Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

il prete rosso

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Andre_03
view post Posted on 13/7/2012, 10:40




Li tenevano legati come animali.
In ceppi, uno di fianco all'altro a comporre una riga eterogenea di brutti musi. Alcuni avevano un aspetto così lercio da suscitare dubbi sulla razza, o sul sesso a cui appartenevano. Altri semplicemente erano incrostati di sporco, polvere appiccicata ai visi dal sudore e sangue rappreso per le botte ricevute. Ciascuno di essi gettava lo sguardo oltre la folla radunatasi sotto al patibolo, come a non voler guardare negli occhi i convenuti per paura di trovare il volto affranto di una persona cara o forse soltanto perché li disgustava l'idea d'essere un macabro spettacolo.
Tra i condannati v'erano anche due fanciulli. Il più grande non doveva avere più di dieci estati sulle spalle.
Stavano immobili come tutti gli altri, stretti nei loro stracci in attesa dell'inevitabile.

« Per ordine del Lord Comandante Espejo - » cominciò un uomo snello, con la faccia da faina;
« -- allo scopo di non sovraffollare le carceri del Purgatorio, i crimini commessi nella Città Vecchia saranno puniti nella stessa Città Vecchia »
dal tono di voce apparve chiaro che quella nenia era solo l'ennesima di tante, tutte identiche, « In nome del Clan Goryo, e per le accuse di tradimento, latrocinio, omicidio e stupro - »
gli sfuggì un mezzo sorrirso: « -- io vi condanno a morte per impiccagione. »

Furono calate delle corde coi cappi già pronti.
La forca venne attraversata da una manciata di uomini in uniforme - Custodi, li chiamavano da quelle parti; macellai al servizio di un folle - i quali assicurarono quelle tetre collane ai condannati. Uno dei ragazzini allora sollevò lo sguardo lucido verso la gente di tutte le razze che aspettava con ansia il momento cruciale e si fermò sull'uomo in rosso. Vide il fuoco negli occhi ambrati seminascosti dalla cappa cremisi, sentì il calore nel petto. Poi la botola si aprì e tra i gemiti del popolino dieci corpi penzolavano sul vuoto, appesi per il collo.
Sallahro m'qahor do Maqqaro alzò il volto al cielo in una preghiera silente per quelle anime perdute.
Ma vide solo una nave aggrappata al cielo con le unghie, ad oscurare il sole.

[...]

Quella stessa sera Salla trovò asilo in una locanda piuttosto economica situata nei sobborghi della Città Vecchia.
Era arrivato a Taanach da poche ore, ma aveva già visto abbastanza ingiustizia per detestare quel luogo. Uomini, donne e bambini venivano uccisi ogni giorno con le accuse più disparate e nessuno muoveva un muscolo per impedirlo. La gente viveva in povertà, spesso perendo per la fame o per le malattie che imperversavano nella sporcizia; epidemie di gonorrea e vaiolo avevano decimato la popolazione negli scorsi mesi, minacciando di riprendere al più presto il loro lavoro di mietitura. Nessuno osava parlare ad alta voce di Nuova Taanach, né dei suoi abitanti. Il Clan Goryo sembrava essere un argomento tabù, così come il Purgatorio che proiettava la sua lunga ombra su quell'inferno in terra.
Il prete rosso ascoltava gli astanti dal suo angolo silenzioso, con la sola compagnia di due candele di sego appena accese.
La taverna era chiassosa e puzzava di verdura andata a male. Un predicatore urlava fandonie all'angolo della strada, poco oltre una finestra e due mendicanti stavano in disparte nei pressi dell'ingresso - seduti là dove il proprietario gli aveva concesso un po' di spazio. Era un buco di vermi, come tanti altri ne aveva visti in vita sua. Rimestò pensieroso il suo pasticcio di ankheg in crosta, con i ceci del contorno che sembravano duri come pietre. Non aveva fame, ma aveva ordinato comunque del cibo e dell'acqua per non destare sospetti.
La sua veste purpurea di cuoio e seta si mescolava alla perfezione coi mille colori della città bassa, quindi era riuscito a passare inosservato abbastanza facilmente. Così aveva vagato per i vicoli, un piccolo sopralluogo prima di arrivare alla piazza dell'impiccagione. Il ricordo degli occhi di quel bambino gli fece passare la poca voglia di mangiare che aveva in corpo. Lasciò andare il cucchiaio nella scodella e lo vide affondare dentro l'intruglio biancastro.

« -- dovevate vederlo! » riconobbe quella voce.
Erano appena entrati i carnefici di quel pomeriggio, tre sgherri appresso all'uomo magro con il muso da donnola.
« Tratteneva a stento le lacrime, ma sotto era tutta una falla!! Quel moccioso si è pisciato le brache nell'istante in cui gli abbiamo tolto il pavimento dai piedi!!! » scoppiò in una risata, accompagnato dagli altri Custodi.
Facevano più chiasso degli altri e - appena misero piede nel locale - i mendicanti sgattaiolarono fuori, mentre gran parte dei presenti smise di parlare. Il prete li guardò con disgusto misto a rabbia.
Allora uno di loro si accorse che una donna li stava fissando: « Che hai da guardare, femmina? »
« Forse vuole essere impiccata anche lei » suggerì un tanghero « O forse preferirebbe essere impalata! »
Si strinse il cazzo con una mano, facendo ridere i suoi compari con più forza ancora. La poveretta trasalì e si scagliò su di loro urlando; in mano teneva un pugnale, che cercò di infilare in un occhio dell'uomo-faina.
« PER MIO FRATELLO, LURIDI CANI!!! CREPATE! CREPATE!!! »
Seguirono urla, tafferugli e la maldestra assassina si ritrovò trattenuta a un tavolo da due uomini, mentre il loro capo la guardava schifato. « Aggredire un Custode è un crimine, non lo sai? » estrasse una spada corta dal fodero che portava lungo il fianco: « E la pena è la morte. »
Fu a quel punto che il bastardo dal volto affilato venne colpito da una ciotola di pasticcio di ankheg. I ceci gli colavano ancora lungo l'uniforme, quando una voce sovrastò il silenzio: « Oste! C'è un insetto nella mia zuppa. »

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« Portamene un'altra porzione. »

« COME OSI? » ruggì la donnola, scrostandosi il sudiciume di dosso: « PRENDETELO!! »
L'unico Custode libero si gettò nella sua direzione, ma fu troppo lento. Sallahro si mosse in un lampo rosso e fu addosso all'aggressore prima che quello potesse estrarre un'arma; lo fece il prete per lui, mentre gli schiacciava con forza il viso butterato contro un tavolo, puntandogli quindi contro il suo stesso coltellaccio. La lama stava immobile a meno di un pollice dall'occhio sinistro del bruto.
Lo sguardo artificioso color del miele si posò nuovamente sul comandante dei cani rabbiosi del Goryo e Salla lo fulminò da sotto il cappuccio. Tutti tacevano, attoniti. Guardavano quello straniero vestito di rosso contrastare i Custodi della Iena, senza timore alcuno.
« Andatevene » intimò, perentorio « Sparite dalla mia vista, prima che perda la pazienza. »
Così dicendo, affondò la corta daga nell'orbita oculare del bravo. Rimase impassibile dinnanzi alle sue urla e, quand'ebbe estratto il bulbo bianco dalla sua naturale sede, lo piantò sul tavolo grondante sangue. I Custodi non dissero un'altra mezza parola e lasciarono andare la fanciulla, fuggendo neri in volto dalla taverna. Lo smilzo mormorò qualcosa come « Non finisce qui... » ma Salla non vi diede peso.
Dopo qualche istante di attesa mise mano alla bisaccia, estrasse una manciata di monete e le gettò al locandiere.
Era ben più del prezzo pattuito per la cena, un centinaio di pezzi d'oro:
« Per il disturbo. » disse, sorridente.

Varcò l'uscio, immergendosi nella tenebra rumorosa di Taanach.
Come sempre non avrebbe dormito, preferendo al sonno una lunga camminata.
Perché la notte è oscura e piena di terrori,
ed il suo compito era vegliare su di essa.


---


Giocata concordata riservata al solo Apocryphe.
 
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view post Posted on 14/7/2012, 01:50
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Dopo aver assistito alle esecuzioni del mattino, il corsaro si era intrattenuto per l'intero pomeriggio a bordo della Purgatory, maledicendo il proprio lavoro ed il proprio ruolo che lo costringevano ad una cattiveria sterile, né utile né divertente, che proprio non faceva per lui. Allo stesso modo detestava l'ambiente gretto e totalitario rappresentato da Nuova Taanach: non che nella Città Vecchia la situazione fosse migliore, ma nei sobborghi nuotavano i pesci piccoli, e la paura dilagava in maniera placida. Inoltre, il vecchiume di quei posti era solo un incentivo, un valore aggiunto: ogni cosa vecchia è un potenziale segreto. Vecchia Taanach lo attirava a sé con un fascino semplice che prometteva complicità e avventura, e rischi estremamente limitati. Per questo la sera, quando andava a bere per annegare le urla dei condannati, si recava nelle locande dei sobborghi antichi. Per questo, quella sera, si trovava lì.
Un po' meno solo, a dirla tutta: aveva di fronte a sé un uomo che ai più sarebbe sembrato un quarantenne che portava male i suoi anni, quando invece si trattava di un settantenne ancora arzillo, giovane più che giovanile. Aveva un sorriso amabile, e per questo stava simpatico al Flagello -e anche perché, quel sorriso, non lo sprecava per cose di poco conto. Inoltre era un maestro della fabulazione, sempre pronto a sciorinare qualche racconto. Tuttavia, quella sera non rideva: fra i condannati a morte della mattina c'era suo nipote. Un brutto, bruttissimo affare.

Quando entrarono i bravacci, il vecchio si costrinse a guardare altrove, mentre Laurens concedeva ogni attenzione alla birra sul fondo del boccale. Non aveva nessuna intenzione di farsi abbrancare da quel manipolo di macellai: loro non conoscevano il peso delle decisioni, per loro condannare a morte era solo un modo come un altro per trascorrere la giornata. Non avevano alcun rispetto per la morte altrui, tutto ciò che volevano era quell'illusorio senso di potere dato dal poter esprimere sentenze capitali con l'aria tranquilla di chi conversa sul clima.
Durante l'intero parapiglia che seguì l'ingresso degli sgherri, il corsaro ed il suo commensale continuarono a non parlare, rimanendo immobili; si limitarono a scambiarsi uno sguardo sorridente -oltre le labbra strette, molto più eloquente di qualsiasi grassa risata. Solo quando il quartetto si fu allontanato, e così anche lo strenuo difensore della virtù femminile, Laurens de Graaff batté violentemente il calice di legno e ferro sul tavolaccio pericolante, provocando uno schianto secco e concedendosi una risatina.
«E questo, mio caro Ismaele, è proprio un lavoro ben fatto!»
Così dicendo, portò il boccale alle labbra e bevve avidamente, finendo la sua terza pinta di schiumosa birra rossa dell'Obrbrun. Si leccò le labbra, continuando a scrutare il vecchio che gli sedeva di fronte, studiandone l'aria corrucciata e vagamente apprensiva -testimoniata da una ruga più profonda delle altre che gli percorreva la fronte.
«Cosa c'è che non va?» domandò, sinceramente sorpreso.
«Credevo che tu, più di tutti, avresti apprezzato lo spettacolo.»
Ismaele si strinse nelle spalle con condiscendenza: aveva più anni di quanti gli piacesse ammettere, due terzi dei quali vissuti sotto l'egida per nulla comoda del Goryo, i cui artigli -in un modo o nell'altro- riuscivano sempre a carpire vittime in tutto l'Akerat. Aveva visto l'ascesa e la caduta del Tiranno del Perwaine, aveva assistito impotente all'arrivo della Iena, a quello del Beccaio e alla rivoluzione. Aveva combattuto, in un passato nemmeno troppo remoto, contro i Kaeldran. Nella sua lunga esistenza era stato spettatore -e a volte anche protagonista- di scene orribili, che non avrebbe mai raccontato a nessuno. Aveva un'esperienza invidiabile,
eppure non era su quella che basava il suo scontento.
«Ho apprezzato lo spettacolo, Lorencillo, ma non l'attore.»

Il volto tirato del corsaro si voltò di scatto, osservando la porta della locanda lasciata aperta dallo sconosciuto collezionista di occhi. In effetti aveva fatto qualcosa di molto coraggioso -e infinitamente stupido. D'altra parte, né i suoi movimenti né l'aver messo a posto una squadraccia di subalterni erano grosse prove di forza, nulla che potesse realmente impressionare uno dei veri Custodi di Taanach. Dunque il Flagello si limitò a scrollare le spalle.
«Straniero, a giudicare dall'accento. Probabilmente non si rende nemmeno conto di quanto sia enorme il significato delle sue azioni. Nessuno sfida il Goryo. »
Ismael rabbrividì, fissando dubbioso il contenuto del suo boccale.
«Sarà come dici, ma a me è parso estremamente consapevole delle sue azioni. Anzi, sembrava esserne divertito.»
Tacque, per alcuni istanti, per poi sollevare i suoi occhi, di un verde brillante, per nulla appannati dall'età, su quelli del corsaro, così diversi l'uno dall'altro.
«Ad ogni modo non è questo che mi preoccupa: hai visto quello che ha fatto al quel miliziano?»
Laurens inarcò un sopracciglio:
«E dovrebbe stupirmi? Il più inetto mercenario a sud di Basiledra sarebbe riuscito a farlo.»
«Vero, vero» concesse l'altro, con un sorriso benevolo, «ma con quanta facilità l'ha fatto!»
Bevve una generosa sorsata della sua birra, quando tornò a concentrarsi sul Flagello era nuovamente serio.
«Come Custode non sarebbe tuo compito proteggere i tuoi sottoposti?»
«Non mi sono più simpatici di quanto lo fossero a quel tipo.»
«O a me, se è per questo. Tuttavia, non hai mosso un dito per aiutarli, né per sapere chi fosse quel soggetto così incredibilmente sfrontato. Non è da te.»
Il corsaro sollevò ambo le mani in segno di resa, ridendo con aria colpevole -ma affatto contrita.
«Va bene, va bene! Andrò a cercarlo.»
Si alzò in piedi, posando un piccolo ma tintinnante sacchetto sul tavolaccio.
«Pensa tu a pagare, maledetto vecchio petulante» si raccomandò, assestandogli una pacca affettuosa sulla spalla, per poi dirigersi rapidamente all'uscita della locanda.

Fece solo pochi passi sulla via principale, quindi si infilo in uno dei vicoletti e socchiuse gli occhi, concentrandosi.
Il sinistro, quello dall'iride d'ambra, si riaprì di colpo. Però non vedeva nulla di ciò che gli stava intorno: il suo occhio indagatore si spostava un po' più in là, attraversando i vicoli di Taanach, una serie infinita si volte e crocicchi, finché -finalmente, non trovò ciò che stava cercando. A quel punto, chiuse nuovamente gli occhi. E scomparve.

Era proprio lì, dove lo aveva visto.
Adesso che poteva osservarlo meglio, benché fosse di spalle, sembrava davvero uno straniero. Probabilmente del sud. Ben consapevole di essere apparso nel più assoluto silenzio, e non volendo creare scompiglio -né tanto meno provocare una reazione violenta simile a quella che aveva potuto osservare all'interno della locanda, si limitò a parlargli da una distanza sufficiente a farlo sentire al sicuro -pure, senza alzare il tono di voce.
«Un atto coraggioso, straniero. Ma non credere di aver salvato quella donna.»

 
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Andre_03
view post Posted on 15/7/2012, 11:06




Era una notte buia, con poche stelle a rischiarare la tenebra.
La luna era poco più che una falce coperta da nubi di foschia, sottili e fibrose; avanguardia di una perturbazione ventosa in arrivo, probabilmente. Gran parte della volta oscura era coperta dall'imponente sagoma del terribile Purgatorio volante. Più Salla fissava quella macchina, quella fortezza teatro di innumerevoli orrori, meno riusciva a comprendere lo spirito di chiunque l'avesse generata. Aveva già visto alcuni velieri solcare il mare bianco delle nuvole, ma mai gli era capitato di osservare un simile gigante del cielo sapendo che al suo interno si moriva senza una ragione. Tale consapevolezza gli dava i brividi. Così come lo disgustavano i brulicanti vermi che dal vascello protendevano le bocche fameliche verso Taanach, grondanti bava caustica sui poveri cittadini. Questi, non certo esenti da colpe, nemmeno gli ispiravano pietà o compassione: tutto quel circo costruito tra le fauci degli inferi era da voltastomaco. Eppure doveva trovarsi là, sentiva che la sua presenza era richiesta più a sud di casa, più a sud di Laslandes e di qualsiasi altro luogo a lui familiare. Lo doveva a Eleanor, a Kavash e un po' anche a se stesso. Nonostante tutto con l'età era sopraggiunta anche l'apprensione, a spese del buon senso e dell'istinto di conservazione. Le stucchevoli vicende dell'ultimo mese avevano scosso qualcosa nel profondo del suo spirito, ed il prete rosso era determinato a indagarne i motivi.
Era così immerso nelle sue riflessioni, che quando l'estraneo sopraggiunse fu totalmente colto di sorpresa.

« Un atto coraggioso, straniero. Ma non credere di aver salvato quella donna. »

Si fermò in mezzo alla via, un lastricato polveroso e bagnato da rivoli d'acqua sozza che scivolavano fuori dalle case.
La strada era deserta davanti e attorno a lui, proprio come aveva voluto. Sapeva che qualcuno non avrebbe gradito il suo agire alla taverna, così si era spostato lentamente verso luoghi che non avrebbero causato vittime collaterali in caso di rappresaglie nei suoi confronti. Maledisse ancora una volta l'impulsività che lo aveva condotto a quelle sconsideratezze e si volse. Alle sue spalle stava un uomo di bell'aspetto, con un'aria tutt'altro che amichevole. Ogni cosa in lui ispirava minaccia, anche nel buio della notte.
Si trovava a una certa distanza dal sacerdote;
mossa saggia, da parte sua.

« Vedete, io faccio del mio meglio in questi tempi difficili - »
sorrise amaramente; « -- ma non posso salvare un'anima perduta da se stessa. »

Pronunciate quelle parole prese una brevissima pausa.
Sollevò appena il mento, affinché dall'ombra del cappuccio rosso spiccassero i due lampi ambrati che erano i suoi occhi. L'ispida barba bruna, prossima al nero, gli conferiva un aspetto altrettanto gravido di brutte promesse. La mano destra scivolò istintivamente all'elsa della spada.

« Non mi piace essere pedinato, ser » gli scagliò un'occhiata acida
« Chi siete, e cosa volete da me? »

Scandì l'ultima frase con un tono perentorio, glaciale.
Erano domande di cui già intuiva la risposta, ma prima di sguainare il proprio acciaio e uccidere quell'uomo
voleva essere certo di doverlo fare.

 
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view post Posted on 16/7/2012, 02:22
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Diceva il poeta: principio sì giulivo ben conduce.
Se quello era l'inizio di una conversazione amichevole, decisamente Lorencillo non voleva vederne la fine. Fece un passo avanti con noncuranza, preoccupandosi al contempo di tenere le mani in vista: che quel simpatico straniero non pensasse di poterlo intimidire -né che lui fosse una minaccia. Non era arrivato fin lì per combattere, solo per conoscere e -gli dessero pur del superficiale- non aveva intenzione di approfondire troppo quella conoscenza, né di far durare l'incontro più del necessario. Era pur sempre in compagnia di un tizio che sarebbe stato etichettato come nemico fin troppo presto. Inoltre, se ben conosceva il temperamento di quegli idioti che si erano fatti malmenare alla locanda -ed era tristemente consapevole di conoscerlo- non avrebbero tardato a farsi vivi per ottenere un'immeritata vendetta, priva di qualsiasi onore o gloria personale: di certo sarebbero arrivati in numero sufficiente a soverchiare le forze di quel singolo uomo -e l'indomani ognuno di loro avrebbe narrato qualcosa di più simile ad una battaglia epica che ad un atto di bullismo bello e buono. A conti fatti, il Custode aveva comunque scarsissimo interesse per quelle scaramucce, dunque gli sarebbe bastato trovarsi ben distante.

«Ognuno è obbligato a convivere con sé stesso» ammise in tono placido, scrutando con curiosità il lampo ambrato che veniva da sotto il cappuccio vermiglio. Strano soggetto davvero.
«Ma ogni tempo è difficile, specialmente per questa gente: cambiano solo le mani, non gli schiaffi.»
Era un commento salace ma veritiero, mondato da qualsiasi accesso compassionevole -d'altra parte per avere compassione, così come per provare rimorso, bisogna prima possedere una coscienza: un fastidio che, con buona pace di tutti, era stato risparmiato al filibustiere. Il suo sguardo si fece più duro, quasi arcigno.
«E tutto sommato, posso dire che avresti fatto meglio a starne fuori. Se non per te stesso, almeno per loro: la rappresaglia non si fermerà tanto facilmente.»
Ad ogni buon conto, stimò che fosse ragionevolmente terminato il tempo da dedicare ai commenti: poteva passare al passo seguente, raccogliere informazioni. Non senza prima essersi presentato, comunque. Buona educazione e gusto teatrale erano una pessima combinazione.
«Per rispondere alle tue domande» riprese, con le labbra tirate in un sorriso quasi sincero, «il mio nome è Laurens de Graaff, Custode di Taanach. E non ti stavo pedinando.»
Fece un leggero inchino -più che altro un cenno del capo- mentre il mantello si agitava in maniera convulsa, benché non vi fosse un solo alito di vento.
«Quanto a ciò che voglio, è presto detto: una risposta alle tue stesse domande.»

Quella notte era davvero oscura -e piena di terrori.
Una vera fortuna che il corsaro fosse in grado di vedere nelle tenebre con assoluta facilità, grazie al generoso lascito del Cavaliere du Grammont: poté accorgersi con buon anticipo dei movimenti in lontananza, ombre che rincorrevano altre ombre e andavano appiattendosi contro i muri, percorrendo i vicoli a balzelli per poi fermarsi -solo alcuni istanti- a confabulare. Ancora troppo distanti per essere visibili.
«E ti consiglierei di rispondere alla svelta, Cappuccetto Rosso» riprese, perdendo il sorriso nello stesso istante in cui proferiva quelle parole -lo stesso in cui riconosceva la prima di quelle ombre come l'uomo dal volto allungato -non dissimile da quello di una faina particolarmente incazzata. Come aveva previsto, la rappresaglia era cominciata. Sempre troppo presto, e la sua proverbiale fortuna voleva che lui fosse lì, proprio nel vivo dell'azione -e certo non perché potesse godersi lo spettacolo.
«Hai visite» concluse, accennando col capo alle spalle del prete rosso.
«Sei un uomo molto richiesto, per essere uno straniero.»

«Ragazzi, lo abbiamo trovato!»
La voce stridula della donnola aprì uno squarcio nella notte, e Laurens ebbe la netta sensazione di un punto di non ritorno che -a torto o ragione- era appena stato superato. Il che, a ben vedere, non poteva portare nulla di buono.
«Ed è anche in compagnia» continuò il miliziano.
«Laurens de Graaff! Brutta faccenda per un Custode: questa è sedizione!»
Come volevasi dimostrare.
Il volto contratto del filibustiere si rilassò istantaneamente.
«Oh, andiamo: siete solo in quattro. Da bravi, tornate a casa.»
Gli uomini iniziarono a ridacchiare, almeno finché il Mantellemer non vibrò di sua volontà, arricciandosi a pochi centimetri dal suolo, come se stesse preparandosi a scattare in avanti. Sentirono un brivido freddo percorrere le loro schiene -tacquero.
«Cos'è, la risata v'è rimasta nel gargarozzo?»
Ma conosceva già la risposta: erano arrivati fin lì, non se ne sarebbero andati con la coda fra le gambe.
Con un movimento rapido sganciò la spilla in foggia d'una testa di lupo che gli tratteneva il mantello chiuso sul davanti poggiando sulla spalla sinistra. Il gesto mise in evidenza che non indossava l'armatura, ma portava con sé la spada e la pistola -molto più di quanto in realtà gli servisse per risolvere la questione.
Gli occhi saettarono sul prete rosso: chissà cosa pensava il vero protagonista di quella notte.

 
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Andre_03
view post Posted on 16/7/2012, 16:48




Li guardò uno per uno, e pregò per loro.
I quattro randagi alle sue spalle, con l'uomo dai lineamenti affilati in prima linea e l'orbo maldestramente fasciato lì di fianco. Ancora i bendaggi erano scuriti dal sangue ed il suo viso contratto dal rancore. Quindi volse gli occhi ambrati sul Custode - quello vero - il cui nome non aveva mai sentito prima di allora. Laurens de Graff, che non poteva o voleva fregiarsi di altri titoli in quella buia mezzanotte. Per quanto li osservasse, Sallahro sentiva di essere in trappola, circondato: l'abitudine e l'istinto gli suggerivano di sguainare le armi, difendersi, combattere. Non rispose subito alle chiacchiere teatrali dell'altro, preferendo il silenzio di una preghiera al suono inopportuno delle parole.
Chiuso nel suo mutismo, il sacerdote del dio rosso serrò le dita attorno alla spada riposta sul fianco sinistro. Il sibilo del metallo sulla guaina fu lento, inesorabile; sotto ai timidi raggi di luna l'arma risplendette di un lume nefasto.
Il quartetto di assassini gli era vicino, ben più di quanto non fosse l'uomo ammantato. Si dedicò prima a loro.
Vedendolo prossimo alla lotta quelli si dispersero, mettendo mano chi ai coltellacci chi alle spade o mazze. Ma erano tutti lenti, prevedibili. Il primo lo aggredì urlando, con un randello in pugno e le movenze di un ubriaco. Il prete si scostò a sufficienza per levare l'arma contro il ventre del nemico, squarciandolo di netto. L'uomo cadde in ginocchio reggendo le proprie budella, immerso in un lezzo di bile e piscio che ammorbava l'aria. Sallahro arricciò il naso, appena schifato. Allora fu il turno del bastardo che aveva sfigurato alla taverna, accompagnato da un suo degno compare. Erano entrambi armati di coltelli e abbastanza furbi da attaccarlo insieme, eppure vennero falciati da tre rapide sferzate. La lama del loro nemico gli era impossibile da anticipare.
In ultimo venne faccia di donnola: a metà tra la disperazione e l'odio gli si gettò addosso con furia. Salla bloccò un primo fendente, poi un secondo e un terzo. Vide un'apertura nella guardia avversaria, mosse il braccio in avanti assieme al corpo - con armonia, leggerezza - e infilzò la spada nella bocca aperta del bravo. Quello rimase a gorgogliare, in piedi e moribondo, un grido muto strozzato in gola. Col sangue che gli colava lungo la lama, imbrattando la strada assieme con le viscere dei morti, il prete rosso scivolò indietro estraendo l'arma dal cadavere. Lasciò cadere al suolo anche quel corpo insieme agli altri, scrutandolo con falsa indifferenza.
Tra sé e sé mormorò un commiato funebre - e chiese perdono, pur tacendo.
Non avrebbe potuto bruciare quei cadaveri.
Purificarli.

« Mi chiamo Sallahro m'qahor - » disse infine la sua voce bassa e ferma;
con la mancina abbassò il cappuccio, rivelando una capigliatura scarmigliata dalle tinte brune,
il viso piacente ma non più nel fiore degli anni « -- sacerdote del Signore della Luce, soldato di ventura
e - mio malgrado - assassino.
»

Nessun appellativo altisonante, nessun blasone.
Solo ruoli, mestieri e colpe: al pronunciar l'ultima parola abbassò lo sguardo sulle quattro salme fresche di macellazione. Avrebbe preferito che quei cani fossero tornati a casa con la coda tra le gambe. Invece avevano cercato una resa dei conti al di là della loro portata, che li aveva condotti a una morte tanto prematura quanto, forse, meritata.
Ma non spettava a lui decidere.
Non quella sera.

« Nonostante le apparenze, non mi trovo a Taanach in cerca di guai » ghignò mestamente
« Sono qui per portare la fiamma del dio rosso tra le ombre dell'Orbrun, e nient'altro. »

Menzogna, un'arte in cui era particolarmente abile.
Le parole erano vento, e lui sapeva in che direzioni soffiare per ottenere ciò che voleva. Quel Laurens non gli ispirava fiducia, ma non gli avrebbe rivelato la natura dei suoi affari in città nemmeno se fosse apparso come il più probo degli uomini. Certe cose era meglio tenerle per sé, senza sussurrarle al primo venuto.

Così trasse un profondo sospiro e aggiunse: « Questo - » un cenno al macello circostante
« -- è stato uno sgradevole incidente, un disgraziato equivoco. »

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« Non versiamo altro sangue stanotte. »

Un suggerimento valido per entrambi, che il prete suggellò col gesto di riporre la propria sottile spada nel fodero. Il cuoio della veste rossa gli pesava, madido com'era di sudore per l'intensa giornata; tutto ciò che desiderava era un bagno,
e sperava di poterselo concedere prima dell'alba senza nuove cicatrici sul corpo.


La frase "Sono qui [...] e nient'altro" è da considerarsi pronunciata con l'utilizzo della pergamena "Non sono stato io!", non come vero attacco psionico ma come tentativo di circuire tramite la parlantina.
 
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view post Posted on 17/7/2012, 01:11
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In oltre vent'anni di onorata carriera piratesca, Laurens de Graaff aveva beneficiato di ogni tipo di esperienza positiva e negativa che si potesse ottenere su qualsiasi campo di battaglia: il ponte scoperto di una nave, la piazza gremita di una città di confine, i viottoli oscuri e solitari dei paesi del sud, i pennoni, le grandi piane nelle battaglie campali, la foresta e la jungla. Non faceva alcuna differenza, ogni luogo era un buon posto per combattere -e solitamente si trattava di combattimenti in cui il dare quartiere non era annoverato fra le opzioni. Con altrettanta sicurezza poteva affermare di aver visto combattere centinaia -forse migliaia- di uomini, differenti per razza, età, prestanza fisica, armi a disposizione e stili di lotta. Dunque riteneva scarsamente probabile il trovarsi sorpreso assistendo ad un combattimento, eppure non riuscì a non osservare con un misto di stupore e divertimento le evoluzioni dell'uomo in rosso; la paura invece no, lei non aveva accesso al suo morale -non in quel momento, non per quelle cause. Il motivo era estremamente semplice: il corsaro non aveva abbastanza a cuore la sua vita per temere di perderla lì, quella notte, per mano di uno straniero. Senza contare che di quell'uomo si poteva dire tutto, meno che fosse stupido: di certo riconosceva l'enorme differenza che intercorreva fra l'omicidio di alcuni miliziani utilizzati per il disbrigo dell'ordinaria amministrazione della giustizia (?) e l'assalire un vero e proprio Custode -e questo era l'unico motivo per cui si era qualificato come tale.

Quando tutto fu terminato si limitò a un sorrisetto sardonico, gli occhi che vagavano da un cadavere all'altro, sebbene tutta l'attenzione del Flagello fosse rivolta al prete rosso, alla sua voce e alle sue parole. Uno strano individuo, nessun altro modo per qualificarlo: chiunque fosse in grado di conciliare il sacerdozio e l'assassinio doveva avere un inferno in testa -o viverne uno estremamente personale ogni maledetto giorno che il suo signore della Luce mandava sulla terra. C'era qualcosa di strano nella sua voce -nel suo modo di articolare le parole.
«Questo è stato uno sgradevole incidente, un disgraziato equivoco.»
"Avanti amico, non prendermi in giro: non li volevi morti più di quanto non li volessi io, ma non hai certo provato a fermarli; ogni colpo era portato per uccidere, non per ferire."
«Non versiamo altro sangue stanotte.»
"E questa" si disse il corsaro,
"è la minaccia nascosta nella sua falsa arrendevolezza."
Si limitò a continuare nel suo sorriso, mentre riportava la fibbia argentata del mantello sulla spalla sinistra, ammettendo così -in maniera implicita quanto definitiva- che in quella notte non ci sarebbero stati ulteriori disordini. Taanach avrebbe riposato in maniera tranquilla, almeno fino alla prossima alba -al prossimo ciclo di esecuzioni.
«Sallahro» ripeté, mentre armeggiava, senza fissare l'interlocutore e ostentando un'aria distratta.
«Bel nome. Forse solo un tantino lungo.»

Liberò le dita, agili e affusolate, dalla presa sulla fibbia -il mantello ricadde inerte.
Il volto del Corsaro si accigliò di colpo, ed un occhio acuto avrebbe potuto notare le piccole rughe a zampa di gallina che dal lato esterno degli occhi si aprivano come un ventaglio -specie sul lato sinistro, dove le rughe confluivano in una sottile cicatrice bianca che attraversava la tempia. L'occhio di vetro roteò in maniera innaturale.
«Hai bisogno di un diminutivo, o di un soprannome. Che ne dici di Salla?»
Stimando che anche il tempo per le battute di spirito ed i convenevoli si era esaurito, sollevò leggermente la mano destra, mentre il mantello si scostava da sé, lasciando libero il padrone di armeggiare nell'aria. Quattro sfere oscure iniziarono a levitare, una in corrispondenza di ogni dito di quella mano protesa -fatta eccezione per il pollice, quindi viaggiarono con estenuante lentezza fino a posarsi sui corpi ormai privi di vita dei malcapitati. Non esplosero, non produssero nessun rumore, fuorché un crepitare sommesso. Era il pigro lamento della consunzione: quei corpi stavano subendo la corruzione dell'Ombra, si scarnificavano, bruciavano dall'interno. In breve di loro non sarebbero rimasti nemmeno i vestiti. Scomparsi, semplicemente. Molto meglio non lasciare in giro cadaveri per Vecchia Taanach: Laurens era ragionevolmente sicuro che li avrebbero messi in conto a qualche poveraccio che avrebbe pagato assai cara la bravata del prete rosso.

«Ecco fatto» mormorò, mentre il procedimento continuava, avviandosi ad una rapida conclusione.
«Dirò che sono fuggiti dal paese e non farò il tuo nome, procureresti solamente guai.»
Lo sguardo -quello sguardo fatto di azzurro e ambra, di luce e ombra- si indurì ulteriormente, la corona scura che circondava l'iride dell'occhio naturale parve vibrare e infiammarsi. Improvvisamente, il corsaro aveva assunto l'aria ed il tono che in parecchi avevano imparato a rispettare: non era intimidatorio, quanto piuttosto severo nella sua disarmante sincerità.
«Questo è l'ultimo favore che ti faccio, Salla.»
Avanzò ulteriormente, con la consueta calma e lentezza.
Le parole che accompagnarono quei movimenti risultarono rafforzate dalla cadenza marziale dei passi.
«Bada che non ci siano altri sgradevoli incidenti, perché in quel caso mi toccherà fermarti. E non credere di potermi sfuggire: ti troverò, come ti ho trovato stanotte.»
Allargò le braccia, come a voler sottolineare che quel potere prescindeva dalla sua volontà: Taanach non era solo un cumulo di vecchie pietre e uomini meschini. Taanach era come il mare: aveva uno spirito, e dettava regole.
«Quindi vedi di restare fuori dai guai.»
Sollevò il sopracciglio destro, sperando di essersi spiegato -e al contempo sapendo perfettamente che non sarebbe servito a molto. Quell'uomo era pericoloso e -quel ch'era peggio- sapeva di esserlo.
Gli porse la mano destra in una più che esplicita richiesta di conferma per quello che considerava un accordo verbale. Non contava sul fatto che sarebbe bastata una stretta di mano a dissuadere il prete rosso dal cacciarsi nuovamente nei guai; piuttosto, gli interessava capire che genere d'uomo fosse
-se della schiatta che dava importanza all'onore e alla parola data.
«E' chiaro, prete?»

 
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Andre_03
view post Posted on 17/7/2012, 14:52




Il suo cuore avvampò di gioia, ed egli proruppe in una risata genuina.
Forse il suo divertimento era inappropriato alle circostanze, eppure non riuscì a trattenersi dinnanzi ai commenti del Custode. A Taanach avevano un cattivo gusto per ogni cosa, persino per la scelta dei tutori dell'ordine - se così li si voleva chiamare. L'uomo ammantato, pensando forse di essere creativo, gli aveva appena affibbiato un diminutivo che Sallahro si portava dietro da sempre. Lui era Salla per molti commilitoni, caduti o ancora in vita, era stato Salla per la sua compianta madre e per i capitani che aveva servito, quando questi gli erano abbastanza intimi da non riferirsi a lui come a
" quel bastardo d'un prete rosso ".
E sarebbe stato Salla anche per Laurens de Graff, ennesimo sconosciuto di cui incrociava il cammino.
Rinfoderò la spada, mentre si quietava; l'altro aveva generato quattro globi neri dal proprio mantello, forme oscure a malapena distinguibili nella notte. L'allegria gli morì in gola mentre le osservava librarsi in aria alla volta dei quattro cadaveri. Con sommo disgusto vide quelle cose nutrirsi dei corpi immobili, consumandole come una terribile fiamma di tenebra.
Istintivamente fece un passo indietro e rivolse una stilettata di sguardo al colpevole di tale abominio.
In quel momento il soldato del Goryo non stava guardando lui, ma l'operato del proprio artificio. Il sacerdote serrò i pugni e si costrinse a non reagire. Dissimulò il livore che lo attanagliava con una maschera di cortesia stentata, a denti stretti attese che de Graff finisse di parlare.

« Quindi vedi di restare fuori dai guai. È chiaro, prete? »

« Cristallino, Custode » sentenziò, con un sorriso forzato.
« Pregherò che le nostre strade non debbano incrociarsi ancora. »

" Perché altrimenti scorrerà del sangue ", ma non avrebbe saputo dire di chi.
Nel profondo del suo animo sentiva ora che quell'uomo rappresentava un pericolo da cui stare alla larga. Non tanto per le parole di velata minaccia addolcite con un timido favore, quanto per via del legame profondo che egli aveva con l'ombra - la tenebra nemica di ogni Luce, avversaria di una vita. Avrebbe indagato anche sul suo conto, per certo; come il resto del Goryo Laurens de Graff celava forse un cuore oscuro dietro un'apparenza luminosa e dorata. Trovò in quel sospetto una conferma: a Taanach c'era molto da fare, per uno come lui.
Rassettò la propria veste purpurea con le dita avvolte da sottili guanti del medesimo colore.
Era il momento dei saluti - un tacito arrivederci, con la promessa di nuovi incontri in futuro - e Sallahro si accomiatò dal Custode con un cenno del capo. Non suggellò alcun patto con quell'uomo, ma avrebbe mantenuto la sua parte dell'accordo: sarebbe stato lontano dai guai - per quanto i guai potessero stare lontani da lui.
Mise mano al cappuccio e se lo calò sulla testa celandosi alla morsa della notte.
Un peccatore come tanti, in una città di dannati immersa nel silenzio.



Edited by Andre_03 - 17/7/2012, 16:20
 
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view post Posted on 18/7/2012, 02:06
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Esistevano uomini totalmente incapaci di piegare il ginocchio, e quelli da Laurens erano considerati stupidi in maniera perversa, che finiva sistematicamente con lo sfociare nel puro masochismo. Non tanto perché li ritenesse incapaci di scegliere per ciò che più conveniva loro, quanto perché pur conoscendo benissimo quale fosse la scelta da fare, puntualmente facevano l'esatto contrario. Era più forte di loro, il corsaro se ne rendeva conto -ne aveva conosciuti tanti, ed era sopravvissuto a tutti.
"Quando qualcuno ti mette in ginocchio" gli avevano detto una volta, "devi servirgli fuoco e acciaio. Ma quando un nemico si inginocchia di fronte a te, devi aiutarlo a rialzarsi -altrimenti nessun'altro vorrà sottomettersi."
Laurens aveva imparato quella lezione, quindi fu in maniera totalmente priva di imbarazzo ma non casuale che lasciò cadere la propria mano lungo il fianco, osservando i movimenti del prete rosso e riflettendo sulle sue parole. Avrebbe pregato, diceva; pure, il filibustiere sapeva che le loro strade erano destinate a incrociarsi nuovamente, lo sentiva nelle ossa. Perché aveva percepito in quell'uomo una forza di volontà di gran lunga superiore ai suoi poteri -quali che fossero, perché ogni particolare ribrezzo era in realtà un cattivo presagio: non voleva scontrarsi con quell'uomo, sicuramente non l'avrebbe fatto per amore di Iena. Non di meno, sarebbe accaduto.
Poteva solo sperare che mancasse ancora molto tempo.
«Le preghiere» mormorò, a tutti e a nessuno, «non potranno salvarci. Nulla potrà farlo.»

Quell'atteggiamento fatalista non era frutto di quell'incontro notturno, né di una improvvisa debolezza.
Per quanto Lorencillo non credesse alle generiche dissertazioni sul fato, era giunto alla conclusione che qualcosa c'era, doveva esserci. Ma più che un'invisibile e imperscrutabile forza motrice che incrociava le vite, era qualcosa di fragile, indefinito. Ogni uomo aveva la possibilità di plasmare la propria fortuna -ma questo valeva anche per la sfortuna: il risultato di una vita era il semplice scoprire se si erano fatte più cose utili che cose inutili. E -in caso contrario- sperare di avere ancora abbastanza tempo per ribaltare la situazione.
Gli occhi del Flagello seguirono la schiena del prete rosso e i suoi movimenti finché non lo vide sparire nella distante oscurità -l'Ombra era sempre presente, non aveva bisogno di porre domande perché era spettatrice di ogni rappresentazione. Sorrise: Salla non gli aveva stretto la mano, e questo non poteva significare nulla di buono. Nel migliore dei casi, non lo riteneva degno di stringere un accordo con lui -nel peggiore, non aveva assolutamente intenzione di mantenere fede alle proprie parole. Eppure, il sorriso stagnava sulle labbra del corsaro, perché aveva trovato un uomo che -sotto le molte differenze superficiali- era simile a lui. Entrambi possedevano un tipo molto raro di durezza, una determinazione che trapelava esclusivamente dallo sguardo.

Molte forze erano state schiacciate dal Goryo -in un modo o nell'altro. Perfino Taanach, sebbene dalla sconfitta dei Kaeldran e dall'arrivo del Purgatorio avesse conosciuto una maggiore prosperità, era stata schiacciata: nuovi alloggi e un leggero miglioramento nel tenore di vita avevano come contrappasso l'esazione di un dazio divenuto improvvisamente salato e inderogabile. E quando i balzelli si pagano con il sangue, ogni città muore o risorge. Era solo questione di tempo: i cittadini di Taanach si sarebbero piegati -o spezzati. Al contrario, Sallahro era un uomo che difficilmente si sarebbe potuto sconfiggere; non tanto perché avesse una fede a sorreggerlo -per esperienza Lorencillo sapeva che spesso gli uomini erano pronti a rinnegare le proprie credenze al primo accenno di necessità- quanto piuttosto perché aveva un diverso tipo di consapevolezza, lo stesso che Laurens aveva voluto per sé, ma che aveva acquisito a fronte di grandi sacrifici. Lui non aveva ottenuto quella consapevolezza in maniera naturale -nulla nella vita gli era stato dato facilmente, tutto era stato conquistato con grande sforzo.
Ad ogni modo, rimanere in quel luogo era inutile. Sospirò, sentendosi tremendamente stanco -di quella città, delle incombenze, del Goryo.
«Quello è un uomo che non riusciremo a piegare» ammise.
E infine non era più lì. Perché la notte oscura e piena di terrori.
C'è di deve vegliare su di essa, e chi invece deve distruggerla.

 
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