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« Sotto la luce delle stelle, è come se lo vedessi.
Cammineremo sotto la luce delle stelle, sull'erba grigia della steppa, e staremo tornando a casa.
È come se lo vedessi, amico mio: varcheremo ancora una volta la porta azzurra dei giardini di Kullaba, e marceremo sulla via principale, di notte, sino alla reggia del Lugal, proprio come facemmo quella volta, ti ricordi, quella sera dopo la battaglia. Saremo come déi.
Non moriremo domani, Enlil, non domani. »
« Sai, ho sentito che alcune tribù a nord appoggeranno An. Si fa chiamare Adonai, laggiù, gli sacrificano animali, si fidano di lui. Non ci temeranno. »
« Ci hanno sempre temuti, sempre. »
« Prepara il tuo carro, Adad. Se non dovessimo farcela, domani, dovrai tornare alla Torre e distruggere tutto. »
« Ad Inanna non piacerà, è tanto affezionata agli uomini. »
« Etemenanki ha causato troppi danni, siamo stati stupidi, ora dobbiamo rimediare. »
« Sarà fatto, Ba'hal Enlil. »
« Non c'è bisogno di queste formalità, vecchio mio. Forza, ci sono due boccali di birra che ci aspettano. »
« Torneremo a casa, prima o poi. » Assur giaceva supino accanto al fuoco, con le mani incrociate dietro la nuca e lo sguardo perduto nel cielo dell'Eden, così diverso da quello della steppa grigia, così scuro, trapunto di stelle.
Accavallò le gambe, sospirando. La riunione ristretta si era da poco conclusa, tra dubbi e scommesse, ed ognuno dei partecipanti se n'era andato per la propria strada, alcuni verso un giaciglio e qualche ora di sonno ed altri, i meno fortunati, verso la tana del nemico, il nido dei corvi.
Dormi, si disse il pellegrino. Chiudi gli occhi e riposa, ripeteva quella voce invisibile, perché non c'è pericolo dal passato. Sono solamente ricordi, alla vigilia di un'altra battaglia.
Chiamami Erindring, la memoria del mondo.
Il guerriero allungò un braccio, sfiorando con le dita la sagoma luccicante della costellazione a cui era più affezionato.
« Torneremo a casa, prima o poi » mormorò tra sé, nell'eco di una memoria lontana.
« Non moriremo domani. »Riscaldandosi le ossa nel tepore della brace poco distante, mentre s'arrendeva al richiamo della notte, Assur lasciò le sue palpebre accostarsi.
In quello specchietto ovale sul muro, accanto alla scrivania, ancora galleggiava il riflesso distorto di una candela nera che andava spegnendosi. Il corvo sedeva sul busto di Pallade, proprio sopra la porta della stanza, solitario. Diceva quella sola parola, come se in quel suono l'intera sua anima fosse infusa. Nevermore, mai più.
Mai più potrai salutare un tramonto con le vocali dolci della lingua di Shumer, seduto sulla collina del tempio. Mai più i tuoi piedi baceranno la terra bagnata delle pianure, mai più i tuoi occhi incontreranno quelli di un leone dei Kur, ormai scomparsi.
Mai più la tua mano carezzerà il volto di lei, più lontana dell'oceano e delle stelle.
Non moriremo. Mai più.
Rumore di passi, stivali metallici sulla roccia, respiri leggeri, palpebre che si schiudono.
« Eroe Tenebroso… » dice qualcuno, avvicinandosi. Non dormiremo, stanotte.
« Sei davvero convinto che qualcuno di questi uomini avrebbe più opportunità di sopravvivere che non offrendosi come carne da macello con quella strana donna? » continuò la voce, mentre Assur tornava seduto.
« Forse qualcuna, o magari no » rispose lui, mettendo a fuoco la figura del suo interlocutore. Era alla riunione, prima. Era quella donna che usciva dalla locanda. Non ricordava come si chiamasse.
« So solo che non mi piacerebbe se qualcun altro usasse la mia vita come merce di scambio, senza informarmi » continuò il pellegrino,
« ad un uomo che combatte una battaglia come questa, la dignità è una delle poche cose che restano. » Si alzò in piedi, come per continuare il discorso, ma tace.
La donna rispose,
« Ti preoccupi molto della vita altrui, eppure loro sono qua, consapevoli di essersi consegnati a morte certa. Cosa porta un “eroe”
a sacrificarsi per il bene altrui? » « Non mi preoccupa la loro vita, e non credo mi sacrificherei per loro » replica secco, scuotendo via la polvere dal mantello.
« Per quanto insignificanti possano essere, costoro sono sempre uomini, almeno sino a domani » sospira,
« forse difendendo la loro dignità voglio solo affermare la mia » disse lui, ridacchiando nostalgico,
« o almeno è così che l'avrebbe spiegato un mio vecchio amico.» Chiamami Erindring, della rimembranza.
La donna, stretta nella sua armatura e nel suo mantello, lo guardava negli occhi. Il suo sguardo si posò dunque sul fuoco, là accanto.
« Non mi fido di quella donna, » confessò,
« la sua vita è in serio pericolo, o è molto stupida o c'è qualcosa dietro.»« Una cosa non esclude l'altra » rispose Assur, senza nascondere la propria mancanza di fiducia nella scienziata.
« Che il suo piano funzioni o fallisca, noi dobbiamo stare pronti » dice lui,
« e fare in modo che, se dovesse provarci, non riesca a venderci al nemico. » Il pellegrino studiò il volto della combattente, assicurandosi che avesse capito.
La donna annuisce;
« Di sicuro. Ciò che ho potuto vedere oggi mi preoccupa maggiormente dell'idea di un tradimento. Questi uomini sono armati unicamente di buone intenzioni. » « La Flotta ha perso gran parte della sua forza, dai tempi della Guerra, ma cinque dei nostri uomini non valgono un solo aviano.» Assur si portò una mano alla fronte, mentre tornavana, nella finzione dell'incubo, al ricordo di quei giorni soffocati in una biblioteca fantasma. Pensò al volto di quella creatura innocente, anche lei senza sonno, spezzata nella propria debolezza mentre, in sogno, cercava di parlare ad un'altra anima perduta. Neanche dieci, di questi disperati, potrebbero abbattere un aviano come quello.
« A noi, comunque, ne interessa uno soltanto.» Chiamami Memoria, mio sfuggente ed amato sussulto. Sei fredda e scura come il cielo, stanotte.
« La mia preoccupazione, invece, viene da tutt'altra direzione » le confessò il viaggiatore nella nebbia dell'insonnia, mentre la sua testa ruotava ed i suoi occhi puntarono dritti su una tenda in lontananza, più grande ed isolata delle altre, dove presumeva stesse dormendo Kreisler, il loro comandante. Forse era solo un sogno, un miraggio.
Lei disse qualcosa come:
« io non so niente di questa guerra. Non ne conosco i personaggi, le vicende… »« Le guerre, per quanto lontane tra loro, sono tutte simili » sussurrò Assur, quasi recitando dei versi imparati a memoria. Non era vero; ogni guerra, per quanto distante, è esattamente la stessa guerra.
Egli alzò lo sguardo, che dalla tenda lontana scivolò sul cielo soprastante, perdendosi poi nella sfocata visione dell'abisso siderale. Mai più, avrebbe ripetuto il corvo sulla porta, in un incubo.
Eppure noi torneremo, torneremo a casa camminando tra l'erba grigia della steppa, alta ed incolta, che danza nella musica della fresca brezza notturna, ascoltando il frusciare del Fiume in lontananza.
Erindring credette di parlare, e forse disse, riferendosi alle guerre, che
« sono tentativi di affermare la propria vita attraverso la morte altrui, al di là di ogni politica. »C'era tristezza, nella sua voce. Non era più nervoso per la battaglia, non era più eccitato, era solo malinconico, stanco, lontano. Continuò dicendo:
« un mio amico era solito dire, prima di una battaglia, che gli unici guerrieri in campo sarebbero stati la Vita e la Morte, e così ogni volta. » Assur guardava nel vuoto senza pensare al futuro, senza comporre pensieri, mentre, ancora una volta, le fiamme tornarono a torturare il suo spirito.
Forse stava bruciando davvero.
« Ho sempre trovato quella metafora piuttosto banale, ma non escludo che possa contenere una qualche verità » concluse lui, mentendo per metà.
Il cavaliere lo guardava;
« quell'uomo aveva ragione, dopo tutto. La vita e la morte sono tutto quello che gli uomini hanno da offrire. » La sua voce era strana, distaccata, come se stesse parlando di una cosa che, infondo, non poteva riguardarla.
Il pellegrino sorrise ancora;
« credo che gli saresti piaciuta. Il vecchio Ashmedai
–ad Uruk lo chiamavano Ishkur, mi sembra– era proprio il tipo da “Dio vendicativo”» sotto la luce delle stelle, Adad, è come se lo vedessi;
« avrei voluto salutarlo un'ultima volta... » Improvvisamente Assur torna a guardare la donna negli occhi, come scavando nel suo spirito, nella sua memoria. Le dice:
« La verità è che la Morte non esiste. C'è solo Vita, ogni cosa, solamente Vita... » il fuoco sta carbonizzando la sua anima immortale, avvolge i suoi vestiti come un fantasma, danza coi suoi sogni sul metallo liscio dell'armatura antica
« ...al di fuori del Niente
. » Al di fuori del Niente, ripete il pensiero.
Disse il Corvo,
'Nevermore'.Lo sguardo del pellegrino è nuovamente sulla tenda del comandante, il cavaliere della viverna, nascosto nella notte che muore. Si era come rovesciato il vento, al suono di
“niente”.Solamente nell'angoscia, ricordò di aver letto, solamente nell'angoscia la totalità dell'Essere potrebbe suggerici il Niente, quella parola antica, maledetta, che sul fondo del proprio abisso naviga perpetua gridando il proprio nome ai venti di tempesta.
« Strano » replicò allora quella ragazza ancora senza nome,
« io ho incontrato molta Morte, nel mio cammino. Per tutta la Vita che sfioravo, c'era altrettanta Morte a reclamarla. È come un segugio attento... bisogna fare attenzione a non vacillare, neanche per pochi istanti. » Io vacillo, in questa apparenza d'Esserci, dapprima che nella mia carne scorresse sangue.
« Cosa credi che sia, la Morte? » chiede a quel punto, con tono vibrante, colui che un tempo avrebbe risposto al nome di Enlil, e poi di Enmer'kar, grande cacciatore, e che ricordava ogni guado del Nahar ed ogni bacio abbandonato sulla sabbia dalle vedove di Bab'El, in un altro mondo.
Ella risponde senza indugio, immune dal dubbio:
« Il capriccio di un Dio che necessita di ampliare le proprie schiere di seguaci.»« Per favore, ripetimi il tuo nome. » Devo averlo dimenticato, valchiria d'acciaio.
« Samael.» « Può darsi tu abbia ragione, Samael. Io sono convinto, tuttavia, che nessun dio possa avere potere su qualcosa di così particolare come sembra essere la Morte.» Pausa.
« Vediamo sempre un inizio ed una fine, un punto insuperabilmente alto ed uno insuperabilmente basso, in questo mondo, solamente perché abbiamo una vista troppo debole... » Mai più, gridava il corvo al di là delle fiamme nelle sue iridi d'ebano.
« ...ed una memoria troppo corta. » Chiamami Erindring, della rimembranza.
Chiamami quando la notte si fa più buia, quando l'alba sembra troppo lontana per la durata della tua vita. Sussurra il mio nome segreto ai venti di tramontana, e chiudendo gli occhi disimpara il ricordare. Chiamami spirito del mondo, e chiamami piano, senza svegliare la notte che dorme. Mormora di immagini, di odori lontani.
Mormora in versi, se la prosa è troppo violenta, e dimenticati del fato.
Dimentica il tempo ed invoca ancora il mio nome segreto, quando dal tetto di una casa vicina potrai sentire il ghiaccio sciogliersi e gocciolare. Rimembra, sfiora la memoria.
Il nostro volto è riflesso dell'eternità.
I nostri occhi sono chiusi, ma non stiamo dormendo.
« Se potessimo scrutare più lontano, senza affogare in una cosa tanto profonda quanto l'Infinità delle cose, probabilmente vedremmo la Morte, o quella che tu chiami Morte, come un fenomeno insignificante, irreale, come lo è la linea dell'orizzonte per il navigatore. » Così concluse Assur, araldo della Memoria, dimentico del Fato.
« Non sai quanto sia vera la tua affermazione... » gli dice Samael, forse assaggiando un frammento d'inquietudine.
Oh, fredda Samael, so bene quanto sia vera.
« È meglio riposarsi, » mormora lei,
« la giornata di domani lo richiede. » Lo guarda negli occhi, donandogli un sorriso sottile.
« Buonanotte,”eroe tenebroso” »« Dormi anche per me, io ho dimenticato come si fa.»Chiamami spirito del tempo, e chiamami piano, senza svegliare la notte che dorme. Io sono il ricordo di cento notti e di mille estati. Io sono il canto della risacca sull'ultimo tramonto marino. Io sono il sapore della sua pelle, delle sue labbra, che tu credevi d'aver perduto. Io sono un prato cosparso dei fiori lontani.
Io sono l'oblio del futuro.
Chiama il mio nome, abbandonati al mio abbraccio, vivi e spera tremante nel tuo nido cadente che qualche stella o qualche dio scenda a cogliere i tuoi desideri, ma dopo ricordati di dedicarmi una preghiera. Un sussurro a me che sono sottile, tra le divinità.
Un cenno, o magari un sorriso, a me che sono passeggero, pellegrino.
Un ultimo sguardo sincero a me che, perduto nel passato, vago nella nebbia cercando l'avvenire.
Bisbiglia il mio nome alla luce di una candela, quando il mondo t'abbandona.
Io sono la rimembranza, la luce perpetua di una stella lontana, forse già morta.
Chiamami in versi, e chiamami piano.
Chiamami Erindring, la rimembranza, quando in un mondo che dimentica ancora vorrai ricordarti di com'eravamo, in un tempo passato lungo il cammino.
Piangi, se devi.
Ascolta una nenia salire lontana, e rimembra la vita che è stata nella vita che è.
Il vento mormora, in inverno, il suono nascosto del mio nome perduto, e forse la neve non si poserà più su quel prato distante, dov'era casa nostra.
Dimentica, se vuoi.
Disse il Corvo: 'mai più'.