Sì, sia pugnale che spada ancora avevano mancato di affondargli nella carne lì dove il braccio aveva cercato di colpire - pochi potevano vantare un privilegio simile. O forse nessuno. Per quel che importava in quel momento allo spadaccino mentre arretrava di fronte alla mostruosità che si ergeva di fronte a lui, era fottutamente irrilevante.
"...tu guarda un po'?" Ma per quello effettivamente dovette concedersi gli occhi sbarrati dalla sorpresa. Quasi non gli sembrava vero, che quella considerazione buttata lì qualche attimo prima era giusta. Eppure le scaglie rilucevano. E il collo allungato si stagliava nel cielo. E la coda...si, anche quella c'era. Si voltò per un attimo dando un'occhiata alle spalle, e sibilò un'imprecazione nel vedere il prolungamento serpentino circondarlo da dietro.
"È ridicolo. È assurdo." Volle ripeterlo ad alta voce, ma la testa non riusciva più a snodare le corde vocali. Aveva visto un umano afferrare una spada, utilizzandola pure male, per attaccarlo. Perché ora si trovava davanti ad un affare come quello? "Perché me?" Quante persone nella loro vita avevano incontrato due draghi nel giro di nemmeno un anno? C'era gente che sognava di vederne almeno uno nella vita, e altri che vedevano le loro preghiere esaudite quando imploravano gli dei di non mandare una seconda di quelle bestie a sputare fuoco sulle loro case.
Forse era stata colpa sua, a non aver acceso ceri a nessun tempio. O forse era solo scalogna. Stupida, stupidissima scalogna.
E se lui avesse ucciso l'altro drago, quello nero, allora non avrebbe dovuto temere poi tanto quello che si trovava adesso di fronte. Ad occhio, Akor' era molto ma molto più grande di questo. Anche i riflessi lanciati dal corpo erano diversi, ben meno cupi, meno minacciosi, non sembravano nemmeno divorare il sole. Sfortunatamente non era stato Jevanni ad uccidere Akor'. Era stata la follia del sultano di Vento d'Oriente, e non vedeva come sarebbe stato possibile che dall'Oasi Nera partisse stavolta aiuto.
"L'Oasi Nera?" Si voltò per un attimo a fissare con orrore il villaggio, e nei suoi occhi si riflesse il panico dei soldati che avevano partecipato all'assedio della città, quando il dragone nero era stato sguinzagliato contro loro. Vero, lui aveva possibilità infime di uscirne vivo...ma gli indigeni?
Nella propria mente le facce dei soldati si sostituirono alle donne, ai vecchi e ai ragazzi che si erano presi cura di lui quando l'amica pirata l'aveva trascinato, quasi morente, dalle sabbie ardenti. L'unica era gettarsi dalla rupe, per tuffarsi nelle acque nere e viscose di sotto, e sperare che il drago ci mettesse più tempo a seguirlo che non lui a mettere in allarme un'intera città.
Più facile a dirsi, che non a farsi.
« Hai vinto tu Jevanni, mi arrendo. »
Si voltò, ma lì dove prima stavano gli occhi fiammeggianti del drago trovò solo aria e cielo. E sotto di essi, la sagoma quantomai patetica dell'uomo che prima aveva tentato miseramente di attaccarlo.
Gli venne un capogiro, un senso di nausea, di fronte a quell'immagine contraddittoria. Era tutto frutto di un'improvvisa paranoia, la vista di quel mostro? Poteva esserselo solamente immaginato, frutto di una suggestione...una suggestione indotta da cosa? "No...no, io so ciò che ho visto!"
Deglutì e aguzzò la vista: fu come se una cortina di fumo sul mondo si fosse dissolta di fronte a lui. Vide ancora la creatura, non sicuro di esserne felice che fosse ancora lì, e come se ciò non fosse bastato scorse anche qualcosa sfrecciargli contro. Si sentì il cuore perdere qualche battito, nel vedere quelle cinque mezzelune scintillanti nel piccolo firmamento blu profondo che era la zampa del rettile.
« Mer-- » Facendo appello a tutto sé stesso, flesse le ginocchia e si gettò di lato portando Orizzonte e Musashi incrociate di fronte al proprio volto. L'unico artiglio poderoso che riuscì comunque a raggiungerlo colpì e strisciò sulle armi, liberando al contatto con l'acciaio una piccola esplosione di scintille che illuminò il viso pallido dell'albino. La punta venne sbalzata di lato, non senza sfiorare la guancia destra di Jevanni, che venne spinto ancor di più a ruzzolare. Avvertì lo spostamento d'aria causato dal passaggio degli artigli e della coda - scorta di sbieco solo dopo essersi lanciato - che sollevò una ventata rovente ocra. Una nube di sabbia, che avvolse la sagoma dell'albino e la celò agli occhi della grande creatura. E viceversa, pensò l'uomo per non sollevare il viso e venir preso negli occhi dalla sabbia che bruciava sulle gote. Fu proprio in quel momento che si rese conto del taglio ora scarlatto lasciato dall'artigliata di prima. Una piccola goccia li solleticò la pelle fino a scivolare lungo il collo, lasciandogli una carezza umida e tiepida. « ...da. » sussurrò sputacchiando i granelli che s'erano posati sulle labbra, riponendo Orizzonte e Musashi nel fodero.
Non sapeva per quanto tempo poteva evitare che il drago portasse, coscientemente o meno, distruzione nell'Oasi. Sarebbe bastata una scintilla - una sola - per gettare nelle fiamme metà villaggio. E per quel che ne sapeva per quel briciolo d'esperienza, quell'affare sputava fuoco al posto di saliva.
Se fosse riuscito a tenerlo impegnato quel che bastava per far allontanare la gente o metterla in allerta, teorizzò portandosi alle labbra il corno da guerra, allora c'era una speranza di limitare i danni. In quanto a lui... ...si trattava di vedere quanto sarebbe resistito.
Gli ultimi fluttuanti granelli vennero ingoiati da tentacoli argentei, quasi lattei, che strangolarono il paesaggio già spoglio. La bruma rese persino più sfocato e distante il villaggio, sino a farlo scomparire in un mare perla che celò l'abisso al di sotto del precipizio. E ben presto, anche al di sopra.
Il suono del corno si riversò dalla rupe con impetuosità tale da annichilire persino gli echi del ruggito del drago, giungendo sicuramente alle orecchie degli indigeni. Avrebbe voluto suonarlo altre due volte, com'era usanza in tempi di pericolo, ma veramente, veramente non era il caso. Ripose nuovamente il fodero sulla cintura e si mosse nella nebbia, allontanandosi di una ventina di passi svelti da dove si trovava, per tirarsi fuori dalla portata del drago; frugò le tasche, dunque, alla ricerca di un oggetto. Quando i polpastrelli toccarono la sfera composta nel vetro più pesante e spesso -non senza ragione-, questi si strinsero con sicurezza per portarla fuori. Gli occhi individuarono senza problemi quelli con pupille verticali del drago: la nebbia che accorreva in suo aiuto in tempi di pericolo, Jevanni aveva compreso tempo addietro, non avrebbe mai velato il suo sguardo.
Perché quella era la sua nebbia.
Prese il pentadente dalla cinghia che lo assicurava sulla spalla, quasi strappata dopo esser stato scaraventato di lato dalla zampa del drago, e scagliò la boccetta pericolosa lontano con tutte le proprie forze, scegliendo come bersaglio l'iride destra del drago, e quando fu il momento scagliò nuovamente Tempo come fosse una lancia per intercettarla a mezz'aria, intendendo far esplodere la biglia ad un soffio dalla pupilla e infine accecarlo definitivamente con le cinque punte crudeli.