Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Sacramento di Unica Vera Fede

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Yomi
view post Posted on 8/4/2012, 07:17




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Il rosso dei fiori, il porpora degli arazzi e l'azzurro degli stendardi spiccavano con forza innaturale sul bianco niveo del marmo della basilica, mentre le campane sovrastavano i passi dei presenti, che da ogni dove erano accorsi a gremire il grande Duomo di Basiledra. La processione era sembrata interminabile: una lunga serpe di incappucciati che avevano sfilato lungo le vie della capitale, mentre sempre più fedeli si accodavano, unendo le loro voci al coro elevato al cielo che invocava il nome del Sovrano. Avevano levato le lodi al suo onore, e glorificato sette volte i suoi nomi, secondo gli scritti della Nuova Fede, cui presiedeva il sovrano in terra del regno umano in persona, e tutti i suoi vassalli, figure divenute in breve fra le più influenti del continente. Ma era stato l'ingresso nel Duomo il culmine dell'eucarestia, l'enorme monolite di marmo era la raffigurazione del corpo stesso del Leviatano, rappresentava il Sovrano personificato, incarnato nell'aspetto di un titano invincibile.

La pianta del Duomo era quella di una rosa dei venti, al cui centro era collocato l'altare ed il pulpito su cui spiccava una figura solitaria. Zeno era la voce stessa del Re Invincibile, in piedi sul pilastro marmoreo come la figura mitologica di un giudice. Attorno a lui gli uomini si disposero come se sapessero per istinto quale fosse il loro posto, e così gli uomini provenienti dalle steppe settentrionali presero posto nella punta nord della rosa dei venti, i dignitari dell'ovest riccamenti abbigliati si disposero a ponente, gli uomini del deserto sedettero alla punta sud mentre gli orientali si radunarono alla punta est. Il coro dei corvi si spense, lasciando spazio ad un silenzio religioso che in breve fu rotto dalla voce dell'uomo assiso sull'altare. Intonò un canto, ed il coro riprese forza. Al contempo la luce del sole che filtrava dalle vetrate divenne fioca, fino a spegnersi del tutto come nel corso di un'eclissi, lasciando solo i candelabri a far luce nel tempio del Leviatano.


Ricorda, viandante che vai sulle vie del Sovrano
sii pronto ad accogliere la morte.
ciò che tu sei, io ero
ciò che io sono, tu sarai
che s'io posso esser polvere, tu pure puoi...



Oscurato dalla luce improvvisamente fioca, il volto del Pontefice era quello del Sovrano in terra. La maschera che nella penombra sembrava fondersi con i suoi lineamenti era diventata il suo vero volto, e la carne al di sotto di essa nulla era invece il simulacro. Il coro raggiunse il suo culmine, una nota finale che parve riempire l'aria di qualcosa di celestiale, di enorme, in grado di spazzare via ogni senso di sé, lasciando spazio soltanto per il volere del Sovrano, Dio degli uomini e guida di popoli...

 
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view post Posted on 8/4/2012, 15:14
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Pensieri.
Parlato.

Ricorda, viandante che vai sulle vie del Sovrano
sii pronto ad accogliere la morte.
ciò che tu sei, io ero
ciò che io sono, tu sarai
che s'io posso esser polvere, tu pure puoi..
.

La potente armonia del coro di migliaia di voci vibrava, perduta e ritrovata cento volte nel fluire di una musica che sembrava non voler smettere mai, non prima di aver conquistato il cuore di ogni uomo o donna presente in quella navata. Col variare dei toni il popolo del Toryu esaltava mano a mano il bianco delle pareti, candide di bianco e di sole ed il rosso dei fiori fatti arrivare dalla campagna quella mattina per profumare, attenuando il lezzo di tanta folla assiepata in un unico luogo, i variegati colori degli stendardi e degli abiti dei mille e più che si erano dati convegno nelle reciproca fede di un Sovrano in cui potevano credere ancora.
Fanatici.
Rotolò a lungo quella parola sulla punta della lingua.
Aveva un sapore acre di fumo e bile inacidita.
E’ lo stesso dappertutto. Dagli un Re, dagli un Dio e c’è sempre chi ne approfitta per fare i propri comodi. Non mi fido di questi Corvi, neppure di questo Zeno che si proclama la voce del Re che non perde mai … cosa vogliono? Perché la loro religione ha tanto seguito?
Cercò con gli occhi la figura di Raymond, lo scuro mercenario incontrato in uno sperduto villaggio che aveva rivelato essere ben più di ciò che sembrava e che ora era stato nominato Duca del regno. Sapeva che doveva essere lì da qualche parte, nascosto magari dalla calca di persone che circondavano Lord Shakan, altrimenti detto Signore del Nord, ma non riusciva a vederlo in tutta quella folla di individui che come file disciplinate di buoi tendevano il capo alla mano che prima o poi le avrebbe macellate secondo i propri desideri.
Perché? Si chiese.
Erano venuti da nord, comparendo quasi per magia in uno sperduto villaggio di contadini a malapena consapevoli dell’esistenza di un mondo oltre i confini delle loro montagne e da allora avevano fatto sempre più strada nelle fila dell’esercito e della gerarchia di potere: guaritori prima, profeti e sacerdoti poi di un culto che si andava affermando. Non ci era voluto davvero molto prima che venisse, per loro, eretto quello splendido edificio che li circondava da ogni lato … con la sua imponenza sembrava voler imitare e forse sfidare le antiche glorie del regno e del Bianco Maniero di cui restavano solo rovine.
Dai campi di battaglia sono passati alle cattedrali … non ho mai chiesto a Sherat e ad Aang cosa ne pensavano ma del resto non è che li abbia visti troppo spesso in questi ultimi tempi.
Sbuffò, bonariamente infastidito dal ricordo delle ricompense in cui a lui era stato dato solo il titolo di Scudiero mentre al suo compagno dalla testa rasata e dalle mani veloci era stato assegnato addirittura il titolo di consigliere personale di Lord Shakan. Chissà dove era finito il monaco, non sapeva se lo avrebbe mai ammesso apertamente ma gli piaceva come persona, niente a che vedere con la maggior parte dei nobili del regno o con quei Corvi del malaugurio. Era una persona di cui ci si poteva fidare, solido quasi quanto il mastro costruttore che lo aveva accompagnato e con cui aveva combattuto.
Chissà se oggi verrà anche lui.
Passò amorevolmente una mano sull’elsa della spada che portava al fianco, assaporandone come al solito la levigatezza e la solidità, ricordando l’uomo che un tempo la possedeva e i principi per cui aveva lottato fino alla fine e dicendosi che i Corvi non li condividevano proprio quei principi. Chissà se ne avevano oltre a quelli del loro Dio.
 
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~ D a l y s
view post Posted on 8/4/2012, 20:44




Era in piedi nel mezzo di due dame truccate come geishe, guardie del corpo personali che l’avevano accompagnata lungo il viaggio. Dietro di lei la rappresentanza dei suoi samurai, dei suoi dignitari, dei suoi prediletti. Era arrivata nella capitale al mattino, con occhio critico aveva valutato i cambiamenti intercorsi nel tempo della sua assenza. Con un piacere sottile, di quelli che si condensano in un pizzicore sotto la gola, aveva scoperto che qualcuno ricordava ancora il suo nome e il suo aspetto. Credevano sarebbe arrivata vestita come un’esotica emigrata, che avrebbe rivendicato la propria estraneità.
Ancora una volta si era divertita con loro.
Le mani coperte dai guanti neri lisciarono le gale della lunga gonna. Nessuna dama d’Occidente avrebbe potuto essere elegante quanto lei. Rose di tessuto candido nel nero di pizzi stratificati, il corpetto di tessuto intrecciato, una rosa dipinta d’oro tra i lunghi capelli lasciati sciolti. Nulla lasciato al caso, nulla nel trucco, nella cura dei movimenti e degli sguardi.
La mano del costrutto l’aveva guidata per le strade, alle spalle dei Sacri rappresentanti del culto del sovrano, i Corvi. Aveva pregato con loro, si era inchinata con loro, aveva chinato lo sguardo all’ingresso nel grande duomo, collocandosi pazientemente al proprio posto. La penombra l’aveva avvolta, discreta, nascondendo i suoi occhi d’acciaio alla folla che li circondava.
Loro, i prediletti ammessi quel giorno nel luogo più sacro. Loro, divisi eppure riuniti sotto un unico dio, un unico impero, un unico potere.
Non aveva mai creduto negli dei, nella fedelà, nella trascendenza. Aveva sempre pensato che la religione fosse il miglior mezzo per assoggettare i popoli. E ora si trovava nel mezzo del rito più sfarzoso, con l’espressione più compunta possibile, a ripetere frasi toccanti scritti dai migliori poeti. Guardava Zeno, valutando quanto potesse essere realmente pericoloso. Si domandava cosa avrebbe detto Ray vedendoli in quel momento.
La luce investiva il celebrante solo di striscio, e quasi credette che sarebbe stato assiso al cielo. Per un attimo pensò che tutti loro lo stessero vedendo, il volto di Ray impresso in quel volto. Per un attimo credette che sarebbe successo veramente. E fu totalmente partecipe, assorbita, inesistente. Fu il Sovrano e la sua corte, fu il Consiglio e smise di essere Fleurdalys.
Fu solo un attimo, poi il suo sguardo carezzò uno dei dignitari del regno meridionale. Ammiccò, prima di inclinare la testa verso Marchosias, in piedi alla sua sinistra.



Una volta ci ho ballato”.



Sottintesi. Ironia. Vuote memorie.
Appena un sussurro, e tornò a chinare il capo di nuovo.
Un sorriso sarcastico le aleggiava sulle labbra, apparendo e scomparendo così come i giochi del sole sulle sue guance d’ambra.




Edited by Majo_Anna - 8/4/2012, 21:53
 
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view post Posted on 8/4/2012, 23:11
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Maestro
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L'aveva lasciata diversa. Un tempo, era stata qualcos'altro. Quando l'ultimo suo passo, al comando della guarnigione, si era levato dal marmo lastricato della Capitale, aveva scorto la speranza brillare negli occhi delle persone, ma posarsi unicamente sulla forza e sulla costanza di chi quella gloria andava a guadagnarsela oltre l'orizzonte, verso il fronte di guerra. Ora, invece, vedeva qualcos'altro. Era, infatti, bastato lasciarla nelle mani di chi quella speranza aveva saputo sapientemente mutarla nelle forme di un paradigmatico incanto che ne aveva dischiuso le illusioni, plasmandole sulla volontà intransigente, metafisica e pietosa di un Sovrano immortale, per ottenere la pallida imitazione del coraggio che ricordava: ovunque quella speranza aveva preso le forme di una preghiera, una litania o un canto rituale. Non era più la gloria del regno o dei suoi condottieri, era la gloria del Sovrano - che per essi soltanto passava, veloce, schiva, come se non a loro appartenesse o non fossero stati loro a guadagnarsela materialmente, col sangue.
Un inganno che aveva un nome ed uno scopo: una fede che aveva ghettizzato la verità, asservendola soltanto come strumento per passare attraverso gli scranni della politica ed irretire le folle con ciò che avrebbero avuto gioia sentire, non ciò che dovevano necessariamente sentire. Meschine bugie: artifici concettuali mutati nell'oppio di una credenza volta al solo scopo di ghermirli ed incatenarli, come pecore in un pascolo immondo.

Questo vedeva lo spettro, per ogni passo che faceva verso la Cattedrale. Uno specchio di un quadro arcaico, che riteneva possibile solo nei remoti racconti di campagna. Un quadro fatto di tasselli mutati in uomini, atti - però - a comporre l'inganno ultimo dischiuso nel verbo degli uomini mascherati e dettisi "Corvi" che di quella gloria avevan fatto il proprio sale. La propria forza, la propria anima. Fu tale il rifiuto di accettarlo, che per un attimo maledì se stesso per averne preso parte, alzando il cappuccio e disperando, più che sperando, che nessuno l'avrebbe riconosciuto per quel che era: Signore del Nord; eroe di Guerra; testa di cazzo in generale.

Eppure, quando fece capolino all'ingresso, ben poco gli fu concesso in quella disillusa veste di mendicante o presunto avventore casuale.

« Dove credi di andare, straccione? La funzione per i mendicanti è domani... » un colosso ammantato gli si pose innanzi. Aveva le fattezze di uno squallido buttafuori, ma le vesti tutt'altro che rispondenti a quel sentore: una maschera bianca lo dipingeva come il più grosso Corvo che avesse mai visto. « Prego... » sussurrò lo spettro a malapena, millantando una voce tutt'altro che imperante « ...ho ricevuto l'invito, dovrei passare. » L'uomo lo fissò per qualche secondo, tacendo: per quel che gli convenne, Shakan ipotizzò stesse ghignando. Di fatti, ci passò poco: si fece da parte e finse di fargli strada. Ma fu breve: al primo passo dello spettro, lo prese per la manica e lo tirò di nuovo indietro. « Ah! Scherzavo, stronzo. Che il Sovrano mi fulmini se uno come te può aver ricevuto l'invito... ». Cosa credeva, Shakan? Credeva invero di attraversar la Capitale senza che nessuno si degnasse di disprezzarlo appena un pò, sopratutto dopo che i valori e gli immortali principi appresi nel sangue della battaglia si erano traslitterati in oscuri sofismi e salmi da omelia? No, sperava troppo: credeva poco. Quando scostò il capo il Corvo sussultò: da come tremava Shakan ipotizzò l'avesse riconosciuto.
« Hai visto un fantasma, stronzo? » L'ironia fu facile, la figura del sacerdote meno. Gli spalancò il portone e lo spettro ammirò l'imponente creazione, morendo nel cuore di tutti i suoi peccati.

____________________________

Al termine della funzione rimase qualche secondo a rielaborare tutte le intonazioni che era stato costretto a sibilare, per salvare l'apparenza che anche lui avesse imparato a lodare la stessa creatura che fino a qualche mese prima attentava alla sua vita. Invero, salvò l'orgoglio limitandosi a muovere le labbra, fintanto che la fine non giunse ed il Sacerdote nominato Zeno non lo salvò intonando la fine della cerimonia. Eppure, nulla parve finire: attorno a lui si era creato un nome che risiedeva nel suo ruolo di Signore del Nord. Ad esso, invero, avevano risposto soldati, eroi e semplici curiosi, cui aveva reso grazia con un cenno di saluto ed un monito di tener le mani bene in vista, oltre che distanti da lui. Poi inforcò la navata, sperando di non doversi arrestare più. Quando scorse, però, da un lato la Dama d'Oriente col suo seguito, comprese che non si sarebbe perdonato l'affronto di mancar di rispetto all'unico essere che realmente poteva temere in tutto il regno. Voltò lo sguardo altrove, ricercando occhi amici ed incrociando quelli di Gaara, Scudiero del suo regno, benché stentasse a definirlo tale. Lo fissò e gli fece segno di seguirlo: se avesse dovuto prestare omaggio alla Rosa, lo avrebbe fatto anche col suo seguito.

Poi fu un attimo. Seguì il profumo ed i lustri, fino a quando non sentì proferir verbi soavi: “Una volta ci ho ballato”. Scorse Dalys che intonava ricordi riferibili al Sovrano. Lo sapeva: Shakan aveva visto anche quello, in realtà. Ma non lo avrebbe mai anteposto alle sue cordialità. Si fermò solo un secondo, pensando a come ingraziarsela: una volta l'ho ucciso. Di sicuro effetto, benché troppo ardito.

« I Canti d'oriente intonano delle tue grazie, Regina... » disse, con voce tonante, sapendo bene che ella non avrebbe potuto ignorarlo. « ...posso omaggiarti dei miei complimenti? » concluse, inarcando il capo in gesto di rispetto.
Shakan è qui parve voler dire.

 
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dra31
view post Posted on 9/4/2012, 01:42




Sacramento di Unica Vera Fede - I
Basiledra, Capitale Toryu


Dopo aver lasciato il freddo nord e preso la via dell'oriente, le voci di una grande cerimonia rientrante nei festeggiamenti per l'incoronazione del nuovo re l'hanno raggiunto sul suo cammino e una lieve nostalgia per la vivace capitale lo convince a fare una deviazione. Non ha viaggiato a lungo da solo, il costruttore ha avuto modo di aggregarsi ad uno dei tanti carriaggi provenienti dalle terre ove sorge il sole, al seguito di una nobildonna di quei luoghi.
Non ha avuto modo di omaggiarla né di vederla, avendo deciso di rimanere in fondo alla carovana fino a separarsi da loro poco prima delle porte della città. L'aveva lasciata qualche mese addietro, sempre viva e vivace, e non ricordava di aver visto un cantiere tale da giustificare il bianco mausoleo che si ergeva in mezzo alla piazza chiamata Piazza del Re. Il re in questione deve essere il Sovrano al quale è consacrata la bianca basilica, non pensa che l'attuale governo sia così frettoloso già da intestare un'area della città ad un re appena accettato. Ad ogni modo, il costruttore si avvia verso una locanda che frequentava prima di salire verso nord, la stessa dove aveva lasciato in consegna alcuni dei suoi attrezzi e i suoi abiti buoni.

Abiti che, il giorno successivo, adatta alla bene e meglio alle nuove linee del suo corpo, con qualche chilo in meno e con qualche buco nella cintura in più. Nulla di che, giusto un semplice gilet sopra una camicia e dei pantaloni di lana lavorata in casa, vestiti che si porta dietro da anni e che non usa quasi mai. Quel che basta per dargli l'aspetto di un normale cittadino di una popolata Basiledra in festa. Già, perché tutto di quella città ha gli odori e i colori di una festa che si espande oltre le mura sacre della cattedrale, infilandosi nelle vie e nelle piazze limitrofe alla Piazza del Re, dove banchi e chioschi rallegrano i passanti diretti verso la basilica.
E a dirla tutta, in verità Serhat non ha tutta questa volontà di seguire una celebrazione religiosa, qualunque essa sia, ad esclusione delle sue nozze, quando verranno. Ma non presenziare a quella funzione dopo aver intravisto alcuni volti conosciuti nella folla in entrata sarebbe stato uno sgarbo nei loro confronti, ecco allora che uno si fa forza e varca uno degli ampi portoni della cattedrale, seguendo il flusso di fedeli fino a raggiungere il settore dove i suoi pochi conoscenti si siedono, tenendosi discretamente e opportunamente defilato e indietro nei banchi.

Ricorda, viandante che vai sulle vie del Sovrano
sii pronto ad accogliere la morte.
ciò che tu sei, io ero
ciò che io sono, tu sarai
che s'io posso esser polvere, tu pure puoi...


Non per essere maleducato o volgare, ma Serhat mette mano ai gioielli di famiglia quando il corvo sentenzia quelle parole, in un nascosto scaramantico gesto di difesa. E per ora è l'unica nota di colore che rende variegata la noiosa sequenza di sguardi in giro per la volta e le colonne, rinfrancando lo spirito con la bellezza delle volute scolpite e dei disegni della luce sui marmi e sui stendardi e gli arazzi.
Un divagare dalle parole del corvo che giunge alla fine quando si alza insieme al resto dei presenti nel suo settore, seguendoli sempre qualche passo addietro anche quando il suo comandante al nord, il lord Shakan, si sofferma a rendere gli omaggi ad una nobildonna dal fascino che non la rendeva di certo inosservata, aiutata anche dal fatto di essere in compagnia di una marionetta d'uomo di ottima fattura. Uno svago per ricchi annoiati, dove la maestria di un mastro carpentiere è stata messa al servizio dei capricci di una nobile signora come lei.
La buona educazione gli direbbe di andare a salutare il suo superiore, ma il buon senso gli dice che quello non è il suo posto e che è meglio guadagnare l'uscita e approfittare di quella giornata di festa per sollazzarsi.
E sa già dove dirigersi, aveva adocchiato un chioschetto ben appartato che serviva delle profumate pietanze, roba da farti venire l'acquolina in bocca...

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Ricordati che devi morire!
Sì, sì... no... mo' me lo segno...
Serhat Satu

 
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Lust´
view post Posted on 9/4/2012, 13:47




La città, la Corruzione... erano cambiati.
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« Awakening »



Non aveva idea di cosa fosse accaduto a quella bellissima città dominata da un bianco maniero. L'ultima volta lo aveva visto splendere sulle teste di quei piccoli, infidi esseri qual erano i suoi fratelli umani, bellissimo nel suo candore sotto il sole di mezzogiorno. I suoi occhi bicromi avevano osservato poi le mura, e infine erano scesi per vedere i volti di chi, uno dopo l'altro, l'aveva accolto all'interno del Leviatano. Vrastàx e Dalys - la sua prima prova, una donna a quel tempo senza nome che somigliava così tanto a Lilian da avergli fatto perdere il controllo, addirittura. L'aveva attaccata, quella volta, e non se l'era ancora perdonato.

Fatto stava che la città era cambiata, da allora. Aveva nome Basiledra, ora, ed era la capitale delle terre del Fu Re che non perde mai, che non aveva avuto l'onore - né il desiderio, in realtà - di conoscere. Solo le mura della sua bellissima città e la vitalità di quest'ultima lo avevano attirato. Doveva esserci qualche festa quel giorno, comunque: quando Seraph entrò nel centro della città una fiumana di gente lo rapì, portandolo al cospetto di un immenso Duomo consacrato a qualche Dio di cui non conosceva il nome. L'angelo si fermò poco prima dell'entrata, al riparo dalla folla. Era riuscito a trovare un angolino, un riparo, per osservare meglio la gente e il luogo.
Da quando era entrato nel Clan - perché aveva capito che di quello, si trattava - non aveva ancora avuto modo di conoscere nessuno. Nessuno. Temeva che le sue immaginarie catene, che sentiva pesare ai propri polsi, non sarebbero mai svanite a quel punto. La sua missione stava miseramente fallendo.
In quella folla doveva esserci qualcuno, però. Qualcuno che potesse aiutarlo ad amare quei rozzi, violenti esseri umani suoi fratelli.
Fu mentre si sporgeva per osservare gli alti pinnacoli della chiesa che la vide: bellissima nei suoi abiti così particolari agli occhi del giovane angelo, circondata da un seguito variopinto, quella donna entrò nella cattedrale a passo sicuro. Era Dalys, era lei, ne era sicuro. Gli occhi del ragazzino-angelo brillarono e la decisione di entrare seguì immediatamente la scoperta. Non gli importava del rito a cui avrebbe presenziato - non era contro né a favore di altri culti, lui venerava il Padre e tanto gli bastava: gli esseri umani erano liberi di fare ciò che desideravano, in vita - voleva solamente capire cosa ci facesse lì la donna. Non poté, però, non rimanere affascinato dall'interno di quell'edificio e dalla sua struttura: la luce che proveniva dall'alto colpiva il suo centro esatto, e in quel punto, su un piedistallo - cosicché tutti potessero vederlo, evidentemente - vi era una figura insolita agli occhi del Serafino dai capelli albini, che seguì la dama fino a che ella non si sistemò nell'area est.
Rimase molti passi indietro rispetto a lei, probabilmente nascosto dietro ad altre figure molto più alte: le sue vesti, le stesse con cui ella lo aveva visto al suo arrivo, troppo larghe per lui e così semplici, lo aiutavano a farlo passare per uno degli abitanti più poveri della città; al contrario, i suoi tratti dolci e levigati, gli occhi uno color ghiaccio e l'altro color ambra, non lo aiutavano affatto nell'impresa.
La spiò, - mentre il sacerdote iniziava a recitare alcuni versi che lo fecero tremare, tanto erano simili a una profezia di morte certa alle sue orecchie: "Come possono trovare conforto in queste parole, gli esseri umani? Non riesco a capire... Perchè?", si chiese rabbrividendo -, e continuò a farlo anche mentre altri dignitari, in pompa magna per l'occasione probabilmente, cominciarono ad avvicinarsi a Dalys e a rivolgerle la parola.


 
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PARACCO TRAVESTITO ALOGENO
view post Posted on 9/4/2012, 14:34




Eccolo lì, finalmente. Aveva atteso del tempo prima di rientrare a Basiledra, perchè aveva paura della reazione che avrebbe potuto avere. Cosa avrebbe provato, una volta arrivato lì dove il potere del Sovrano era più forte; lì, dove convergevano le fauci del Leviatano, pressando con forza titanica su coloro che si trovavano nella capitale. I corvi erano ora presenti nella vita cittadina, prendendone parte come se vi fossero sempre stati. E forse - Aang ne era dannatamente sicuro - era davvero così. L'imponente cattedrale che si stagliava di fronte la piazza del Re ne era prova tangibile.

Prima di tornare finalmente al sud era passato ancora una volta dai Picchi Innevati, facendo fede al suo dovere e risolvendo quei problemi che richiedevano la parola di un Consigliere. Era stato lì che aveva ricevuto l'invito, esteso a tutta la nobiltà del Nord, di presenziare alla prima, vera, cerimonia del culto del Sovrano. Shakan non si vedeva da qualche giorno, ma Aang non ne sentiva la mancanza: nella loro ultima chiacchierata era stato chiaro, cristallino. Il monaco avrebbe preso le sue decisioni, avrebbe agito, avrebbe forse sbagliato, ma da solo.

« Così sia. »

Sussurrò, di fronte i pesanti portoni della cattedrale. Per l'occasione aveva messo le sue vesti migliori: fasce di tessuto color panna avvolgevano il suo corpo esile, cornice di quella - di un blu pacato - che gli si incrociava sul petto. Il capo glabro era scoperto, lasciando in bella vista i tatuaggi di un vistoso celeste, una freccia aguzza che si ripeteva sui dorsi delle mani affusolate. Finalmente senza gli opprimenti cappotti di lana e le palandrane di pelliccia, Aang si sentiva più leggero, ma non per questo meno insicuro. Inspirò a fondo, battendo il suo fedele bastone sul marmo lucente del pavimento, poi entrò.

...

La cerimonia fu lunga e tediosa per il monaco: all'apparenza sembrava un ruscello tranquillo, limpido come un cristallo, ma sotto la superficie era nervoso e contratto. Aveva preso posto vicino il suo signore, che aveva seguito la cerimonia sussurrando le litanie del Corvo con regolarità. Aang si era limitato a chinare il capo nei momenti adatti, imponendosi la calma e ascoltando tutto con una pazienza che non credeva nemmeno di possedere. La sua commedia durò finchè Zeno - Pontefice del Sovrano - non mise fine a quella tortura, sancendo la fine della funzione con l'ennesimo canto corale.

Finalmente..

Diversi uomini ne approfittarono per avvicinarsi a Shakan, ma questi prese congedo da tutti loro con calma marziale, iniziando a incamminarsi per la navata a passo veloce, quasi temendo di essere interrotto l'ennesima volta. Aang, sempre attento alle formalità che gli competevano, lo seguì distanziandolo di un passo, camminando alla sua destra. Attraversarono mezza navata, quando lo Spettro rallentò, fin quasi a fermarsi. Anche il monaco ora, guardava nella sua direzione.

Quella è..

Il suo signore lo cercò con lo sguardo, facendogli cenno di avviarsi in quella direzione, iniziando a camminare senza assicurarsi che avesse seguito il suo ordine: Aang fu rapido ad accodarsi, tenendo sempre gli occhi sulla creatura che aveva attirato le loro attenzioni. Al loro fianco, il monaco riconobbe e salutò Gaara.

« I Canti d'oriente intonano delle tue grazie, Regina... »
« ...posso omaggiarti dei miei complimenti? »

Aang chinò il capo, atteggiandosi in un breve ma evidente inchino.
Quella - si disse - doveva essere davvero Lady Dalys. Può un uomo o una donna che sia, andare incontro a un cambiamento così formidabile?

La disperazione che ardeva inestinguibile nei suoi occhi era sparita, sommersa da una regalità che stordiva coloro che avevano l'onore di subire il suo sguardo. Tutto, dalla sua postura allo schiudersi delle sue labbra, dall'ammiccamento dei suoi occhi ai movimenti controllati delle mani, ispirava sicurezza e rispetto. Una donna ben diversa da quella che Aang ricordava a Porto Oscuro: seduta al limitare di una piazza di mercato, sporca di fango e sangue, gli occhi ricolmi di una disperazione senza voce.

Nonostante i suoi pensieri il monaco rimase in perfetto silenzio, lasciando ovviamente la parola al suo signore. La curiosità del ragazzo venne presto catturata da uno degli accompagnatori della Regina d'Oriente: un costrutto, un golem, un artefatto animato. L'ultima volta che il Manipolatore si era imbattuto in una di quelle cose - a Barta - era stato preso di forza e sollevato sulle sue spalle possenti, quindi ne aveva un ragionevole timore. Deglutì inutilmente nella gola secca, ma continuò a rimanere in silenzio, limitandosi ad assottigliare lo sguardo e a seguire la conversazione. Quasi un golem lui stesso, non avrebbe portato disonore al suo nuovo ruolo per colpa delle sue paure.



Aang conosce Dalys in seguito agli eventi della quest "Figli di un mondo ingrato: atto III"
 
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J!mmy
view post Posted on 9/4/2012, 21:25




Il male non ha volto, né nome, né ragione.
Il male è tersa astrazione reificata nella paura dei popoli, un sussurro gelido che ti pervade la schiena, una corona di spine adagiata al puro scranno di un innocente. Il male è il grigio più profondo che sfibra l’anima dell’indeciso, corrompendolo nelle sue mille strade, nelle mille sfaccettature dell’essere. Il male è tutto, è dovunque, è in ognuno.
Il male è illusione e sostanza al contempo.
Eppure, qualcuno avrebbe persino giurato che esso avesse l’aspetto di un’avvenente fanciulla, l'indole indomita di una fiera, un nome graffiante nel cuore, ma secco e freddo come un tizzone nella neve: Rekla Estgardel.
Ma il male, quel giorno, aveva il capo chino e i gomiti posati sulle ginocchia. Una fitta armatura nera di piastre di cristallo sembrava scricchiolare a ogni suo respiro, a ogni sussulto che l’abietta lode delle campane in cima provocava in quel suo ampolloso picchiare frenetico. Ogni dong era un conato di vomito, come una lama infilzata nello stomaco che, punzecchiandola ancora e ancora, ridestava il più intimo sdegno esasperandola. Socchiuse le palpebre, forzandosi ad assumere la più serena delle espressioni, fingendo come solo una donna era capace di fare, evitando di dare agli stolti figli di puttana che avevano osato invitarla in una chiesa la soddisfazione di vederla marcire di rabbia, asservita dalla sudicia empietà che l’ammorbava.
Ray non l’avrebbe vista soffrire, non di nuovo.

«Cazzo! Come fate a sopportarlo?!»
Il Lord Assassino era stravaccato affianco alla donna, portava una bianca veste di lino bordato d’oro e argento e su di esso un robusto corpetto in pelle nera al cui centro spiccavano i duri lineamenti di un teschio glabro e a fauci spalancate: il vessillo delle Tenebre.
Duevite stringeva le dita vigorose all’elsa della mietitrice, mentre la mancina tentava invano di premere su un orecchio per impedire che quei sacri canti gli perforassero le tempie e lo sventrassero con il loro nauseante tocco di religiosità.
Una nuova nota lo travolse, e Nicholas schiacciò più forte.

«Non lo faccio» replicò caustica la Nera.
Gli occhi si schiusero come antichi reliquiari che racchiudevano un tesoro tanto raro quanto venefico e minaccioso. Lo sguardo roteò per l’intero perimetro della Cattedrale, serpeggiando tra un volto deformato dalla devozione all’altro. Schiavi, questo erano tutti costoro. Schiavi di un uomo che aveva ardito sacrificarli per la futile brama di potere; per svago.
Lei quell’uomo lo aveva visto, lo aveva sentito, lo aveva odiato.
Ma ora che si trovava a guardarli dritti in faccia provava grossa pena per tutti loro, burattini spogli di ogni misero straccio di dignità, terrorizzati dall’idea stessa del terrore, avvinghiati come puttane ingorde all’unica luce di speranza che vedessero nella povera esistenza che il mondo aveva potuto donare loro.
Provò ribrezzo per una tale debolezza.
Dopotutto, però, quanto in fondo era diversa?
Sparsi tra le bianche colonne della basilica, ingollati dalla luce che al di là delle navate giungeva debole e frammentaria, uomini abbigliati di nero vigilavano sulla sala con fare inquietante, esseri le cui molte maschere ben riproponevano i mille volti del fu Sovrano, dio di perdizione, egoismo, avidità, inganno e opportunismo. Ray era tutto ciò che sperava di diventare un giorno, ma odiava con ogni vena finanche udirne il solo nome.
Ad assecondare il moto tetro e inquisitorio dei Corvi, Rekla riconobbe anche visi noti, ciascuno dei quali appesantito dalle sferraglianti squame di armature nere come la notte ed elmi turpi raffiguranti le più feroci delle bestie: draghi, lupi, leoni, aquile, tori. Era come se la natura stessa, selvaggia, avesse preso il sopravvento sulla civiltà. Il Cerbero sorrise amaro alla vista dei suoi soldati confondersi alla folla.
Poi lo vide.
Ebbe come la sensazione che una picca le si conficcasse a tradimento tra le scapole, come se le viscere le si gelassero nel ventre trattenendo un lunghissimo respiro di attesa. Scattò in piedi, vuoi per puro istinto omicida, vuoi per il desiderio che tutti la notassero, che lui la notasse.
Shakan Anter Deius, il traditore del regno.
Sentì l’alito mefitico del Bastardo soffiarle sul collo, e il petto stringersi violentemente prima di affogare in un cupo oceano di memorie. Rammentò l’ora dell’Apocalisse, l’astio e il dolore che era stata costretta a sopportare, l’oltraggio patito.
Digrignò i denti in un sommesso ruggito di belva.
L’ultima cosa che si sarebbe mai aspettata era di vedere proprio quell’essere e proprio lì,
nel santuario di un dio che costui aveva osato tradire.

«… è lui?»
Eppure, alla fine, neppure lo Spettro era così lontano dalla Nera: anche lei aveva tentato di ucciderlo, anche lei era una traditrice, anche lei aveva inveito e ripudiato l’onore dell’essere umana; quello che realmente la tormentava, invero, era che quell’omuncolo da quattro soldi fosse riuscito laddove lei aveva fallito.
No, questo non riusciva affatto a tollerarlo.
«Tenete pronte le armi» bisbigliò Varry al capo della guardia alla sua destra.
«Ho idea che assisteremo ad una festicciola alquanto movimentata.»
Rekla tacque, le dita della mano beccheggianti frenetiche sul brando della Constantine.

«Ego sum primus et novissimus et vivus. Sed semper vivus et fui mortuus, et potestatem mortis et inferni.»
«Io sono il Primo e l'Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi.»
Un sussurro, labile come un soffio di vento.
Quindi un ghigno, raggelante e lugubre.
«Apocalisse 1,17.»


jpg

~

Sacramento di Unica Vera Fede

~

Non ho nulla da aggiungere, se non: provate a mettere un demone in chiesa e vedrete ciò che accade. :v:
L'ultima frase di Varry è diretta a Lionet ovviamente, essendo quest'ultimo divenuto capo della guardia a seguito della quest "L'Alba delle Tenebre".
Spero vi sia gradito. Enjoy! 8D
 
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~ D a l y s
view post Posted on 9/4/2012, 21:35




Al suono della voce di lui, le due geishe si irrigidirono. Nonostante gli abiti occidentali che erano state costrette a indossare non avevano perduto la scioltezza dei movimenti. La Rosa vide le dita scivolare tra le pieghe delle gonne, dove armi letali erano state opportunamente nascoste. Non si scompose, non lasciò che le si mettesse fretta.
Nonostante avesse riconosciuto la voce di uno dei pochi uomini degni di sedere nel Consiglio, di una delle menti vicine al Sovrano, atteggiò il proprio volto a un’espressione di sorpresa, mentre lentamente voltava il capo nella sua direzione.
Ciocche scure le fluttuarono attorno, accompagnando il moto di consapevolezza delle labbra, il socchiudersi delle palpebre, il fluido abbassarsi delle ginocchia in un ossequio da pari a pari, né un inchino né un segno di disprezzo.
Non sapeva cosa pensare di quell’uomo, poco più che un’ombra all’apparenza, ma abbastanza potente da aver stretto un regno nel palmo della propria mano. E come la fiera che non sa di quali armi sia dotato il cacciatore, così gli mostrò il proprio sorriso tagliente, il proprio sguardo circospetto, il guizzare attento degli occhi grigi.



Temo di non meritare tanti complimenti, Lord Shakan.
Non quando le leggende dei bardi sulle tue imprese sono giunte fino alle mie orecchie
”.



Posò lo sguardo sul seguito dello spettro, e si domandò se fosseo tra coloro che erano sciamati come cavallette tra le mura inespugnabili per porre lo scettro nelle mani del loro signore. O se lui, e lui soltanto, fosse stato capace di rendere ragazzi come quelli dei combattenti invincibili.
Ricordava il ragazzino tatuato. Lo aveva incontrato in un’altra occasione, quando era debole, indifesa. Quando aveva desiderato amare e aveva perso tutto. Gli dedicò un mezzo sorriso malinconico, ammiccando.
Una come lei, amante dell’insolito. Una che godeva nel circondarsi di stranezze, non poteva che apprezzare un tanto eccentrico accompagnamento. Ragazzini al seguito del Signore del Nord, a sua volta vestito come un comune viandante.
Si portò una mano alle labbra, mimando una smorfia di improvviso dolore.



Una cerimonia commovente, non trova?
Stavo giusto per far notare al mio seguito come lacrime di commozione siano sfuggite agli occhi di tutti quanti
”.



Inclinò la testa, così da poter guardare per un istante gli uomini e le donne del proprio seguito. Anche senza alcun potere avrebbe potuto interpretare facilmente i loro pensieri. Una fossetta le si disegnò sulla guancia sinistra, preludio di un sorriso troppo irriverente per essere possibile.
Ben presto, però, tornò a fissare lo spettro, e questa volta lo sguardo di lei diceva molto più di quanto avessero fatto le sue parole. Parlava del potere di Corvi, un potere alimentato dalle menti che erano appartenute al Leviatano. Un potere inesauribile, pericoloso più di tutti i loro eserciti, invincibile proprio perché invisibile. Parlava di quel dio irraggiungibile che sarebbe stato utilizzato per misurare ogni loro peccato e giudicare ogni loro azione, nascondere ogni sotterfugio. Raccontava di come avrebbero dovuto incanalarlo, sfruttarlo al più presto, materia grezza per i loro interessi e quelli del Regno.



jpg
Conto di consentire ai Corvi di costruire un tempio nelle mie terre.
Trovo che la loro presenza porterebbe pace e serenità tra la mia gente
”.



Trovo che siamo entrambi dei bugiardi. Trovo che la religione sia l’oppio dei popoli. Un po’ come la guerra. E trovo di non desiderare una nuova guerra. Specie non con lei, Shakan.
E spero che lei sia d’accordo con me. Perché in due è molto più facile costruire alleanze.


 
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Verel
view post Posted on 10/4/2012, 10:24




Poteva sentire i cori.
Era una melodia strana, ipnotizzante. Circondava ogni atomo del suo essere, lo percuoteva. Qualcosa di maestoso ed imponente nel flusso dei canti lo invitava a raggiungerlo, era come una promessa. Vieni, e ti darò ciò che cerchi.

sacramento

Quando Verel entrò nella Cattedrale, seppe per certo che
tutto ciò che pensava di sapere sul Toryu
era cambiato.

Il monumento di pietra che era la Cattedrale era un organo, vivo e pulsante. Era la nuova vita, rappresentava ciò che è nuovo, ciò che è giusto. Era la fede fatta pietra, la fede fatta vetrate. Grande, grandissima. Esisteva solo lei, e tutto ciò che scemava dentro ed attorno non importava. Verel era ancora avvolto dai canti che risuonavano in modo soave tra le mura. Il vociare dei presenti era solo un piccolo elemento di disturbo in quella opera.
Opera così piena di menzogna.
Verel quel giorno indossava una lunga mantella nera ornata da arabeschi argentei che ricadeva fino alle ginocchia. Il suo movimento ondeggiante mentre il ragazzo faceva i primi passi all'interno della struttura non faceva che sottolineare la mancanza del braccio destro. Tuttavia Verel non se ne curò, impegnato com'era ad osservare. Con l'unica mano andò ad accarezzare l'elsa di Narada, lasciandosi rassicurare dalla sua presenza. Si, perché era quasi spaventato da quel luogo. Era così pieno di misticità che il ragazzo si trovava incerto se credere o meno che tutta quella fosse opera del Sovrano. No, il Re è morto. Il Re è Sennar. Ray non è qui.
Fu in quell'istante che vide Shakan, e vide Dalys. Lei la riconobbe appena. La prima volta la aveva vista come una mera immagine illusoria, e niente più. Tuttavia sapeva che era lei, che era la donna che aveva causato tanto sfacelo e morte durante la spedizione.
Verel chiuse gli occhi, e cercò di non vedere nessuno.
Quello non era il suo mondo
non erano i suoi affari.
Rimase nell'ombra, appena affianco della grande entrata. Era solo lì per assistere, non per parlare, o per dei stupidi giochi di potere. Se in quel momento si fosse avvicinato, non ne avrebbe ottenuto nulla, ne non delusione. Stette fermo, concentrandosi sul cantico che veniva intonato dal Corvo.

Ricorda, viandante che vai sulle vie del Sovrano
sii pronto ad accogliere la morte.
ciò che tu sei, io ero
ciò che io sono, tu sarai
che s'io posso esser polvere, tu pure puoi...


Erano parole crudeli, non erano le parole adatte ad un Dio, si disse Verel. Eppure quella società si fondava su un culto fatto di mistero ed ignoranza. Pregate il Dio! dicevano. Ma il Re è morto. Non è un Dio.

Ed io non prego i morti.
Tutto ciò che voglio è ricordarli.

 
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Vràstax Victoriàn
view post Posted on 10/4/2012, 16:28




R2DW4

C’erano stati tanti nomi prima di quello, di Basiledra, tanti nomi che non ricordava più; c’erano stati tanti uomini che avevano servito quel clan e ce n’erano stati altrettanti altri che l’avevano tradito.
C’era stato un uomo capace di creare, distruggere e poi di nuovo ricostruire lo stesso mondo che aveva fatto nascere.
C’era stata una storia per ognuno di quei guerrieri che aveva varcato le candide mura di quel tanto ormai defunto bianco maniero, che più bianco e maniero non era.
C’era stato.
E forse nessuno più narrerà di quelle vicende, nessuno più saprà riconoscere il vero dal falso. La storia diventerà leggenda e la leggenda un giorno fandonia.
Tra le ceneri e i fuochi, gli odori inebrianti degli incensi, i canti, gli sguardi indiscreti e le teste abbassate si mescolavano i passi comuni di un uomo, uno fra tanti, che cominciava a conoscere il nuovo risvolto di quel mondo.
Un’immensa e appariscente cupola sovrastava sopra di lui, ma per quanto meraviglioso fosse lo spettacolo non si azzardò nemmeno per un attimo ad alzare la testa.
C’erano state battaglie e guerre, vittorie e sconfitte, c’erano stati guerrieri che erano diventati eroi e altri che erano stati lasciati nei campi di sangue a morire. C’erano stati i trionfi del bene e in ugual modo quelli del male.
C’era stata la vita e c’era stata la morte.
Alcuni corpi lo sfiorarono, la gente sembrava ammassarsi e spingersi verso il centro di quel luogo, non sentiva le voci dei suoi fratelli e la calma in quel luogo pareva regnare.
Vide volti sconosciuti e altri familiari, vide alcuni pregare e altri ancora farsi mangiare dal silenzio.
Sedette in mezzo agli uomini, tra i più i comuni e tra i più poveri, sedette lì perché voleva confondersi tra le facce di quella gente stanca e provata che cercava solo la luce della speranza fra tutte quelle odi e quei profumi.
C’erano stati momenti migliori di quelli che stava vivendo, c’era stata anche la pace per lui e per i suoi fratelli.
C’era stata la vita e la vittoria, l’unione e la forza di provare ad avanzare, di continuare a sperare.
C’era stato tutto ciò che un uomo poteva desiderava e Vrastax l’aveva ottenuto assieme agli altri, ai suoi compagni d’arme.
C’era stata la fine però, una triste fine di quel sogno che non era più possibile riprodurre nella sua mente.
E questo perché l’ultimo dei Vittoriani non aveva più chiuso occhio da quando il mondo, il suo mondo, era stato schiacciato e ottenebrato nella sua stessa anima.
Quando prese posto alcuni di loro si girarono per guardare chi fosse, o meglio per riconoscere l’uomo che aveva avuto l’idea di mettersi vicino ai malati e ai reietti; gli parve per un attimo di essere toccato come se alcuni di loro volessero vedere quanto povero fosse e mentre accadeva ciò sentii alcune voci pervaderlo, i suoi occhi si socchiusero e il calore lo intorpidì, da molto tempo non sentiva quella meravigliosa sensazione.

MCk0o

Pare sia questo il modo in cui ci si debba sentire per stare bene.



CITAZIONE
Ho considerato che in una parte della messa potessero prendere posto anche le persone comuni, povere e malate.


Edited by Vràstax Victoriàn - 11/4/2012, 14:52
 
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view post Posted on 10/4/2012, 16:36

~ A Red Soul
···

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Visto dall'esterno, il seguito della Protettrice d'Oriente poteva sembrare un gruppo omogeneo di guerrieri della casta dei samurai disposti in formazione compatta e distanti poco più di un braccio dal loro signore, mentre questi si immergeva nell'atmosfera maestosa del Duomo di Basiledra, fra i cori dei Corvi e gli inni al sovrano-Dio. In realtà un occhio allenato a riconoscere i colori ed i tratti distintivi della casta guerriera d'oriente avrebbe saputo riconoscere le differenze che correvano fra quegli uomini dagli sguardi alteri, che nonostante la stazza ridotta riuscivano a non sfigurare nemmeno a fianco dei massicci guerrieri del nord. Dalys aveva portato con se alla capitale una rappresentanza di vari casati di alta e media nobiltà, prendendo i rampolli dei più influenti feudatari e affiancandovi i primogeniti dei Lord della costa ed i grandi proprietari terrieri delle pianure. Poiché si trattava di una cerimonia formale nessuno di loro aveva con se le corazze pesanti da guerra, rimpiazzate con le leggere armature cerimoniali su cui spiccavano i caratteri dei vari casati, e colori sgargianti quasi quanto quelli dell'abito della Protettrice d'Oriente. Gli orientali hanno un gusto tutto loro nei riguardi dei colori, la capitale ed il Clan Toryu l'aveva già imparato negli anni in cui aveva ospitato Dalys entro le sue mura e lo riscopriva adesso che ella tornava come regina e regnante.
Motoko Aoyama, Erede del casato Aoyama, apparteneva all'ala che sosteneva attivamente la Protettrice d'Oriente. Leggermente a disagio, indossava i colori azzurro cielo dello shogunato ed aveva raccolto i capelli con cura. Nel quadrato di guardie del corpo era difficile per un occidentale distinguerla da un uomo. Quel giorno indossava i panni di un guerriero, dopotutto, e sebbene non fosse esattamente ciò che ostentava rimaneva comunque ligia ai costumi del suo popolo... sebbene Lady Dalys per prima non pareva troppo ligia alle tradizioni. Il fatto stesso che si affiancasse il colossale golem di metallo, preferendolo ai migliori bushi del suo clan, non era ben visto dagli uomini del suo seguito, che pure erano molto zelanti nel non mostrarsi in alcun modo contrariati da qualsiasi gesto o parola della reggente.

L'incontro con il protettore del Nord ed il suo seguito: quello, viceversa, fu un momento di tensione. Meno di un terzo fra gli uomini del seguito di Dalys avevano sentito parlare di Shakan Anter Deius, e nessuno di loro aveva mai avuto modo di conoscerlo. Quando si avvicinò e si rivolse alla Protettrice d'Oriente in parecchi si irrigidirono, molti si trattennero dal fare un passo verso la loro signora e tutti misero mano alle spade, con la sola eccezione di Motoko che non aveva mai tolto la mano dall'impugnatura della nodachi consacrata ed era pronta in ogni momento a reagire al minimo pericolo. I modi rilassati non servirono granché a stemperare gli animi, e agli uomini del seguito del Fantasma del Nord furono riservati non pochi sguardi obliqui. "Straccioni", "mendicanti", "gli uomini del nord non sembrano per niente dei guerrieri", i pensieri dei bushi di nobili natali erano molto simili, tuttavia nessuno fiatò, né osò contraddire o aprir bocca mentre il loro signore scambiava poche battute che a Motoko ricordavano da vicino stilettate velenose. Le parole sono acido corrosivo: una volta pronunciate sono impossibili da cancellare, possono ferire ed uccidere al pari di una spada e non sono necessariamente espressione dell'anima ma più spesso dell'arroganza, dell'invidia o della menzogna. Era compito di Dalys parlare, e ferire ed offendere se necessario; loro -tutti loro- avevano come unico compito proteggere. Perché per proteggere qualcuno serve qualcosa di più fisico di poche parole, possibilmente una spada bene affilata ed un braccio allenato per brandirla.

 
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view post Posted on 10/4/2012, 20:49
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Memento mori.
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Li sentiva tutti, continuava a sentire tutti quei dannati schifosi urlargli nelle orecchie, avrebbe dato qualsiasi cosa pur di fermare l' infinita baraonda che risiedeva nella sua testa.
La sua mano andò a coprirgli l' umano volto che esprimeva una smorfia di rabbia, una smorfia di dolore, una smorfia da pazzo omicida.
Alzò gli occhi, vide più campanili risuonare, gli uccelli volare via, le vittoriose armate del Toryu entrare in un edificio per venerare un uomo, un sovrano
un dio.
Un uomo tanto potente da cambiare il mondo su cui si poggiavano i piedi degli uomini, un uomo tanto folle da sterminare ondate di reggimenti pur di raggiungere il suo scopo, pur di divenire un dio.
Il bello è che ci era riuscito.

png


Mischiandosi tra la grande folla riuscì a penetrare le porte del luogo di culto, dentro al quale avevano preso posto gran parte dei guerrieri del Toryu.
Ammassi di carne, devoti ad un dio caduto, secondo lui.
Niente di più, niente di meno.
Il predatore riconobbe subito la Nera regina, Rekla Estgardel, avvolta nella sua nera armatura a piastre, con il capo chino mentre Nicholas al suo fianco sembrava quasi assassinato da ogni singola nota emessa da quel campanile.
Illidan non poteva biasimarlo, anche lui odiava i rumori che gli rimbombavano nella testa.
Dio, quanto li odiava.
Avvicinandosi ai loro posti scorse Lionet, il carro armato, uno dei suoi compagni d'arme.
Era un po' geloso del Cousland, del resto lui era diventato capo della guardia del Cerbero, mentre ad Illidan spettavano solo delle lezioni di guarigione da Colonius.
Ma sarebbe riuscito a tirar fuori qualcosa pure da li, come al solito.
Si sedette quindi vicino a Lionet, così da non sembrare un emarginato sociale, mentre Zeno recitava la sua parte in quel poco gradevole spettacolo.
Parole che il mostro non ascoltava volarono in mezzo alla folla tutta intorno al prete mascherato.
Quasi provava pena per coloro che ascoltavano le prediche di quel corvo e le recitavano insieme a lui.
Ben poco differenziava quegli esseri dalle sue creature, dalle sue bellissime creature.
Tutti e due avevano un padrone che dall' alto li comandava, esplicitamente o implicitamente.
Tutti e due sono disposti a morire per il loro padrone.
Cercando qualcosa di speciale, qualcuno di unico in mezzo a tutta quella marmaglia di fanatici scorse un' automa, i cui tessuti sintetici gli ricordavano tanto i laboratori e gli esperimenti eseguiti da Iladar. Che anche lui venisse da un epoca differente?
Poco gli importava, non voleva e ne gli sarebbe piaciuto sapere come funzionasse un intelligenza virtuale, odiava la vita sintetica nonostante passò gran parte della sua vita così.
Lo sguardo dell' abominio ricadde sulla dama che affiancava l' automa, i quali vestiti di certo non si attenevano a quelli di un luogo di culto comune.

Allora, Cousland, tu che ne pensi di quella bella dama?
Disse a Lionet, puntando il dito contro la dama, ignaro che si trattasse di Dalys.

Non che l' abbia mai conosciuta
o che la conoscerà.

Quasi di scatto, la Nera si alzò, aveva visto qualcosa che non doveva vedere, eppure Illidan non capiva cosa la turbasse tanto. Non vi era nessun potenziale nemico, per lui.
Un bisbiglio arrivò all' orecchio di Lionet, era Nicholas, gli diceva di tener pronte le armi.
Il servo mostro rimase seduto, pronto ad osservare la prossima mossa della Nera.

Aveva sigillato un patto con quella donna, era come se ormai fosse un suo vassallo.
Se Rekla avesse attaccato, lui l' avrebbe seguita.
Se Rekla fosse fuggita, lui l' avrebbe seguita.
Fino a che non fosse diventato abbastanza forte da schiacciarli tutti.



Si, è alquanto scarno.
Ma dobbiamo divertirci, no ? *cerca scusa random*
 
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Ikit89
view post Posted on 11/4/2012, 11:53




CITAZIONE
Legenda:

Narrato
(Fotogrammi visivi)
Pensato (Marchosias)
« Parlato (Marchosias) »
« Parlato (Shakan) »
"Parlato telepatico (Marchosias)"
« Parlato (Dalys) »

« Una volta ci ho ballato. »

La funzione è appena volta al termine e Dalys esordisce con una frase gettata lì sbadatamente, fuori dal contesto. Marchosias si arroga la presunzione di averne compreso il senso, nonostante interloquire con reggente d'Oriente significhi spesso per lui interrogarsi sui reali significati delle sue parole allusive e avvolte dal sarcasmo. Adesso la bellissima dama sembra proprio voler in qualche modo negare alla cerimonia parte della propria sacralità. A prescindere dall'avere inteso o meno le idee di Dalys, l'Artefice condivide in buona parte questo pensiero. Perchè mai veneare un'entità che era arrivata a rivoltare il mondo sotto il proprio volere, portando egoisticamente distruzione e sfacelo? Avevano loro tutti davvero bisogno di una figura superiore e trascendente alla quale affidare le proprie speranze? Eppure sotto la volta della cattedrale, genuflessi in preghiera, ecco gli uomini più straordinari, capaci delle imprese più impossibili e di perseguire i propri scopi senza bisogno dell'intervento di nessun dio. Marchosias stesso, il più mediocre degli eroi, era stato capace di piegare il proprio destino e di ingannare la morte. Per quanto voglia rimanere avvinghiato alla propria natura umana, non può adesso definirsi lui stesso - almeno in parte - un'entità che trascende la definizione di "uomo"? Non solo qualcosa di diverso, ma qualcosa di più. Nessuna figura divina era intervenuta per salvarlo e nessun essere superiore l'aveva fatto diventare ciò che è adesso: aveva ottenuto tutto da sè, facendo uso dei propri mezzi mortali, della propria arte. Anche durante la fuga, rifugiandosi in cerca dell'ala protettiva del clan Toryu, fu più la moltitudine delle loro forze e non quella del singolo sovrano ad attirarlo. Loro - gli uomini e le altre creature mortali - non sono meno degni di gloria della figura che si venera tra queste mura. Ma come può trasmettere a Dalys tutti questi pensieri? Si accontenta di qualche parola, consegnata direttamente alla sua mente, come è solito fare quando non vuole attirare inutilmente le attenzioni da chi lo circonda.

"Neanche a me va a genio tutto ciò. Ma forse abbiamo davvero bisogno di credere in qualcosa - qualcunque cosa, accontentandoci anche dei ricordi - per tenere insieme genti così diverse."

[...]

« I Canti d'oriente intonano delle tue grazie, Regina....
...posso omaggiarti dei miei complimenti?
»

Una figura familiare si fa avanti e non ci sono dubbi: si tratta dello Spettro. Il suo tono è quasi squillante quando rivolge la paola a Dalys mentre avanza. Shakan, che pare aver preso sotto la sua mano i territori del Nord. Marchosias non conosce i dettagli della sua impresa ma non si stupisce del risultato: nell'incubo che è stato l'Asylum egli stesso è stato testimone della determinazione e delle capacità di quest'uomo, e sa bene di dovergli in parte la vita. Al suo fianco lo segue un ragazzo che è poco più di un fanciullo. Forse di tratta di un individuo fidato, una sentinella personale, proprio come Marchosias stesso. Elementi del suo aspetto ricordano a Marchosias alcuni monaci asceti propri dei territori orientali: il capo rasato e le vesti semplici, la postura composta. Il giovane occhieggia il costrutto con lo stupore di chi vi posa gli occhi per la prima volta, e forse è un lampo di allerta che è appena trapelato dal suo sguardo.

« Temo di non meritare tanti complimenti, Lord Shakan.
Non quando le leggende dei bardi sulle tue imprese sono giunte fino alle mie orecchie.
»


(Dalys che porta una mano alla bocca)

« Una cerimonia commovente, non trova?
Stavo giusto per far notare al mio seguito come lacrime di commozione siano sfuggite agli occhi di tutti quanti.
»

Stavolta è interamente una recita, ne è sicuro. Un'altra esibizione di Dalys, l'attrice consumata. L'Artefice non può evitare di chiedersi quante tra tutte le anime sotto queste navate hanno intravisto la creatura - fragile e sincera - nascosta accuratamente dagli atteggiamenti stratificati. Per lei sembra davvero indispensabile circondarsi di questa corazza fatta di gesti e parole studiate quanto lui stesso ha bisogno di abitare il proprio corpo costrutto. Comunque sia, il fatto che vi sia cattivo sangue o meno tra la Rosa e lo Spettro è un mistero per Marchosias, che non riesce comunque a decifrare del tutto le reali maniere con le quali i due si stanno ponendo l'un l'altro. Siscuramente desidera saperne di più a riguardo. Decide di rivolgersi a lei in un momento di calma durante il ritorno, ponendole la questione. Per ora si limita ad un sincero saluto allo Spettro, non considerandosi un individuo ingrato, soprattutto verso una persona che fino ad ora è stata degna di stima. Parla con la voce atona e bassa del costrutto che, per quanto egli stesso detesti, è invece un utile espediente per suggerire al ragazzino che un'entità senziente abita il corpo forgiato da materiali inerti.

« Salute a voi, Shakan, e lieto di vedervi sano, soprattutto dopo i fatti che ho udito. La mia via ha invece condotto me e questo simulacro di corpo in Oriente, come mi pare appaia chiaro... »

(La testa del costrutto volta verso Aang)

« ...e a quanto sembra ogni potente ha scelto il proprio secondo. Spero solo tu sia vigile quanto giovane. »

Stolto, ecco le parole affrettate.
Non farti ingannare dalle apparenze.
TU, più di chiunque altro dovresti avere imparato.
TU che continuamente sei confuso con ciò che non sei.



Edited by Ikit89 - 11/4/2012, 14:27
 
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Lul~
view post Posted on 11/4/2012, 15:12





Una cerimonia religiosa. Nulla di più scontato pensò mentre, subito dietro la Nera regina, s'affrettò ad entrare nella Cattedrale. I Sudditi - Cittadini o Vassalli che fossero - presero posto intorno al Corvo che avrebbe recitato la litania, Zeno, colui che s'era fatto portavoce e profeta dell'Unico Re.
Come la Rosa dei Venti che adornava il marmoreo pavimento, i Reggenti degli Antipodi presero posto su ognuna delle quattro braccia. Dalys, la Rosa d'Oriente, Shakan, il Fantasma del Nord e poi lei, quella che lo aveva preso con sè, mettendolo a capo della Guardia della propria Fortezza.
Rekla Estgardel, la Nera Regina del Sud.

Ricorda, viandante che vai sulle vie del Sovrano
sii pronto ad accogliere la morte.
ciò che tu sei, io ero
ciò che io sono, tu sarai
che s'io posso esser polvere, tu pure puoi.


L'aveva accolta più d'una volta, quella puttana.
Tante volte aveva riso mentre il caldo sangue dei nemici fluiva dalla lama fino ai suoi gomiti, in un ultimo rivolo di speranza prima di gocciolare a terra. Fin troppe volte aveva danzato con lei prima di rifuggirla. Per due sole volte, invero, ella fu vicina al prenderlo per sempre, ma da ogni incontro ne era uscito più forte, con una vendetta da compiere o una spada - e la propria anima - da ritemprare.
Furono parole pesanti per chi, non avvezzo agli usi della guerra, sentiva parlar di morte solo dalle labbra d'un cantastorie nella taverna sotto casa. Furono frasi - secondo il Cousland - forzate, non adatte allo spettacolo che le vetrate, e la luce, parevano offrire.

« Allora, Cousland, tu che ne pensi di quella bella dama? » Illidan, stolto.
Perché mai puntò il dito contro la Principessa, questo è rimesso solo ai suoi pensieri. Piuttosto, il Cousland s'affrettò ad abbassarglielo, percependo l'aria già tesa che si respirava in quella Cattedrale. La Nera era inquieta, quasi sicuramente per la nausea che le suscitava Shakan. Ai tempi del Massacro del Crepuscolo, loro c'erano. E anche Lionet. Cercò lo sguardo della Nera, incapace come sempre di scrutarle nella mente. Quella donna lo spaventava, ma era come affascinato da un simile mistero. Al Pugno di ferro della Regina, e alla spietatezza dei suoi ordini.
A questo il Cousland pensava mentre Zeno recitava altre parole.

« Non fidarti mai delle belle donne, Illidan, Apprendista di Colonius » gli si rivolse.
« Hanno lame nascoste anche sotto le unghie. »

~~~

« Tenete pronte le armi » bisbigliò Varry al Cousland.
« Ho idea che assisteremo ad una festicciola alquanto movimentata. »

Ma il Cousland non era del Nord che si curava. Troppo buoni od ingenui sembravano i loro volti, al contrario dei finti sorrisi dipinti dai rossetti troppo accesi su quei volti impalliditi dalla cipria. Fece comunque un cenno col mento, abbozzando alla spada del proprio Secondo, che desse l'ordine.
Mano sull'elsa.
Lionet, di suo, non fece che scoprire parzialmente dalle bende che l'avvolgevano la Sciabola che la Nera gli aveva donato. Un sospiro, come d'improvviso, s'alzò nell'aria. Un sospiro che pronunciò qualcosa con la voce di un antico Guardiano delle Mura.

« الهروب الجهال »
(fuggite, stolti!)

 
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