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La Lama d'Ossidiana, Primo atto: Viaggio

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Nihilism
view post Posted on 22/8/2012, 17:03




DUELLO UFFICIALE

1 post di presentazione e 5 post di combattimento
Limite di tempo: 7 giorni (ci potranno essere delle proroghe concordate)
Arena: vie di Dorham
Nihilism vs. Hole.
Chevèl vs. Taliesin
Toryu vs. Sorya
Verde vs. Verde
D vs. D
Furti & Mutilazioni: Off
PK: Off
In palio: 0 gold

Primo post: Nihilism



Edited by Nihilism - 24/8/2012, 14:42
 
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Nihilism
view post Posted on 24/8/2012, 12:02




LA LAMA D'OSSIDIANA
p r i m o a t t o : v i a g g i o

« Piantagli quel pugnale nella gola! » - « Cavagli gli occhi! » - « Rompigli la testa! »

Dalla taverna proveniva un baccano tale che si sarebbe sentito persino alle porte della città. Le solite risse tra ubriachi, nulla di insolito, a volte finivano sedate dalle guardie, altre finivano semplicemente nel sangue. La porta di legno divorata dai tarli si aprì con uno scricchiolio, lentamente l’Arcidemone si portò verso il gruppo di uomini urlanti. Non era affatto il tipo da taverna, il puzzo di alcool di qualità scadente mischiato a quello del sudore era nauseabondo. Portava un lungo soprabito nero con un cappuccio del medesimo colore, la chioma scarlatta era in parte nascosta. Si sollevarono alcuni commenti osceni dai più, probabilmente l’avevano scambiato per un Corvo o per qualche mago che avrebbe fatto meglio a usare i suoi sortilegi per sparire da lì. Il suo sguardo era di ghiaccio, li scrutava uno ad uno, uomini troppo vecchi per il campo di battaglia ma dalla lingua fin troppo lunga, giovani contadini che riuscivano solo a divertirsi nell’ebrezza.

« Sei venuto qui a pregare, prete? »

Gridò il più grosso, seguirono cori osceni e insulti di ogni genere. Un sorriso si dipinse sul volto diafano del sesto, era sempre un piacevole passatempo quello di trucidare simile feccia – non che fosse tanto diverso da loro.

« Sono venuto a pregare per la tua anima »

rispose con una calma innaturale mentre altre imprecazioni davano vita a una cacofonia che avrebbe messo a tacere sul nascere. Quello che gli aveva dato del prete estrasse maldestramente un coltello grande quanto la sua mano, e altrettanto goffamente cercò di colpirlo. Fu lento, troppo lento, in pochi istanti Chevèl lo raggirò e gli andò alle spalle mentre protuberanze oscure gli fuoriuscivano dalle vesti, aggrappandosi sul corpo grasso, stringendosi sulla carne come serpenti. Un rivolo di piacere invase l’Arcidemone mentre l’ubriaco si contorceva nella terra sudicia come un verme, alcuni dei suoi compagni di bevute si allontanarono in fretta. Persino i due rissaioli deposero l’ascia di guerra. Il Sesto torreggiava su di lui ancora intrappolato nelle spire delle tenebre, lo sguardo vuoto, folle. Aveva dato uno spettacolo di gran lunga migliore della sola scazzottata tra ubriachi, ma era giunta l’ora di calare il sipario.

« T-ti preg-o fall- smet-- »

La voce gli moriva in gola, patetico e impotente, le sue gote erano lucide. Non capiva se erano lacrime o sudore – o forse entrambi – ma tra poco ci sarebbe stato qualcos’altro a irradiare il suo volto. Non si poteva fermare, lo sapeva l’Arcidemone della lussuria. Quando provocava dolore doveva continuare a infliggerlo, era come il sesso: si finiva solo dopo aver tratto tutto il piacere possibile. Uno dei tentacoli oscuri sollevò il coltello portandolo verso le mani del suo padrone. Una pessima lama, probabilmente nemmeno in grado di tagliare con precisione un arrosto. Lentamente scivolò sopra di lui, ancora ghermito dalle tenebre, accarezzando il volto sudato e inorridito della vittima. Strisciò la lama sulla pelle bagnata, facendo nascere tanti piccoli brividi che si moltiplicavano a vista d’occhio. Era pronto a giocare, e nei suoi giochi era sempre lui il solo a rimanere in vita. Ma questa volta non aveva tutta la notte a disposizione, peccato, avrebbe dovuto finire in fretta. Chevèl si portò il coltello alla bocca, stringendolo fra i denti, poi, con la stessa dolcezza di un’amante e la stessa voracità di una fiera si gettò sulle labbra dell’altro. Il ferro spaccò i denti, tagliò la carne e il sangue schizzò da tutte le parti, il bacio cremisi, così lo chiamava. Un bacio che, a onor del vero, lo lasciò più disgustato dell'uomo che, nascosto, lo stava guardando. Quello era il vero motivo che l’aveva spinto in quella catapecchia.

« Ma chi abbiamo qui? »

Si finse più sorpreso di quanto non lo fosse, fidarsi delle parole di uno come lui, quale miglior modo per anticipare la morte. Forse il troppo alcool gli aveva dato alla testa, oppure le sue conoscenza valevano più della sua inutile di vita. Sperò che non fosse stata la sbronza a dargli il coraggio. In caso contrario avrebbe quasi avuto pena per la sua sorte.

« Solo l’ennesimo uccelletto, uno dei tanti occhi e delle tante orecchie di Basiledra »

ostentò un sorriso sotto la folta barba color grano. Rapido come un fulmine l’Arcidemone si avvicinò a lui, stringendo con forza il polso dell’uccelletto. Le dita libere si infilarono tra i lunghi capelli biondi, l’uomo poteva sentire il respiro del diavolo. Sapeva di sangue. « E dimmi » portò le labbra verso l’orecchio dell’informatore « per chi voli, mio piccolo uccello in gabbia? Zitto, non voglio sapere la risposta, ma sappi che le ali di chi vola troppo in alto... »
Poggiò la mano sul muro, lingue d’oscurità iniziarono a divorare i mattoni, lasciando al loro posto il vuoto

« ... sono destinate a sciogliersi come cera al sole »


Una dozzina di cavalli e altrettante spade, più di una settimana di viaggio, alla ricerca di una fantomatica spada nascosta in chissà quale meandro del continente. Un’avventura, l’avrebbero chiamata i bardi; per lui era solo un modo come un altro per assaporare il sapore del sangue e l’ebrezza dello scontro. Qualche puttana avrebbe reso il tragitto più felice, ma conosceva ben altri metodi per provare piacere. In genere non credeva alle storie di taverna, magari messe in giro da qualche vecchio cialtrone – per altro ubriaco - , tuttavia quella della lama d’ossidiana si stava espandendo velocemente come la peste. Una spada che – dicevano – racchiudeva decine se non centinaia di anime appartenuta ai furono cavalieri di una misteriosa dinastia. Insomma: un bel giocattolino. Erano diretti a sud, verso i deserti sconfinati e roventi, verso le terre maledette infestate da briganti e branchi di fiere, verso l’inferno di fuoco. L’idea lo eccitava non poco. Sperava solo che la situazione si movimentasse in fretta. Alcune formazioni rocciose si stagliavano nell’orizzonte come artigli protesi che cercavano - invano - di afferrare l'astro fulgido. Guardandoli se lo chiese anche lui: avrebbe raggiunto il cielo? No, lui non ne aveva bisogno, lui era più grande del cielo. Diede di speroni mentre il suo destriero nero come la pece correva sul sentiero roccioso. I suoi uomini erano visibilmente stanchi e anche i loro cavalli necessitavano di un periodo di quiete, al contrario l’uccelletto era a pochi metri da lui. « Dorham dista pochi giorni, mio lord » il purosangue del biondo superò quello del Sesto « Credo che l’idea migliore sia quella di accamparci qui » nello stesso istante in cui l’informatore terminò la frase, un rumore di passi, spade sguainate e frecce incoccate ruppe il silenzio. Sopra le rocce vi erano dei gruppi di arcieri, a nord dei cavalli nitrivano, un’imboscata fin troppo prevedibile. Improvvisamente il volto dell’uccelletto mutò in un sorriso, il sorriso del traditore, l’Arcidemone poteva quasi vedere la soddisfazione nel suo sguardo.

« Il vostro viaggio finisce qui
Uccideteli tutti!
»

Una pioggia di frecce che, a giudicare dalle urla disumane dei suoi uomini erano avvelenate. Più della metà dei guerrieri erano ormai cibo per corvi, l’altra metà stava cercando di fuggire dalla morte. Chevèl invece era rimasto, senza arma alcuna, una veste nera solamente proteggeva il suo corpo fragile. Una seconda raffica. Alcuni vennero trafitti e morirono sul colpo, altri dardi colpirono i cavalli che, cadendo, schiacciarono i loro cavalieri. Ci furono altre urla, provenivano dalle viscere della terra, i figli del male che erano giunti per proteggere il loro signore. Demoni e demonesse, nati dagli incubi e dai peccati, si aggrappavano su Chevèl, lottavano fra di loro per sfiorare la sua pelle. Gridavano mentre le frecce li passavano da parte a parte, ma non di dolore. Il cavallo del biondo si imbizzarrì e furono vani i tentativi dell’uccelletto di tenerlo fermo, venne disarcionato e buttato nella polvere. I destrieri dei fanti si erano fermati a una decina di metri dal Sesto e dai suoi demoni, il loro istinto di conservazioni gli comandava di fuggire. Improvvisamente dal muro umano fuoriuscirono tentacoli neri come le ali dei corvi, e come i corvi portavano la morte. Venivano afferrati per i piedi e trascinati giù dalla montagna, strangolati, frustati, torture differenti che però avevano una sola conseguenza. I demoni svanirono rapidi così come erano venuti, intorno al diavolo c’era solo la morte e i gemiti di chi non l’aveva ancora trovata. Camminava a passo cadenzato, lento come lo scorrere dei secondi nell’orologio del fato.
Si avvicinava la mezzanotte.

« Ti avevo avvertito: non attraversare cieli che non sono alla tua portata »

Il suo tono di voce era basso e mellifluo, perchè lui era la lussuria e il piacere, il desiderio e la brama.
Questa volta, però, non era giunto per una visita di cortesia; stava per essere la falce che avrebbe mietuto la sua miserevole vita. Lo aveva visto, mentre cavalcavano i primi giorni, si comportava in modo strano, come un uomo che voleva nascondere qualcosa. Nessuno gli aveva detto di non rubare a casa dei ladri, di non tradire il più sleale fra i demoni. Ma lui l’aveva fatto, con le sue piccole, fragili ali aveva cercato di volare verso di lui, verso il vero sole.

D2zVl

« Hai commesso un errore.
Un gravissimo errore.
»

Il Sesto torreggiava su di lui, il biondo strisciava ancora nella terra, probabilmente nella caduta si era rotto qualcosa. Entrambi rividero la scena della taverna, cambiavano i ruoli ma gli attori erano sempre gli stessi. Casualmente la parte di Chevèl aveva sempre a che fare con il sangue: un assassino, uno stupratore, un mercenario e anche un cavaliere più nero della pece. Protese il braccio verso il volto terrorizzato. Uno sprazzo nero venne rigettato dalla mano, le tenebre ci misero poco a salire sull’armatura del traditore lasciando dietro di loro grida di dolore e solchi nell’acciaio. Si muovevano lente e inesorabili, così come lenta e inesorabile doveva essere la sua morte. Non per i suoi uomini, quelli erano solo carne da macello, quanto per il suo divertimento personale.

« Senti le loro urla? Senti la loro agonia? »

Chiese alludendo ai mercenari che l’uccelletto aveva assoldato per farli fuori. Le lingue oscure erano ormai stavano scavando quello che rimaneva delle sue gambe, il suo volto era ridotto a un’espressione grottesca, contorta e piegata dal dolore. Mentre il nero divorava le placche metalliche e la carne, Chevèl sentiva il piacere nelle sue vene, era come un orgasmo. Il cuore gli batteva sempre più velocemente, come a reclamare ancora più violenza, ancora più sofferenza. Era in estasi mentre la vita dell’uomo si riduceva a un pianto sommesso, una manciata di secondi e sarebbe morto. Quasi gli dispiaceva, avrebbe desiderato che fosse immortale come lui per vederlo soffrire in eterno, per assaporare quella sensazione sublime mille e mille volte.
Tick. Tock. Tick. Tock.
Mezzanotte, il buio perenne.
Fine, game over, chiuso il sipario.

[...]

In un modo o nell’altro riuscì a raggiungere il cuore marcescente del meridione, la città-derelitto chiamata Dorham. Un covo dove feccia di ogni genere era pronto a compiere ogni efferatezza in cambio di un sacchetto d’oro. Cosa poteva mai volere l’Arcidemone da una terra tanto abietta? Verità. Uomini normali l’avrebbero preso – a ragione – per un folle, ma lui non era un essere umano. Non ci mise poco a far capire a un gruppo di mercenari che non era la preda della giornata, ma che al contrario sarebbe stato felice di diventare il loro predatore. Uno di loro gli consigliò di chiedere a qualche cantastorie, seguitarono risate mentre il Sesto si allontanava rapidamente dal gruppo. Esistono bardi che hanno girato centinaia di villaggi e cittadelle, conoscendo altrettante storie. Giovani che vivevano grazie alla loro musica, c’erano solo due cose che cercavano: denaro e avventure. Il Sesto era pronto a dargli tutto quello che cercavano, morte compresa, anche se quest’ultima non era molto ricercata. Una melodia era appena udibile, in lontananza qualcuno cantava un'ode a un eroe del passato.
Il Sesto sorrise "Che si aprano le danze".

Chiedo venia per il post davvero lungo, ma non potevo fare altrimenti - anzi, ho pure tagliato nella parte del viaggio a Dorham e sintetizzato il finale - . By the way posterò lo specchietto nel post seguente, esclusa l'unica passiva della quale devi tenere conto, ovvero la razziale degli avatar demoniachi.
Good luck and have fun. :8D:

I am your deepest fear: coloro che sono attorno a Chevèl provano un lieve timore.
 
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view post Posted on 29/8/2012, 13:53
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Cardine
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La Lama d’Ossidiana







I close your eyes, kiss you goodbye: the only one who ever loved me.
I'm crushed inside, darling, my life… It shall end here…

Headstone on your grave, words carved in vain.
Now the darkness covers me…





Quando le ultime note svanirono nell’etere e il loro eco divenne a malapena immaginabile, fu come risvegliarsi da un sonno durato anni. Le mie dita, stanche e indolenzite dopo l’esibizione, indugiarono sulla tastiera, mentre i pensieri si erano fermati con il termine della melodia.

Le odi agli eroi antichi facevano parte del mio repertorio fin da quando iniziai a vagabondare, ma nessuna era drammatica e struggente come quella. Una storia vera, che voi ci crediate o no. Ho sempre risparmiato le lacrime per le scene più drammatiche o per gli inganni più meschini, e quelle che ho versato in momenti diversi da questi si possono raccogliere in un ditale da sarto, ma quel giorno di autunno il mio pianto era sincero. Ricordare è doloroso, e non ho la minima intenzione di farlo: come un mago non rivela i suoi trucchi, un musicista non rivela i racconti dietro ai propri componimenti.
Vi basti sapere che cantare quel pezzo mi turbava ogni volta, e faceva lo stesso effetto al pubblico. Scorsi il riflesso di qualche lacrima, mentre gli spettatori parevano essere in attesa di una continuazione, di un lieto fine diverso da quello in cui la protagonista, nel colmo della disperazione, si toglie la vita.

Quando il flusso dei miei pensieri riprese a scorrere normalmente, e mi accorsi che la piccola folla radunatasi in mezzo al piazzale mi guardava come se esigesse un’aggiunta al mio racconto, fu come se una spada mi avesse trafitto il cuore. I loro occhi pietosi mi guardavano, e il messaggio dietro gli sguardi era chiaro. Volevano che io cambiassi la storia.
Il libro che divide realtà è fantasia è il luogo dal quale il cantastorie discerne l’ispirazione. Oggettività e finzione sono gli ingredienti di ogni leggenda, ogni racconto e ogni storiella: le loro proporzioni variano a seconda di cosa l’artista vuole comporre. Ma se da una parte questi due elementi devono essere mischiati con cura, dall’altra non possono invertirsi. La poca realtà contenuta nelle leggende non può divenire immaginazione e viceversa, questo è certo, e cambiarle significa rovinare l’opera di un cantastorie.
Nel mio caso, però, non significava soltanto questo: cambiare la realtà contenuta nel mio componimento equivaleva a rifiutarsi di accettare ciò che io avevo faticato a tollerare, e il pubblico non poteva permettersi di costringermi a cambiare la mia opera, rinnegando i ricordi che io avevo.
La ferita che mi ero fatto accettando gli avvenimenti di quel lontano giorno di inverno, e sublimandoli in una delle mie odi più belle, pulsava dolorosamente ogni volta che cercavo di ricordare.


GkdLm


«State zitti, smidollati. No, nessuna magia lo salvò dalla morte. No, il suo spirito non cercò vendetta per il resto dell’eternità. Ella spirò, la sua anima si perse nel nulla e la storia qui finisce. Come potete pretendere un lieto fine, quando la realtà dimostra il contrario?» La mia ipocrisia aveva raggiunto l’apice. Non raccolsi né applausi né soldi, quella sera. Raccolsi le mie cose in un impeto d’ira, abbassai il cappuccio del mantello e me ne andai dalla piazzola senza ulteriori parole, dirigendomi verso la strada che portava fuori dalla città.





Pochi passi dopo, una figura alta il doppio di me mi sbarrò la strada. Dal suo sguardo trasparivano intenzioni tutt’altro che amichevoli.
«A chi hai dato dello smidollato, piccolo figlio di puttana?» A quel punto metà della folla si dileguò, cosciente di cosa sarebbe successo di lì a poco. L’altra metà si dispose a cerchio, e i loro volti cominciarono ad osservarmi con severità. A Dorham i criminali superano gli abitanti “onesti”, e un pestaggio per strada sarebbe passato inosservato come un battibecco tra vicini.
Quello, però, non era il giorno adatto.
Un nodo mi si piantò in gola, mentre sollevavo il braccio protendendolo verso l’energumeno. La mano era chiusa, come se stesse afferrando qualcosa.
«Non sono dell’umore giusto. Spostati o ti taglio la gola.» sussurrai, con voce tremante, a testa bassa. Evidentemente lui percepì la mia esitazione, poiché si gonfiò come una bestia certa di prevalere nell’imminente scontro. Fece un passo avanti, congiungendo i pugni e massaggiandosi le nocche.
«Con che spada, mi chiedo i...» a quel punto sorrisi, poiché la mia piccola messa in scena stava andando proprio come l’avevo progettata ed il colpo di scena era vicino. Quando notò il mio compiacimento, ne fu sorpreso. Poi fu spaventato, quando si accorse che una spada era apparsa nella mia mano e la sua punta era a meno di un pollice dal suo collo. La premetti sulla parte bassa del mento, costringendolo a indietreggiare. «Potrei sfregiarti con un gesto solo, ma non lo farò. Che tu sia maledetto.» mossi la lama, ed egli dapprima si buttò all’indietro, e in seguito scomparve tra il cerchio di folla. Gli stessi volti che prima mi squadravano malamente, ora erano attoniti e stupefatti.





Ben presto le persone che mi stavano davanti si aprirono come un sipario, scomparendo nei vicoli, e quando anche gli ultimi curiosi se ne andarono mi accorsi di un nuovo volto. Attesi alcuni secondi, indugiando sul da farsi. L’incrocio tra i due vicoletti era completamente deserto, eccezion fatta per me e lui, ma egli non pareva un curioso che se ne stava per andare. In realtà, era diverso da tutti gli altri.
Lo stereotipo di persona che ci si aspetterebbe di trovare a Dorham è il mendicante vestito di stracci, o il ladruncolo che vive di espedienti, non un cavaliere. Sì, perché la prima idea che egli mi dava era proprio quella di un guerriero temprato. Il portamento era fiero e severo, e quando colsi il suo sguardo, abbassai immediatamente gli occhi. C’era qualcosa in lui che, semplicemente, mi terrorizzava. Faceva la stessa impressione di un demone, o di un essere che trasudava malvagità pura. Mi parve quasi che il vento si rifiutasse di soffiare, in sua presenza. Lo stanco cigolio di un’insegna poco lontana era l’unica cosa che rompeva il silenzio più cupo.
Rinfoderai Fabula e pensai fosse meglio dirigersi fuori dalla città. Quando mi accorsi che l’uomo si trovava proprio in quella direzione, con la poca disinvoltura che riuscii a simulare, feci dietrofront, e mi incamminai. Non era né il giorno adatto per farsi pestare da un bastardo, né per causare altri pasticci, come bruciare nelle fiamme dell’inferno per colpa di un incontro fortuito.


Eccoci :v:
Anch'io mi risparmio lo specchietto. Ricordati soltanto della passiva che rende Fabula cangiante, ma penso proprio tu non la possa dimenticare.
Inoltre, anche se a puro scopo scenico, ho utilizzato il richiamo dell'arma a costo nullo nella piccola scena in cui mi confronto con lo "smidollato". Lo dico per correttezza.
Anche se la canzone finisce nel vago, tutto si farà oiù chiaro nel corso del duello.
In bocca al lupo :8D:
 
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