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C'era una volta...

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Alb†raum
view post Posted on 21/1/2013, 20:34 by: Alb†raum





C'era una volta...








Dopo aver attraversato faticosamente la fitta foresta di abeti che dai territori del nord sfocia nell'Eden, sfidando i loro rami irti di aculei scuri e i loro tronchi ruvidi, o dopo aver seguito per giorni l'unica, piccola e aspra via che conduceva alla strada maestra, ci si sarebbe trovati davanti un piccolo villaggio isolato dal mondo, incastonato con le sue case in mezzo a un bosco dalle nevi perenni. Tannenwald era chiamato, in una lingua che gli abitanti del luogo avevano smesso di parlare secoli or sono.
Poco più di mezzo migliaio di anime viveva in quel luogo. Allevatori, taglialegna, falegnami. Gente semplice, modesta, come semplice e modesta appariva ogni cosa in quel piccolo paesino. Le abitazioni erano piccole, basse, del colore bianco dell'intonaco sulle pareti e del marrone scuro legno che ne modellava i balconi e ne sorreggeva il tetto a spioventi; nessuna di queste era più alta dei maestosi abeti che circondavano come vere e proprie mura il villaggio, forse per timore e rispetto, forse per qualche superstizione. Un unico edificio si stagliava sopra le punte verdeggianti: il campanile. Ma esso non pareva animato da prepotenza o sfida verso la natura: sembrava, invece, che volesse imitare la grandezza degli alberi per entrare a far parte di quella foresta. Gli innumerevoli archi rampanti che sostenevano l'alta struttura davano proprio l'impressione di fronde, e le gargolle, appese alle estremità di essi, pesanti pigne.
Il suono cupo delle campane richiamava l'urlo notturno del barbagianni.

Ma entrare a Tannenwald voleva dire varcare la soglia di un altro mondo, in quei giorni. La paura e la disperazione segnavano i volti di ogni persona che camminava per le strade nel compiere le faccende di ogni giorno, compiti che erano diventati un peso quasi insopportabile. Gli occhi delle donne erano gonfi, rossi, cerchiati di nero per le notte insonni passate a piangere, i loro capelli scompigliati, le vesti sgualcite. Gli uomini, nonostante contenessero il proprio dolore, erano visibilmente stanchi, fiaccati. Alcuni, i più sensibili, avevano sulle guance le tracce screpolate delle lacrime.
Sulle loro coscienze pesavano più di cinquanta bambini scomparsi.
Spariti nel nulla senza che nessuno avesse visto o sentito niente. E di loro non rimaneva alcuna traccia.




Xmqv4






«Margarete!»

Strillò la donna, ma era come se la sua voce venisse inghiottita dalla rumorosa piazza e nessuno la riuscisse a udire. Si portò nervosamente una mano al collo, allentandosi il fazzolettino che vi teneva legato. Soffocava. L'aria era pesante, bollente, ogni respiro insopportabile nei polmoni. Erano quelle persone a strozzarla, schermandole la vista, impedendo di vedere ai suoi occhi nervosi dove fosse andata sua figlia. Si sentiva rinchiusa in una gabbia di corpi.
Spintonò la folla con violenza, si inserì in quel mare di persone, di odori e di vesti ruvide con disperazione. Colpiva con le spalle, con i gomiti, suscitando qualche esclamazione di disappunto. Ma lei non si voltava a chiedere scusa.
Qualcuno, all'improvviso, l'afferrò per un manica, bloccandola. Continuò ad avanzare trascinando con sé chiunque la stesse cercando di fermare, i denti stretti per la paura. Solo quando sentì una voce alle sue spalle chiamarla si voltò. Due grandi occhi nocciola in un volto giovane e spruzzato di lentiggini la stava guardando con apprensione. Era Greta, la figlia del fabbro.

«Cosa succede, Johanna? Calmati, ti prego.»

Disse la ragazza, prendendo la donna per le spalle e cercando di calmarla. Ma il volto di quella impallidiva sempre più, i movimenti della sua testa erano frenetici, i suoi respiri incontrollati. Greta faticava a riconoscerla. Johanna era sempre stata di carattere tranquillo, dolce. Ora teneva la bocca semiaperta in un'espressione inebetita dalla paura e dell'ansia. Non aveva neppure la forza per rispondere.

«Margarete...»

Si limitò a ripetere, la voce strozzata. Greta capì. Affondò i denti nel labbro inferiore. Un altro. Un altro in quella stessa settimana. Non voleva crederci, e sperava con tutto il cuore che si stessero sbagliando.
Lo aveva sperato anche con gli altri. Non li aveva aiutati a ritornare.

«Calmati, su.»

Mormorò, aggiustando la cuffietta sul capo di Johanna, sgualcita e prossima a cadere, e cingendo la poveretta fra le braccia. Ma era come se quella non sentisse. Troppo forte era la stretta che le artigliava il cuore, troppo pungenti le lacrime che le bruciavano gli occhi. Sentiva di voler gridare, ma le parole le si bloccavano in gola in un singhiozzo incomprensibile.
Greta sciolse l'abbraccio e prese le mani della donna fra le sue e le strinse forte. Finalmente quella voltò lo sguardo verso di lei.

«La mia... bambina...»

Sussurrò.
Greta si voltò verso sua madre, appena giunta al suo fianco, e le sussurrò qualcosa. La donna sollevò le sopracciglia e scostò i capelli lunghi ormai incanutiti dall'orecchio, quasi non riuscisse a credere a ciò che aveva sentito. Ma la figlia non lo dovette ripetere.
La vecchia scosse la testa e si portò una mano alla fronte. Emicrania. Erano notti che non riusciva a dormire. In realtà, pochi ormai ci riuscivano.
Le urla dei bambini che le madri non avrebbero mai più rivisto teneva la maggior parte delle persone sveglie fino all'alba.

«Calmala, portala a casa e mettila a letto. Io avverto gli altri.»

La ragazza annuì. Mise una mano sotto la spalla di Johanna e cominciò a trascinarla verso casa, senza che quella cercasse minimamente di reagire. Si limitava a fissare di fronte a sé, assecondando la forza che la stava trasportando come un peso morto. A Greta sembrava di stare sostenendo un pupazzo inanimato.
L'unico segno di vita della donna erano le gambe che si muovevano ritmicamente per seguire i passi della ragazzina.
E le sue labbra che si muovevano appena chiamando:

«Margarete...»




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Johanna era a letto da ormai tre giorni. La fronte le scottava, e il suo corpo tremava tutto anche sotto le pesanti coperte con cui l'avevano avvolta. Il sindaco era venuto a trovarla, le aveva parlato per quasi un'ora e poi si era congedato dando la propria benedizione. E quelle erano state le uniche parole sensate che avesse pronunciato da quando era ricoverata. Per tutto il tempo lei aveva vaneggiato fra i singhiozzi, rigirandosi violentemente sul materasso mentre piangeva. Bisognava che qualcuno stesse sempre di guardia perché non cascasse per terra. La notte vaneggiava, pronunciando parole senza significato, intervallate dal nome di sua figlia. Quali incubi stesse vivendo, nessuno aveva cuore di domandarglielo, ma era chiaro che nemmeno il sonno le ridava sollievo.

«Niente.»

Disse il sindaco a Greta con voce roca, accostando alle proprie spalle la porta della camera in cui giaceva Johanna. Si era portato una delle proprie grosse mani callose alle tempie e se le era massaggiate. Probabilmente nemmeno lui riusciva più a dormire.

«È successo esattamente come a tutti gli altri. Margarete era accanto a lei un attimo prima, ma quando si è voltata la piccola era sparita. Nessuno sa dove sia andata. Nessuno l'ha vista allontanarsi. Potrei dubitare che questa bambina sia mai esistita, se non l'avessi battezzata io stesso.»

Afferrò una seggiola vi si sedette sopra con lentezza, stringendo le labbra per sopportare la sofferenza. Invecchiando gli erano venuti dolori alla schiena, ma mai erano stati così insopportabili come in quei giorni.

Greta lo fissava con gli occhi sbarrati. Aveva ancora fra le mani immerse nell'acqua fredda i piatti sporchi del pranzo. Li reggeva fra le dita irrigidite senza avere la forza di muoversi, sconvolta. Solo dopo qualche istante trovò la forza di muoversi nuovamente e parlare.

«Davvero... davvero non possiamo fare nulla?»

Strinse i polpastrelli sulla superficie liscia del piatto mentre lo sollevava dalla sciacquatura. Un sibilo acuto riempì la stanza. In uno scatto di rabbia lo gettò in mezzo alle stoviglie già lavate, rischiando di fracassarlo.

«Sono mesi che accade, e ancora non sappiamo come muoverci. Non sappiamo chi sia a rapirli. Non sappiamo come faccia.»

Afferrò un panno asciutto e vi strofinò le mani con violenza per asciugarle, arrossandosele più di quanto avesse fatto l'acqua gelida del pozzo con cui aveva pulito i piatti.
Tremava per la rabbia e il nervosismo. Eppure sentiva un vuoto nel petto, sentiva l'impotenza della propria ira.

«Dovremmo... dovremmo perquisire tutti gli stranieri! È stato sicuramente qualcuno da fuori.»

Il sindaco le lanciò uno sguardo severo, e Greta di morse un labbro per trattenere il corso di quelle parole colleriche.
L'uomo sospirò scuotendo la testa.

«Non risolveremmo nulla. Ogni settimana vengono mercanti dalla capitale e da tutti i villaggi vicini. Sono più della stessa popolazione della città. Chiunque fosse stato, potrebbe sfuggirci prima che lo trovassimo.»

«Ma con un po' di fortuna...»

Si lasciò scappare, ma l'espressione del sindaco la zittì immediatamente.

«Quale fortuna, di grazia?»

Replicò duro il vecchio, battendo un pugno sul tavolo. Greta si zittì, e fissò gli occhi grigi che la stavano scrutando severi. Erano lucidi, e nella loro durezza trattenevano lacrime.

«Ho visto sparire bambini che conoscevo da quando erano appena nati. Che ho visto crescere. Che un giorno spero di vedere adulti. Di quale fortuna parli, Greta? Non ci aiuta nemmeno la nostra disperazione. Weh sembra non ascoltare le nostre preghiere.»

Si alzò dalla sedia senza la dovuta attenzione, e una smorfia di dolore gli deformò il viso per un istante, ma l'espressione seria non tardò a tornargli sul volto.

«Sto agendo nella maniera più sensata possibile per ritrovare quei bambini. Ho messo uomini di guardia alle porte del villaggio. Ho lanciato un appello alla capitale. Ma non posso ordinare di molestare ogni singolo estraneo sperando che il colpevole, per un colpo di fortuna, sia uno dei primi che interroghiamo. Non la senti la tensione nell'aria? Al minimo sospetto rischiamo un linciaggio. Rischiamo che l'intera Tannenwald si metta a cercare e a uccidere ogni straniero per sfogare la propria rabbia. E, probabilmente, il colpevole sarebbe comunque già fuggito.»

Il sindaco si era fatto rosso in volto, parlava infervorato. Nelle sue parole vi era rabbia, un'ira terribile, ma non contro Greta, bensì contro sé stesso, contro la propria inettitudine. Aveva i pugni stretti, la voce arrochita. La ragazza era quasi spaventata. Come Johanna, anche il vecchio era sempre stato una persona misurata. Quella disgrazia stava tirando fuori da ciascuno il peggio di sé.
La violenza nei pacifici. La rabbia nei tranquilli. La disperazione negli spensierati.

Il sindaco prese la giacca scura dall'attaccapanni e la indossò con gesti stanchi, preparandosi a tornare a casa. Guardò per un istante ancora alle proprie spalle. Greta lo stava ancora fissando, il suo sguardo era addolorato. Forse cercava di chiedere scusa per le parole che aveva detto prima, ma il vecchio sapeva di dovergliene di più sentite.

«Scusami. Non dovevo parlare in quel modo. Non sono arrabbiato con te.»

Mormorò, indossando il cappello.

«Pregherò per Margarete e per gli altri. È l'unica cosa che possa permettermi, ora. Spero solo che qualcuno risponda all'appello. Dovrebbero arrivare entro domani. Che Weh ci assista.»

Tannenwald è un altro mondo in questi giorni, pensò il sindaco, uscendo dalla casa.
Teso. Xenofobo. Rabbioso.
Spaventato da qualcosa che non riesce a spiegarsi.
Intrappolato in una fiaba che non avrebbe mai voluto sentire narrata.

C'era una volta...





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QM POINT



Bene, sembra che sia l'ora che le danze comincino. Chiedo venia per non aver tosto eseguito il mio compito e aver subito aperto la discussione.

In ogni caso, i vostri pg rispondono all'appello inviato dal sindaco e giungono a Tannenwald (la cui descrizione è nel primo paragrafo del post). Avete totale libertà su tutto: ritrovo del bando, motivazioni, viaggio, arrivo e tutte le azioni che intercorrono fra questo e l'appuntamento con il sindaco (che, vi ricordo, è a mezzogiorno alla chiesa nella piazza centrale del villaggio). Se interagite con abitanti del villaggio, considerateli coerentemente a quanto scritto sopra. Se ingaggiate scontri di qualsiasi genere, gestiteli autoconclusivamente. Potete parlare fra di voi se lo desiderate, ma sarebbe preferibile che lo faceste in un singolo post, mettendovi precedentemente d'accordo sui dialoghi e azioni. Insomma, libertà. Usatela bene.

Avete cinque giorni da ora.



P.S.: come sfida personale, la mia quest avrà solo arrange di Touhou come soundtrack. So quanto poco ciò vorrà dire per voi questo. I pochissimi eletti capiranno.
Si ringrazia Coldest per il divider.
 
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