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The Price of Vengeance, « Goryo - Main Quest »

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'Alchimista del Drago
view post Posted on 21/2/2013, 20:54 by: 'Alchimista del Drago

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Erano passate poche settimane dal suo confronto all'ultimo sangue nell'arena di fango e melma contro lo scheletro vivente che - come scoprì in seguito - rispondeva al nome di Rage. Durante quel lasso di tempo erano accaduti molti e importanti fatti, cui Deöwyr non aveva potuto assistere in prima persona perchè ancora debilitato dalle ferite riportate nello scontro, ma riguardo i quali non aveva mancato di informarsi. Rage era stato proclamato vincitore del Cane mangia Cane, il truculento torneo organizzato dai massimi esponenti Goryo. Proprio durante la finale, però, si era verificato qualcosa di terribile: i Kaeldran, antichi nemici del Clan da tempo caduti nell'oblio, si erano ripresentati a Taanach per mietere il proprio raccolto di vittime. Alla fine le creature erano state respinte, ma l'invasione aveva lasciato pesanti strascichi dietro di sè. I Kaeldran rappresentavano una minaccia non più ignorabile per il Clan, e l'affronto subito era stato troppo grave per passare impunito: Shivian e il Consiglio dei Custodi avevano organizzato in tutta fretta un'imponente forza armata, assoldando ogni banda di mercenari e truppa prezzolata disponibile nei dintorni per intraprendere una spedizione punitiva verso il nido degli insettoidi: una gigantesca arnia trasudante fiele sospesa nel cielo grigio sopra le devastate distese dell'Orbrun.
Non senza poche sorprese Deöwyr si vide assegnare il comando delle truppe, condiviso con un altro membro, un certo Morpheus, e con i vari capitani delle milizie mercenarie. Ebbe qualche momento di tentennamento ma alla fine accettò, spinto da una nuova speranza. Aveva preso parte al torneo per guadagnare fama e potere all'interno del Clan, così da proseguire le sue ricerche della Torre Nera da un punto privilegiato e non più allo sbando come negli anni passati. Dopo la sconfitta lo sconforto si era impadronito di lui, prostrandolo in uno stato di intorpidimento esistenziale come gli capitava solitamente a seguito di ogni fallimento e del crollo delle sue illusioni. Eppure non tutto era andato per il peggio: in fondo, aveva tenuto testa fino all'ultimo al futuro vincitore dell'ordalia di sangue, e questo l'aveva portato all'attenzione dei suoi superiori. Nel nuovo incarico di comando era presente l'irripetibile opportunità di completare la sua ascesa; una vittoria schiacciante contro i nemici del Clan non poteva che metterlo ancora in maggior luce e garantirgli una rinomanza tale che non sarebbe stato un problema ottenere mezzi, risorse e notizie per il proseguimento della sua personale missione: ritrovare la Torre Nera. Inoltre, non gli era sfuggita la particolare natura delle sue nuove prede: esseri immondi generati dall'incrocio di umani e bestie, creature da incubo che recavano in dote caratteristiche e segni tipici di entrambe le specie, senza ormai potersi più dire appartenenti nè all'una nè all'altra. Soltanto una coincidenza con le fusioni genetiche che avvenivano nella torre? Forse sì - era più maturo, adesso, e meno incline a lasciarsi illudere così facilmente come un tempo: la delusione dei Ghoul era ancora viva e pulsante nel suo ricordo. Ma se anche non avesse trovato un collegamento diretto, si diceva, di sicuro poteva almeno reperire informazioni utili su quel genere di esperimenti. In definitiva, l'occasione era stata troppo allettante per rifiutare, e così adesso si ritrovava a spartire il comando di una vasta spedizione militare, pur non avendo mai sperimentato niente di simile in precedenza.

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L'armata si dispiegava come un immane serpente di ferro e acciaio attraverso l'arido orizzonte dell'Orbrun. La nebbia del passato si era dissipata portando via con sé ogni forma di vita, ogni suono e colore da quella terra vuota. Il territorio era spoglio e prosciugato; in ogni direzione, soltanto rosse distese di piatte pietre bruciate dal sole, fessurate dal caldo asfissiante del giorno e dal freddo corrosivo della notte. La vegetazione era andata diminuendo fin da quando avevano lasciato Taanach: di tanto in tanto incappavano in una macchia boschiva, ma per la maggior parte del viaggio le uniche forme di vita vegetale erano pochi licheni gialli e secchi abbarbicati alle rocce e qualche sparuto arbusto sparso qua e là.
La sinuosa colonna avanzava già da giorni al ritmo cadenzato di centinaia di piedi e zoccoli, mentre nell'aria si diffondevano i tintinnii metallici di spade e scudi che sbattevano contro le armature, le urla sbracate dei mercenari e - più raramente - i canti di guerra intonati dai guerrieri per infondersi coraggio. La spedizione era preceduta da diversi gruppi di esploratori in avanscoperta col compito di perlustrare le zone circostanti in cerca di nemici o di conformazioni favorevoli per il futuro attacco, mentre una piccola retroguardia la seguiva a non più di mezza giornata di marcia.

Il sole aveva già raggiunto e superato lo zenit quando gli uomini in testa alla processione armata avvistarono una chiazza vegetale non molto distante; dopo pochi minuti di cammino Deöwyr fu in grado di scorgerla con maggior chiarezza: soltanto un rinsecchito groviglio di alberi essiccati e grigi ai piedi di un modesto rilievo del terreno, eppure era quanto di meglio potessero sperare. I comandanti impartirono i loro ordini e l'armata si diresse verso il boschetto per una breve sosta all'ombra incerta di quella stentata vegetazione. Un attendente lo raggiunse mentre era impegnato a nutrire Astro con brandelli di carne cruda al riparo di una pianta; si era mantenuta in volo durante il resto della marcia, senza riuscire ad avvistare alcuna preda sul terreno roccioso: tutti gli animali fuggivano all'appressarsi dell'esercito. Aveva bisogno di energia per la missione che si apprestava a compiere: un'incursione presso il rifugio dei Kaeldran, alla ricerca di qualche utile informazione.

« Generale Deöwyr? » Esordì l'uomo, per poi proseguire all'assenso dell'elfo: « Il mio signore desidera informarla che questa sera si terrà l'ultimo Consiglio prima dell'arrivo all'Alveare: non manca molto. »

Non serviva specificare il nome per capire chi avesse inviato l'attendente; fu sufficiente osservare lo stemma ricamato sul farsetto bianco, all'altezza del petto: una moneta d'oro scintillante macchiata di sangue.

«Ti ringrazio: riferisci che non mancherò. »


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« THE PRICE OF VENGEANCE »





L'interno del padiglione era immerso in un'inquieta penombra, rischiarata soltanto dalle fiamme fluttuanti del fuoco che ardeva in un tripode di bronzo al centro della grande tenda e disegnava strane ombre danzanti sulle pareti di tessuto grezzo. Fuori l'aria della notte era gelida, ma dentro l'atmosfera era soffocante: i pesanti tendaggi color ocra e terra isolavano il mondo esterno e lasciavano filtrare solo una flebile eco delle voci dei soldati che, al termine di un'altra estenuante giornata di marcia attraverso i brulli territori dell'Orbrun, si riposavano consumando il loro rancio attorno alle pire. L'ambiente era spoglio ed essenziale: un largo spazio circolare che ruotava attorno al braciere crepitante, un alto tavolino di solido legno scuro poco discosto, su cui era dispiegata una mappa tenuta ferma agli angoli con dei pesi squadrati, semplici arazzi alle pareti per tenere lontano il freddo della sera e strati di tappeti setolosi sotto i piedi.
Volti arcigni fluttuavano fra il fumo che si dispiegava in ampie e pigre volute, volti irsuti percorsi dalle cicatrici di troppe battaglie, scavati dalle rughe di vite passate a dispensare morte per la brama di denaro e il desiderio di potere: erano i generali in capo delle principali compagnie mercenarie al soldo del Goryo, che i reggenti del Clan avevano ingaggiato per intraprende quella spedizione punitiva contro il cuore di ciò che restava dell'impero Kaeldran, il nido infetto e marcescente della loro potenza, l'abietta dimora di un aborto della natura.
L'Alveare.

Deöwyr osservava in silenzio le figure che lo circondavano. I comandanti mercenari che partecipavano al consiglio di guerra, riuniti attorno al tavolo, non superavano la mezza dozzina; era presente inoltre il capogruppo della squadra di esploratori mandata in avanscoperta per scandagliare il territorio e formarsi un'idea più dettagliata di ciò che li aspettava, appena tornato dall'ultima missione: il suo viso era affaticato, i colori dell'uniforme - già smorti per meglio mimetizzarsi con l'arido terreno dell'Akerat - spenti da uno strato di polvere. Infine, alla sinistra del Falconiere si trovava Morpheus, l'altro emissario del Consiglio Goryo nel ristretto senato dei generali dell'armata. Deöwyr aveva udito voci interessanti sul suo conto: non un semplice guerriero, ma un essere straordinario. Parlavano di una trasformazione, e di un possente drago zaffiro dalle fauci fameliche e le ali striate del blu della notte. Si ripromise di indagare più a fondo, quando se ne fosse presentata l'occasione.

« Che notizie porti sull'Alveare, invece? »

Fu la voce roca di Tregar Ororosso a riportarlo alla realtà: la discussione proseguiva già da un po', ma il Falconiere se ne era estraniato, immerso nelle sue considerazioni. Si concentrò sull'uomo che aveva parlato: Tregar era un imponente soldato non più nel verde dei suoi anni, ma ancora temibilissimo nella sua armatura di placche d'acciaio; uno sfregio verticale gli solcava l'intero lato destro del volto, tagliando l'occhio ridotto a un grumo di carne incancrenita. Il suo soprannome lo doveva al fatto che accettava commissioni solo dietro lauto compenso: tutto l'oro che richiedeva, lo ripagava con il rosso del sangue dei nemici. La tenda adibita a luogo di riunione per i consigli di guerra era sua, così come una buona fetta delle milizie prezzolate: gli altri capitani gli riconoscevano una muta autorità. Era lui che l'aveva mandato a chiamare quella mattina.

« Niente di nuovo - riferì l'esploratore - rispetto a quello che già conoscevamo. Sta là, sospeso nel cielo a circa un giorno di marcia da qui, e non si muove. Occhio-di-lince afferma di aver visto strane placche organiche ricoprirlo in alcuni punti. Non ne sappiamo molto di più»

Deöwyr si sentì in dovere di intervenire: « Ho mandato Astro, il mio falco, a dare un'occhiata più da vicino questa mattina: ha intravisto delle sentinelle spostarsi lungo il perimetro esterno, ma non ha potuto avvicinarsi oltre. Di certo quei mostri sorvegliano attentamente la loro fetida tana. »

Vide gli altri annuire il loro assenso, e Morpheus ascoltarlo con attenzione, senza aprire bocca. Era stato duro separarsi da Astro, eppure era un sacrificio che aveva dovuto compiere per ottenere qualche informazione in più sui loro nemici. In fondo si trattava di poche ore soltanto, e a breve lei sarebbe tornata, veloce come un fulmine sulle sue nere ali.

« Ci sono punti riparati o vie che possiamo sfruttare per giungere cogliendo i Kaeldran di sorpresa? » Era sempre Ororosso a condurre il discorso. L'altro fece cenno di no: « Il territorio è ancora più piatto e desolato che nei giorni scorsi, una distesa di nulla, fatta eccezione per le capsule. » I militari si appressarono ancora di più all'esploratore per ascoltare. « Centinaia, migliaia, non finiscono mai. Bianche e lisce, all'ombra dell'Alveare. Non sembrano protette da terra, ma non ne siamo sicuri: ci siamo mantenuti a debita distanza. »

«E' deciso allora! »

Un pugno poderoso si abbattè sul tavolo, facendo scricchiolare il legno. Tregar scrutò gli altri comandanti, studiando le loro espressioni.

« Assalteremo le capsule, come avevamo programmato: è l'unico obiettivo esposto. Questo costringerà quegli schifosi a uscire fuori dal loro buco di nido e venire ad affrontarci faccia a faccia. E sarà allora che li devasteremo. Nessuna obiezione? »

Fu a quel punto che Morpheus prese la parola, esprimendo gli stessi dubbi di Deöwyr: « Non saremo bersagli fin troppo facili, attaccando così allo scoperto? » chiese pacato. Una giusta considerazione, cui aveva pensato anche il Falconiere: era però l'unica possibilità, e il Clan si era detto certo che le loro forze fossero bastevoli per perseguire una vittoria schiacciante. Eppure la fastidiosa definizione di carne da macello continuava ad aleggiare nei suoi pensieri.

«Cos'è, hai paura di quegli insettoni? Che possono fare di tanto terribile, pungerci? »

Dambor proruppe in una fragorosa risata, sovrastando il rumore delle fiamme crepitanti; soltanto un paio grugnirono il loro divertimento, gli altri rimasero in silenzio, meditabondi. Deöwyr ignorò la battuta del capo mercenario, un uomo massiccio dal viso grossolano e ricoperto da una folta barba rossiccia: nel corso dei precedenti consigli l'aveva identificato come smargiasso e arrogante, o - più semplicemente - stupido, e sospettava che fossero in molti a non condividere appieno la sua stolida sicurezza. Si rivolse direttamente a Morpheus:

« Forse è così, ma non ci sono alternative. »

Ororosso prese un'ultima volta la parola, e la sua voce cavernosa sigillò con una promessa il conclave:

« Sarà meglio che il sangue di quei mostri sia rosso come il nostro,
o sarò costretto a trovarmi un nuovo soprannome.
»

Un sorriso sprezzante fratturò il suo volto:
« Pagheranno a caro prezzo l'incursione a Taanach. »

Il prezzo della
vendetta


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Apparve dapprima come un grumo amorfo che levitava nel cielo, i margini offuscati dalla distanza e dall'aria secca. Mentre si avvicinavano all'Alveare, Deöwyr studiò i volti degli altri membri del Clan che lo circondavano. Era difficile decifrare i pensieri che passavano per le loro teste, ma sembravano tutti determinati e implacabili. Era giunto il giorno della verità: scendevano in guerra, e a lui spettava il compito di guidarli alla vittoria. Eppure, nonostante la carica che ricopriva all'interno dell'armata, faticava a pensare a loro come sottoposti, e a lui quale superiore: li considerava più dei compagni. Forse il motivo andava ricercato nel fatto che non era abituato a simili gerarchie: da quando aveva lasciato la Torre Nera non aveva avuto molti contatti duraturi con altre persone, e il solo rapporto stabile - quello con Astro - era di tutt'altra natura: fra loro non c'erano padrone e animale, ma due creature simili che si completavano a vicenda, senza il prevalere dell'una sull'altra.
Anche se il Falconiere era un solitario, adesso faceva parte del Goryo e quegli uomini erano la sua famiglia, almeno fino a quando non fosse giunto al termine delle sue ricerche. Durante la marcia, inoltre, la loro coesione si era rinsaldata: in situazioni simili bastavano poche parole, un gesto, una bevuta insieme per creare dei legami - come il brindisi della sera prima attorno al focolare. Forse andavano incontro alla morte, ma il pensiero ti spaventa di meno, quando sai di non essere solo.

Ormai l'Alveare era bene in vista e la colonna si arrestò a distanza di sicurezza. Il nido dei Kaeldran era un immenso agglomerato di celle, placche e strane strutture, ricoperto a chiazze dagli innesti chitinosi che l'elfo aveva già osservato tramite Astro. Da lontano pareva una monumentale zolla di terreno staccatasi dal suolo per azione di una forza misteriosa che poi l'aveva abbandonata là, sospesa come in un limbo fra cielo e terra. All'ombra dell'ammasso si estendeva una distesa di capsule sferiche ammucchiate in disordine, e all'apparenza incustodite: le colture Kaeldran, il loro bersaglio.

Deöwyr rimase in attesa, fremente.




Eccomi qui. Non c'è molto da dire per ora, auguro buona quest a tutti quanti :8):
 
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30 replies since 14/2/2013, 19:25   936 views
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