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Sacramento di Unica Vera Fede

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janz
view post Posted on 8/4/2012, 23:11 by: janz
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L'aveva lasciata diversa. Un tempo, era stata qualcos'altro. Quando l'ultimo suo passo, al comando della guarnigione, si era levato dal marmo lastricato della Capitale, aveva scorto la speranza brillare negli occhi delle persone, ma posarsi unicamente sulla forza e sulla costanza di chi quella gloria andava a guadagnarsela oltre l'orizzonte, verso il fronte di guerra. Ora, invece, vedeva qualcos'altro. Era, infatti, bastato lasciarla nelle mani di chi quella speranza aveva saputo sapientemente mutarla nelle forme di un paradigmatico incanto che ne aveva dischiuso le illusioni, plasmandole sulla volontà intransigente, metafisica e pietosa di un Sovrano immortale, per ottenere la pallida imitazione del coraggio che ricordava: ovunque quella speranza aveva preso le forme di una preghiera, una litania o un canto rituale. Non era più la gloria del regno o dei suoi condottieri, era la gloria del Sovrano - che per essi soltanto passava, veloce, schiva, come se non a loro appartenesse o non fossero stati loro a guadagnarsela materialmente, col sangue.
Un inganno che aveva un nome ed uno scopo: una fede che aveva ghettizzato la verità, asservendola soltanto come strumento per passare attraverso gli scranni della politica ed irretire le folle con ciò che avrebbero avuto gioia sentire, non ciò che dovevano necessariamente sentire. Meschine bugie: artifici concettuali mutati nell'oppio di una credenza volta al solo scopo di ghermirli ed incatenarli, come pecore in un pascolo immondo.

Questo vedeva lo spettro, per ogni passo che faceva verso la Cattedrale. Uno specchio di un quadro arcaico, che riteneva possibile solo nei remoti racconti di campagna. Un quadro fatto di tasselli mutati in uomini, atti - però - a comporre l'inganno ultimo dischiuso nel verbo degli uomini mascherati e dettisi "Corvi" che di quella gloria avevan fatto il proprio sale. La propria forza, la propria anima. Fu tale il rifiuto di accettarlo, che per un attimo maledì se stesso per averne preso parte, alzando il cappuccio e disperando, più che sperando, che nessuno l'avrebbe riconosciuto per quel che era: Signore del Nord; eroe di Guerra; testa di cazzo in generale.

Eppure, quando fece capolino all'ingresso, ben poco gli fu concesso in quella disillusa veste di mendicante o presunto avventore casuale.

« Dove credi di andare, straccione? La funzione per i mendicanti è domani... » un colosso ammantato gli si pose innanzi. Aveva le fattezze di uno squallido buttafuori, ma le vesti tutt'altro che rispondenti a quel sentore: una maschera bianca lo dipingeva come il più grosso Corvo che avesse mai visto. « Prego... » sussurrò lo spettro a malapena, millantando una voce tutt'altro che imperante « ...ho ricevuto l'invito, dovrei passare. » L'uomo lo fissò per qualche secondo, tacendo: per quel che gli convenne, Shakan ipotizzò stesse ghignando. Di fatti, ci passò poco: si fece da parte e finse di fargli strada. Ma fu breve: al primo passo dello spettro, lo prese per la manica e lo tirò di nuovo indietro. « Ah! Scherzavo, stronzo. Che il Sovrano mi fulmini se uno come te può aver ricevuto l'invito... ». Cosa credeva, Shakan? Credeva invero di attraversar la Capitale senza che nessuno si degnasse di disprezzarlo appena un pò, sopratutto dopo che i valori e gli immortali principi appresi nel sangue della battaglia si erano traslitterati in oscuri sofismi e salmi da omelia? No, sperava troppo: credeva poco. Quando scostò il capo il Corvo sussultò: da come tremava Shakan ipotizzò l'avesse riconosciuto.
« Hai visto un fantasma, stronzo? » L'ironia fu facile, la figura del sacerdote meno. Gli spalancò il portone e lo spettro ammirò l'imponente creazione, morendo nel cuore di tutti i suoi peccati.

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Al termine della funzione rimase qualche secondo a rielaborare tutte le intonazioni che era stato costretto a sibilare, per salvare l'apparenza che anche lui avesse imparato a lodare la stessa creatura che fino a qualche mese prima attentava alla sua vita. Invero, salvò l'orgoglio limitandosi a muovere le labbra, fintanto che la fine non giunse ed il Sacerdote nominato Zeno non lo salvò intonando la fine della cerimonia. Eppure, nulla parve finire: attorno a lui si era creato un nome che risiedeva nel suo ruolo di Signore del Nord. Ad esso, invero, avevano risposto soldati, eroi e semplici curiosi, cui aveva reso grazia con un cenno di saluto ed un monito di tener le mani bene in vista, oltre che distanti da lui. Poi inforcò la navata, sperando di non doversi arrestare più. Quando scorse, però, da un lato la Dama d'Oriente col suo seguito, comprese che non si sarebbe perdonato l'affronto di mancar di rispetto all'unico essere che realmente poteva temere in tutto il regno. Voltò lo sguardo altrove, ricercando occhi amici ed incrociando quelli di Gaara, Scudiero del suo regno, benché stentasse a definirlo tale. Lo fissò e gli fece segno di seguirlo: se avesse dovuto prestare omaggio alla Rosa, lo avrebbe fatto anche col suo seguito.

Poi fu un attimo. Seguì il profumo ed i lustri, fino a quando non sentì proferir verbi soavi: “Una volta ci ho ballato”. Scorse Dalys che intonava ricordi riferibili al Sovrano. Lo sapeva: Shakan aveva visto anche quello, in realtà. Ma non lo avrebbe mai anteposto alle sue cordialità. Si fermò solo un secondo, pensando a come ingraziarsela: una volta l'ho ucciso. Di sicuro effetto, benché troppo ardito.

« I Canti d'oriente intonano delle tue grazie, Regina... » disse, con voce tonante, sapendo bene che ella non avrebbe potuto ignorarlo. « ...posso omaggiarti dei miei complimenti? » concluse, inarcando il capo in gesto di rispetto.
Shakan è qui parve voler dire.

 
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