Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

AFTERMATH

« Older   Newer »
  Share  
Drag.
view post Posted on 29/11/2012, 23:36




La luce soffusa ed artificiale della lampada al neon sopra lo specchio gli delineava appena i lineamenti del viso. La barba, lasciata corta e rude, riluceva dell'umore dell'acqua con cui aveva rinfrescato il volto.
La piccola stanza in cui si trovava era buia e spartana; una panca solitaria ospitava tutto ciò che si era portato dietro quella sera, ed era effettivamente tutto ciò di cui avrebbe avuto bisogno.
Respirò a fondo: si sentiva riposato, pronto. Aveva dormito buona parte del primo pomeriggio per essere carico e grintoso. Quando si era svegliato, Red aveva avuto il riguardo di fargli trovare pronta una cena leggera affinchè avesse tutto il tempo di digerirla - ed evitare di sputare bile e resti alimentari di fronte a trecento persone paganti.

Emise un grugnito, un singhiozzo soffocato che poteva passare per una risata.
Una sera diversa dall'altra, ma l'ultimo giorno della settimana era sempre uguale, lavoro permettendo. Anche Red aveva simili valvole di sfogo; forse andava a rimorchiare qualche modella al Babylon, o a giocare d'azzardo nelle bettole lungo la grande strada che aveva cresciuto tutti loro. Gli parve quasi di vederlo, appoggiato alla ringhiera della balconata sulla cima del palazzo che ospita la yorozuya; i capelli rossi che si agitano incazzati al vento della notte, una sigaretta tra le labbra, le dita che mandano a fare in culo il mondo che si dipana sotto i suoi occhi illuminati dal chiarore della metropoli mai dormiente.

« Vaairo. »

La voce che lo chiama alle sue spalle è femminile, il che solitamente lo porterebbe a voltarsi e offrirle un largo sorriso; il tono però è atono, inespressivo, e il mercenario capisce che non è aria.
Dall'uscio aperto rimbalzano suoni soffocati, bassi rombi di musica e attesa.
Valeria non lo chiama di nuovo. Aspetta, semplicemente. Si scosta la frangia castana dagli occhi violetti, mordendosi il piercing ad anellino al labbro inferiore. Non vuole mettergli fretta, nonostante ne avrebbe motivo. Quel momento è catartico, e non aveva nessuna intenzione di essere lei a rovinarlo.

« E' ora. »

La risposta è un'affermazione, laconica e glaciale. Non ricordava di avere la voce così roca, graffiante; forse il silenzio dei pensieri lo aveva ghermito troppo a lungo.

« Sì. »
La conferma è secca, brutale. Valeria si strinse nelle spalle, ma quando vide il massiccio ragazzo rivolgerle un occhiolino complice, si rasserenò.
Lui si osservò allo specchio, rivolgendo a se stesso un'occhiata di pura ferocia: gli occhi grigi lampeggiavano pericolosi, e le ombre che i corti e ribelli capelli ramati gettavano sul suo viso lo trasformavano più in una belva pronta al massacro che non ad un navigato combattente.
Avvolse gli avambracci in bende di lino bianco sino alle nocche, poi unì i pugni, cercando concentrazione dentro di sè.

« Devo ricordarti le regole. »

Lui annuì, dandole le spalle e terminando i preparativi; era quasi un rito, quello. Ormai lui e Valeria si conoscevano da un anno e mezzo, e da otto mesi lui trascorreva praticamente ogni fottutissimo venerdì sera in quel rione d'inferno. Per la centesima volta, ascoltò senza fiatare: superstizione o disciplina che fosse, era tradizione.

« Prima regola, un combattimento alla volta. Seconda regola, si combatte solo due per volta. Terza regola, se qualcuno grida basta, sviene, o picchia tre volte sul pavimento, fine del combattimento. Quarta regola, niente camicia, niente scarpe. Quinta regola, i combattimenti durano per tutto il tempo necessario. Sesta regola, niente armi. Settima regola, chi vince si prende il 40% delle scommesse, chi perde non prende niente. Ottava ed ultima regola: se questa è la tua prima sera, devi combattere. »

Scosse il capo: non era più la sua prima notta da un bel po', ormai.
Mollò camicia e scarponi accanto alla panca, rimanendo in sole brache color ocra e le fasciature alle braccia. Distese lentamente i muscoli possenti, preparando il proprio corpo a ciò che sarebbe seguito.

« Ho scommesso su di te, anche stasera. »

« Premurosa. »

Valeria ridacchiò tranquilla, facendosi da parte perchè Vaairo potesse seguirla nel corridoio immerso nelle ombre alle sue spalle. Aveva una strana luce negli occhi lavanda, e il suo viso giovane e la strana capigliatura - cortissimi da un lato della nuca e lunghi dall'altro - le donarono sfumature provocanti.

« Io punto sempre su di te, Vaairo. Sempre. »

« O sei avida, o ti piaccio, Valeria. »

Lei non negò nessuna delle due ipotesi, limitandosi a sorridere compiaciuta.

L'altro scosse il capo, incamminandosi di buon passo. Lentamente, il battere cadenzato della folla in attesa guidò il suo respiro in un crescendo carico di aspettativa ed adrenalina.
In quel posto aveva visto gli uomini più forti ed intelligenti mai esistiti; aveva visto un potenziale assurdo, enorme, e lo vedeva del tutto sprecato. Un'intera legione di persone che pompano benzina, servono ai tavoli o schiavi con i colletti bianchi da burocrati. Molti di loro erano paggi o scudieri o impiegati di una società enorme con mille ingranaggi e altrettanti automi. Erano i figli di mezzo della storia, senza uno scopo né un posto. Non avevano grandi guerre o terribili crisi economiche. La loro grande guerra era quella spirituale, la loro grande crisi economica era la loro vita. Erano cresciuti con la televisione che li aveva convinti che un giorno sarebbero diventati miliardari, miti del cinema, rock stars. Ma non è così. E lentamente lo stavano imparando.
E ne avevano veramente le palle piene.

« ... ORA, L'ALTRO COMBATTENTE, ALLA DESTRA DELLA GABBIA... »



Il bagliore accecante dei riflettori lo tramortì per qualche istante, ma continuò a camminare, come se non fosse mai accaduto. Imperioso, fendette il fragore roboante della folla che incitava lui ed il suo sfidante già all'interno della grossa prigione di metallo al centro dell'arena. Ignorò di buon grado le mani protese sopra la sua testa, gli improperi, le urla di speranza e di scherno.
Quello era un regno, un'alcova in uno dei tanti magazzini del Bloodrunner, e lui era soltanto uno dei pretendenti.
L'energia pervedava l'aria come un'onda sismica, avvolgendo le centinaia di teste e riversando la propria furia sul ring al centro di tutto; sconquassandolo e deformandolo, alla fine, proprio come la devastazione dopo un terribile terremoto.

« Non farti rompere le ossa, vedi di vincere! »

Tu non sei il tuo lavoro, si disse. Non sei il mercenario, soldato di ventura, amico di tutti dal cuore tenero e la volontà d'acciaio.
Tu, Vaairo, non sei la quantità di soldi che hai in banca, non sei la macchina che guidi, né il contenuto del tuo portafogli, non sei i tuoi vestiti di marca. Neppure possiedi tutta questa roba, non l'hai mai avuta.
Tu sei la canticchiante e danzante merda del mondo!

« Tranquilla, Valeria. »

A lui, in fondo, andava benissimo così.

« Se così non fosse, non sarei neppure qui. »


Pezzo liberamente ispirato (seppur per minima parte) a Fight Club, di Chuck Palahniuk.
 
Top
0 replies since 29/11/2012, 23:36   93 views
  Share