Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Valzer al crepuscolo ~ Broken Places

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view post Posted on 13/10/2011, 21:54
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THE END OF THIS CHAPTER
in the eyes of every newborn,
i see the past times. life is just a phase.
i close my eyes and see them all here beside me,
all the amazing grays.




di-BTVU

Il mondo nuovo. La sua terra.
Una distesa infinita di nubi e fiamme trasparenti e fredde come il ghiaccio, stagliate su un unico sfondo bianco.
Una tela da dipingersi, ancora. Un quadro da colorare; da riempire di elementi.
Eppure, ogni singolo pezzo di quel mondo era sotto il suo totale dominio: fece vorticare le nubi tutt'intorno al suo corpo - diede loro l'aspetto di un grande mostro, poi le disperse.

Non sentì nulla.

Volteggiò fra i venti, cercando di ricordare com'era non sentirsi parte di essi.
Com'era stato assaporare gli insulti degli uomini e rispondere loro con la distruzione della terra sulla quale avevano vissuto.
Tentò di richiamare a sé le grida delle milioni di anime che in quell'istante dimoravano nel suo corpo, stridendo contro le sue membra; provò a riassaporare i loro ultimi istanti, mentre venivano inghiottite dal buio

ma non sentì nulla.

Poggiò una mano al petto e non sentì il battito del proprio cuore.
Si accorse che la sua respirazione non era altro che un gesto dovuto all'abitudine, e smise di compierlo, con la stessa naturalezza con cui ci si accorge di aver compiuto un errore ingenuo.
Dopo essersi ambientato, avrebbe potuto abbandonare anche il proprio corpo fisico; lui che non era più un uomo, ma tutti gli uomini, e più ancora
una forza della natura.

Tutto era finito.
Allargò le braccia verso il fumo intorno a sé e a questo diede forma, convogliandolo e convergendolo, modellandolo nelle proprie mani come fosse creta. Affondò le dita nella nube, le ritrasse, la piegò e la spezzò, compattandola dov'era necessario. La materia gli si incollò alla pelle, ricordandogli quanto fosse scomodo possedere ancora un corpo; se ne curò tuttavia ben poco, impegnato com'era nel proprio mestiere artigianale - soffocato dalla fatica del gesto come un fabbro lo è dai fumi della sua stessa fucina.
Terminò, allungando poi le mani in avanti.
Le nubi si divisero e contrassero come serpi, stendendosi in terra come lunghe funi, stirandosi verso quell'orizzonte candido che pareva non avere ancora confini.
Fu fatta la luce.

---------------

Ciò che prima era stato un mondo incoerente, popolato solo da manifestazioni di nubi tempestose, si trasformò in breve tempo in una terra verde e fertile; gli oceani si riversarono e rovesciarono nelle cavità più profonde, scuotendosi in luogo a nuove correnti; macchie di verde andarono a diffondersi lungo i prati estesi; formazioni rocciose si spaccarono, lasciando spazio alla natura che andava gonfiandosi nel loro centro, schiudendosi in un paradiso di verdeggiante bellezza.
Il mondo del Sovrano - che più non era - si rimestò su sé stesso come quando si gira un mestolo in un calderone, fino a trovare la propria forma nel sublime; una terra rigogliosa e stupefacente, commovente e viva come il primo vagito di un neonato; in movimento e sferzata dalla brezza calda delle attenzioni del proprio Dio.
Al centro, lui.
Ogni cosa pareva stendersi e svilupparsi avendo lui come fulcro e centro.
Alzato, la schiena rigida, il volto verso l'alto, al centro di una pianura sconfinata. Con l'erba alta, che in alcuni punti gli solleticava le ginocchia, spinta da un vento ilare, gioioso - nuovo come il mondo che stava tutt'intorno.

Casa.

Terminò; rivolse lo sguardo innanzi a sé e lo affondò per un istante nell'orizzonte. Accarezzò un ciuffo d'erba, senza sorridere, sentendola ruvida al tatto come carta vetrata.
Allungò un braccio, poi, e li evocò:

Tristàn
Viktor
Rekla


i suoi generali. Le uniche persone che fino all'ultimo avevano combattuto per lui, seppur con ragionevoli esitazioni.
Li richiamò com'erano stati colti dalla morte, benché il suo mondo li avrebbe guariti e risanati, almeno in parte.
Inumidì le labbra, che s'erano seccate come investite da un forte vento, prima di parlare.

« ...uomini. »
si interruppe, non riconoscendo il tono delle proprie parole.
La voce che era fuoriuscita dalla sua gola era quella del Re; non la sua.
Lui era il Leviatano
e di ciò che era stato Ray, condivideva solamente il corpo.
« ...vi do la vita, e un mondo nuovo. Dimenticate ciò che siete stati, e ricominciate. »
li incalzò duramente con lo sguardo, proprio come avrebbe fatto un essere umano, per metterli a loro agio.
« Ma prima, terminate il nostro nemico. »

Diede loro le spalle, e si voltò dietro di sé.
Lì, attoniti e confusi, stavano

Alexandra
Shakan
Arthur


feriti e deboli; pressoché incapacitati a compiere alcunché.
Questo, grazie all'ultima scintilla. Per merito dell'ultimo guizzo di vita che l'ultimo nemico del sovrano, irriducibile potenza, fu in grado di sprigionare.
L'asso nella manica dell'Asgradel
che non aveva partecipato direttamente alla battaglia per concentrare le proprie energie in un ultimo guizzo vitale; una lingua di fiamma che avrebbe permesso ai suoi tre generali di sopravvivere al mondo di Ray, e ritrovarvici, in vita.
Volse loro uno sguardo, maestoso; invincibile, mascherando la propria incapacità a replicare.
In quell'istante - impressione o meno - non avrebbe potuto nuocere neppure ad una mosca. Non dopo aver generato un intero mondo - non senza aver goduto di un meritato riposo.
Poté solo allacciare i sei contendenti con lo sguardo; gli inferi in terra alla sua destra; il volere delle parche alla sua sinistra.

Si inumidì le labbra, ancora.
Nulla aveva più importanza -
non era più il Re, non era più uomo
avrebbe accolto qualsiasi destino le forze della natura gli avessero riservato
senza opporvisi.

« ...voi tutti; »

di-Z2UL

« fate il vostro gioco. »



CITAZIONE
Siete tutti e sei davanti a Ray. Questo è tutto; potete fare ciò che preferite, senza limiti di team, fazione o altro: seguite il desiderio del vostro personaggio - nulla vi obbliga a combattere, se non le parole del sovrano. Il resto della situazione è come descritta nel post: vedete il mondo venire distrutto, poi vi ritrovate - come se nulla fosse accaduto - nel nuovo mondo di Ray. Ovviamente chi è svenuto recupera i sensi. Tutti voi sapete con certezza che il mondo nel quale vivevate è stato distrutto; l'umanità si è estinta.

I tre generali della fazione del Leviatano, vincenti nella guerra, ottengono il seguente bonus: metà delle loro ferite totali guariscono (se avevano subito un danno totale critico, diviene alto) e la loro energia residua da Regnarok raddoppia (se avevano il 10% delle energie residue, queste divengono il 20%).
I tre generali della fazione dell'Asgradel, perdenti nella guerra, ottengono il seguente malus: la loro energia residua è dimezzata (se avevano il 10% delle energie residue, queste divengono il 5%). Non svenite anche se siete sotto il 10% delle energie.

I post andranno compiuti a turno; la sequenza dei turni sarà:

• Kactuar
• Jimmy
• Lenny
• janz
• Foxy
• Escape


Potete organizzarvi tra voi per le azioni da compiere, anche ignorando le fazioni per le quali avete giocato fino ad ora. Potete anche non organizzarvi, ma la conseguenza delle azioni va rispettata - Arthur sarà il primo ad agire, poi Rekla (che potrà adeguarsi in base a quanto fatto da Finnegan), poi Viktor etc. etc.
La turnazione è stata decisa in base alle prestazioni nella scena Ragnarok: colui che s'è comportato peggio agisce per primo (poiché gli altri cinque possono decidere di fermarlo), mentre il migliore agisce per ultimo, in virtù dei suoi meriti (anche se coloro che lo precedono possono decidere di attaccarlo, e costringerlo a rispondere a loro).
Ognuno di voi ha quattro giorni esatti per formulare il proprio post. Scaduto il termine, l'utente perde automaticamente il diritto di postare, e inizia il conteggio per il post dell'utente successivo. Vi chiedo se possibile di postare il prima possibile: il valzer deve finire a breve - potete aiutarci in tal senso, dunque non indugiate fino al quarto giorno ciascuno, se possibile.

Janz ha espresso il desiderio di poter fermare Ray. In questo momento, le sue mani si illuminano di colore rosso, e tutti voi saprete inconsciamente che tale potere si riverserà contro il sovrano al semplice contatto fisico. Persino Ray lo sa, ma non reagisce. Janz: ti basta toccare Ray per scatenare il potere che ti ha donato l'Asgradel.

Non siate autoconclusivi con niente e nessuno.
E' tutto; per le domande, il topic in confronto.

 
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view post Posted on 15/10/2011, 06:56
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Allora trascinami svanendo attraverso i cerchi di fumo della mia mente, giù per le nebbiose rovine del tempo, oltre le foglie gelate, gli spaventosi alberi infestati, fuori nella spiaggia ventosa, lontano dalla vorticosa portata di questa folle sofferenza-
Si, a danzare sotto il cielo di diamanti, agitando la mano in libertà, stagliandomi sul mare, circondato dalla sabbia del circo, con tutti i ricordi ed il fato spinti giù, sotto le onde-
Lasciami dimenticare questo giorno sino a domani.


Un orologio ticchetta nell'ombra, greve come un tamburo. Il suo è un battito fioco, regolare.
Il buio non concede neppure una fiammella, alla vista. Sembra tremare, fremere, sembra soffrire. Un altro rintocco e s'accende il suono d'un vecchio mantice, in basso, da qualche parte. Il roco alternarsi di suoni accompagna la fredda umidità di questo luogo solitario, tetro come le colline d'Albion, affogate dalla nebbia del mattino. L'orologio batte sempre più forte, e capisci che quello è il tuo cuore che continua a tenerti in vita, nonostante tutto.
Bussano. No, non c'è nessuno in casa, andate via. Salve. Salve? C'è qualcuno? L'orologio accelera, la sala sussulta. C'è un rumore di fondo, come un vetro che si rompe. Bussa, dammi un segno, se sei in casa. No. Suvvia, ti sento. No. Apri la porta. No. Migliaia di finestre si spaccano e si sbriciolano e cadono in pezzi sul pavimento, buio, sempre buio. Non abbiamo più nulla da distruggere, qua dentro. Andate via. Sono stanco, andate via.
Non è rimasto neppure un tappeto, neppure un quadro. Oh, avevo dei quadri stupendi, un tempo. Meravigliosi, colorati, vividi come non ne fanno più. Ma ora si sono rotti i vetri, hanno portato via i tappeti, hanno portato via i quadri, le cornici, i miei quaderni, i miei ricordi. Oh, avevo dei quadri stupendi, un tempo. Avreste dovuto vederli. Non mi resta che una lacrima o due, sapete? Neppure mi reggo in piedi, e comunque non avrei nessun posto dove andare. Oh, erano meravigliosi, tutti colorati. Avevo migliaia di ricordi, un tempo.
Se guardate nel corridoio, adesso, c'è solo un muro vuoto, spoglio. Portate una lampada, perché c'è buio. Un muro lunghissimo, altissimo, completamente nudo. Completamente rosso. Non c'è nessuno in casa, andate via. Lasciatelo perdere, l'orologio. Andate via.

C'è un qualche genere di follia, di certo, dietro tutto ciò.
È un'insanità di fondo, costante e ripetuta periodicamente, in modo esasperante, rituale. È la cantilena di uno sciamano, che danza ed incanta la tribù con le sue storie di spiriti e divinità. Il mio, alla fine, è un panteismo immanentista. Ilozoista, in una qualche maniera, nel suo burrascoso venerare questo nostro piccolo accogliente universo, cozy. Ricordo ancora quando ero bambino, e faceva freddo, di notte. Ricordo una fiamma viva, mormorante. Ricordo l'acido riverbero delle onde, dense come olio, che riflettevano la luce rossa del falò. Ricordo d'aver visto una stella cadente, quella sera. Oh, avevo dei quadri stupendi, un tempo, e tanti ricordi colorati, vividi, come non ne fanno più. I vetri continuano a rompersi, non smettono mai. C'è la possibilità che io in effetti possieda così tanti vetri, che rompendosi uno alla volta, uno al minuto, possano aver prodotto questo costante scroscio per tutto il tempo. Oppure, magari, il vetro rotto era uno solo, ed invece sono i muri, nudi e rossi, che ne riflettono in suono ancora e ancora e ancora, amplificando quell'unico distruttivo istante per tutta la stanza, per tutta la casa, cristallizzato nel tempo. Non lo so, non ho la forza di girarmi. Sono io, qui dentro, nel vuoto. Sono l'ultimo spirito rimasto, Lamedh, il sussurro della memoria. Avevo tanti, tantissimi quadri colorati. Avevo speranze, apnee, sorrisi. Non c'è più un mondo, fuori. C'è solo quella follia, di certo, a roteare sul proprio centro d'equilibrio come una trottola impazzita. C'è un sibilo acutissimo.
Un orologio che ancora tiene il tempo del mondo, e mi tiene in vita, ancora.
A cosa arrivare, dunque, alla fine del percorso? Cosa ci resta per sperare, per trattenere il fiato, per sorridere ancora una volta? Cosa rimane dei nostri ricordi, dei nostri tappeti, dei nostri quadri perduti? Cosa resta di tutti quegli occhi, di tutte quelle voci scagliate nell'abisso dell'oblio? E se davvero siamo sogni, come pagine d'un libro appena letto da un dio assopito, cosa può rimanerci di questo mondo? Abbiamo, noi spiriti, qualcosa di nostro?
Come possiamo anche solo affermare la nostra esistenza, in una simile devastazione?


Io, oh.
Io sono una cosa che pensa.
Io sono res cogitans, nempe dubitans, intelligens, affirmans, negans, volens, nolens, immaginans quoque, sentiens. Sono una cosa che vive, che ama, che odia, che sogna. Ed è ciò, quello che è. Io sono quell'ultima lancetta che ancora si muove, nell'orologio solitario in mezzo al muro rosso, nudo. L'ultimo battito, pulsante di vita, per il cavaliere della nebbia.
Noi siamo una cosa che pensa. Siamo una cosa che vive, che corre, che muore. Noi siamo una forza dell'universo, siamo la memoria, siamo l'umanità. Siamo forse l'ultima cosa libera. I vetri che si rompono sono solo l'eco distante degli eventi futuri, in timido concatenarsi.
Il suono lontano del nostro orgoglio, Alexandra. Sono la sinfonia dell'inizio, o della fine, Shakan. Ed ecco il mantice, ecco i polmoni che si riempiono ancora. È il frastuono dell'apocalisse, Rekla, Viktor, Tristan. È qualcuno che bussa alla porta, che chiede se nessuno è in casa. Siamo noi, Ray.
Siamo una forza dell'universo, anche debole, sottile come un filo d'erba. Ascoltami, ascoltami bene, so che puoi farlo. Apri gli occhi, Arthur. Alzati.
Ascolta bene, Leviathan, quello che ho da dirti:

« Non hai capito nulla, Ray. »

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Il sibilo del vento è un suono stupendo.
Schiude piano le palpebre, cercando di raccogliere le forze rimastegli in corpo per la sua ultima, splendida corsa. Poggia per terra un piede, vi si appoggia, si erge in piedi. Si, ancora in piedi. « hai piegato il mondo sotto il tuo peso » Il volto di Arthur era sereno, illuminato.
« ma ancora non hai capito. » Io lo ricordo, lo ricordo bene.

Gettò uno sguardo agli altri, fermandosi sulle figure dei due cavalieri caduti per un tempo che gli parve infinito. Strinse la spada con tutta l'energia rimastagli.
Alexandra, piccola cometa nel cielo d'inverno- i tuoi ricordi sono freddi come un cristallo, una gemma colorata. Non hai calpestato questa terra abbastanza a lungo, non troppo a lungo, forse. Donami, ti prego, queste ultime immagini, affinché li possa trasformare in qualcosa di altro, in qualcosa di migliore, anche di poco migliore. Lethe, adesso, brilla nel vento. Vibra.
Shakan, condottiero di miraggi, non abbastanza a lungo ho scrutato nei tuoi occhi. Come ti dissi quella volta, sarò io ad andarmene per primo. Se hai qualche ricordo sbiadito, qualche memoria perduta, ti prego, fammene dono. Su Lethe, adesso, la nebbia scorre come un fiume in piena. Pulsa, carica di luce.
Eccoli, i miei ricordi, fiume dell'oblio. Non temo rifiuto nel consegnarli a te: già in passato accettasti i miei doni senza protestare. Di questa storia, forse, non sono mai stato il protagonista. Di questa intera mia vita, sin troppo lunga, non sono mai stato il padrone. Non mi resta che il mio pensiero, i miei ricordi e la mia volontà. Prenditi cura della mia memoria, incidila bene nel metallo. Oh, Lethe, adesso sei fulgida come il sole al tramonto. Rossa, quasi viola, come questo mondo senza senso.
Il mormorio dell'acqua che scorre, o nebbia che sia, sembra quasi il rumore di migliaia di vetri in frantumi.

« Hai conquistato il tuo mondo, hai cancellato tutto, e non ne hai compreso il valore. »

La stretta sull'elsa si allenta di colpo, mentre il braccio ondeggia rapido. Arthur ha quindi lanciato Lethe, che scivola sino ai piedi di Alexandra ancora carica d'energia. Cerca di sorridere, cerca di essere incoraggiante. Si, è vero. Sto andando a morire, non so neppure se è la prima volta che muoio. Si, è vero, è quasi finito. Forza, nera paladina. Forza, Shakan, ed anche voi, avanti. Un ultimo passo da compiere, o un salto, se volete.
Un ultimo appunto: conservate i miei ricordi, ve ne prego. Conservate la memoria del mondo che c'era prima, e quello prima ancora. Conservate il dolore ed il piacere dei giorni passati, conservate i bei momenti, gli sguardi dolci, conservate le speranze delle persone, tutti quei sogni, tutte quelle fobie e manie e tenere ossessioni. Conservate la follia, quel genere di follia che risuona nel fondo, elettrica. Oh, non sono mai stato il protagonista di questa storia, ma vi prego: conservate anche i ricordi che avete di me. Sono tutti là dentro, sono tutti per voi.
Tenui lumi celesti, resti di un fuoco assai più fulgido.
Oh, i suoi occhi, i suoi occhi continuano a tormentarmi.

« Senza nessuno che copre il rumore, come potrai sopportare le urla del tuo spirito, eh Ray? »

Gli dèi devono cadere oggi, sebbene un tale tempo non esista. Hey, mr. Tambourine Man, suona una canzone per me. Non ho sonno, stanotte, e non sto andando da nessuna parte.
Somiglia molto ad Eridu, questo posto. Splendido, davvero. Eppure qualcosa ancora ci manca. Qualcosa, al posto delle distese verdi, del cielo terso, del mistico silenzio. Oh, ricordo. Si, ricordo ancora com'era, la gente. Le città, il brusio, le risate, le urla e gli insulti. Ricordo il sangue e la carne, la pelle delle persone, la loro memoria, gli attimi perduti, ancora, ancora una volta, mille, miliardi di vetri che si rompono nel vuoto.
La nebbia ha abbandonato la figura di Arthur, restando legata alla spada portata in dono alla paladina. La sagoma del guerriero è limpida, si staglia netta contro la volta azzurra, trema, eppure ha ancora in volto quell'espressione serena, come in atarassia. Il moncherino continua a perdere sangue. Il tempo, comunque, non è una cosa importante.
Mosse il primo passo verso il sovrano, girandosi solo un secondo verso gli altri individui, che già sembravano muoversi.
« Siamo tutti quanti soli, folle figlio di puttana. »
Anche Shakan ed Alexandra erano in piedi. Provando a guardare Ray, invece, Arthur non riusciva a vedere altro che una vacua macchia fuori fuoco, un punto scuro sulla tela.
Il rosso chiuse il passo in avanti, torcendo il busto per l'ultimo saluto. I suoi occhi, aperti, immensi, parevano fatti di fuoco. Il suo viso, sporco di terra e di sangue, aveva ancora su quella maschera da illuminato della domenica.

« Ci vediamo al prossimo giro, amici. »

Diritto verso l'abisso, con un sorriso sul volto ed un'ultima parola nel cuore. Un orologio, lontano, ticchetta come impazzito. È un suono greve, trascinante. Sono gli occhi della bestia della nebbia, cinti da una sottile cornice di lacrime. Oh, avevamo tanti bei quadri, tanti tappeti colorati, e tanti tanti ricordi, belli come non ne fanno più. Con un numero infinito di fattori gettati in un tempo infinito, ma di un grado appena maggiore, è inevitabile che le stesse infinite combinazioni, in ordine finito, si ripetano ed alternino ciclicamente, lungo tutto il cosmico dispiegarsi del rotolo di Chronos, pur andando a generare infinite alternative in orientamento longitudinale. Ricordatevi di Arthur Finnegan, e di come era il mondo.

Tutte le forze rimaste, tutte insieme, tutte adesso. « Noi uomini siamo bestie »
Ecco il suo volto, ecco la sua bocca, la sua voce. Noi uomini siamo bestie, Ray. Il vento turbinò attorno agli attori, sollevando i mantelli e scuotendo la terra dal suo torpore drammatico. « Tu però non sei nemmeno più questo. » continuò con voce ferma, mentre il suo corpo tremante si reggeva a stento in piedi « potrai sopportare la solitudine? »

Diritto verso l'abisso, con un sorriso sul volto ed un'ultima parola nel cuore. Sostanzialmente, un punto di vista differente sullo stesso problema.
Eccoci, ultimi degli uomini, proprio innanzi all'ultimo degli dei del mondo. Eccoci in ginocchio, ma con lo sguardo ancora rivolto verso il cielo. Eccoci pensare, pregare, volere, soffrire, sorridere, piangere, amare, ricordare, vivere, vivere, vivere, vivere ancora. Eccoci in piedi, pronti a correre. Siamo nati per farlo.
Siamo un ultimo piccolo impulso universale, tutt'uno con il tempo, senza neppure aver bisogno di un'apocalisse. Ci bastano un sospiro ed un ricordo- ci sono sempre bastati.
Per un attimo, un ultimo fiero istante in controluce d'avanti alla fiamma della rovina, noi possiamo essere e vivere nel vento, nel profumo dei gelsomini, nella luce rossa del tramonto, nei capelli di una donna, negli occhi di un mondo che, anche se per poco, è stato nostro. È la volontà che ci regge ancora in piedi, e che ci dà la forza di scagliarci contro un dio. È la volontà di sopravvivere nonostante tutto. La determinazione nel proteggere ciò che abbiamo, i nostri compagni, i nostri ricordi. È quell'ultima parola, quel pensiero immenso, che conduce Finnegan verso la sua ennesima fine, nell'assalto suicida contro il leviathan.
Le ultime parole, ruggite nell'etere, furono per gli ultimi cinque sopravvissuti.




















« R i c o r d a t e »


Ricordate perché avete combattuto sino ad ora, lacrime nel vento, e perché sto andando a morire. Ricordate il mondo com'era prima, e stavolta combattete per lui.
Ricordatevi di Arturo, della sua storia, del suo messaggio.
Arrivederci, amici. Ci vediamo al prossimo giro.

_ __ _____ __ _


png

-


ReC: 225
AeV: 225
PeRf: 425
PeRm: 225
CaeM: 250
Energia: 3%
Stato psicologico: Danno critico.
Condizioni fisiche: Danni di entità "Alto+Critico+Medio" distribuiti un po' ovunque. In particolare, Arthur ha perso il braccio destro.


Passive sfruttate:



- Incremento della forza e della resistenza fisica: passive di primo e secondo livello del dominio Forza del Toro.



Attive impiegate:



- AirQuake: personale variabile su perf, castata a costo e potenza bassi, consistente in un urlo psionico con effetto stordente.
- Dreambreaker : personale variabile su perf, castata a costo e potenza medi, consistente in una carica frontale in salto.



Riassunto & Note:



Arthur rinviene e si rende conto della situazione, riconoscendo il Leviatano e decidendo di attaccarlo pur sapendo di non essere in grado, nelle attuali condizioni, di poter reggere il confronto. Al livello tecnico, prima di attaccare Ray, Arthur si rialza e recupera Lethe, la sua spada storica, che subito viene avvolta da Daydream, che ricordo essere il mio compagno animale (fantasma di nebbia), che attiva su di lei la pergamena incastonata 'arma sacra'.
Al livello narrativo, per chi non avesse seguito le vicende del Pg, bisogna sapere che il potere di Arthur deriva dal suo essere un vettore o contenitore del Lamedh, che è un principio d'esistenza minore usato per individuare la forza cosmica di inerzia e permanenza delle cose nel tempo, che in termini psicologici si traduce nella memoria. È dunque bruciando i suoi ricordi che Arthur acquista potere e genera energia, e viceversa può consumare energia per ricreare quei ricordi. La storia dietro è molto lunga e non l'ho mai riportata per intero su asgradel ma l'idea di fondo è questa. Quindi, torniamo a noi.
Arthur, ormai deciso a scagliarsi contro l'ex-sovrano (e con la giustificazione tecnica dell'uso di arma sacra, nell'ultimo dei tre slot possibili per l'incastonata), infonde tutti i suoi propri ricordi e -badate bene, è solo un provvedimento narrativo, interpretativo- tutti i ricordi esterni che, processando il Lamedh nel corso degli anni, la sua memoria ha accumulato. Infusi nella spada ci saranno dunque i pensieri più recenti, rendendo virtualmente possibile -sottolineo, che non fa male, che è solo un escamotage narrativo per dare pathos alla scena- che Alexandra e Shakan, toccando la spada che poi Arthur lancia loro, riescano anche ad ascoltare gli ultimi pensieri di Arthur, ovvero ciò che è scritto in questo mio ultimo post sotto forma di pensiero diretto/indiretto. C'è quindi la preghiera del rosso rivolta ad Alexandra, cui appunto andrà la metà dell'eredità del cavaliere, di conservare i suoi ricordi. Tatticamente, è comunque una spada caricata a potenza media, che potranno usare per difendersi nei prossimi turni. La lancio quindi ai piedi della paladina e, girandomi verso ray (le scritte in rosso sono effettivamente ciò che Arthur dice), lo attacco con un dreambreaker a potenza media, in takle, urlando l'ultima parola con Airquake a potenza bassa.
Il paragrafetto che viene dopo questo spoiler riguarda la seconda metà dell'eredità di Arthur.
Si vede quindi un mantello rosso volare trasportato dal vento, presumibilmente dopo l'attacco, e svanire nel cielo. Anche nel mantello sono impressi diversi ricordi, e questa importante parte di eredità, che sin dall'inizio è stato il tratto più distintivo e particolare del cavaliere, è espressamente indirizzata a RoHan, il Pg di Stray. Tienilo pulito, il mantello, mi raccomando.

le prime righe del post, quelle in corsivo, sono una mia traduzione di una strofa di Mr Tambourine Man, di Bob Dylan.

Direi che è tutto.
Quindi, beh, probabilmente questo sarà l'ultimo o il penultimo post in-gdr di Arthur Finnegan su Asgradel. Ci vediamo al prossimo giro, amici.




_ __ _____ __ _



Ansante nel vento, un largo drappo rosso s'allontana solitario nel cielo del mondo nuovo.
Anche tu, oh memento, anche tu ricordati del primo che se ne andò, tra quei sei spiriti.
Siamo solo polvere sospinta dalle raffiche della tempesta,
Ricorda.






Edited by Kactuar - 15/10/2011, 16:59
 
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J|mmy
view post Posted on 16/10/2011, 14:48




Is this the end?
Tu sei come una terra che nessuno ha mai detto.
Tu non attendi nulla se non la parola
che sgorgherà dal fondo come un frutto tra i rami.
C'è un vento che ti giunge.
Cose secche e rimorte t'ingombrano
e vanno nel vento membra e parole antiche.
Tu tremi nell'estate.


E infine accadde;
Ciò che tutti temevano,
ciò che tutti avevano il coraggio di bisbigliare solo a mezze labbra,
ciò che nessuno avrebbe voluto vedere.
Accadde il collasso del reale, accadde lo stravolgimento di quell’esile risma di menti che l’umana dimensione racchiudeva in sé, un cuore pulsante d’ira e rancore, una imponente struttura d’odio scolpita su fondamenta d’empietà, sorretta a malapena da eterni colonnati di corruzione.
Accadde il peggio, nonostante fosse questo qualcosa che neppure il più avveduto dei profeti avrebbe potuto presumere, un “peggio” che avrebbe dominato pagine e pagine di storia, dimorando remoto negli scrigni mnemonici di molti, lacerando pezzo su pezzo la coscienza di chi – come Rekla – poteva dire d’esserci e si, di ricordare.
Ricordare come fosse il giorno precedente, l’ora fatale, l’attimo fuggente.
Ricordare quel frastuono, lasciandosi ingoiare dalle violenti vibrazioni dell’aria, godendo della gelida brezza della dipartita che cullava ogni respiro come una madre apprensiva ed amorevole farebbe con il proprio piccolo. Ma lei non aveva madri, né padri, né amici.
Di quel mondo che adesso implodeva nel proprio stesso smisurato ego, Rekla conosceva il vuoto che violava ogni fibra, l’indifferenza che infettava i moribondi sguardi d’ogni cellula, piccola, insignificante, nulla. Essi non erano che nuvole, gocce di condensa male orchestrata in un oceano di tacito assenso, un riposo quanto mai prossimo alla rassegnazione congenita a ciascun essere, come girasoli incapaci di non drogarsi del loro stesso sole.
Essi erano schiavi.

Rekla si sfregò le mani, rabbrividendo al metallico tocco della manca. Poi sospirò un’ultima volta, mentre tutto intorno a lei raggrinziva quasi fossero le pagine sgualcite di un antico tomo, uno di quelli che si esiterebbe ad aprire per timore che si sfaldi fra le dita, affogando in secoli e secoli di storia e parole mai lette: una perdita inestimabile.
Eppure, tutto iniziava a disfarsi proprio a quel modo, proprio avanti a lei, senza che potesse fare nulla per attutire la devastante furia degli eventi; mostri, questi, perfide creature, il cui animo insaziabile non pareva frenarsi dal mietere ancora, e ancora, e ancora.
Volse la mente allo scenario apocalittico, che si accartocciava oltremodo goliardicamente, banchettando sul fetido terrore altrui; vittime dalla pelle verde e argento, scalpi poveri e glabri misti a fluenti chiome color oro. Solo allora, agli ultimi crepiti di un bivacco scoppiettante, carpiva la strabiliante avvenenza di quell’immortale discordanza.
Ma era oramai tardi.
Un uomo, lontano, in alto, troppo perché potesse ammirarne i tratti.
Un corpo, scialbo e vuoto, scaraventato nel profondo, boicottato in carne almeno quanto – credeva – lo fosse in animo.
Una vittima; null’altro che l’ennesima, ignara, di quell’atroce flagello.

DJpl1
Che insensata meraviglia.

Sentì il cuore pulsare un’ultima volta e la quiete acuirle ogni senso, come in un turbinio di emozioni che – mescendosi confusamente tra loro – creavano l’esatta antitesi del loro essere: la pace.
Del remoto spigolo di mondo che quel campo di guerra aveva rappresentato in un sol giorno non rimase che uno scorcio indistinto, soppresso a forza dal tenue (quanto ovattato) sussurro di deflagrazione: fu come se ogni dettaglio si ritirasse in se stesso, tramortito e scioccato da ciò che abitava all’esterno, prima di tacere inevitabilmente.
Poi avvenne: l’unica screziatura che i libri avrebbero solo potuto immaginare, l’unica cui avrebbero saputo di non poter più assistere.
Troppo alto il prezzo; troppo bassa la posta in palio.
Un’esplosione…

La Terra spoglia resa a non più di una carcassa…
La luce del dì che scema lenta ma impietosa,
mentre l’ombra ricade sugli astanti tetra e grottesca..
.. malfattrice e ingannevole com’era sempre stata.
Quella, quella sola indugiò immutata.


I5asR

• • •

[…] Ciò che prima era stato un mondo incoerente, popolato solo da manifestazioni di nubi tempestose, si trasformò in breve tempo in una terra verde e fertile; gli oceani si riversarono e rovesciarono nelle cavità più profonde, scuotendosi in luogo a nuove correnti; macchie di verde andarono a diffondersi lungo i prati estesi; formazioni rocciose si spaccarono, lasciando spazio alla natura che andava gonfiandosi nel loro centro, schiudendosi in un paradiso di verdeggiante bellezza.
Il mondo del Sovrano […]

Il mondo del Sovrano..

Che siano uomini, elfi, nani o luridi orchi, non v’è alcuna differenza dinnanzi alla morte.
Essa è madre, essa è figlia, essa è sorella di ogni creatura, miasma indecifrabile e inscindibile della mente, una volta che questa si è spenta, giacché da coscienza di sé e delle proprie gesta insorge la nuda verità di quello che tutti chiamano ingenuamente “Paradiso”.
Rekla, per converso, fu un essere dalle mille sfaccettature, dalle mille crudeltà d’animo, un animo sporco e logoro come il più remoto e derelitto dei luoghi. Rekla era baratro di peccati, sigillo di atroci scempi ed irriverenti sacrilegi. Rekla era tutto ciò che i Campi Elisi non avrebbero mai dovuto vedere.
E, ciononostante, lei era proprio lì: una scintilla di verde adagiata nel cielo, un posto il cui soffocante odore di buono penetrava con foga le narici, riempiendole di un aspro retrogusto di calma irreale.
L’erba tra i denti la ridestò dal sonno imprevisto. In lontananza, a pochi metri da terra, il docile cantico di uccelletti cadenzava melodiosamente gli interminabili secondi che fuggivano, intrecciandosi ai pochi respiri ancora umani, ancora vivi.
Vivi… vita… che importanza poteva oramai avere un tale concetto?
Quale posto migliore, di un empireo, per abbandonare la propria?
Ma non ancora, non prima del calare del sipario.

«…uomini.»
il Leviatano, l’Invicibile manifestazione della semidivinità che ora reincarnava, era lì, con loro.
La Nera dovette mettersi in piedi e stropicciarsi gli occhi per essere certa che quella non fosse l’ennesima, straziante allucinazione dovuta alla maledizione. Ma, non appena le iridi misero nuovamente a fuoco, capì da subito che non era verosimiglianza né scherno.
«...vi do la vita, e un mondo nuovo. Dimenticate ciò che siete stati, e ricominciate.»
Ray era davanti a loro, ancora abbarbicato a quel suo inestricabile guscio di carni ed ossa, costretto a racchiudere la propria magnificenza in spoglie oramai estranee.
Provò quasi pietà per l’aborro che era diventato.
In fondo, pensò, non erano poi così diversi:
entrambi cercavano il potere.
«Ma prima, terminate il nostro nemico.»
Al sopraggiungere di simili parole, una nuova energia – un inconscio alito di vita – percorse la cacciatrice, che si volse appena in tempo perché finanche Tristàn e Viktor facessero il loro ingresso. Al capo opposto, infine, «...voi tutti;» i loro nemici ed avversari di guerra «fate il vostro gioco.»
Alexandra, la paladina senza macchia che le aveva prima salvato la vita, per poi attentarvi ella stessa.
Shakan, gerarca traditore del Sovrano, viscido più di chiunque altro, che tanto aveva osato nell’oltraggiarla con parole subdoli: lo schiavo che accusa di servitù; sorrise.
Il terzo, il cui nome non sovvenne ma la cui figura fu tutt’altro che nuova.
Fu proprio quest’ultimo, difatti, a muoversi per primo, farfugliando frasi sconnesse cui Rekla non diede peso

« Ricordate »
« Ricordate »
« Ricordate »
né misura.
Era quello il momento ove ogni nodo sarebbe stato sciolto, ove ognuno avrebbe trovato la giusta ricompensa e attesa punizione;
e Rekla era ben che pronta ad accogliere la propria.

«Dopo averci imprigionato nella tua battaglia, ci hai riuniti al tuo cospetto perché ci uccidessimo innanzi ai tuoi occhi sadici.»
Inarcò un sopracciglio. Una logica contorta, persino più della sua, doveva ammetterlo.
Abbracciò la scena in un unico sguardo, spaziando dal volto derelitto del cavaliere a quello provato dall’età dell’Oberkommandierende.
«A lungo abbiamo combattuto sotto un vessillo che non ci apparteneva» parlò loro con calma quasi disarmante, poi si diresse alla paladina e il traditore «A lungo abbiamo riversato il nostro stesso sangue, il nostro stesso sudore invano.
Abbiamo patito sofferenza, abbiamo creduto a finte promesse, abbiamo atteso pazienti il chetarsi strafottente del suo ego.
...
Ma la fine di quel tempo è oramai giunta.
»
Non più alcun ruolo, non più alcuna gerarchia.
Erano soli, soli innanzi alla loro singolare ragion d’essere, alla più importante delle pedine di quella fottutissima scacchiera: i l R e.
Allungò una mano verso quanto di più simile avesse a dei compagni – il vecchio e l’ingenuo – protendendo loro, poc’oltre la schiena, il palmo aperto sicché capissero il segnale pur senza esser vista da alcun altro: la disperata richiesta di non muoversi.
"Ti devo un favore, vecchio" avrebbe voluto dire, ma le sue labbra non si mossero. I lineamenti si stirarono grotteschi; dopotutto, non avrebbe fatto che confutare quella sua tremenda boria da mercenaria "Questa volta, forse, sarò io a salvarti la vita"
Tornò su Ray.
«Avrò il tuo potere e le anime che a questi si avvinghiano» incalzò furiosa «Estirperò i tuoi peccati, ne farò pane e vino, mi nutrirò di essi.
Perché questa è la mia natura.
»
Afferrò Constantine, calda, sicura, e ne annusò gli odori elfici acri e raggrumati sul filo. Sbocciò un bacio, delicato e puro come niente e nessuno in quello sperduto sprazzo di terra fertile. La piccola avvampò d’un esile e diafano velo neroargento ed il bagliore divenne inverosimile. Mai come allora aveva visto in quell'unico oggetto di prigionia un tal meraviglioso artefatto, una scaglia di nera luce perduta nel tempo al mero scopo d'esser ripescata dalle giuste mani, dalla giusta coscienziosità: lei, Rekla Estgardel, ne era stata la prescelta.
«Perché...»
Infine, un ultimo bisbiglio, l'attimo precedente un abissale respiro: le voci delle coscienze dilaniate che frusciavano agli orecchi selvagge, ululando al rimorso a squarciagola, sferzanti e penitenti nel bieco silenzio comune a ciascun essere. Lei riusciva a sentirle. Lei sapeva cosa fare.
«IO - SONO - IL - CERBERO !!»
Riscuoterne il pegno.
La spada che sfiora provocante il terso sogghigno della Nera, scivolando dunque nell'interstizio dei seni turgidi, fino a sussurrare mugugni d'amore al ventre ferito e logoro. Il solo dolore - accumulato negli eoni - sarebbe stata la chiave, l'ultimo pezzo di un mosaico senza quiete, cuore pulsante dell'aborto che avrebbe posto fine all'Invincibilità dell'onnipotente fu Sovrano.
Come sospinta da un vento pallido e giocoso, la cacciatrice venne a fluttuare con stucchevole leggiadria innanzi ai presenti, la spada ancora salda in pugno e questo incrociato all'altro sul petto. Dalla lama piccoli lembi di mercurio nero si propagarono circolarmente, collassando fra essi, ingoiandosi e ingrossandosi l'un l'altro. In breve, da un unico punto sul piatto, un imponente braccio di demone risucchiò ogni alito di brezza, quasi a volerne trarre vitalità, torreggiando su tutti minaccioso, alto centinaia e centinaia di metri.
Uno, due, tre secondi, e l’ultima indelebile orma della leggendaria Nera Signora osò schiantarsi distruttiva sui propri opponenti, per impattare al suolo e – da questo – non più risollevarsi.

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CITAZIONE
Rekla Estgardel
La Nera Signora

Stato Umano
ReC 225 | AeV 175 | PeRf 275 | PeRm 375 | CaeM 175

« Energie: 38 + 38 - 66 = 10 %
« Status fisico Rekla: danno basso al fianco destro + danno basso alla spalla sinistra.
« Armi: Constantine • sfoderata; Dolore e Sofferenza • riposta - riposta


~ ~ ~

C o r r u z i o n e

Attiva
Incisione del Bastardo • III livello
Al terzo livello crescono le potenzialità del Demone, in ogni senso. Tutto ciò che si è sottoposto a incanto potrà, in qualsiasi momento e senza concentrazione, ricoprirsi di un alone argenteo, in virtù della manipolazione mercurica. Le modalità e gli effetti resteranno identici ai livelli precedenti, ma si potrà variare forma e intensità della magia riversata per ciò che concerne aspetto e potenza dell'incantamento. Una mezzaluna o un sottile raggio saranno una delle offensive possibili, così come rimane a discrezione di Rekla l'ammontare di energia (da cui consegue la forza dell'effetto) da spendervi. Consumo: Variabile Mortale.


Passiva

La connessione tra l'evocatore e il mostro è molto più potente di quella che potrebbe mai avere con qualsiasi altra delle sue creature. Loro sono la stessa cosa, divisasi solamente con l'obiettivo di distruggere il proprio avversario. Per questo, i loro corpi sono legati insieme non solamente dalle mere catene che fuoriescono dal gauntlet. Nel caso in cui Rekla dovesse subire un danno provocato dal proprio avversario (e non autoinflitto tramite tecniche o atti impulsivi) ella potrebbe decidere di suddividere tale ferita e farne subire la metà esatta al proprio colosso, che griderà, alimentando la propria furia. Esemplificando, se Rekla dovesse subire un danno Medio, ella potrebbe decidere di prenderne solamente uno Basso, facendo sì che il mostro, tuttavia, subisca anch'egli un danno Basso. In poche parole, potrà smezzare qualsiasi danno rivolto alla propria persona, purché l'evocazione sia già presente sul campo. Viceversa, potrà anche decidere di suddividere i danni rivolti all'evocazione, subendone la metà, poiché i due non sono che diverse emanazioni dello stesso corpo [Tecnica passiva].

Incisione del B a s t a r d o I - II - III:
- Possibilità di caratterizzare una delle proprie armi da mischia con un particolare orpello (una runa, un simbolo, o una scritta). Quell'arma - e solo quella - potrà in qualsiasi momento innescare i poteri del dominio. Grazie all'incanto, inoltre, essa risulterà impossibile da distruggere nonostante gli attacchi che le potrebbero venir mossi. (I)
- Possibilità di caratterizzare una seconda arma tramite l'incantamento, anche una a distanza, anche se in questo caso dovranno essere incantati i proiettili. Le armi (e i proiettili) incantati potranno in qualsiasi momento innescare i poteri del dominio. Grazie all'incanto, inoltre, risulteranno sempre affilatissime e incapaci in alcun modo di perdere le proprie capacità offensive, oltre che indistruttibili. (II)
- Grazie all'incanto, si aggiunge un terzo effetto alle armi incantate, rendendole permanentemente prive di peso per quanto riguarda il possessore del sigillo. Ogni altra persona percepirebbe il peso reale dell'arma. Inoltre, non potranno neppure essere sottratte al portatore, e in alcun modo rubate. (III)


-Gola: Rekla raggiunge il successivo livello dell'Incisione del Bastardo. (Livello III)

-Superbia: Essendo innamorata di se stessa e di una forse inesistente superiorità, la giovane ha coltivato un carattere duro e scorbutico che non ispira affatto fiducia in chi la affianca ma, talvolta, insinua un timore lieve che però non ha alcun effetto contro i demoni o gli individui di livello superiore.

-Terzo Vizio dell'Animo|Ambizione: Che sia negativa o positiva, l’ambizione - così come la sua assenza - sottende tutte le azioni umane malvagie o meritevoli che siano. L’ambizione sfrenata può portare all’insoddisfazione perenne, a cambiare schizofrenicamente campo di interesse o obiettivo pur di avere una nuova vetta da scalare, mentre un’accezione positiva di questa attitudine psicologica può coincidere con una sana spinta a migliorarsi e non accontentarsi, a superare i propri limiti. Rekla Estgardel è forse l'essere più ingordo e privo di scrupoli del pianeta, pericoloso e raggelante nell'infinita contaminazione della sua mente. E' proprio grazie a quest'incessante bramosia, però, che la Nera Signora è riuscita a cogliere frutti misteriosi ed unici, rari e preziosi come le più pregiate ricchezze del mondo. In termini pratici, ella è in grado di usufruire delle capacità di una seconda classe: il ladro. A tal modo ciò potrà senz'altro spalancare alla regina dei morti molteplici vie ad un'innumerevole quantità di attacchi e strategie, tutte indubbiamente mirate a stroncare sul nascere l'esistenza del malcapitato avversario.

-Nel ricordo del dolore, l'unità di un cuore spezzato: indifferenza al dolore; pur provandolo, il portatore non si farà influenzare da esso.

-La comprensione del dolore, così da annientarlo: auspex passivo che si attiva una volta che il portatore viene ferito sia fisicamente che psicologicamente. Egli diverrà in grado di determinare l'esatta posizione di chi ha fatto partire l'attacco.

~ ~ ~


Note • Ok, credo di aver dato sufficiente adito a quanto di più scontato potesse immaginarsi: un mortale in direzione del comitato Finnegan-Ray-Alexandra-Shakan. Nonostante tendente per natura ad una costante ricerca di originalità, come spesso accade, le varie circostanze mi hanno condotto a "forzare la mano". E credo, invero, sia quantomai plausibile Gdr-On la reazione della Nera Signora, la quale (per la quasi totalità dell'evento) non ha fatto che attendere ed accumulare colpi su colpi, traumi su traumi. Alla vista del sovrano e dei relativi attentatori (per quanto conosca il presunto intento di Janz, che vuole assolutamente precedere) Rekla perde letteralmente il nume della ragione ed abbandona ogni attribuzione di ruolo e strategia (gli schemi, dopotutto, per una col suo orientamento, non hanno mai avuto grossa importanza e/o priorità). E arriviamo, dunque, al tanto atteso attacco: esso si configura piuttosto come uno sfiato della ragazza - che si ripercuote irreversibilmente su Finn, Shakan ed Ale - la quale offende tutti coloro nei cui confronti prova finanche il minimo odio. Considerate che quest'ultimo attacco è più scenico che altro: in realtà, infatti, essendo diretto a quattro targets differenti e contemporanei, questi avranno meno della metà dal quale difendersi. Al tempo stesso, con questo estremo gesto, Rekla tenta di ripagare il Beccaio circa l'averle salvato la vita giusto un paio di turni fa. Insomma, spero che nessuno se la sia presa, né che mi sia meritato un secondo stupro autoconclusivo, giacché credo che, per un'onnipotente divinità come l'attuale Ray, non rappresenti grosso problema difendersi. Per i tre dell'Asgradel, invece, mi scuso anticipatamente, ma consideratelo più un effetto collaterale. In fondo, però, il senso tutto dell'intera scena era condizionarsi a vicenda e credo di averlo solo messo in atto.
E arriviamo infine ai ringraziamenti.
Posso senza ombra di dubbio affermare che questo sia stato il più grande evento gdrristico a cui abbia mai partecipato e, per quanto difficoltoso, è stato certamente il migliore. Complimenti agli organizzatori per la gestione e la sincronia perfetta con cui hanno innescato i differenti eventi, nonché un grosso in bocca al lupo ed ancora grazie anche a Janz, Kactuar e Fox.
Passo la mano a Lenny e mi auguro di ritrovarvi tutti in game.^^

P.s: no, non mi sono dimenticato di voi! Sapete che vi amo irreversibilmente (mi riferisco a Len ed Esca). :8D:
 
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Lenny.
view post Posted on 16/10/2011, 19:50




Valzer al Crepuscolo - Ultimo Atto -
Ovvero: In inferno, nulla est redemptio.



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In un tempo perduto, in un luogo svanito, venni allevato per essere un soldato. Nel corso degli anni divenni un comandante di soldati. Avevo combattuto, certo, e avevo vinto. Uno scontro dopo l’altro, un esercito dopo l’altro, un massacro dopo l’altro. Ma adesso tutto questo non ha più importanza. Forse non l’ha mai avuta.
Tutte le battaglie a cui ho preso parte si sono estinte, tutte le strategie che ho allestito hanno perso senso, tutti i soldati che ho avuto al mio comando hanno cessato di esistere. Nomi obliati, su liste disgregate.
Alla fine, dentro di me, ho trovato un’altra via per combattere. La più evidente, la più immediata, oltre che uccidere e farsi uccidere.
Servire il Demone.




Oltre il silenzio della morte, quando nel dolce sonno eterno furono immersi i mortali, la misera storia delle sei pedine era destinata a continuare. E nell’ora in cui il sole si andava mostrando attraverso le rosate lande orientali il loro animo venne ridestato. E quando il glorioso astro dal suo scanno stellato inviava raggi diritto alla nuova terra lo sconcerto crebbe e si raddoppiò il tormento: tornava la vita e tornava la triste storia della loro mortale sfida tra il cielo sordo e gli inferi oscuri.

In quel momento, tutti si trovarono nel cosiddetto Nuovo Mondo, terra promessa sottoposta a nuovi inverni e nuove estati, esposta alle inclemenze del cielo e ai disagi della terra. Una altrettanto nuova età dell’oro, nata dalle ceneri dell’età del ferro da cui tutti loro provenivano.
Viktor schiuse gli occhi.
La luce della vita quasi lo accecò. Strinse le palpebre, e vide erba alta, disseccata dal sole di un’estate troppo impietosa. Sei sagome tra le alture verde profondo, sotto un cielo punteggiato di nubi grigie. Sagome di quei caduti che non sarebbero stati in condizioni di alzarsi prima della fine del mondo, tornati alla vita senza neanche dargli il tempo di morire.

Qualcuno li avrebbe definiti illustri generali di grandi eserciti, che avevano dimostrato coraggio e audacia, il meglio che si possa trovare in tutti i frangenti di guerra. Benedetti i tempi che non conobbero la furia spaventosa di quell’ indemoniato leviatano grazie al quale l'infame e codardo braccio del regnante aveva avuto l’opportunità di togliere la vita ai sei valorosi; poiché nel colmo del coraggio e dell’impeto che infiammava i loro petti generosi, senza sapere né come né da dove, era arrivata quell’esplosione disonesta, tranciando e ponendo fine, in un solo istante, ai pensieri e alla vita di chi avrebbe meritato di goderla per lungo tempo ancora. Grandi generali, tutti loro.
Viktor, al contrario, si sentiva circondato solo da un mucchio di zampettanti scarafaggi. il Beccaio non aveva occhi che per un solo, degno avversario.

« ...voi tutti; fate il vostro gioco. »

Proferì il Re che non Perde Mai.
Privo di un regno, privo di un esercito, privo dello scettro e della corona.
Solo un sorriso stanco come la sconfitta, ad adombrargli il volto.
La sua legione di dannati votati alla morte bruciava all’inferno. Devoti lanciati all’attacco decisivo, si erano gettati tutti, dal primo all’ultimo, tra le fiamme della morte. Tranne loro sei, pedine di una scacchiera obsoleta. Armati di una sola arma: essere nuovamente pronti a morire.
E a uccidere.

Tutto questo era assolutamente puro e certo; ed era anche subdolamente contraddittorio. Viktor si piegò in avanti. Tossì muco nell’aria pulita dell’ultima valle. Tossì come un uomo in agonia, ingoiando fiele.
In qualche modo, riuscì a sollevarsi, a osservare il suo unico, vero nemico. La pena che gli causava il sapere che quel ruffiano lo avesse appena riportato alla vita era mitigata poco, sapendo che in quel modo così arrogante, superbo e distaccato, ordinava che scorresse altro sangue. Un re che non ne aveva mai abbastanza di scalare montagne di cadaveri, un re che non era mai sazio di morte, un re che spacciava parole come misture venefiche, con le quali far diventare pazzi gli uomini. Un re che non aveva dimostrato nulla di ammirevole in guerra: non il coraggio di Achille, non il valore di Cesare, non l'onestà di Traiano, non la fedeltà di Zopiro, non la saggezza di Catone, non la pietas di Enea, non la fermezza di Eracle. Ma solo i tradimenti di Sinone, l'astuzia di Ulisse, e per finire l'empietà sua, dello stesso Viktor von Falkenberg.

Nessuno sulla nuova terra avrebbe potuto cancellare il crimine che Ray aveva commesso, nulla nei cieli avrebbe potuto rimuovere quell’abominevole orrore. Nessuno avrebbe potuto proteggerlo dall’inferno che quell’uomo – o dio – aveva dentro. E nessuno avrebbe mai potuto concedergli neanche lo spettro del perdono.
Ciò che il suo potere aveva costruito, lo avevano distrutto le sue azioni: per quello Viktor aveva pensato che fosse un uomo, per queste aveva capito che era un dio. Un dio del male.

Ciò che desiderava Viktor era tentare, quantomeno tentare, di comprendere quale entità demente aveva reso il re ciò che era, cercare di capire quale forza del male lo spingesse perpetrare i delitti che si ostinava a perpetrare. E qualora si trattasse dell’Asgradel, il Beccaio era più che intenzionato a strapparglielo dalle mani. Tutti, tutti credevano che il Vero Potere , oramai, appartenesse di diritto a Ray.
Tutti sbagliavano.
Nessuno di quegli ipocriti bastardi sarebbe mai riuscito ad accettarlo. Nessuna di quelle striscianti serpi velenose avrebbe mai voluto tollerarlo. No, nessuno nel Nuovo Mondo avrebbe mai permesso al Beccaio di ottenere il medesimo potere che aveva causato quella catastrofe: non Tristàn cousland, integerrimo cavaliere. Non Rekla Estgardel, castissima guerriera. Non gli altri tre generali, scarafaggi tormentati.
Nemici. Tutti, dal primo all’ultimo.

Ognuno di loro, pensò Viktor, con la sua piccola, viscida, vile coscienza, che li spinge a proteggere il sovrano, o ad attaccarlo con tutte le proprie energie. Li fa sentire meglio, la coscienza? Dà loro l’illusione di non essere perduti nel limbo delle umane miserie? La nutrono come l’ultima spiga di grano nel campo ridotto in cenere, la venerano come l’ultimo viatico sulla soglia del sepolcro. Quanti nuovi spettri vagheranno per il Nuovo Mondo prima che questa giornata finisca? Riesce a contarli, quel figlio di puttana del re? Riesce a vederli strisciare nei recessi bui della sua, di coscienza?
Viktor strinse gli occhi. Rughe come ragnatele si formarono a lato delle palpebre.
Non posso uccidere tutti, pensò. Ma basta uccidere una sola coscienza, un solo patetico spettro sul mio cammino.

Nessuna requie, nel vento. Sibilava da nord, sempre da nord. Niente più miasma mortifero della guerra eterna, niente più sentore di sangue trascinato nella brezza. Eppure tutti loro erano eretti sulle vestigia della morte. Figure in piedi sull’abominio della desolazione, che parlavano e si muovevano e ancora parlavano. Parole vuote: non sembravano in grado di produrre altro, quei cinque scarafaggi. Tutti volevano sangue, il sangue reale. L’ultimo sangue.
Viktor non l’avrebbe mai concesso, a nessuno di loro. Quel sangue sarebbe stato suo.
Era tempo di agire.

Il Beccaio strinse forte i pugni, chiamando a sé l'intera sua forza. Da ogni remoto anfratto del suo spirito, da ogni minuscola fibra del suo corpo, l’oscuro potere donato dal Demone fu destato, concentrandosi ritmicamente. Il fisico del generale fu preda di rapide convulsioni, contraendosi fino al dolore, oltre il dolore. La pelle divenne un unico avvizzimento di grinze simili a crepe deformi, la carne come risucchiata da dentro, e scavata da fuori. L’intera sagoma, circondata da foschi nembi, divenne scheletrica al punto da dargli le sembianze di un essere decomposto, la cui carcassa era stata per giorni preda di corvi e vermi. Un uomo che prima era alto, rigonfio e prospero si ritrovò così ad esser secco, raggrinzito e gracile. Gli occhi quasi fuori dalle orbite, abissali pozzi sanguigni privi di pupille.
E durante la trasformazione, poiché il Beccaio non era tipo da lasciare qualcosa al caso, volle disinfestare l'intera area dalla presenza di quei fastidiosi scarafaggi. La loro vita ignobile non avrebbe contaminato oltremodo il Nuovo Mondo. Dalla sua figura venne a liberarsi una fitta coltre dalle tonalità verdastre, per il momento concentrata solo in quel punto. Ma di lì a poco, si sarebbe dilatata nell'aere, investendo tutto. E tutti.
Il suo potere.
Per schiacciare chi voleva mettersi tra lui e il dio.

Avanzò nel vento. Passi decisi, scanditi da quello che era tornato a essere un semplice bastone d’appoggio. Uno degli scarafaggi – un energumeno dai lunghi capelli serici – si scagliò contro il sovrano, in un patetico quanto infimo tentativo di togliergli la vita. Viktor continuò ad avanzare, limitandosi a fare con la mancina gesto vago, di noncuranza.

Osserva il tempo in cui la più oscena, la più orrida infamia del tuo sovrano domina il volto della tua terra. Il tempo in cui voi Toryu avete scrutato il vuoto. E tu chiami giusto servire il re di questo pugno di cenere?

Istantaneamente, rostri ricurvi color antracite emersero dal suolo. Lunghe ossa acuminate circondarono lui e il re, levandosi verso il cielo, incrociandosi sopra le loro teste in modo da chiuderli all’interno di una lunga cupola tanto grottesca quanto invalicabile. E difatti, l'assalto dell’energumeno terminò contro la palizzata ossea, senza riuscire a violare di un dito il sacro terreno calpestato dai due.

Ti dirò io cosa è giusto. Tutto ciò che accresce senso di potenza, volontà di potenza, potenza stessa. Un esercito serve allo scopo. Io voglio un esercito.

Faccia a faccia.
Lo scopo era mantenere quei tediosi scarafaggi al di fuori di tutto, lasciandoli scannare tra di loro. Così da far credere a Ray che il suo intento fosse proteggerlo, mentre era solo l’Asgradel che intendeva preservare. Così da non lasciarselo sfuggire mai, mai e poi mai.

La legge della guerra.Operata attraverso il potere incommensurabile dell’Asgradel.

SBAM!
Il soffitto della cupola ossea tremò, colpito da chissà qual altro prodigioso attacco. Ossa e parti di ossa si sgretolarono, crollando al suolo in una moltitudine di cascate cineree. Ma quel secondo, futile tentativo di intaccare i piani del Beccaio non venne degnato neanche di una sprezzante occhiata. .
Viktor fece ancora un passo in avanti, affrontando lo sguardo regale mentre oramai il lezzo infetto permeava l'intero spazio. Il miasma necrotico non sarebbe bastato a far piegare un dio, ne era certo.

Io strapperò l'Asgradel dalle mani del tuo re, e con quello stesso potere lo seppellirò tra queste macerie.

Il Beccaio degl’incubi e il Re della menzogna. Il generale di un esercito perduto e il dio di un mondo ripristinato.
Tra l'aria putrefatta e il reclusorio della morte.
Forse avrebbe dovuto sgozzarlo sin da prima, e prender subito possesso dell’Asgradel. Ma il fatto che lui, Ray, avesse tentato di purgarsi l’anima putrefatta riportandolo in vita destava in lui ancora la più fervida curiosità.

Andrai in giro a cantare che a farti questo è stato il grande Viktor von Falkenberg.

Gli occhi di Viktor erano dentro quelli di Ray, e ciò che scrutò in quelle divine iridi fu solo una sofferenza senza tempo, senza fine. Non ne era sicuro, ma se lo sentiva ribollire dentro, nelle viscere.
Cosa fare prima di ogni cosa?
Sapere.
Tendini si contrassero nella gola del Beccaio. Una contrazione involontaria, improvvisa. Era solo. Nessuno a coprirgli le spalle, nessuno a combattere al suo fianco. Non questa volta. Non al cospetto del dio del Nuovo Mondo.

..colui che ha preso l'Asgradel.


« Io vedo, Ray. Non commettere l’errore di non capirlo, io vedo. » La sua voce era un raschiare gelido, privo di umanità. Viktor sospirò. Un sospiro eccessivo, da teatrante. « Hai spregio della vita dei tuoi stessi uomini, eppure rendi onore alla nostra. » Scosse lentamente il capo. Nessuna teatralità: solo l’ineluttabilità della tragedia. « E quale beffarda ironia, usi la morte come strumento di vita eterna. » Puntò il bastone contro Ray. Stirò le labbra su denti giallastri: il sorriso dell’avvoltoio.
« Ogni tua parola, una trappola » Contrazioni nella sua faccia deturpata. « Ogni tua mossa, una premeditazione. Ogni tuo atto.. » Goccioline di bava torrida gli schizzarono dalle labbra. « ..una contraddizione. »

Una nuova forma di potere, in grado di sconfiggere la dissoluzione di ogni altro dominio.

Si avvicinò ancora.
Tanto da poterlo toccare, se avesse allungato la mano.
« Sentimenti, desideri, debolezze. Quale baratro incolmabile ti consuma? Quale ricerca..» Per un battito di ciglia lungo quanto il Giorno del Giudizio, Viktor von Falkenberg fu certo, assolutamente certo, che la sua testa sarebbe volata fino ai piedi di Tristàn. « ..impossibile? »

Una nuova concezione di fede, in grado di schiacciare l'illusione di ogni altro Dio.

Contrasse il pugno. Tendini come cavi di metallo, nocche come rostri di pietra.
« Voglio la verità.»
E a lui stesso parve così incredibilmente strano porre quella domanda inutile all’apparenza. Non era una domanda sbagliata, ma la risposta avrebbe potuto esserlo. Era un quesito che lo divorava dentro, poiché il beccaio quasi si riconosceva nel Re: nella sua smisurata ambizione, nella sua incredibile forza, nella sua medesima ricerca.

Berserk-vol27-pag125
« Tutta la verità, Ray, niente inganni. Non tra noi. »

Nessuna interpretazione, semplici realtà di fatto: il Beccaio e il Re, alle radici del Nuovo Mondo. Nessuno scontro tra loro, nessuna ostilità, nessuna tensione. Non ancora.

Tu prenderai l'Asgradel, Beccaio. Senza più fallire. Lo farai per me.

Potere. E preservazione del potere. Si trattava solo di questo.
Sino all’ultima lotta.
Sino all’ultimo tradimento.
Sino all’ultimo sangue.



In questo tempo e in questo luogo ho creduto alle promesse di un sovrano invasato afflitto da deliri di onnipotenza. La medesima follia fanatica che nutrì Alessandro, Cesare, e Carlo V, il cui regno non era mai oscurato dal sole.
Gloria. Fama. Potere. Disfatta. Angoscia. Disprezzo. Speranza. Odio. Furia. Bene. Male.
Sono stato sempre oltre tutto questo.
A colpirmi è stata la Fine. Ho visto soldati farsi beffe della vita e interi eserciti venire trascinati via dalla Sua forza. Ogni altra cosa è svanita nel nulla. Ogni cosa e ogni essere. Perfino le anime.
Ha ucciso abbastanza vite da meritarsi il titolo di divinità.
Ma ha salvato noi. Per poi costringerci ad assistere al nuovo, incerto risorgere che sempre segue ogni fine. E questa sarebbe la mia condizione? Il mio destino?
Un transito da un combattimento all’altro sotto i dettami di un dio folle?
No, i miei obiettivi sono diversi. Comprendere prima. Uccidere poi. Sottrarre infine.
In Inferno, nulla est redemptio.




SelfportraitwithDeath

Umano: Rec 325 ~ AeV 150 ~ PeRf 125~ PeRm 525 ~ CaeM 225
Demone: Rec 400 ~ AeV 100 ~ PeRf 100~ PeRm 850 ~ CaeM 150

~ Basso 1% ~ Medio 5% ~ Alto 13% ~ Immenso 29% ~

Energia residua: 29% + 29% -13% -29% = 16%
Status Fisico: Mancina graffiata in più punti (Basso); lacerazione profonda lungo l'anca destra (Alto).
Status Psicologico: concentrato sull'unico vero nemico.



Passive in uso

Certain burden_-Considerevole invecchiamento estetico
-Aura venefica che rinsecchisce e avvizzisce gli esseri viventi che lo circondano.

Achtung_-Auspex passivo.
-Difesa da auspex passivi.
-Passiva psionica di timore nei riguardi di Falkenberg, se i personaggi vicini sono di energia inferiore alla sua.

Sakrileg_-Mimetizzazione perfetta all'interno dell'ombra e dell'oscurità.
-Percezione visiva perfetta al buio (se naturale).
-Possibilità di camminare sulla superficie dell'acqua.

Schrecken_-Cognizione passiva di qualsivoglia illusione/ammaliamento operati in campo.
Byl jednou jeden_-Nessuno può ricordarsi del vero nome del Beccaio, a meno che non sia lui stesso a desiderare che venga rammentato.

Ehrgeiz_ -Possibilità di reincarnarsi dalle ombre in caso di morte (Immortalità).
Haftbefehl_Potenziamento dell'abilità attiva del dominio Metamagia.
Streben_-Possibilità di usufruire di tre slot tecnica anzichè due, a patto che Viktor resti nella sua postazione.

Attive utilizzate



~ Anathema__ _Avvelenare il nemico con un morbo etereo che lo renda sempre più debole, sempre più indifeso contro la furia delle ombre di Falkenberg: questa la logica letale di questa tecnica. Si presenta come una invocazione, un anatema, una maledizione lanciata dopo qualche istante di concentrazione, per poi manifestarsi come una sorta di venefica nebbia violacea attorno al nemico dell'Oberkommandierende. Da quel momento la povera vittima sarà maledetta, perdendo il 10% di energia a ogni suo turno. All'inizio del proprio turno, infatti, il maledetto si sentirà più stanco, come sotto l'effetto di un potente veleno. Purtroppo la tecnica è piuttosto dispendiosa anche per il Beccaio, nonostante la potenza, e, lentamente, finirà con lo sfinirlo. La maledizione gli procurerà, infatti, una ferita di medio livello all'interno del corpo all'inizio di ogni turno in cui rimarrà attiva oltre al primo, d'attivazione, in cui egli non subirà alcun danno. Il Beccaio può interrompere la tecnica in qualsiasi momento. Agli angeli sottrarrà ben il 20% delle energie per turno. Ai demoni, invece, solamente il 5%. La tecnica va considerata un normale attacco psionico di livello medio, contrastabile come di norma.
Ma la suddetta maledizione mortifera potrà manifestarsi anche attraverso l'emanazione di un miasma necrotico, ovvero lo sprigionamento di tale veleno venefico dilatato sull'intero terreno di scontro. Dopo solo un secondo di ferma concentrazione, infatti, Viktor sarà in grado di liberare intorno a sé, nel raggio di cinque metri, una coltre velenoso di colore verdastro, in grado di diffondersi presto nell'aria circostante. Il miasma è quasi mortale, se respirato dai presenti. Il corpo di un normale umanoide, infatti, difficilmente potrà sopportarne un'inalazione senza ritrovarsi in terra scosso da fremiti, colpi di tosse e notevoli convulsioni. Ovviamente il colpo non ha effetto sul Beccaio. La nube potrà anche sciogliere qualsiasi oggetto fisico che perduri all'interno della sua area per troppo tempo, corrodendolo pian piano. Più sarà piccolo l'oggetto, più velocemente si scioglierà, e solo una grande folata di vento sarà in grado di dissolverlo nel nulla.
Normalmente, provocherà danni Alti ad ogni corpo fisico che entrerà nel suo raggio d'azione. Agli angeli, il veleno provoca dei danni al sistema immunitario e fisici pari ad un Critico. Medio contro creature di tipo demoniaco.
{Pergamena Maledizione Superiore: consumo di energie Medio} & {Pergamena Miasma Velenoso: consumo di energie Alto}

~ Beinhaus__ _Oltre al controllo della coscienza dei vivi, il Beccaio possiede anche il dominio sugli spiriti dei morti. O meglio: di quel che resta dei morti. Ossa lunghe, corte, piatte, Viktor von Falkenberg è divenuto un vero e proprio signore della morte. L'energia anomala che lo investì nella sua reggia lo ha reso in grado di comunicare con entità innominabili, con spettri che dovrebbero rimanere a sussurrare nelle ombre, con cose arcane e maledette. E' divenuto in grado di controllare con la sola forza della mente il potere dei morti, è riuscito ad ottenere il pieno potere delle ossa. Potrà generare muri di ossa, barriere, et simili, purché in fase difensiva. Sarà in grado di far crescere da qualsiasi punto del terreno nelle sue immediate vicinanze (o addirittura da se stesso), delle ossa dure quanto del ferro, che potranno avere forma di muri o ossa normali, senza particolari imposizioni delle mani o tempi di concentrazione.
{Pergamena Dominio delle Ossa: consumo di energie Variabile Critico}


Riassunto azioni:

-Viktor non ha occhi che per Ray: considera tutti gli altri solo comparse fastidiose che vogliono intromettersi tra lui e il potere che vuole sottrarre. Avanza verso Ray senza curarsi di nessuno, trasformandosi in forma demoniaca e liberando un miasma velenoso di entità Alta per tutti (eccetto demoni e angeli). Ci tengo a precisare due cose: innanzitutto il veleno viene emanato durante la trasformazione, e non dopo. Quindi le caratteristiche da contare per difendersi o per subire danno sono quelle della forma umana, e non demoniaca. Secondo: come descritto, per i primi secondi il miasma e concentrato in un'area ristretta, e solo dopo un po' di tempo si dilata, ammorbando l'aria che tutti i pg respirano. Dunque avrà effetto su Arthur e Rekla dopo che essi hanno terminato il loro turno.

- Al fine di avere più "intimità" (xD) con Ray, Viktor allestisce una cupola composta da palizzate ossee e ricurve, che chiude i due in un'area di quattro-cinque metri, per tre di altezza. (livello Critico ad Area) Sarà possibile vedere attraverso le "sbarre", e ovviamente vi passerà attraverso anche l'aria ammorbata.

-L'attacco di Finnegan (Medio) non basta a distruggere la cupola e colpire i due, così come non basta l'enorme braccio di Rekla che si schianta sul soffitto ( per la regola del raddoppio di PeRm) limitandosi a sgretolarlo. Il tutto è volutamente ignorato, sempre perché Viktor è catturato completamente dalla presenza di Ray.

-nonostante Viktor odiasse a morte ray sin dall'inizio del Valzer, non lo attacca, tutt'altro: lo protegge dai colpi di Arthur e Rekla. Non perché i sentimenti che cova nel profondo siano cambiati, ma come prima cosa comprendere il senso di tutti questi avvenimenti, come seconda perché lui si ritiene il solo ad aver diritto di uccidere Ray e sottrargli l'Asgradel. Mi è sembrata la cosa più verosimile, dootutto: Viktor è un legale malvagio.


Rinnovo i miei ringraziamenti a tutti quanti, partecipanti e in special modo master. Nonostante le difficoltà trovate durante l'inizio di questa lunga scena, sono stupito anch'io della bellezza che ne è venuta fuori grazie a TUTTI VOI. Ed è per questo che non credo abbia più senso parlare di vincitori o sconfitti, qualunque sia il verdetto finale. Piuttosto, tutti vincitori.

It has been an honor, gentlemen. See ya.


 
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view post Posted on 17/10/2011, 11:13
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Maestro
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In principio
creavit Deus caelum et terram.
Terra autem erat inanis et vacua, et tenebrae super faciem abyssi,
et spiritus Dei ferebatur super aquas. Dixitque Deus: “Fiat lux”. Et facta est lux.
Et vidit Deus lucem quod esset bona et divisit Deus lucem ac tenebras.
Appellavitque Deus lucem Diem et tenebras Noctem.
Factumque est vespere et mane.

GENESIS
dies unus.


______________________



Broken Places
Valzer Al Crepuscolo ~ Ultimo Atto




L'uomo assaporò il frutto proibito.
Partorì il proprio peccato, nell'attimo stesso in cui determinò la propria libertà.
La sciente sapienza della curiosità umana, che si spande nell'unica ragione propria che spinge l'agire del mondo: il potere.
La conoscenza è potere. E' la padronanza del tutto, il matrimonio tra il possesso e l'analisi del creato, che si spande oltre ogni proprio limite, riscoprendone uno nuovo ad ogni volgere del tempo. E' l'umana brama, la cupidigia dello sconfinamento, ciò che si scinde con la paura della perdita e scade nel primato che si cinge di ingordigia.
E' la sintesi dell'homo homini lupus.
Ma è anche l'inizio della fine.

Esiste una divina giustizia?
Esiste l'infinita grazia di una potenza indefessa che regola gli argini dell'universo e decide il punto in cui l'umanità ha raggiunto la sua più bassa empietà?
Per chi ha fede, si chiama divino. Per chi ha logica, si chiama evoluzione.
Per chiunque, si chiama fato.
E' il fato degli uomini.

Il fato degli uomini è stato segnato dalle guerre. Dalla brama di conoscenza e potere, dal desiderio profondo di asservire il prossimo per il proprio più basso appetito. Lo spettro si era sempre aggrappato alla volontà dell'uomo: alla propria libertà, al volgersi chiaro delle coscienze impure di chi spinge il proprio cordoglio oltre il peccato ed implora il perdono. Perché l'uomo va perdonato: per la propria condizione, per il proprio desidero avulso da vergogne, perché la propria natura trascende il lecito ogni qual volta sia in gioco l'anelito del proprio domani. E si dimentica del rispetto, di chi l'ha creato e dell'ultima lacrima che verserà: quella del rimpianto - appunto.
E l'uomo va perdonato, perché la propria natura non se l'è scelta: la sua libertà, è iniziata subito dopo.
Per questo Shakan avrebbe voluto perdonare gli uomini: li avrebbe giudicati, asserviti per il proprio bene, ma non sconfinando nel loro personale bisogno di vita, piuttosto assecondando ogni attimo di più per redigerne il cammino della redenzione.
Lo avrebbe fatto, prima di quel giorno.

Prima del giorno in cui aveva dovuto squarciare coi propri occhi entro i ventri malversi della defecante brutalità del male. Aveva conosciuto la morte, incarnandola come mai prima d'ora, seviziandola e cavalcandola milioni di volte, prima di assuefarsi al putrido marciume del suo sapore. Aveva visto gli uomini - i mortali - bramare l'inferno e divorarlo ad ampie mani, quasi fosse puzzolente letame condito d'ambrosia. Risedere quel potere nella vergogna della mattanza, aveva segnato l'ultimo barlume di vita che poteva prefissarsi. Perdere l'amore l'attimo dopo averlo conosciuto, infine, aveva divorato l'ultima speranza profonda che aveva conservato fino ad allora.
Aveva incarnato la morte. L'aveva potuta squadrare, coi contorni non più foschi, negli occhi di ogni singolo orco, elfo o uomo che aveva visto morire. E poi aveva risentito l'echeggiante bramosia dell'infausto: il potere spezzare qualunque filo di spirito ancora allacciato e gridare a squarciagola l'empietà dello stupro. Ne aveva sentiti milioni di milioni, socchiudendo gli occhi, assecondandone l'orchestrale lamento e sperare che la sua morte lo avrebbe risparmiato da quella tortura.
E la morte giunse, infine. O quello che pensò tale.

Nera come una coltre di nubi: calma come la quiete della primavera. Eppure, non spezzò il lamento: per qualche scherzo del destino, esso lo tenne ancora in vita. Risentì dei milioni di lamenti pian piano, assaporandone uno ad uno e sentendone lo spirito come proprio, una commistione di memorie che lo tennero attaccato ad una qualche effimera coscienza, come un libro troppo importante per assecondare il sonno. Un libro che non sarebbe mai finito.

BASTA!
Vi prego, basta!


Implorò la morte a più riprese. Richiamò la scure più volte per porre fine al proprio tormento. Ma i lamenti non finirono mai. Il nero divenne più opaco, ed i ricordi di quel frangente si riversarono ancor più potenti sotto la sua palpebra. E non finì mai: non fino a quando non si rese conto che aveva ancora della carne a ricoprirne i lamenti. Sentì ancora le ferite pulsare, la forza lasciarlo lentamente, ma ancora sorreggerne stracci di carne morente. E riaprì gli occhi, nell'attimo esatto in cui i lamenti urlarono all'unisono in centinaia, tanto potenti da scuoterne la coscienza e spingerlo a risvegliarsi. Riaprendo gli occhi, come dopo un brutto sogno.

valzer1

La brama di vita gli aveva regalato qualche cosciente attimo in più. Sentì il vento confondergli lo sguardo, accarezzarlo piano e per qualche momento rimase ad ascoltarlo, sperando di sentirgli raccontare della vita, della quiete che il mondo aveva perso e che le guerre avevano infranto. Ma il vento non gli risposte, parve bagnarlo d'indifferenza, rimandargli al mittente qualsivoglia ignominia che si chiamasse male o si chiamasse morte. Era un mondo che non riconosceva, un vento che non puzzava di cadavere ed una terra incontaminata che non si rifrangeva sulle alture dei palazzi per ridiscender giù nelle vallate scavate dalle marce degli eserciti.
Era un mondo nuovo: un mondo vergine.

Il nuovo mondo di Ray. Infine il suo progetto prendeva forma innanzi allo sguardo dello spettro, che ancora si ridestava ignavo tra la calma del nuovo creato ed il ricordo che si trascinava dal vecchio. Riscopriva il divino volere di chi non aveva fatto altro che inseguire, solo per rivelarsi a lui come una creatura al di là di qualunque giudizio. Nel male era coltivato il suo volere, solo per plasmarsi in un desiderio utopico: il nuovo mondo. Concedere una possibilità ulteriore a quel genere umano, qualora avesse trasceso il limite invalicabile della propria morale. Concedere al mortale desiderio di ridestarsi ancora una volta, imparando dai propri errori e plasmandolo secondo il proprio volere, ove ricercarne la perfezione, la pace eterna, la serrante e divinatoria speranza di poter sorreggerlo col proprio solo animo e condurlo verso una retta via infinita e senza barriere. Un nobile desiderio, che prendeva le forme nel genocidio più ampio che l'universo avesse mai conosciuto: un sussulto di cosmica imponenza da risuonar nelle stelle, ma che - ormai - viveva solo nelle coscienze dei sei che si stanziavamo attorno a lui.

Vicino a lui i vinti. Loro i vincitori.
Gli ultimi mortali dell'antico mondo. Gli ultimi che Ray aveva voluto con se, o che il fato aveva spinto al suo seguito. Di chiunque fosse il merito o la colpa, erano i testimoni del peccato più grande. Eppure gli unici: gli unici che avrebbero potuto ricordare la radice di quel nuovo mondo, la mattanza che ne aveva inseminato la crescita, o il desiderio bramoso che gli aveva dato la vita. E lo spettro sfiorò l'ebrezza incontaminata di quella terra, e non poté fare a meno di sentirla ebbra di vita, vogliosa di un'opportunità che ancora non aveva conosciuto.
Chi avrebbe potuto aver cuore da denigrarla? Era nata dal peccato, ma senza colpa per esso.

Era il mondo nato dalle ceneri del vecchio.

« ...uomini.
...vi do la vita, e un mondo nuovo. Dimenticate ciò che siete stati, e ricominciate.
Ma prima, terminate il nostro nemico.
»

valzer2

Ma non avrebbe avuto cuore di svelare l'arcano. Non era nessuno per giudicare quella terra, come non era nessuno per giudicarne il peccato. Aveva assaporato la morte con le proprie mani, strisciando tra le budella dei propri nemici e lacrimando sangue dagli occhi per la struggente marcescenza di tanto dolore. Come poteva davvero pensare che ricreare un nuovo mondo fosse così ingiusto? E se l'umanità davvero non avrebbe avuto più speranze per salvarsi da se stessa, forse l'unica logica ragione sarebbe stata quella di tessere un nuovo destino. E Ray aveva trasceso l'umanità per comprenderlo: mosso dal tormento, aveva raggiunto la coscienza più alta che ne aveva smosso la volontà fino a quell'ultima insopportabile conclusione: che l'umanità non aveva più speranze. Se non quella.
E lui sarebbe stato il solo tanto potente per donargliela. Ed ora vi avrebbe regnato indomito, conducendola fino ai nuovi orizzonti.
Fino a quando non l'avrebbe giudicata egualmente inidonea a proseguire il proprio corso. E l'avrebbe distrutta, ancora, con la stessa apatica superficialità con cui ora la plasmava. Perché, per quanto si sarebbe sforzato, la natura dei mortali non sarebbe mai potuta prescindere dall'imperfezione.
Le mani brillavano di rancore. L'ultima eredità del vecchio mondo si rifletteva nei suoi palmi distrutti, in quello appeso alla sua sinistra ed in quello ancora a malapena vivo alla sua destra. Il peccato si disegnava nelle sue mani: l'ultimo potere derivato dall'Asgradel scomparso, l'ultimo messaggio di vita. Ray era un dio uomo, aveva conosciuto il peccato ed ora l'aveva scacciato dal suo mondo, con una nuova realtà. Cosa gli avrebbe impedito di rifarlo ancora? Non avrebbe mai trovato pace a quel corso senza fine, invero. Non sarebbe mai finita, per lui. Forse, il compito di quell'ultima eredità era di brillare in favore della nuova realtà.
Forse.

Alexandra ed Arthur vacillavano ai suoi fianchi. La volontà del fato si disegnava nei suoi occhi, benché la forza non gli assicurasse altrettante certezze. Eppure i suoi due compagni erano ancora al suo seguito, incapaci di servirlo, però. Troppo aveva chiesto a quelle carni, troppo aveva asservito a se un patto scellerato per seguitare a dargli credito. Mosse un passo e fu lunghissimo. Il corpo si scosse ed il dolore trascese le lacerazioni per rimbombare in tutta la carne. Era solo il primo passo, ne mancavano ancora tanti - troppi.
Nel mentre Finnegan tese l'ultima sua gloria. Non ebbe cuore di considerarlo, ma lo fissò vaneggiare contro il Re - librare in quella pioggia di evanescenza e scagliarsi contro il suo rancore. L'ultima cavalcata di Finnegan il valoroso.

« Ricordate... »

Sparì all'orizzonte del suo sguardo, il guerriero, prima ancora che lo spettro potesse ammirarne la volontà indomita. Non era tempo, né spazio per cavalcargli al seguito, giacché nulla più di una gloriosa morte avrebbe assecondato tanto coraggio - probabilmente. E quand'anche avesse avuto la fortuna di muover un secondo passo, Shakan ne avrebbe ottenuto solo l'ultima vergogna. Il cielo si coprì di dita sottili nere, che si plasmarono innanzi ai suoi occhi per coprirlo ancora di male e spegnere quell'ultima scintilla che si era frapposta tra lui e la colpa dell'eterno baratro. Lo spettro serrò lo sguardo appena, frapposto tra il desiderio di spegnersi ancora una volta e quello di strisciare più al lato, per non morir urlando al cielo. Un flagello scuro presto l'avrebbe scacciato, senza possibilità di prescindere da quel destino crudele. Le mani avrebbero brillato a lungo, ma invano - non c'era via di scampo.

Quando poi, la speranza si abbandonava anche all'ultimo segno, tentò di fare un terzo passo.
E vide la speranza intrecciarsi con lui.

Si intrecciò un muro fatto di bianche ramificazioni, ossa o qualunque cosa avesse smosso l'antico mondo fino a dargli una forma vagamente familiare, trascendendo lo spazio ed il tempo. Abbastanza grosso, ma abbastanza resistente da dargli quei secondi - attimi in più che avrebbe voluto. Era innanzi al suo sguardo, lontanissimo ma esattamente dove gli sarebbe servito: attorno a Ray. Forse una possibilità c'era, l'ultima. Ma combaciava con la più bieca vendetta, quella volta all'amante perduta, come rancore cristallizzato in beffa. Un amore non corrisposto si sarebbe tradotto nell'ultimo omicidio, l'ultimo abbandono. Avrebbe lasciato Alexandra, sconfinandola nel proprio tormento e senza versar più lacrime entro quelle ferite profonde. L'avrebbe lasciata in preda al male, per seguire una volontà che non riguardava neanche più lui, bensì un mondo nuovo che non si sarebbe più occupato di loro due. L'avrebbe lasciata, perché non avrebbe potuto portarla con se. L'ultima speranza combaciava con l'ultimo peccato: un sacrificio per un sacrificio.

Eppure, c'era comunque l'alternativa. Qualche secondo, infatti, sarebbe bastato per abbracciarla. Baciarla come mai avrebbe potuto fare, chiarire le proprie emozioni e sperare di ritrovarvi una risposta che avrebbe regalato ai due l'ultimo attimo d'amore, prima di morire ancora. Quell'attimo sicuro, quel piccolo scrigno di possesso che sarebbe stato proprio loro, a discapito della più iniqua ed improbabile delle speranze. No, non se lo sarebbe perdonato mai. Se il mondo sarebbe cresciuto libero da ulteriori comandi, sgombro dai tormenti di un dio antico che l'avrebbe segnato fino alla morte, per poi rinfacciarla su di un terzo ed un quarto mondo ancora, allora il suo peccato, quel suo scrigno d'amore, si sarebbe tramandato in eterno. E tutto, solo per quell'attimo di egosimo che l'avrebbe spinto a non provarci.
Putroppo non poteva: il mondo non l'aveva voluto come suo, quell'amore.
Ed il destino bramava la vita di Shakan, fino all'ultimo istante.
Anche quello che avrebbe potuto dedicare a lei.
Sorrise appena, per non dedicarle gli ultimi
pensieri con un volto rigato dal
cordoglio.

valzer3

Ti Amo Alexandra.
E porterò con me questo Amore.
Quando pure non avrò un corpo in cui tenerlo, riempirò una stella
e ne farò il trofeo del nostro minuto. Anche se tu non mi senti: anche se non capirai mai.
Anche se non mi ricambi. La voglia di te trascenderà qualunque natura.
E vivrà per sempre, nonostante tutto.
Nessun potere, nessuna morte,
potrà negarmelo mai
il mio amore.


Milioni di parole, senza dirne nemmeno una.
La sua immagine si plasmò di un contorno fumoso, più simile che mai all'originale.
Ma il suo corpo non c'era più: nemmeno per Alexandra, che - girandosi - non l'avrebbe trovato.
Quell'ultimo passo, quello che l'avrebbe potato al suo fianco, Shakan non aveva avuto il coraggio di farlo, più che la forza.
La lasciò così: dedicandole il proprio amore attraverso il vento. Perché era troppo codardo per dirglielo reggendone lo sguardo.

Perché il suo potere lo portava lontano.
Filtrando lo sguardo tra quelle bianche ossa, scorse la terra morbida schiusa al suo interno e l'eterno dio ancora immobile.
Shakan si insinuò in quelle fessure divenendo particella di nulla e riprese forma al suo interno, tra un guerriero scuro ed il suo dio. Quel dio che aveva inseguito da quel giorno, da quando a Bottiglia Verde aveva potuto scorgerne il tormento, bagnandosi dei suoi ricordi e comprendendo dove l'origine di quel dolore aveva segnato il cammino dell'essere più potente. E, con esso, il destino della realtà intera.
Fu al suo fianco, scorgendo tratti così diversi, ma così simili al ragazzo che ricordava. Seguendolo, con malinconica premura, gli parve quasi di filtrarne un ricordo soffuso, una volontà che si fingeva impavida ma che non voleva far altro che schiudersi alla premura, socchiudere il cuore ed aspettare che qualcuno - prima o poi - l'avrebbe compreso.
L'avrebbe reso meno solo.

Shakan tossì. Un rumore profondo scosse anche il suo intestino, oltre che il resto del corpo. Una sottile nebbia verde filtrava attraverso la barriera. Non ebbe senso, preoccuparsi. Lo spettro desiderava solo qualche minuto, qualche attimo ancora col suo Sovrano. Sarebbe bastato poco, il tempo di qualche altro colpo di tosse. Doveva vivere ancora per un pò: solo per poco.
L'angolo di intimità sarebbe costato la sua ultima lacrima, quell'ebbra sintesi di magia che l'Asgradel gli aveva cristallizzato in un potere soffuso. La ingoiò, rimembrandosi di quando l'aveva colto. E riprese quel poco di forza che spese subito, diffondendo nel vento una sua propria nebbia, un contrasto di opacità che avrebbe rallentato, di poco, la venefica empietà di quel vento. E racchiuso i due cuori così distanti, in un ultimo minuto di solitudine.

« E' bellissimo, Ray... »

Sussurrò al suo orecchio, lo Spettro, sperando che il sovrano non gli avrebbe negato almeno quell'ultimo ascolto.

« Ammiro il tuo progetto, infine, stranito tra il verde di queste valli e la trasparenza dei ruscelli lontani. Ho inseguito il tuo tormento fino ad ora, eppure solo adesso - solo ora che l'ho raggiunto - mi rendo conto che forse non ho davvero la volontà di fermarlo, né più il potere. Hai regalato agli uomini una seconda possibilità. Riflettendo di come l'empia condizione mortale abbia corrotto la terra marcia che la natura aveva regalato loro, hai giudicato sterile la loro genesi e restituito alla terra l'unica speranza plausibile per se stessa: una seconda possibilità.

Eppure, io posso leggere i tuoi occhi.
Il prezzo è costato milioni di cuori, milioni di vite e sogni infranti, che hai inglobato in te e visto urlare, all'unisono, ma senza scuoterti minimamente. Li hai a malapena sentiti. Vedo il tuo corpo, le tue mani, ma sento la tua anima ben oltre l'orizzonte del creato, in un luogo ove noi non potremo mai giungere. Sei un Dio e rifletti stranito qualsivoglia sentimento che ti possa tener legato alla terra. E così, solo così hai potuto distruggere un mondo, per crearne uno nuovo. Solo così ne hai sostenuto il peso. Cosa ti impedirà di farlo ancora?

Sei sicuro di averlo fatto per grazia o necessità? Ray, tu sei un Dio che è stato uomo. Hai conosciuto l'empietà dell'emozione, la fragilità del mortale e ricercato il calore di un amore negli unici occhi che ti abbiano mai restituito altrettanto sentimento. Gli occhi di lei, della donna che hai perso. E' stato quello che ti ha convinto dell'empietà del mondo? Quella terra che ti ha sottratto l'unica persona cara - il cui ricordo ancora custodisci, da qualche parte nel tuo cuore nascosto - ti ha convinto di quanto fosse marcia e di quanto fosse necessario curarla, soggiogarla o - infine - rifarla da zero...
»

Il sospiro si fece affanno. L'aria filtrava attraverso le nebbie, benché la coltre spessa facesse di tutto per tenerla distante. Si sarebbe consumato lentamente, straziandosi di tanto marciume e corrotto dalle ferite che grondavano sempre più dolore. Implorò il cielo, fermandosi un secondo, di concedergli qualche attimo in più. Qualche sussulto ancora. E riprese...

« Ed ora, l'hai trovato? L'hai trovato quell'amore che hai ricercato, quel sentimento che ti ha portato fin qui ?
Non credo - o meglio, forse non lo sai. Qualora anche l'avessi trovato, o questo nuovo mondo possa restituirtelo, non riuscirai mai più a sentirlo: perché non sei più un uomo, ormai.

Ray, guarda le mie mani.
Scorgi l'ultima eredità del vecchio mondo che brilla nei miei palmi stanchi: il messaggio lontano di una terra che sembra ancora reclamar qualcosa, da te. Quel qualcosa che ti deve - in qualche modo - e di cui tu hai bisogno. Che anche lei, sono sicuro, vorrebbe per te: la pace.

Sei un Dio, ormai: avulso da sentimenti ma incontinente nel concetto stesso di potenza. Potresti annullarmi le mani soltanto pensandolo. Eppure, non lo fai. Perché?

Perché l'hai compreso ciò che significa.
Hai plasmato questo mondo senza sentir nulla, così come hai stroncato milioni di vite senza che ti dicessero nulla. Nei tuoi occhi leggo l'apatia di una creatura che è giunta oltre alla fragilità dell'emozione, ma - avendola provata - inconsciamente ne sente la mancanza. Plasmando queste terre hai compreso che le vedrai crescere ed evolvere; vedrai altri uomini calcarle e modellarle, imparare a gioirne e fare errori imperdonabili. Fin quanto anche questo mondo non sarà corrotto, irrecuperabile e dovrai distruggerlo, per crearne un'altro ancora e ricominciare tutto di nuovo. E hai compreso che non sentirai mai più nulla. Tutto ti scivolerà addosso, indifferente.
Continuerai per sempre, ricercando lei ed il suo ricordo. E la perfezione umana. Ma senza trovare mai nulla.

Se fosse davvero questo quello che vuoi, allora non esiteresti un altro secondo a fermarmi.
Perché il tuo potere è tanto vasto da aver distrutto un mondo. Preservarsi da un palmo che si sfiora sarebbe uno scherzo.
Ed io, invero, sono finanche troppo debole per sospirare a qualunque tua mossa. Sono inerme.

Eppure la mia mano proverà a sfiorarti, a relegarti in quel limbo di apatia ancor più opaca di quella che ti cinge ora.
Una variante grigia tra l'orizzonte della vita e della morte, ovunque il fato vorrà riservarti uno spazio per il tuo animo dirompente.
Ovunque vorrai andare, pur di lasciar che questo tormento smetta di rincorrerti per ogni realtà che vorrai plasmarti.
»

L'ultima strofa del suo canto avrebbe vibrato tra loro come armonica sinfonia. Si avvicinò al sovrano come mai prima aveva fatto: scrutando i suoi tratti non più umani, gli parve di leggervi occhi tristi e fiato spento. Stanchezza: per la potenza di una creazione. Per lo sforzo di milioni di vite infrante. O per la frustrazione di una prigionia che non poteva finire più, ormai. E di cui si era reso schiavo da solo.
Tese una mano al suo sovrano, scandendo ogni centimetro di distanza dal suo viso con parole sincere.
Le ultime parole Shakan Anter Deius le pronunciò provando ad abbracciare Ray.

« Forse è solo il destino che vuole questo, o davvero il tuo cuore che non pretende altro,
ma è troppo potente per ammetterlo. Eppure un abbraccio fraterno non l'avresti mai più immaginato, per mano di qualcuno - poi - che urlava la propria collera fino a poco tempo fa.

Ma ora credo di aver capito, Ray. Ho letto nei tuoi occhi l'unica volontà alla quale non vorrai mai sottrarti.
L'unico desiderio che non avresti mai il coraggio di ingannare: il tuo.

Lascia che siano gli uomini a plasmare il loro nuovo mondo, d'ora in poi. Hai donato loro una speranza che è sorta dalle ceneri della vecchia distruzione. Hai plasmato qualcosa di diverso col sangue dell'antico tormento, ma è davvero troppo ora.
E' troppo il commiato che hai da quel tuo ricordo pallido, come l'apatia con cui sottolinei ogni miracolo. E' troppo il desiderio che covi - intimamente - di socchiudere gli occhi anche solo per un momento. Per capire o comprendere, dove continuare a fuggire.
Non fuggire più da te stesso, Ray.

Lascia che qualcuno ti porga una spalla, e versi una lacrima anche per te.
Lascia che qualcuno di accarezzi il volto, mentre ti sostiene nello sconforto.
Lascia che ti abbracci per la prima volta, per l'ultima volta, come fossi un amico sincero.
L'unico amico che ti sia rimasto.

Lascia che sia questa mano brillante, a salvarti.

Ora basta, Ray.
Lascia questo mondo al suo destino.
Il tuo ricordo, lo veglierà per sempre - comunque.
Alla fine, non farà male: non sarà la tua prima sconfitta.
Semplicemente, per una volta, non avrai vinto tu.
Ma non avrà vinto nessuno.
»

Tentò di stringerlo, mentre sussurrava parole lente, senza dirle davvero. Tento di appoggiargli la mano destra sulla guancia, per poi avvolgerlo col braccio sinistro intorno al collo. Tentò di abbracciarlo, riflettendo nella sua mente un'immagine che non avrebbe mai più rivisto, o forse non sarebbe mai successa. Ma sperando che il destino avrebbe condotto il corpo al posto suo, per una volta.

Il mondo ti renderà onore, in qualche modo.
E tu lo ingannerai ancora - prima o poi.
Sono sicuro. Ora riposa.
Addio, Ray.


valzer4

L'ultimo colpo di tosse avrebbe comunque scosso il suo petto, librandone il veleno nelle ultime speranze. Sarebbe morto, cadendo sul terreno, stretto tra le braccia di Ray o in qualunque altro modo il destino avrebbe voluto. Ma non l'avrebbe saputo mai, perché il vento ne aveva già sospinto la vita, quando rifletteva di quelle parole.
Shakan era morto e nessuno l'avrebbe saputo mai.
Nemmeno lui.

______________________

Vidit igitur mulier quod bonum esset lignum ad vescendum et pulchrum oculis et desiderabile esset lignum ad intellegendum;
et tulit de fructu illius et comedit deditque etiam viro suo secum, qui comedit. Et aperti sunt oculi amborum.
Cumque cognovissent esse se nudos, consuerunt folia ficus et fecerunt sibi perizomata.
Vocavitque Dominus Deus Adam et dixit ei: “Ubi es?”.
Qui ait: “Vocem tuam audivi in paradiso et timui eo quod nudus essem et abscondi me”.
Cui dixit: “Quis enim indicavit tibi quod nudus esses, nisi quod ex ligno, de quo tibi praeceperam, ne comederes, comedisti?”.
Adae vero dixit: “Quia audisti vocem uxoris tuae et comedisti de ligno, ex quo praeceperam tibi, ne comederes, maledicta humus propter te!

...in sudore vultus tui vesceris pane,
donec revertaris ad humum,
de qua sumptus es,
quia pulvis es

et in pulverem reverteris
.



Final Credits



immyspecchietto

ReC:
300
AeV:
275
PeRf:
225
PeRm:
350
CaeM:
225
Immenso:
36%
Alto:
18%
Medio:
9%
Basso:
5%


Corpo: Numerose e profonde ferite su tutto il corpo; 1 costola rotta; ferita profonda al fianco destro; braccio sinistro rotto; danni da avvelenamento (totale danno Mortale; 100%)
Mente: Assente (totale danno Critico, 50%)
Energia: 7% -9% -6% +10% -9% -6% = 5%

Attive:

CITAZIONE
Il potere è apparizione.
Un apparizione temporane, una frazione di secondo e Shakan non esiste più: lasciandosi alle spalle un'immagine residua di se stesso in un punto, dai tratti evanescenti, come un fantasma trasparente e opaco, infatti, egli si può teletrasportare più distante. Questa tecnica non richiede di particolari tempi di concentrazione o posizioni per essere attuata, ma pone alcune limitazioni. Il colpo non potrà essere usato, infatti, per apparire accanto all'avversario o comunque a poca distanza da lui, e bisognerà trovarsi a una certa distanza, non eccessiva, dal punto in cui si è lasciata l'immagine residua. Non può essere quindi una tecnica utilizzata per scopi offensivi. Non è necessario avere i piedi in terra durante l'utilizzo, in quanto non si tratta prettamente di uno spostamento, ma più di un teletrasporto. La tecnica va considerata difesa assoluta se utilizzata per difendersi. [Pergamena da ladro "Immagine residua", Verde, Attiva, consumo Medio]

CITAZIONE
Il potere è densa nebbia.
Concentrando la propria aura demoniaca Shakan sarà in grado di generare una densa nube di nebbia in combattimento. Durante lo scontro, potrà, dopo qualche secondo di concentrazione, generare un denso fumo nell'area circostante, ricoprendo una zona abbastanza ampia dal nascondere buona parte del campo di battaglia e ostacolando la vista di tutti i presenti, ad esclusione dello stesso Shakan che potrà tranquillamente scrutarvi attraverso. Un'ottima tecnica elusiva, che permetterà quindi a Shakan di nascondere la propria presenza e le proprie azioni. La nube resta sul campo di battaglia per due turni compreso quello d'attivazione, anche se una folata di vento, o simili, potrebbe comunque disperderla. [Pergamena da ladro "Fumogeno", Bianca, Attiva, consumo Medio]. Tale capacità potrà - però - essere sfruttata per scopi difensivi. Infatti, chiudendo gli occhi e concentrandosi per qualche secondo, Shakan potrà generare la nebbia innanzi a se in pochi istanti, sfruttandola come protezione: la nebbia semberà inizialmente piuttosto leggera, diventanto - però - rapidamente molto densa, tanto da risultare - alla fine - incredibilmente solida e robusta, anche se per pochi attimi. L'effetto che ne risulterà sarà quello di uno "scudo" protettivo, sufficientemente alto e largo da costituire una protezione di ragionevole entità, che sarà dura come la roccia, anche se poco meno dell'acciaio. Shakan potrà crearla, ovviamente, a pochi passi di distanza da se e questa risulterà comunque praticamente inscalfibile: un'ottima difesa contro qualsiasi tipo d'attacco, anche se richiede di un tempo di concentrazione di qualche secondo per l'esecuzione generale della tecnica, e di un elevato consumo di energie. Ha un potenziale difensivo pari ad alto. [Pergamena da negromante, "Muro di ossa", Gialla, Attiva, consumo Alto]

Passive:

CITAZIONE
La Solitudine - Difesa psionica passiva. [Passiva razziale del Mezzo-Demone]

CITAZIONE
L'illusione è complicità. Illusioni castate senza vincoli fisici, col 5% di sconto sul consumo energetico, ma mai sotto l'1% [I e II livello del Dominio Illusionista, Passive] Illusioni non riconoscibili o distinguibili con tecniche passive. [Personale 1/6, Passiva]

CITAZIONE
Il fantasma è eterno. Tutte le evocazioni sono intangibili e, quindi, immuni al semplice danno fisico. [Personale 3/6, Passiva]

CITAZIONE
Il potere mi ha maledetto. Permette utilizzo di pergamene da negromante. [Personale 4/6, Passiva di Metagame]

CITAZIONE
L'Abiezione. Passiva che induce timore nei confronti di coloro che si avvicinano a Shakan. [Personale 5/6, Passiva]

Armi:

CITAZIONE

spadajanzcopy

Cupiditas - [Malus - la spada può sempre comunicare col portatore ignorando eventuali difese psioniche; Passiva - l'arma è legata a Shakan e non può essergli sottratta].
Cruciatus ~ Infinito tormento del giusto castigo. [Passiva - i ricordi dell'episodio che ha prodotto Cupiditas tormenteranno Shakan e non potranno essere dimenticati o alterati; Media, psionica - Shakan può condividere quei ricordi o le sensazioni ad essi collegate con un bersaglio singolo]. Sfoderata.

Washi, la carezza del fantasma: equipaggiata braccio sinistro, artigli non estratti, inutilizzabile per il braccio rotto;

Riassunto:

Schematizzo:
- Shakan ricorda ogni singola voce di quando il mondo è stato distrutto, perché - grazie alla passiva di memoria - è capace di rielaborare a piacimento ogni suo singolo ricordo;
- Si risveglia e capisce che Ray ha costruito un nuovo mondo, distruggendo il vecchio, ma che per farlo deve aver per forza rinunciato ad ogni sua umanità o non ne avrebbe sorretto il peso.
- Scorge il plasmarsi del colpo di Rekla ed inizialmente tende ad abbandonarvisi.
- Vede però la cupola di Viktor e capisce che ha un'ultima speranza, che però significa abbandonare Alexandra.
- Decide di abbandonarla, anche se si strugge.
- Usa Immagine residua per teletrasportarsi all'interno della cupola, mentre fuori non resta altro che un'immagine residua di se.
- Usa linfa vegetale per recuperare un pò di energia (+10%).
- Usa fumogeno all'interno della cupola, per obliare la vista a tutti tranne che a se stesso e tener distante la nebbia.
- Incurante di ciò che succede attorno a lui parla a Ray e tenta di abbracciarlo.
- Infine muore per i danni da avvelenamento.

Note:

1) Il miasma, secondo quanto detto da Lenny, si concentra nella zona in cui sono loro, per arrivare in tutto il resto della zona solo dopo. Shakan quindi ne viene colpito gradualmente, e cerca di attutire l'aria velenosa con la nebbia.
2) La nebbia ha la doppia funzione di coprire la vista a chiunque, tranne che a se stesso, e rallentare l'avanzata del miasma all'interno.
3) Shakan tutto ciò che dice a Ray lo "deduce" dal suo sguardo e dai suoi ragionamenti.
4) Shakan non si cura semplicemente più di nient'altro che non sia Ray, ma è ovvio che va nella cupola per proteggersi dal colpo di Rekla.
5) La lacrima cui si fa riferimento verso metà post è la linfa vegetale, che Shakan identifica come una lacrima cristallizzata dal potere dell'Asgradel.
6) L'abbraccio finale è specificato sia un "tentativo di abbraccio". Sostanzialmente Shakan tende se stesso verso Ray, provando ad abbracciarlo, ma praticamente sta agonizzando nel momento stesso, quindi l'immagine mostra ciò che egli "crede" succederà, nella sua mente morente. In verità non lo saprà mai, perchè è morto mentre succedeva. Spero si denoti assenza di autoconclusività in tutto ciò.

Note finali:

E siamo davvero alla fine. Dopo l'epic fail dei ringraziamenti di Ragnarok, credo sia superfluo ripetermi negli stessi termini. Rinnovo solo i ringraziamenti a tutti, ricambio quelli fatti da chi mi ha preceduto, e sottolineo quelli ai QM per lo splendido evento. Spero di aver contribuito in qualche modo a far qualcosa di unico e spero che questo mio post sia di vostro gradimento, io vi giuro che ci ho messo tutto me stesso, ancor più del solito. In qualunque modo vada a finire, esserci è stato il più grande dei riconoscimenti. Grazie a tutti, dal profondo del cuore.

 
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Foxy's dream
view post Posted on 18/10/2011, 17:09




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Annegava in un buio liquido, informe, l’attesa di un nuovo inizio o di una nuova fine. Non pensava, non era, non esisteva; non meritava neppure uno di questi doni. Solo il silenzio si instillava con prepotenza esasperante, ma avvertirlo non era che una sensazione, vaga e lontana, ovattata dall’inconsistenza in cui annaspava.
Non v’era appiglio. Leggera come parte di quell’oscurità precipitava verso il fondo, un fondo senza fine, per vero. E naufragava, ancora, per nulla inquieta o timorosa; non le era permesso saggiare emozioni di alcuna natura, nel bene e nel male. Ancora più giù, sempre più a fondo, in direzione di quel letto invisibile e inavvertibile, solo il silenzio, un atono boato o una quiete incauta.
Un alveo di pace nell’armoniosa tranquillità ivi regnante, solo flebili e fragili sensazioni, istintuali e primigenie, distanti dal pensiero o da quanto più vicino si possa definire tale. Indietro di miliardi di anni, di ere disgiunte dalla memoria del tempo, ancor prima di concetti come caos o ordine. Indietro alle origini di tutto, ai tempi di Dio.

Un debole sbatter di palpebre.
Un ansante respiro.
In piedi eppur debole come non lo era mai stata. O forse sì, non ricordava.
Tremante si era abbandonata a quel silenzio. Fuoco vivo nelle membra, acido nelle vene; una debolezza pressante e incostante. La consapevolezza di aver infranto il sigillo dell’ultima porta, l’apprensione per un mondo distrutto, la coscienza d’essere tra gli ultimi degl’uomini.
Non v’era un perché, ma solo un come. Una religione o una dottrina dalla quale era possibile astrarne la sola superficie, prendendola come tale, accettandola, ancora una volta: in silenzio. Il destino è una bestia indomabile, chi meglio di chi ha assistito inerme alla fine dei tempi ne è consapevole? Le frivolezze di una vita, gli svaghi e i passatempi. Avrebbe sbuffato ironica se solo fosse stata dell’umore adatto, se solo i suoi occhi non si fossero persi in quella piana florida, verdeggiante, e malgrado ciò sterile, quanto mai apatica. Non v’era vita nel coronamento ultimo della bellezza, uno statico affresco di banale e inconcludente perfezione.

« È questa, la Fine? »
Un bisbiglio al silenzio,
unico interlocutore.


La spada nel pugno, senza averla neppure tratta.
Un istante prima il fragore della battaglia tempestava i suoi timpani con suoni bassi e acuti, urla umane e grida bestiali; ed ora il silenzio. Un fruscio appena, il vento ridestatosi dal sonno, titubante e incerto come il primo passo di un infante.
Socchiuse gli occhi, nel tentativo di scacciare via ogni emozione, ogni pensiero.
Quel taglio sul braccio le doleva, e sebbene fosse appena un graffio doleva molto più di quel marchio spogliato della civetta sul suo ventre, bruciante come ferro arroventato. Una promessa al firmamento, al cielo impietositosi al cospetto dell’apocalisse per ritirare il torbido vello e mostrare un nuovo giorno, un nuovo sole.

« O un nuovo Inizio? »
Non ebbe il coraggio di proferire parola.
Non quelle. Asserzione del proprio fallimento.


Uccidere Ray.
Il suo ruolo poteva davvero essere quello di affrontare un Dio - l’unico Dio rimasto - e ucciderlo?

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Silenzio, se non l’acerbo chetarsi del vento e il debole fruscio dell’erba. Un vuoto nell’anima adombrava la risposta al quesito, una lacuna subito colmata dall’intraprendenza di Arthur, di fianco a lei, insieme a Shakan.
La sua voce, il caldo modularsi d’una riflessione, una verità relativa, distorta dalla percezione con la quale ci si appropinqua alla realtà. Come non fidarsi di un uomo sì sicuro? Come non assecondare la volontà di chi asserisce di aver compreso tutto? La risolutezza, la fermezza con la quale imponeva il proprio credo era quanto di più carismatico avesse udito, tuttavia la vicinanza a un folle deliro, l’analogia a un Zarathustra di fronte al mercato gremito di gente, era indubitabile, manifesta.

« Senza nessuno che copre il rumore,
come potrai sopportare le urla del tuo spirito, eh Ray? »

Parevano tanto parole rivolte a lei.


Solitudine.
Aveva da sempre vissuto nell’ombra di quella parola mai comprendendola appieno, fino a quel giorno, paradossalmente l’ultimo.
Di fronte a lei presiedevano i tre generali, i tre paladini del meschino e del maligno, abneganti interlocutori, profani sostenitori del potere e della distruzione ad essa contigua; e Ray, fermo e immobile come una statua, un monumento a quella gloria perversa che trova splendore nella devastazione più bruta e spietata, di chi si appresta al nuovo tempo senza orgoglio o amor proprio.
Ai suoi piedi una spada, invece.
Lethe. Fulgido acciaio dal significato intrinseco.
Si chinò su di lei, mentre riverberava di luce e fiotti sanguigni. Vi pose la mano sull’elsa, afferrandola, e in quel momento fu investita dai ricordi, travolta da una tormenta sgargiante, da sapori lontani, da sensazioni estranee e al contempo familiari, un susseguirsi di memorie e rimembranze che si mescolavano e contorcevano per svanire e riemergere sotto forma di realtà. Una realtà offuscata invero, inebetita dal sogno mai raggiunto, dall’istinto mai seguito, dal desiderio insoddisfatto, dall’amore dimenticato, e tanti e mille e più raccoglimenti di quel che Arthur era e rappresentava; e capì. V’era un significato, forse, nelle sue parole. V’era sempre stato. L’ancestrale richiamo al divino, un istinto deicida evocato per reclamare la sua libertà di uomo, la sovranità di autodeterminazione che aveva trovato sfogo in gesti tanto folli quanto irragionevoli. V’era un significato dietro il suo agire, ed ora lo comprendeva, negli ultimi istanti di vita.

Il viso stanco si distese.
« Vai e compi il tuo destino, Arthur. »


Uno sguardo su.
Tirò la lama a sé, penando appena per il dolore, e quando fu in piedi, dopo un lungo respiro, la conficcò nel molle terreno, vergine di ogni dolore, per poi lasciarvi scorrere il dito sui fini lineamenti dell’elsa, soffermandosi sulla guardia crociata.
Quella spada chiamava sangue, sangue divino.
E comprese, capì che lei non poteva dar seguito a quella volontà. Lei, piccola stella, non poteva splendere di luce impropria, non sua, di quella che circondava le mani di Shakan. Se ci fosse stato un ruolo, in quel grande disegno, non era mai stato chiaro. Per quanto inseguisse la verità, non l’aveva mai distinta dalla mistura di menzogne; per quanto splendenti e confortanti potessero essere, le falsità eran traditrici. Ma non v’era bisogno di una scusa, di un’ombra che rannuvolasse i pensieri, non più ormai.

« Ricordate »
Lo avrebbe fatto.
Avrebbe ricordato ogni cosa,
avrebbe preservato ogni memoria come il più caro dei tesori,
mentre una lacrima chiudeva il suo ciclo.


L’ultima volta che il pianto le aveva avvelenato gli occhi era stato al momento del risveglio, sulla sommità di Velta - di quel che ne rimaneva - e adesso, mentre la folle ragazzina tempestava l’aere con la sconsiderata bramosia sterminatrice che da sempre la contraddistingueva.

« Rekla. Piccola pazza.
Hai compreso poco di questo mondo. »

Piano, un dolce sussurro.
« Shakan. Fuggi e compi il tuo destino.
Non è qui, non è così che si conclude. »


Una lacrima colò dalla gote, un pacato sorriso le ornò il volto. Non aveva alcun rimpianto, quel giorno. Aveva dato tutta se stessa in quella crociata, aveva dato sfogo ad ognuna delle sue risorse, e fallire non fu una sconfitta, quanto più un finale senza alcun sapore.
Accettare, forse, non aveva mai fatto parte del suo essere, ma aveva accettato fin troppe cose per riprendere ad essere quel che era, stoica guerriera dall’indole ribelle. Avrebbe accettato, per l’ultima volta, quanto il mondo le offriva, quel nuovo mondo spogliato di tutto per riprendere a ruotare su un nuovo asse, sotto il giudizio di un nuovo Dio.

Raccolse ogni pensiero e ne fece pasto, saziandosi di soddisfazione per quel che era divenuta.
Un passo, e il dito abbandonò Lethe, lasciandola al triste destino di arma, ma il cui ricordo sarebbe riecheggiato per i venti, urlando quel dolore mai palesato.

« Non ho scopi, in questa vita.
Sono viva per nulla, ma asseconderò il tuo desiderio,
Shakan, amore mio. »

Parole forse inudite,
contratte dall’ultimo sforzo che quel corpo malandato richiedeva.


E correva per la piana erbosa, più di quanto quelle gambe stanche fossero in grado di sostenere, ma il dolore non era che una fuggevole illusione dinanzi alla prospettiva della morte. Socchiuse gli occhi, silente verso l’ultima meta, splendendo come la piccola stella che era. Aveva trovato la sua luce, un motivo per cui vivere, e morire. Splendeva tanto dall’abbagliare chiunque avesse assistito al suo ultimo anelito di vita, splendeva tanto da gareggiare con quel nuovo sole nel cielo terso.
Abbracciò l’ombra di quel che rimase di Shakan, l’unico fuoco che era stato in grado di sciogliere la sua anima arida e fredda, come il frutto del dio avanti a sé. E nessun rimpianto la colse impreparata, chiuse gli occhi nel momento in cui fu preda di quell’onda scura intinta nell’odio e nel risentimento, accogliendo il dolore come l’ultima pena, l’ultimo ostacolo.

png

Cenere alla cenere,
polvere alla polvere.


...

« Shakan. Non fui degna di dare vita a un nuovo inizio, né avrò mai la forza di segnarne la fine.
Io non sono che una fase di passaggio, un’intermediazione che si insinua tra la nascita e la morte.
Non ho uno scopo, nessun proposito. Non fui forte quanto te, né risoluta quanto Arthur.
Forse non sono mai stata neppure innamorata, di te. Credo che il desiderio d’amore che si era fatto largo nel mio sterile cuore abbia trovato pace, in te, anima affine, pregna di dolore.
E adesso muoio, per questo desiderio d’amore. Amore vero, amore di cuore.
Compi il tuo destino. Mi piace pensare che sarà grazie a me che esso si realizzerà.
Perciò corri contro il tuo re, corri verso il fine della tua ambizione.
Io adesso muoio, forse non ci rivedremo, o forse sì.
Le parche tessono e giudicano.
Non ci resta che attendere,
amore mio. »




CITAZIONE


ReC: 250 | AeV: 225 + 400 = 625 | Perf: 250 | Perm: 325 | CaeM: 225

Critico: 33% | Alto: 15% | Medio: 6% | Basso: 2%



Energie: 15% - 0% - 6% = 9%
Status psicologico: in pace con se stessa.
Condizioni fisiche: taglio sul braccio sinistro [Basso], contusione dietro la nuca [Basso], ustione all'addome nel punto del tatuaggio del Mastro di Chiavi [Critico + Alto] => Mortale

______________________ _ _

Abilità attive:

• More Quickly ~
Spendendo un quantitativo di energie pari a Critico, Alexandra riesce a compiere un unico movimento dalla velocità inimmaginabile. Utilizzabile solo per spostamenti sul terreno piuttosto lineari, richiede di una certa concentrazione nelle gambe. In valori numerici, l'AeV viene elevata in un unico istante di ben 400 punti. [Pergamena del Ladro: Soru | Pergamena incastonata nel corpo]

• Dazzling ~
Spendendo un quantitativo di energie pari a Medio, Alexandra sarà in grado di generare un grande flash nell'area circostante. Il flash non avrà alcun tipo d'effetto, nemmeno sui demoni, ma chi ne entrerà in contatto sarà cieco per due turni, riacquisendo la vista al termine del secondo. I suoi occhi perderanno iride e pupilla, e non sarà più in grado di vedere nulla. Può essere contrastata come una normale influenza psionica di livello Basso. [Pergamena del Paladino: Pura illusione]

____________________________ _ _

Abilità passive:

• My Sword ~
La spada in possesso di Alexandra presenta sul piatto della lama un incantamento runico di colore rosso carminio ben visibile all’occhio. La bastarda potrà, in qualsiasi momento, innescare i poteri del dominio, e grazie all'incanto essa risulterà impossibile da distruggere nonostante gli attacchi che le potrebbero venir mossi. [Abilità passiva del Dominio Incantaspade I]
• My Hands ~
Le mitene in possesso di Alexandra presentano nel palmo un incantamento runico del tutto simile a quello della spada bastarda. Quest’arma potrà quindi, in qualsiasi momento, innescare i poteri del Dominio. Grazie all'incanto, inoltre, risulteranno sempre affilatissime e incapaci in alcun modo di perdere le proprie capacità offensive, oltre ad essere indistruttibili. [Abilità passiva del Dominio Incantaspade II]
• My Wish ~
Alexandra punta gran parte delle proprie capacità sulla magia. Avendo così affinato questo potere insito in lei, una volta raggiunto il 10% delle energie non sverrà. Ciò però non significa che non sarà stanca raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%. [Effetto passivo dell'abilità razziale]
• My Volition ~
Il dominio di Alexandra sul proprio corpo le permette di scagliare attacchi magici e fisici senza alcun tempo di concentrazione. Ciò permette un notevole vantaggio tattico e tecnico alla paladina, che racchiude in sè le proprietà di maga e guerriera allo stesso tempo. [Abilità personale passiva]
• My Verity ~
Le parole di una regina sono inviolabili, intoccabili, indiscutibili. Allora come poter mettere a freno la sua lingua, la sua dialettica forbita e pregna dei più valenti significati? Semplicemente impossibile, così come impossibile è arginare il fiume in piena della sua parlantina sciolta e suadente. In termini di GdR quest’abilità conta come un ammaliamento passivo che influirà su tutti coloro i quali ascoltano le parole di Alexandra, che andranno considerate come vere, sincere, sebbene in realtà possano essere l’esatto opposto. [Abilità personale di ammaliamento passivo]
• My Perception ~
Sensazioni. Il mondo si estende al di là di quel che è possibile percepire con tatto, gusto, olfatto, vista e udito, trascendendo la realtà in mille altre sfumature percepibili solo dall'istinto più sviluppato in forme di sensazioni. Una sorta di empatia che la collega alla dimensione delle anime, permettendole di avvertire le aure di amici e nemici nelle vicinanze come una sorta di sesto senso. [Bracciale dell'Auspex]

4_Fourth_Porta dell'Incubo. Il sussurro oltre la Notte. Incubi e Visioni infestano il Sorya. Un roboante addensarsi di Silenzio che solo tendendo l'orecchio, solo fermandosi ad ascoltare, si può scoprire essere un sussurrare di fondo, un rumore bianco indefinibile. Il respiro del Buio. Il respiro di ogni sogno distorto, di ogni pensiero inconsulto. E' nella voce del Mastro di Chiavi che tale tramestio, tale confuso tremolio si annida. In ogni sua parola, in ogni sua espressione. E tanto potente è il suono di ciò che nessuno può udire, che il solo osare troppo potrebbe distruggere tanto la vittima quanto il carnefice. Egli infatti può richiamare l'incorporeo, l'inconsulto, ciò che non può avere forma che nelle fantasie più mostruose, più deviate. Eppure se ne sentisse il bisogno, se davvero pensasse che la necessità giustifichi un simile abuso, allora il Mastro potrebbe lasciar risalire quelle voci, quelle presenze, e utilizzarle a proprio piacere. Potrebbe parlare ai nemici con la propria voce, ma sussurrare agli amici altre parole, con il Suono Nascosto. [Passiva]

_______________________________________________________ _ _

Note:

E il Valzer finisce anche per me, ma prima di passare ai sentimentalismi vorrei illustrare le dinamiche del post:
1) Ale si ritrova nel nuovo mondo di Ray, senza comprendere bene il perché né il come.
2) Dopo attimi di sconcerto vede Arthur prepararsi a compiere il suo destino scagliandosi contro Ray.
3) Afferra Lethe, lanciata ai suoi piedi, e viene travolta dai ricordi e dall'essenza stessa di Arthur e Sideris (Tutta roba puramente gidierristica, ovviamente. Un modo come un altro per dare l'addio a Finnegan).
4) Comprendendo che quella spada esige sangue divino, la rialza e la infila nel terreno. Lasciandola al suo posto.
5) Rekla scaglia la sua ondata Mortale di mercurio, ma non avendo risorse a sufficienza per evitarla o pararla o quantomeno incassarla, si abbandona al destino proteggendo Shakan l'ultima volta facendogli da scudo.
6) In questo momento usa Soru (incastonata nel corpo, quindi senza alcun consumo energetico) per pararsi di fronte a Shakan, abbracciando la sua immagine residua e utilizzando Pura illusione (InGame ha ritrovato la sua luce, ma altro non è che un espediente per contestualizzarla)
7) Incassa l'attacco di Rekla, morendo, e concludo con un dialogo interiore mai avuto luogo. Una sorta di lettera d'amore quasi adolescenziale. >____<

Ottimissimo. Detto tutto ciò, mi complimento anch'io con tutti per la lunghissima giocata ricca di ogni emozione possibile e immaginabile. E' stato non solo divertente, ma anche commovente scrivere e leggere e commentare tutto quanto è avvenuto dal primo post del primo turno ad ora.
Perciò ringrazio tutti, dai QM a tutti i partecipanti incrociati finora ed anche tutti gli altri, che hanno contribuito a far sì che il Valzer si concludesse nel migliore dei modi.
Che altro dire? Non saprei, ho già detto tutto. Ci si legge ^^

 
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Tristàn Cousland
view post Posted on 22/10/2011, 12:55




The Fall Through Ginnungagap


Once I was - now I am no more. A burst of flames threw me into oblivion.
The life I knew - seems distant and unreal. A fading dream, a memory I can't recall.
Am I real - I can no longer tell. A notion tells me I still exist.
Infinite dark - through this void I float. Resting, waiting for the day
When I will live again. Eons pass or maybe I just blinked.
Deeper into this hell I sink. Falling through Ginnungagap!
I'm pulled towards an unseen gate; I seem to hear my name being called.
I float towards these cries of fate, faster than the speed of light.
I am falling through universe! Stars flash by before my eyes!
The time has come to return; out of the dark, into the light!
Back into life I am cast, by my side to reclaim that once we lost.
Eons have passed, I'm back from the dead! Victory lies ahead!
Falling through Ginnungagap! Falling through Ginnungagap!
Falling through Ginnungagap! Falling through Ginnungagap!

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Fantasmi.
Ogni uomo degno di essere definito tale ha i propri fantasmi.
Ogni uomo che ha vissuto una vita piena ha i propri fantasmi.
Solo un uomo privo di spessore, un ignavo, una creatura inutile per se stesso e per chi lo circonda, abituato a vivere nell'anonimato e nella solitudine, non si trova a combattere giornalmente con i propri fantasmi. Un fallito, un miserabile, destinato a marcire in una fossa comune senza che nessuno reclamerai mai il suo corpo: un fottuto pezzo di merda fortunato. Un signor nessuno che, se non fosse nato, non avrebbe fatto alcuna differenza, incapace di lasciare una propria traccia, un qualcosa di sè, su quella terra.
Condurre una vita nell'ombra e trascorrere l'eternità nella stessa. Una comodità e una maledizione, allo stesso tempo.
L'aumento dei propri, personalissimi spettri è direttamente proporzionale all'intensità con cui una creatura vive i giorni che gli vengono concessi. E' inevitabile: meno rimani a guardare, più decidi di tentare, di creare il tuo mondo, di relazionarti con chi ti circonda, e più c'è il rischio di commettere errori che ci tormenteranno per sempre.
Dicono che chi combatte può perdere, mentre chi non combatte ha già perso,
nessuno però sottolinea che chi si getta nella mischia riporta traumi e cicatrici dalle quali mai si libererà.

E Tristàn non era mai stato a guardare.
Non aveva mai subito passivamente gli eventi.
Era sempre stato un guerriero, un soldato, uno spadaccino ed un cavaliere.
Aveva sempre contribuito alle vittorie riportate dall'esercito del Ferelden, aveva sempre scontato l'onta della vergogna per le sue sconfitte. In un mondo o nell'altro, si era sempre gettato nel vorticoso fiume del Fato, dando il suo piccolo contributo al plasmarsi del futuro.
E purtroppo aveva accumulato una quantità sempre maggiore di errori, un tal numero che spesso l'aveva portato sull'orlo del crollo, una miriade contorta di sensi di colpa che non gli avrebbe dato pace finchè non sarebbe morto. Allora si sarebbe riunito a tutti coloro che non era riuscito a salvare, a tutti coloro che, seppur indirettamente, aveva tradito ed abbandonato.
I suoi genitori ad esempio, i caduti di Ostagar, gli eroici Custodi Grigi che avevano sacrificato ogni cosa pur di fermare il Flagello e lo stesso Duncan.
Non avrebbe mai dimenticato il momento in cui aveva capito che tutto sarebbe finito.
Aveva udito l'esplosione prima ancora di accorgersi da dove provenisse: aveva capito che sarebbe morto prim'ancora di provare anche una minima sensazione di sofferenza. Si era semplicemente voltato verso le retrovie, verso il luogo in cui si erano arroccati i suoi compagni. Un sorriso di malcelata disperazione aveva solcato il suo volto: con la mente aveva chiesto loro perdono, con il cuore aveva condiviso con il furbo Jensen, con il barbaro Vaarg e con la bella Samantha il suo ultimo istante di esistenza.
Non aveva provato alcun dolore, semplicemente un'ondata di luce purissima l'aveva abbagliato: e non aveva più riaperto gli occhi, tutto l'universo circostante aveva preso a vorticare furiosamente, fino ad arrestarsi dopo un lasso di tempo che non avrebbe saputo come quantificare. Poi il nulla.
Ovviamente non si era nemmeno reso contro che tutto era finito.
Aveva smesso di esistere. Era caduto nell'Oblio e non aveva trovato alcun Dio buono ad accoglierlo.
Solo il Nulla; infinito, eterno, sconfortante, pauroso, oscuro, privo di gioia, freddo, isterico e ingordo Nulla.

Una invisibile bocca gigante l'aveva ingurgitato
risputandolo poi in un Nuovo Mondo.


Venne al mondo senza un lamento, senza alcun pianto.
Ma come un infante annaspò alla ricerca d'aria: strano, i suoi polmoni non erano esistiti fino a quell'istante, per quale motivo li aveva dunque sentiti esplodere, bruciare nel petto seguendo il disperato bisogno di sostentamento?
Ancora incapace di articolare pensieri, vivo ma assolutamente disorientato, seguì il suo istinto, placando quella febbrile caccia. Respirò convulsamente, cercando di assorbire quanto più ossigeno possibile, dispiacendosi quasi nel vederlo fuoriuscire in seguito.
Avrebbe voluto crogiolarsi maggiormente in quello stato bestiale, godere nella momentanea mancanza di lucidità: quale modo migliore per sfuggire dai fantasmi già pronti a saltargli alla gola?
Ricordò e, come trafitto da uno stuolo di frecce in pieno petto, crollò a terra.
(Seppur inconsciamente, aveva notato il Sovrano dinnanzi, i compagni di battaglia vicini e tre sconosciuti - che ricordava però di aver visto durante la guerra - dal lato opposto della piana, apparentemente tornata all'antico splendore, a ciò che era stata prima che Egli desse libero sfogo alle sue mire apocalittiche)
Se i suoi commilitoni, tutti coloro che avevano combattuto al suo fianco, tutti coloro che avevano pagato col sangue il prezzo della vittoria, tutti coloro che erano morti al suo fianco, l'avessero visto in quelle condizioni probabilmente non l'avrebbero nemmeno riconosciuto. La maschera del condottiero valoroso, che tanti e tanti atti eroici aveva compiuto, che si era continuamente dimostrato un guerriero eccezionale, dall'animo di marmo e dal pugno saldo, era oramai caduta, andata in frantumi. Non vi era più alcunchè di onorevole o di nobile nella sua patetica figura. Il metallo che l'aveva sempre protetto, dandogli un'apparenza marziale ed invicibile, lo aveva abbandonato, svelando una creatura fragile e vittima di atroci sofferenze, del tutto incapace di reagire come sempre aveva fatto in passato.
Alla morte dei suoi genitori non aveva avuto il lusso di abbandonarsi al dolore, l'impellenza di un azione strategicamente offensiva lo aveva spinto a sacrificare i propri personali problemi a favore di quelli dei molti, privandolo del tempo necessario a metabolizzare la perdita: non l'aveva affrontata in modo diretto, aveva semplicemente sfogato tutto nella lotta contro i Prole Oscura, concentrando tutto se stesso in quella battaglia all'apparenza priva di possibilità di vittoria: dalla privazione, dallo sconforto era nato il suo spirito indomabile.
Con movimenti impacciati delle mani - scosse da violenti tremiti - si levò l'elmo, facendolo ricadere con ben poco grazia sul terreno, rivelando un volto arrossato, gli occhi decorati di calde lacrime che scendevano a rigargli il viso, i bianchi capelli incrostati di sudore e sangue, sporchi di terriccio, gli ricadevano sul volto, nascondendo in parte l'espressione di trattenuto dolore che macchiava i lineamenti che un tempo tanto aveva apprezzato la sua amata. Avrebbe sacrificato qualunque cosa pur di poter percepire nuovamente il tocco della sua candida e vellutata mano, così diversa dalla sua, ben più callosa, sulla sua guancia, in uno dei rari attimi di disinteressata passione romantica che Morrigan gli aveva, seppur non spesso, concesso.
Levò poi il rugginoso guanto destro, scoprendo la mano. Non badò minimamente alle ferite superficiali che la solcavano, la sua attenzione venne attirata immediatamente dal pezzo di ferro che teneva attorno all'anulare: l'anello che non aveva mai tolto sin dalla notte della battaglia di Denerim, tanto che aveva preso a considerarlo quasi una parte di sè. Un semplice ninnolo appartentemente privo di significato, nel quale però aveva riversato ogni sua speranza, rendendolo la materializzazione fisica della promessa di ricongiungimento che aveva fatto alla donna, nonostante le sue parole di definitivo commiato.
Il pianto sommesso simile ad una preghiera, le labbra arruffate in un malinconico sorriso, gli occhi serrati, una litania di pena e dolore. Un oceano sconfinato di disperazione a mozzargli il respiro, il cuore nel petto - come poteva ancora battere dopo che tutto gli era stato portato via? - impazzito, scoppiettante, riluttante, in procinto di esplodere, liberandolo da ogni spiacevole emozione.
Avrebbe voluto morire in quell'istante, cadere nell'Oscuro Baratro, tutto pur di dover subire più tali sensazioni.
Da quel che poteva ricordare, non era mai stato così male in vita sua; mai, mai. Neppure lontanamente si era ritrovato in uno stato così pateticamente fragile.
Uno, dieci, cento pugni in viso avrebbe preferito.
Una, dieci, cento ferite sul suo corpo avrebbe prediletto.
Un affondo di lama non farà mai male come il lucido realizzare di aver perso la persona amata.
Tutto ma non questo, tutto. La sua stessa vita avrebbe dato in cambio di un confortevole e mortuario senso di apatia. Come avrebbe potuto proseguire nel suo cammino con quel peso a schiacciarlo, ad annichilirlo, a renderlo una bambola di pezza cucita con sofferenza e riempita con pezzi del suo cuore infranto?
(Tristàn però aveva un occasione che a soli pochissimi veniva concessa: poteva ancora riprendersi ciò che gli era stato tolto;
doveva solo capirlo, comprendere che vi era ancora un tentativo da fare. Prima della fine, l'avrebbe compreso
)
Aveva visto sua madre morire al fianco del padre, uniti anche nell'atto finale della loro vita.
Lui non aveva potuto emulare l'eroica fierezza della genitrice: era morto ed era stato resuscitato, lui solo, mentre di tutti coloro che amava non restava che il loro macabro ricordo a gravare sulla sua, sporchissima coscienza.
Avrebbe dovuto proteggerli.
O avrebbe voluto morire con loro.
Sarebbe dovuto morire al loro fianco.
Morrigan era morta.
Il suo bambino, ancora mai stretto al petto, era morto.
E lui non era stato in grado di proteggerli, aveva fallito come uomo, come amante e come padre.
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~ Amore mio, mia sposa! La morte, che ha gia succhiato il miele del tuo respiro, nulla ha potuto sulla tua bellezza.
Ancor sulle tue labbra e le tue guance risplende rosea la gloriosa insegna della bellezza tua:
su te la Morte non ha issato il suo pallido vessillo… Tebaldo, tu che te ne stai là in fondo nel tuo bianco lenzuolo insanguinato,
qual maggiore tributo posso renderti che spezzare con questa stessa mano che ha spezzato la tua giovane vita quella dell'uomo che ti fu nemico?
Perdonami, cugino!… O mia Giulietta, perché sei tanto bella ancora, cara? Debbo creder che palpita d'amore l'immateriale spettro della Morte?
E che quell'aborrito, scarno mostro ti mantenga per sé qui, nella tenebra, perché vuol far di te la propria amante?
Per paura di questo, io resterò per sempre accanto a te e non mi partirò mai più da questo palazzo della scura notte.
Qui, qui, voglio restare insieme ai vermi, tue fedeli ancelle, qui fisserò l'eterno mio riposo, qui scrollerò dalla mia carne stanca
il tristo giogo delle avverse stelle. Occhi, guardatela un'ultima volta, braccia, stringetela nell'ultimo abbraccio, o labbra,
voi, porta del respiro, con un bacio puro suggellate un patto senza tempo con la morte che porta via ogni cosa.
Vieni, amarissima mia scorta, vieni, mia disgustosa guida. E tu, Romeo, disperato nocchiero, ora il tuo barco
affranto e tormentato dai marosi scaglia contro quegli appuntiti ronchi a sconquassarsi…
Ecco, a te, amor mio! Bevo al mio amore! O onesto speziale! Il tuo veleno è rapido, e così, con un bacio, io muoio.

La sua stessa esistenza ora veniva messa in dubbio.
Era un uomo e un cavaliere. Nient'altro.
Aveva vissuto solo per l'onore e per l'amore.
Entrambi, ora, gli venivano a mancare. Quel senso di totale, completa, libertà lo disorientava.
Sin da quand'era ancora un pargolo in fasce il padre prima, e i precettori dopo, lo avevano plagiato fino a farlo divenire ciò che era, riempiendogli la stessa e ricordandogli costantemente quali fossero i suoi obblighi, quale il suo stile di vita, quale la retta via da seguire. E dopo il suo ingresso nei Custodi Grigi nulla era cambiato: nuove, ferree regole alle quali attenersi, nuove - ma comunque inquadrate - prospettive di vita, nuovi oneri e nuove battaglie.
Lunghi anni che avevano plasmato il guerriero valoroso che era divenuto. Anni in cui aveva mestamente obbedito, fiducioso che così facendo avrebbe compiuto il suo dovere, che avrebbe reso fieri di lui i suoi genitori. Un involucro obbediente di ossa e sangue, quasi apatico, privo di un suo reale spessore. Per oltre vent'anni, era stato il Cousland secondo genito, il difensore della casata. Nient'altro. Il destino infausto l'aveva costretto a plasmarsi da solo, distruggendo ogni cosa in cui aveva creduto fino a quel momento.
Paradossalmente - e non l'avrebbe mai ammesso, neppure a se stesso - gli avvenimenti successivi al barbaro tradimento di Arle Howe e alla relativa invasione di Prole Oscura, l'avevano fatto maturare moltissimo, lo avevano reso l'uomo che ora si trovava in presenza di un nuovo Dio. La criticità della situazione l'aveva costretto a prendere decisioni, a formare una propria personalità, seppur non affatto priva di vincoli rispetto ai precetti cavallereschi che erano ormai divenuti parte integrante del suo stesso essere.
L'amore per Morrigan era stato forse il suo primo atto di ribellione a quel mondo che aveva deciso di privarlo della sua personalità, di farlo divenire un perfetto, ed anonimo, cavaliere, esclusivamente votato ad un bene superiore anche a scapito del proprio. Con ella aveva assaporato il piacevole gusto del libero arbitrio, il privilegio della possibilità di scegliere come comportarsi, con ella si era sentito finalmente un uomo completo, capace sia di farsi onore, sia di essere un compagno amorevole e presente. Non gli importava nulla del carattere indomito della Strega, non gli era importato del demone che sembrava essere la donna che l'aveva cresciuta, non aveva dato peso agli avvertimenti dei suoi compagni, nè alle dolci parole di Leliana: aveva rinnegato se stesso pur di averla, pur di vivere come tutti gli altri. Si era ritrovato ingabbiato tra la scelta di amare e quella di seguire il suo compito. Ora, improvvisamente, non aveva più nulla.
Del tutto incapace di vivere senza Ordine e senza Leggi.
Un Cavaliere privato di tutto ciò che era stato il suo mondo. Nessun senso di appartenenza, nessun compito da portare a termine. Una libertà talmente sconfinata che gli metteva i brividi, che gli dava le vertigini. Ammettendo anche che avrebbe ritrovato la forza ed il coraggio per ricominciare da capo, da dove sarebbe dovuto ripartire? Con chi al suo fianco?
No, non avrebbe mai potuto accettare con tanta facilità la fine di ogni cosa.
Improvvisamente il flusso continuo di lacrime cessò. Si placò, si arrestò. Digrignò i denti, riscuotendosi dal torpore.
Avrebbe eliminato il traditore e si sarebbe gettato sulla sua spada: se non avrebbe potuto recuperare il maltolto, se non avrebbe potuto fare in modo di realizzare le mancate promesse, avrebbe privato chiunque altro di tale occasione.
Non badò minimamente a coloro che lo circondavano, sorde al lamento del mondo erano le sue orecchie.
Vuoto, privato della sua essenza, come un automa, afferrò dalla bisaccia che teneva al fianco una piccola boccetta trasparente. Con un gesto meccanico e violento strappò il tappo di cera, facendolo ruzzolare ai suoi piedi. Il liquido contenuto venne bevuto in una sola sorsata, con grande determinazione. Il sapore amarognolo e piccante non lo turbò più di tanto.
Una singola, tremenda convulsione scosse il suo corpo, la muscolosa schiena s'inarcò all'indietro, il capo venne reclinato all'azzurro cielo, la macilenta mascella si spalancò, dando vita ad un muto urlo.
Una scossa di adrenalina lo liberò dallo stato comatoso in cui sembra essere caduto.
Mille e mille informazioni aggredirono il suo sistema nervoso, rischiando di farlo impazzire: le ingabbiò tutte dentro di sè, ancora troppo disordinate e confuse per essere analizzate con lucida oggettività. Ingordo e famelico, si saziò dell'energia circostante, ricomponendo lentamente i pezzi di un puzzle che mostrarono un quadro piuttosto disperato.
Le auree dei primi cinque presenti lo lasciarono perfettamente indifferente - riconobbe solo quelle dei suoi due compagni, dei suoi Lazzari - mentre un'ultima lo fece impallidire: un forte mal di testa lo assalì, aghi invisibili gli trafissero il cervello, la calotta cranica minacciò di esplodere. Deglutì a fatica, trattenendo un imprecazione: mai e poi mai si sarebbe aspetatto un simile, selvaggio agglomerato di potere. Mai, neppure l'Arcidemone Dumat era stato in grado di turbarlo tanto senza neppure muovere un muscolo. La sola promessa della sua forza spezzava ogni suo sogno di vendetta.
(Fu allora che realizzò tutto, smosso dalle parole stesse del Dio, il quale ordinò loro di uccidere gli invasori
gli inetti generali dell'Asgradel, i futili stolti che avevan tentato di opporsi
)
L'intuizione, come sempre, arrivo fulminea e geniale, in maniera semplicemente naturale, scuotendolo come se l'avessero preso a schiaffi in pieno volto, come se un invisibile mano del Fato, mossa a compassione dal suo destino, avesse deciso di muoversi personalmente per fargli ritrovare il lume della ragione.
Ray era palesemente troppo potente, più di quanto lo fosse stato chiunque altro avesse con lui incrociato la spada, tuttavia aveva già dato dimostrazione di poter dare la vita dal niente, come una vera e propria divinità, capace di plasmare il tutto dal nulla. Era una scommessa rischiosa, infondo già una volta li aveva utilizzati illudendoli con falsi premi, tuttavia era anche l'unica possibilità che gli restava. Cosa gli sarebbe mai costato far nascere due nuove vite, ingiustamente spezzate, in quel suo Nuovo Mondo? Se lui avesse fermato i primi nemici di quella nuova Era, perchè mai Egli non avrebbe dovuto ricompensarlo con un gesto simile?
«RAAAAAAAAY!»
Gridò a squarciagola; la rabbia trapelava palpitante dal suo tono deciso.
«Un'ultima, maledetta volta, impugnerò la mia lama al tuo servizio!»
Era vero: nel bene o nel male, quella sarebbe stato il suo punto di non ritorno.
«Ma poi dovrai riportare in vita Morrigan, mio figlio, e tutti coloro che mi erano cari!»
Dimenticò, per un solo istante, che non si trovava affatto nella posizione di poter trattare. Effettivamente suonò più come una minaccia; o meglio, un esclamazione che avrebbe dovuto costituire una minaccia. Il Leviatano, probabilmente, l'avrebbe interpretato come un sordo lamento di un animale ferito, ma poco gli importava. Doveva tentare anche quell'ultima carta.
E non appena terminò di pronunciare tali, pompose parole, una voce tetra e spettrale si fece avanti nella sua testa, liberandosi dalle catene in cui per fin troppo tempo era rimasta bloccata, intrappolata nei reconditi antri del suo conscio.
Liberaci. Bruceremo questo nuovo mondo. Per te.
No! Non posso arrivare nuovamente a tanto!
Liberaci! Non hai più nulla da perdere.
Lui... lui la riporterà in vita!
Sciocco; sai bene che non lo farà mai. E ora liberaci!
Andatevene, lasciatemi in pace...
LIBERACI!
No...
LIBERACI!!!
...
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Grazie, futile umano!

Tristàn perse ogni forza per combattere anche quel Male che lo dilaniava dall'interno, divenuto troppo potente grazie alla sofferenza per la perdita dei suoi cari. Non riuscì ad opporsi nuovamente al monumentale ego dei due Arcidemoni. La sua saldezza spirituale venne meno. I Bastardi sfruttarono quel momento per trovare la libertà, quel momento in cui il cuore puro, retto, onesto, del Custode venne invaso dalla più cocente rabbia, dall'antico furore che da tempo non lo guidava sul campo di battaglia.
Un oscuro ed impalpabile alone oscuro avvolse la figura dello spadaccino, per giusto il tempo di un battito di ciglia. Il cielo si oscurò, un singolo tuono squarciò l'aria, poi tornò il sereno, una frazione di secondo e nulla più.
Un lamento gutturale, poderoso e assordante riempì la piana, seguito da un secondo, se possibile, ancora più mostruoso. Antiche grida, ricordi di epoche passate, di malefiche glorie ormai eclissate, rimosse con fatica dalla mente di coloro che avevano avuto la sfortuna di udirle in prima persona e la fortuna per poterle ricordare.
Un battito di ali sincronizzato, due immense figure oscurarono il brillante sole, tornato nella sua forma più classica. Giù, in picchiata, attraverso le nuvole, si rivelarono arcaici mostri, tipici dell'immaginazione popolare, del folklore di innumerevoli culture. Due maestosi quanto macabri, corrotti draghi si rivelarono all'attenzione dei presenti, ruggendo e gemendo, scrollandosi di dosso l'inattività che per troppo tempo aveva tenuto costrette le loro ossute ali. Rapaci, immensi predatori affamati.
Questi però si sarebbero fatti rubare la scena dall'esplosione di collera di Rekla, la ragazza del gruppo, colei che, forse per sua natura, si era dimostrata la più fragile dei tre. Tristàn non avrebbe avuto nulla da rimproverarle: aveva combattuto al loro fianco fino ad allora senza mai tirarsi indietro, senza mai cedere alla paura. L'aveva uccisa e una parte della sua anima era morta con lei.
Poi fu il turno della vecchia canaglia, dell'aborto imperiale: Viktor - ora più simile ad una mummia, ad un morto vivente -, imprevedibile come suo solito, anticipando la donna, avvolse se stesso e niente meno che, colui che un tempo era conosciuto come Ray, in una granitica gabbia d'ossa, isolandosi così dal resto dello scontro. Con un impatto assordante, questa protesse i due dalla furia del Cerbero, solo il soffitto non riuscì a resistere, sgretolandosi malamente sui presenti.
Incredulo e stupito assistette a quel susseguirsi di assurdi avvenimenti: come trovavano quella caparbietà? Come potevano non aver perso la fiducia? Come potevano battersi ancora con tanta passione?
Non trovò risposte, si convinse che era la pazzia a guidarli.
Prima però che potesse muovere un muscolo, una quasi invisibile nebbiolina assalì le sue narici, provocandogli un convulso attacco di tosse; si piegò, quasi in posizione fetale, e rischiò di morire soffocato. E sarebbe senza dubbio svenuto lì, come un lurido cane, se gli stessi draghi non l'avessero salvato: questi mutarono la traiettoria di volo e, portandosi alle sue spalle, mossero le ali con potenza, alzando un imponente folata di vento, la quale spazzò via la tossicità nell'aria attorno al cavaliere.
Non si illuse: non l'avevano fatto spinti da un gesto di bontà, dall'altruismo, bensì poichè consci che se lui fosse morto, anche per loro non vi sarebbe stata più la possibilità di esistere. Sarebbero svaniti con l'unico essere umano in grado di materializzare la loro acredine.
«Merda!»
Bofonchiò ancora instupidito dalle sostanze tossiche, maledicendo la stupidità del suo compagno di clan.
«MEEERDA!»
Ringhiò nuovamente, quando le orbite oculari sembrarono esplodergli. Un'intensa luce lo abbracciò e fu tutto bianco. Benchè riuscisse ad aprire gli occhi, questi - a coloro che l'avrebbero visto - sarebbero risultati completamente vuoti, privi di qualsivoglia pupilla. Accecato, intossicato e privato della sua vita: il Destino non smetteva di infierire sulla carcassa del cavaliere, ancora vivo per miracolo.
«Duuumat! Strazia le carni di quei cani rabbiosi!»
Sbottò perso nell'irrazionalità, senza nemmeno realizzare di aver ordinato - o chiesto un favore? - alla creatura che rappresentava tutto ciò contro cui il suo Ordine si era sempre battuto.
«Finalmente. Non attendevamo altro»
La grottesca voce risuonò violentemente nella sua testa, portando una notevole carica di auto-disprezzo.
Nuovamente si era ritrovato ad avvalersi del supporto di bestie che mai avrebbero dovuto vedere la luce del sole, abomini che sarebbero dovuti rimanere paralizzati all'interno del suo Io. Ma non aveva avuto scelta. Avrebbe fatto i conti in seguito con la schiera, sempre più folta, di fantasmi che sarebbero puntualmente venuti a porgergli domande, a chiedergli come avesse potuto tradirli in quel modo. Li avrebbe accontentati, avrebbe ammesso che vigliacco di uomo era divenuto, li avrebbe assecondati in tutto, tanto era stanco di opporsi.
I due Arcidemoni seguirono alla lettera le istruzioni del Custode Grigio.
Quelle infondo erano le uniche azioni che gli riuscivano bene: uccidere e distruggere.
Non avendo però la visuale perfettamente sgombra a causa del fumo, e non potendo quindi planare a divorare quegli inutili pezzi di carne che ancora si attaccavano pateticamente alle loro vite, agendo di propria iniziativa, sarebbero planati sulla porzione di terreno opposta a quella del Cousland, riversando fiumi di putride ed incandescenti fiamme su tutto la zona limitrofa, mirando a carbonizzare chiunque vi si trovasse.
Le sorti della battaglia finale le avrebbe però cambiate lui stesso.
Oramai non gli importava più niente della devastazione che le due immonde creature stavano portando in quel nuovo, maledetto, mondo: nato sulle ceneri di miliardi di morti, battezzato nel fuoco e nel sangue del sacrificio.
Si rialzò in piedi, incurante delle ferite e della mancanza di parte fondamentale del suo equipaggiamento, con una nuova forza a scorrergli nelle venne. La pozione, l'intruglio magico che poc'anzi aveva bevuto aveva amplificato eccezionalmente i suoi sensi, permettendogli di captare una nuova presenze nelle immediate vicinanze di Viktor e di Ray: una fonte energetica che non conosceva e che quindi attribuì senza alcun margine di errore ad uno dei tre Generali avversari. Infondo erano gli unici abitanti di quella landa desolata, di chi altro si sarebbe potuto trattare?
Come una tigre ferita, e dunque ancor più pericolosa poichè priva di freni razionali, mossa solo dall'istinto di conservazione, scattò in avanti, trattenendo il respiro così da evitare ulteriori, possibili rimasugli di veleno, concentrandosi unicamente sull'intruso, su colui che aveva osato interrompere il colloquio privato del suo collega del Goryo. Era privo della vista, era vero, ma le erbe sconosciute che ora agivano dentro di lui gli avevano conferito una percezione del reale pressochè perfetta, specie poichè non vi era alcun'altra fonte magica ad interferire.
Bruciò senza nemmeno accorgersene la breve distanza, basandosi unicamente sulla sua mente: ricordava di aver visto crollare il tetto della gabbia d'ossa in cui Viktor aveva rinchiuso il Dio, quindi decise di sfruttare tale situazione: se avesse perso tempo a fare a pezzi la parte frontale, non sarebbe mai giunto in tempo: arrivato a pochissimi metri di distanza, con una facilità impressionante per un uomo del suo peso, bardato in quel modo, avrebbe spiccato un salto degno di un qualsiasi elfo. Avrebbe descritto una parabola in cielo, la spada degli Arcidemoni si sarebbe risvegliata a sua volta, alimentata dalla sua furia. Lo avrebbero visto risplendere in controluce, i maestosi raggi della palla di fuoco avrebbero sferzato il suo volto cieco, come Icaro si sarebbe elevato, seppur per un solo momento, al di sopra di ogni altro essere umano.
Tristàn Cousland; il Salvatore. Il Generale del Crepuscolo. Tristàn Cousland; il Vendicatore. L'Eroe.
Colui che fu tutto e lo fu invano.
«NON OSARE AVVICINARTI, FECCIA IMMONDA!!!»
Avrebbe ringhiato a denti stretti, dando modo a tutta la sofferenza, a tutta la sua rabbia - trattenuta e limitata per fin troppo tempo - di trovare una valvola di sfogo. Un urlo minaccioso e liberatorio, perfetto per mettere fine a quella follia che ancora imperversava senza che nessuno provasse realmente, concretamente, ad arginarla.
Un attimo dopo sarebbe ricaduto al suolo, impattando rumorosamente sulle piante dei piedi, incurante del dolore derivante dallo schianto: dinnanzi a sè vi sarebbe stato l'invisibile nemico, alle sue spalle colui che si ostinava a proteggere ancora, nonostante tutto ciò che gli avesse fatto.
In mezzo ai due, sbarrando fisicamente il passo all'emissario dell'Asgradel. Non gli avrebbe permesso di nuocere ancora.
Se il Leviatano fosse caduto, con Egli tutte le sue speranze sarebbero svanite come granelli di sabbia al vento.
Senza ulteriori parole, si sarebbe limitato a fare ciò che più si addiceva ad un cavaliere
(proteggere e servire)
avrebbe piantato l'indomita Dumat, la splendente spada del Creatore, colei con cui ben due Flagelli erano stati interrotti, nella bocca dello stomaco dell'invasore, fermandolo prima che questi potesse toccare il Sovrano.
Prima che il Fato gli strappasse anche l'ultima possibilità di ritrovare la sua famiglia,
prima che potessero portargli via la poca porzione di Speranza che ancora, putridamente, viveva nel suo petto.
Avrebbe massacrato il mondo intero pur di ritrovare la sua famiglia.
A fanculo tutto. Ray, Hyena, il Goryo, il Toryu, l'Asgradel, i Custodi Grigi.
A fanculo tutto.
Vi erano solo lui, Morrigan e suo figlio. Loro soli, nel mondo agonizzante.

But, soft! what light through yonder window breaks? It is the east, and Juliet is the sun.
Arise, fair sun, and kill the envious moon, who is already sick and pale with grief, that thou her maid
art far more fair than she: be not her maid, since she is envious; her vestal livery is but sick and green
and none but fools do wear it; cast it off. It is my lady, O, it is my love! O, that she knew she were!
She speaks yet she says nothing: what of that? Her eye discourses; I will answer it. I am too bold,
'tis not to me she speaks: two of the fairest stars in all the heaven, having some business, do entreat her eyes
to twinkle in their spheres till they return. What if her eyes were there, they in her head?
The brightness of her cheek would shame those stars, as daylight doth a lamp; her eyes in heaven would
through the airy region stream so bright that birds would sing and think it were not night.



[ReC 275] [AeV 275] [PerF 325] [PerM 325] [CaeM 700350]
[Basso. 2%] [Medio. 6%] [Alto. 15%] [Critico. 33%]
[Energia. 100%]

Status Fisico: Danno Medio Basso alla schiena - Contusione di lieve lievissima entità al capo - Ferita da taglio lieve al costato.
Energia Totale: 100% 84%
Energia Utilizzata: 35%
Energia Restante: 49%

Abilità Passive
    ¬L'essenza di un Custode.
    ± Di tutte le razze, i mezzi demoni sono senz'altro quelli più denigrati, allontanati e scacciati di tutti. Proprio per questo, quindi, hanno dovuto imparare a cavarsela da soli e non farsi mettere i piedi in testa da nessuno. A forza di crescere in questo modo, i mezzi demoni si sono abituati a gente che tenta di intimorirli, minacciarli o irretirli e hanno sviluppato quella che potrebbe definirsi una particolare "Abilità razziale". Sono infatti parzialmente immuni alle influenze psicologiche. Non a tutte, si intende, altrimenti risulterebbero atoni e privi d'emozioni, ma senz'altro, a differenza di tutte le altre razze, si lasciano intimorire meno facilmente e persuadere con notevole difficoltà. Il timore provocato dalla vista di demoni o angeli, ad esempio, non avrà su di loro effetto. Sensazioni profonde come forti paure, o tanto grandi, però, avranno comunque effetto. Quest'abilità è una normale difesa psionica di livello passivo.
    ± Con la sicurezza migliora anche il controllo delle proprie capacità combattive; fino a quando il possessore di questo dominio riuscirà a mantenere il sangue freddo e a non lasciarsi prendere dall'ira - o da altre sensazioni che finirebbero con il turbarlo - il suo valore di CaeM risulterà raddoppiato. Questo non influirà nelle sue doti di tiratore ma lo renderà estremamente abile in ogni genere di schivata, affondo o anche nel disarmare il proprio avversario. Chiunque apprenda questa disciplina di scherma risulterà essere un combattete eccezionale e ogni suo duello sarà un vero spettacolo in quanto a grazia e maestria.
    ± Non sempre però la grazia nei movimenti e le abilità di schermidore possono contrastare la forza bruta; cercare di disarmare o anche solo contrastare un bestione di più di due metri con una spada dalle dimensioni più simili a quella di una trave di ferro risulta spesso una missione disperata anche per il combattente più abile. Questo però non vale per coloro che sono diventati sempre più abili in questo stile di combattimento; una delle ultime lezioni impartite dai maestri consiste appunto nel focalizzare la propria calma e il proprio sangue freddo per riuscire a contrastare anche il più forte degli avversari. Fino a quando il possessore del dominio non si lascerà prendere dall'ira o non si lascerà turbare ogni colpo portato con la sua spada conterà come una tecnica di livello basso rendendolo quindi superiore a qualsiasi colpo portato da avversari anche enormemente più forti di lui.

    ± Questa pergamena non conta come una vera e propria tecnica, quanto come un'abilità passiva. Aumenterà infatti i "ReC" del personaggio di 50 punti, diminuendone però i "PeRf" di 25. Esternamente non vi saranno cambiamenti, e il guerriero apparirà come quello di sempre, anche se le sue capacità di concentrazione e i suoi riflessi saranno nettamente aumentati, a discapito di un leggero indebolimento fisico.La tecnica sarà sempre attiva e non avrà un consumo. Un ulteriore vantaggio è quello di permettere al guerriero di poter combattere anche una volta raggiunto il 10% delle energie, senza svenire. Un personaggio normale, infatti, trovatisi con poca energia o nulla, si sentirà spossato o comunque non in grado di combattere. Un guerriero con questa tecnica, invece, potrà tranquillamente continuare ad avanzare, quasi senza sentire la fatica, pur senza più poter utilizzare tecniche che comportano un dispendio energetico, che lo porterebbero alla morte.

Tecniche Utilizzate

Cry you mercy, I took you for a joint-stool.
Ma se Tristàn avesse appreso unicamente la capacità di richiamare alcune progenie oscure, non vi sarebbe nulla di sorprendente nei suoi poteri. Essi vanno invece ben oltre, imbrigliando l'odio degli antichi Dei e calamitandolo nel filo della sua lama il tanto bastante da poter essere sfruttato, trasformandolo in vorticanti emanazioni energetiche che andranno a concretizzarsi nell'incubo di qualsiasi custode: spendendo un consumo Critico, infatti, il guardiano potrà dare all'acredine dei due Dei imbrigliata nel brando una forma concreta; potrà proiettare l'impressione della loro esistenza, renderla fisica e materializzarla sul campo di battaglia. In breve, potrà evocare lo spirito dei due possenti arcidemoni eliminati da Dumat, e controllarlo per un periodo limitato di tempo. Sul campo di battaglia appariranno infatti uno o due dragoni di proporzioni gigantesche, la cui pelle sarà scarnificata e le cui membra saranno visibilmente violacee e corrotte, in grado di sputare fiamme e volare come fossero realmente in vita, nonché di trasportare carichi particolarmente pesanti. La loro potenza totale sarà pari a quella di un evocazione Alta di un grado energetico inferiore a quello dell'evocatore e andranno trattate come vere e proprie evocazioni, dunque non autoconclusivamente. L'utente deciderà come si comporteranno, tenendo bene a mente che qualsiasi loro attacco - persino il soffio infuocato - andrà considerato come un colpo fisico e quindi affrontabile come tale. I due arcidemoni non sono che la concretizzazione degli spiriti imbrigliati in Dumat, e dunque sono al totale servizio del custode, a differenza delle progenie oscure che è in grado di evocare: risponderanno ai suoi ordini come di norma e lo accompagneranno ovunque senza ribellarsi. Tuttavia la manifestazione è impegnativa e difatti, dopo due turni di permanenza sul campo di battaglia, il dragone (o i dragoni) svaniranno nel nulla, come se il vento li avesse spazzati via all'improvviso. [tecnica di potenza critica]

Runa dell'Altezza - Il guerriero, concentrando la propria energia nelle gambe, compie un balzo fuori dal comune, che può raggiungere altezze incredibili. Il peso e l'agilità del personaggio influiranno ovviamente sul balzo, rendendolo più o meno alto. Il consumo rimarrà comunque lo stesso. La tecnica non richiede di particolare concentrazione, ed è, anzi, istantanea, utilissima per evitare un attacco di ampia portata. La velocità del salto comunque non varia, non rendendola quindi una tecnica adatta ad evitare attacchi veloci o da distanze ravvicinate. In quest è comunque molto versatile. Può essere utilizzata, in alcune situazioni, come tecnica difensiva di livello basso. Questa tecnica basa la propria potenza sulla AeV del possessore, e non sulla sua PeRm. [consumo basso]

    Runa Sacra - Il Custode si concentra sulla propria arma, che viene circondata da un alone oscuro, nerastro. L'arma, d'ora in avanti, infliggerà pesanti danni, e lascerà profonde ferite, indipendentemente dallo sfiorare o meno l'avversario, facendo così gravi danni. I danni saranno ulteriormente appesantiti sui demoni, che dovranno prendere le distanze dall'agente, a meno che non vogliano finire male. Il colpo non necessita di una lunga concentrazione, ma di un alto dispendio di energia. Ogni colpo inferto dalla lama in seguito all'attivazione della tecnica, quindi, va considerato come un colpo di livello Medio. Non potrà dividere in due le tecniche scagliategli contro dall'avversario, ma potrà distruggere barriere e altre tecniche difensive di livello inferiore al medio. Il potenziamento dell'arma non influisce per nulla sulla forza fisica o sul controllo e mira del personaggio. La tecnica dura due turni compreso quello d'attivazione, svanendo al termine del secondo turno. Incastonata nella spada. [consumo nullo, incastonata nella spada "Dumat" - 3 utilizzi a duello]

Note
Ed ecco giungere anche il mio post conclusivo.
Che dire, mi accodo ai ringraziamenti di tutti gli altri, davvero un evento emozionante che, spero, divenga il primo di una ben più corposa serie.
Ma passiamo ai fatti.
Innanzitutto so benissimo che sto post è schifosamente emotivo.
Ho voluto trattare di proposito il lato più umano di Tristàn - e non per far pena a qualcuno, semplicemente lo stesso Tristàn Cousland ha sempre combattuto solo ed esclusivamente per ritrovare le persone a lui care. Non mi interessa se piacerà o meno: è forse il primo post che scrivo completamente per me stesso. E mi piace.

-Mentre tutti parlano e si disperano, Tristàn soffre, si fa qualche sega mentale, beve la Pozione dell'Auspex e capisce che Ray è fin troppo potente: si decide quindi a seguire i suoi ordini ancora una volta, nella speranza che questo possa riportare in vita i suoi cari. Nel frattempo perde il controllo sui draghi che riescono a liberarsi - li evoca involontariamente.
-Alza il capo e vede l'attacco di Rekla, il miasma e la gabbia di Viktor - osserva anche il tetto crollare. L'attacco di Finnegan non lo tocca minimamente, conscio che è troppo debole.
- Si decide a combattere ma viene accecato dall'attacco di Alexandra.
-I draghi, con le ali, lo liberano dalla nube velenosa, sapendo che se Tristàn morisse, anche loro scomparirebbero.
-Nonostante l'handicap visivo, sente un movimento dell'energia: dove prima percepiva solo due fonti - quella conosciuta di Viktor e una assurda (Ray) ne sente una terza, sconosciuta, comprendendo che ora nella gabbia vi è qualcun altro.
- I draghi si lanciano su Finnegan e su Alexandra: vomitano una ingente quantità di fiamme su entrambi.
-Tristàn corre verso la gabbia d'ossa, utilizza la pergamena "Balzo" e salta all'interno: lì ricade dinnanzi a Shakan, con Ray alle sue spalle: attiva "Arma Sacra" e tenta di trafiggere l'oppositore allo stomaco, impedendogli così di compiere il suo scopo.

Specifico che eventuali danni dovuti dalla nube tossica di Viktor, Tristàn potrebbe comunque subirli una volta nella gabbia, ho pensato però che - come scritto nella descrizione della tecnica - una forte folata di vento potesse comunque allontarla.
Le due parti in nero sono entrambe citazioni di "Romeo e Giulietta".
Infine, le parole "fu tutto e lo fu invano" sono tratte dal Cyrano di Bergerac. :asd:
 
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view post Posted on 23/10/2011, 13:58
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PARTITURA
per un amore fantasma




no, non disturbatevi, restate sulla sedia
signori mi presento: sono la commedia.
non son fatto di ossa ma di atti
che vi lascino rimborsati e soddisfatti.
il mio cuore è chiamato trama;
gente che si odia... e che si ama.
il mio sangue è tutto ciò che accade:
dal bacio, al duello con le spade!
il mio cibo il vostro battimani;
il veleno, gli attori cani.

io sono la commedia e mi divido in atti
per raccontare a voi gli straordinari fatti.


di-976B

atto primo: Arthur Finnegan

Noi, oh.
Noi siamo un insieme di cose che pensano.
Noi siamo la super res cogitans, nempe dubitans, intelligens, affirmans, negans, volens, nolens, immaginans quoque, sentiens. Siamo una cosa che vive molte vite, molti amori, molti odi, molti sogni. Noi siamo le foto delle vittime sui muri del pianto ai piedi delle tragedie; siamo le lacrime di una vedova al funerale, e anche la spalla umida sulla quale si riversano. Nell'insieme caotico delle molte anime che popolano l'universo, noi siamo la conseguenza delle loro azioni: l'indissolubile filo conduttore che si intreccia fra tutti come una ragnatela, soffocando coloro che non vi si arrendono. Noi siamo la mano invisibile, il Dio crudele che si maledice per le proprie sfortune, ma anche quello che si prega quando ci si sente in pericolo: l'origine di ogni azione; il motore immobile che sta sul fondo dell'universo, il cui moto è sospinto da tutti coloro che vi si affidano. Siamo le batterie di quell'orologio solitario in mezzo al muro rosso, che batte i suoi ultimi ticchettii.
Noi siamo una cosa che pensa. Siamo una cosa che vive, che corre, che muore. Noi siamo una forza dell'universo, siamo la memoria, siamo l'umanità. Siamo l'unica cosa libera. I vetri che si rompono sono solo l'eco distante degli eventi futuri, in timido concatenarsi.

Il vento che soffia nel mantello del cavaliere, gonfiandolo di ricordi, che glielo strapperà via; la volontà dell'erba che si piega sotto il respiro dell'universo. Le memorie e i ricordi di ogni singolo essere umano vissuto sulla terra, sull'Asgradel, che all'interno del Leviathan perdureranno per sempre nel tempo. Immortali nel ricordo, scolpiti in una pietra incapace di erodersi, vivi solo per propria volontà, silenziosi e grati come le preghiere infilate nelle fessure del Kotel, gli uomini si rimettono al mostro, al Leviathan, sacrificando il proprio corpo per combattere l'erosione inevitabile del corso degli eventi.
In tal senso, Finnegan avrebbe potuto essere il nemico naturale di Ray, la sua antitesi: il male di vivere del poeta; lo spleen di Baudelaire. Inafferrabile comprensione di ciò che è e, al contempo, suo rifiuto. Il bambino che desidera inconsciamente ciò che non ha, desiderando in cuor suo il pallone del suo amico identico a lui.

Finnegan, come lui, lo guardava dall'altra sponda del fiume. Come un suo riflesso nell'acqua, distorto da quello specchio che invertiva la sua destra con la sinistra, di un altro mondo.
L'eterno, l'immobile montagna che si staglia sulla terra e il bruciare delle correnti del corso d'acqua nelle quali si rispecchia.

« E tu, Finnegan? »
Cercò di afferrarlo, come un gatto che insegue una luce su un muro.
« Senza nulla a cui appoggiarti, bruciando ogni tuo sostegno, sopravviverai? »
Questo lo urlò il suo spirito:
« Siamo il rosso e il verde, io e te; il bianco e il nero. Non ho potuto averti, Finnegan, motore bruciante, manifestarsi del corso degli eventi, illusione della loro permanenza nel tempo

Ma io sono l'Eterno;
non possiamo raggiungerci.
»

nel successivo concatenarsi delle azioni, il cavaliere sparì;
di lui non restò che una bandiera rossa senza paese, un drappo che il Leviathan soffiò nel vecchio mondo
dove qualcuno l'avrebbe sollevato e riconosciuto - dove l'orologio avrebbe ripreso a ticchettare, giunto alla sua cima e scendendo verso destra
ricominciando il suo giro.

di-JB5H

atto secondo: Rekla Estgardel

Non vide una donna; ciò che stava lì, retta innanzi a lui, non poteva certo trattarsi di una donna.
Ma non era neppure un essere umano, a meno che non si creda a ciò che diceva Hobbes sulla razza degli uomini, o che essi non siano frutto che del fango e di un fiato.
Rekla non era più Rekla; la nera signora: un groviglio aberrante di odio e risentimento - una catena che l'aveva condotta fino al suo cospetto, dove l'insieme contorto di pensieri che era diventata non aveva potuto fare altro che esplodere, coinvolgendo tutti i presenti.
Uno sputo; l'aneurisma di un paradiso appena formatosi; un germe volto alla sua distruzione.

« Provo pena per ciò che sei diventata, Rekla. »
asserì nei suoi confronti, ben conscio che difficilmente lei avrebbe potuto sentirlo, impegnata com'era a ridurre in polvere ciò che aveva appena creato
« Sei stata troppo simile al sovrano, per lamentartene ora. Incatenata a lui e ai suoi folli piani di conquista della labile ambizione di poter essere contagiata da anche solo una piccola parte del suo potere. »
Le si avvicinò, cingendole il viso con un palmo, carezzandolo appena
« Mia piccola figlia...

Chi è che odi; il sovrano? O la tua incapacità per non essere riuscito a fermarlo? A sconfiggerlo? A fare tuo il suo potere?
Osserva: il risentimento ti ha resto un groviglio di sporco inchiostro nero; un essere incapace di ragione, incollato a ciò che aveva deciso di compiere quando ancora il suo intelletto glielo permetteva
e così mi hai raggiunto sin qui, nel cuore di ciò che sono, solamente per...

...sfogarti.
»

In quell'istante, dalla figura del Dio si srotolò una lunga emanazione energetica serpentina; un drago, che avvolse il gigantesco pungo di mercurio nella sua interezza.
Il Leviathan, etereo, che nella sua forma più concreta strinse le sue spire intorno a ciò che Rekla aveva generato, bloccandolo.
Il mostro avvinghiato col mostro, avvolti in un gioco di somiglianze l'uno con l'altro. Il drago che ruggì, dissolvendo ogni risentimento.

« Tu sei il cerbero; io il leviatano. »
aggiunse il Dio, avvicinandosi ancora a lei, inerme nel fallimento della propria vendetta
« Non puoi avere ciò che sono ora, né sconfiggermi.

Potrai però compiere il mio stesso percorso,
quando il tuo odio si sarà consumato e riuscirai a comprendere ciò che hai imparato da questa vicenda.
»

Leviatano e Mercurio si dissolsero nel cielo, ricadendo in terra come fiocchi di neve, coprendo la figura dei due
Rekla inginocchiata in terra, debole, senza più nerbo
e il Dio che la baciava in fronte, come un padre fa con la figlia.
Affidandole il suo futuro; ridando a Rekla il dominio sulla propria vita e sui propri sensi
in un solo gesto di pace.

di-JB5H

atto terzo: Viktor von Falkenberg

Sentì le mani unte del vecchio sulle sue spalle che lo strinsero con la forza degna di una morsa, costringendolo all'immobilità: fu un bersaglio per i suoi sputacchi e per le parole che venivano con essi, e l'unica aria che poteva respirare era appestata dal puzzo di lui, come se Viktor fosse l'unico vento. Una brezza gelida e crudele, di quelle che costringono le famiglie a chiudersi in casa, che spaventano i bambini ed uccidono gli anziani, risvegliando negli adolescenti l'ardore necessario a combattere.

Viktor era il potere; una forza in grado di soggiogare e spaventare i più deboli: il terrore che si insinua negli incubi dei codardi, prendendo possesso di loro e tormentandoli anche da svegli. Un generale assodato, avvinazzato all'ebrezza che sprigionavano i fumi del sangue dei nemici e goloso della consistenza delle loro carni. Un cannibale che ha divorato sì tanti uomini da non essere più visto come tale dai suoi pari, alla costante ricerca di un nuovo nemico da combattere.

Una ricerca che l'aveva condotto dal Dio; il Dio che gli aveva dato un esercito, potere, e un nemico invincibile da combattere. Come avrebbe potuto, quindi, Viktor, non chiedersi cos'avesse in comune con il Leviathan, con quell'aggrovigliarsi di conquiste e vite che altri non era che il suo più grande alleato e più grande nemico al contempo? Lo stesso Viktor che aveva condotto eserciti con la sua voce sporca, spento vite col suo fiato venefico e infettato con la propria depravata passione ogni più piccola briciola delle esistenze entrate in contatto con lui?

Ciò che interessava al mostro, all'uomo, al vecchio, non era realmente l'animo di Ray, ma la ragione: cosa lo aveva spinto a tanto? Cosa era stato un motore tanto basso ed infido da trasformarlo in un Dio a discapito delle vite degli uomini, nell'ironia di chi gioca con la morte degli sconosciuti? Cosa era successo?
Viktor voleva saperlo.
Viktor voleva emularlo.
Viktor voleva superarlo.
Essere migliore, invincibile anche fra gli invincibili; divorato da un'ambizione impossibile da contenere, che avrebbe imputridito l'intero pianeta, il generale desiderò di essere più grande del Leviatano. Più grande dell'entità che aveva di fronte e che, nella pazzia alla quale era stato condotto dal baratro dentro di lui, l'aveva spinto a poggiare le sue sporche mani sul Dio, ponendolo ad un interrogatorio come si fa col più bieco fra i criminali.

« Sono il Re guerriero, Viktor; sono Macbeth. » gli sputò in viso il sovrano, sfoderando la più sghemba impressione di un sorriso « Non ho alcun piano, né obiettivo. Combatto nella direzione in cui mi spinge la profezia, scivolando in quel baratro che mi condurrà contro un altro nemico, e poi uno più forte ancora, e ancora. » rise, vergognosamente rise « Io e te siamo mostri incapaci di voltarci indietro; abbiamo la testa affondata fra le spalle e possiamo guardare solo in avanti, solo al futuro. Io cerco solo di superare l'ostacolo che mi sta davanti: l'unico baratro in cui sto cadendo è quello scavato dalla mia volontà di potenza! »

Afferrò il vecchio per le spalle, ricambiando la presa, sfiorando il viso con il proprio a pochi centimetri di distanza, potendo sentire l'unto della sua pelle contro la propria.

« Vuoi superarmi, Viktor?! Vuoi essere migliore di me?! » urlò a lui, sentendo il fiato del generale entrargli in gola, soffocandolo « Non troverai errori in ciò che ho compiuto! Non ti darò alcun aiuto, né condurrò alcuna tua mossa! Non avrai da me un piano, né parte dei miei poteri! »

Lo lasciò andare, colui che avrebbe potuto essere il più grande nemico, e anche superarlo.

« Dovrai trovare la tua, di strada.
...Quale baratro ti conduce?
»

di-JB5H

atto quarto: Shakan Anter Deius e Lady Alexandra

L'amore fra Shakan e Alexandra era palpabile.
Riempiva l'aria, gonfiandola dandole una nuova luce; una sfumatura di colore che pareva portare la vita a quel mondo già fertile, fecondandolo e dandogli una nuova ragione d'esistere.
Eppure, guardandoli, Ray non provò nulla. Persino durante gli istanti più toccanti, durante i quali qualsiasi astante avrebbe trattenuto il fiato, tenendo il cuore in gola, il Dio non ebbe alcuna reazione, lasciandosi avvolgere dall'abbraccio congiunto dei due; sentendo la loro pelle calda contro la sua, priva di qualsiasi parvenza di vita.
Respirò a fondo, e l'aria era fredda
come quella della sera,
scaldata a malapena da quella pantomima di un amore fantasma.


« Ti ringrazio, Shakan,
ma io non sento nulla.

Ringrazio anche te, Alexandra; ora che sei all'apice del tuo viaggio e sei finalmente divenuta una regina.

Forse, se vi foste fatti avanti prima
non per fermarmi, ma per accompagnarmi, consolarmi
le cose sarebbero andate diversamente.
Ora, purtroppo, non sento più nulla.
»

Allungò lo sguardo verso Shakan, e vide se stesso; ciò che avrebbe potuto essere imboccando una strada differente.
Shakan era lui, e lui era Shakan
e accanto al fantasma, stava una donna. Devota, decisa, coraggiosa: la compagna che ogni uomo potrebbe desiderare.
Insieme, loro erano lo specchio di ciò che la sua vita non era mai stata. Un'immagine che avrebbe invidiato, odiato, tentato di ricostruire per sé, da uomo.
Ma da Dio, non erano che due delle tante anime che gridavano dentro di lui, prive di coscienza.

Lasciò che lo abbracciassero.
Il corpo di Shakan sul suo, il corpo di Alexandra su quello di Shakan.

di-YOBY

« Tu puoi capirmi, spettro di una vita parallela; sei l'unico che può farlo:
io non avevo altra scelta che vincere.
l'avevo promesso a lei.

Addio, Shakan, amico sincero.
ti ringrazio per l'ultima volta.
»

Chiuse gli occhi, e si fermò.
Per la prima volta immobile; fermo.
Si lasciò cadere in terra, nell'illusione che più avanti, un giorno, sarebbe riuscito a rialzarsi. Che stava stendendosi solo un attimo, per recuperare fiato, ben sapendo che non era così.
L'ultima persona che avrebbe ingannato: se stesso.

di-JB5H

atto quinto: Tristàn Cousland

La spada affondò nel petto di Shakan e il sangue che ne rigurgitò fuori si rovesciò su Tristàn, soffocandolo.
Le fiamme degli arcidemoni avvolsero lo spettro e la sua amata, bruciandoli vivi sotto gli occhi degli astanti, sigillando con una firma indelebile il successo delle azioni compiute dal Dio.

« Ripagherò il mio debito, Tristàn; puoi starne certo. »



I custodi grigi hanno vita breve.
Il sangue corrotto che scorre nelle loro vene li conduce a morte prematura, alla pazzia - a volte persino alla trasformazione in ciò che sono stati i loro peggiori nemici in vita.
Nel vecchio mondo, Tristàn si sarebbe ritirato ad una vita nelle Vie Profonde, a combattere le incarnazioni del male fino al momento in cui la morte non l'avrebbe colto lì dove stava, trasformandolo in uno di loro. Ma lì, lì dove non vi era alcuna corruzione da combattere, Tristàn si concesse di celebrare il più tipico dei funerali militari, nella sua integrità, pochi anni dopo l'aver riabbracciato la sua Morrigan e aver assistito alla nascita del suo primogenito.
La zattera con il suo corpo si perse al largo, spegnendosi in una lingua di fiamma e lasciando che il corpo del cavaliere sprofondasse verso il fondo del mare.
Sulla sponda, ad assistervi, vi erano tutti:
Morrigan, i loro due figli, Vaarg, Jensen e Samantha; gli ultimi due convolati in matrimonio.
E anche Ray.
Il suo mondo era stato completato grazie a Tristàn, il suo più grande cavaliere, al quale aveva donato in cambio una vita completa. Una vita che in quell'istante si spegneva, mentre le onde del mare lo cullavano nella sua direzione, facendo sì che la sua anima tornasse a quella del Dio.
Assistendo al suo funerale, accompagnato dai suoi cari, Ray non poté fare a meno di chiederselo:

com'era stato per Tristàn, vivere quegli ultimi anni di felicità, sapendo che la maledizione del suo sangue nero l'avrebbe comunque ucciso?
com'era stato vivere con Morrigan, che aveva inseguito da sempre, e costruire con lei un futuro?
com'era stato gratificarsi nella realizzazione di tutti i propri sogni; anche quelli più segreti?

com'era stato, per una volta, sentirsi amato dal proprio Dio?

Ecco, già mi vedo l'epigrafe tombale:
"qui giace un guerriero, amante niente male
virtuoso, tenace, cavaliere ardente
che insomma fu un po' tutto
e non fu niente".


Eppure, per quante domande il Dio si facesse, la risposta era stampata sul viso di Tristàn, stirato in una dolce morte e ammorbidito dai sali nel mare:
un sorriso strafottente, largo, piaciente, che pareva dire
"fanculo a tutto, fanculo a niente".

di-976B

cosa aggiungere potrebbe un narratore
a quanto già narrato dall'attore?
a me non resta altro che sparire,
fare un bell'inchino e poi svanire.
anch'io, finito il mio cammino,
mi accascio e vado verso il mio destino,
che è quello di chi inizia e già finisce,
sboccia e dopo un attimo appassisce;
di chi vive soltanto un paio d'ore,
sperando in un applauso,
e dopo


atto ultimo: Rainier Étienne Chevalier

Niente di quanto narrato precedentemente avvenne.
Gli atti non sono che immaginazioni; una serie infinita di "se" e "se" soltanto. L'idealizzarsi del sovrano nell'animo di ciascuno, lui che è tutti e che è nessuno.
Così ad ognuno di loro fu data una risposta; tutti videro e vissero il loro atto, poiché il Dio era abbastanza potente da poter condividere con loro le impressioni del futuro: di ciò che potrebbe essere.
E allo stesso modo, tutti vissero anche la realtà
La spada di Tristàn penetrare nel corpo di Shakan, terminandolo
e il corpo di Shakan scivolare lungo di essa, spinto da quello di Alexandra dietro di lui.
In un groviglio di carne, i tre finirono col cadere indosso a Ray
e le mani di Shakan andarono dov'erano dirette, allacciandosi al collo del sovrano.

Il corpo del Dio si illuminò di rosso, ma prima che potesse succedere qualsiasi altra cosa, una forza invisibile da lui emanata allontanò tutti i sei cavalieri, tenendoli a distanza.
Intorno alle sue spalle s'era formata una grave ustione, dove le braccia di Shakan erano riuscite a sfiorarlo, nella colluttazione. Grosse vesciche vi si stavano formando, e la pelle pareva sul punto di sciogliersi, più simile a fango che a carne.
Ma il potere del desiderio dello spettro aveva ancora da attuarsi.

La vide soltanto quando si ripresa dal dolore accecante lì al collo, che l'aveva costretto ad allontanare tutti e a chiudere gli occhi.

di-YPQ5

« Selene. »

« Rainier. »

La vide.
Il corpo avvolto in una vestaglia a fiori; i capelli neri tagliati corti, così da lasciare il collo nudo. La pelle bianca come il latte, liscia come la seta.
Il vestito lasciava intravedere solamente polsi e caviglie, ma bastarono quelli per accendere in lui il desiderio. La voglia incalcolabile di afferrarla, stringerla tra le braccia, riassaporarne il profumo e trascinarla con sé, consapevole che non avrebbe avuto la forza di ribellarsi.
Emise un lungo, teatrale, sospiro; chiuse gli occhi, poi riprese.

« ...è dalla morte di mio padre che nessuno mi chiama più così. »
gli tremarono le labbra, per un istante. Terrorizzato come un bimbo che ha appena compiuto una marachella innanzi alla madre pronta a sgridarlo.
Le morse, calmandosi.
« tu... come puoi...? »

Ma fu interrotto.
La mano destra di Selene, che s'era avvicinata abbastanza, lo colpì con forza al viso, tuonando tutto il proprio disappunto.
Per un attimo il Dio dimenticò il dolore che provava alle spalle, calamitando tutta la propria attenzione su quello schiaffo.

Fece per risponderle, ma la donna lo precedette ancora una volta, poggiando le sue labbra su quelle di lui; chiudendole in un lungo bacio. Una manifestazione d'amore tale da far dimenticare a Rainier per un lungo istante tutto ciò che stava accadendo intorno a lui: nel suo nuovo mondo, Selene era accanto a lui; nulla avrebbe potuto assumere più importanza. Incrociò le labbra con quelle di lei, schiudendole dolcemente e intrecciando i loro respiri; poi gli mancò il fiato e fu costretto ad allontanarsi, con delicatezza.

« Ho vinto, Selene... hai visto? » le sorrise con innocenza, gli occhi ricolmi di gioia « Ho vinto su tutto e tutti; persino sul mondo che è stato così crudele con te da ucciderti. Alejandro e Zacarias sono stati soltanto i primi sacrifici necessari a condurmi sulla strada della conquista totale. » fece un gesto ampio con la mano, mostrandole il mondo che si schiudeva intorno a loro; un paradiso « Sono diventato l'essere più potente del pianeta; ho creato un paradiso, guardati intorno! Non devo... dobbiamo... non c'è più ragione di combattere ora, Selene! Non sei fiera di ciò che ho compiuto? »

Negli occhi di lei, tuttavia, non vi era alcuna traccia di orgoglio; vi era invece una grande ansia, colorata di una punta di disprezzo. Ciò che aveva amato di lei: i colori della forza e della vulnerabilità che sfumavano l'uno nell'altro, specchiandosi nelle sue iride oltremare.

« Ti prego... ridammi Rainier. » gli disse, come se non l'avesse affatto ascoltato « ...ti scongiuro. »

« ...Selene...? »

« Leviatano, ridammi ciò che è mio. »

« Ma Selene, io so...! »

Si interruppe.
Si rese conto solo in quell'istante, che le parole non stavano fuoriuscendo dalla sua bocca.
Il suo corpo, il Dio, era lì; aveva baciato Selene, preso il suo schiaffo, ma non le stava parlando - nemmeno la stava guardando.
Stava anzi combattendo contro il dolore delle vesciche che appestavano il suo collo: le stesse lasciate dalle impronte delle braccia di Shakan.
E lui era una di quelle.
Come a esporre la vera natura del Leviatano, il tocco dello spettro aveva squamato la pelle del Dio; e all'interno di ognuna di queste pustole, si poteva scorgere il viso di una delle tante anime che popolavano il mostro. Come quando ci si immagina i visi delle persone nelle nuvole, questi mutavano continuamente, lasciando spazio prima ad un abitante di Bottiglia Verde, poi ad un elfo caduto in battaglia, poi ad un suddito del clan Toryu.
La pelle del corpo di Ray era divenuta serpentina, ricoperta da scaglie carnose che apparivano come splendide gemme; e all'interno di ciascuna di esse, i visi delle anime intrappolate nel Leviatano.
E tra queste lui:
il Re che non perde mai
perduto nel mostro che lui stesso aveva generato, e che ora si trovava innanzi alla sua Selene, incombendo su di lei con occhi di ghiaccio.
"Lasciala andare! Non farle del male!" - questo avrebbe voluto urlarle, ma si rese conto che la sua voce non avrebbe mai potuto raggiungerlo: non con tutte quelle anime che gridavano sopra di lui, chiedendo di essere libere, di poter incontrare nuovamente i loro cari o di essere estinte una volta per tutte, piuttosto che rimanere lì, intrappolate.

« Rainier, so che puoi sentirmi; so che sei lì dentro. » sentì dire la sua Selene « Devi combattere; riprendere il controllo del tuo corpo, del Leviatano.
Hai chiuso gli occhi e ti sei abbandonato al potere del Dio, convinto di non avere più nemici da combattere, e ti sei perso fra i milioni di anime che trovavano spazio dentro di te.
Ma io sono qui: è stato il potere dell'Asgradel a permettermi di incontrarti, grazie al tocco del tuo nemico. Sono qui... e non ti vedo, né ti sento più.

Io... sono sempre stata dentro di te. Ma l'odio ti ha corrotto: mi hai ritenuto il tuo primo sacrificio, e la convinzione con la quale hai compiuto tale gesto ti impedito di sentire la mia voce.
E' colpa mia se sei divenuto ciò che sei ora, ma non devi credere che io l'abbia voluto: io non ho mai desiderato che tu divenissi un mostro.
...Sarei stata molto più felice se tu avessi accettato il mio spirito dentro di te, così da poterti vivere accanto, invece di ritenermi la madre delle tue conquiste.

Non hai mai capito ciò che stava succedendo, e hai sempre cercato di soffocare la mia voce - la tua abiezione non è stato altro che l'emblema di questo desiderio.
e a quel punto, la mia voce non poteva più raggiungerti.

Cancellando la mia voce, soffocandola fra quella delle altre anime dentro di te per impedirti di sentirla, hai ottenuto un potere incontrastabile, ma sei divenuto un mostro; il fine della tua esistenza è divenuto solamente quello di combattere nemici sempre più potenti, e vincere.
E quando questi nemici hanno cessato di esistere, li hai creati tu stesso.

...Non ti sei mai chiesto perché il tuo compagno di Valzer fosse così simile a te?
Non ti sei chiesto perché l'Asgradel che ha posseduto Eitinel avesse il tuo stesso carattere? Fosse l'emblema della malvagità che aveva posseduto il tuo animo?

Al termine dell'abiezione avevi raggiunto un potere che è stato in grado di metterti in contatto con l'Asgradel, e lui ha esaudito il tuo desiderio.
Ti ha dato un nemico più potente; il nemico più potente.

Te stesso.
Tutti l'avete chiamato Asgradel, avete creduto che fosse stato il potere dei miracoli a possedere Eitinel per autoconservarsi
ma la realtà è che tu non sei mai stato una minaccia per il vero Asgradel.

Ciò che hai combattuto, in questo Valzer, e ciò che hai sconfitto
non è stato altro che un tuo doppione; una replica di ciò che sei - uno spirito incarnante le tue caratteristiche
l'unico avversario terreno che avrebbe potuto metterti in difficoltà.
Il tuo desiderio, espresso inconsciamente.

e io ho tentato di avvertirti, ma tu non potevi sentirmi
non con tutte queste anime a gridare dagli abissi del tuo cuore.

Ma te ne prego, ascoltami ora che ho una voce:
hai già sconfitto te stesso una volta, ora devi solo ripeterti.
Riprendi possesso del tuo corpo, e elimina il mostro che hai creato;
abbandona questo Dio senza cuore.

Il tuo desiderio è stato esaudito; hai vinto tutte le battaglie che ti erano state proposte
e ora ogni cosa deve tornare com'era
tu hai il potere di farlo...

Rainier...
»

e lo baciò ancora, poggiando le proprie labbra su quelle di lui.
Il Dio non ebbe alcuna reazione; non quando sentì la bocca morbida di lei, né quando né percepì il profumo lieve.
Ma Ray, sì.

« ...ti ho detto che sentirmi chiamare con quel nome mi fa un effetto strano. »

Non vi furono combattimenti spettacolari, né lotte incredibili.
Le battaglie delle idee sono violente ma brevi, e basta solamente un gesto perché cambino direzione.
In un attimo, la vita tornò negli occhi spenti del Dio; la pelle tornò morbida e liscia com'era; il Leviatano prese ad ansimare.

No, non il Leviatano:
il Re. Ray.
E fu la sua voce quella che uscì dalle sue labbra.

di-5CG0

« ...la realtà taglia in profondità. » ansimò, schiudendosi dal bacio « ...sanguineresti con me, mia Selene? »
Lei sorrise, con garbo e tenacia.
« ...naturalmente, Ray. »

[...]

Silent I lie with a smile on my face
Appearance deceives and the silence betrays

As I wait for the time
My dream comes alive
Always out of sight
But never out of mind

And under waning moon
Still I long for you
Alone against the light
Solitude am I

In the end I'm enslaved by my dream
In the end there's no soul who'd bleed for me

But until we unite
I live for that night
Wait for time
Two souls entwine

In the break of new dawn
My hope is forlorn
We will never meet
Only Misery and me

This is my final call
My evenfall
Drowning into time
I become the night


di-JB5H

conclusione

Il mondo tornò lentamente ad essere come era.
Il desiderio di Ray era stato esaudito; il suo ultimo nemico sconfitto: il mondo non avrebbe pagato altro, per lui.
Coloro che erano morti in battaglia sarebbero rimasti tali, ma tutte le anime che erano state chiuse nel corpo del Leviatano tornarono ai loro corpi materiali.
La terra tornò fertile com'era stata; il borgo Toryu rinacque, anche se al posto del maniero non rimasero che rovine.
Di Ray non si seppe più nulla - tutti ricordavano ciò che era accaduto, ma molti ritennero che il sovrano, giunto al culmine della sua lotta, s'era pentito e aveva riportato tutto alla normalità, avendo già ottenuto poteri pari a quelli di un Dio.
Le tre potenze rimasero distrutte dagli eventi: a ciascuna sarebbe toccato un lungo periodo di recupero. La loro storia, sarebbe stata scritta dai futuri eroi, e mai più condizionata da quelli vecchi.
Anche i sei generali ricomparvero, seppur dopo qualche tempo. A quanto pareva, Ray aveva infine deciso di risparmiarli, riportandoli indenni su quel mondo che aveva prima distrutto e poi ricreato.
Alcuni di loro con qualcosa in più; altri con qualcosa in meno.

Solo uno, fra tutti, si può dire che sorrise alla vicenda.

di-QSK8

L'Asgradel, quello vero.
Irraggiungibile e invisibile, quel valzer aveva costituito per lui un'opportunità.
Così tanti desideri; così tante vite coinvolte
gli avevano permesso di lasciare sul continente un numero incalcolabile di tracce

- la via per la sua concretizzazione
per il suo materializzarsi, per avere un corpo suo
era di un passo più vicina.



CITAZIONE
Così si conclude il valzer.

Innanzitutto, un po' di note sul postL l'ho diviso in atti, ognuno dei quali è rivolto a uno dei vostri personaggi in particolare (tranne nel caso di Shakan e Alexandra, che vanno in combo). I vostri personaggi vivono effettivamente gli atti, pur sapendo che quella non è altro che l'immaginazione del sovrano che, data la natura del Leviatano, si estende anche alle loro menti. I personaggi vivono anche la realtà dei fatti, che è l'atto ultimo, Rainier e Selene. All'interno dei singoli atti ho cercato di emulare leggermente lo stile di chi era coinvolto, a volte semplicemente nella forma, a volta citando parti dei vostri post. Mi sembrava un giusto tributo nei vostri confronti, e volevo che tutti voi aveste la vostra risposta.
A tal proposito sì, ho citato Aldo in Chiedimi se sono felice: trovo che quelle parole si adattino perfettamente alla nostra situazione. Cos'altro potrei aggiungere io a tutto quello che avete scritto voi?

La parte in inglese del post si potrebbe tradurre così:

In silenzio, mento con un sorriso sul viso
L'apparenza inganna e il silenzio tradisce

Mentre aspetto il momento
Il mio sogno diventa realtà
Sempre fuori dallo sguardo
Ma mai lontano dalla mente

E sotto la luna calante
Ancora ti desidero
Solo contro la luce
Sono la solitudine

Ma finché non ci uniremo
Vivrò per quella notte
Attendendo il tempo
Di due anime che si intrecceranno

Allo spuntare dell'alba
Non ho più alcuna speranza
Non ci incontreremo mai
Soltanto la Disperazione ed io

Questa è la mia ultima chiamata
Il mio crepuscolo
Affogando nel tempo
Diventerò la notte.

Il finale di Ray; una citazione di My Selene, dei Sonata Arctica.

Detto questo, passo alla nomina del vincitore.

I quattro amministratori hanno votato tutti per la vittoria della fazione del Leviatano. Dunque dichiaro vincitori del valzer la squadra:

Hell on Earth



E' stato però deciso che, per non vanificare gli sforzi della squadra dell'Asgradel, Ray venisse "sconfitto" e che l'azione di questi ultimi avesse successo. Una specie di premio di consolazione. In generale, lo staff si è trovato unanime nel dire che i Sic Volever Parcas sono stati la squadra della "svolta che non arrivava"; senza dubbio i migliori nel coinvolgere sentimentalmente i lettori e forse i più coinvolti loro stessi nella storia, ma con qualche difficoltà nell'imbastire strategie di gruppo efficaci - differentemente dagli Hell on Earth.
Passo alle valutazioni singole:

Lenny: Lo staff ti ha considerato nella completezza il migliore della scena, sotto ogni punto di vista. Coerente con il personaggio, compi qualcosa che nessuno si sarebbe aspettato, la descrivi magnificamente e non ti perdi: imbastisci anche quella che potrebbe essere una difesa a Ray e cerchi di tagliarlo fuori dalla battaglia. In generale, siamo dispiaciuti per gli errori che hai compiuto nei primi post di Ragnarok, ma ne hai pagato lo scotto e ti sei ripreso egregiamente con questi ultimi post.
Ti vengono assegnati 3000G.

Escape e janz: Secondi a parimerito, lo staff ha ritenuto la vostra prestazione a dir poco eccellente: unico riscontro negativo, la tendenza ancora a perdersi in considerazioni "ovvie" che finiscono per l'appesantire il post. Ricordatevi che i lettori non vogliono leggere di cose che già sanno; soprattutto se le avete già descritte nei post precedenti. Eccellenti iniziative e strategie, soprattutto da parte di Escape in Ragnarok, durante il quale janz ha sacrificato parte delle sue possibilità in favore di una interpretazione più coerente del personaggio. In generale, ciò che vi manca per raggiungere il livello di Lenny è solamente l'abolizione della ridondanza, verso la quale avete fatto sì passi da gigante, ma potete ancora migliorare.
Vi vengono assegnati 2000G, ed entrambi venite promossi ad energia Blu

Foxy: In generale, l'intero Staff ritiene che fra tutti i giocatori tu sia quella che ha fatto più passi avanti; non solo in queste due ultime giocate, ma nel corso dell'intero valzer. Il tuo ultimo post in Broken Places è un capolavoro, la firma che sigilla le nuove cime che hai appena raggiunto. Ora non si può dire che tu non sia allo stesso livello degli altri ma, purtroppo, questa valutazione non si rifà solamente al post in Broken Places, ma anche a quelli in Ragnarok e a tutto il valzer in generale. Posso dirti che alla fine sei riuscita a coprire tutte le pecche che ti erano state fatte notare nei turni precedenti, ma abbiamo comunque dovuto tenerle in considerazione: il tuo percorso è solamente in salita. Un solo consiglio: non forzare termini aulici dove non è necessario.
Ti vengono assegnati 1500G e vieni promossa ad energia Blu

Jimmy: La cosa che più è stata apprezzata di te è stata la coerenza con la quale Rekla, dall'inizio alla fine, ha sempre perseguito il suo obiettivo di uccidere Ray. Un po' meno il modo: diciamo che ci si aspettava qualcosa di più elaborato di una semplice bordata mortale dopo tutti i tuoi sforzi in tale direzione, soprattutto considerando che il tuo personaggio era quello effettivamente "messo meglio". Aggiungo inoltre che un mortale come il tuo che colpisce più persone ha potenza critica su ciascuno, non media o alta che sia: conta come un mortale ad area - un errore sul quale lo staff non ha voluto soffermarsi né sottolineare in corso d'opera. In generale il post è piaciuto molto, ma la valutazione rispecchia anche alcuni comportamenti risalenti ad altre scene e soprattutto a Ragnarok, dove ti butti in mezzo all'esercito nemico fin da subito, sei all'aperto quando vengono lanciati i quattro critici, usi dei PnG per scudarti da questi ultimi completamente e, alla fine di una battaglia campale che tu hai vissuto nel suo centro, sei praticamente fresco come una rosa, rispetto agli altri.
Ti vengono assegnati 1000G.

Kactuar: Il difetto più grande che è stato riscontrato nei tuoi post è la tendenza a giocare da solo. Finnegan non interagisce con nessun altro che non sia Finnegan, e benché lo stile sia curato e piacevole alla lettura, è assurdo di come alle azioni di ciò che succede intorno a te venga dedicata mezza riga per post, come se mentre scrivi esista solamente il tuo personaggio, e niente di ciò che gli sta intorno - è più uno stile adatto ad un blog e ad un diario che ad un racconto. Questo è inoltre il sintomo di una grave tendenza a non capire effettivamente ciò che stia succedendo, dando importanze del tutto supposte alle cose che si hanno intorno: ad esempio, Ray che viene attaccato con un Medio (per ottenere cosa?), Finnegan che attraversa un esercito di orchi rimanendo indenne, in mezzo a loro, Finnegan che usa Bara-Katal per bloccare completamente uno dei quattro critici, quando Bara-Katal dovrebbe essere notevolmente più pericoloso di lui (e dunque sarebbe più probabile il contrario). Insomma, dovresti accorgerti che ci sono anche altre persone; i racconti sono la produzione di un insieme di scritti e di idee, ai quali tutti partecipano: tu però sei ancora chiuso nel tuo mondo.
Ti vengono assegnati 500G.

Detto questo, aggiungo che, come promesso i membri della squadra Hell on Earth hanno diritto ad esprimere un desiderio.
Tale verrà espresso inconsciamente, e dovrete mandare un mp a me per stilarlo. Al momento della vostra riapparizione sulla terra ricreatasi, avrete accanto a voi la produzione del vostro desiderio, che vi sarà fatta pervenire dallo staff via mp. Naturalmente siete liberi di aprire scene free a riguardo o altro, sapendo comunque che questo topic resterà chiuso.

In GdR - On, questo succede: dopo aver assitito a quanto accade in questo post, Ray prende a ricostruire il vecchio mondo e voi vi risvegliate lì, coscienti di averlo salvato.

Sì, l'Asgradel non ha mai veramente preso parte a questa battaglia. "L'Asgradel" che ha combattuto contro Ray era una proiezione della sua personalità che ha posseduto Eitinel. Perché? Perché l'abiezione è stata la QFA di Ray, e al termine di questa, il desiderio che il Re ha espresso è stato: "Desidero un avversario alla mia altezza". E l'Asgradel gliel'ha dato. Spero che il colpo di scena vi sia piaciuto.

In generale, grazie a tutti, di cuore.
Siete voi che avete reso il Valzer quello che è, non lo staff. Ma siccome anche noi ci abbiamo messo del nostro, assegno 3000G a me e Eitinel per la gestione di tutti i tre turni; 2000G a Andre_03 e 1000G a Maionese.

grazie.


 
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7 replies since 13/10/2011, 21:54   2143 views
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