Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Sandstorm; reunion

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view post Posted on 8/10/2012, 15:45
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Era una giornata fredda, a Basiledra. Difficile che non lo fosse.
L'inverno sembrava essersi accomodato nella capitale e averne fatto la propria nuova casa, spaparanzando la propria neve su tetti e strade e stiracchiando lunghe distese di ghiaccio lungo i prati, sotto le quali si potevano scorgere le prime gemme della primavera incombente. Il continuo affaccendarsi delle persone sempre prese di fretta pareva rendere quel clima ancora più gelido, come se respirando potessero cedere all'aria parte del proprio disinteresse per le faccende altrui.
Era una di quelle giornate in cui Raymond quasi si pentiva delle sue scelte, ricordando con malinconia le sale grandi dei Lancaster, illuminate e riscaldate da camini tenuti sempre accesi. Tempi in cui l'amore della sua famiglia e il tepore del fuoco lo ricoprivano come una spessa coperta di lana, e persino la sua mente era annebbiata dalle comodità fra le quali giaceva ogni giorno. Ora il gelo lo teneva sempre in veglia costante, pungendolo e rammentandogli di coloro che avevano cercato di impedirgli di percorrere quella via, e che coi loro modi brutali l'avevano spinto a seguirla con ancora più convinzione.
Alzando lo sguardo vide ad abbracciarlo uno splendente cielo azzurro tipico dei giorni di primavera, privo di nuvole, probabilmente spazzate via dalla gelide folate che percorrevano anche gli stradoni più ampi. Una visione di sublime conforto, che aprì sul suo viso un mesto sorriso.
Stava seguendo la strada giusta.

Quel giorno avrebbe dovuto incontrarsi con uno dei Corvi all'interno di uno dei loro uffici sparpagliati per la capitale, a poca distanza dalla cattedrale stessa. Sapeva che i suoi subdoli datori di lavoro l'avrebbero impegnato con qualche altro incarico complesso, senza dargli la possibilità di rifiutare i termini dell'accordo, ma non aveva modo di ribellarsi a quella cieca autorità truffaldina.
Giunse dopo qualche minuto alla porta dell'ufficio e allungò una mano per bussare, scoprendola dal suo caldo rifugio al di sotto dell'ascella opposta, dove era stata chiusa fino a quel momento. La unì all'altra e le sfregò soffiandovi sopra, proprio nell'istante in cui un servitore venne ad accoglierlo, facendolo entrare e prendendo in consegna il suo soprabito. Nonostante la presenza di un servo, l'abitazione pareva tutt'altro che lussuosa, e anzi poteva essere tranquillamente riassunta in quattro o cinque camere anguste e buie, ricche di tomi polverosi e spazi inutilizzati.

« Prego, Sir Raymond, si faccia pure avanti. »

Se non avesse parlato, avrebbe confuso il Corvo con un mucchio di stracci poggiati su una sedia dietro la scrivania. Immobile, pareva stesse consultando un tomo così alto che il Lancaster dubitava i ripiani intorno a lui avrebbero potuto reggerlo.

« Si sieda, non faccia complimenti. Non è un comportamento degno del Sovrano, l'umiltà. »
« Eppure, mi è stato insegnato che è peccato emulare il Sovrano. »
« Purtroppo la trama prevede peccati ben più gravi; il Sovrano saprà chiudere un occhio, sapendo ciò di cui oggi dobbiamo discutere. »

Da dietro la maschera il corvo sorrise, e Raymond si sedette davanti a lui. Poteva sentire la polvere sotto le dita e il legno della sedia gemere per l'età, ma diede modo di non dare a vedere il suo fastidio. L'odore del legno era penetrante, e i pulviscoli fluttuanti per la camera iniziavano a infastidirlo, costringendolo a contrarre sgarbatamente le narici per il prurito.

Il Corvo consegnò al Lancaster una lettera sigillata. La ceralacca mostrava una maschera senza bocca né naso in bassorilievo.
« I suoi nuovi ordini. Il Sovrano sembra abbia intuito la sua intolleranza per il clima freddo della capitale, poiché è destinato a temperature ben più godibili. »

Per un attimo Raymond si chiese cosa potesse saperne il corvo dei suoi gusti climatici, poi soffocò quella domanda nella curiosità dell'aprire la lettera, e si mise a leggerne il contenuto.

Daar is te veel! Ons kan nie hulle!
Ons het hulp nodig! Asseblief, stuur versterkings!


« Che cosa significa? »
Solo in quell'istante Raymond si rese conto che il tomo sul quale il corvo era piegato, non era altro che un dizionario.

« E' una richiesta d'aiuto scritta nella lingua dei popoli del deserto. Il messaggio è stato trovato sul luogo di un massacro compiuto nel Deserto dei See e coincide con le informazioni fatteci pervenire dai nostri esploratori. »
« I pelleverde sembrano aver mosso guerra contro la razza umana a meridione. L'Occhio dell'Unico - Gruumsh, nella lingua di quei barbari - ha insediato numerosi distaccamenti nel deserto. Le loro azioni non sembrano però frutto di una guerra insensata, né attaccano continuamente e indistintamente ogni presidio dei quattro regni in cui incappano. »
« Tuo compito sarà recarti in loco e scoprire cosa gli orchi stiano tramando e, nell'eventualità in cui costituiscano un serio pericolo per il regno, ricacciarli nelle terre dalle quali sono venuti. »

Raymond rifletté per qualche istante, senza porsi domande troppo complesse. Era un compito persino più semplice e diretto di quelli a cui era stato abituato.
« Sembra una missione impegnativa per un contingente appena nato come la Schiera del Drago Nero. »

Ancora una volta, gli parve che il Corvo stesse ridendo da dietro la maschera.
« Non hai di che preoccuparti. »
« Disporrai di rinforzi più che adeguati. »

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Fortescuro dava fede al suo nome, pensò Raymond mentre si allontanava dall'invalicabile cinta di mura nere che stringeva la fortezza nel suo abbraccio.
Fu Rockwhite, ora centro nevralgico dell'uomo - oppure, come in questo caso, donna - a cui i quattro regni avevano affidato la gestione dell'interezza dei territori meridionali, come a lui erano stati affidati sia quelli occidentali che settentrionali; Rekla Estgardel. Conosciuta anche come la Nera Regina, la sua fama di tiranna e stregona invincibile era inevitabilmente giunta anche alle sue orecchie, anche se mai avrebbe creduto che, una volta recatosi a Fortescuro, non avrebbe fatto altro che attendere con impazienza il momento in cui avrebbe potuto abbandonare la fortezza. Ricordava di averla già incontrata in occasione delle celebrazioni del Leviathan, seppur senza aver avuto la possibilità di scambiarvi alcuna parola.

Era partito da Basiledra con non più di una ventina di uomini; tutti quelli che la Schiera del Drago Nero era disposta a concedergli. Nonostante ne fosse al comando, infatti, i Corvi erano molto gelosi delle loro forze personali e le limitazioni che imponevano al Lancaster nel gestire le proprie truppe erano a dir poco castranti.
"Disporrai di rinforzi più che adeguati" gli avevano detto. "Rinsaldare i rapporti con i territori più capillari del regno" e "Verificare il valore di altri importanti esponenti della nobiltà con i propri occhi"; ma mai avrebbe creduto di doversi mettere in viaggio con un'intero distaccamento di Fortescuro, accompagnato da Rekla Estgardel in persona, che cavalcava poco distante da lui.
Se alla partenza da Basiledra si era sentito come se la sua autorità fosse stata scavalcata dai Corvi, ora era convinto che quel poco di condotta che gli era rimasto fosse stato addirittura rimpiazzato. Rekla aveva più uomini di lui, più attitudine al comando, e godeva parimenti di rispetto e paura da chiunque li accompagnasse. Lui d'altro canto era praticamente sconosciuto ai più, e quelli che lo conoscevano sapevano che sulla sua figura gravava la superstizione che fosse uno iettatore: un comandante in grado di condurre unicamente alla morte.

Scambiò quindi poche parole con i suoi compagni di viaggio. Il tragitto li tenne impegnati per giorni, e in breve le montagne rosse sparirono all'orizzonte, mentre si addentravano sempre più a meridione. Il terreno roccioso e crepato che circondava Fortescuro iniziò a sgretolarsi mano a mano che proseguivano, fino a tramutarsi del tutto in sabbia. Le montagne cedettero il passo alla monotonia del paesaggio, e il rincorrersi senza sosta delle dune all'orizzonte divenne l'unico panorama di cui poterono godere.
In breve tempo, si trovarono nel cuore del Deserto dei See.

8tmxw

Raymond si sventolò con vigore con la busta contenente i suoi ordini che reggeva nella mano destra.
Erano giorni ormai che vagavano per il deserto, e il clima era divenuto insopportabile. Il caldo torrido del giorno bruciava e ustionava la pelle, lasciando spazio a notti gelide sferzate da un vento tagliente. Il Lancaster aveva già abbandonato da qualche tempo la sua armatura di cuoio nero, divenuta ormai inutilizzabile a causa della sabbia che vi si era insinuata all'interno; ora vestiva con drappi scuri di tessuto leggero che teneva ad avvolgergli il corpo, alla maniera degli uomini del deserto: così facendo poteva ripararsi dalla luce del sole senza doversi appesantire troppo.
I soldati che lo seguivano erano, ovviamente, nelle stesse condizioni. Fra loro aveva iniziato a diffondersi anche un generale malcontento dovuto perlopiù alla razionalizzazione delle scorte d'acqua a cui avevano dovuto ricorrere negli ultimi giorni.

Dei pelleverde, nessuna traccia.
Nel corso della loro esplorazione erano incappati più volte nei luoghi che avevano visto svolgersi dei massacri, riscontrando vittime sia fra le truppe dell'Occhio dell'Unico, sia fra i popoli del deserto. Avevano persino incrociato alcuni gruppi di sopravvissuti, che si erano uniti a loro della speranza di essere allontanati dalla battaglia, e che ora avevano finito con il pesare sulle razioni di cibo e d'acqua.
Raymond sapeva bene che non avrebbero potuto girovagare ancora a lungo, ma in cuor suo non riusciva ad abbandonarsi all'idea di tornare a Basiledra a mani vuote; per quella ragione aveva iniziato a studiare e rigirarsi sotto gli occhi il messaggio della richiesta d'aiuto che li aveva condotti sin lì. Aveva notato che sotto le scritte vi era un simbolo che raffigurava un occhio spalancato, marcato in piccolo; un simbolo al quale nessuna delle persone con le quali si era consultato aveva saputo dare spiegazione. La sua presenza era poi talmente insignificante da apparire inutile, benché Raymond fosse convinto della sua grande importanza.

Stava appunto studiando il messaggio per l'ennesima volta, quando gli giunse la voce del soldato.
« Guardate lì avanti! Una città; no! Una fortezza! »

Il Lancaster allungò lo sguardo, e con lui molti degli uomini che cavalcavano alle sue spalle.
All'orizzonte si poteva distinguere quella che senza dubbio non poteva essere altro che una palizzata, costruita intorno a delle estese rovine di pietra. Una sorta di città rudimentale, o un accampamento militare edificato nei pressi di un precedente presidio abitativo ora abbandonato.
Fu impossibile trattenere i suoi uomini dallo spronare i propri corsieri al galoppo o mettersi a correre in quella direzione. Li seguì come poté, spronando il suo cavallo senza la lena degli altri, e finendo col rimanere indietro.
Avvicinandosi all'attendamento, poté scorgerne gli abitanti: uomini del deserto vestiti con drappi rossi che coprivano loro anche il viso e pattugliavano l'esterno della palizzata. Si fece notare urlando e agitando le braccia nella loro direzione; quelli inizialmente si armarono, poi riconoscendoli come amici gli si avvicinarono e iniziarono ad aprire le porte che chiudevano la barricata.

Quando Raymond e i suoi uomini furono innanzi all'accampamento, poté parlare finalmente con uno di loro.
« Siete un faro di speranza; non pensavo di incappare in una guarnigione di soldati umani stanziata nel bel mezzo del deserto dei See. »
« Il mio nome è Raymond Lancaster. Sono stato mandato qui dai Corvi per combattere le rappresaglie di pelleverde. »

Quello levò le vesti che gli coprivano il viso, rivelando una pelle nera come il carbone e un sorriso ampio e luminoso, persino più splendente grazie al contrasto con la colorazione scura del corpo.

« Allora soldaat il nostro obiettivo è lo stesso. »
« I Rooi Valke ti danno il benvenuto. »



CITAZIONE
Mi scuso innanzitutto per la qualità infima del post; avevo promesso di aprire la quest oggi e così ho fatto, benché mi sia trovato costretto a confezionare lo scritto in un solo paio d'ore di tempo. Spero che comunque tutto sia chiaro.
In secondo luogo, mi scuso per dovervi costringere a descrivere un viaggio. E' qualcosa che tento sempre di evitare, nella gestione delle quest, ma con il tempo che avevo a disposizione e senza postare un mattone di duemila righe, non sarebbe stato possibile altrimenti. Prendetelo come un post di presentazione: per adesso voglio soltanto che vi "inseriate" nella spedizione; alcuni di voi, come Rekla, sanno già come e dove (ma non perché), mentre altri possono decidere se essere partiti con Raymond da Basiledra, da Fortescuro, o addirittura se essere stati raccolti in giro per il deserto. Dato lo stimolo insignificante, non mi aspetto che scriviate dei capolavori, quindi non preoccupatevi: è solamente la presentazione; il perché, perdove e percome siete finiti in mezzo alla quest; sono più interessato alla puntualità.

E a tal proposito, avete sei giorni di tempo. Sono disposto a concedere due proroghe per partecipante da sfruttarsi nel corso di tutta la quest, di due giorni ciascuna.

 
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view post Posted on 11/10/2012, 14:27

Esperto
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Il fuoco.
Migliaia di uomini senza volto rumoreggiavano tutt'attorno, gridando insulti osceni tra risa sguaiate e gemiti di paura. Di tanto in tanto una pietra aguzza scagliata da una mano ignota fendeva lo spazio con furia.
Sangue.
Fuoco.
Rovente, mortale.
Fuoco tra le gambe, sulle braccia, leccava con ardente brama il mio viso già sfigurato dalle ferite.
Venivo arsa viva.


- NO!

Con un sussulto mi levai a sedere sul letto, mentre ansimando mi portavo una mano alla tempia dolorosamente pulsante, come se davvero fosse stata colpita da una pietra. Ero in un bagno di sudore. Da sei notti quell'incubo mi perseguitava senza tregua: ma mai era apparso così vivido e sconvolgente. Sfiorai con delicatezza la spalla nuda di Caelian, accostando le labbra all'incavo del suo collo; la pelle morbida e profumata di sandalo aveva sempre un potere balsamico sull'angoscia che mi opprimeva.

- Sei sveglia? - sussurrai, notando gli occhi aperti, spalancati nell'oscurità. La giovane non rispose, ma una lacrima lucente e calda scivolò sul cuscino di seta. - Caelian, cos'hai? Hai visto il mio sogno?

Speravo che mi confortasse come sempre, che mi infondesse quella fiducia che mi permetteva di andare avanti, giorno dopo giorno nonostante l'incubo del rogo si facesse sempre più pressante e realistico.
Esitò, prima di mormorare un "no" soffocato dalle lenzuola. Mentiva. Sapevo bene che la mente perfetta di Caelian era in grado di captare ogni più piccola vibrazione del mio animo, di cogliere pensieri e sogni come se fossero suoi.

- Dimmi cosa sta succedendo. Caelian, me lo devi.

Al mio tono imperativo la fanciulla si voltò verso di me, appoggiandosi sul gomito. - Zaide, non so se devo...se posso.
Il suo tono era quasi un'implorazione, ma non le avrei concesso altro che la verità.

- Parla.

- Sta...sta tornando.

Aggrottai la fronte. C'era una sola persona che poteva provocare quell'insensato terrore in lei, tale da renderla una pallida ombra di se stessa. Colui che aveva creduto per anni suo padre, che aveva servito e amato, colui che l'aveva usata per i suoi scopi per poi gettarla via una volta esaurita la sua funzione.

- E' morto, Caelian - esclamai, seccata. - Hai fatto anche tu un incubo.

Mi alzai dal letto, lasciando che l'alone della luce lunare sfiorasse la mia pelle nuda. Avvertivo incertezza e tensione nell'aria.

- C'è qualcosa che non so, non è così?

Mi voltai a guardare Caelian, bionda creatura spaventata che stringeva le coperte come se potessero darle il coraggio di parlare.

- Lui...lui aveva fatto una cosa. Molti anni fa, quando ero ancora una bambina...o credevo di esserlo. - Rabbrividii, al pensiero dell'orribile incantesimo che lo stregone aveva gettato su quell'innocente. - Ricordi quel Daland, Zaide? Lo scudiero che idolatrava mio...padre, quello che si era innamorato di me?

- Un vile - risposi seccamente - Fuggì senza nemmeno provare a combattere, lo ricordo bene.

- Non è così. Lui...Ecco, credo che non potesse farlo. Eravamo bambini insieme, giocavamo spesso a corte; e vidi qualcosa che mio...che Arkham non si curò di tenere nascosto. Gli fece qualcosa, giuro che non saprei spiegarti come, ma lo legò per sempre a sé. Quella spada, quell'occhio, non era il solo oggetto che contenesse un frammento del duca.

Ascoltavo inorridita, presentendo la verità. - Stai dicendo che quel ragazzo...

Annuì. - Non saprei come definirla, ma una scintilla vitale di Arkham vive in lui. E si sta svegliando. Lo sento, Zaide.
Caelian sospirò. - E il rogo che vedi in sogno...non posso esserne certa, ma in qualche modo credo che sia un avvertimento.

Ero furiosa. La morte di Arkham aveva segnato una stagione importante della mia vita, la fine della mia prigionia emotiva in un mondo che non mi apparteneva e il ritorno ai fasti in seno al Goryo. E ora mi sembrava che il terreno mi franasse sotto i piedi.

- Devo trovarlo - sibilai.

- Arkham?

- Daland. Dimmi dov'è, so che lo vedi.

Lessi il terrore negli occhi di Caelian e capii che una parte del suo cuore era rimasta legata a quel ragazzo ingenuo che lei stessa aveva manipolato e tradito. Sospirai, e le carezzai la guancia umida di pianto. - Non lo ucciderò, Caelian. Ma devo capire. Puoi aiutarmi?

Esitò. - Zaide, portami con te.

L'idea era allettante, ma non potevo permettere che quella meravigliosa creatura si esponesse ai pericoli di un simile viaggio; non volevo ammetterlo con me stessa, ma forse in realtà temevo che se avesse rivisto Daland, il suo cuore non sarebbe stato più nelle mie mani. E il rischio che Arkham, o qualunque maleficio vivesse in quel ragazzo, cercasse nuovamente di intrappolare Caelian nelle sue spire, era troppo alto.
Non occorsero spiegazioni, perchè la fanciulla abbassò lo sguardo e mormorò: - Cerca la sua fortuna alternando scorribande tra i predoni del deserto e incursioni nei territori abitati da pelleverde. Devi tornare a Laslandes, Zaide.

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Alto sull'immensità del deserto, il sole infuocato bruciava la terra senza pietà. L'ultima volta che Zaide aveva sentito la sua pelle ardere di un simile calore, stava tornando a quella che aveva imparato a chiamare casa. E che ora abbandonava di nuovo, verso un viaggio enigmatico che sapeva di dover compiere. Piegò le lunghe ali di corvo dirigendosi in picchiata verso il suolo riarso, e un istante dopo il sangue caldo di un piccolo animale che si nascondeva tra le rocce le colò lungo il becco.

Solo in forma di corvo poteva attraversare quell'inferno senza morire.
Ma dopo giorni di viaggio la strega iniziava a sentire il peso della stanchezza e della sete; se non si fosse imbattuta al più presto in una carovana la situazione avrebbe iniziato a farsi seria.
Ma la fatica non le pesava. Certo, la sua nuova vita a Grauenhal al fianco della bella Caelian aveva molti vantaggi, tra cui la posizione di indiscusso potere di cui godeva nella cerchia più elitaria di Taanach. Ma la sua indole inquieta era portata alla continua ricerca e alla conoscenza, e una vita sedentaria non faceva per lei.
Persa nelle sue riflessioni, non si avvide subito del sottile filo di fumo che si attorcigliava pigro nell'aria torrida; quando tornò a terra per assumere nuovamente sembiante umano era abbastanza vicina perchè un occhio attento potesse aver scorto quella figura scheletrica avvicinarsi. Ma Zaide non notò nessuno di guardia, e decise di raggiungere la testa della spedizione.

Tornare a muoversi come un essere umano fu più difficile di quanto pensasse.
Il calore infuocato le mozzava il respiro e la vista iniziò lentamente ad affievolirsi. Percorse le ultime centinaia di metri con la forza della disperazione, sentendosi fluttuare in un limbo a cavallo tra la veglia e l'incoscienza ad ogni passo; la gola le grattava, riarsa, mentre si mantello nero in cui era avvolta parve appesantirsi sul suo capo sempre di più, schiacciandola come sotto un macigno.

Non seppe nemmeno se stesse sognando o se fosse già morta, quando allungando una mano toccò il lembo di una veste sconosciuta. Che fossero amici o nemici, ormai nulla aveva più importanza.

- Aiu-ta-temi...- gracchiò, sfinita. E poi fu oscurità.



Vi chiedo scusa se il mio post di presentazione è troppo "personale", ma poichè Zaide non ha ancora nessun legame effettivo con gli eventi di cui stiamo entrando a far parte, ho preferito legare il background di partenza alla storia recente di Zaide e quindi, nello specifico, alla mia passata quest Messa nera. I PnG citati nel testo sono tutti riconducibili a quella vicenda, compresa Caelian che, da avversaria, diventa confidente e compagna di Zaide andando a vivere con lei a Taanach.
Zaide raggiunge dunque la carovana nel deserto per un caso fortuito; partita con l'intento di recarsi a Laslandes per ritrovare uno dei suddetti PnG che si suppone stia combattendo una propria personale battaglia di autoaffermazione contro varie tribù di pelleverde, si trova ad affrontare un viaggio al di sopra delle sue capacità. Sopravvive trasformandosi in animali più resistenti; quando arriva in vista della carovana è in forma di corvo scheletrico, ma per evitare di farsi notare troppo ritorna in forma umana prima di raggiungere, stremata, la testa della spedizione; dopodichè sviene.
Dal prossimo post inserirò anche specchietto e caratteristiche.
Buona quest a tutti!
 
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J!mmy
view post Posted on 11/10/2012, 21:23




Non vi era alcuna soddisfazione nell’uccidere un animale. Gli uomini gemevano, imploravano clemenza, strisciavano come vermi nei loro ultimi istanti pur di aver salva la vita; ma gli animali… gli animali no. Essi combattono fino allo stremo, abbandonando la paura e la titubanza per lasciarsi a quell’unico, stesso istinto che li conduce inevitabilmente alla rovina. No, uccidere un essere umano era assai più appagante.
Questo Rekla pensava nello sfilare la lama nera come la notte e fredda come l’inverno da quella che sembrava essere solo una corpulenta carcassa di iena-cinghiale, una creatura goffa, dal manto grigio e maculato di nero, con enormi zanne color d’ambra agli angoli delle fauci e lunghi artigli ricurvi sulle dita, talmente grossa da aver indotto alcune genti a credere che si trattasse di un qualche assurdo e bizzarro ibrido vomitato dagli dei per sfamare i fuorilegge: solo un’altra delle troppe superstizioni che aleggiavano nel ventre meridionale.

« Questa » decretò.
Rekla scrutava la bestia così come si studia un pezzo di carne appeso ad un gancio in un qualche remoto anfratto di un mattatoio, tastandone consistenza e dimensione con tracotanza e rigore. Quando fu certa della scelta fece cenno ad uno dei servi e quello scattò rapido, trascinandosi dietro un drappello di cinque uomini armati e tutti addobbati di nero. Insieme, quindi, si calarono simultaneamente sul carcame e afferrarono le estremità di quella che altro non era che la ventisettesima vittima di una lunga e sfiancante caccia. Mentre il vento scivolava pigramente tra le fronde gremite di fogliame della Selva delle Ombre, sibilando e intonando meste melodie come se l’intero bosco piangesse il destino dei suoi abitanti, il resto delle carogne se ne stava lì, sparpagliato, a puntellare il manto erboso come macabre stelle rosse di sangue su di un cielo livido e smorzato dalle nubi. Di queste non sarebbero rimaste alla fine che putride viscere divorate dai vermi e sventrate dai loro simili, che invece di compiangerli si sarebbero solo saziati dei loro resti con voracità, strappando via ogni avanzo potesse aiutare a nutrire loro e quanto rimasto oramai del branco.
Perché, si sa, la vita al sud era tutt’altro che semplice;
e persino la prospettiva di divorare i propri fratelli, alle volte, era ben più allettante della morte.

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S A N D S T O R M
reunion


La luce librava nell’oscurità con fiacchezza, debole, antica come antica appariva la mobilia che stipava la camera: un moccolo di cera che rischiarava a malapena scaffali pencolanti e stridenti, sedie traballanti d’olmo nero e libri avvizziti dagli anni, molti dei cui titoli erano oramai andati perduti fra le rughe della carta troppo vecchia e malandata.
Ai lati di quella che sembrava un’enorme tavolata sommersa di pergamene e antichi volumi, due figure stavano sedute a fissarsi seriose mentre, dall’altro capo del corridoio che conduceva alla stanza, urla, schiamazzi e sguaiate risate deflagravano nel silenzio con la medesima grazia di un rombo in piena notte: era evidente che chiunque stesse facendo baldoria nella sala grande se la stesse godendo anche parecchio e fino all’ultima goccia; una goccia costosa, per l’esattezza, appartenente a un pregiato vino del deserto: “Lacrime di Rosa”, lo chiamavano i rozzi contadini.

« E’ troppo rischioso » esordì finalmente una delle ombre.
L’uomo – conosciuto come Duevite, lord Assassino o qualunque altro diavolo di soprannome potesse suscitare l’interesse del popolo – indossava una spessa tunica bianca fin poco oltre le ginocchia sotto quel suo solito pettorale in bronzo e bordato di esili filamenti d’oro rosso. Al fianco, poi, le opalescenze dell’immancabile mietitrice rimandavano appena tiepidi riflessi di un inebriante caleidoscopio di azzurro e arancio.
« Che nessuno osi dubitare della vostra ospitalità, o della bontà del vostro desco » le sopracciglia di lui si contrassero bruscamente per il disaccordo « Ma seguire quei pezzenti in battaglia… è follia! »
Varry si forzò a darsi un contegno, quindi aggiunse: « Mia signora, perdona la mia impudenza, ma Fortescuro non può restare sguarnita... non può privarsi di voi. »

« E non accadrà. »
Non appena la seconda delle voci parlò, l’intera sala parve annaspare in un’abissale coltre di puro e penetrante gelo. Rekla, avvenente e raccapricciante al contempo, torrida come l’inferno e fredda come l’acciaio, era adagiata su una delle sedie nel fondo più buio della camera e sorrideva con la stessa enfasi di un cane su un osso alquanto succulento. Per quanto si adoperasse per evitarlo, Duevite non poté fare a meno di chiedersi cosa diamine passasse per la mente di colei che persino i fantasmi temevano, fuggendone anche al solo cospetto.
« Mio caro, carissimo lord. Non penserai che io sia tanto sprovveduta, vero? » il ghigno si fece aguzzo, e Nicholas percepì un brivido farsi largo lungo la schiena e scivolare tra le natiche.
« Ci sarai tu a tenere caldo lo scranno in mia assenza. »
« Quell’uomo, quel Raymond, mi serve » riprese lei « Tutta questa sua stupida spedizione mi serve. »
Un secondo turbinio di risate squarciò l’aria dell’androne per tornare poi nuovamente a tacere. La Nera colse l’occasione della spiacevole interruzione per abbassare lo sguardo su un pallido rotolo di pergamena che stringeva saldamente tra le dita: sull’ancora calda ceralacca scarlatta torreggiava il teschio urlante della tanto blasonata casata Estgardel,
della casata che lei aveva partorito.
« A proposito, quasi me ne dimenticavo » porse adagio la pergamena a Varry e rimase a guardarlo come ad attenderne una qualche reazione « Mi servono anche le tue sorprendenti doti per far pervenire questo messaggio a una persona qui a Fortescuro, un certo Vrastax Victorian. »

« Come comandi. »
Il mercenario, che tra tutti i doveri impostigli dal Cerbero non si aspettava certo di dover abbassarsi a fare il messo, annuì grevemente, agguantò la lettera e si diresse a passo spedito nei meandri dell’oscurità che antecedevano l'uscita. Prima che ne venisse totalmente inghiottito, però, Rekla Estgardel parlò ancora, e lo fece per l’ultima volta.

« E assicurati di non disturbare i nostri ospiti. »
- Sorrise -
« Non vogliamo certo che dubitino della nostra lealtà. »

[...]

Faceva caldo; tanto, troppo caldo.
Rekla aveva impiegato tutta se stessa per abituare il proprio corpo a quel duro clima del sud, un clima subdolo e aspro il bastante a trascinarti nella tomba senza che tu possa fare alcunché per impedirlo, un clima che sapeva coglierti impreparato coi suoi inattesi e terribili sbalzi di notte almeno quanto di giorno, e raggelarti l'anima fino a sdradicarne l'essere.
No, non era certo il sole il peggior nemico del Deserto dei See: la mente umana, quella lo era.
Eppure, solo adesso che osservava i suoi spogliarsi di armature, corazze e a quant’altro di oberante potessero rinunciare per via del calore, la donna si rese conto di quanto ampie fossero state le sue falcate e di quanto coriacea fosse divenuta la propria pelle: solo un ennesimo passo verso la mostruosità, si disse.

« Per me ci siamo persi » sentì bisbigliare ad una delle Tenebre alle sue spalle.
« E’ meglio per noi che ti sbagli, o questa sabbia sarà la nostra tomba » chiosò allarmato un vicino.
I giorni di viaggio erano diventati ormai troppi, al punto tale che neppure la Nera Regina seppe tenerne più il conto. I suoi occhi, vitrei e penetranti in quel loro oceano di apparente innocenza, vagavano invece lontano, oltre le fila anteriori del convoglio, da cui Raymond Lancaster li guidava con malcelata esitazione. In cuor suo, sperava davvero che i due soldati si sbagliassero. Non voleva marcire con la consapevolezza di aver condotto i suoi stessi uomini al macello.
“Dove sei?” si domandò, mentre lo sguardo voltava a destra e a manca dell’immensa distesa, districandosi tra volti noti e facce estranee, alla ricerca di un qualcuno o un qualcosa che potesse lenirne la smania. Ma, alla fine, fu costretta ad arrendersi: troppi erano i corpi che riempivano la colonna, e più le ore scorrevano, più questa continuava ad affollarsi.
Avrebbe dovuto rinunciare alla missione, avrebbe dovuto dare ascolto a Duevite; dopotutto, chi meglio di lui poteva conoscere il senso vero della morte?

« Guardate lì avanti! Una città; no! Una fortezza! »
Il Cerbero indossava una sottile veste di satin nero opaco sormontato da uno spesso corpetto di acciaio alle cui clavicole era stato sapientemente fissato con spille d’argento foggiate a teschio una lunga cappa color di cenere. Ma non appena la voce del soldato sferzò l’aria torrida, l’intero convoglio esplose in una folle galoppata alla volta di quello che pareva un rudimentale ammasso di rovine ed edifici disabitati – benché fosse impossibile dirlo con certezza – facendo sì che persino il più celato lembo di pelle si bagnasse di sudore misto a sabbia e pulviscolo.
Il cuore arrestò i suoi battiti, in attesa. Le dita dei piedi si contrassero tra le staffe, schizzando in un due rapidi affondi all’indietro. Il tonfo degli zoccoli che battevano sul terreno berciò violento nel silenzio delle dune quasi fosse un’ eccitante ambrosia di salvezza.
Il furore delle Tenebre fu devastante.

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Era una notte nera,
un'esile falce di luna argentata
che occhieggiava fra grappoli di nubi opache spinte dal vento.


Post puramente introduttivo, giusto per mettere un po' di carne al fuoco.
L'interazione - seppur indiretta - tra Rekla e Vrastax, nonchè il conseguente coinvolgimento del secondo, è stata preventivamente concordata con l'interessato: in soldoni, Rekla è a conoscenza della presenza di Vrastax a Fortescuro, così decide di mettere in atto un piano (la cui sostanza verrà svelata più avanti) incaricando Duevite di recapitare un messaggio al vittoriano in cui offre a quest'ultimo risposte in cambio della sua semplice ed anonima affiliazione alla compagnia di Raymond; infine, come logico, imbastisce un banchetto in onore degli ospiti al quale tuttavia non prende parte. Nient'altro da aggiungere.
Auguro un game a tutti, con la speranza che questa possa rivelarsi una giocata piacevole e divertente.^^

 
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Vrastax Victorian
view post Posted on 11/10/2012, 22:04




Quando la forza del vento forzò le finestre di quella casa l’anima di una vita perduta era riuscita a fuggire, il corpo esanime dell’uomo pareva invece quieto e rilassato di fronte alla lama sporca del suo sangue. L’armatura di quel guerriero era squarciata nel punto in cui l’affondo al petto sembrava essere penetrato in un solo colpo; gli occhi sbarrati del gigante erano accompagnati da un sorriso di sollievo come se quella fine fosse stata in realtà la migliore di tutte quelle da lui immaginate. L’assassino però non sorrideva e inerme attendeva. In verità l’anima che sarebbe dovuta uscire da quella casa disabitata e mezza distrutta aveva trovato un posto migliore del cielo stellato, un posto ben diverso dall’infinito universo che l’attendeva, e quel posto non era altro che il corpo di colui che aveva scisso lo spirito dalla materia. Quell’anima solitaria che da tempo fuggiva aveva finalmente trovato la pace e l’unione con chi aveva le stesse grigie sembianze di lei. Però non era nemmeno cosi che andava a finire la storia del ricongiungimento, questo poteva magari accadere per gli spettri, per gli uomini pazzi, per antichi stregoni mangiatori di spiriti.
Se c’era una cosa che la vittima avrebbe potuto ricordare era che il legame tra tutti loro non dipendeva da una semplice e leggiadra ghirba di calore ma era qualcosa di più che andava al di là del freddo e del fuoco e che in qualche maniera possedeva entrambi gli attributi.
Nasceva dalla fiamma, viveva con il gelo.
Quella sera andò in modo diverso…

« Cosa ti aspetti di fare dopo che mi ucciderai? »
Aveva la voce ferma e pacata, e non sorrideva, non ancora almeno.
« Farò ciò che mi comanderanno. » Come sempre, pensò.
La preda e il cacciatore si erano finalmente incontrati dopo mesi e mesi di ricerche e di fughe, non avrebbe mai immaginato che la fine sarebbe giunta in un luogo comune, senza alcuna battaglia, la poteva già vedere arresa la sua preda. Dopotutto sapeva che lottare e affrontarlo sarebbe stato del tutto inutile, perché quindi provarci? Nel momento stesso in cui si era fidato di lui aveva comunque continuato a scappare e, tuttavia, quella finta fuga era stata vana fin dal principio in cui aveva saputo che era stato braccato.
« Noto con sommo dispiacere come in tutto questo tempo tu non sia cambiato nemmeno un po’, fratello. »
Con entrambe le mani sollevò l’elmo che lo rifaceva ad un soldato alabardiere, un veterano della guerra non il più forte certo ma forse il più saggio, e con molta delicatezza lo poggiò sul pavimento sporco di polvere.
« Guarda dentro i miei occhi quando lo farai. »
E sii forte quando scoprirai che non sono ancora l’ultimo a vivere tra noi.
E poi un grido di disperazione si sollevò nel cielo, un grido che arrivò fino alla luna e alle stelle e ritornò indietro con la forza di una meteora togliendo il fiato a chi l’aveva emesso.
Un grido di brutale rabbia di chi ancora era in vita.






Il Sud non faceva per lui, o meglio: il caldo non faceva per la sua armatura e nemmeno per quelle migliaia di corazze che indossava per i suoi fratelli. Non era lei però ad essere infuocata ma più la sua pelle e quella poca parte che ne rimaneva scoperta. Certamente quella che indossava non era una corazza pesante ma peggio ancora era viva e in costante evoluzione, il metallo scorreva in lui e l’armatura ne risucchiava via ogni giorno buona parte di quello che ne rimaneva. E qualche volta sembrava sentirla pure respirare, soprattutto quando era solo e in quel momento, oltre a un paio di ubriachi che ronfavano lontano da lui e a un vecchio e tozzo barista intento a pulire il bancone di quella locanda, poteva palparne persino i suoi affanni. Non era posto per un soldato quello, nemmeno per quel tipo di guerriero che se ne stava seduto lì da un bel po' di ore, pur apprezzando la quiete apparente infatti si sentiva a disagio soprattutto ogni volta che qualcuno varcava la soglia di quella taverna e, per fortuna, ancora non era accaduto.
Tuttavia nei giorni che passarono la sua permanenza nei territori del Meridione aveva fatto si che i suoi fratelli si risvegliassero da quell’apparente letargo in cui erano entrati.
Tutti avevano visto, nel momento stesso in cui spalancarono i loro occhi, la figura di un nuovo Vittoriano, un'anima che aveva sì rivelato alcuni segreti ma che in qualche modo aveva aumentato il tormento di tutti compreso quello di lui, dell'Ultimo. Nella sua mente e anche attorno ai tavoli impolverati e sporchi di alcol cominciarono ad apparire le figure dei Mille, certo non tutti i guerrieri poterono prendere posto a quella seduta ma gran parte - forse i più importanti - comparirono di fronte al rinnegato.

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« E quindi questa non è la fine che ti aspettavi di vedere fratello Vittoriano. » Fu uno di loro ad esordire in quella che sembrava essere l’ennesima riunione dei guerrieri di Erydlyss.
« Ezastax non era l’ultimo, avreste dovuto dirmelo. » Li odiava ma li rispettava comunque.
« Avremmo? » Sorrise un altro, uno dei dieci generali. « Avremmo dovuto ma non l’abbiamo fatto. »
Ancor di più odiava le loro mezze risposte, dov’era finita la loro lealtà? La loro grande fiducia e devozione per la verità?
« Ti tormenteremo ancora finché la tua missione non sarà conclusa. » Questa volta fu proprio Ezastax a parlare, poteva ancora vedere in lui la ferita che gli aveva provocato e forse tra tutti, l’alabardiere era quello che odiava di più.
« In questi territori brulicanti di povertà non troverai nulla, la tua ricerca però inizierà da qui. »
Stentava a credere alle parole dell’uomo che gli aveva sorriso mentre moriva, come avrebbero fatto due ubriachi e un locandiere a dargli le risposte che cercava? Fece per parlare ma si fermò quando notò il vecchio e tozzo signore che lo fissava guardingo, forse pensò avrebbe fatto meglio a prendere una caraffa di vino prima di sedersi.
« Non sono mai stato bravo con gli indovinelli, dovreste saperlo. Ditemi cosa dovrò fare e sarà fatto. »
In fondo si era come arreso da qualche tempo a quella parte, non poteva fare a meno che eseguire i comandi perché quelli, in un modo o in un altro, erano la sua unica ragione di vita. La rabbia in passato l’avrebbe travolto forse, alcuni dei guerrieri più sanguinosi una volta avrebbero persino preso il sopravvento su di lui ma adesso, per fortuna per lui, sembrava essersi creato una sorta di equilibrio tra il paladino nero e quelli bianchi - apparentemente bianchi, più tendenti al grigio a dire il vero.
« Sai già cosa accadrà Vrastax figlio di Alvastax. »
E scomparirono mentre nel posto più oscuro della taverna un uomo sedeva nascosto, lontano dagli altri.
« Sai già la fine di tutto figlio mio. »

La luce filtrava attraverso le finestre in maniera cosi pallida da sembrare che il sole si stesse per spegnere, doveva esserci una bella giornata fuori, poteva udire le urla degli abitanti di quel borgo situato a Fortescuro, urla piene di vita, di persone che passavano per quella strada, noncuranti delle guerre, delle carestie e delle pestilenze.
Avevano tutto quelle persone, tutto quello che poteva servire per vivere una vita serena grondante di felicità. Si sbagliava però, quella non era Fortescuro era la sua città. I ricordi a volte sembravano materializzarsi e come se nulla fosse diventavano realtà e poi nello stesso modo in cui arrivavano se ne andavano silenziosi lasciando vuoti nostalgici nello spirito del paladino.
In quel villaggio invece regnava il silenzio, le persone camminavano a testa bassa, le donne erano deboli e distanti, i bambini… non sentiva bambini, non sentiva la vita.
Gli avevano detto di aspettare, purtroppo qualcuno avrebbe varcato quelle porte e sempre quel qualcuno gli avrebbe portato via quella poca tranquillità che gli era rimasta.
Poggiò i gomiti sul tavolo, mano aperta sul pugno chiuso, il mento sopra i pollici anneriti e attese.
Non ci volle molto e a dire il vero prima che le parole dei suoi fratelli si potessero realizzare entrarono altri due uomini, mercenari forse, che nemmeno lo degnarono di uno sguardo. Ottimo pensò, probabilmente la sua pace sarebbe durata un altro po’ ma non fu cosi: un altro uomo questa volta solo e completamente coperto da capo a piedi sembrò fare alcune domande al barista che, ovviamente, senza nemmeno farsi pagare – o pregare, indicò il tavolo dove sedeva proprio Vrastax.
Arrivò a lui con pochi e ferrei passi, si guardarono entrambi negli occhi ma fu lo sconosciuto a parlare per primo.

« Pare che tu abbia attirato attenzioni pericolose, cavaliere. »
Non gli diete il tempo di rispondere ne di capire cosa realmente volesse intendere con quella frase, l’unica cosa che fece fu quella di lasciare un rotolo di carta, una lettera probabilmente, chiusa da un timbro di ceralacca con un teschio urlante. Vrastax la esaminò diffidente, era evidente che si trattava di qualcosa proveniente dai piani alti. Aprendola non riuscì a leggerne il contenuto prima di sapere da chi fosse stata mandata, a volte era proprio curioso. Quando lesse il nome di chi l’aveva scritta non riuscì a non rimanere sorpreso, ancora una volta le loro strade si sarebbero incontrate, quella donna l’aveva trovato un’altra volta. Era stato uno stupido ad arrivare fin nei pressi della sua fortezza soprattutto dopo quello che avevano vissuto nei tempi passati, non troppo distanti da quel giorno. Sarebbe dovuto andare via il più lontano possibile e invece noncurante era rimasto.
Rekla, la nera Regina, la maledetta ragazza.
Per un attimo mandò via i ricordi del passato; lei era la chiave, il suo inizio e di questo ne era sicuro non poteva essere altrimenti. In lei avrebbe trovato le risposte che cercava ma ad una sola condizione:
partire. Di certo non si aspetta un viaggio di nozze, ne tanto meno una gita nel meridione, quello che chiedeva era circospezione e attenzione, non avrebbe dovuto rivolgere parola alcuna fino a tempo debito e il loro incontro sarebbe dovuto sembrare casuale.
Non aveva nulla da perdere dunque, quella lettera aveva avverato le parole dei suoi fratelli.

« E sia, maledetti. »

Nei giorni seguenti il clima parve peggiorare, il caldo era nauseabondo tanto quasi da non riuscire nemmeno a respirare quell’aria calda che solo raramente sembrava rinfrescarsi durante decine di folate di torrido vento, la colpa del drastico cambiamento aveva portato molti degli uomini della spedizione a cambiare persino modo di vestirsi, alcuni avevano abbandonato le armature, altri non facevano che abbeverarsi, lasciavano calare l’acqua fin sotto il petto, quasi sprecandola ma le scorte purtroppo per loro furono limitate per tutti, quello spettacolo non sarebbe durato ancora per tanto. Molti uomini comunque avanzavano quasi a torso nudo, altri invece erano coperti da vestiti leggeri di seta che lasciavano traspirare la pelle calda, quasi bruciata.
Vrastax pur volendolo non avrebbe potuto allontanarsi dalla sua corazza poiché essa faceva parte del suo stesso corpo, l’unica parte che avrebbe potuto tenere libera era la testa e cosi infatti fece: l’elmo, cosi come la lancia, avevano preso posto in una delle sacche che trasportava il cavallo cavalcato dal Vittoriano.
Gli zoccoli sprofondavano nella sabbia e a ogni passo l’animale sembrava perdere quasi l’equilibrio, sapeva che quella povera creatura non era adatta a quel tipo di natura, non sarebbe resistita che qualche altro misero giorno.
E i giorni che passarono furono più di quelli che Vrastax immaginò, la bestia sorprendentemente riuscì tuttavia a resistere non con poche difficoltà a quel lungo e disumano tragitto e quando tutti i guerrieri notarono una piccola città in mezzo a quella maledetta sabbia appiccicosa gli animi, dapprima spenti e irrequieti, parvero accecarsi di pura e innocente felicità.

« Cos’hai in serbo per me Nera Regina, lo sai solo tu. »

Finalmente erano arrivati ma le risposte per Vrastax avrebbero comunque ritardato a giungere, lo sapeva già, purtroppo.




 
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view post Posted on 13/10/2012, 16:54
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Raymond e Nazir si scambiarono una vigorosa stretta di mano.

« E' grande piacere che tu sia qui, Raymond! » esclamò l'uomo color carbone « Quando tu è partito no credevo che ti avrei rivisto! »
« La trama è grande, Nazir. Dobbiamo ringraziare il Sovrano. »

E avrebbero dovuto ringraziarlo davvero. L'accampamento dei Rooi Valke era spuntato all'orizzonte come una vera e propria oasi di speranza, dopo giorni di peregrinazioni senza meta. Senza la loro ospitalità il contingente guidato da Raymond si sarebbe trovato costretto a tornarsene indietro a mani vuote: un risultato sul quale i Corvi non sarebbero stati certo disposti a chiudere un occhio.
La conoscenza e amicizia fra il Lancaster e i Falchi Rossi aveva poi reso le comunicazioni molto più rapide e semplici: era bastato far chiamare Nazir perché quest'ultimo ordinasse subito ai suoi sottoposti di aiutare gli uomini di Raymond e di fornire loro cibo e acqua in quantità; specie a chi era stato raccolto privo di forze per il deserto. Ora il sorriso dell'uomo gli sembrava persino più splendente e familiare di quanto il contrasto fra i denti bianchissimi e la pelle nera già non suggerisse.

L'accampamento era enorme. Superando la palizzata ben costruita - una serie di tronchi dalle estremità appuntite che cingevano il campo - si apriva uno spazio irregolare di qualche centinaio di metri, tappezzato da tende larghe e tonde di pelle e cuoio. Numerosi fuochi erano accesi nel mezzo degli assembramenti più caotici e innanzi ai padiglioni più ampi, e gli ampi camminamenti all'interno della palizzata lasciavano sotto di essi lo spazio necessario perché vi stessero comodamente piccole forge e fucine.
L'odore della sabbia e del deserto non riusciva nemmeno a coprire quello di fumo e spezie che proveniva da ogni dove; un lezzo che persino Raymond avrebbe normalmente definito appesante, ma che ora gli pareva persino accogliente.
I suoi uomini e il distaccamento di Fortescuro sembravano aver già trovato una loro dimensione all'interno dell'accampamento. C'era chi si riuniva intorno ai fuochi, chi socializzava con i Rooi Valke, chi aiutava i feriti all'interno dei padiglioni più ampi e chi invece era costretto su una branda dalla sete e dalla stanchezza. Il Lancaster poteva vederli mescolati senza distinzione con gli uomini del deserto, in un clima di eterogeneità progressista che poteva trovarsi solo nella necessità di fare fronte comune contro la crudeltà della natura. Il deserto e il sole non lasciavano alcuno traccia ad odio e pregiudizi: chi voleva sopravvivere doveva superare le proprie paure e accettare la tazza di té nero che gli veniva offerta, seppur storcendo il naso a quel gusto così amaro e così lontano dalle tradizioni occidentali di Basiledra.
I Rooi Valke si erano dimostrati poi ancora più amichevoli del previsto, offrendo a ciascuno di loro turbanti, drappi e vesti che li riparassero dal sole e fossero meno pesanti delle loro armature: non tutti i suoi uomini accettarono di indossarli, ma Raymond - anche solo come pegno di gratitudine - si cambiò d'abito appena possibile. Sapeva che i tessuti gli avrebbero probabilmente lasciato macchie di colore blu sulla pelle - tipiche delle popolazioni del Deserto dei See - ma la cosa non lo disturbava minimamente: se scorgere quei colori sul suo corpo gli avesse ricordato di Nazir, allora li avrebbe accolti a sé ancor più volentieri.

Mentre chiacchierava con Nazir, appunto, per l'accampamento, Raymond si rese lentamente conto che quest'ultimo non era così omogeneo come gli era apparso inizialmente. Le tende dei Falchi Rossi erano infatti tutte strutture leggere, di pelle di capra conciata e tinta d'argilla, sostenuta da pali di legno flessibile tipico del meridione e dell'oriente. Fra di esse però, occasionalmente, il Lancaster notò alcuni tempi di pietra semi-sommersi dalle sabbie; pesanti colonne pendenti; strutture granitiche e squadrate; marmi rettangolari e lapidi bianche abbattute: pietre che lasciavano intuire la presenza di grosse rovine sepolte sotto l'accampamento, come se quel luogo fosse stato tempo addietro ospite di una grande e antica città.
Passando innanzi ad una delle costruzioni in pietra più imponenti - un marmo bianco simile a un tempio greco che affondava per buona parte nella sabbia - Raymond decise di interrogare Nazir a riguardo.

« Ah, questa essere zona molto conosciuta nel Deserto dei See. » gli rispose « Un tempo qui essere stata grande città molto potente; poi mostro abitato qui per anni. Mostro creato da uomini senza fede, poi scomparso nel corso di Guerra di Crepuscolo. »
« Un mostro? »
« Lo Honger. Voi chiamavate lei Chimera. Honger scomparso dopo grande guerra, e più fatto ritorno. Oggi questo è sito sicuro, e offre riparo da Getye. »

Raymond aveva sentito soltanto parlare della Chimera. Una minaccia che ad oggi gli pareva tanto lontana da giustificare la sua mancanza di preoccupazioni.
Pareva che un tempo alcuni uomini avessero compiuto un esperimento per tentare di ricreare artificialmente un Asgradel, nei territori del meridione. Naturalmente la cosa era completamente sfuggita al loro controllo, e la bambina che era stata tristemente soggetta di questo brutale affronto al Sovrano aveva sviluppato una potenza tale da indurla a distruggere completamente lo stabilimento nel quale era stata generata, eliminando i propri stessi creatori. Tale creatura aveva preso poi il nome di Chimera, divenendo una minaccia consistente per il regno, ma facilmente controllabile, giacché raramente quest'ultima sentiva la necessità di abbandonare i propri luoghi d'origine.
Cosa che tuttavia inconcepibilmente fece nel corso della grande guerra, dirigendosi a nord. Qui i rapporti si facevano ben più nebulosi, ma Raymond sapeva con certezza che la Chimera non era più tornata a meridione dopo la guerra del Crepuscolo; oppure, se l'aveva fatto, non era più stata una minaccia per nessuno.

La consapevolezza di trovarsi nel bel mezzo dell'epicentro di un fatto storico di così grande importanza per il regno gli fece salire un nodo alla gola. Nazir se ne accorse, e gli batté con allegria una mano sulla schiena.

« Tranquillo Raymond! » esclamò « Noi essere qui solo perché campagna contro orchi condotto noi fino a rovine! Lo Honger no esiste più da lungo tempo! »

Il Lancaster gli sorrise con condiscendenza, senza lasciarsi abbindolare del tutto dalle sue parole. La realtà era che si trovavano in un luogo che era stato il fulcro di grandi eresie e rituali corrotti, e non si sarebbe sentito tranquillo fino a che lo stesso Sovrano non gli avrebbe mostrato di essere effettivamente al sicuro.

Il loro chiacchiericcio finì col condurli innanzi a un padiglione molto ampio, che pareva contenesse i feriti e gli ammalati. Fu lì che Nazir lo abbandonò, salutandolo e tornando ai propri affari, invitandolo ad entrare nella tenda.
Quando scostò il cuoio che ne otturava l'entrata, il Drago Nero venne accolto da una zaffata di fumo pesante e dall'odore di incenso. L'interno della struttura era invasa da una nebbia dall'odore di medicinale che impediva di scorgerne le pareti e che fece lacrimare copiosamente gli occhi del Lancaster.
Sentì un rumore di legno che batte contro legno, leggero e ripetuto. Poi scorse la figura di un uomo di spalle che pareva lavorare con un piccolo mortaio ad un bancone da alchimista.
Capelli rossicci, alto, vesti lussuose rosse e oro, pelle color bronzo.
Il viso di Raymond si schiuse in una incontenibile espressione di gioia.

« Alexei! »

[...]

Fu in imbarazzo persino solamente al pensarlo, ma Alexei era divenuto ancora più bello di quanto ricordasse.
I gioielli e la pelle ormai scura donavano ai suoi tratti androgini un fascino esotico difficile da classificare, ma che al tempo stesso catturava il suo sguardo e gli impediva di fissarlo dritto negli occhi.
Si erano salutati calorosamente, e fu con grande piacere che Raymond notò che l'uomo del settentrione lo trattava come se non si fossero mai lasciati. Si raccontarono delle proprie esperienze e, più in generale, passarono l'intera giornata davanti a due tazze di té nero a chiacchierare e ridere di tutto ciò che era loro successo nell'anno trascorso che li aveva separati. Con lui il Lancaster si sentiva al sicuro: da quando si era unito alle forze dei quattro regni poteva dire di non aver mai incontrato una persona che gli fosse realmente amica, escluso l'ora reietto Shakan Anter Deius; l'incontrarsi nuovamente con Alexei fu dunque per lui una vera e propria panacea. Risollevò il suo spirito e tolse dal suo cuore un peso difficile da portare con sé, stupidamente aggravato dal suo stesso remarvi contro.

« Dimmi di te, invece. » concluse Raymond, passando la palla di un lungo discorso al suo interlocutore « L'ultima volta che ci siamo seduti ad un tavolo stavi per lanciarti in una campagna contro i pelleverde con i Falchi Rossi; non mi sembra che tu abbia fatto grandi progressi, da allora. »
Ridacchiò con malizia, e l'altro gli rispose inarcando le sopracciglia con aria scherzosamente permalosa.

« Se potessi ordinare ai Rooi Valke di cessare i combattimenti lo farei; sai bene che non sono io il loro capo, nonostante l'insensata ammirazione che provano nei miei confronti. »
« Potresti tuttavia persuaderli. Sono certo che molti di loro pendano dalle tue labbra oggi come allora. »
« Ed è proprio per questo che non lo farò. Chi sono io per esercitare un potere tale da impedire loro di inseguire una così radicata vendetta? »

Alexei sorseggiò un po' di té.
« Il comando non fa per me. Mi limiterò a fare ciò che ho sempre fatto: seguirò i Rooi Valke e presterò loro consiglio quando verranno a chiedermelo. Altrimenti mi limiterò a guarire i feriti e curare gli ammalati. »
« Qualcuno però deve pur detenere il comando. »
« Vuoi dirmi che Nazir non ti ha raccontato della sua elezione? »
« Nazir?! »

I due si lasciarono andare ad una risata gioviale; fra tutti gli uomini il Lancaster non avrebbe mai immaginato che l'amichevole personaggio color carbone che tanto gli era amico fosse oggi il comandante dei Falchi Rossi.
Tuttavia in quel frangente Raymond notò una traccia di inquietudine negli occhi di Alexei, e tanto bastò perché se ne preoccupasse subito.

« Mi sembra però che tu mi stia nascondendo una certa preoccupazione. Dubiti forse che Nazir possegga le qualità del capo? »
gli arrise, e l'uomo del settentrione scosse la testa.

« Affatto. Nazir si è dimostrato un comandante eccellente, e ha bisogno dei miei consigli sempre meno. Ormai neppure io sono messo al corrente di tutte le sue decisioni, ed è giusto così. »
Il suo sorriso svanì lentamente dopo la conclusione di quell'affermazione, mentre si apprestava alla successiva confessione.
« No. Ciò che in realtà mi preoccupa è il destino dei nostri esploratori. Li abbiamo allontanati qualche giorno fa, e non ancora fatto ritorno. Ormai avrebbero dovuto essere qui da qualche tempo. »

Raymond capì che era per quella ragione che i Falchi li avevano avvicinati così facilmente nel deserto. Probabilmente da lontano li avevano scambiati per i loro stessi esploratori.
« Non hai ragione di sentirti in colpa, Alexei. Non puoi fare nulla per quegli uomini, se non attenderli. »
« La mia è solo preoccupazione, infatti. »

Il silenzio fra loro durò solo un attimo.
« Siamo nella stagione di Golwe, come la chiamano gli uomini di qui. Fra poco si alzeranno le Getye, e uno sparuto gruppo di uomini non è in grado di affrontarle, senza adeguate protezioni. »

« Getye? »
chiese Raymond, maledicendo la sua ignoranza nella comprensione delle lingue meridionali e ricordando che anche Nazir le aveva precedentemente nominate.

« Tu le chiameresti Maree. Gigantesche tempeste di sabbia che durano per giorni e coprono ampi tratti del deserto. Sono in grado di avvolgere intere cittadine e impedire ai loro abitanti di uscire dalle proprie abitazioni per anche una settimana. Ho insistito perché non ci avventurassimo così a meridione in questo periodo dell'anno, ma Nazir ha insistito così tanto che infine ho ceduto. »
« Sono certo che i tuoi esploratori sappiano a cosa vanno incontro. Vedrai che faranno ritorno prima dell'arrivo di una Marea. »
« E' ciò che spero. »

Il Lancaster si avvicinò verso di lui e gli batté una mano sulla spalla con tono comprensivo.
« E' inutile affliggersi, Alexei; non puoi combattere il Sovrano o le sue opere. Abbi fede, e vedrai che i tuoi uomini troveranno la forza per tornare all'accampamento in tempo. »

Lesse nello sguardo del suo interlocutore la mancanza di fede, ma non ci fece troppo caso. Il culto del Sovrano era ancora odiato e sottovalutato dai più, dunque per Raymond non era raro incrociare occhiate di disprezzo o scetticismo ogni volta che dalle sue labbra fuoriusciva il nome del suo Dio. Tuttavia, Alexei era un uomo saggio e moderato; uno di coloro che sono in grado di passare sopra ad una piccola incomprensione, in nome dell'amicizia.

« Sono felice che tu sia qui con me, Raymond. »

Il Lancaster arrossì.
« Io pure. E lascia che quest'oggi ti dia la risposta che non ti aspettavi un anno fa: »

« Sarò felice di unire le mie forze alle tue per combattere i pelleverde. »



CITAZIONE
Perfetto, proseguiamo. Perdonatemi il leggero ritardo nella risposta e per eventuali errori: non ho avuto il tempo di rileggere.
Il prossimo post sarà prettamente esplorativo: nonostante questo post sia già ben pregno di nozioni riguardo all'ambientazione nella quale si svolge la quest, ve ne sono molte altre che ho progettato ma omesso volontariamente. I vostri personaggi hanno ora la possibilità di esplorare liberamente l'accampamento dei Rooi Valke, giacché il prossimo turno sarà gestito come quest "da tavolo". Fate esplorare i vostri personaggi, fateli chiedere e io vi risponderò, mettendovi innanzi a determinate situazione. A differenza di quanto fatto nella quest "nello stern", tuttavia, non sarò io a dirvi dove terminare il vostro post, ma voi stessi. In qualsiasi momento potrete dirmi: termino l'esplorazione e postare nella quest il resoconto narrativo di tutto ciò che avete ottenuto. Faccio un esempio pratico dell'utilizzo del topic in confronto:

• UTENTE: Raggiungo il padiglione dei malati e chiedo se posso aiutare in qualche modo.
• QM: I guaritori ti incaricano di aiutarli con la gestione degli strumenti medici, ma prima ti dicono che per restare con loro dovrai bere una tazza di liquido denso e fumante. Un vaccino.
• UTENTE: Lo bevo.
• QM: Il liquido è amarissimo e rischi quasi di svenire, talmente è disgustoso. Superato il momento aiuti i medici e finisci con stringere amicizia con alcuni fra loro.
• UTENTE: Approfitto del legame instaurato per chiedere informazioni sui feriti.
• QM: Ti raccontano dell'ultima battaglia con i pelleverde.
• UTENTE: Ok, basta così. Posto. (e nel post saranno narrati gli eventi sopra descritti)

Non ci sono luoghi particolari che potete esplorare nell'accampamento, che è all'aperto e non dissimile da come potete immaginare: ci sono i camminamenti, le fucine, fuochi attorno al quale si raccolgono gli uomini, numerose tende dormitorio, alcune tende ospedale e un paio di padiglioni dove stanno i comandanti dei Rooi Valke. Tutt'intorno la zona e costellata dalle rovine della cellula di babilonia, giacché il campo è costruito - come detto nel post - sulla ex città che è stata il centro nevralgico della fazione "La Brama e la Chimera": [LiNk]. Potete fare ovviamente anche domande a riguardo, o darvi all'esplorazione delle strutture più grandi. Le rovine sono costituite da strutture di pietra sommerse dalla sabbia e ormai pericolanti, palesemente abbandonate da tempo.

 
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Vrastax Victorian
view post Posted on 16/10/2012, 15:02




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L’entrata nell’accampamento di quegl’uomini marroni sollevò il morale a molti degli arrivati, Vrastax compreso. Nemmeno il sole che da quella distanza sembrava essere dieci volte più grande poté intimorirli; inizialmente alcuni dei guerrieri cambiarono di nuovo abito mentre prendevano, chi con cortesia chi con molta poca accortezza, i drappi che erano stati offerti all’intero gruppo, molti accettarono altri invece preferirono fin da subito ubriacarsi di una strana sostanza amara che Vrastax assaggiò soltanto. La confusione di quel momento portò il Vittoriano a dileguarsi dal resto dei suoi compagni e ne fu parecchio compiaciuto perché nessuno lo fermò.
A differenza di tutti però era stato costretto a rifiutare i doni dei suoi nuovi alleati; le sete, cosi come gli indumenti di vari colori che gli erano quasi stati regalati finirono nelle mani di altri guerrieri. Vrastax non poteva togliere l’armatura, quella che aveva addosso non era una semplice corazza di cuoio comprata da un fabbro armaiolo, quella era la pelle dei suoi fratelli e sì, pure la sua.
Esplorare l’accampamento fu più facile del previsto per quanto grande e immenso potesse apparire, la distribuzione delle tende era caotica certo ma la diverse peculiarità dei padiglioni riuscirono a far muovere tranquillamente il cavaliere tra di esse. Camminava lentamente mentre sempre più sabbia si infiltrava nella sua grigia pelle, ai fratelli non piaceva quel caldo asfissiante, li innervosiva e quasi per compassione e in qualche modo riconoscendo pure il loro fastidio come suo tentò di tenerli occupati ricordando loro perché erano giunti fin là, in terre desolate, un mondo nuovo che i Vittoriani non avevano quasi mai visto. Forse una volta avrebbero apprezzato quelle distese dorate che sembravano vivere in un’eterna pace fatta di sussurri e a volte, la sera, fatta persino di freddo.
Quanta maestosità potessero avere quei luoghi solo Vrastax pareva saperlo.
Nei giorni del pellegrinaggio l’Ultimo apprese comunque alcune nozioni importanti che forse in futuro gli sarebbero servite, prima fra tutte era stato sapere chi fosse a capo di quel contingente: il suo nome era Raymond Lancaster, un mezzo sconosciuto per il paladino, mezzo perché l’aveva già sentito nominare a Basiledra ma per le sue orecchie era del tutto nuovo quel nome, talmente nuovo da metterlo subito da parte perché non destò il giusto interesse fra i suoi fratelli.

« Dicci dell’altro. » Fece uno di loro.
A volte gli sembrava che dentro di sé non vivessero degli uomini ma solo degli stolti a cui piaceva combattere e uccidere, probabilmente durante tutto il tragitto avevano dormito o meglio non si erano curati abbastanza nell’ascoltare quello che l’Ultimo aveva udito e appreso in quei giorni terribilmente caldi. Cominciò a parlare nella propria testa con calma prendendo i giusti momenti per ricordare, in qualche modo l’unione aveva fatto sì che lui potesse entrare nei ricordi dei suoi antenati mentre quest’ultimi invece no.

« …ciò che mi avevate rivelato si sta esaudendo, forse in questo viaggio avrò – » Si fermò, rendendosi conto di aver sbagliato. « – avremo le risposte che stiamo cercando, fratelli Vittoriani. »

Molti furono compiaciuti da quella risposta altri più fervidi cercarono invece di sapere dell’altro, forse volevano qualcosa che Vrastax non poteva mai immaginare di pensare.

« Siamo desiderosi di apprendere altre nozioni riguardante questo popolo, più per nostalgia di vecchie epoche ormai perdute che per vero e reale interesse. »
« Farò ciò che mi chiedete ma ad una sola condizione. »

[…]

Fermarsi di fronte a quattro guerrieri con in mano la propria arma non era forse la cosa migliore da fare, ma Vrastax fu comunque deciso a non proseguire oltre. Tutti e quattro avevano la pelle scura e solo uno di loro non indossava niente sul torace; la loro attenzione nel curare le proprie armi era talmente morbosa da non accorgersi nemmeno della venuta del cavaliere, Vrastax li osservò per qualche istante notando come la loro pelle potesse essere cosi lucida da riflettere quasi i raggi del sole. Non aveva idea di cosa dire, ne tanto meno di come presentarsi, a dire il vero non seppe neppure se la sua lingua fosse conosciuta in quei territori del deserto.

« Da quanto tempo siete qui? »
Nessuno gli rispose, forse aveva parlato troppo piano, forse aveva ragione riguardo alla lingua.
« Come fate a rifornirvi in mezzo a tutto questo deserto, uomini marroni? »
Ancora nulla, uno di loro però alzò lo sguardo e, vedendolo, cominciò a ridere e gli altri notando ciò che stava facendo lo seguirono mentre osservavano Vrastax che adesso era più dubbioso che mai sul perché lo stessero deridendo. Forse aveva raccontato una storia divertente.
Forse…

« Metallo… armatura… e deserto? No guerriero, no! »
Un pisciarsi dalle risate.
Forse aveva ragione.
E uno di quelli che era vestito interamente con drappi di colore grigio e rosso sghignazzò, si stava proprio divertendo con Vrastax assieme i suoi compagni d’arme, del resto il Vittoriano arrivò a capire un po’ dopo il motivo di quella tanta e semplice gaiezza. D’altronde avevano ragione a ridere di lui eppure i suoi fratelli cercarono di percuoterlo di fronte a tanta beffa, non volevano che il rispetto e il timore che avrebbero dovuto provare per lui scemasse con tanta semplicità. Affrontali e fa vedere perché vive con noi il metallo, urlarono alcuni.
Uccidili tutti, gridarono altri.

« Noi Rooi Valke essere nati nel deserto See, mai abbandonato deserto, mai. » Almeno sapevano parlare la sua lingua, di questo Vrastax poté esserne rassicurato.
« Noi uomini maroni non avere bisogno di regali. » Il guerriero prese una pausa guardando gli altri suoi compagni.
« Noi sapere luogo dell’acqua e delle carni e delle piante e di tutto, uomo metallo. »
Un’altra pausa e un altro sorriso di scherno, quello dal torace scoperto si alzò e si fece avanti fissandolo con occhi sognatori forse un po’ per ammirazione. Prese la sciabola conficcata sul terreno e, estraendola, la puntò dritta in faccia al Vittoriano. L’Ultimo inizialmente non capì, fu sorpreso da quell’azione sproposita, che fossero come impazziti di fronte alla sua armatura? Poi però si dovette ricredere quando uno dei guerrieri che ancora non aveva parlato disse che l’avrebbe voluto sfidare solo per divertirsi un po’, nulla di che preoccuparsi quindi.

« Tu sembrare essere un forte guerriero, tu attaccare me e io attaccare te! »

Ancora quel sorriso. I suoi denti erano bianchi come il latte e creavano uno strano contrasto con la pelle scura e levigata che avevano, sembravano essere carboni vivi, più neri che marroni rifletté meglio Vrastax, a dire il vero però quel colore non era simile fra tutti e quattro, affatto, ognuno possedeva diverse e meravigliose tonalità. Cosi come lui ne era affascinato persino loro sembravano esserlo. Creature di altri mondi pensarono tutti, creature figlie della notte e del fuoco sembrano essere dissero alcuni. La sfida che gli fu lanciata però aveva già fatto il suo corso nelle menti dei Mille, avrebbero accettato con molta, molta voglia quello scontro e per questo Vrastax aveva deciso di prevenire e intervenire su ciò che sarebbe potuto accadere, e la sua condizione per il desiderio dei suoi fratelli era stata proprio questa:
non combattere.
Il cavaliere sorrise a sua volta, non erano stati poi cosi tanto furbi i guerrieri Vittoriani a chiedere conoscenze che avrebbero fatte a meno di sapere, del resto la loro voglia di avere qualcosa non si rifletteva mai nel futuro ma più nel presente. Vrastax allora rifiutò con molto e finto dispiacere facendo un passo indietro e mentendo un po’ sulle sue condizioni fisiche.

« Perdonate quest'uomo scortese, sono Vrastax il Vittoriano, ultimo della mia famiglia. Qual è il vostro nome guerrieri del deserto? » Eppure quelle e queste scuse non servirono a niente, la sorpresa dei Rooi Valke nel vedersi rifiutare uno scontro fu talmente evidente da farlo sorridere ancora una volta. Quello che vide nelle espressioni dei quattro fu per Vrastax un momento incerto, un modo per capire quanti problemi avesse creato con un solo no.
Colui che l’aveva sfidato fece una piccola finta con l’arma ma il suo volto, nel momento stesso in cui il paladino continuò a restare impassibile, cambiò totalmente.

« Amren. Kayd. Nazeem. L'uomo che ti ha sfidato è Shadr. »
L’ultimo che non aveva ancora parlato finalmente fece il suo piccolo esordio, sembrava il più intelligente fra tutti.
Shadr ancora impietrito di fronte all’imponente Vittoriano che gli stava vicino fece per muovere un muscolo del braccio ma dopo averci ripensato si ritrovò a imprecare pesantemente nella sua lingua d’origine. E mentre continuava a inveire sul mancato scontro e probabilmente sullo stesso guerriero di metallo decise di andare via senza dire più alcuna parola. « Devi scusarlo, Shadr è un uomo molto orgoglioso delle sue origini e forse voleva semplicemente umiliare il vostro stile di combattimento occidentale. Nulla di più. » Nazeem cercò la conferma negli ultimi due suoi compagni rimasti che, in effetti, non tardò ad arrivare. Poi il quartetto si limitò a parlare di Shadr e di alcune cose che riguardavano le conoscenze di guerriglia nel deserto che loro avevano comunque appreso dai loro comuni nemici pelle verde.

« Cavaliere di metallo sarebbe bello poter scambiare qualche conoscenza delle tue strategie dell’occidente con alcune delle nostre. » Fece una pausa e sorrise. « Cosi magari potrei convincere Shadr che voi dell’Ovest non siete cosi deboli come egli crede. »

Questo Vrastax poteva farlo con o senza il consenso degli altri. Non avrebbe perso tempo a spiegare tattiche militari che in quel deserto sarebbero servite a poco, non avrebbe nemmeno detto come cento cavaliere avrebbero potuto muoversi contro un’orda di nemici in fuga. Lì in quell’angusto territorio neppure il Vittoriano avrebbe saputo cosa fare dei suoi mille uomini.

« Voi siete nati e cresciuti nel deserto, un soldato delle montagne di Erydlyss nasce invece nel metallo, in quel metallo che viene dato alla luce dal fuoco, in quel metallo che muore nel freddo. Noi non abbiamo tattiche strategiche degne di un buon condottiero, la nostra unica arte bellica è il metallo, il lungo metallo freddo e affilato che penetra nella calda carne di un uomo. »
Allungò un braccio verso Nazeem.
« Noi abbiamo questo, la vita del grigio ferro che scorre in noi. »

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L’arto cominciò a trasformarsi e a prendere le forme di una lunga scimitarra, la stessa con la quale poco prima era stato sfidato da Shadr. Questa volta era proprio lui a sorridere mentre i tre Rooi Valke rimanevano letteralmente a bocca aperta. Vrastax non aveva più una mano ma solo un’arma pronta a togliere la vita a qualsiasi uomo la sfidasse.

« Incredibile. » Sussurrò Nazeem.

Il quartetto cominciò a discutere su molte cose, alcuni di loro chiesero a Vrastax di descrivere le montagne di Erydlyss, di raccontare loro come avesse potuto acquisire tale potere e poi come si sentisse a non avere più una mano ma un’arma mortale, gli chiesero chi fossero i suoi antenati e dove adesso riposavano. Il Vittoriano fu felice di rispondere a tutte le loro domande e fu orgoglioso di parlarne mentre la nostalgia lo assaliva. Ricordava ancora molte cose del suo passato, molti giorni che aveva trascorso con i suoi fratelli e la sua famiglia, evitò di parlare però delle cose peggiori, della morte dei Mille e della loro tragica ascesa al suo corpo, evitò di parlare di suo figlio e della sua amata, dei momenti peggiori della sua vita. Raccontò loro tante di quelle che cose che a Vrastax sembrò di leggere un libro.
La malinconia si prese cura delle sue parole e dei suoi toni, usò frasi semplici e tristi allo stesso tempo, a volte sorrideva altre volte invece era troppo infelice per poterli fissare negli occhi.
Respirò profondamente quando finì di parlare.

« Sai uomo di metallo? Ti ammiro molto. » L’ennesimo sorriso, questa volta non di scherno.
« Il deserto è un territorio angusto ma allo stesso tempo colmo di meraviglie e sorprese. Proprio cosi, sorprese. Nel deserto d’oro non vince il più onorevole, o il più forte. Nel deserto d’oro vince l’astuzia, la conoscenza della distesa e delle dune. Noi Rooi Valke abbiamo appreso molto dai nostri nemici comuni: i pelle verde. Aspettati di tutto da questi infidi mostri, aspettati delle trappole, delle pietre che esplodono, aspettati di vedere fumi e travestimenti. » Si fermò assumendo un espressione seria e preoccupata.

« Aspettati di morire, amico del ferro. »
« Lo farò, amico del deserto. »






CITAZIONE
energie: 98%
abilità attive: manipolazione del metallo (consumo basso)
 
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J!mmy
view post Posted on 17/10/2012, 17:12




Prima ancora che una donna, Rekla era una guerriera.
E come guerriera aveva appreso tante, troppe verità sulla guerra e sugli infiniti modi di incontrare la morte. Lei stessa, dopotutto, ne era parte indissolubile; incaricata a discernere, cacciare e ghermire le anime più logore per incatenarle alla sofferenza e divenirne solenne guardiana.
Un emissario spedito per uccidere: questo lei era.
Una vita dura, rozza e impietosa che non poteva certo dire di aver mai rispettato. Una vita che ora l’aveva condotta nel bel mezzo di un deserto, talmente torrido che persino l’inferno stesso che l’aveva forgiata ne avrebbe nutrito profonda invidia. Ma un paio di cose, su quell’atroce tortura di fuoco, la Nera le aveva proprio capite. Benché la sua carne fosse oramai divenuta dura e resistente come la scorza ruvida e venefica di uno scorpione, Rekla aveva intuito quanto il deserto fosse una macchina assai ben oliata, dove fauna, sabbia e clima s’incastravano gli uni agli altri in un truculento mosaico antico quanto il mondo e letale quanto il male che vi albergava.
Aveva anche capito che il sole, fiammeggiante e caldo nel suo letto di luce color oro, sapeva essere - invero - un avversario subdolo, dal cuore rosso come sangue e dita nere come catrame;
un nemico che sarebbe meglio non sfidare mai.
Fu forse per questa ragione che non esitò un istante. Il pettorale di acciaio scivolò via lentamente per lasciare spazio a drappi di tela biancastri squallidi e sdruciti, segno della loro ovvia e strabordante vecchiaia. La cappa che le avevano donato si adagiò sulle spalle con morbidezza, calzando alla perfezione le prospere forme della fanciulla, mentre il cappuccio della sottoveste ricadeva cauto sulla fronte e sugli occhi. Rekla abbassò lo sguardo e si concesse qualche attimo di sdegno per il copricapo che stringeva tra le dita. Avrebbe dovuto metterlo, probabilmente, ma infilarsi quella cosa l’avrebbe fatta sentire stupida e ridicola di fronte ai suoi soldati, senza contare che le ricordava dannatamente l’uomo la cui esistenza aveva sradicato con ferocia e violenza inaudita: Asad, lo chiamavano.
In realtà, ogni fottutissimo uomo di quell’accampamento non faceva che ricordaglielo.
Strinse le palpebre, cercando di scacciare via il ricordo di quei suoi duri occhi nocciola che le scavavano nel cuore, prima che una lama amica precipitasse su di essi per staccarli definitivamente dal resto del corpo. Il fu guardiano del Clan Toryu era stato uno dei suoi più degni avversari... e lo aveva oltraggiato eliminandolo con un meschino trucco da guitto: neppure lei avrebbe saputo dire con certezza se avrebbe mai potuto perdonarselo, né quando.
Fece cenno ad una delle guardie – delle sue guardie – di disfarsi di corpetto e turbante, quindi lo congedò. Quello annuì seccamente per poi essere inghiottito dal frenetico andirivieni di uomini e animali dell’avamposto che era affiorato sul loro cammino come un miraggio tra le alte dune del Deserto dei See.
Fu allora che si avvicinò a uno dei beduini e domandò lui dove poter trovare un alchimista; il perché era qualcosa che non lo riguardava. L’uomo portava fasce strette sul volto che lasciavano a malapena scoperti occhi e naso, ma fu facile percepire la sua espressione stizzita, quasi stesse domandandogli qualcosa che perfino i sassi potevano sapere. Come prevedibile, tuttavia, quel bifolco le fu pressoché inutile: si limitò ad indicarle pigramente il padiglione dei feriti, aggiungendo qualcosa d’incomprensibile – una descrizione, forse – su di un certo Alexei.

« Tu non può non riconoscere! » aveva farfugliato alla fine.
Priva di alternativa, Rekla iniziò dunque a camminare verso l’interno dell’accampamento, speranzosa di poter contare almeno su quel suo naturale spirito di orientamento che non osava mai abbandonarla. Più si addentrava nel campo, però, più il numero delle tende si moltiplicava, accomodandosi le une accanto alle altre come fossero piccoli formichieri fatti di stoffa e pelle conciata. Improvvisamente, l’ottimismo cedette il passo a un’irritante confusione.

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I passi della mercenaria parevano come scanditi da un costante tintinnio di ferro che incontrava altro ferro, derivanti dalle forge e dalle fucine che puntellavano l’intero fossato interno ai camminamenti della palizzata. Per un attimo, ebbe come l’impulso di voltarsi, montare in sella e filare via, noncurante di ciò che sarebbe accaduto dopo;
ma doveva trovare quell’uomo, doveva farlo, le serviva.
Quando alcuni guaiti la raggiunsero dallo stomaco di un’ennesima casupola di tela a svariate falcate di distanza, il giorno parve assumere tinte ancor più luminose. Le labbra si ammorbidirono per il sollievo, le dita corsero alla nuca per ravviare un ciuffo di capelli oltre l’orecchio e raccogliere il resto in una voluminosa e fluente coda d’inchiostro celata dal cappuccio. Solo quando fu abbastanza vicina, infine, capì che quei vagiti altro non erano che lamenti di dolore di oltre una decina di feriti di guerra, una guerra rovinosa e devastante, a giudicare dalle loro urla.
Nei pressi della soglia del padiglione scorse una figura femminea avvolta in drappi sudici e simili ai suoi che la fissava, e la fissava, e la fissava, come in titubante attesa di un qualche suo gesto.
"Che fosse una pezzente in cerca di facile danaro?", si domandò. Perché, se così fosse stato, avrebbe ricevuto una grossa, grossissima delusione: se un briciolo di gentilezza aveva resistito in lei, infatti, di certo era già stato ingoiato da quanto di più malato e perverso imputridiva il suo animo, divorato, come uno squalo che trangugiava un pesce assai più piccolo e innocente.
Quando gli occhi della donna incontrarono quelli di lei, Rekla ebbe però come la visione di un evento già accaduto, di uno scontro rinchiuso tra le sbarre solide di una prigione lontana e sperduta tra le onde, di un destino di fragili e impudenti insetti spintisi troppo oltre nelle viscere di una struttura che adesso solo bardi e vecchie baldracche osavano gorgheggiare col suo vero nome: Arvhega.
Ma certo, ora ricordava: quella era l’elfo che Vhagar aveva scelto per la missione,
solo un’altra delle mille pedine mosse dalla sorte per diletto.
Decise comunque di ignorarla, giacché altri erano i pensieri a cui dare urgenza. Tuttavia, prima che varcasse la soglia e sparisse nella tenda, Rekla si fermò, lo sguardo vagante dinnanzi a sé, la spalla destra a sfiorare quella snella e puntuta della ragazza.

« Ma guarda, chi non muore si rivede » bisbigliò caustica a mezze labbra.
Era meglio che nessuno si accorgesse della loro conoscenza, per evitare ogni sorta d'impedimento.
Aveva rischiato troppo, perché un’inutile ragazzina rovinasse tutto proprio adesso.
Sorrise; un ghigno pernicioso, tutt’altro che rassicurante.
« Non metterti nei guai, stavolta. »


[…]

Quando le falde si richiusero, un opprimente stato d’oscurità s’impadronì della tenda.
Rekla avanzò prudentemente, allineando passi stretti e meticolosi. L’ultima cosa che desiderava era imbattersi nel sangue di uno qualunque di quei sudici beduini. Le loro grida, straziate dalla sofferenza, riempivano il silenzio così come l’odore d’incenso, accavallandosi le une alle altre ed imprimendo nella Nera un intimo sapore di autentica compiacenza: chi aveva detto che l’inferno fosse solo sotto terra?
Ad appena pochi metri più in là, una figura slanciata e dal crine rossiccio armeggiava con piccoli utensili di legno, china su quello che sembrava proprio un banco da alchimista. A differenza della quasi totalità degli eremiti dell’avamposto, l’uomo indossava abiti sontuosi, vesti rosse dagli stornelli ricamati in oro. Quella sua straordinaria pelle color d’ambra, poi, gli conferiva un fascino tutt’altro che esotico, brillando persino in quel buio tanto fitto. Era lui, non v'era alcun dubbio.

« Sei tu Alexei? »
Non appena Rekla parlò, i lamenti dei feriti parvero zittirsi, come se quella domanda li avesse in qualche maniera turbati o offesi.

« Chi lo cerca? » chiese lui a sua volta, senza sollevare lo sguardo dal bancone.
La lagna riprese, incapace di trattenersi oltre, e l’aria si svuotò di un po’ di quella tensione che Rekla aveva sentito appiccicarlesi addosso fin dal primo momento. Era ovvio che non la conoscesse, altrimenti sarebbe bastato anche il solo tono di voce a farlo scattare sull’attenti come un soldatino riverente.
Si costrinse a un’espressione quanto più cortese possibile, quindi.

« Rekla Estgardel, Protettrice del Sud » chiosò secca, perentoria.
Dal modo in cui il guaritore aveva disteso il collo e incrociato gli occhi con i suoi, la donna capì che si, la presentazione aveva sortito l’effetto sperato.

« Come posso esserti d’aiuto? » domandò garbatamente.

« Mi è giunta voce della vostra encomiabile abilità nella creazione di filtri, nonché della vostra straordinaria maestria nel combattimento. »
Alexei tornò al suo da farsi con indifferenza, ignorando le lusinghe. Ebbe come l'impressione che costui avesse perso interesse in lei o che fosse semplicemente in disaccordo con quanto appena detto. Dopotutto, pensò la Nera, cosa poteva saperne un medico dei combattimenti?
« E si da il caso che sia qui perchè ho urgente bisogno di un veleno in grado di paralizzare e di un unguento curativo. »

« E si da anche il caso, protettrice, che dovrò deludere le tue aspettative. Come puoi ben vedere le scorte scarseggiano, gli orchi ci hanno tolto quasi tutto e i feriti aumentano di numero e gravità giorno dopo giorno. Posso darti solo il veleno, ma non posso fare di più. »
Il modo in cui Rekla corrugò la fronte e si mordicchiò il labbro inferiore lasciò trapelare larga parte della collera e del disprezzo per quelle circostanze tanto cariche di scalogna. Ma, fortunatamente, Alexei non lo notò.

« E sia » disse deglutendo.
I momenti che succedettero a quell’incontro mostrarono una Rekla irrequieta alle prese con un interlocutore gentile e gelido al contempo, quasi si premurasse di tenere le debite distanze con probabilmente l’unica vera donna con cui veniva in contatto da mesi, o anche anni. Alla Nera, però, questo non importò. Si limitò a chiedere poche ma dettagliate informazioni sull’impellente stato di guerra in cui versava l’avamposto oramai da troppo, e l’uomo – che aveva ammesso di non aver preso parte né ai combattimenti, né alle decisioni dei capi dei Rooi Valke – le aveva risposto che l’ultimo assalto risaliva a poco meno di sette giorni prima, sottolineando quanto gli orchi fossero diventate creature astute ed organizzate, più di quanto Rekla confessasse di ricordare dai tempi della Guerra del Crepuscolo.
Dov’erano finite le feroci e stupide bestie che aveva condotto personalmente al macello?
Dov’erano finiti quei rifiuti di società, privi di logica e qualsivoglia capacità di pensare?
A dire del beduino, i pelleverde si erano raggrupprati in piccoli drappelli che avevano fatto del “colpisci forte e in fretta” il loro unico vero motto. Era impossibile prevedere dove e quando avrebbero colpito, e la Nera capì che la situazione era assai più pericolosa di quanto si aspettasse.
Solo adesso le appariva chiara la ragione di tutto quel trambusto: erano la loro ultima speranza.
E Rekla Estgardel non era fatta per dare speranza.

« Ecco a te. »
Alexei protese il braccio manco brandendo una piccola fiala verde dal collo esile e lungo. Un cilindrico tappo di sughero ne preservava il contenuto. « Fa’ attenzione, è molto pericoloso. »
Rekla aveva fatto scivolare la boccetta in una tasca all’interno della tunica, quindi si era dileguata congedandosi dall’alchimista con quanto di più simile a un saluto potesse sgorgare dalle sue labbra. Solo mentre si allontanava, però, Raymond Lancaster, l’uomo che più di chiunque in quel posto avrebbe dovuto assolutamente evitare, affiorò dalla stoffa come un corvo portatore di sciagure. Dal canto proprio, Rekla si limitò ad annuire, scambiando col capitano solo un’ennesima vana conferma del fatto che nessuno dei due si sarebbe fidato dell’altro. Una constatazione scomoda, certo, ma doverosa.
Una volta fuori dal padiglione, infine, rinfrancata dalla luce del giorno che accarezzava dolcemente gli zigomi, si appressò a tre dei suoi uomini intenti ad abbuffarsi a una tavolata vicina: c’era pane nero, sul legno, con montagne di rape, pannocchie dolci, fave, cacciagione stufata in birra e orzo e qualunque altra misera leccornia il Deserto dei See potesse offrire loro.
Un piacere, per loro sfortuna, cui sarebbero stati costretti a rinunciare presto.

« Vi voglio fuori dall'accampamento entro un'ora. »
L’ordine del Cerbero schiaffeggiò gli esploratori con rabbia.
L’idea che i pelleverde potessero rappresentare anche minimamente una minaccia per lei e per il suo feudo le faceva venire il voltastomaco. Doveva debellare quel morbo prima che si estendesse oltre, doveva sopprimerlo una volta e per tutte.
« Voglio che qualunque cosa sentiate, qualunque cosa scopriate o qualunque insetto avvistiate in questo dannato deserto mi venga immediatamente comunicato. Intesi?! »
Doveva essere pronta.



Ok, lo confesso, mi devo ancora abituare a questo nuovo meccanismo, ma farò del mio meglio perché i post siano quantomeno di vostro gradimento, a cominciare da questo. In termini di background, Rekla è semplicemente spaventata dall'idea che gli orchi - ben più organizzati e minacciosi di quanto ricordasse dal Valzer, a dire di Alexei - estendano la loro influenza fin nel suo feudo, dove gli Occhi Verdi (fazione d'orchi stanziata a Belfurth e la cui descrizione è reperbile nel glossario a fondo scheda) potrebbero farne uso per costituire una vera e propria armata, diventando un nemico tutt'altro che governabile e minacciando la tanto faticosamente riguadagnata stabilità politica del meridione.
Ammetto inoltre di aver terribilmente accorciato il dialogo con Alexei per non appensantire il post più di quanto non abbia già fatto. Spero vada comunque bene. ^^
 
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view post Posted on 18/10/2012, 11:45

Esperto
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Chiazze lucenti le danzavano sulle palpebre; forme indistinte fluttuavano dentro e fuori la sua coscienza, mentre un ostinato brusio le riempiva le orecchie. Era viva. Bastò il lampo di questo pensiero per farle spalancare gli occhi, allarmata dall'idea della sua vulnerabilità in luogo sconosciuto.
Ma almeno per il momento, non sembrava esserci pericolo.
Cercando di rimanere immobile per non attirare l'attenzione gettò lo sguardo tutt'attorno, mentre un odore penetrante di cloroformio e disinfettante le invadeva le narici: decine e decine di brande allineate alla bell'e meglio ospitavano quelli che sembravano, senza ombra di dubbio, feriti di guerra. Nel bel mezzo del deserto? Zaide si erse appena un poco puntellandosi col gomito sul cuscino ruvido, e notò con disgusto la ferita purulenta che infettava la gamba del suo vicino di letto.

- Non è un bello spettacolo, vero?

Zaide sussultò lievemente e si voltò di scatto. In piedi accanto a lei, un uomo dall'aspetto enigmatico ma gentile le rivolse un breve sorriso prima di accostarsi al letto del ferito.
Qualcosa nei suoi modi le suggeriva che non fosse un nemico; forse nemmeno un amico, ma di sicuro non una minaccia. Si issò a sedere sul letto, con qualche strascico di debolezza ma vigile. Osservò lo sconosciuto spalmare una sostanza nerastra sulla ferita nauseante, chiedendosi quale genere di mostro potesse aver provocato quella carneficina. Nei letti giacevano uomini dall'aspetto più disparato che mostravano tracce di violente colluttazioni, ma anche sintomi più genericamente imputabili alla calura del deserto e agli stenti.

- Difficile che riacquisterà l'uso della gamba. - L'uomo si rivolse a lei, scrutandola con attenzione. - Non è saggio avvicinarsi troppo al filo dell'ascia di un pelleverde. Non puoi mai sapere che cosa ci abbiano spalmato sopra.

Zaide si sentiva quasi ipnotizzata da quegli occhi calmi e profondi; immaginò che infondere fiducia fosse una magnifica qualità per un guaritore, perchè accettò senza discutere la tazza scheggiata che lui le porgeva. L'odore era nauseabondo, e Zaide esitò un istante.

- Chi siete? - sussurrò? - Come mi avete trovata?

L'ombra di un sorriso di divertimento attraversò il volto dell'uomo. - A dire il vero sei tu che hai trovato noi. - ammiccò. - Sarei curioso di sapere con che coraggio una ragazza tutta sola attraversa questi luoghi...avrebbe potuto andarti peggio, molto peggio.

- Io...cercavo... - il pensiero confuso di Caelian le balenò in mente. Ma l'urgenza che l'aveva spinta a mettersi in viaggio senza un vero piano la stava ora abbandonando, sostituita da una nuova curiosità.

- Mi chiamo Alexei - si presentò l'uomo, ignorando l'impaccio della donna. - E dovresti bere quella medicina.

Zaide accostò la tazza alle labbra e ne ingurgitò una sorsata, trattenendo a stento un conato di vomito. Voleva parlargli, doveva parlargli. - Ma perchè l'avete fatto? Perchè mi avete aiutata?

L'intruglio era disgustoso ma infondeva anche una gradevole sensazione di calore che la aiutava a schiarirsi le idee. Alexei parve perplesso alla domanda, ma Zaide sapeva che nel deserto ognuno vive per sé, cerca la propria sopravvivenza: aiutare significa indebolirsi. E morire.

- Non hai mai sentito parlare dei Falchi Rossi? - sorrise, nel notare un'improvvisa luce di comprensione sul viso della donna. - E' passato molto tempo dall'oscura notte delle battaglie del Crepuscolo, forse ne avrai sentito parlare. Senza di noi, forse i morti sarebbero stati molti di più...sopravvissuti alla guerra forse, ma uccisi dal deserto. Molti pensano che in questi luoghi ci si debba arrangiare...Vive solo chi si occupa di se stesso, non so se mi capisci.

Zaide pendeva dalle sue labbra, elettrizzata.

- Noi invece crediamo che uniti i nostri sforzi siano infinitamente più efficaci dell'azione di un singolo, per quanto valoroso. Questa gente - accennò col mento attorno, e Zaide intuì che si riferiva all'intero accampamento - sta con me da allora. Ho aiutato loro - loro hanno aiutato me.

Mentre parlava sembrava perdersi in un mondo lontano. Zaide notò che nonostante i suoi modi fossero affabili, l'intero suo essere era distante e inafferrabile. Continuava a riflettere su ciò che aveva appena sentito, non era possibile che in quei luoghi maledetti dagli dei esistesse davvero qualcuno votato ad assistere il prossimo con tanta abnegazione. Non voleva che lui andasse via. Bevve un'altra sorsata dall'intruglio scuro e mormorò: - Si narrano le storie più abominevoli su queste lande. Cosa vi spinge a muovervi in questo angolo d'inferno?

Alexei esitò un istante prima di rispondere, poi si avvicinò al letto del ferito accanto a lei. Svolse lentamente la benda putrida che fasciava il petto dell'uomo, rivelando una ferita ancora più orribile di quella alla gamba. - I Pelleverde infestano questi luoghi. Non è possibile attraversare il deserto senza incorrere in una loro imboscata, e questo è il risultato, se siamo fortunati. Vogliamo, dobbiamo liberarci di questa piaga.

Le rivolse un mezzo sorriso, e Zaide comprese che la loro conversazione era finita.
Si sentiva vagamente attonita per via di tutto quel parlare di altruismo e aiutare il prossimo. Ma la novità non la disturbava, anzi provava un irrefrenabile desiderio di saperne di più, di capire. Quello era un mondo sconosciuto per lei, e ora che le sue forze stavano tornando si sentiva elettrizzata all'idea di esplorarlo.
Notò una pila di vestiti puliti ai piedi della branda e si cambiò. Erano vestiti da uomo, ma le calzavano. Il mantello di spesso tessuto scuro aveva un odore inebriante, di sole e sudore, sabbia e spezie. Svolse il turbante e lo riavvolse in fasce attorno alla testa, lasciando che i lembi le ricadessero sulle spalle; non stava più nella pelle dal desiderio di uscire.
L'andirivieni nel padiglione era silenzioso ma frenetico; la ragazza si aggirò brevemente tra i letti, scrutando nei volti dei feriti una fortuita somiglianza del giovane di cui era in cerca, senza risultato. Sentendosi osservata, incrociò nuovamente lo sguardo interrogativo di Alexei. - Mi chiedevo se tra queste persone ci fosse un giovane che sto cercando. Ho ragione di credere che possa aver combattuto con voi, da sciocco idealista qual è. Daland è il suo nome...Lo conosci, signore?

L'uomo sembrò frugare brevemente nella memoria, poi annuì con aria grave. - Daland...certo. Lo abbiamo raccolto mezzo morto nel deserto, un po' come te; non aveva casa né uno scopo, e fuggiva da non so quale inferno. Era così confuso e spaventato che impiegò diversi giorno prima di riuscire a parlare. Ma rimase con noi per alcune lune, era un bravo spadaccino quel ragazzo, davvero un buon elemento. Poi una mattina ci siamo svegliati, e lui non era più con noi.

- Intendi dire...

- Ha lasciato il campo di soppiatto, senza un saluto, senza una spiegazione. - Alexei fece spallucce, tornando ai suoi doveri.

Le porse una fiasca di vino prelevata dalla mensola dei medicamenti e le suggerì di tenerla in serbo per quando si fosse sentita debole, ma di nuovo fece capire che la conversazione era conclusa. Zaide infilò la fiasca sotto il mantello e si avviò verso l'uscita, riflettendo su quanto aveva sentito.

Già sentiva l'odore caldo della sabbia e dell'aria secca penetrarle le narici, quando una visione del tutto inaspettata la fece raggelare sul posto.
Come un gatto pronto a sfoderare gli artigli, Zaide socchiuse gli occhi e fissò la donna che si avvicinava, alta e arrogante come se la ricordava. Sembrava trascorso un secolo da quella spedizione a Saasvhar, ma era impossibile dimenticare Rekla Estgardel, la Nera Signora. Che purtroppo sembrava aver riconosciuto anche lei. Ma fortunatamente, sembrava troppo presa dalla sua tronfiaggine per degnarla di un vero saluto. - Ma guarda, chi non muore si rivede - sibilò. Zaide le rispose con un rigido cenno del capo. - Non metterti nei guai, stavolta.

La strega rispose con una smorfia che poteva anche essere scambiata per un sorriso. Non metterti nei guai, stavolta...E chi mi ci aveva messa nei guai, l'ultima volta? Quel piccolo incidente non scalfì minimamente il buonumore che pervadeva il suo animo nel momento in cui mise piede fuori dalla tenda.
Al'esterno, agli occhi di Zaide si spalancò un mondo chiassoso di suoni e colori: grida in idiomi sconosciuti intercalavano i colpi di un martello su un'incudine in lontananza, mentre da qualche parte si udivano cozzare lame e urlare incitazioni; la strega si addentrò nel frenetico via vai di uomini affaccendati in mille mansioni diverse fino a raggiungere una palizzata che delimitava l'accampamento. Gettò uno sguardo rapido all'orizzonte, dove il deserto si prolungava sterminato e letale, finchè si imbattè in un gruppetto di uomini, all'aspetto guardie, seduti su ceppi di legno e intenti a giocare a carte.

L'avevano vista, difficile non notare la cascata di capelli rossi che le incorniciava il viso reso ancora più pallido dagli indumenti scuri; si avvicinò, sfoderando un sorriso affabile.
Odiava gli uomini, odiava il loro modo viscido di guardarla, odiava di doversi sempre confrontare e dimostrare all'altezza. Ma ormai era in gioco, e voleva giocare. Indossò una maschera di cordialità e timidezza, e salutò con calore i tre uomini, domandando di potersi sedere accanto a loro. Estrasse la fiasca di vino e la offrì al soldato accanto a lei, che ne bevve una sorsata entusiasta passando la borraccia ai suoi compagni, che presero a guardarla non più con cupidigia, ma con curiosità.

- Vengo da terre lontane, amici. Ho peregrinato a lungo nel deserto prima di imbattermi in una vostra carovana...Grazie agli dei sono viva per raccontarlo. Mi chiamo Caelian, e ho camminato sin qui da Taanach.

Il più anziano dei tre grugnì qualcosa al vicino, incupito. Si scambiarono un'occhiata sospettosa, ma quando tornarono a posare lo sguardo su Zaide erano di nuovo affabili e bendisposti; la ragazza ringraziò mentalmente la bontà di quel vino speziato del sud, sufficiente a renderla ai loro occhi una presenza gradita.
Voleva, doveva saperne di più, e li interrogò. Chi erano, come erano finiti in quel piccolo esercito, perchè non tornavano alle loro case a condurre vite normali.

- Quale vita? - bofonchiò il primo. - Quei dannati pelleverde sono la nostra croce. Tutto ci portano via, tutto. Se non ci siamo noi a cacciarli dalle nostre terre, quelli ci mangiano anche le case.

Gli altri due annuirono, mormorando approvazione. - I Rooi Valke sono la mia casa, adesso. - esclamò con veemenza il più giovane, un ragazzo lentigginoso che non poteva avere più di diciassette anni. - Da quando...da quando... - Da quando gli hanno fatto fuori la famiglia. - concluse per lui il terzo soldato, un uomo corpulento e dal viso gioviale. - Mai sentito parlare della Guerra del Crepuscolo, ragazzina? Sì? Brava. Quelli di noi che avevano ancora abbastanza forza nelle gambe da stare in piedi avevano due alternative: lasciarsi mangiare dai corvi del deserto, o unirsi ad Alexei. Mai visto uno come lui - i tre annuirono vigorosamente. - E poi, Nazir paga pure bene. - Chi è Nazir? - Nazir? E' il nostro capo. - E indicò con discrezione un punto poco distante da loro, dove un gruppo di soldati confabulava animatamente. Tra loro spiccava la pelle bronzea di un uomo che annuiva con aria grave; da lui emanava un'aura di fiducia e potere facilmente palpabile, e Zaide non ebbe difficoltà a comprendere perchè gli uomini lo seguissero in quelle missioni suicide contro i Pelleverde.

Rimase in silenzio seguendo il corso dei suoi pensieri, mentre i suoi tre nuovi amici brindavano alla sua salute con un altro giro di vino speziato. Tante, troppe cose Zaide non sapeva. Credeva di essersi finalmente costruita la sua vita perfetta con una dimora, una compagna, più potere di quanto potesse immaginare...Ma ora si accorgeva di non sapere davvero niente.

png






Chiedo scusa a Ray se non ho utilizzato tutte le informazioni che ho richiesto nella sessione di confronto: mi sembra di aver scritto un papiro anche così! In ogni caso, anche se non descritta, la mia azione finisce con il breve dialogo con Nazir di cui si può leggere in Confronto, e di cui parlerò eventualmente in flashback nel mio prossimo post. Non c'è molto da aggiungere, spero che il post sia di vostro gradimento!


Edited by Zaide - 18/10/2012, 15:09
 
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view post Posted on 18/10/2012, 15:56
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DESHI BASARA



I tre esploratori fecero schiumare le proprie cavalcature, spingendole più rapidamente di quanto i loro stessi muscoli potessero reggere.
Orchi; ovunque. I pelleverde erano ben più vicini di quanto l'atteggiamento spensierato dei Falchi Rossi avesse lasciato intendere, e Lady Rekla doveva esserne messa al corrente il prima possibile. Sapevano di essere stati avvistati nello stesso momento in cui loro avevano scorto l'armata aberrante: l'infido Deserto non aveva concesso loro il privilegio di nascondersi o muoversi di soppiatto, costringendoli a girovagare in piena vista, certi che non si sarebbero imbattuti in un gruppo di pelleverde così numeroso così vicino all'accampamento.

Il boato provocato dalla marcia degli orchi li raggiungeva a malapena, ma non i loro cori di guerra. Ritmi primitivi, in grado di scuotere le ossa e risvegliare brividi dimenticati fra le scapole, rimasti lì per anni, inconsapevoli del terrore che un solo contesto musicale è in grado di risvegliare.

Avevano vantaggio, però. Sarebbero tornati all'accampamento e lì si sarebbero riorganizzati con gli altri, di sicuro. I pelleverde erano lontani e non potevano raggiungerli in alcun modo, non possedendo cavalcature come le loro. Non avevano di che temere. Niente impediva loro di compiere ciò che gli era stato ordinato. Niente di niente. Bastava mantenere il sangue freddo e ricordare il proprio addestramento, come più volte gli era stato insegnato. Riuscivano persino a vedere la palizzata all'orizzonte.
Niente da temere.
Di sicuro.
Certo.

Fu mentre si rassicuravano con questi pensieri che vennero attaccati.
Qualcosa si sollevò da sotto la sabbia, a poca distanza da loro: figure umanoidi rapide e scattanti, che impugnavano picche di legno lunghe più di due metri. Aste dalle estremità affilate, che affondarono nel corpo dei tre cavalieri. Una decina di troll, emersi da quel mare così simile ad una colata d'oro che era il deserto. Quanto tempo erano rimasti nascosti? Quanti ancora ve ne erano mimetizzati lungo il campo di battaglia?
Gli esploratori vennero scalzati dai loro destrieri, buttati in terra e trafitti con crudeltà inumana, fino a che i loro pensieri non si smorzarono nel dolore, e le loro domande non si spegnessero prive di risposta.
Uno dei troll abbandonò la propria asta nel collo dell'esploratore, rivolgendosi a un compagno poco distante.

« Hulle perde sal nuttig wees. Klink die horing. »
« I loro cavalli ci saranno utili. Suona il corno. »

8tmxw

Raymond udì un corno da guerra vibrare in lontananza.
Dopo tutti gli anni che aveva passato sul campo di battaglia, era divenuto un suono inconfondibile: basso e greve, penetrava nelle ossa di chi gli era più vicino, scuotendone la cassa toracica e dandogli la sensazione che i suoi organi stessero prendendo fuoco. Una singola nota baritona che aveva la principale funzione di diffondere l'adrenalina nei compagni, e il panico nei nemici.

Anche il resto dell'accampamento pareva averla sentita, perché l'indole di negligenza che lo aveva abbracciato fino a quell'istante parve dissolversi con la stessa rapidità con la quale sparirebbe il sonno da un viso schiaffeggiato. I soldati abbandonarono le loro occupazioni e si armarono con grande rapidità, raccogliendosi verso l'apertura nella palizzata che cingeva i padiglioni; molti iniziarono ad urlare ordini nella propria lingua, mentre altri liberarono i cavalli e li montarono senza sella.
Il Lancaster restò paralizzato per diversi istanti di tempo. Da dove veniva lui, le battaglie si svolgevano in maniera ben diversa: serviva una buona mezz'ora di tempo per indossare un'armatura, dieci minuti per sellare un cavallo, un'ora intera per muovere le armi d'assedio e un quarto d'ora per schierare i soldati; i combattimenti non si svolgevano mai così vicini agli stessi accampamenti nei quali venivano stipati i feriti, e i comandanti raramente venivano coinvolti negli scontri.
Lì era tutto differente. L'intero accampamento sembrava essersi sollevato al suono del corno, come fosse dotato di vita propria; come se fino a quell'istante non avesse atteso altro che quel segnale per tornare al proprio consueto aspetto. I vestiti da uomo del deserto permettevano di muoversi velocemente, nascondere le proprie armi e non necessitavano di alcuna preparazione; i cavalli non venivano sellati; tutti quelli con la forza di gridare diventavano comandanti, e tutti quelli in grado di reggersi in piedi diventavano guerrieri.
Nel deserto sopravvivevano solo i singoli, e in quel momento di difficoltà i Falchi Rossi si muovevano come un singolo uomo.

Il clima di caos primordiale che si era generato in pochi istanti finì per coinvolgere persino Raymond, che si mise ad urlare ordini ai propri sottoposti e a chiunque non parlasse la lingua dei Rooi Valke. Solo uno stupido non avrebbe compreso che la battaglia andava compiuta il più lontano possibile dal campo, dai feriti e da chiunque non fosse in grado di combattere, come Alexei.
Gli uomini sciamarono dunque all'esterno della palizzata, ciascuno con il proprio cavallo. Pochissimi erano rimasti appiedati, e ancor meno quelli impreparati alla lotta. Si allontanarono dalla cinta di legno lasciandosela alle spalle, muovendosi compatti, fino a quando non avvistarono i pelleverde in lontananza.

Raymond, che era alla testa del gruppo affiancato da Nazir, fece cenno di fermarsi, alzando la mano.
In realtà, le sue aspettative vennero deluse da ciò che gli si parava innanzi.

All'orizzonte si poteva intravedere una fila di figure a cavallo, pronte alla carica. Non erano più di un paio di decine, quando loro potevano contare almeno una cinquantina di soldati; forse un centinaio. Attaccati ai destrieri stavano alti stendardi grigi e scuciti, rattoppati come il deserto aveva permesso farlo; alcuni di questi rappresentavano un grande occhio; altri una singola zanna felina; altri ancora la forma di un gigante stilizzato, come fosse dipinto da un uomo primitivo: inconfondibili simboli rappresentanti differenti tribù di pelleverde, unitesi tra loro per sconfiggere il nemico.

Le forze degli orchi erano tuttavia terribilmente esigue. Dovevano essersene resi conto anche loro, perché passarono diversi minuti senza che i due schieramenti si mossero: i pelleverde impauriti dalla mole di soldati umani che si erano trovati innanzi, e i Falchi Rossi indecisi sul da farsi. L'unica figura che pareva ansiosa di combattere era quella che soffiava nel corno, riparandosi dietro la figura dei propri cavalieri, continuando ad emettere lunghe note vibranti e dando prova di possedere una capacità polmonare decisamente fuori dal normale.
Questo diede il tempo agli uomini di organizzarsi come Raymond avrebbe voluto sin dall'inizio. Quelli che erano rimasti più indietro raggiunsero il contingente, e tutti i cavalieri si disposero in quattro lunghe file, capitanate dal Lancaster e Nazir. Tutti i guerrieri estrassero le loro armi e si prepararono alla battaglia, benché dalle file dei pelleverde non trasparisse il minimo accenno di carica.

L'uomo dalla pelle scura accanto a lui si accigliò, e Raymond non poté fare a meno di notarlo.

« Perché non ci attaccano? » chiese, quindi « Sono in svantaggio numerico e avrebbero potuto coglierci di sorpresa. Invece si sono messi a suonare il corno, dandoci il tempo necessario ad armarci. »
Nazir gli sorrise.

« Non hai mai combattuto contro orchi, soldaat? » gli sbatté contro, ironico « Non c'è onore in uccidere contendente impreparato. Loro no combattere per prendere noi qualcosa. Combattere è pura competizione; siamo avversari, non nemici. Ricorreranno a trucchi e astuzie solo quando battaglia sarà veramente iniziata, e corno smesso di suonare. »
« Ma è una tattica suicida. » esclamò Raymond, in tutta risposta « Che cosa dovrebbe impedirci di attaccarli ora, quando sono impreparati alla carica? »
« Nulla, soldaat. E' proprio questo il punto. Vorresti condurre tu i cavalieri? »

Raymond rimase sconcertato da quella proposta così improvvisa. Si sentiva lusingato, ma incredibilmente inadatto al compito. Il suo interlocutore tuttavia gli sorrise con grande spontaneità, mettendogli fra le mani un coltello dalla forma bombata, la cui lama aveva un inusuale colore nero. Lanciava sulla sabbia riflessi scuri e pareva essere bollente al tocco, benché quando il Lancaster vi appoggiò le dita non percepì nulla di inusuale, al di là di una incomprensibile affilatura.
La fattura dell'arma era pregevole, e il materiale che ne costituiva la lama la rendeva in qualche modo unica. Era certo di non aver visto niente di simile, nell'accampamento.

« Glas Maan, Vetro di Luna. Minerale molto raro di deserto. Impugna questa in battaglia e Rooi Valke ascolteranno te come capo. »
« Io... non... »

Stava per dire che non ne era degno; che non meritava un tale privilegio, ma non era vero. Metà dei soldati che stavano guidando proveniva dal contingente che aveva condotto lui stesso a meridione solo qualche giorno prima. Quell'arma messa così spontaneamente nelle sue mani, poi, lo faceva sentire a casa; come si era sentito fra i Rooi Valke quando l'avevo raccolto un anno prima, al termine della battaglia del crepuscolo. Gli pareva che non fossero passate che poche settimane da quel giorno, e per un attimo gli parve di essere dove il Sovrano voleva che fosse. Si sentì amato dal suo Dio, e lo ringraziò con una preghiera silenziosa, spegnendo la sua indecisione.
I soldati stavano ancora attendendo ordini, così si volse verso di loro.

« Bedouin! » urlò, con pronuncia incerta « Il nemico che si schiera contro di noi all'orizzonte ci è inferiore di numero, è peggio addestrato di noi e male organizzato. Ciò nonostante è la causa di brutali massacri contro chi è stato nostro amico, amante e caro! Combatte senza principi e senza obiettivi, ed è questo a rendere la sua forza distruttiva così cieca e insormontabile. »
respirò a fondo, prima di continuare.
« Oggi, però, abbiamo un vantaggio. Mi sono unito a voi con la speranza di potervi aiutare, e io e i miei uomini vi garantisco che con questa battaglia faremo la differenza! Vinciamo oggi, e li sconfiggeremo sempre! Ricacciamoli da dove sono venuti e non oseranno più minacciarci! Lottiamo per il regno, per le nostre case, i nostri affetti e il Sovrano; siamo uniti come fossimo un sol uomo e non lasciamoci dividere dalle differenze nel colore della nostra pelle: i valori che ci spingono a combattere sono gli stessi e questo fa di noi fratelli! »

Gli rispose un coro di esultanze entusiaste. I Falchi Rossi mulinarono in aria le proprie sciabole e gridarono il proprio eccitamento, dandosi in in urla primitive e coprendo persino la lunga nota vibrante del corno. Capì dalle loro espressioni che la maggior parte non era abituata a discorsi così incoraggianti prima di una carica e, benché non fossero concordi con tutte le affermazioni di Raymond, l'incoraggiamento li aveva piacevolmente sorpresi, incitandoli al combattimento persino più di prima.

« Al mio segnale! » urlò Raymond, alzando in aria il pugnale kukri in Vetro Lunare « CARICA! »
abbassò l'arma.

I cento uomini a cavallo si lanciarono lungo il deserto con foga incredibile, sollevando una marea di polvere e coprendo il suono del corno con quello della propria marcia. La sabbia si sollevò sino ad oscurare il sole sopra di loro, soffocando tutti coloro che non avevano indosso le vesti degli uomini del deserto. Fra di loro vi erano uomini dalla pelle nera, uomini del settentrione, servitori di Rekla Estgardel, soldati di Basiledra e semplici disperati raccolti per il deserto; eppure tutti loro si mossero come l'unica onda di una marea, lasciando che la terra tremasse sotto la loro carica.
Erano di gran lunga più numerosi dei propri avversari, meglio armati, più organizzati e già in corsa. Si sarebbero scontrati contro il muro di pelleverde abbattendoli senza pietà, impedendo loro di reagire e sfruttando quello spazio che così insensatamente era stato lasciato loro.

Ciò nonostante i loro avversari non si mossero.
Neppure in quell'istante, quando chiunque avesse assistito alla scena li avrebbe dati per spacciati, presero contromisure.
Il troll alle spalle dei cavalieri continuò imperterrito a suonare il corno, come se nulla stesse accadendo. E nel frattempo il contingente guidato da Raymond acquistava sempre più velocità e si faceva sempre più vicino.

Cento metri.
Cinquanta.
Venti.

Il corno smise di suonare e questo svegliò il Lancaster come da un sogno.
Allungò lo sguardo sui suoi avversari a cavallo, e li esaminò il più velocemente possibile.

Pelle grigia. Postura scomposta. Vesti rattoppate alla meglio per nasconderne il viso. Briglie sciolte. Braccia distese esanimi lungo i fianchi.
Cadaveri. I pelleverde avevano legato delle precedenti vittime alle selle dei cavalli, vestendole come loro.
Fu in quello stesso istante che Raymond capì che il suonare del corno non era affatto un segnale. Lo era, invero, il silenzio che ne seguì.

Non fece neppure in tempo a fermarsi e a voltare il proprio destriero. Non poté neppure interrompere la carica. Improvvisamente, da sotto la sabbia tutt'intorno a loro emersero una quantità incredibile di troll armati di lunghe picche appuntite. Le creature dovevano essere rimaste nascoste per ore intere mentre attendevano il segnale per sollevarsi; bastò una singola occhiata perché Raymond capisse che erano in numero pari a loro, forse persino maggiore. I troll approfittarono della loro posizione per affondare le lance nel corpo dei cavalli, mandandoli in terra; alcuni riuscirono persino a impalare il corpo di alcuni soldati in corsa, incapaci di contrastare un attacco a sorpresa così efficace.

« SCENDETE TUTTI DA CAVALLO! » urlò Raymond con la voce segnata da un filo di panico, ben conscio che non avrebbero potuto affrontare una simile strategia da sopra i loro destrieri « E' UNA TRAPPOLA! »

CITAZIONE
IT'S TIME TO EXPERIMENT

Innanzitutto, spero che il post sia chiaro. Ho dovuto riscriverlo due volte per evitare che venisse troppo lungo. Per qualsiasi domanda, comunque, potete tranquillamente utilizzare il topic in confronto. Detto questo, vorrei introdurvi a qualche breve post di battaglia campale, introducendo un sistema di sperimentazione solamente abbozzato e non esageratamente complesso, che, se dovesse avere successo, riproporrò in futuro in altri ambiti.

Come avrete capito, il mio post si conclude con la risposta dei pelleverde alla carica dei Falchi Rossi. Nei post che seguiranno avrete due slot tecnica a turno (come in un normale combattimento ufficiale) e sarete continuamente attaccati da nemici da tutte le direzioni. Sarà a voi giostrarvi sportivamente all'interno di questa battaglia: i nemici potrebbero ignorarvi o attaccarvi in gruppo; non ha importanza: sotto questo punto di vista do totale importanza alla narrazione e alla sportività, quindi non penalizzerò eventuali colpi di fortuna generatisi nel caos della battaglia. Lo chiarisco un'ultima volta: ciò che i vostri personaggi affronteranno singolarmente ha un'importanza solo narrativa, quindi potete decidere anche di non essere attaccati da nessun troll (purché troviate una motivazione sensata); l'importante è la contestualizzazione del testo, la narrazione e la sportività con la quale gestite eventuali combattimenti.

Sperando che questo primo punto sia sufficientemente chiaro, passo al secondo. Durante la battaglia potrete impiegare i vostri slot tecnica naturalmente e liberamente; oppure, potrete impiegarli per dare un ordine agli uomini intorno a voi, difensivo o aggressivo, spendendo un consumo di energia variabile.

Per fare un esempio chiaro, in questo post Raymond ha utilizzato il suo primo slot per urlare "Carica" (aggressivo) e il suo secondo slot per urlare "Scendete da cavallo" (difensivo). Il primo con un consumo di energie Basso; il secondo con un consumo di energie Medio. Durante i vostri post potrete decidere di far compiere - similmente a come ho fatto io - intere azioni al vostro reggimento, bruciando uno slot tecnica e il consumo che ritenete appropriato. Se queste azioni avranno poi successo o meno, lo dichiarerò nel successivo post da QM, a seconda dell'azione ordinata e del consumo impiegato per compierla. Naturalmente anche le vostre azioni singole potranno variare tale percentuale (per esempio se decidete di lanciare una tecnica ad area che colpisca tutto il campo di battaglia), ma come potete prevedere, influenzano molto di più le percentuali piccoli ordini corretti piuttosto che grandi consumi energetici che possono essere facilmente contrastati: state attenti a come impiegate le vostre energie.

Tali azioni incideranno la percentuale di vittoria di uno dei due schieramenti sull'altro. Percentuale che non mancherò di segnalare a fondo del post, e che calcolerò personalmente tramite un piccolo schemino che mi sono andato a preparare. Naturalmente la percentuale di vittoria indica l'andamento della battaglia nel singolo post: come potete intuire dalle percentuali poco sotto, nel post che vi toccherà scrivere i Rooi Valke staranno, concedetemi il termine, sucando in maniera atroce.

Sperando che sia tutto chiaro, passo ai dati tecnici:

Energie residue di Raymond: 89%

percentuale di vittoria

Rooi Valke 20% / 80% Pelleverde

mostri sul campo di battaglia [ImG]:

CITAZIONE
Assassini e cacciatori: i troll (creature alte poco meno di un essere umano, dalla pelle verde, esili, molto intelligenti e con la bocca irte di lunghe zanne da facocero) sono una delle minoranze appartenenti all'esercito dell'occhio di Gruumsh. Nonostante la loro assoluta devozione, tuttavia, le loro caratteristiche fisiche impediscono loro di dedicarsi anima e corpo al combattimento e anzi, molti di essi fungono per lo più da approvvigionatori per le truppe e medici di fortuna - i quali però che non hanno il talento nel così detto sciamanesimo, fanno dell'assassinio la loro forma d'arte: divengono maestri nell'infliggere colpi fulminei e letali, e esperti nell'infiltrazione e nel travestimento. Agiscono come spie, informatori, sicari, o strumenti di vendetta. Sono bene addestrati nell'anatomia, nella furtività, nei veleni e nelle arti oscure, le quali permettono loro di portare a termine missioni di morte con terrificante e spaventosa precisione. Fanno spesso uso di tecniche di mimetizzazione, di invisibilità e intrugli dalla dubbia provenienza; alcuni in grado di curare le loro ferite - sembrano anche in grado di identificare la posizione dei loro avversari con paurosa efficacia. Il loro evidente punto debole è il fisico gracile e debole, ben più sofferente di quello di un qualsiasi umano medio.

 
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view post Posted on 21/10/2012, 15:05

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L'adrenalina permeava l'aria del campo generando un caotico miscuglio di sensazioni contrastanti: l'implicito ordine di battaglia insito nel richiamo del corno, distante eppure così vividamente minaccioso, aveva gettato l'accampamento in una frenetica corsa contro il tempo che dipingeva sui volti tirati ansia ed eccitazione, deformando i tratti delle persone in lineamenti quasi ferini.
Zaide osservò il movimento di uomini e cavalli che sciamavano verso il recinto esterno prima di prendere la decisione.
C'erano guerrieri ben piazzati e ragazzi così giovani da sembrare del tutto fuori posto con una spada in pugno, donne dal volto celato dallo spesso turbante di lana scura e uomini al loro primo combattimento.
Ma davanti a tutti c'era Nazir, affiancato da un altro uomo dall'aspetto deciso e rassicurante, e ciò bastava a quel piccolo esercito per muoversi come un solo combattente nella calura arida del deserto.

La strega accarezzò l'elsa ruvida della lunga scimitarra che un maestro armaiolo le aveva affidato, ripensando allo sguardo caldo e tuttavia assente di Nazir che le dava il benvenuto presso i Falchi; il suo era il sorriso di un uomo abituato a comandare e proteggere i suoi sottoposti: la sua vivida preoccupazione per il mancato ritorno degli esploratori era quella di un uomo, non solo quella di uno stratega.
Zaide rammentò brevemente le concitate parole che stava scambiando con i suoi uomini nel momento in cui lei si era avvicinata al gruppetto: di come le forze degli orchi non andassero sottovalutate, e di come sorprenderli con qualcosa che li avrebbe disorientati e schiacciati...un arcano rituale, o una pratica magica di cui la strega non riuscì a cogliere i dettagli perchè il tono di voce di Nazir si era improvvisamente fatto più basso e concitato.
Ma aveva accolto di buon grado la proposta di Zaide di unirsi al combattimento, e la giovane si era allontanata con uno strano senso di inquietudine addosso.

Quando gli zoccoli dei cavalli iniziarono a percuotere il terreno duro, sollevando nugoli di sabbia e polvere da far lacrimare gli occhi, ogni esitazione annidata nel suo cuore si era dissipata: l'eccitazione del momento si mescolava a un acre odore di sudore e paura che agiva sui suoi nervi come un tonico.
Accantonò l'immagine di Caelian, che fino a quel momento era brillata come un faro nella sua coscienza ricordandole il motivo di quella missione, e decise che era giunto il momento che la Strega mettesse il suo potere al servizio di una causa. Giusta o sbagliata che fosse.

- Ehi, Caelian! Ti unisci alla festa?

Il richiamo allegro di Eldar, il rubicondo armigero con cui Zaide aveva conversato poco prima, risuonò dentro di lei come aveva fatto poco prima il corno di guerra nemico.

- Eccome! - esclamò Zaide, saltando agilmente sul dorso di uno stallone sauro e lasciandosi alle spalle dubbi e timori.

La concitazione era palpabile; i più giovani scalpitavano al pari dei loro destrieri per la frenesia di dimostrare il loro valore, e lo spirito era alto tra le fila. Tuttavia Zaide si accorse che c'era qualcosa che non andava nel notare lo sguardo perplesso degli uomini che guidavano le truppe: lo schieramento nemico sembrava troppo esiguo, troppo immobile, troppo facile. Tra le fila degli orchi non si notava un movimento, un'intenzione. L'uomo che si faceva chiamare Raymond ebbe tutto il tempo di organizzare le file con calma, troppa calma. I suoi occhi saettavano continuamente verso lo schieramento opposto, come nella speranza di cogliere un guizzo, un balenare di spade, qualunque gesto che ponesse fine a quell'estenuante attesa. Nazir appariva più rilassato, complice la lunga esperienza di lotte nel deserto. Ma perfino Zaide al suo primo combattimento in un vero e proprio contingente tratteneva il respiro, conscia che la situazione non girava come i capitani si aspettavano.

- Bedouin!

Il grido battagliero di Raymond calò su tutti loro come una lama di luce. Zaide era rapita dal suo discorso ardente che scendeva nei cuori dei soldati come un balsamo che li scaldava e li spronava al combattimento.

- Siamo uniti come fossimo un sol uomo e non lasciamoci dividere dalle differenze nel colore della nostra pelle: i valori che ci spingono a combattere sono gli stessi e questo fa di noi fratelli!



La strega sorrise.
Conosceva bene il potere di quell'ultima parola: lei stessa chiamava sorelle le donne che avevano, in qualche modo, cambiato la sua vita. E in virtù di quello stesso termine, quelle donne erano state pronte a morire per lei.
Fratelli, mormorò tra sé, contemporaneamente ai combattenti accanto a lei: e capì che in quel momento una magia antica li pervadeva e li legava, che loro ne fossero consapevoli o meno.

Zaide visse gli istanti successivi come un sogno al rallentatore: al grido di "Carica!" di Raymond i cavalli risposero al tocco dei loro padroni con elasticità e scattarono in avanti, verso quel muro di soldati immobili e disposti al massacro.
Troppo immobili.
E quando la prima fila si accorse dell'errore, fu troppo tardi: i fantocci verso cui stavano cavalcando parevano sogghignare per la facilità con cui il contingente dei Falchi era caduto in una trappola infida e sanguinosamente efficace.
Le picche sbucarono dal terreno terrorizzando i cavalli che presero a scalpitare imbizzarriti, gettando a terra gli uomini che si erano lasciati sorprendere.

- SCENDETE TUTTI DA CAVALLO!

Nella voce di Raymond, incrinata dal panico, c'era tuttavia un'autorità che nemmeno in quel frangente era possibile ignorare.
Molti destrieri fuggirono impazziti calpestando soldati e sollevando una gran nube di sabbia; Zaide si aggrappò alla criniera del sauro per non cadere miseramente a terra, ma sapeva che l'odore del sangue dei suoi simili gli avrebbe dato presto alla testa; scivolò di lato e rotolò nella polvere, tossendo e lasciando andare il cavallo con una pacca sulla coscia; estrasse subito la scimitarra e si lanciò in una mischia violenta, mossa da una forza inspiegabile, e menò alcuni fendenti che ebbero l'unico effetto di inferocire l'orco contro cui Lot, il giovane armigero lentigginoso, stava soccombendo.
Il suo alito fetido le fece girare la testa, ma ebbe la prontezza di sollevare l'affilata lama nel momento in cui una pesante daga stava per abbattersi sulla spalla del giovane. Il sangue schizzò dappertutto mentre l'orco si afferrava con la mano sinistra il moncherino ululando di dolore e rabbia, e un istante dopo giaceva al suolo trafitto dalla spada lunga di Lot.

- Grazie - ansimò il ragazzo, ma non c'era tempo per i convenevoli.

Alcuni grossi cadaveri bitorzoluti giacevano sulla sabbia, ma tra i corpi dei caduti si contavano già molte perdite nel contingente di Raymond. A Zaide e Lot si unirono due corpulenti soldati che si gettarono su due nerboruti pelleverde armati di picca; la strega, sebbene eccitata dall'odore del sangue, non era tuttavia così folle da non comprendere che la sua inesperienza in fatto di combattimenti corpo a corpo si sarebbe ben presto rivelata un intralcio evidente. Iniziò ad agire con furtività, accostandosi sempre a un soldato più massiccio e addestrato, schivando i fendenti più insidiosi e lanciandosi rapidamente sugli avversari indeboliti sfinendoli con la grossa lama. Non avvezza a trascinarsi dietro un'arma tanto pesante, la rinfoderò però ben presto estraendo fulmineamente i suoi piccoli pugnali da lancio. Con un paio di tiri ben piazzati, riuscì ad accecare un orco che prese a ululare lugubremente menando artigliate a casaccio; Zaide gridò di dolore quando questi la afferrò e con un'unghiata le squarciò il mantello penetrando nella spalla, ma Lot si avventò sul mostro finendolo in pochi istanti.

- Siamo pari - le sorrise.

La Strega però non era una sciocca.
Vedeva i suoi compagni cadere come uccelli falciati dallo sparo di un cacciatore tutt'attorno a lei, i feriti si moltiplicavano e ben presto molti di loro non sarebbero stati più in grado di combattere. Osservò la linea di combattimento davanti a lei, erano quasi tutti uno contro uno; e pensò che forse c'era una possibilità, una su un milione, di farcela.

- Fateli arretrare! - gridò - Spingeteli verso i cadaveri e non abbiate paura!

Quella che era stata una trappola quasi mortale fino a un attimo prima avrebbe potuto ora ritorcersi contro i suoi stessi fautori. I soldati di Raymond e Nazir combattevano con impegno, e se fossero riusciti anche solo a far indietreggiare un poco gli orchi in modo da separare i due schieramenti, il gioco sarebbe stato dalla loro parte.
In mezzo a tutto quel marasma, in pochi si sarebbero inizialmente accorti del movimento alle loro spalle: movimento che a rigor di logica non avrebbe affatto dovuto esserci. Mani putrefatte strinsero con innaturale vigore le picche e le armi arrugginite a loro incautamente affidate, e i morti si mossero, scomposti e putrefatti ma inesorabili, alle spalle dei pelleverde per chiuderli in una tenaglia.
Zaide osservò di sottecchi le sue creature, continuando a scagliare pugnali nel tentativo di ferire alcuni di quei bestioni dalla pelle olivastra, e pensò con soddisfazione segreta che esistono forze che nemmeno il più audace dei combattenti sarebbe in grado di affrontare.


Zaide

°concentrazione [+2]
°intuito [+2]

[c. 29%; a. 13%; m. 5%; b. 1%]



Zaide si unisce di buon grado alle truppe, decidendo di accantonare brevemente il motivo che l'ha condotta realmente in quei luoghi; è suo malgrado affascinata da Nazir (e prima da Alexei) per i loro modi disinteressatamente suadenti e la novità di combattere fianco a fianco con altre persone la elettrizza. Prende una scimitarra dall'armeria e raggiunge gli altri a cavallo (ho dato arbitrariamente dei nomi ai tizi con cui ho parlato in precedenza, ovvero Eldar e Lot). Quando inizia il combattimento, Zaide inizialmente si lascia trascinare dall'esaltazione e combatte con la scimitarra, ma poichè non è certo una guerriera, si rende conto rapidamente che potrebbe essere più utile in un altro modo. Riposta la scimitarra, utilizza i suoi più congeniali pugnali da lancio per accecare e ferire alcuni pelleverde, lavorando di squadra con i soldati accanto a lei per sfinirli e ucciderli; un orco, impazzito dal dolore, la artiglia violentemente causandole un'abrasione non grave alla spalla sinistra. La vera idea le viene osservando il mucchio dei cadaveri con cui i nemici li hanno tratti in inganno: ordina alla truppa di fare in modo di spingere gli orchi indietro [Alto], facendoli arretrare in modo che vengano stretti in una tenaglia tra il contingente e i morti, che nel frattempo si sono animati e stanno avanzando, armi in pugno, alle loro spalle [Alto].



Energia:
100 - 13 - 13 = 74%

Stato fisico:
ferita da artiglio alla spalla sinistra, lividi e leggere contusioni a braccia e gambe.

Passive:
[Passiva di ammaliamento psionico; a seconda dei comportamenti di Zaide e ad interpretazione del personaggio che subisce la tecnica, può istillare in lui lussuria nei confronti della strega o terrore - sta alla vittima decidere quale delle due, coerentemente ai comportamenti e all'aspetto assunto da Zaide]
[Disciplina ferrea e dedizione, ma anche un’innata predisposizione nei confronti di tutto ciò che riguarda la sfera delle conoscenze arcane, sono alla base della capacità di Zaide di percepire istintivamente ciò che è magico attorno a lei, permettendole di svelare illusioni ambientali e avvertire attacchi magici anche alle proprie spalle]
[La portata del suo sapere magico è tale che ogni sua tecnica di natura magica provocherà danni di un livello superiore rispetto al consumo utilizzato, a fronte di una diminuzione delle tecniche fisiche di pari natura]

Armi:
Scimitarra
20 pugnali da lancio (9 utilizzati)
Athame del corvo
Athame delle anime

Attive:
Ordine verbale [Alto]

Statues [Alto]
CITAZIONE
Zaide è in grado, con un consumo pari a Variabile, di infondere vita negli oggetti presenti nelle immediate vicinanze: al suo comando si animeranno istantaneamente statue e gargoiles, corde e catene, armature e oggetti di qualunque genere che andranno ad attaccare l'avversario. La tecnica non può essere attuata su armature o oggetti indossati da un altro essere vivente. La tecnica ha natura magica e dura il tempo necessario per portare a termine l'attacco.




 
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Vrastax Victorian
view post Posted on 21/10/2012, 17:09




« La battaglia non è ancora iniziata e tu sei già caduto caro fratello. »

Non aveva mai mangiato la sabbia, forse qualche volta aveva assaggiato la polvere e la terra umida e fredda, persino il fango aveva preso posto tra la sua lingua e il suo palato, ma mai la sabbia secca e insapore aveva avuto il piacere di sentirsela in bocca, quanto alla sua lunga permanenza credé di portarla con sé per molto tempo. Di ingoiare proprio non ci riusciva, aveva la gola secca e di sputare nemmeno, aveva la gola fin troppo secca.
La sabbia però oltre ad essere di cattivo gusto aveva pure una certa familiarità nel penetrare negli spazi più infidi e piccoli di un’armatura. Per metà Vrastax sembrava essere sprofondato in una fauce dorata sporcata di rosso. Il rosso già, non vedeva quel colore cosi vivido e lucente da parecchio tempo, forse quel giorno doveva essere stato il primo da quando i suoi fratelli erano scomparsi. Sì, quella era la prima vera battaglia che stava affrontando; purtroppo dove era adesso, però, fu brutto per lui da pensare.
Steso di fianco su una distesa splendente che accoglieva a se la morte come sua più onorevole ospite Vrastax non era riuscito a rimanere in piedi di fronte ad ella ed era caduto: il suo cavallo era stato trafitto dalla punta di una lancia, qualcosa di verde era come esploso dalla terra, una creatura che in passato aveva già affrontato.
I rumori della carneficina annientava la quiete e allo stesso tempo la ricreava pian piano, come se un nuovo attimo di silenzio stesse per giungere, alcuni non urlarono più, molti dei suoi compagni di viaggio avevano perso la vita prima che il comando che aveva dato Raymond fosse totalmente eseguito; non lontano da lui vide pure i Rooi Valke che combattevano, tra loro sembrava non esserci speranza, erano circondati, a dire il vero nessuno di quegl’uomini del deserto sembrava avere speranza di sopravvivere.
Adesso Kayd aveva perso una mano, adesso Kayd era stato trafitto al cuore, adesso Kayd era morto.
No, non c’era più speranza, eppure...




« Alle armi! »

I quattro si fermarono, non parlarono più, il corno da guerra aveva cominciato a cantare un solo ed unico pezzo, il pezzo che raccontava l’inizio di qualcosa e la fine di molte altre. Non avrebbero dovuto aspettare qualcuno che dicesse loro dove andare o cosa fare, sapevano già e cosi anche l’Ultimo avrebbe potuto seguirli. Il suono vibrante di quel corno era diverso da quello che una volta suonavano i mille, era più profondo e meno squillante, era più simile ad un canto della morte che della speranza. I Vittoriani d’altronde usavano quel segnale più per avvisare i propri alleati che per impaurire i nemici o aumentare il morale delle truppe. Quella singola nota invece era greve e potente, più invadente di qualsiasi altro suono che Vrastax avesse mai sentito; aveva visto il deserto nella sua interezza adesso poteva ascoltare pure la sua terribile voce.
Non aveva paura, non l’aveva mai avuta dopotutto, ma si trovò per un attimo estraniato da quel mondo tanto diverso che si rifletteva in qualche modo nel suo. La battaglia alla quale avrebbe preso parte non era la sua e per quanto questo non sembrasse un reale problema, Vrastax trovò difficile pensare ad un fine che gli avrebbe permesso di trovarsi in battaglia con le giuste ragioni. Che sciocco che era stato ad arrivare fin laggiù; un conto era combattere con i suoi fratelli senza pensare a proteggerli, un altro era combattere con degli amici e proteggerli allo stesso tempo: non aveva idea delle loro potenzialità e in ogni caso non poteva permettersi di vedere morire suoi alleati, non era cresciuto così , non era stato addestrato per contemplare una vittoria con a seguito il fallimento di aver perso troppi uomini.
Sperò con tutto il cuore di potersi fidare di loro e delle ottime capacità che sembravano possedere ma non era sicuro, non era più sicuro da molto tempo ormai. Il suo unico pensiero era far sopravvivere quegli uomini che per quanto forti potessero essere erano, per Vrastax, male organizzati sotto molti aspetti militari.
Non credeva fossero ancora cosi indietro da un normale schieramento in battaglia. Il Vittoriano poté percepire la confusione e l’inadeguatezza di tutti nel prepararsi ad affrontare la morte.
Stava camminando di fianco a Nazeem, dietro di loro, a passo spedito, c’erano Amren e Kayd che non avevano avuto bisogno di nulla per essere pronti allo scontro, lo erano già fin da quando avevano incontrato per la prima volta Vrastax. Poco dopo si era avvicinato Shadr, l’uomo col torace scoperto che aveva sfidato l’Ultimo e che adesso anziché avere una sola arma ne possedeva addirittura due.
Insieme salirono nelle loro cavalcature, solo il suono della tromba di guerra sembrava avere voce.

« Amici del deserto vi supplico di starmi accanto quando la battaglia inizierà. »

Nessuno di loro rispose al cavaliere, forse nemmeno l’avevano udito, ma Amren lo guardò e gli mostrò un sorriso grande e pieno di vita, sapeva cosa volesse far intendere a Vrastax eppure lui continuava a non essere tranquillo. Gli pareva di essere un padre e loro i suoi figli.
State attenti amici, ho già visto troppi miei cari morire, non posso permettermi di vedere cadere anche voi.
Fu un pensiero sincero, pur non conoscendoli affatto aveva come sviluppato per loro una forma di affetto fraterno, forse per colpa della battaglia imminente, forse per la loro purezza e la loro gran voglia di eliminare il nero dal bianco.

« Ma il tuo cuore è nero Vittoriano, fratello e vero compagno. »
« Ricorda chi siamo noi, guarda chi sono loro. »
« Non meritano il tuo aiuto questi energumeni. »

Li zittì chiudendo gli occhi. Non aveva intenzione di ascoltarli, non quel giorno.

[…]

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Centinai di guerrieri attraversarono la palizzata, centinaia di guerrieri guardarono l’orizzonte.
Pochi parlavano e chi parlava sussurrava. Vrastax non faceva nessuna delle due cose, il Vittoriano invece si preparava: mise l’elmo, afferrò la sua picca, prese lo scudo, respirò il calore del deserto e le narici parvero prendere fuoco. Il metallo era freddo eppure il suo corpo stava bruciando. Adesso anche a lui toccava guardare il confine fra il cielo e la terra. Non si meravigliò di quello che vide: poco più di una dozzina di soldati a cavallo che aspettavano la carica dei Rooi Valke disposti ora su quattro file. Non riusciva a distinguerli il Vittoriano pur essendo nella prima fila dei cavalli schierati, erano troppo lontani i pelleverde. I suoi occhi si posarono sugli stendardi e poi su chi emetteva quel suono vibrante. Ricordava i troll come un popolo assai rumoroso, che gridava spesso e che molto più spesso insultava il proprio nemico, eppure l’unico suono che Vrastax udiva era quello del corno di guerra. Non capiva. Le creature sopra quei cavalli erano addirittura immobili, non vedeva le sagome muoversi, non riusciva a vedere nemmeno le braccia innalzare le mazze e le asce, l’Ultimo mise lo scudo a mo di visiera e concentrò lo sguardo verso i nemici.
Continuava a non vedere nulla, se non delle figure immobili.
E il dubbio si trasformò in presentimento.

« Non mi piace affatto tutto questo. »
« Al mio segnale! » L’urlò fermò ogni più piccolo pensiero del Vittoriano. « Carica! »

[…]

…eppure gli piacque quella morte, mise una mano sopra la sabbia e poi anche l’altra, sprofondò il piede per issarsi e ci riuscì. Tentò invano di deglutire parte della sabbia che aveva invaso la sua bocca mentre teneva ben stretta l’elsa della sua spada; per metà era come dorato, gran parte della sua armatura era stata completamente inchiostrata di sabbia gialla. Non vedeva più Kyad e i suoi fratelli ridevano e gioivano per la fine meritata che aveva avuto quell’uomo, Vrastax cercò di allontanare quel malvagio pensiero, non voleva più vedere nessuno morto. Era arrabbiato.

« Sì arrabbiati, arrabbiati caro fratello. »

Anche loro potevano sentire la disperazione del Vittoriano crescere, anche loro potevano percepire l’angoscia che lo stava destabilizzando, senza parlare dell’adrenalina che senza sosta stava aumentando in lui, sarebbe esploso se non fosse stato per il suo addestramento, per la dottrina che aveva seguito.
Si concentrò mentre le grida offuscavano la sua percezione. I suoi fratelli cominciarono a mostrarsi al mondo, le loro figure divennero ombre e le ombre divennero corpi senza sostanza che cominciarono a fluttuare con lui. La trappola che quei troll avevano serbato per Rooi Valke non avrebbe avuto effetto sui Mille Vittoriani. Camminò verso il punto in cui aveva veduto il suo amico del deserto morire, in lontananza poté scorgere la figura di Shadr che rapidamente stava uccidendo uno dei nemici, era ferito ad una spalla.
Nazeem invece sembrava zoppicare, entrambi incrociarono gli occhi, il guerriero del deserto aveva appena ucciso un troll ma dietro un altro stava per trafiggerlo alle spalle, Amren fu più rapido di quella creatura, con un pugnale tagliò il collo da orecchio a orecchio e salvò la vita al suo compagno.

L’avevano avvisato e il suo presentimento si era purtroppo avverato.
Eppure gli uomini a cui aveva supplicato di stargli vicino l’avevano ascoltato, di questo almeno il cavaliere ne fu entusiasta.
Vrastax senza esitare affrontò uno di quei troll che erano spuntati dalla sabbia, con una lancia più alta di loro tra le mani. La creatura lo schernì urlandogli contro parole sconosciute e, senza aspettare una risposta da parte del cavaliere, lo attaccò subito. Più volte tentò di affondare la punta dell’arma nell’armatura del Caesar, ma Vrastax molto più esperto del nemico li parò tutti sono con l’ausilio dello scudo: il braccio che teneva la protezione era ben esteso in avanti con il gomito leggermente piegato. Tre volte parò l’attacco di quel pelleverde, tre volte avanzò facendo un passo verso di lui.
Al quarto attacco il Vittoriano si spostò sulla destra, ritirò lo scudo e fece partire un fendente dall’alto verso il basso che spezzò l’arma grezza del troll. Il nemico inizialmente si fermò poi come meglio poté tornò all’attacco con le uniche armi che gli erano rimaste: la codardia e l’inganno.
S’inginocchiò al cavaliere, chiedendo in qualche maniera di essere risparmiato. Voleva salva la vita.
Ma Vrastax non conosceva pietà, non era misericordioso.
Vrastax era cattivo.
Affondò la lama nel cranio della creatura verde, il sangue viola sporcò il freddo metallo.
Sapeva che quell’uccisione non sarebbe servita a nulla, si guardò attorno tenendo la calma, doveva escogitare qualcosa, poteva ancora farcela, i suoi tre amici erano ancora in vita, stavano ancora uccidendo i troll, forse c’era speranza, forse…

« Non appena le tenebre caleranno ordina l’attacco. »

Era stata una voce femminile a parlargli, una voce che già conosceva di una donna che aveva odiato. La vide allontanarsi, uccidere altre belve. Qualcosa stava accadendo. Poco prima l’aveva sentita urlare di serrare i ranghi e pian piano stava accadendo, pian piano i suoi alleati si stavano avvicinando, sembravano cogliere forza dalla presenza del Vittoriano, sembravano divenire più coraggiosi ad ogni suo movimento.
Qualcosa stava cambiando ma Vrastax doveva far muovere quegli uomini, doveva far riscattare loro la vergogna nella quale sembravano essere caduti, doveva rafforzare i loro spiriti e pur vedendoli arretrare e cadere stavano cominciando ad unirsi, si difendevano senza attaccare per non perdere la fiducia che avevano riposto gli uni sugli altri, non tutti riuscirono in quell’impresa, non tutti arrivarono in tempo.
Non dovevano essere che una ventina tra Rooi Valke e gli uomini della Nera Regina, senza contare persino alcuni dei fratelli Vittoriani che acquisirono le sembianze di reali guerrieri del ferro.
Vrastax gridò con forza, cosi come loro facevano, Vrastax si sentì parte di loro e allo stesso tempo parte dei suoi fratelli, dei Mille. L’Ultimo adesso credeva di essere invincibile e quando le tenebre calarono la risposta di forza che seguì quella dei Rooi Valke fu impressionante.

« Uomini del deserto e delle tenebre, fratelli del metallo. » Urlò a perdifiato. « All'attacco! »






CITAZIONE
energie: 86%
stato fisico: leggera contusione alla spalla da caduta da cavallo
abilità attive:

CITAZIONE
Gli stessi guerrieri che ora riposano nello spirito del nero paladino potranno risorgere ma ad un solo e preciso gesto del negromante che li chiamerà a sé. Venti di loro si staccheranno dalla carne, rialzandosi, estraendo dal loro stesso corpo di metallo spade e scudi e senza aspettare un secondo momento si scaglieranno contro l’avversario - quello designato da Vrastax - per massacrarlo e ferirlo, il danno che potranno causare sarà pari ad un Medio, che allo stesso modo sarà il costo di energia da utilizzare per richiamarli sul terreno da combattimento. (non vita)

CITAZIONE
Comando "Attacco" a consumo Medio.

abilità passive:
CITAZIONE
Nessun uomo o creatura malvagia avrebbe il coraggio di sfidare migliaia di guerrieri impassibili, alti più di due metri, con un forza senza eguali, nessuno oserebbe arrivare a tanto, sarebbe un suicidio andare contro un esercito, sarebbe da folli provocarli, persino guardarli o sfiorarli, vedere Vrastax sarebbe come vedere dietro di lui migliaia di guerrieri pronti a tagliare la gola a chi solo pensa di sfidarlo. L’avversario infatti avrà sempre paura di lui poiché gli sembrerà di combattere non con uno ma con migliaia di assassini.

CITAZIONE
Si dice che un Caesar non possa cadere sul campo di battaglia, per quanto avventato egli sia; si racconta, infatti, che l'unico modo per eliminare uno di questi eroi sia ricorrere al tradimento, alla viltà, alle scempiaggini che possono tramutare in un inferno di pena la vita terrena. Fintantoché lo si affronta in duello, in guerra, sul campo di battaglia, il Caesar è invincibile. Egli costituisce l'avanguardia dei Vittoriani, la loro speranza e la loro persecuzioni della vittoria: Se mai dovesse cadere, ciò distruggerebbe tutte le truppe alle sue spalle. Pertanto, l'armatura di ogni Caesar è incantata di un potente effetto psionico che fa credere ai suoi avversari, purché essi non possiedano difese adeguate, che i loro colpi non abbiano alcun effetto sul corpo del Vittoriano, indipendentemente dalla loro potenza. Tale incanto falserà la loro vista e il loro intuito, mostrando il Caesar sempre in perfette condizioni; non importa quanto in realtà sia stata dura la battaglia perseguita. Tale potere nasce tuttavia per incantare più i propri alleati che i propri nemici. Se infatti esso getta questi ultimi nella disperazione dell'inutilità dei loro attacchi, quando gli occhi di un amico si poseranno sul Caesar ancora in perfetto stato pur nella furia della battaglia egli non potrà fare a meno di sentirsi sollevato e di cercare in se stesso la forza per rialzarsi e tornare a combattere.

note: il post a livello cronologico segue quello di Jimmy; Vrastax trovandosi nella prima linea tenta, dopo essere stato aiutato da Rekla, di spaccare la battaglia in due e di far disperdere le truppe nemiche, quel che può sembrare essere la carica infatti si compone soltanto di un raggruppamento di alcuni uomini e dell'aggiunta di poco più venti unità Vittoriane che cercano di risollevare lo spirito degli alleati, più comunque Rooi Valke si apprestano ad avvicinarsi a Vrastax più la sua passiva ha effetto, ovviamente la notte che è calata dovrebbe si abbassare la vista agli alleati ma non agli spiriti evocati da parte del cavaliere. Spero vivamente sia tutto chiaro, in caso non esiterò a specificare quanto più possibile lo scritto!

Per una migliore comprensione di quello che dovrebbe accadere comunque, ovviamente i numeri delle stelle che rappresentano gli eserciti schierati, le posizioni e cosi via sono molto approssimativi, ho disegnato questo piccolo schema. [X]
Stelle verdi: troll
Stelle rosse: beduini e uomini di Rekla
Stella nera grande: posizione di Vrastax
Stelle nere: uomini del ferro, Vittoriani
Linea rossa: tragitto che i guerrieri dovrebbero percorrere
 
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J!mmy
view post Posted on 21/10/2012, 18:16




Stronzate.
Quel pensiero s’impossessò di lei come un morbo dal ceppo incurabile. Raymond Lancaster ululava dal suo fulgido destriero con l’aria di chi aveva la risposta a tutte le preghiere degli uomini, lì, stretta in pugno, pronto a sfoggiarla con boria. Ma ciò che Raymond non sapeva era che quelle persone, quei viandanti del deserto raccolti in drappi sudici e padiglioni saturi d’incenso e vane pretese, non avevano alcun bisogno di sperare ancora. La speranza si era parata loro dinanzi come una meravigliosa venere dal canto paradisiaco, accogliendo i loro cuori in un caldo abbraccio materno; e cosa avevano ottenuto in cambio?
Guerra? Morte? Disgrazia? Non certo il compenso che si aspettavano.
Come quel giorno – che fosse mattina o pomeriggio non faceva più alcuna differenza – quando il corno dei pelleverde aveva riecheggiato fin giù al campo, da lontano, facendo tremare persino i suoi, di polmoni. Era stato come se un’enorme onda d’acqua salata avesse travolto ogni maceria, ogni tenda, ogni corpo. Fin dal primo vagito era stata abituata a combattere, non importava se a mani nude o armate. Centinaia erano state le volte in cui Costantine era sgusciata dal fodero pronta a mietere vittime ancora, e ancora, e ancora, e ancora; ma quella volta... quella volta era stato diverso.
Aveva avuto l’impulso di afferrare la cintola da sotto la casacca di tela e stringerla di un altro pollice, di un altro buco, quasi temesse che l’arma potesse scivolarle di dosso nel bel mezzo del combattimento o venirle strappata via da qualunque cosa si stessero accingendo ad affrontare. Tuttavia, anche allora le labbra non si erano scollate: chiuse erano e chiuse erano rimaste, suggellate in un profondo e inquietante silenzio, un silenzio capace di sferzare il suono persino più del momento in cui anche l’ultimo scampolo di vita dell'avamposto si era unito al convoglio di difesa, se così poteva definirsi. Ridicolo; tutto era così ridicolo...
Rekla ebbe la sensazione di affogare, come se qualcosa le avesse afferrato il petto e stesse divertendosi a farle scricchiolare una per una tutte le costole del torace, godendo della sua sofferenza, del suo dolore, della sua lenta agonia. In verità, dunque, quegl’uomini - in parte morenti e in parte semplicemente deboli - non avevano alcun bisogno della speranza infusa loro da un qualche tronfio principino del nord, né di quella che poteva emanare una tenebrosa lady del sud.
Stronzate: questo racchiudevano le parole del Lancaster.
Erano le azioni a fare la differenza, e loro erano ancora fermi a fissare dritto negli occhi le luride canaglie che massacravano uomini come fosse per svago, giocando con le loro menti almeno quanto pareva facessero con i loro corpi. Presto sarebbero stati gli orchi a muoversi, e a quel punto si sarebbero dimostrati una minaccia tutt’altro che semplice da debellare, un leone indomabile.
Già si vedeva: Rekla Estgardel, sovrintendente dei territori del meridione, lady reggente della temutissima Fortescuro, deposta da un paio di misere bestioline verdi, incapaci persino di grattarsi la punta del naso senza rischiare di trafiggere il fratello con la punta di una bipenne o di un machete.
No, lei non poteva permetterlo.
Gli orchi dovevano fermarsi e pagare i propri debiti.

Il respiro del nero stallone che ansimava tra le cosce fu l’ultimo suono che rammentò di udire.
Accanto a sé aveva soldati marroni e bianchi, chi in cotta di maglia e chi in vesti sdrucite, la maggior parte dei quali soldati che lei aveva forgiato affinché obbedissero ad ogni suo comando, seguendola fino anche alla morte, se necessario. E ora che stava per accadere, lì, sul fondo dello stomaco, la Nera sentiva come una strana sensazione di amaro e acido che faceva contrarre i muscoli, rivoltare le viscere, inducendo in lei un violento senso di nausea mista a collera. Che fosse il senso di colpa?
Lei, la Regina dei morti, colei che usava i cadaveri per riprodurre vacui riflessi di creature un tempo esistite per raggiungere i propri scopi, che provava pentimento? No, quelle non erano più persone vere, non erano più esseri vivi: erano uomini maledetti, oramai, uomini schiavi, disposti a tutto per la loro sovrana, temprati nelle stesse fiamme dell’inferno. Li avrebbe guidati di sotto, un giorno. Ma non adesso... non... adesso!

« CARICA! » urlò Lancaster.
Ma Rekla non si mosse. China sul collo dell’animale com’era, l’orecchio posato sulla parte sinistra, le dita intrecciate sul lungo crine nero e appena lisciato, la donna si concesse solo un istante di placida riflessione. Pensò alle ultime volte in cui aveva dovuto spronare un cavallo alla volta dello sbaraglio di una fazione nemica, e le voci di quegli eventi, le grida, i comandi, finanche il dolore delle ferite patito esplosero in lei come un miasma venefico e corrosivo, raggelandola e adirandola al contempo. Quante volte aveva affrontato i pelleverde in campo aperto? E quante altre avrebbe dovuto farlo?
No, nessuna esitazione, non ora.
Le briglie schioccarono sulla gola del corsiero, scudisciando con veemenza. La bestia pestò furente sulla sabbia e partì al galoppo con una tale furia che da sola fu capace di sollevare una nube tanto fitta da ottenebrare la vista. Quando raggiunse la coda del convoglio, però, inaspettatamente si fermò. Rekla, con le redini ancora tirate all’indietro, compì un rapido scatto a sinistra e piroettò giù dalla sella, così, nel cuore dell’assalto, sguainando la piccola in un sibilo e facendola roteare alcune volte a mezz’aria.
Era carica, doveva esserla.

« Facciamola finita con questa storia » ringhiò più a se stessa che ad altri.
Quando fu abbastanza vicina, seppur limitata al margine della carovana, un brivido le trafisse la schiena, come una lama gelida che scivolava lenta e acuminata sulla spina dorsale, fino a insinuarsi nella parte bassa del bacino e strappare via ogni solidità dalle ginocchia.
Non era paura, no; Rekla Estgardel non provava paura, ma solo... familiarità.
“Lo senti, puttana?” ruggì qualcosa dentro di lei, là dove il senso di colpa raschiava invano fino a qualche attimo prima “Lo senti il loro fetore? Oh, si che lo senti. Vi hanno ingannati, siete finiti!”

« E' UNA TRAPPOLA! »
Quell’urlo, stavolta, parve implodere nell’aria più forte di ogni altro.
Rekla sgranò immediatamente gli occhi, facendo volteggiare ancora una volta la Constantine che strideva e strideva nel fendere il silenzio opprimente delle dune. Una trappola non era cosa di gran conto, dopotutto: i Rooi Valke li avevano messi in guardia, avevano detto loro che gli orchi erano divenuti ben più astuti e organizzati delle goffe e caracollanti creature che avevano imbrattato il campo di battaglia della Guerra del Crepuscolo; vederli sbucare lì, dalla sabbia, come cianotici vermi armati di picche di legno e dalla punta ricavata dalla roccia, non fu per lei una così sconcertante sorpresa. Ciò non significava certo che fosse più preparata di chiunque altro a quel combattimento.

« Serrate... i ranghi. »
La Nera schiuse le labbra a malapena, come se quel pensiero l’avesse colta improvvisamente.
La Constantine smise di ondeggiare, i tacchi degli stivali si piantarono nel terreno, il cappuccio di stoffa raffinata scese sulla fronte adombrando larga parte del volto.
« SERRATE I RANGHI! »
Stavolta fu un urlo a berciare dalla sua bocca, un comando mirato a compattare i soldati sparsi al suolo come scarabocchi d’inchiostro su pergamene ingiallite. L’ingiunzione ebbe l’effetto di un fulmine a ciel sereno, guizzando nel caos con roboante e inoppugnabile enfasi.
Uno dei troll, molli aberrazioni verdi dal volto dipinto e uno striminzito panno di pelliccia a rivestire le pudenda, partì contro Rekla brandendo una picca lunga oltre i due metri, ma sciorinandola con una simile maestria che pareva quasi più leggera di una piuma.
Mentre l’abborro scattava, altri due troll si unirono a lui.
Il primo affondo giunse da destra. Rekla deviò il colpo con il piatto della lama e reagì immergendo la punta del metallo tra il collo e la spalla dell’avversario, che non poté che rovinare esanime e privo di vita. Al secondo fu riservato un destino non meno avverso: la sferzata della Nera incontrò il legno della lancia con una tale violenza da spezzarla in due e raggiungere fatalmente il collo sudaticcio del goblinoide; il capo cadde come di volontà propria, rotolando lateralmente e svanendo tra i centinaia di piedi che pestavano, scalciavano, guizzavano come in una folle danza di guerra e tumulto.
Al terzo, invece, pensò un soldato delle Tenebre, piovendogli alle spalle e infilzandolo tra le sue due lame di acciaio rosso come un maleodorante spiedino di carne flaccida.
Fu allora che Rekla scorse la figura del Vittoriano.
Il senzafratelli, impossibile da non riconoscere con indosso quella sua inseparabile armatura di ferro, si addossò a lei come molti degli uomini, svettando tra le prime fila dell’esercito; un esercito in cui lui solo – fu amaro constatarlo – rammentava un vero guerriero.
Rekla sfilò di un paio di falcate verso manca, falcate brevi e sicure, svincolandosi dalla soffocante presa di quei corpi tutti ammassati gli uni agli altri, una gabbia di sudore e sangue alla luce impietosamente meschina del sole torrido del deserto.
Come uno spettro in pieno giorno, conturbante e silenzioso, la donna si avvicinò a Vrastax.
« Non appena le tenebre caleranno » gli sussurrò « ordina l’attacco » quindi fu inghiottita nuovamente dalla calca.
Mentre uomini e bestie stramazzavano intorno a lei, in un turbinio di zoccoli, muscoli e criniere strappate, il Bastardo s’impadronì della sua mente. Le interiora della Nera si annodarono tra l’esofago e lo sterno, il sangue defluì verso le tempie con una tale copiosità che parvero in procinto di scoppiare, gli occhi annasparono in uno strato di densa coltre color latte spogliandosi di qualunque espressione, di qualunque vitalità, di qualunque speranza. Sclere vuote e raccapriccianti ondeggiarono dolcemente verso il cielo - alla ricerca forse di un’ispirazione o forse di aiuto - al ritmo sconnesso di frasi prive di alcun senso o significato.
«
Ed Egli protese le funeste dita sul mondo.
Mentre gl’uomini inneggiavano alle ombre, le ombre piovvero su di essi.
»
Poté sentire gli sguardi sbigottiti dei soldati più vicini solcare la sua carne con timore,
i loro pensieri farsi strada dentro di lei come una lama fredda e inarrestabile.
L’oscurità cadde sul campo di battaglia come un velo di sordida empietà.
«
Fuggite, adesso: i demoni risorgono! »
notteu

CITAZIONE
Rekla Estgardel
la Nera Regina
––––––––––––––––––––––
Stato Umano
{ Intelligenza 4 | Forza 1 | Maestria armi da mischia 1 }

––––
« Energie: 100 - 6 - 6 = 88%
« Stato fisico: ferita da taglio alla coscia destra, contusione alle prime due costole sinistre.
« Armi: Constantine • sfoderata

Attive...
Oscurità della notte • Fifth darkness
Essa è madre, fredda, soffice e pacata come il gelo che prelude un letale affondo, premurosa nei riguardi dei suoi figli più osceni e perversi, che custodisce nel tetro abbraccio del petto, buio e cupo cosicché il vero volto di essi possa perpretrare nel mistero. Questa è la notte. La notte che tutto avvolge, la notte che logora le anime più impervie e inganna le più fragili, come una seduttrice fatta di pura crudeltà e finta grazia. Ma Rekla era riuscita ad agguantarla, incavandola nel duro chiostro dei propri intenti. Un potere maturato con gli anni e propagatosi ben oltre l'immaginabile. Ella, infatti, chiudendo un singolo pugno, era divenuta in grado di evocare la matrice degl'incubi - la notte - arrogandosene il diritto. L'effetto durava per due turni compreso quello d'attivazione, donando ai demoni la facoltà della forma demoniaca e privando gli angeli della loro forma angelica. La notte impediva inoltre ai paladini di utilizzare qualsiasi loro abilità passiva, rendendoli praticamente inermi. Consumo di energie: Medio


... e passive

La connessione tra l'evocatore e il mostro è molto più potente di quella che potrebbe mai avere con qualsiasi altra delle sue creature. Loro sono la stessa cosa, divisasi solamente con l'obiettivo di distruggere il proprio avversario. Per questo, i loro corpi sono legati insieme non solamente dalle mere catene che fuoriescono dal gauntlet. Nel caso in cui Rekla dovesse subire un danno provocato dal proprio avversario (e non autoinflitto tramite tecniche o atti impulsivi) ella potrebbe decidere di suddividere tale ferita e farne subire la metà esatta al proprio colosso, che griderà, alimentando la propria furia. Esemplificando, se Rekla dovesse subire un danno Medio, ella potrebbe decidere di prenderne solamente uno Basso, facendo sì che il mostro, tuttavia, subisca anch'egli un danno Basso. In poche parole, potrà smezzare qualsiasi danno rivolto alla propria persona, purché l'evocazione sia già presente sul campo. Viceversa, potrà anche decidere di suddividere i danni rivolti all'evocazione, subendone la metà, poiché i due non sono che diverse emanazioni dello stesso corpo [Tecnica passiva].

Nel principio, la Riluttanza
Il primo stadio di violenza contrappone il rifiuto della verità al suo viscerale attaccamento alla propria arma, il quale diverrà indissolubile, tanto intenso e profondo da impedire a chiunque di scinderlo. L’arma diviene un ninnolo, un prezioso memento, un tesoro inestimabile per la fanciulla che potrà impiegarlo per evocare istantaneamente l'ombra sotto forma di lorde creature, potenziate di un punto CS addizionale e a un costo energetico ridotto del 5%.


.Voi cittadini mi chiamaste Ciacco: per la dannosa colpa della gola, come tu vedi, alla pioggia mi fiacco.Il peccato di gola coincide con un desiderio d'appagamento immediato del corpo per mezzo di qualche cosa di materiale che provoca compiacimento. É un'irrefrenabilità, un'incapacità di moderarsi nell'assunzione di cibo o, più in generale, nel desiderio incontrollabile di qualcosa che si brama. E' stato proprio per quest'ultima ragione che Rekla ha accresciuto la propria fame nell'ambito della negromanzia, al punto da strappare il sottile velo che separa ciò che è vivo da ciò che è morto. Più precisamente, in termini di gioco, la Nera Regina acquisisce il potere dell'immortalità; questo non significherà che non sentirà la stanchezza o perderà i sensi una volta al di sotto del 10%.

.Or superbite, e via col viso altero, figliuoli d'Eva, e non chinate il volto sì che veggiate il vostro mal sentero. Il superbo è una persona innamorata della propria superiorità, vera o presunta, per la quale si aspetta un riconoscimento. La superbia affonda le sue radici nel profondo dell'uomo, sempre teso alla ricerca e all'affermazione della propria identità. Quest'ultima non è qualcosa che si elabora al proprio interno, ma che ciascuno negozia nel rapporto con gli altri da cui attende, appunto, il riconoscimento. Tale bisogno nell'essere umano è fortissimo: forte al pari di altri bisogni più esistenziali…
Allo stesso modo Rekla è innamorata di sé, della sua sicurezza, del suo corpo. Così facendo, nonostante le origini ancora sconosciute, la giovane insinua in chi le sta accanto non molta fiducia, oserei dire nessuna piuttosto, ed un timore di non poco conto. Tutto ciò, ovviamente, è efficace laddove chi la affianca non sia un demone né possegga un'energia superiore alla sua.

Vizio dell'Animo • честолюбие
Che sia negativa o positiva, l’ambizione - così come la sua assenza - sottende tutte le azioni umane malvagie o meritevoli che siano. L’ambizione sfrenata può portare all’insoddisfazione perenne, a cambiare schizofrenicamente campo di interesse o obiettivo pur di avere una nuova vetta da scalare, mentre un’accezione positiva di questa attitudine psicologica può coincidere con una sana spinta a migliorarsi e non accontentarsi, a superare i propri limiti. Rekla Estgardel è forse l'essere più ingordo e privo di scrupoli del pianeta, pericoloso e raggelante nell'infinita contaminazione della sua mente. E' proprio grazie a quest'incessante bramosia, però, che la Nera Signora è riuscita a cogliere frutti misteriosi ed unici, rari e preziosi come le più pregiate ricchezze del mondo. In termini pratici, ella è in grado di usufruire delle capacità di una seconda classe: il ladro. A tal modo ciò potrà senz'altro spalancare alla regina dei morti molteplici vie ad un'innumerevole quantità di attacchi e strategie, tutte indubbiamente mirate a stroncare sul nascere l'esistenza del malcapitato avversario. (Tomo furtivo)

An endless guard
In breve, il giovane Shiverata apprese l'orrenda verità su chi fossero i nemici e le prede cui il Magus l'aveva destinato. Non ne fu felice. L'anello gli imponeva di cercare e sconfiggere gli emissari dell'Abraxas: lui era costretto a frapporsi fra il mondo umano e l'Ombra, senza poter abbracciare nessuno dei due. Il dono lo condannava ad una guardia senza fine, perché il fiore di ossidiana, quel cuore del fiato di drago, non conosceva scalfiture. Il Maestro l'aveva definito nero come il peccato e resistente come la roccia. Lo era molto di più. Inoltre lo costringeva ad una percezione impossibile da interrompere, gli donava non la visione esatta ma la totale percezione del nemico, della sua presenza. Era orribile -e per questo maledisse il nome del Maestro.
{ Abilità Passiva: L'anello è indistruttibile. ; Abilità Passiva: Auspex sui non-morti, il portatore sarà sempre a conoscenza della loro presenza nei paraggi. }

Note
Rekla scende da cavallo e si getta nella mischia, conscia delle parole di Alexei del turno precedente sul fatto che gli orchi siano creature alquanto astute, ormai. Quasi spaventata dall'idea che possano spingersi fin nel suo feudo - come spiegato prima - Rekla viene fagocitata da un profondo senso del dovere e decide quindi di debellare la minaccia una volta e per sempre. Unitasi al combattimento, dapprima ordina ai soldati di serrare i ranghi (potenza media, primo slot) così da ridurre lo svantaggio di essere sparpagliati nel campo e compattarsi; dopodiché attiva l'abilità "Fifth darkness • Oscurità della notte" (potenza media, secondo slot) per tramutare il giorno in notte ed innescare la trasformazione delle Tenebre: come Ray già sa, infatti, gl'uomini di Rekla sono uomini maledetti, avatar demoniaci che cadono in stato di non-morto una volta esposti all'oscurità.
Qual'è l'utilità di tutto ciò? Ma la paura, ovviamente; la stessa che cercano d'incutere nei troll nemici.
Il resto dei movimenti della Nera li ho volutamente subordinati al post di Sarnek. Semplicemente, Rekla si getta nel combattimento al seguito del vittoriano.
Spero che il post vi possa essere gradito.

 
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view post Posted on 21/10/2012, 20:53
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qualche ora prima

« Vieni Raymond, io presenta te Adara e Zaria. »

Il viso di Nazir si schiuse in un ampio sorriso mentre gli indicava due figure poco distanti. Erano talmente coperte da rendergli impossibile capire perfino se fossero uomini o donne: indossavano quelle che potevano essere scambiate per tipiche vesti da uomo del deserto ma, a differenza di quelle dei Rooi Valke, le loro erano incredibilmente sontuose, ricche di decorazioni arzigogolate e arabeschi curvilinei color sabbia e grigio, e sostenute intorno alle forme dei due personaggi tramite numerosi fermagli dorati. Il viso era coperto come di consuetudine da un velo, che nel loro caso però non lasciava intravedere neppure gli occhi dei due; una copertura di satin leggera che probabilmente non impediva loro la vista in alcun modo, pur celandoli all'indiscrezione altrui.
Salutarono Raymond senza accennare parola, con un semplice cenno del capo. Anche lui - ancora incapace di comprendere se si trovasse innanzi a due uomini o a due donne - si limitò ad un saluto spiccio ed informale, per quanto educato.

« Adara e Zaria sono hekse van die hof di Razelan Vaash; nobile cui appartengono territori di Deserto dei See. »
« Razelan no voleva rischiare sue terre, quindi mandato noi aiuto. » continuò Nazir sorridendogli allegramente « Adara e Zaira conoscono potente rituale che porterà noi a vittoria, ne sono certo! »

Raymond rispose con un semplice cenno del viso, ascoltando attentamente. Non conosceva bene gli esponenti della famiglia Vaash, ma aveva sentito le voci che giravano sul loro conto: si diceva che avessero ottenuto il potere nel meridione tramite sotterfugi, tradimenti e omicidi; che fossero ambiziosi e non tollerassero i fallimenti; che potessero controllare ogni singolo granello di sabbia del deserto e che potessero ammaliare e corrompere anche i più leali dei cavalieri. Non lo sorprese dunque la presenza di due sottoposti del Lord: probabilmente quest'ultimo voleva assicurarsi che i suoi territori fossero al sicuro, e se poteva farlo fingendo di aiutare e utilizzando i Falchi Rossi al posto dei propri uomini, tanto di guadagnato. Due figure con indosso il suo nome sarebbero bastate a rappresentare la sua buona volontà senza che si alzasse dal proprio scranno, a chilometri di distanza.

Le false cortesie dei nobili ambiziosi erano qualcosa che ormai gli era ben noto; qualcosa che odiava e che lo riportava con la mente al lato peggiore della sua famiglia. Studiando quelle due figure si rese poi conto che era proprio vero: "La fiamma arde, senza spegnersi mai"; come gli ripeteva spesso suo padre. Il fuoco della cupidigia restava un male inestinguibile, in grado di distruggere popolazioni intere senza portare alcunché di buono.
Sospirò, consolandosi nella considerazione che gli intrighi del meridione non erano cosa che gli sarebbe dovuta interessare. Presumibilmente non avrebbe neppure mai visto questo Lord Vaash, e di lui avrebbe unicamente sentito l'aiuto che Adara e Zaira avrebbero dato nel corso dei combattimenti. Se davvero erano esperte nell'arte degli incantesimi come lasciavano credere, allora avevano appena ottenuto un nuovo jolly da aggiungere al loro mazzo.

« Non vedo l'ora di vedervi in azione, dunque. » concluse dunque il Lancaster, tentando di porre un termine frettoloso alla presentazione « Lord Vaash è stato oltremodo generoso a concederci la forza di voi guerrieri. »

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ora

La trappola dei pelleverde era stata ben congegnata. Si erano dimostrati guerrieri astuti e pazienti, e avevano sfruttato la loro stessa foga come arma contro di loro, cogliendoli impreparati.
Raymond non poté fare a meno di sentirsi un po' stupido, data l'ovvietà che quel tranello assumeva a posteriori nei suoi ricordi. Molti dei Rooi Valke erano rimasti feriti nell'assalto; alcuni giacevano nella sabbia incapaci di combattere; i più avevano perso le loro cavalcature. Tuttavia il contingente sembrava essere riuscito a cavarsela e, dopo qualche attimo di panico, ritrovò la propria forma. Gli uomini del deserto - forti delle loro precedenti esperienze che li avevano visti fronteggiare i pelleverde - erano rapidamente scesi dalle proprie cavalcature, senza restare sorpresi dal sotterfugio; a ben vedere la maggior parte delle vittime provocate da quel primo assalto le si poteva contare fra i pochi uomini che Raymond stesso aveva condotto con sé da Basiledra.

Il Lancaster fu confortato dalla reattività dei Bedouin attorno a lui e questo lo spronò a combattere. Colpì ferocemente al polso un pelleverde che stava tentando di attaccarlo, picchiandolo con l'elsa del proprio brando e chiudendo la distanza che li separava: i troll erano creature esili e leggermente più piccoli di un uomo medio; le armi su asta che impugnavano, poi, li rendevano una falange completamente inadatta agli scontri in stretto corpo a corpo, come poté constatare spaccando il torace al suo avversario, senza che questo avesse modo di rispondergli. Se tutti i suoi soldati si fossero accorti di quella debolezza avrebbero vinto facilmente la battaglia, inferiorità numerica o meno.
Respinse gli attacchi di altre due creature, nonostante una di questa riuscì a lasciargli un lungo segno sanguinolento sulla guancia destra, affondando con la propria arma. Stava per rispondere ai loro attacchi, quando accadde:
improvvisamente il giorno cedette il passo alla notte.

« Ma che...? »

Inizialmente il suo pensiero andò subito ad Adara e Zaira e al rituale del quale gli aveva parlato Nazir; fu velocemente corretto, però, da alcune grida che lo raggiunsero dal centro dello schieramento.

Non Morti. Ovunque.
Il suo sguardo si deformò in una smorfia inorridita quando poggiò sui primi fra essi. Creature dalla carne grigia, dalla pelle sbrindellata e dal corpo menomato avevano iniziato a muoversi all'interno del campo di battaglia, come se fossero sempre state lì. Creature aberranti e malvagie, da qualsiasi punto di vista le si esaminasse: uomini riportati in vita da potenti maledizioni o da rituali oscuri, che solo le personalità più perverse avrebbero mai pensato di studiare.
I corpi si muovevano in maniera organizzata e iniziarono ad attaccare i pelleverde senza sosta; nello stesso istante si animarono anche i cadaveri che gli stessi troll avevano precedentemente utilizzato come esca, e anche quest'ultimi si scagliarono contro i loro nemici. Raymond, a quella scena, non seppe se sentirsi tranquillizzato o terrorizzato. Si guardò intorno e lesse negli occhi dei Falchi Rossi intorno a lui lo stesso misto di gratitudine e spavento: probabilmente gli uomini del deserto non avevano mai visto un non morto neppure nei loro peggiori incubi, ed ora si vedevano circondati da essi, benché questi sembrassero essere alleati.

Anche i troll vennero scossi da quella vista, seppur non tanto come i Bedouin. Alcuni pelleverde si ritrassero, ma i più si lanciarono in zelanti gridi di guerra incomprensibili, rinnovando il proprio vigore alla vista di un nemico così disumano. I troll dovevano essere più avvezzi alla magia nera di quanto non fosse lui stesso, poiché pochi di loro cedettero il passo a quella vista, e ancor meno si diedero alla fuga.
Non passò che qualche istante perché glielo dimostrassero.

Raymond sentì dei movimenti goffi alle sue spalle, e si voltò. Vide la lama scintillante del coltello kukri solamente in quell'istante e riuscì a malapena a frapporvi la propria lama, senza subire danno.
Davanti a lui stava un guerriero dei Rooi Valke; morto. Il cadavere si muoveva però goffamente, come una marionetta nelle mani di un burattinaio inesperto, e stava tentando in tutti i modi di eliminarlo, senza ombra di dubbio. Sembrava diverso dai non morti che aveva scorto precedentemente: se quelli di prima gli erano sembrati organizzati ed energici, questo era impacciato e grottesco; se gli altri parevano avere un barlume di vita negli occhi, questo nascondeva soltanto uno sguardo vitreo e due pupille spente.

Si allontanò velocemente dal mostro, che si muoveva abbastanza lentamente da permettergli di disingaggiarlo senza controindicazioni. Questo gli permise di guardarsi intorno:

Tutt'intorno a loro, i cadaveri vittima del primo assalto dei pelleverde si stavano rianimando, divenendo deformi ghoul controllati da una volontà superiore.
Questa seconda ondata di non morti si rivelò indubbiamente loro nemica, gettandosi sui Falchi Rossi rimasti attoniti e eliminandoli in breve tempo, perché si rialzassero anche loro.

La battaglia si era presto trasformata in un epicentro di negromanzia e maledizioni; un'orrida mutazione che lasciò Raymond senza fiato, stupefatto dal manifestarsi dagli eventi.

Fu in quel caos che, quasi per caso, gli parve di sentire una nenia.
Un rumoreggiare lento e basso, simile ad una cantilena; un rosario raccontato in una lingua sconosciuta, che attirò immediatamente la sua attenzione. Erano indubbiamente le parole di un rituale innegabilmente oscuro, delle quali si mise a cercare l'origine.

Ben presto incrociò con lo sguardo un uomo del deserto che, a differenza degli altri, non stava combattendo. Si limitava a recitare un lungo rituale tenendo le mani giunte intorno a sé, ignorato dai non morti che, benché stessero sciamando intorno a lui, non facevano altro che ignorarlo.
Senza pensarci neppure due volte, Raymond lo atterrò. Nella sua vuota mente di soldato, vedere la seconda ondata di cadaveri ignorare quella figura era bastato a imputarle la colpevolezza della loro nascita.
E, per una volta, ebbe ragione.

Quando tolse il turbante a quello che aveva creduto essere un Bedouin rivelatosi loro nemico, si trovò innanzi il viso sghignazzante di un troll.
La sua mente iniziò a lavorare febbrilmente e, mentre eliminava il nemico trafiggendogli il cranio con la propria lama, capì cosa stava accadendo.

« Toglietevi i turbanti! » urlò « Il nemico si nasconde fra noi! I PELLEVERDE INDOSSANO LE NOSTRE STESSE VESTI! »

era ovvio.
I troll avevano usato i corpi e i cavalli delle vittime delle battaglie precedenti come trappola per il primo assalto; tuttavia avevano dovuto vestire i cadaveri con i loro colori, perché gli uomini del deserto li scambiassero per pelleverde, dalla distanza. Coi vestiti da Bedouin che erano loro avanzati avevano dunque fatto vestire i propri sciamani, mischiandoli all'armata dei Falchi Rossi nel mezzo del combattimento. Ora questi ultimi stavano rianimando i primi caduti, scatenando il caos nello scontro e costringendo i soldati a combattere contro i propri precedenti compagni.

« che il Sovrano ci guidi... »
mormorò Raymond, esalando un sussurro.



CITAZIONE
Come avrete potuto notare, avete curiosamente scelto una tattica molto simile a quella dei troll. In questo post loro fanno infiltrare nel combattimento i propri sciamani, vestendoli come fossero dei normali Falchi Rossi (e dunque col viso coperto). Questi ultimi iniziano a rianimare i caduti, rimpinguando le proprie fila e scagliandoli contro i beduini ancora in vita. Questi non morti non sono granché potenti e sono simili a normali zombie, a differenza dei sottoposti di Rekla: sono goffi e lenti, ma molto numerosi; sono indistintamente sia uomini che troll, presi da entrambe le fila dell'esercito.

Ho apprezzato molto le vostre idee e devo dire che si sono rivelate molto efficaci, seppure in parte: con l'apparire di tutti questi non-morti potete infatti immaginare come abbiano reagito i Falchi Rossi, che sono ovviamente molto, molto, molto più impressionabili dei pelleverde! Ciò nonostante le vostre azioni sono state ben studiate e vengono ovviamente premiate: tendendo conto anche del contrattacco dei troll, la situazione ora è questa:

percentuale di vittoria

Rooi Valke 35% / 65% Pelleverde

mostri sul campo di battaglia [ImG]:

CITAZIONE
Assassini e cacciatori: i troll (creature alte poco meno di un essere umano, dalla pelle verde, esili, molto intelligenti e con la bocca irte di lunghe zanne da facocero) sono una delle minoranze appartenenti all'esercito dell'occhio di Gruumsh. Nonostante la loro assoluta devozione, tuttavia, le loro caratteristiche fisiche impediscono loro di dedicarsi anima e corpo al combattimento e anzi, molti di essi fungono per lo più da approvvigionatori per le truppe e medici di fortuna - i quali però che non hanno il talento nel così detto sciamanesimo, fanno dell'assassinio la loro forma d'arte: divengono maestri nell'infliggere colpi fulminei e letali, e esperti nell'infiltrazione e nel travestimento. Agiscono come spie, informatori, sicari, o strumenti di vendetta. Sono bene addestrati nell'anatomia, nella furtività, nei veleni e nelle arti oscure, le quali permettono loro di portare a termine missioni di morte con terrificante e spaventosa precisione. Fanno spesso uso di tecniche di mimetizzazione, di invisibilità e intrugli dalla dubbia provenienza; alcuni in grado di curare le loro ferite - sembrano anche in grado di identificare la posizione dei loro avversari con paurosa efficacia. Il loro evidente punto debole è il fisico gracile e debole, ben più sofferente di quello di un qualsiasi umano medio.

CITAZIONE
Sciamani: signori del mondo degli spiriti, gli sciamani seguono una tradizione divina leggermente differente da quella dei consiglieri e degli Hoëpriester: il loro mondo è pieno di potenti spiriti viventi, alcuni utili e altri maligni. Contrattando con essi lo sciamano ottiene potere sul mondo naturale e una possente magia con la quale aiutare i suoi compagni e punire i suoi nemici. Benché la stragrande maggioranza dei pelleverde possedenti questo dono siano per lo più troll, non è raro incontrare anche sciamani di razza orchesca, o addirittura goblinoidi. Lo sciamano funge da medico sul campo di battaglia, benché abbia anche una ampia conoscenza dei veleni e di alcune subdoli tecniche negromantiche: non disdegna neppure di rimpinguare il proprio compendio tecnico con qualche illusione e qualche offensiva psionica, benché la stragrande maggioranza di queste ultime siano troppo elaborate per poter essere utilizzate da troll disponenti le sole risorse offerte loro dall'occhio di Gruumsh. Come i barbari, infine, sono soliti cadere in una sorta di trance furiosa a un passo dalla morte, brandendo i propri coltellacci contro amici e nemici, nel tentativo di mietere quante più vittime è possibile.


Per quanto riguarda il prossimo post, avete ancora 5 giorni di tempo. La modalità di gioco resta ovviamente la stessa.

 
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J!mmy
view post Posted on 25/10/2012, 16:46




Quella notte aveva avuto un terribile incubo.
C’era oscurità, profonda oscurità. Il freddo lambiva ogni parte del suo corpo, interamente nudo e lacero in molti, troppi punti perché potessero essere contati. Dinanzi a sé nient’altro che un immenso campo di grano, puntellato a più riprese da fiori scuri simili a rose, talmente secchi e appassiti che dei petali non restavano oramai che fracidi veli neri e avvizziti. In quell’incontaminata distesa nell’oblio sembravano quasi cadaveri appesi ad esili steli di morte, macchie di sangue su di un manto di spessa coltre nevosa. La neve, già, quella la rammentava assai bene: copriva ogni cosa, cancellandola come se non fosse mai esistita; tutto svaniva al suo candido tocco, persino i suoi stessi passi si dissipavano in pochi istanti. Dissolti, come fugaci lamenti di uno spettro inquieto.
E lei correva, e correva, e correva, ma la gamba destra mostrava una frattura scomposta alla caviglia e ciò la costrinse a ramazzare al suolo tante e tante volte. Troppe. La stavano raggiungendo.
Che fossero vivi o morti non avrebbe saputo dirlo, ma certo era che camminavano, tentando di agguantarla, stringerla e toccare ogni parte con quelle sozze mani di carne rancida e unghia sanguinolente. Morti, dovunque, affamati. Volevano lei, bramavano il suo corpo, i suoi seni, le sue cosce; volevano tutto, e niente pareva arrestarne la corsa.
Il respiro si appesantiva sempre più, il cuore iniziava a martellare con invadenza, sbattendo tra le costole con una tale veemenza da credere che fosse impossibile che nessuno lo sentisse... che nessuno le venisse in aiuto. Era sola, vulnerabile e in pericolo: un sapiente osservatore l’avrebbe data per spacciata senz’altro.
Eppure, una misera fiamma in fondo al petto ardeva ancora con vigore, la percepiva, rammentando alla donna quanto preziosa fosse la vita e quanta parte di essa fosse sopravvissuta in lei, in verità – una parte per cui valesse la pena lottare, uccidere, aggrapparsi a una speranza.

"No, tu non sei fatta per dare speranza."
E intanto correva, le braccia strette saldamente intorno al torace, ben premute contro i seni perché non patissero il freddo. Ma era più il pudore a spingerla a coprirsi, giacché mai si era sentita più fragile di allora. Le piante dei piedi zoppicavano e pestavano, affondando nella neve e incontrando rovi colmi di spine ed ossa; tante, tantissime ossa. Rekla correva sola, nuda, in fuga dai propri tormenti e su di un fottutissimo cimitero. I morti mugugnavano alle sue spalle, mentre uno di loro si allungava in avanti con ferocia facendo schioccare la mascella e le afferrava un ciuffo di capelli. L’essere tirò con una tale potenza che la ciocca dovette strapparsi, suscitando solo l’ennesimo singulto sommesso della Nera;
la temutissima Regina dei morti violata dal patto che lei stessa aveva stipulato.
Piangendo, gettò una rapida occhiata dietro di sé. Lacrime di rugiada rigarono zigomi provati dalla sofferenza, inzaccherati dalla paura: erano in dodici, due dei quali bambini dell’età di non oltre i dieci anni, probabilmente. Pensò a quando aveva avuto lei dieci anni, a quando la vita le strappava di bocca cibo ed affetti per poi vomitarle in faccia gli avanzi spolpati e resi immangiabili dalla beffa. “Anche allora era stata sola” non poté fare a meno di constatare, e per un attimo smise di correre.
A che pro, dopotutto?
Sopravvivere per cosa? Lei non aveva niente!

« Ragazza! » urlò qualcuno nell’immensità della steppa.
La voce impattò nel silenzio quasi si fosse schiantata contro un impenetrabile muro di solida roccia. Il tonfo, però, fu talmente greve e soffocante da rimbombare nel petto come un lontano tamburo di guerra. Si guardò intorno, immobile, le palpebre sgranate e le labbra socchiuse in procinto di proferire parola. Ma non uscì alcunché dalla sua bocca; chiunque avesse gridato non era lì, doveva averlo immaginato.

« Ragazza! Tu senti? »
I morti erano già su di lei, le loro dita che scivolavano sulla carne insinuandosi dovunque senza indugio o rispetto alcuno. Era carne da macello, creata all’unico fine d’essere sacrificata, madre del dolore e figlia dell’inferno. L’aveva sempre saputo, in fondo.
Era nata per morire.

« Rekla! Apri tuoi fottuti occhi! »

[…]

Quando la Nera rinvenne, i pensieri di quella notte svanirono.
L’oscurità, quella invece era rimasta; avvinghiata a lei come un avido parassita che prosciugava ogni pensiero piacevole, ogni lampo di ottimismo, ogni barlume. Dita di tenebra si avvolsero al suo gomito, muovendolo contro sua stessa volontà. Scattò in avanti, spintonando una figura che non riusciva ancora a identificare: vide un turbante e lacere vesti del deserto; poi una lama, e il petto che si squarciava in un rogo di caldo sangue umano. Quel tepore le schizzò sul viso, ridestandola come da un lunghissimo sonno, appena in tempo per scorgere le molli labbra di un troll corrugarsi di nitida eccitazione.
Rekla gli sorrise, ghignandogli di rimando.

« E’ una bella sensazione, non è vero? »
Ma il pelleverde non rispose - o forse non capiva affatto - e si limitò a sciorinare la picca intinta del sangue e delle viscere del beduino come fosse un trofeo di cui andare fieri. In quegli attimi il tempo parve arrestarsi, sospendersi il giusto a prendere un lungo e profondo respiro: l’ultima cosa che la creatura poté notare fu la mano di Rekla che guizzava impercettibilmente verso la coscia; poi si ritrovò a baciare il terreno, con la sabbia che gli riempiva la bocca e una straziante fitta all’attaccatura del collo.
Infine, il buio.
linguacopia

La Nera sfilò la piccola dalla spina dorsale dell’aborro, portandosi dietro grumi biancastri d’osso e terriccio. Diede uno sguardo a ciò che la circondava, e la situazione non le piacque affatto: il campo di battaglia era diventato un completo assembramento di cadaveri putrefatti e uomini piegati dal dolore, spesso talmente prossimi gli uni agli altri da sembrare un unico corpo morto e oltraggiato. Le sorti erano cambiate, certo, ma questo non escludeva che stessero perdendo troppi soldati – e che sarebbero stati dannatamente esposti nell’eventualità di un rincaro di forze gonlinoidi o semplicemente di un terzo, subdolo e pusillanime sotterfugio del nemico.
Doveva impedire che prendessero il sopravvento, che s'insinuassero ulteriormente tra la ressa di Rooi Valke e Tenebre, o anche solo che i primi non fossero abbastanza freddi da riconoscere nei secondi degli alleati su cui poter contare; dopotutto, il campo pullulava di non-morti, e non tutti erano suoi.

« Facciamo un po’ di pulizia » disse a voce bassa.
Quindi si condusse la lama della Constantine alla bocca, un sapiente commisto di cristallo e osso, con una tale sensualità da risvegliare in se stessa godimento, impulso, frenesia, desiderio.
« Lussuria » sospirò, mentre leccava lentamente il filo dell’arma « mostra a questi stregoni il vero piacere. »
La Constantine emise un lungo e acuto gemito di complicità.
Assorta dal compiacimento, inebriata dall’odore inconfondibile di mietitura d’anime cui le proprie creature stavano dando luogo tra le falangi orchesche, il Cerbero spinse la piccola con forza incuneandola nel terreno, appena prima che un ampio dedalo di venature purpuree si dipanasse da quell’esatto punto per dilagare come un morbo.
Dieci, quindici, diciotto teste calve e prive di pelle sorsero dalle crepe come punti di nero nell’oscurità, come le macabre rose che quella stessa tormentata notte aveva sognato di vedere. Ma ora non aveva più freddo, non tremava, né quei ripugnanti scarti di esistenza tentavano più di ghermirla e toccarla. Osservarli sollevarsi dal terreno, strisciare scompostamente su di esso protendendo i loro arti deformi alla volta di corpi ancora caldi, non le provocò più alcun terrore o disgusto; anzi. Percepì quasi un familiare quanto affascinante senso di ristoro nel vederli lì, intenti ad assalire per lei, mordere per lei, strappare per lei, divorare per lei,
uccidere per lei.

« Attacchiamo adesso! »
« ATTACCHIAMO I MAGHI!! »

Non era più sola.


CITAZIONE
Rekla Estgardel
la Nera Regina
––––––––––––––––––––––
Stato Umano
{ Intelligenza 4 | Forza 1 | Maestria armi da mischia 1 }

––––
« Energie: 88 - 6 - 6 = 76%
« Stato fisico: ferita da taglio alla coscia destra, contusione alle prime due costole sinistre.
« Armi: Constantine • sfoderata

Attive...
.Amor, ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona. La radice della parola "lussuria" coincide con quella della parola lusso - che indica un'esagerazione - e quella della parola lussazione - che significa deformazione o divisione. 
Appare quindi chiaro il suo significato, il quale designa qualcosa di esagerato e di parziale. Il lussurioso cioè è portato a concentrarsi solo su alcuni aspetti del partner (il corpo o una parte di questo) che diventano il polo dell'attrazione erotica; tutto il resto è escluso, l'interezza è negata. 
Il corpo viene oggettivato e la persona spersonalizzata: le vesti, gli accessori, i gesti, la musica, le luci arrivano ad assumere un'importanza fondamentale poiché devono supplire alla mancanza di un altro tipo di seduzione che scaturisce da un'intesa psicologica e affettiva, oltre che fisica. E' proprio grazie a questa profonda intesa psichica che, ad un unico gesto di Rekla, dal terreno rivoli di mercurio fluiranno per plasmarsi in incantevoli riproduzioni di cadaveri. In tal modo, una schiera di non morti -da una decina a una ventina- risorgeranno per scagliarsi voracemente contro il suo avversario. Al termine del turno i morti si dissolveranno in cenere, fungendo da vera e propria tecnica. Nonostante il loro numero, infatti, il massimo quantitativo di danni che potranno causare all'avversario sarà pari a Medio, svanendo una volta raggiunta questa soglia. Una tecnica inaspettatamente utile, che può avere anche delle inusuali applicazioni difensive. Consumo di energie: Medio.

... e passive

La connessione tra l'evocatore e il mostro è molto più potente di quella che potrebbe mai avere con qualsiasi altra delle sue creature. Loro sono la stessa cosa, divisasi solamente con l'obiettivo di distruggere il proprio avversario. Per questo, i loro corpi sono legati insieme non solamente dalle mere catene che fuoriescono dal gauntlet. Nel caso in cui Rekla dovesse subire un danno provocato dal proprio avversario (e non autoinflitto tramite tecniche o atti impulsivi) ella potrebbe decidere di suddividere tale ferita e farne subire la metà esatta al proprio colosso, che griderà, alimentando la propria furia. Esemplificando, se Rekla dovesse subire un danno Medio, ella potrebbe decidere di prenderne solamente uno Basso, facendo sì che il mostro, tuttavia, subisca anch'egli un danno Basso. In poche parole, potrà smezzare qualsiasi danno rivolto alla propria persona, purché l'evocazione sia già presente sul campo. Viceversa, potrà anche decidere di suddividere i danni rivolti all'evocazione, subendone la metà, poiché i due non sono che diverse emanazioni dello stesso corpo [Tecnica passiva].

Nel principio, la Riluttanza
Il primo stadio di violenza contrappone il rifiuto della verità al suo viscerale attaccamento alla propria arma, il quale diverrà indissolubile, tanto intenso e profondo da impedire a chiunque di scinderlo. L’arma diviene un ninnolo, un prezioso memento, un tesoro inestimabile per la fanciulla che potrà impiegarlo per evocare istantaneamente l'ombra sotto forma di lorde creature, potenziate di un punto CS addizionale e a un costo energetico ridotto del 5%.


.Voi cittadini mi chiamaste Ciacco: per la dannosa colpa della gola, come tu vedi, alla pioggia mi fiacco.Il peccato di gola coincide con un desiderio d'appagamento immediato del corpo per mezzo di qualche cosa di materiale che provoca compiacimento. É un'irrefrenabilità, un'incapacità di moderarsi nell'assunzione di cibo o, più in generale, nel desiderio incontrollabile di qualcosa che si brama. E' stato proprio per quest'ultima ragione che Rekla ha accresciuto la propria fame nell'ambito della negromanzia, al punto da strappare il sottile velo che separa ciò che è vivo da ciò che è morto. Più precisamente, in termini di gioco, la Nera Regina acquisisce il potere dell'immortalità; questo non significherà che non sentirà la stanchezza o perderà i sensi una volta al di sotto del 10%.

.Or superbite, e via col viso altero, figliuoli d'Eva, e non chinate il volto sì che veggiate il vostro mal sentero. Il superbo è una persona innamorata della propria superiorità, vera o presunta, per la quale si aspetta un riconoscimento. La superbia affonda le sue radici nel profondo dell'uomo, sempre teso alla ricerca e all'affermazione della propria identità. Quest'ultima non è qualcosa che si elabora al proprio interno, ma che ciascuno negozia nel rapporto con gli altri da cui attende, appunto, il riconoscimento. Tale bisogno nell'essere umano è fortissimo: forte al pari di altri bisogni più esistenziali…
Allo stesso modo Rekla è innamorata di sé, della sua sicurezza, del suo corpo. Così facendo, nonostante le origini ancora sconosciute, la giovane insinua in chi le sta accanto non molta fiducia, oserei dire nessuna piuttosto, ed un timore di non poco conto. Tutto ciò, ovviamente, è efficace laddove chi la affianca non sia un demone né possegga un'energia superiore alla sua.

Vizio dell'Animo • честолюбие
Che sia negativa o positiva, l’ambizione - così come la sua assenza - sottende tutte le azioni umane malvagie o meritevoli che siano. L’ambizione sfrenata può portare all’insoddisfazione perenne, a cambiare schizofrenicamente campo di interesse o obiettivo pur di avere una nuova vetta da scalare, mentre un’accezione positiva di questa attitudine psicologica può coincidere con una sana spinta a migliorarsi e non accontentarsi, a superare i propri limiti. Rekla Estgardel è forse l'essere più ingordo e privo di scrupoli del pianeta, pericoloso e raggelante nell'infinita contaminazione della sua mente. E' proprio grazie a quest'incessante bramosia, però, che la Nera Signora è riuscita a cogliere frutti misteriosi ed unici, rari e preziosi come le più pregiate ricchezze del mondo. In termini pratici, ella è in grado di usufruire delle capacità di una seconda classe: il ladro. A tal modo ciò potrà senz'altro spalancare alla regina dei morti molteplici vie ad un'innumerevole quantità di attacchi e strategie, tutte indubbiamente mirate a stroncare sul nascere l'esistenza del malcapitato avversario. (Tomo furtivo)

An endless guard
In breve, il giovane Shiverata apprese l'orrenda verità su chi fossero i nemici e le prede cui il Magus l'aveva destinato. Non ne fu felice. L'anello gli imponeva di cercare e sconfiggere gli emissari dell'Abraxas: lui era costretto a frapporsi fra il mondo umano e l'Ombra, senza poter abbracciare nessuno dei due. Il dono lo condannava ad una guardia senza fine, perché il fiore di ossidiana, quel cuore del fiato di drago, non conosceva scalfiture. Il Maestro l'aveva definito nero come il peccato e resistente come la roccia. Lo era molto di più. Inoltre lo costringeva ad una percezione impossibile da interrompere, gli donava non la visione esatta ma la totale percezione del nemico, della sua presenza. Era orribile -e per questo maledisse il nome del Maestro.
{ Abilità Passiva: L'anello è indistruttibile. ; Abilità Passiva: Auspex sui non-morti, il portatore sarà sempre a conoscenza della loro presenza nei paraggi. }

Note
Ok, non lo nego: questo post mi è uscito un attimino scabroso, ma Rekla Estgardel è anche questo, purtroppo. Non avendo grosse iniziative strategiche, mi sono concesso la più ovvia delle idee. L'intero pezzo è letteralmente trapassato da una inconfondibile trama volutamente introspettiva che annebbia la mente di Rekla portandola a scorgere in tutti quei cadaveri moventi quasi una famiglia presso cui rifugiarsi e difendersi. Per questo turno, inoltre, ho scelto di far dare il fatidico ordine ad un normalissimo soldato delle Tenebre (offensivo, potenza media), il quale - una volta che Rekla ha evocato una ventina di cadaveri al chiaro intento di assalire gli sciamani - suggerisce al contingente alleato di attaccare proprio i maghi e proprio in quell'istante, approfittando del supporto giunto dai "nuovi mostri" della Nera Regina.
Spero che la mia strategia risulti abbastanza chiara, insomma: evocare venti non-morti - gli ennesimi - per distrarre i maghi (quasi fosse una psionica, con la differenza che hanno un potenziale offensivo reale e di media entità) e concedere ai Rooi Valke e alle Tenebre il tempo di sfondarli in simultanea.
Per concludere, specifico che al fine di avere chiara la situazione, Rekla si avvale anche dell'auspex passivo sui non-morti conferitole dall'artefatto "Teresbritin".
Spero di non aver fatto cazzate o simili. A voi. :v:

 
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Vrastax Victorian
view post Posted on 25/10/2012, 19:51




Quando la carica partì poté contare tre nemici cadere sotto la sua spada.
Ebbe un lungo brivido mentre l’ardore lo bruciava da dentro, c’era il fuoco della vita in lui ed era di nuovo lì, in un campo di battaglia, con la sua mezza armatura, con la sua spada arrugginita.
E c’era pure la voglia di uccidere, chissà quanti di quei mostri, chissà quanti di quei beduini.
Se avesse potuto avrebbe tagliato la testa a tutti, tuttavia sapeva per certo che non avrebbe potuto farlo.
Da quanto tempo non toccava una spada? Da quanto tempo non combatteva? Tremò ancora più forte al solo pensiero di iniziare e quel tremore si trasformò presto in un urlo di piacere che abbatté tutti i suoni circostanti. Sorrise e pianse allo stesso tempo, si sentiva confuso, molto più dei suoi fratelli che gli stavano attorno e che si muovevano con lui: come facevano ad essere cosi tranquilli?
Respirò una nuova aria piena di sapori rossi, di lamenti e di morte, era la sua aria e non quella di suo fratello, dell’Ultimo Vittoriano. Non sarebbe più tornato lì dentro in mezzo a tutti loro.
Non voleva. Non voleva. Non voleva.
Voleva combattere invece, sguainare la lama di metallo, vedere il sangue scorrere su di essa.
Un troll, un maledettissimo troll lo avvistò, uno solo era troppo poco però, ne voleva ancora, sapeva che quel pelleverde di merda non sarebbe resistito che un paio di secondi. I brividi e l’adrenalina cominciarono a mangiarlo, tremava dalla voglia di iniziare.

« Venite luridi mostri. » Chiunque l’avesse visto avrebbe pensato che quel guerriero fosse indemoniato al punto da non riuscire più a distinguere la realtà da ciò che non accadeva. « Venite, venite. »
Il primo dei nemici lo afferrò con entrambi le mani, quel troll puzzava pensò e pure tanto. Cercò invano di strattonarlo e di buttarlo giù, lo morse e infine prese un pugnale dalle sue riserve, l’avrebbe colpito al centro degli occhi se non fosse stato per il colpo mortale che aveva subito qualche istante prima. Ridendo come un matto senza faccia, il fratello Vittoriano resuscitato aveva conficcato di traverso la lama nel collo molle e verdastro. Non sarà l’ultimo questo, permettimi di ucciderne di più, ti prego lasciamelo fare in memoria dei vecchi tempi. Urlò; si rese conto di non poter correre, si sentiva strano ma non per niente furibondo ed eccitato. Quel corpo che gli era stato donato aveva solamente metà delle leggendarie capacità in possesso del popolo Vittoriano. In realtà, ora che ci pensava, oltre all’armatura e alla spada, non aveva nient’altro. Gli mancava un braccio e pure il mignolo della mano destra, per fortuna però non ci aveva fatto caso fintanto che dovette portare il braccio in avanti per difendersi. Nella sua mente credé di avere uno scudo ma quello che alzò non fu nient’altro che nulla.
« Non è possibile! »
Strillò.
« Non è possibile! »
Ancora più forte.
Il troll l’aveva colpito in pieno petto, uno squarciò aprì la sua armatura ma da lì, nemmeno da lì, il sangue uscì. Si sentiva invincibile per quanto strano gli potesse sembrare e ringhiò quando, come un forsennato, cominciò a menare potenti fendenti in direzione del suo nemico. L’avrebbe ucciso e fatto soffrire allo stesso tempo, come un pungiglione di un ape l’avrebbe punto più e più volte nelle parti non vitali di quel corpo bagnato, di colore del muschio. Ma non era ancora gratificato dallo scempio che stava creando.
Sentì una forte pressione pervadergli il corpo, alle spalle, proprio alle spalle.
E gli faceva male, tanto da provare a girarsi e vedere, ma la furia omicida oltrepassò di gran lunga il dolore. Vi prenderò tutti maledetti - sbraitò dentro di sé.

« Non lascerò in vita nessuno! »
Altri due troll furono subito da lui, elettrizzato cercò di chiamarli a sé.
La superiorità numerica – avevano insegnato i maestri – poteva essere inutile contro un Vittoriano. Il primo colpo andò a segno e urlò di piacere.
La superiorità numerica poteva anche essere schiacciata con una buona dose di tattica militare, dicevano.
Anche il secondo andò a buon fine e gridò di gioia.
La superiorità numerica poteva anzi essere un momento di debolezza per gli avversari.
Solo la testa però non ebbe una buona fine, sbraitò di dolore ma solo per poco e quello che doveva essere un elmo mozzato rotolò per terra assorbendo il sangue e la sabbia, la morte dei nemici e degli alleati. La superiorità numerica però – concludevano - poteva diventare una buona e reale arma per abbattere solo un Mezzo Vittoriano.
E cosi accadde.





« Toglietevi i turbanti! Il nemico si nasconde fra noi! I pelleverde indossano le nostre stesse vesti! »

La voce di Raymond oltrepassò qualsiasi altro verso, tra tutti quegli uomini e troll non l’aveva ancora veduto ma sapeva che era lì, sapeva che era con loro. La carica sembrava aver avuto risultati ben più che sufficienti anche se ora si ritrovavano in qualche maniera di nuovo in mezzo al caos. Molti uomini del deserto ascoltarono la voce del Lancaster e fecero cosi come gli venne chiesto. Inizialmente però Vrastax fu titubante nel decidere perché dovessero farlo poi, però, capì anche lui che qualcosa non stava andando nel verso giusto: i Vittoriani li chiamavano troll della morte o troll della magia, gli altri popoli invece semplicemente sciamani.
Molti di quei troll erano vestiti come loro, non come Vrastax ma come i beduini, con satin e turbanti, sete che li coprivano interamente. L’Ultimo poté vederne uno di alta statura richiamare dal mondo dei morti gli uomini marroni che pochi istanti prima avevano combattuto per distruggere quella feccia.
Molti si scontrarono in una battaglia sanguinosa e chi sopravvisse Vrastax non poteva ancora saperlo. Era turbato, quel conflitto si era presto trasformato in qualcosa di agghiacciante persino per lui.
Uccise con non molta facilità uno di quei troll della morte, e mentre un beduino resuscitato lo colpiva al fianco un altro si catapultò su di lui. Per fortuna però nessuno dei suoi compagni ancora vivi lo sfidò, questo grazie all’armatura che possedeva, purtroppo però alcuni dei beduini che non avevano udito le parole del condottiero finirono comunque per perire, furono sfortunati e Vrastax si dispiacque al tal punto da gridare ai suoi nuovi amici parole di incoraggiamento.

« Amici del deserto non facciamoci sopraffare, coraggio uomini. »

Le urla sembravano essere le migliori armi per dire qualcosa e soprattutto per farsi ascoltare.
Parò con lo scudo la prima sciabolata trasversale, la seconda portata dall’altro non morto fu più difficile da schivare, infatti Vrastax dovette abbassarsi per non finire colpito da quell’offensiva.
Erano veloci pensò, pure in quelle condizioni. Sempre con l’ausilio dello scudo diede una botta al petto del primo beduino e quello senza riuscire a resistere barcollò e poi cadde per terra alzando un piccolo polverone.
Il Vittoriano non doveva farsi vedere debole ora. Continuò l’attacco con la sua spada avanzando di qualche passo per finire il beduino resuscitato caduto per terra con un colpo secco al cuore, l’altro però ripresosi dalla parata di Vrastax che l’aveva un po’ intontito infilzò la punta della spada nella gamba del Vittoriano: sangue grigio uscì dalla carne, il cavaliere perse l’equilibrio e finì per inginocchiarsi.

« Ti hanno addirittura fatto inginocchiare alla morte, fratello. » Una frase beffarda piena di odio.

Si girò e vide il cadavere vivo pieno zeppo di sangue, con la faccia squarciata. C’era quasi e per Vrastax sembrava essere giunto il suo momento.
Poi chiuse gli occhi e sentì le palpebre bagnarsi di una sostanza viscida e tiepida. Non era morto, non ancora.

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« Uomo di ferro tu dare me promessa di tua futura sfida ancora. »
Shadr l’aveva salvato; spalancò gli occhi e gli sorrise.
« Te lo prometto Shadr, amico marrone. »

Si alzò in piedi grazie all’aiuto del guerriero del deserto che gli aveva offerto una delle mani sporche di polvere e sangue. Quando fu di nuovo in piedi la situazione non era di certo cambiata.
Non poteva lasciare che uomini come Shadr morissero quel giorno. Doveva farli avvicinare a lui cosi da tentare di proteggerli. Osservò la ferita e lo strano liquido che scendeva dal polpaccio, il metallo non aveva retto il colpo e si era perciò perforato. Digrignò i denti, era un dolore fastidioso.

« Statemi vicini guerrieri. Statemi vicini. »
prima che sia troppo tardi






CITAZIONE
energie: 74%
stato fisico: leggera contusione alla spalla da caduta da cavallo, ferita al polpaccio più o meno profonda (danno totale pari a basso)
abilità attive:

CITAZIONE
Comando coraggio; comando avvicinamento a Vrastax

abilità passive:

CITAZIONE
Un Vittoriano che cade, che è sconfitto dalle sue stesse forze che pensava fossero irraggiungibili all’occhio del nemico, per mano delle sue stesse idee - linee che non avrebbero potuto scontrarsi col disegno predeterminato dei suoi padri - ha fatto sì che la solitudine lo divorasse, cosi da non avere più alcuna spalla su cui poggiarsi e piangere, e non poter nemmeno fidarsi di uomini che prima considerava alleati, l’emarginazione dalla vita a cui era abituato l’ha portato a chiudersi in se stesso, a essere fragile con il corpo, distaccato dal suo io; quasi involontariamente si è arreso rendendosi gracile, come se la lontananza lo sfiancasse, eppure adesso che ogni pezzo inanimato dei suoi avi è presente nelle sue ossa qualcosa è cambiato, come un fabbro che sull’incudine ripara un’arma spezzata, o come soldati che giungono dalle seconde file per rinforzare quelle indebolite. A Vrastax è accaduto qualcosa non dissimile a quanto detto: ha rafforzato all'invero simile le sue conoscenze potendosi quindi affermare come un Negromante , un Guerriero e un Paladino, poiché in vita i suoi fratelli hanno ricoperto queste categorie, adesso l'ultimo di loro sarà consapevole di tenere con sé questi nuovi valori che l'hanno portato inoltre ad avere un potere innato in grado di percepire l’aura dei nemici nell’area circostante, di ricorrere alle proprie difese anche quando ciò sembra implausibile, quando l'offensiva del nemico sembra andata certamente a segno, di innalzare le tecniche difensive in maniera istantanea, senza alcun vincolo di tempo o concentrazione, di ottenere qualsiasi difesa a 360° con una potenza pari al consumo impiegato per generarla e infine di manifestare le proprie egide in maniera inconscia contro attacchi dei quali non è per nulla cosciente, o quasi. Come se le sue barriere e i suoi scudi fossero animati di una volontà propria, come se gli occhi dei Vittoriani suoi fratelli potessero guardare mentre lui non potrebbe. (tomo sacro; tomo epico; bracciali dell’auspex; riassunto della abilità passive del dominio absolute defense; quattro punti alle capacità straordinarie alla costituzione)

note: lo scritto si divide in due parti, nella prima ho descritto ciò che accade a un Vittoriano riportato in vita, un guerriero perso nell'oblio della mente del cavaliere diventato ormai pazzo e furibondo. Nel secondo invece Vrastax uccide uno sciamano e affronta due beduini riportati in vita. Il primo viene ucciso dall'Ultimo, il secondo invece viene ucciso da Shadr.
In totale tra il Mezzo Vittoriano e il Vittoriano si possono contare tre morti, cosi come ho scritto a inizio post.
Un troll, uno sciamano e un beduino non morto.
Vrastax comunque utilizza due semplici comandi, cerca di infondere coraggio agli uomini che gli stanno vicino e cerca invece di far avvicinare quelli troppo distanti da lui che non possono subire gli effetti della passiva citata nel turno precedente. Entrambe a consumo medio.
 
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37 replies since 8/10/2012, 15:45   1402 views
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