LA LAMA D'OSSIDIANA
p r i m o a t t o : v i a g g i o
« Piantagli quel pugnale nella gola! » - « Cavagli gli occhi! » - « Rompigli la testa! »
Dalla taverna proveniva un baccano tale che si sarebbe sentito persino alle porte della città. Le solite risse tra ubriachi, nulla di insolito, a volte finivano sedate dalle guardie, altre finivano semplicemente nel sangue. La porta di legno divorata dai tarli si aprì con uno scricchiolio, lentamente l’Arcidemone si portò verso il gruppo di uomini urlanti. Non era affatto il tipo da taverna, il puzzo di alcool di qualità scadente mischiato a quello del sudore era nauseabondo. Portava un lungo soprabito nero con un cappuccio del medesimo colore, la chioma scarlatta era in parte nascosta. Si sollevarono alcuni commenti osceni dai più, probabilmente l’avevano scambiato per un Corvo o per qualche mago che avrebbe fatto meglio a usare i suoi sortilegi per sparire da lì. Il suo sguardo era di ghiaccio, li scrutava uno ad uno, uomini troppo vecchi per il campo di battaglia ma dalla lingua fin troppo lunga, giovani contadini che riuscivano solo a divertirsi nell’ebrezza.
« Sei venuto qui a pregare, prete? »
Gridò il più grosso, seguirono cori osceni e insulti di ogni genere. Un sorriso si dipinse sul volto diafano del sesto, era sempre un piacevole passatempo quello di trucidare simile feccia – non che fosse tanto diverso da loro.
« Sono venuto a pregare per la tua anima »
rispose con una calma innaturale mentre altre imprecazioni davano vita a una cacofonia che avrebbe messo a tacere sul nascere. Quello che gli aveva dato del prete estrasse maldestramente un coltello grande quanto la sua mano, e altrettanto goffamente cercò di colpirlo. Fu lento, troppo lento, in pochi istanti Chevèl lo raggirò e gli andò alle spalle mentre protuberanze oscure gli fuoriuscivano dalle vesti, aggrappandosi sul corpo grasso, stringendosi sulla carne come serpenti. Un rivolo di piacere invase l’Arcidemone mentre l’ubriaco si contorceva nella terra sudicia come un verme, alcuni dei suoi compagni di bevute si allontanarono in fretta. Persino i due rissaioli deposero l’ascia di guerra. Il Sesto torreggiava su di lui ancora intrappolato nelle spire delle tenebre, lo sguardo vuoto, folle. Aveva dato uno spettacolo di gran lunga migliore della sola scazzottata tra ubriachi, ma era giunta l’ora di calare il sipario.
« T-ti preg-o fall- smet-- »
La voce gli moriva in gola, patetico e impotente, le sue gote erano lucide. Non capiva se erano lacrime o sudore – o forse entrambi – ma tra poco ci sarebbe stato qualcos’altro a irradiare il suo volto. Non si poteva fermare, lo sapeva l’Arcidemone della lussuria. Quando provocava dolore doveva continuare a infliggerlo, era come il sesso: si finiva solo dopo aver tratto tutto il piacere possibile. Uno dei tentacoli oscuri sollevò il coltello portandolo verso le mani del suo padrone. Una pessima lama, probabilmente nemmeno in grado di tagliare con precisione un arrosto. Lentamente scivolò sopra di lui, ancora ghermito dalle tenebre, accarezzando il volto sudato e inorridito della vittima. Strisciò la lama sulla pelle bagnata, facendo nascere tanti piccoli brividi che si moltiplicavano a vista d’occhio. Era pronto a giocare, e nei suoi giochi era sempre lui il solo a rimanere in vita. Ma questa volta non aveva tutta la notte a disposizione, peccato, avrebbe dovuto finire in fretta. Chevèl si portò il coltello alla bocca, stringendolo fra i denti, poi, con la stessa dolcezza di un’amante e la stessa voracità di una fiera si gettò sulle labbra dell’altro. Il ferro spaccò i denti, tagliò la carne e il sangue schizzò da tutte le parti, il bacio cremisi, così lo chiamava. Un bacio che, a onor del vero, lo lasciò più disgustato dell'uomo che, nascosto, lo stava guardando. Quello era il vero motivo che l’aveva spinto in quella catapecchia.
« Ma chi abbiamo qui? »
Si finse più sorpreso di quanto non lo fosse, fidarsi delle parole di uno come lui, quale miglior modo per anticipare la morte. Forse il troppo alcool gli aveva dato alla testa, oppure le sue conoscenza valevano più della sua inutile di vita. Sperò che non fosse stata la sbronza a dargli il coraggio. In caso contrario avrebbe quasi avuto pena per la sua sorte.
« Solo l’ennesimo uccelletto, uno dei tanti occhi e delle tante orecchie di Basiledra »
ostentò un sorriso sotto la folta barba color grano. Rapido come un fulmine l’Arcidemone si avvicinò a lui, stringendo con forza il polso dell’uccelletto. Le dita libere si infilarono tra i lunghi capelli biondi, l’uomo poteva sentire il respiro del diavolo. Sapeva di sangue. « E dimmi » portò le labbra verso l’orecchio dell’informatore « per chi voli, mio piccolo uccello in gabbia? Zitto, non voglio sapere la risposta, ma sappi che le ali di chi vola troppo in alto... »
Poggiò la mano sul muro, lingue d’oscurità iniziarono a divorare i mattoni, lasciando al loro posto il vuoto
« ... sono destinate a sciogliersi come cera al sole »
Una dozzina di cavalli e altrettante spade, più di una settimana di viaggio, alla ricerca di una fantomatica spada nascosta in chissà quale meandro del continente. Un’avventura, l’avrebbero chiamata i bardi; per lui era solo un modo come un altro per assaporare il sapore del sangue e l’ebrezza dello scontro. Qualche puttana avrebbe reso il tragitto più felice, ma conosceva ben altri metodi per provare piacere. In genere non credeva alle storie di taverna, magari messe in giro da qualche vecchio cialtrone – per altro ubriaco - , tuttavia quella della lama d’ossidiana si stava espandendo velocemente come la peste. Una spada che – dicevano – racchiudeva decine se non centinaia di anime appartenuta ai furono cavalieri di una misteriosa dinastia. Insomma: un bel giocattolino. Erano diretti a sud, verso i deserti sconfinati e roventi, verso le terre maledette infestate da briganti e branchi di fiere, verso l’inferno di fuoco. L’idea lo eccitava non poco. Sperava solo che la situazione si movimentasse in fretta. Alcune formazioni rocciose si stagliavano nell’orizzonte come artigli protesi che cercavano - invano - di afferrare l'astro fulgido. Guardandoli se lo chiese anche lui: avrebbe raggiunto il cielo? No, lui non ne aveva bisogno, lui era più grande del cielo. Diede di speroni mentre il suo destriero nero come la pece correva sul sentiero roccioso. I suoi uomini erano visibilmente stanchi e anche i loro cavalli necessitavano di un periodo di quiete, al contrario l’uccelletto era a pochi metri da lui. « Dorham dista pochi giorni, mio lord » il purosangue del biondo superò quello del Sesto « Credo che l’idea migliore sia quella di accamparci qui » nello stesso istante in cui l’informatore terminò la frase, un rumore di passi, spade sguainate e frecce incoccate ruppe il silenzio. Sopra le rocce vi erano dei gruppi di arcieri, a nord dei cavalli nitrivano, un’imboscata fin troppo prevedibile. Improvvisamente il volto dell’uccelletto mutò in un sorriso, il sorriso del traditore, l’Arcidemone poteva quasi vedere la soddisfazione nel suo sguardo.
« Il vostro viaggio finisce qui
Uccideteli tutti! »
Una pioggia di frecce che, a giudicare dalle urla disumane dei suoi uomini erano avvelenate. Più della metà dei guerrieri erano ormai cibo per corvi, l’altra metà stava cercando di fuggire dalla morte. Chevèl invece era rimasto, senza arma alcuna, una veste nera solamente proteggeva il suo corpo fragile. Una seconda raffica. Alcuni vennero trafitti e morirono sul colpo, altri dardi colpirono i cavalli che, cadendo, schiacciarono i loro cavalieri. Ci furono altre urla, provenivano dalle viscere della terra, i figli del male che erano giunti per proteggere il loro signore. Demoni e demonesse, nati dagli incubi e dai peccati, si aggrappavano su Chevèl, lottavano fra di loro per sfiorare la sua pelle. Gridavano mentre le frecce li passavano da parte a parte, ma non di dolore. Il cavallo del biondo si imbizzarrì e furono vani i tentativi dell’uccelletto di tenerlo fermo, venne disarcionato e buttato nella polvere. I destrieri dei fanti si erano fermati a una decina di metri dal Sesto e dai suoi demoni, il loro istinto di conservazioni gli comandava di fuggire. Improvvisamente dal muro umano fuoriuscirono tentacoli neri come le ali dei corvi, e come i corvi portavano la morte. Venivano afferrati per i piedi e trascinati giù dalla montagna, strangolati, frustati, torture differenti che però avevano una sola conseguenza. I demoni svanirono rapidi così come erano venuti, intorno al diavolo c’era solo la morte e i gemiti di chi non l’aveva ancora trovata. Camminava a passo cadenzato, lento come lo scorrere dei secondi nell’orologio del fato.
Si avvicinava la mezzanotte.
« Ti avevo avvertito: non attraversare cieli che non sono alla tua portata »
Il suo tono di voce era basso e mellifluo, perchè lui era la lussuria e il piacere, il desiderio e la brama.
Questa volta, però, non era giunto per una visita di cortesia; stava per essere la falce che avrebbe mietuto la sua miserevole vita. Lo aveva visto, mentre cavalcavano i primi giorni, si comportava in modo strano, come un uomo che voleva nascondere qualcosa. Nessuno gli aveva detto di non rubare a casa dei ladri, di non tradire il più sleale fra i demoni. Ma lui l’aveva fatto, con le sue piccole, fragili ali aveva cercato di volare verso di lui, verso il vero sole.
« Hai commesso un errore.
Un gravissimo errore. »
Il Sesto torreggiava su di lui, il biondo strisciava ancora nella terra, probabilmente nella caduta si era rotto qualcosa. Entrambi rividero la scena della taverna, cambiavano i ruoli ma gli attori erano sempre gli stessi. Casualmente la parte di Chevèl aveva sempre a che fare con il sangue: un assassino, uno stupratore, un mercenario e anche un cavaliere più nero della pece. Protese il braccio verso il volto terrorizzato. Uno sprazzo nero venne rigettato dalla mano, le tenebre ci misero poco a salire sull’armatura del traditore lasciando dietro di loro grida di dolore e solchi nell’acciaio. Si muovevano lente e inesorabili, così come lenta e inesorabile doveva essere la sua morte. Non per i suoi uomini, quelli erano solo carne da macello, quanto per il suo divertimento personale.
« Senti le loro urla? Senti la loro agonia? »
Chiese alludendo ai mercenari che l’uccelletto aveva assoldato per farli fuori. Le lingue oscure erano ormai stavano scavando quello che rimaneva delle sue gambe, il suo volto era ridotto a un’espressione grottesca, contorta e piegata dal dolore. Mentre il nero divorava le placche metalliche e la carne, Chevèl sentiva il piacere nelle sue vene, era come un orgasmo. Il cuore gli batteva sempre più velocemente, come a reclamare ancora più violenza, ancora più sofferenza. Era in estasi mentre la vita dell’uomo si riduceva a un pianto sommesso, una manciata di secondi e sarebbe morto. Quasi gli dispiaceva, avrebbe desiderato che fosse immortale come lui per vederlo soffrire in eterno, per assaporare quella sensazione sublime mille e mille volte.
Tick. Tock. Tick. Tock.
Mezzanotte, il buio perenne.
Fine, game over, chiuso il sipario.
[...]
In un modo o nell’altro riuscì a raggiungere il cuore marcescente del meridione, la città-derelitto chiamata Dorham. Un covo dove feccia di ogni genere era pronto a compiere ogni efferatezza in cambio di un sacchetto d’oro. Cosa poteva mai volere l’Arcidemone da una terra tanto abietta? Verità. Uomini normali l’avrebbero preso – a ragione – per un folle, ma lui non era un essere umano. Non ci mise poco a far capire a un gruppo di mercenari che non era la preda della giornata, ma che al contrario sarebbe stato felice di diventare il loro predatore. Uno di loro gli consigliò di chiedere a qualche cantastorie, seguitarono risate mentre il Sesto si allontanava rapidamente dal gruppo. Esistono bardi che hanno girato centinaia di villaggi e cittadelle, conoscendo altrettante storie. Giovani che vivevano grazie alla loro musica, c’erano solo due cose che cercavano: denaro e avventure. Il Sesto era pronto a dargli tutto quello che cercavano, morte compresa, anche se quest’ultima non era molto ricercata. Una melodia era appena udibile, in lontananza qualcuno cantava un'ode a un eroe del passato.
Il Sesto sorrise "Che si aprano le danze".
Chiedo venia per il post davvero lungo, ma non potevo fare altrimenti - anzi, ho pure tagliato nella parte del viaggio a Dorham e sintetizzato il finale - . By the way posterò lo specchietto nel post seguente, esclusa l'unica passiva della quale devi tenere conto, ovvero la razziale degli avatar demoniachi.
Good luck and have fun.
I am your deepest fear: coloro che sono attorno a Chevèl provano un lieve timore.