i poteri del Dominio. Grazie all'incanto, inoltre, risulteranno sempre affilatissime e incapaci in alcun modo di perdere le proprie capacità offensive, oltre ad essere indistruttibili. [Abilità passiva del Dominio Incantaspade II]
• My Wish ~
Alexandra punta gran parte delle proprie capacità sulla magia. Avendo così affinato questo potere insito in lei, una volta raggiunto il 10% delle energie non sverrà. Ciò però non significa che non sarà stanca raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%. [Effetto passivo dell'abilità razziale]
• My Volition ~
Il dominio di Alexandra sul proprio corpo le permette di scagliare attacchi magici e fisici senza alcun tempo di concentrazione. Ciò permette un notevole vantaggio tattico e tecnico alla paladina, che racchiude in sè le proprietà di maga e guerriera allo stesso tempo. [Abilità personale passiva]
• My Verity ~
Le parole di una regina sono inviolabili, intoccabili, indiscutibili. Allora come poter mettere a freno la sua lingua, la sua dialettica forbita e pregna dei più valenti significati? Semplicemente impossibile, così come impossibile è arginare il fiume in piena della sua parlantina sciolta e suadente. In termini di GdR quest’abilità conta come un ammaliamento passivo che influirà su tutti coloro i quali ascoltano le parole di Alexandra, che andranno considerate come vere, sincere, sebbene in realtà possano essere l’esatto opposto. [Abilità personale di ammaliamento passivo]
• My Perception ~
Sensazioni. Il mondo si estende al di là di quel che è possibile percepire con tatto, gusto, olfatto, vista e udito, trascendendo la realtà in mille altre sfumature percepibili solo dall'istinto più sviluppato in forme di sensazioni. Una sorta di empatia che la collega alla dimensione delle anime, permettendole di avvertire le aure di amici e nemici nelle vicinanze come una sorta di sesto senso. [Bracciale dell'Auspex]

4_Fourth_Porta dell'Incubo. Il sussurro oltre la Notte. Incubi e Visioni infestano il Sorya. Un roboante addensarsi di Silenzio che solo tendendo l'orecchio, solo fermandosi ad ascoltare, si può scoprire essere un sussurrare di fondo, un rumore bianco indefinibile. Il respiro del Buio. Il respiro di ogni sogno distorto, di ogni pensiero inconsulto. E' nella voce del Mastro di Chiavi che tale tramestio, tale confuso tremolio si annida. In ogni sua parola, in ogni sua espressione. E tanto potente è il suono di ciò che nessuno può udire, che il solo osare troppo potrebbe distruggere tanto la vittima quanto il carnefice. Egli infatti può richiamare l'incorporeo, l'inconsulto, ciò che non può avere forma che nelle fantasie più mostruose, più deviate. Eppure se ne sentisse il bisogno, se davvero pensasse che la necessità giustifichi un simile abuso, allora il Mastro potrebbe lasciar risalire quelle voci, quelle presenze, e utilizzarle a proprio piacere. Potrebbe parlare ai nemici con la propria voce, ma sussurrare agli amici altre parole, con il Suono Nascosto. [Passiva]

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Note:

Il post si ricollega esattamente al precedente, oltre che a rifarsi alle azioni di Shakan e Arthur già accordate per vie private. Ogni autoconclusività quindi, non è altro che il frutto di un piano strategico accordato, sopratutto in termini di tempistica. Non aggiungo altro a quanto detto da janz, visto che non farei altro che ripetermi.

Bene, passiamo al post:
1) Alexandra, dopo varie riflessioni e trip mentali, arriva sul campo di battaglia a dorso della fenice.
2) Arthur scende per primo, senza alcun preavviso.
3) Mentre al centro della battaglia (sempre sul dorso della fenice), Ale riconosce Rekla (già incontrata in due quest) e siccome sbeffeggiata nella prima delle due, le spara un Lampo di luce in piena fronte.
4) Dopo questo, Ale riconosce le ombre come opera di Eitinel (dopotutto sono state presenti quasi ogni volta che si sono viste o incontrate) e scende dalla fenice radunandole, sfruttando la passiva dell'artefatto "Porta dell'Incubo. Il sussurro oltre la Notte" e la passiva di verità. Le ombre costituiscono così la prima linea offensiva/difensiva dell'esercito.
5) Ale nota i giganti (è impossibile non notarli) e fà ripiegare le fila, così da riacquistare il vigore di un esercito forte e unito. Questo è possibile grazie al Flash abbagliante, che agendo sull'area circostante, acceca gli orchi (e anche qualche elfo), guadagnando il tempo necessario affinché la manovra evasiva abbia successo.
6) In seguito ordina agli arcieri di puntare sui giganti. (Gli arcieri in realtà sono i Tatuatori, che essendo padroni del veleno, scoccano frecce, appunto, avvelenate. E mi è piaciuto pensare che questo veleno fosse emorragico, spero non sia troppo.)
7) La fenice spara l'Amaterasu sul centro del campo di battaglia, svuotato della gran parte degli elfi.

Che dire ancora? Buon lavoro a tutti. YAY!!!

 
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Tristàn Cousland
view post Posted on 6/9/2011, 12:35




For Victory Or Death


Time has come to wash our shame away, to erase the image of defeat!
We! Have licked our wounds, restored our strength and our vengeance will be, oh, so sweet.
They thought they had us down, that we'd never rise again.
They will learn that they were deadly wrong, what's owed will be repaid.
Again we'll feed the wolves and then vengeance will be ours!
We'll split their skulls and spill their guts upon the frozen ground.
Yeah, we'll never kneel again, not to deity, nor men,
Now they'll taste our bitter hate, what's owed will be repaid!
So, raise the flag once more and the eagle will be fed.
Once again we march to war, for victory or death!

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Come nelle favole.
Come nelle favole, prima della vittoria dei protagonisti, accade un avvenimento a loro svantaggioso. Terribilmente svantaggioso. Questo affinchè il trionfo finale venga maggiormente apprezzato. Trionfo sempre presente.
In un racconto, lui, il cavaliere di turno, eliminava il cattivo e ristabiliva la pace.
Quella, però, non era una favola.
Durante quella che sarebbe stata ricordata dai posteri come "Battaglia del Crepuscolo", sopraggiunse un tragico evento, un accadimento negativo di tale portata che anche l'esercito del sovrano che mai aveva perso si ritrovò sull'orlo del baratro più oscuro, ad un passo dall'Acheronte.
Nonostante la basilare strategia che il Custode aveva messo in atto, i seguaci dell'Asgradel erano riusciti a limitare i danni, a ridurre le perdite, a non farsi schiacciare dagli emissari del nuovo Dio.
Alcuni, in seguito, avrebbero anche giurato di aver visto l'Oscuro Traghettatore tender loro la mano, esortandoli ad abbandonare quel mondo. Esageravano, ovviamente, così come facevan tutti i bravi reduci, anni dopo, dinnanzi ad una pinta di birra, per impressionare le donne e per guadagnare il rispetto dei più giovani ed ingenui.
L'impavido Tristàn era però certo di una cosa: non avrebbe mai potuto cancellare un simile momento dalla sua memoria. Lo sconforto che sembrò strappargli il cuore dal petto, i freddi artigli della paura che lo dilaniarono, le sorti della battaglia tragicamente capovolte. Fino ad allora non aveva avuto quasi alcun dubbio riguardo la vittoria, era sì conscio che in molti tra gli orchi avrebbero dato la propria vita, accecati dalla fede, ma non aveva mai considerato la possibilità che la Magia potesse dare simili frutti. Perchè sì, se fossero stati solamente i due eserciti a combattersi - come era stato fino a quel momento - il finale del conflitto sarebbe stato facilmente prevedibile. Si era illuso che almeno per una volta fosse dalla parte del vincitore, dalla parte di coloro che avrebbero dominato senza sofferenza, senza sacrifici, mentre ancora una volta ancora si ritrovò a doversi aggrappare alla vita, a dover rischiare di perdere tutto.
Nemmeno nella lontana Ostagar aveva assistito ad una tale rimonta. Certo, se questa vi fosse stata forse il Flagello si sarebbe concluso ancor prima di iniziare, forse migliaia di vite sarebbero state risparmiate. Forse non avrebbe mai conosciuto la Strega delle Selve: forse non sarebbe mai giunto su Asgradel e non sarebbe stato tristemente testimone del massacro che ne seguì.
Il cataclisma si presentò lui attraverso una finestrella della imponente torre sulla quale si era precedentemente posizionato: stava velocemente scendendo le scale a chiocciola con i due orchi al fianco che si fermò ad osservare il campo di battaglia, giusto in tempo per vederlo mutare.
Vide dapprima la carica dei Pelleverde fallire: alcuni di questi, come posseduti, invertirono la direzione di marcia e si scagliarono contro i loro stessi compagni, disorientati, come posseduti da un demonio. Non sembrava esserci più alcun barlume di ragione in loro, solo una folle paura che li costringeva a pressare e a tentare in ogni modo di allontanarsi dalle file elfiche.
Il peggio però doveva ancora fare la sua entrata in scena.
Come animato dallo spirito degli elfi fino ad allora caduti, come dotato divinamente di vita propria, il campo di battaglia venne inghiottito in un fitto velo di nebbia, il quale rese complicata l'avanzata dell'esercito di Ray. Fortunatamente però, questa non durò a lungo. Gli sciamani alleati non potevano ancora attaccare il nemico, protetto da una magica barriera, tuttavia con sortilegi ed incanti riuscirono a far diradare un poco il velo, rivelando una realtà angosciante e preoccupante: gli orchi ora non combattevano più solo contro gli elfi, ma anche contro le proprie ombre, divenute assurdamente reali.
Nello sconfortante caos che regnava sul campo di battaglia, qualcosa riuscì però ad attirare completamente l'attenzione del cavaliere, sul volto del quale si dipinse un espressione di puro terrore. I suoi occhi, occhi abituati alle battaglie campali, abituati a notare ogni movimento sospetto tra le linee nemiche, forse sarebbero riusciti ad impedire un duro colpo per i seguaci di Ray. Nonostante la nebbia - la quale andava lentamente diradandosi grazie agli sciamani - un nutrito gruppo di soldati dell'Asgradel - molti dei quali a cavallo di mostruose bestie - si stava esibendo in un fiancheggiamento: questo venne intercettato da Viktor - seppur distante ancora riconoscibile nell'orda di pelli dal verde colore - il quale riuscì a farli indietreggiare, ma non a mandarli in rotta. Presto, una volta ritrovato il coraggio, si sarebbero scagliati nuovamente sul fianco dell'esercito orchesco: non avrebbe potuto permetterlo. Se quella manovra fosse andata a buon fine, nulla si sarebbe più sistemato. Il coraggio, le spade, la furia, la rabbia, gli orchi, niente avrebbe potuto capovolgere le sorti dei combattimenti.
Stava per muoversi, per correre ad avvisare gli Assassini nelle retrovie, quando nel mezzo del cielo apparve la creatura più disgustosamente magnifica ed imponente che avesse mai visto. La squadrata mascella al di sotto dell'elmo cedette, le labbra si schiusero nella più caratterizzante delle espressioni inebetite. Si sarebbe potuto dire un bambino, terrorizzato e allo stesso tempo affascinato dall'ignoto. Per diversi secondi non mosse un muscolo, trattenne il respiro e non udì le grida colleriche dei due Hoëpriester al suo fianco. Dimenticò ciò che era in ballo, dimenticò il suo ruolo in quella storia. Dimenticò che a pochi metri di distanza l'Apocalisse stava sconquassando le terre limitrofe al maniero. Non badò al fatto che le vite di persone a lui care si sarebbero decise prima che sorgesse l'alba.
Cosa poteva avere importanza quando uno splendido esemplare di Fenice si stagliava nel tetro cielo pomeridiano?
Aveva le piume color oro e cremisi, e assomigliava a una grossa aquila. Di dimensioni leggermente inferiori all'ultimo Arcidemone, sicuramente meno temibile - non sembrava avere orde di altre mostruosità al suo seguito - ma comunque infinitamente problematica. La folta cresta, a differenza dei comuni volatili, non era composta da rosse piume, bensì da purissime fiamme, le quali le ornavano il corpo in diversi punti, senza però arrecarle alcun danno. Emanava regalità, incuteva timore e rispetto, quasi fosse un messaggero degli stessi dèi, un ammonizione al Sovrano che stava tentando di eguagliarli. La punizione divina in forma concreta, l'incarnazione della punizione per la superbia che Ray aveva dimostrato.
Lui, e tutti coloro che avevano risposto alla sua folle chiamata, sarebbero bruciati, sarebbero stati purificati dalle fiamme della Fenice. Questa non perse infatti tempo, mostrandosi come una creatura estremamente pragmatica: prese a planare sulle file dei Pelleverde vomitando su di loro palle di fuoco. La tempesta di frecce infuocate e pece che lui stesso aveva scatenato impallidiva al confronto.
La distruzione che regnava nella pianura era disumana. Fece sua la sofferenza di coloro che stavano valorosamente cadendo - di entrambi gli schieramenti - e si risvegliò dal momentaneo torpore in cui era, suo malgrado, caduto.
«Seguitemi!»
Ordinò alle due imponenti figure che erano con lui, prendendo a risalire la scalinata.
Una volta tornato in cima, volse le spalle al campo di battaglia, cercando con lo sguardo gli Assassini, nascosti tra le rovine che un tempo avevano ospitato il borgo del clan Toryu. Aguzzò la vista e riuscì a trovarli: luride bestie, prive della massiccia corporatura degli orchi e quindi più portati ad azioni fulminee e suicide, coperte da grezze armature e da viscide vesti in pelle. Se ne stavano lì, bivaccati ad affilare le proprie lame, perfettamente a loro agio, con una tranquillità disarmante che il Custode finì per invidiargli. I loro fratelli stavano morendo sul fronte e loro si godevano beatamente il riposo. Riposo che il Cousland avrebbe tempestivamente interrotto.
«Voi, muovetevi! VOI-INTERCETTARE-ELFI-A-CAVALLO-DI-MOSTRI-SUL-FIANCO.
UCCIDETELI-PRIMA-CHE-POSSANO-COLPIRE-IL-LATO-SINISTRO!
»

Ordinò seccamente, scandendo ogni parola affinchè nulla potesse venir frainteso.
Uno di loro lo fissò negli occhi, mostrando i lunghi denti marci, e sorrise come un'idiota, annuendo subito dopo.
Si alzò e, con lui, un gran numero di assassini - non tutti però, alcuni evidentemente decisero di restare nelle retrovie in caso si ripresentasse la necessità di bloccare un fiancheggiamento.
Non si fiondarono però all'attacco come il Custode aveva ordinato, anzi, ognuno di loro estrasse dalla cintura una boccetta di vetro con del liquido rossastro all'interno. Poteva sembrare sangue, tuttavia la densità era notevolmente migliore. Senza una parola, tracannarono simultaneamente l'intero contenuto, scomparendo come per magia. Divennero completamente invisibili nel giro di un istante. Solo quando presero a correre, grazie al rumore dei passi, Tristàn potè tranquillizzarsi. Il diversivo di Viktor avrebbe trattenuto a sufficienza le bestie, il giusto per far arrivare gli Assassini - protetti alla vista - in tempo.
Non rimase in attesa, non osservò il comportamento degli Assassini: non vi era tempo. In un baleno riprese a scendere le oscure scalinate della torre, seguito sempre dai due comandanti ai suoi ordini. Il buio era pressoché totale, spezzato solamente dalla poca luce che filtrava tramite le finestre e da alcune lanterne, ancora miracolosamente accese. Il corpo si muoveva rapido, la mente ancor di più. Sapeva che abbattere la Fenice quand'ancora in grado di librarsi a diversi metri di altezza sarebbe stata un'impresa praticamente impossibile: no, la chiave della vittoria stava nel bloccarle la capacità di volare, o comunque di limitarla drasticamente. Dovevano immobilizzarla, strapparle le ali, renderla inoffensiva prima che potesse arrostire l'intero esercito.
Una volta arrivati di gran carriera sul pianerottolo, quando già l'uscita della torre era visibile, qualcosa nacque dalle ombre presenti in un angolo della stanza. Dapprima parve solamente un ammasso, un concentrato di oscurità animato, il quale si gonfiò e si contorse su se stesso, crescendo sempre più, fino a dividersi in tre pozze di male distinte. Da ognuna di esse nacque una figura, due piuttosto simili, una completamente diverse. Benchè prive di tratti somatici, prive di volto e di caratteristiche, si trattava di palesi copie fatte unicamente di magia di Tristàn e dei due comandanti orcheschi che erano con lui.
Estrassero la spada, tutti e sei, in contemporanea, senza dire alcunchè, reagendo prontamente alla sottintesa promessa di scontro.
I primi a bruciare la distanza, a mulinare le lame, furono le sue guardie del corpo, scagliandosi ognuna sulla propria copia, lasciando il Custode con la sua nemesi. Dumat, stretta nel pugno destro, riluceva anche nell'oscurità; le rune incise su di essa brillavano di una tenue luce azzurrina, segno che la spada stessa era dotata di vita.
Sentì la rabbia montare, le narici si dilatarono e sul volto si dipinse un espressione maligna, iraconda.
Al di fuori di quelle mura, creature viventi stavano morendo e lui doveva perder tempo con quella patetica magia? Era così che combatteva l'Asgradel? Senza un briciolo di onore? Affidando la vittoria non ai soldati, bensì ad emanazioni arcane e a creature credute ormai estinte?
Istintivamente realizzò che forse il Circolo dei Maghi fosse realmente un male necessario, visto a cosa potevano portare quelle arti.
Quando i due si scagliarono reciprocamente l'uno contro l'altro, le lame non stridettero, non emisero il suono che conosceva così bene, che riteneva così familiare, bensì si lasciarono andare ad un tetro silenzio: la spada impugnata dalla creatura antropologa composta da oscurità non era fatta di metallo, bensì di pura energia, come il resto del suo corpo. Per un lungo momento rimasero in quella classica posizione di stallo, con le spade incrociate, faccia a faccia - quest'ultima, tuttavia, priva di labbra, di occhi, di naso o di capelli, bensì un'opaco ovale di nulla. All'inaturale calma del clone, si contrapponeva il feroce ringhiare di Tristàn: sentiva i muscoli delle braccia ardere, tanto li stava sforzando per tentare di vincere quella prova di mera forza. Perle di sudore presero a colargli sulla fronte, incollandogli su di essa i pochi capelli che sfuggivano alla prese del nero laccio utilizzato per legarli al di sotto dell'elmo.
L'ombra spezzò il balletto di morte in cui si stavano esibendo, arretrando rapidamente di qualche passo, roteando la lama - naturale prolungamento del braccio - come a volerlo intimorire. Non vi riuscì. Non vi riuscì nemmeno quando balzò in avanti tentando di spaccare il cranio del cavaliere: questo schivò lateralmente e provò un affondo, il quale però venne parato da una seconda spada che sostituì il secondo braccio. A pochi metri di distanza, presero a camminare in circolo, simultaneamente, studiandosi, dandosi reciprocamente il tempo di elaborare una strategia.
Ancora una volta fu l'emanazione arcana, del tutto priva di paura e quindi meno cauta, ad assalirlo, puntando a trafiggergli il petto con affondo: il Custode si spostò leggermente di lato, sollevando poi il braccio sinistro: l'affilata lama passò sotto la sua ascella e, prima che potesse venir ritratta, il cavaliere serrò l'arto, incastrando l'arma tra il fianco e il bicipite. Ovviamente non venne ferito grazie alla pesante corazza che aveva indosso. E senza alcuna esitazione, senza alcuna pietà, con lucida determinazione, piazzò la punta di Dumat nel centro di quello che doveva essere il volto della creatura, la quale, sconfitta, scomparve.
Sputò per terra, barcollando, scosso, fino al vicino muro, dove si appoggiò per riprendere fiato.
Non si sarebbe mai aspettato un attacco così subdolo.
«Figli di puttana!»
Sbraitò in direzione del niente. Uno sfogo involontario, spontaneo.
Solo allora si accorse che anche i due Hoëpriester erano ancora vivi, perfettamente in salute, e forse anche meno irati di quanto lui fosse. Grazie alla loro stazza non dovevano aver faticato troppo ad eliminare le loro brutte imitazioni.
Riunito il piccolo gruppo, varcarono la soglia e raggiunsero il piazzale del maniero, a ridosso delle rovine. Dietro di loro vi era la cavalleria, dinnanzi le ultime file dell'esercito, le catapulte e numerosi orchi ad esse addetti.
Lo spettacolo che tuttavia si presentò agli occhi del cavaliere era radicalmente diverso rispetto a quello che aveva osservato sulla sommità della torre, durante il primo attacco con la pece. Alcuni Pelleverde erano a terra, col ventre squarciato o con la gola tagliata, altri ancora tenevano tra le mani mazze, ascie e spade: le ombre dovevano aver colpito anche loro. Incurante dei bombardamenti della fenice, i quali si infrangevano sulle loro teste grazie alla barriera magica eretta dagli sciamani, Tristàn cercò con lo sguardo gli arcieri. Anche tra di essi vi erano state delle perdite, tuttavia il tiro non era cessato, solo il bersaglio era mutato. Avevano smesso di incendiare le frecce e, anzichè mirare ai ranghi elfici, avevano dato la priorità alla mostruosità volante, riversando enormi quantità di frecce su di essa, tentando di abbatterla prima che la forza degli sciamani venisse meno.
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Sempre con la spada in pugno, corse verso il nutrito gruppo di orchi, raggiungendoli in breve.
Non si rivolse però a loro, bensì ai cinque Hoëpriester che fino a quel momento avevano controllato e diretto i lanci. Loro avrebbero poi trasmesso gli ordini alla truppa e avrebbero dato il loro supporto, forti della loro tempra irriducibile.
«Voi, svelti! Raccogliete delle lunghe catene e legate ad un capo un pesante arpione, mentre legate l'altro capo alle basi di quelle torri. Quando la fenice planerà nuovamente su di noi, puntate alle ali e scagliate gli arpioni con tutta la forza che avete in corpo! Bloccheremo quella mostruosità, l'abbatteremo e la finiremo! MUOVETEVI!»
Sbraitò con tono imperioso, puntando la lama verso un ammasso di catene che aveva notato durante l'ispezione al campo orchesco che aveva tenuto prima del cominciare della battaglia.
I suoi interlocutori gli lanciarono uno sguardo torvo ed interrogativo, come se non riuscissero bene a comprendere il piano dell'umano cavaliere, tuttavia erano anche abbastanza furbi da capire che il Generale non avrebbe ammesso proteste di alcun tipo, così scattarono e si misero all'opera.
Nel frattempo, lui stesso, in prima persona, avrebbe tentato di danneggiare la leggendaria creatura, così da dar loro il tempo necessario per prepararsi alla vera e propria offensiva.
Aveva osservato attentamente i movimenti della Fenice: questa colpiva indistintamente l'intero campo di battaglia, volteggiando su di esso in maniera circolare. Non appena scagliò l'ennesima palla di fuoco contro la barriera eretta dagli sciamani, si voltò e prese a dirigersi verso l'esercito orchesco vero e proprio, dando così le spalle alle rovine del maniero.
Tristàn sentiva l'adrenalina pulsargli nelle vene, irradiando in tutto il suo corpo una piacevole sensazione di invincibilità. Solo grazie ad essa riuscì a trovare il coraggio per fronteggiare - o comunque per provare a debilitare - una tale mostruosità.
Avrebbe preso una modesta rincorsa e, sfruttando le capacità del suo fisico corrotto, avrebbe compiuto un balzo impressionante, tanto che gli stessi arcieri dovettero cessare il tiro, non volendo rischiare di colpire il loro Generale.
Una volta a mezz'aria e con la parte posteriore della Fenice tanto vicina che avrebbe addirittura potuto salirvisi, sollevò Dumat con entrambe le braccia, portandola dietro la testa. Avrebbe poi calato, rapido e letale come una ghigliottina, un colpo mirando all'attaccatura dell'ala destra, nella speranza di mutilarla, con il macabro desiderio di deturpare una simile maestosità.
La vampata di calore che lo travolse nel momento in cui raggiunse la massima vicinanza con la creatura minacciò di fargli perdere i sensi, tuttavia non fu che un attimo, un attacco mordi e fuggi.
Ricadde sul suolo con forza, atterrando in posizione animale, con mani e piedi sul terreno - per attutire in toto la caduta. Il rumore metallico che ne seguì fu dirompente, ma servì come segnale per la parte finale della sua offensiva.
Indipendentemente dalla riuscita o dal fallimento della sua azione in solitaria, gli Orchi e gli Hoepriester avrebbero preso a scagliare arpioni - legati a catene a loro volta ben assicurate a resti di vecchi edifici. Questi, facendo leva sulla loro forza ben superiore a quella di un qualsiasi umano, avrebbero puntato a trafiggere l'ala opposta rispetto a quella attaccata dal Custode, così da ingabbiare il volo dell'immenso rapace.
Dubitava però che avrebbero vinto se Ray avesse atteso troppo a fare la sua comparsa.


«So raise! Raise the flag once more,
in the east the eagle will be fed! March!
Again we march to war,
we will march for victory or death!
Pain! Tthe pain and suffering
is but a bleak and distant fading dream
Shame! Our disgrace; a withering thought
finally our names will be redeemed!
»


[ReC 275] [AeV 275] [PerF 325] [PerM 325] [CaeM 700]
[Basso. 2%] [Medio. 6%] [Alto. 15%] [Critico. 33%]
[Energia. 100%]

Status Fisico: Illeso.
Energia Totale: 100%
Energia Utilizzata: 2 + 33 = 35
Energia Restante: (65+10 = 75%)

Abilità Passive
    ¬L'essenza di un Custode.
    ± Di tutte le razze, i mezzi demoni sono senz'altro quelli più denigrati, allontanati e scacciati di tutti. Proprio per questo, quindi, hanno dovuto imparare a cavarsela da soli e non farsi mettere i piedi in testa da nessuno. A forza di crescere in questo modo, i mezzi demoni si sono abituati a gente che tenta di intimorirli, minacciarli o irretirli e hanno sviluppato quella che potrebbe definirsi una particolare "Abilità razziale". Sono infatti parzialmente immuni alle influenze psicologiche. Non a tutte, si intende, altrimenti risulterebbero atoni e privi d'emozioni, ma senz'altro, a differenza di tutte le altre razze, si lasciano intimorire meno facilmente e persuadere con notevole difficoltà. Il timore provocato dalla vista di demoni o angeli, ad esempio, non avrà su di loro effetto. Sensazioni profonde come forti paure, o tanto grandi, però, avranno comunque effetto. Quest'abilità è una normale difesa psionica di livello passivo.
    ± Con la sicurezza migliora anche il controllo delle proprie capacità combattive; fino a quando il possessore di questo dominio riuscirà a mantenere il sangue freddo e a non lasciarsi prendere dall'ira - o da altre sensazioni che finirebbero con il turbarlo - il suo valore di CaeM risulterà raddoppiato. Questo non influirà nelle sue doti di tiratore ma lo renderà estremamente abile in ogni genere di schivata, affondo o anche nel disarmare il proprio avversario. Chiunque apprenda questa disciplina di scherma risulterà essere un combattete eccezionale e ogni suo duello sarà un vero spettacolo in quanto a grazia e maestria.
    ± Non sempre però la grazia nei movimenti e le abilità di schermidore possono contrastare la forza bruta; cercare di disarmare o anche solo contrastare un bestione di più di due metri con una spada dalle dimensioni più simili a quella di una trave di ferro risulta spesso una missione disperata anche per il combattente più abile. Questo però non vale per coloro che sono diventati sempre più abili in questo stile di combattimento; una delle ultime lezioni impartite dai maestri consiste appunto nel focalizzare la propria calma e il proprio sangue freddo per riuscire a contrastare anche il più forte degli avversari. Fino a quando il possessore del dominio non si lascerà prendere dall'ira o non si lascerà turbare ogni colpo portato con la sua spada conterà come una tecnica di livello basso rendendolo quindi superiore a qualsiasi colpo portato da avversari anche enormemente più forti di lui.
    ± Questa pergamena non conta come una vera e propria tecnica, quanto come un'abilità passiva. Aumenterà infatti i "ReC" del personaggio di 50 punti, diminuendone però i "PeRf" di 25. Esternamente non vi saranno cambiamenti, e il guerriero apparirà come quello di sempre, anche se le sue capacità di concentrazione e i suoi riflessi saranno nettamente aumentati, a discapito di un leggero indebolimento fisico.La tecnica sarà sempre attiva e non avrà un consumo. Un ulteriore vantaggio è quello di permettere al guerriero di poter combattere anche una volta raggiunto il 10% delle energie, senza svenire. Un personaggio normale, infatti, trovatisi con poca energia o nulla, si sentirà spossato o comunque non in grado di combattere. Un guerriero con questa tecnica, invece, potrà tranquillamente continuare ad avanzare, quasi senza sentire la fatica, pur senza più poter utilizzare tecniche che comportano un dispendio energetico, che lo porterebbero alla morte.

Tecniche Utilizzate
    Runa dell'Altezza - Il guerriero, concentrando la propria energia nelle gambe, compie un balzo fuori dal comune, che può raggiungere altezze incredibili. Il peso e l'agilità del personaggio influiranno ovviamente sul balzo, rendendolo più o meno alto. Il consumo rimarrà comunque lo stesso. La tecnica non richiede di particolare concentrazione, ed è, anzi, istantanea, utilissima per evitare un attacco di ampia portata. La velocità del salto comunque non varia, non rendendola quindi una tecnica adatta ad evitare attacchi veloci o da distanze ravvicinate. In quest è comunque molto versatile. Può essere utilizzata, in alcune situazioni, come tecnica difensiva di livello basso. Questa tecnica basa la propria potenza sulla AeV del possessore, e non sulla sua PeRm. [consumo basso]

    . Sword Mastery ~
    ~ Nella Spada risiede l'Anima del Guerriero .
    Tra i ranghi dei Custodi Grigi vi sono combattenti di ogni tipo: spadaccini, maghi, arcieri, assassini e quant'altro; questo affinchè siano preparati ad ogni situazione possibile, così da avere sempre un asso nella manica anche nella peggiore delle situazioni. Tristàn non ha mai mostrato grande talento per la magia ma allo stesso tempo, grazie ai duri allenamenti a cui venne sottoposto durante l'infanzia, sotto la guida del padre stesso, è divenuto un eccellente spadaccino, capace di stupire chiunque con le sue eccellenti performance. Per il ragazzo la spada è divenuta nient'altro che un semplice - e letale - prolungamento del suo braccio tanta è la confidenza che ha con essa. Col passare degli anni è arrivato addirittura a stringere una sorta di legame mistico con le sue armi, trasmettendo loro la sua forza, la sua coscienza. Questa tecnica comprende tutte le altre combinazioni di attacchi con la spada che il Cousland può immaginare ed eseguire. L'utilizzo della suddetta è dunque estremamente libero e acquisirà significato solo al momento della descrizione effettiva dell'azione. Le tecniche della Sword Mastery differiscono dalle normali azioni offensive per forza, velocità e precisione di esecuzione, il tutto in relazione alle energie utilizzate dal caster. In termini di gioco, è una variabile offensiva utilizzabile tramite una qualunque arma bianca. Il Custode, focalizzando nella spada un variabile quantitativo di energia la potenzierà a dismisura, facendo valere il singolo colpo potenziato come una tecnica dello stesso livello del consumo speso. Questa tecnica si baserà sulla CaeM dell'utilizzatore. {Consumo: Critico Variabile}

Note
Che dire. Speriamo si manifesti anche Ray, altrimenti la vedo durissima per noi. X'D
Ammetto che è stato un post piuttosto difficile, spero di non aver commesso errori.
Ma non perdiamoci in inutili chiacchiere, ecco la scaletta delle azioni del Custode Grigio.

- Tristàn, alla fine del precedente post stava scendendo dalla torre; giunto circa a metà, osserva da una finestrella la contromossa dell'Asgradel. Risale così, tornando in posizione sopraelevata.
- Tristàn ordina ad un buon numero di Assassini di divenire invisibili - nella loro descrizione è presente tale capacità - e di ingaggiare i cacciatori, prendendoli alla sprovvista e intercettando la loro carica laterale.
- Arrivati alla base della torre, Tristàn e i due orchi affrontano le loro ombre, sconfiggendole rapidamente - infondo sia lui che i due Hop son Rosse.
- Gli arcieri prendono a tirare contro la fenice.
- Tristàn, per dare tempo agli orchi di preparare gli arpioni, attacca autonomamente la fenice. Attende che la fenice volti le spalle alle catapulte e utilizza prima la pergamena Balzo per arrivare alla sua altezza e, mentre ricade, tenta di colpirla calando un colpo verticale di livello Critico mirando all'ala destra, provando a squartagliela.
- Tornato a terra, osserva gli Hop scagliare gli arpioni con catene contro la fenice: questi mirano all'ala opposta da quella ipoteticamente colpita da Tristàn.
- Alla conclusione del post, Tristàn si ritrova a poca distanza dalle catapulte, vicino ad alcuni Hop - due della sua scorta e altri venuti direttamente dalle riserve dietro il maniero per coordinare il tiro delle catapulte - e ad orchi comuni.
(Ah, nel post non è specificato, ma faccio utilizzare a Tristàn una Linfa Vegetale, la quale mi dona un +10% all'energia.
 
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view post Posted on 8/9/2011, 15:01
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Era una mattina d'Aprile, quando ci dissero che saremmo dovuti andare.
Cosa ancora ci porti a credere che una cosa come la causalità possa essere fenomenica realtà, beh, non saprei dirlo. Non che serva Proust, per capirlo.
Non lo so-

Ricorda quando eri giovane.
Precipita nel vuoto, sfidando il vento con un sorriso. Una macchia rossa che cade fischiando, veloce, verso la calca informe. Putiscente chimera, medusa, meraviglioso mostro. Arthur tiene gli occhi socchiusi, guarda in giù, e vola. Andiamo a distruggere il mondo, affinché qualcuno possa ricostruirlo.
Il cielo è rosso, quasi viola, come al tramonto. La nebbia copre il campo di battaglia, ed è come atterrare sulla neve fresca. Chiude gli occhi.
Il cielo è rosso, quasi viola, come al tramonto. Soffia solo una brezza leggera, una carezza stanca o appena un po' di più. Puntando un dito al cielo nuvoloso, rosso, quasi viola, come al tramonto, i due ragazzini giocano a scovare la forma delle nuvole. Ecco, quella sembra un'aquila. Quest'altra mi ricorda tanto la zia Eva. Guarda! Sembra un leone! Che fa? Piange?
Ancora una volta, ripetizione esasperante, rossa, quasi viola, come al tramonto. Il prato, frusciando al vento, sembra cantare. Sembra triste.
Sempre più vicino, ogni filo d'erba ed ogni sasso diventa un uomo o una donna, ogni albero è un castello. Arthur tiene gli occhi socchiusi, e corre.
Si fa largo nelle retrovie di Neiru, correndo a perdifiato, ed i giovani elfi lo seguono lesti. Non ci serve un tempo, quando abbiamo un ricordo, mia Petit Madeleine, immersa nel tè caldo, rosso, quasi viola, come al tramonto. Caino muore, Arthur precipita, non necessariamente in questo ordine.

“Giuditta, fermatasi presso il letto di lui, disse in cuor suo: «Signore, Dio d'ogni potenza, guarda propizio in quest'ora all'opera delle mie mani per l'esaltazione di Gerusalemme. È venuto il momento di pensare alla tua eredità e di far riuscire il mio progetto per la rovina dei nemici che sono insorti contro di noi».
Avvicinatasi alla sponda del letto che era dalla parte del capo di Oloferne, staccò la scimitarra di lui; poi, accostatasi al letto, afferrò la testa di lui per la chioma e disse: «Dammi forza, Signore, Dio d'Israele, in questo giorno». E con tutta la sua forza lo colpì due volte al collo e gli staccò la testa.”

[Giuditta 13,5]

Ricorda quando eri giovane. Splendevi come il sole.
- Lanciando un sogno nell'Universo, ricordo. Eravamo sdraiati sull'erba, oltre la collina. Guardando il cielo, con il naso all'insù, avevo come l'impressione di caderci dentro. Era un oceano, quella sera, di nubi e di colori, rosso, quasi viola. Era il tramonto, e noi giocavamo a trovare la forma delle nuvole, puntando il dito in alto, tenendo vicine le teste, gli occhi. Tenendo vicini gli spiriti ed i cuori, correvamo nella radura della memoria, ed io ero perduto in quei suoi occhi scuri, immensi, spaventosi. Ricordo, ancora, che una folata di vento scosse tutto il prato, ed i suoi capelli, il suo vestito leggero, chiaro, che quella sera era tutto macchiato di verde. Ricordo, ancora, il suo profumo, rosso, quasi viola, come al tramonto. E noi siamo là, lasciati alla vita come due personaggi perduti, congelati in quel loro amplesso chimico, etereo, assoluto.
Perdemmo di vista il tempo. L'orologio sul campanile era rotto da anni, ormai, e nessuno in città sapeva come ripararlo. Nessuno voleva farlo, probabilmente.
Senza tempo, senza campane che suonano ad ogni mezzogiorno, senza un'alba o un tramonto definiti, la vita era più sopportabile. Più piacevole, nella piccolezza di un cosmo d'erba secca e nuvole rosse, quasi viola. Ricorda quando eri giovane. Splendevi come il sole. E allora splendi, continua a splendere, folle diamante.
Perdemmo di vista il mondo, e come narrano della morte, quella sera acquisimmo l'uso felice dell'eternità. Una pace imperturbabile, infinita, immortale nel ricordo di lei, dei suoi occhi scuri, del suo vestito chiaro, dei suoi capelli profumati, rossi, quasi viola, come al tramonto. Sorridiamo.
Guarda, mi disse, guarda quella nuvola, sembra un leone. Sembra triste, aggiunsi. Entrambi c'intristimmo, assieme.
Adesso, dopo un tempo infinito, inconsistente, dubito che tutto ciò sia mai avvenuto. Non credo più lei sia mai esistita, o io, o il leone, la nuvola. Inizio a credere, alla fine, che fosse solo un altro sogno. Il cielo non è più rosso, non è più viola, ma nero, nero come la notte più profonda. Il mio nome, oh, non lo ricordo più, il mio nome. Eravamo sdraiati sull'erba, oltre la collina di Betulia, lanciando un sogno nell'Universo. Credo, adesso, che Giuditta non sia mai esistita.
Riesci a capirmi, nuvola?
« Dov'è la tua testa, Oloferne?» Chiese ingenuamente la nuvola. Non sapeva come conoscesse il suo nome, o come avesse dimenticato il proprio. Credo portasse un mantello rosso, quasi viola, come al tramonto. Nel tempo, una ripetizione esasperante di elementi. Ricordi ricorrenti.
- La mia testa? L'ha presa lei, Giuditta. Amava tanto i miei occhi, forse, da non sopportare di privarsene. Non sto piangendo.
« Ci ha traditi, Oloferne? » - Forse si, nuvola. Forse si. « Non è mai esistita, allora. Non piangere, Oloferne. » - I suoi occhi, oh, i suoi occhi scuri! Luccicavano mesti, tenui lumi celesti, resti -resti di un fuoco molto più forte, più fulgido. Oh, quanto era bella, Giuditta. Giocavamo a trovare la forma delle nuvole, sai? Vedemmo una stella cadente, quella sera. Si vedeva appena, dietro quel cielo rosso, quasi viola, come al tramonto. Appena più in basso del piede di Orione, se ricordo.
« Ricordi, Oloferne? » Era una mattina d'Aprile, quando ci dissero che saremmo dovuti andare. Ed io mi voltai verso di te, tu mi sorridesti. Come potevamo dire di no? Guardavamo il cielo, con il naso all'insù, e avevamo come l'impressione di caderci dentro.
Precipitavamo, e sulla nostra schiena c'era un mantello rosso. Che fine ha fatto quel mantello, Oloferne? « Non ricordo, Oloferne.» è come un ritornello, una ripetizione esasperante. Eco del passato, tempo perduto, vecchio felice uso dell'eternità. Passato, ma infinito.
- Perché sei venuto, nuvola? « Era una mattina d'Aprile, quando ci dissero che saremmo dovuti andare.» - E la tua guerra, poi, è finita? « Non è mai stata la mia guerra, Oloferne.» -Ma dimmi, di grazia, che fine ha fatto la tua testa? « L'ha presa lei, Giuditta.» - Ci ha traditi, nuvola? « No, Caino, non è mai esistita.» - Non è mai stata la nostra guerra, Arturo, ma resta il nostro mondo.
« Ci ha traditi, Caino.» Ricordi?

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It was an April morning, when they told us we should go.
As I turn to you, you smiled at me, how could we say no? Con tutto il divertimento, vivendo tutti i nostri sogni. Con tutte le canzoni e le storie da cantare, una volta tornati, alla fine.
Gettando un bacio a quelli che pretendevano di sapere (di conoscere le vie che ascolta il viaggiatore, il Diavolo nella sua fossa)- Oh to sail away, to sandy lands and other days. Oh to touch the dream, hides inside and never seen, yeah.

“Giuditta, fermatasi presso il letto di lui, disse in cuor suo: «Signore, Dio d'ogni potenza, guarda propizio in quest'ora all'opera delle mie mani per l'esaltazione di Gerusalemme. È venuto il momento di pensare alla tua eredità e di far riuscire il mio progetto per la rovina dei nemici che sono insorti contro di noi».
Avvicinatasi alla sponda del letto che era dalla parte del capo di Oloferne, staccò la scimitarra di lui; poi, accostatasi al letto, afferrò la testa di lui per la chioma e disse: «Dammi forza, Signore, Dio d'Israele, in questo giorno». E con tutta la sua forza lo colpì due volte al collo e gli staccò la testa.”

[Giuditta 13,5]

Io l'amai, nuvola. Noi l'amammo, non è così?
Tre ombre lunghe, sole al tramonto, dietro la collina di Betulia. Se anche Giuditta avesse amato Oloferne, beh, non possiamo determinare. Ha ancora la nostra testa, e dai nostri occhi scuri continuano a cadere lacrime, rosse, quasi viola.
- Dove sono, Arturo?
« Siamo innanzi al bianco maniero, Oloferne, vecchio Caino.» Siamo in guerra, non la nostra, non la sua. - Dov'è lei, Giuditta, amico mio? « Siamo tutti nella nebbia, anche lei, che ha la tua testa, Oloferne, vecchio Caino.» - Quando, allora, mi sono perduto? Da quanto tempo sono così lontano, amico mio? « Il tempo è una cosa di poco conto, Oloferne, vecchio Caino.» Dobbiamo dimenticare ancora. - Dobbiamo distruggere Betulia, affinché qualcuno possa ricostruirla. Distruggeremo Assur, distruggeremo i babilonesi e gli israeliti e gli egiziani ed ogni altra gente. Distruggeremo Oloferne ed Arthur, affinché qualcuno possa ricostruirli ancora. « Io non credo, Oloferne, vecchio Caino, che qualcosa possa ricostruire questo Universo che stiamo amando, distruggendo, ancora una volta. » Arthur precipita nella nebbia, in alto, sopra gli schieramenti dell'esercito di Ashlon. « Credo, Oloferne, vecchio Caino, che questo Dio sia già stato distrutto tempo fa.» Oloferne sorrise.
- Il tempo, amico mio, è una cosa di poco conto.
Questo è il crepuscolo degli dei, rosso, quasi viola, come al tramonto. Distruggeremo tutto, distruggeremo la vita, perché così avremo distrutto anche la morte. Ripetizione esasperante, ciclica, vorticante, eterna. Arthur non era più così euforico. Era caduto, era atterrato in piedi innanzi a Caino, vecchio Oloferne, casualmente custode di Neiru. Aprì gli occhi.

Nuvole di polvere roteavano attorno al gruppo, sotto al sole nero.
Lo scalpiccio degli stivali di quegli esili soldatini inonda lo spettro completo, angolo pieno, rosso, quasi viola, come al tramonto. Arthur apre gli occhi, di scatto, come svegliandosi da un incubo. Oloferne, vecchio Caino, è dietro di lui, gli posa una mano sulla spalla, ha gli occhi chiusi. Non può parlare, o non sa farlo, con i suoi degli uomini. Non ricorda.
Un grido squarcia la tela rossa, quasi viola, di quel cielo saturo di nuvole e frecce di fuoco. Ecco la fenice di Nabucodonosor, già lontana, che inonda il nemico con una fulgida cascata di fuoco vivo. Il vento caldo sferza i capelli di Finnegan anche a quella distanza, ed il suo cuore riprende a pulsare, a battere forte come un tamburo. Ancora. Ancora una volta.

L'atrocità del paradiso, come concetto, è la sua infinita e magnifica monotonia. Anche qualcosa come un felice uso dell'eternità e del tempo, pur sembrando affascinante, può ricadere in questo difetto di fondo. Il guerriero sta correndo a spada tratta, urlando come un folle, pazzo diamante splendente. Vive ancora una guerra, vive ancora dolore, sangue, metallo, e ne rivede la monotonia di fondo. Il suo cuore batte forte come un tamburo, sempre identico a sé stesso. Caino corre accanto a lui, leggero come una piuma, protetto dalla mole del cavaliere rosso, quasi viola, come al tramonto. Arthur urla, grida forte come la fenice, e la fanteria leggera continua a correre, urla, grida forte come la fenice.
Un sibilo, un lampo di luce a mezzaluna, il braccio di un orco si stacca rapido dal torso del mostro. Sangue. Arthur continua a correre. Into the sun, the south, the north, lies the first of hope. The shackles of commitment fell, in pieces on the ground.

Quella nuvola laggiù, lontano, poco più in basso del piede di Orione, sembra quasi un leone. Guarda, Giuditta, il leone di Albion, la nuvola di memoria ritrovata e tempo perduto per sempre, sino al fuoco, mai oltre. Dall'altro arco d'ellisse sorge il sole, e sembra una fenice. Arthur agita le spade così rapidamente che a fatica Caino poté scorgerne il profilo metallico. È solo sangue, è solo metallo, ed è il leone che corre a perdifiato. Un fendente a destra, senza guardare, un altro nemico senza più un braccio, un altro con il torace aperto, a sinistra, sotto la pioggia di metallo ed il tintinnio delle corazze. Nuvole di polvere ruotano attorno al gruppo, ripetizione, corsa a perdifiato, sogno, sangue, ancora, ancora una volta. Arthur urla, grida forte come la fenice, e la fanteria leggera continua a correre, urla, grida forte come la fenice. Ancora una volta. Attorno al guerriero la nebbia si fa densa. Caino, che non sa tenere il passo, è avvinghiato alle sue spalle. Continua a sognare e dimenticare. Sangue, metallo, suoni rapidi ed acuti, come la pioggia su un tetto di lamiera. Arthur non ha più occhi o volto. Oloferne non ha più la sua testa. Arthur Finnegan è un uragano, una forza dell'universo. Veloce come una dardo, ancora, ancora una volta. Il leone ruggisce. La nebbia si fa nuvola, poi leone. Daydream, il sogno nella veglia, circonda ed avvolge il cavaliere, vibrante d'elettricità. Velta urla, grida forte come la fenice, rossa, quasi viola, come al tramonto.

Oh, to ride the wind, to tread the air above the din!
Oh, to laugh aloud, dancing as we fought the crowd, yeah.
Ciò che successe quella sera, dietro la collina di Betulia, innanzi al bianco maniero del Leviatano, non è ancora scritto nella memoria. C'è chi vide quel cavaliere rosso, Finnegan, caricare con tanta ferocia la prima linea nemica, da giurare che non fosse qualcosa di umano. Non una cosa rara, in quella battaglia. Alcuni dicono che, tanto fitta era la nebbia attorno a lui, nessuno si accorse che portava sulle spalle un vecchio elfo di Neiru, forse ferito. La maggior parte dei sopravvissuti racconta che, ad un certo punto della sua folle corsa, Arthur si trasformò in un grosso leone grigio, oppure bianco, o ancora rosso, quasi viola, come al tramonto.
Si aggregò alle schiere dei costruttori, con le loro belve, aggirando le truppe del generale Falkenberg e puntando diretto verso la barriera di luce e gli incantatori nemici oltre quella. Gridava tanto forte, ruggiva tanto forte, che tutte le truppe alleate, sia quelle dei rapidi novizi che quelle dei possenti costruttori, seguirono il leone rosso come un'unica immensa marea umana, dimentichi dello svantaggio tattico sino ad allora palese. Forse la determinazione di quel nuovo alleato fu la chiave di quella repentina controffensiva, non lo sappiamo.
Arrivato innanzi alla barriera di luce, dicono, il leone grigio esplose. Non conosciamo le antiche dinamiche della magia che teneva alto lo scudo del Leviatano, ma allo svanire del leone di nebbia contro la cupola trasparente, un'esplosione di energia investì tutta la volta, come un fulmine o un lampo di luce rossa, quasi viola, come al tramonto.
Arthur era là, ai piedi delle mura, attaccando l'occhio di Gruumsh nelle sue retrovie.
Un'altra curiosa assonanza, nelle versioni di tutti i testimoni, è riscontrabile nell'apparizione del drago. Chi vide la scena dalla parte dell'artiglieria del maniero racconta di una bestia enorme, rossa come il fuoco, che sbucò dalla nebbia di Ashlon ad ali spiegate. Terrificante.
Quelli che però videro Arthur ed il suo strano ospite da molto vicino, prima ancora dell'esplosione di lampi e del drago, raccontano di aver visto il cavaliere rosso afferrare il vecchio custode di Neiru e scagliarlo in cielo, dove poi si sarebbe trasformato nel famoso drago, sbucando dal polverone della battaglia per spaventare il nemico. Secondo l'opinione di diversi esperti militari, l'intento dell'illusionista era quello di attirare sul suo drago finto i colpi magici degli stregoni pelleverde, così che loro stessi andassero a colpire e distruggere la barriera magica che li proteggeva.

Il leone grigio si riformò presto, attorno all'uomo in armatura. To seek the man whose pointing hand, the giant step unfolds - its guidance from the curving path, that churns up into stone.
If one bell should ring, in celebration for a king - so fast the heart should beat, as proud the head with heavy feet, yeah!

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Al di sotto delle aspettative. Emicrania. Ripetizione esasperante. Rosso, quasi viola, come al tramonto. Ripetizione rituale, sacra, esasperante. Nuvole di polvere roteano sotto il cielo nero, emicrania, apocalisse. Dialogo onirico, antico, rituale. Stop.




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- Scemo chi legge -

CITAZIONE

ReC: 225
AeV: 225
PeRf: 425
PeRm: 225
CaeM: 250
Energia: 100%
Stato psicologico: Nessun danno mentale.
Condizioni fisiche: Nessun danno fisico.

Passive sfruttate:


Appoggio (Ladro/Rossa)
Precedentemente citata. Usata solo per attutire l'urto della caduta.

Incremento della Forza (FDT Lv1 - Passiva)
Già citata. Usata per manovrare le armi e per lanciare il Custode.

Incremento della Resistenza (FDT Lv2 - Passiva)
La pelle di Finnegan è dura, coriacea, difficile da scalfire. È remota la possibilità che il guerriero si ferisca gravemente, e difficilmente potrà sanguinare copiosamente o riportare delle fratture alle ossa, pressoché indistruttibili.
Usata per, boh, fa sempre comodo in battaglia.



Attive impiegate:



Burning Mist (Arma Sacra incastonata) 3 utilizzi per giocata (usati 2)
Daydream potrà intervenire autonomamente in soccorso del Dormiente durante ogni scontro, focalizzando la sua energia spirituale per attaccare direttamente il nemico o proteggere il suo compagno. Ella assumerà quindi di sua sponte una carica magica in grado di fargli infliggere danni diretti (da lacerazione, impatto o ustione, a seconda dei casi), indipendentemente dallo sfiorare o meno il bersaglio – danni che saranno ulteriormente appesantiti sulle creature demoniache, verso le quali lo spettro ha un'avversione particolare. Ma non finisce qui: entrando infatti in un oggetto o un'arma di Finnegan, DayDream farà assumere all'arma stessa il medesimo bagliore che lo spettro stesso assume durante il potenziamento, donandogli la facoltà di infliggere danni straordinari della stessa tipologia di quelli inflitti direttamente.
In termini di GdR, DayDream potrà far assumere a uno degli oggetti del guerriero (se ne è a contatto) o alla sua stessa essenza etera un bagliore grigiastro di potenza pari a medio, eventualmente accompagnato da piccole scosse di energia magica statica. La tecnica è attuabile gratuitamente per tre volte a giocata ed ha la durata di due turni da ogni attivazione.
Usata per simulare l'evocazione del leone di nebbia. Spiego meglio.
Daydream, che è costituito da nebbia o vapore, si concentra attorno ad Arthur ed assume la forma di un leone, come potrebbe farlo, appunto, una nuvola. Fatto ciò attiva arma sacra (x2) incastonata, che conferisce alla nuvola una carica pagica pari ad un alto, per due turni.



Sliding Slot (consumo Nullo)

Senza alcun dispendio energetico, ma occupando uno slot tecnica, Arthur guadagnerà la possibilità di utilizzare una tecnica in più nel suo prossimo turno, trasferendo di fatto lo slot impiegato per usufruirne in azioni successive.



Riassunto & Note:



Finnegan si lancia dalla fenice, atterrando nelle retrovie di Neiru più o meno contemporaneamente all'evocazione della nebbia da parte di Ashlon. Prima ancora di atterrare, viene intercettato dall'influenza psionica di uno dei Custodi di Neiru, che dal canto suo non è molto cosciente di ciò che succede o di quali ricordi siano suoi e quali quelli di Finnegan. L'illusione condivisa non causa danni a nessuno dei due, ma il custode finisce per identificarsi con i ricordi ed i sogni di Finnegan, finendo per seguirlo. Arthur parte alla carica, presto seguito dai Novizi di neiru, le truppe veloci, sino a raggiungere i Costruttori e, superandoli, puntando all'artiglieria oltre la barriera.
Prima di attraversare la barriera, Daydream attiva il leone di nebbia, che per il primo turno si va ad infrangere sulla barriera stessa, arrecandole danno pari ad alto.
Prima di attraversare la barriera, però, c'è il lancio dell'elfo. Caino si fa lanciare, letteralmente, oltre la barriera, veloce come una freccia, castando in volo un'illusione che simula la sua trasformazione in un drago. Sbucando dalla nebbia, è verosimile che quelli all'interno non abbiano visto la trasformazione. Il fine di questo stratagemma è spingere gli incantatori del Leviatano a colpire il finto drago, attraversandolo e finendo per colpire la loro stessa barriera.
Tornando ad Arthur e alle truppe, c'è il nostro bell'assalto (Costruttori + Novizi) laterale all'artiglieria e alle truppe che la proteggono, tra cui mi sembra ci sia anche la divisione di Viktor, se non un po' più in avanti.
Data la durata di due turni di arma sacra, il leone di nebbia va a ricomporsi all'interno della barriera.
Usando sliding slot, perdo uno slot in questo turno guadagnandone uno nel prossimo.

Non ho voglia di commentare il post. Quella dell'emicrania non era una battuta riferita solo a Finnegan, purtroppo.

PS: non avendo capito ancora bene come funziona la barriera, e se gli incanti possano o meno uscirne dall'interno verso l'esterno, mi sono limitato ad agire come avrebbe agito il custode. Magari i colpi che trapassano il drago trapasseranno anche la barriera, ma questo lui non poteva prevederlo. In ogni caso, sempre un diversivo è.



Edited by Kactuar - 8/9/2011, 17:48
 
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