| J!mmy |
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La guerra non aveva alcuna pietà. Cadaveri, orchi, assassini, costrutti; non faceva alcuna differenza. Mentre il sangue dei nemici le schizzava in volto, Rekla poté vederlo chiaramente: l’inferno, sbucare dalle piaghe stipate di sabbia del terreno, ghermire la volontà dei più deboli, sottomettere con violenza quella dei più forti. Affamato, esso dilagava tra il clangore di spade e i lamenti di disperazione come un morbo che appestava tutti, tutti, senza distinzione. La guerra non aveva alcuna pietà. Lei non aveva alcuna pietà. Affondò la lama grigio-arancio di Vesar nella mascella dello Shadar-Kai più vicino, che cadde in ginocchio con il capo diviso orizzontalmente a metà neanche fosse un frutto maturo. Attorno a lei, stava scatenandosi il caos, una ressa di corpi madidi dove a ogni fendente non smetteva di seguire un urlo, chi per la fatica, chi per il dolore che ne scaturiva. Era come un oceano dai suoni rasserenanti, però, benché la serenità trovasse realmente poco spazio in quel campo di battaglia e sofferenza; ma per lei, quelle note così sgraziate e talvolta fievoli fino a sfociare nell’inerzia, uguagliavano le più angeliche e soavi delle voci del paradiso. Per un momento, le parve di ritrovarsi accomodata sul suo scranno di teschi ad ammirare una deliziosa sceneggiata, una di quelle che sapeva sfiorarle il cuore e riaccendere fiamme stinte nel profondo, leste a tornare a scoppiettare alimentate da un nuovo fervore; il fervore dell’odio.
« Abbattete quelle fottute catapulte! » urlò Nicholas Varry al vuoto. Invero, da un capitano quale lei era sarebbe stato plausibile attendersi ordini, comandi, disposizioni tattiche. Rekla, invece, pareva stranamente e completamente assorta nell’abbattimento del primo nemico a portata di daga, estranea a tutt’altro che non lo riguardasse. Per certi versi, era tuttavia come se le Tenebre non ne risentissero minimamente: sciamavano sulla sabbia come mosche indaffarate, tanto industriose quanto chirurgiche nel divorare un pollice dopo l’altro dell’accampamento che calpestavano. D’altronde, in sua vece, il Lord Assassino somministrava loro gli assetti dei plotoni, i punti strategici da colpire, come le robuste catapulte su ruote che nel cedere ai colpi dei negromanti senzavita sembravano certo un po’ meno robuste. Cataste di legna bruciata si formarono alle pendici dei camminamenti di nord-ovest, prima che nuovi e più violenti gettiti di polvere giungessero a inghiottirle. La sabbia: quella era forse il loro peggior nemico; l’unico che non potessero in alcun modo abbattere. Intravide un Bugbear, a manca, bloccarsi e portarsi le mani al volto. Aveva compiuto il madornale errore di rinunciare al turbante, e adesso si trovava costretto a strofinare le palpebre convulsamente come se potesse servire a fermare l’insediarsi della sabbia sul suo corpo. In quello stesso istante, tre Shadar-Kai gli furono addosso: mentre il primo lo passava a fil di spada all’altezza dello sterno, affondando la lama in un torace così spesso da rendere l’atto a dir poco inverosimile, gli altri due lo mutilavano strappandogli orecchie, naso, virilità, dita delle mani e ogni cosa potesse rappresentare – con molta probabilità – un raccapricciante trofeo di guerra da sfoggiare. I non-morti, invece, avevano abbandonato le narici fin da quando la madre notte li aveva accarezzati, avvolgendoli nella sua coltre di mera deformità e dannazione, ma la brutalità delle maree era comunque tale che la leggerezza delle loro ossa dovette presto piegarsi. In troppi erano i senzavita incapaci di destreggiarsi adeguatamente nella polvere, consentendo all’Ala Rubra di avere facilmente la meglio. Date le circostanze, dunque, come una lancetta che ticchettava impellente allo scoccare del mezzodì, l’ordine del Lord Assassino fu lesto a giungere alle loro orecchie: « I sotterranei!! » berciò lui, faticando a sormontare il brusio delle tempeste e della guerra che imperversava loro dinanzi. « Rifugia... tevi nei so... tterranei!! » Nel proferire quelle uniche frasi, la bocca del secondo consigliere si riempì rapidamente di sabbia, tanto da costringerlo a tossire più e più volte. Ma l’uomo conosciuto come "L'Immortale", l'uomo che l'aveva aiutata a sbaragliare il leggendario Asad Sayyid Shareef fece nuovamente sua la Mietitrice e riprese a mulinarla da un fronte all’altro quasi fosse un prolungamento del suo stesso braccio. La scioltezza di quei gesti, la leggerezza di quei sibili fatali, la grazia con cui i ventri degli assassini rigettavano le proprie viscere le fecero venire in mente i primi fendenti sferrati sotto l’egida attenta e severa del Maestro Reoka. Se mai da quegl’insegnamenti avesse tratto effettivamente una lezione, non seppe dirlo neppure dopo tutti quegli anni. Le verità, però, era più che chiara: da quei giorni aveva imparato che uccidere le infondeva un’eccitazione senza pari; da quei giorni aveva capito d’essere destinata a diventare quel che era adesso. Un omicida. Un carnefice.
La terra sussultò una prima volta, quando l’ennesimo Shadar-Kai le si accasciò di fronte, l’addome divelto dalla gola all’ombelico riverso in basso e una pozza scura che tinteggiava la sabbia sotto di esso di un colore simile alla pece. Quando ebbe recuperato la lama dal cadavere, sentì un altro urlo provenire dalle spalle. Si volse, ma appena in tempo per vedere il corpo del proprio assalitore – o presunto tale – volare via come un fuscello arido al contatto inesorabile di una gigantesca palla chiodata. Fu allora che la terra tremò una seconda volta. Vide l’acciaio, duro e gelido persino in quell’inferno di sabbia turbinante, ergersi dalle fauci del deserto sotto titaniche spoglie di colossi. Furono due, poi cinque, otto ed altri ancora. Sentì tra la ressa Nicholas dare l’allarme a pieni polmoni. Golem. Quale altra diavoleria avrebbe avuto in serbo per loro Razelan Vaash? Tremava tanto all’idea d’incontrarli che era addirittura costretto a sguinzagliare nuovi costrutti? Ma lei era pronta anche a questo. Uno dei colossi la puntò e, roteando il flagello sopra di sé, iniziò a correrle incontro. La Nera imitò il gigante e, con Vesar ancora stretta in pugno, scattò all’indietro spintonando ogni impedimento le si parasse davanti, amico o nemico che fosse. Di contro, il golem maciullava tutto ciò che trovava sul proprio cammino, pestandolo coi suoi enormi piedi d’acciaio o falciandolo a suon di sferzate. Era raccapricciante come quell'ammasso di feccia potesse sfornare un’atrocità dopo l’altro, privo del ben che minimo ritegno; era disgustoso, persino per lei. Quando finalmente scorse un tumulo di arenaria più alto degli altri, capì che era giunta dove stabilito. Uno Shadar-Kai, a pochi palmi di distanza dall’ingresso delle macerie, attendeva impaziente proprio il suo arrivo. Con la gigantesca figura ormai alla nuca, parlò:
« E’ ora! » Non seppe dire esattamente ciò che accadde di lì a breve, ma vero fu che prima che potesse rendersene conto aveva già richiamato centinaia d’ossa dai cadaveri che costellavano l’intero accampamento. Queste si chiusero le une sulle altre, mentre rapide accorrevano per frapporsi tra l’evocatrice e la minaccia. Un muro pallido e dalle venature corvine prese a levarsi dinanzi alla Nera, neutralizzando l’ennesima – e furiosa – randellata dell’energumeno. Prima che potesse riorganizzare i pensieri, dunque, distese il palmo destro verso un punto non bene identificato nella tempesta, là dove il suo occhio carpiva a malapena bagliori convulsi d’armi e corazze che fluttuavano a mezz’aria nella notte. Sperò con tutta se stessa che il piano funzionasse. Le labbra si mossero leste, sollazzandosi nella profana lingua dei morti. Una litania, inquietante e oscura, stillò da queste valicando confini cui mai creatura vivente alcuna avrebbe dovuto spingersi. Ma Rekla Estgardel aveva superato quei confini già da prima che il primo re degl’uomini nascesse; inconsciamente, sentiva come se fosse stata lei stessa a partorire quei limiti. L’atmosfera intorno alle donne – che ora s’eran fatte due – si fece greve, irrespirabile, torrida. Lembi di tenebra e spiriti tormentati trasudarono dalla carne sommersa di drappi della Regina dei morti; fluirono come acqua lorda e corrotta verso l’attrezzatura in volo, rivestendo ciascun pezzo di nient’altro che pura empietà. E mentre quest’ultime partivano alla volta del colosso, pregò che quell’alleanza non divenisse una delle tante scelte di cui presto avrebbe dovuto pentirsi.
[...]
. alcuni giorni prima . Le vampe crepitavano pigre sui pochi ceppi d’acero gettati ad alimentarle. Era tardi, ma Rekla volle comunque fare una deviazione prima di andare a riposare – benché nessun riposo, in verità, l’attendesse quella notte. Seguì la luce che si propagava per gli stretti cunicoli dell’avamposto sotterraneo, giungendo a un’alcova poco più grande di molte altre in cui era stato sistemato un falò tra macigni rossi di pietra del deserto. Vide neppure una mezza dozzina d’uomini intorno ad esso, quindi decise che non v’era luogo più adeguato per fare ciò che doveva. Si accomodò sul fronte piatto di uno dei massi, sguainò Vesar e ne appoggiò la punta sul terriccio umido della sera. Con l’altra mano, lenta, sfilò una piccola cote dalle falde del pastrano e prese a fregarla ripetutamente sulla corta lama color d’arancio.
« La prima volta che ti ho incontrata, mai avrei immaginato di rivederti. » « In qualche modo, ogni persona che sfiora la mia vita, ne rimane bruciata. Tu no. Sei d'acciaio, Nera. » Una voce familiare la sorprese dalla semioscurità della spelonca. Zaide le era stata seduta al fianco fin dall’inizio, ma Rekla ne aveva ignorato la presenza per tutto il tempo – non che non si fosse accorta che fosse lì, è ovvio. Quando la rossa parlò, la Nera non accennò a muovere un muscolo. Immobile era e immobile rimase, ad eccezione del braccio che strofinava ancora e ancora sul ferro caldo.
« No. Non acciaio, ragazza » le rispose pacata, osservando le scintille che zampillavano dappertutto « Ma fuoco. E il fuoco non può bruciare se stesso. » Nel tono della Nera si percepiva una qualche remota amarezza. Zaide era stata una donna con la quale, nonostante la giovinezza, aveva spartito più di quanto avesse fatto con chiunque altro conoscesse e più di quanto avesse voluto. Inconsapevolmente, era come se le due fossero sempre state legate da un unico destino, da un unico intreccio di trame. Avevano compreso le asperità del Deserto dei See da mesi, le avevano fronteggiate, e lo avevano fatto insieme. Si stupì dal riscoprire in lei quanto di più simile a una compagna... o a una sorella minore.
« No, non può bruciare se stesso. Può uccidere. Può far rinascere. » La colse con la coda dell’occhio scrutare le fiamme, riflettere silenziosa. « E nel fuoco si forgiano lame altrettanto letali e pericolose » riprese, alludendo alla Luna che stringeva in pugno « Non credere di essere al sicuro dai tuoi nemici solo perché credi di essere al sicuro da te stessa. » Quella risposta la stuzzicò il tanto bastante da strapparla per un istante al da farsi. Quella ragazza... shaman, la chiamavano alcuni tra i pelleverde. Come strega, però, non sembrava essere molto promettente; lei, Rekla Estgardel, incatenata alle fiamme degl’inferi e perseguitata da demoni in mondi che esistevano e in mondi che non esistevano, sentirsi al sicuro? Quasi scoppiò a ridere, non fosse che nulla la divertiva di quella circostanza.
« Ho più d'un motivo per sentirmi al sicuro da quasi ogni essere di questo continente » replicò caustica « Ma neppure uno per sentirmi al sicuro da me stessa. » Qualcosa, dentro di lei, nel fondo dello stomaco, si dimenò. Solo adesso, improvvisamente, Rekla provava interesse per la ragazza dai capelli rossi che le sedeva al fianco. La guardò, con occhi appena materni, come se la vedesse per la prima volta. Sorrise, ma totalmente priva di allegria. « Uccidere, però; quello mi riesce ancora bene. » Il volto di Zaide parve tradirla con una parvenza di sorpresa. Era raro, d’altronde, che qualcuno potesse ambire a una conversazione “cuore a cuore” con niente di meno che la Nera Regina in persona. Qualsiasi cosa fosse accaduta quella notte, pertanto, doveva esser stata estremamente potente.
« Lo so. E' per quello che i migliori cavalieri del regno ti seguono. » « Centinaia di persone, interi popoli sono ai tuoi piedi: sei la Regina. » Succedette del silenzio, profondo, cupo, inquietante. Rekla parve indifferente, eppure sentì l’ego gonfiarsi sotto la pelle e ribollire nel petto. Sentirsi chiamare a quel modo da chi credeva non serbare affatto alcun rispetto nei suoi confronti le diede uno strano e sgradevole piacere. Non si scompose, però, e con fare tediato riprese ad affilare la daga uno strofinio dopo l’altro.
« A parte me, tu sei l'unica qui che provi un odio reale verso Razelan » le confessò. Sollevò l’arma all’altezza del mento, ne osservò il taglio, ne soppesò il bilanciamento: era pronta. Se la portò al fianco, lasciandola scivolare fino a incontrare il fodero in cuoio. Quando ebbe terminato, infine, volse lo sguardo sul viso bianco ed esile della strega. « Come un fuoco, intendo alimentare quell'odio. » Le falangi di lei si strinsero così forte sulla cote che ne fu quasi possibile udire le ossa stridere. La rabbia montò su per la nuca, mentre gocce di sudore le imperlavano gli zigomi incavati. « Come un fuoco, intendo divorare ogni squama di quella viscida serpe. » Pausa. Nessun sorriso, nessun respiro; solo una fredda, intangibile luce tra le palpebre.
« ... e voglio che tu mi aiuti. » Zaide tacque per diversi instanti, ma sul suo volto poté leggerne immediatamente l'assenso. Dopo un po’, la fanciulla si protese in avanti, il torpore del bivacco che danzava sui suoi capelli rosso fiammeggiante, il crepitio che cullava placido il suadente fruscio delle sue vesti. Schiuse le labbra appena, delicatamente, arrestandosi a meno di qualche pollice dall’orecchio di Rekla.
« Tu sai cosa accadrà alla Tomba della Chimera. »
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Non puoi fare nulla per ostacolarmi. Il tuo corpo è solo un pezzo di carne. Sei nata per trastullarmi, per soddisfare il mio piacere. Io ti ho messa al mondo e io ti ci toglierò... ... forse. CITAZIONE Rekla Estgardella Nera Regina–––––––––––––––––––––– Stato Umano { Intelligenza 4 | Forza 1 | Maestria armi da mischia 1 }–––– « Energie: 94 - 6 - 33 = 55% « Stato fisico: ferite da taglio di lieve entità sparse. « Armi: Constantine • riposta; Vesar "Luna dell'inferno" • estratta₪ ₪ ₪ Attive...Secon darkness - Oscurità dell'osso La tenebra che divorava Rekla non conosceva vincolo, o inibizione, o freno. La carne stessa marciva al suo incedere, non essendo di alcuno impedimento per un morbo tanto instabile ed insaziabile. Per tale ragione, la maledizione era giunta finanche al duro delle ossa, elargendo alla Nera Regina delle Tenebre la facoltà di sfruttare i resti putridi e decomposti dei cadaveri per richiamare difese impenetrabili in grado di proteggerla come meglio necessita. Era sufficiente un cenno, un misero cenno, perché la tecnica -di natura magica- tramutasse le spoglie derelitte dei morti in ombre solide come roccia e inamovibili come acciaio temprato. Rekla poteva compiere qualsiasi manifestazione le venisse in mente: armature, barriere, scudi, cupole, difese dirette o a trecentosessanta gradi. Tutte queste dovevano però averla come punto d'origine e non potevano perdurare sul campo di battaglia oltre il compimento di ciò per cui erano state reclamate; dunque, svanivano subito a seguito del colpo incassato. La potenza delle manifestazioni era variabile medio, pari al consumo speso per richiamarle, e di un livello inferiore se dislocate a trecentosessanta gradi intorno al caster.
Last darkness - L'Apostolo delle Tenebre E infine giunse il male in persona, nella sua forma più depravata, con quelle sue catene fatte d'ombra e puro ribrezzo. Quatto quatto scivolò tra le lenzuola di lei, in una notte fredda e tempestosa, si avviticchiò alle pallide falangi che tante vite avevano spezzato, penetrò la pelle e trasudò nelle ossa, logorando e scavando più a fondo, sempre più a fondo, corrodendo ogni cellula già deviata dalle vampe. Fu allora che Rekla realizzò quanto effettivamente la tenebra fluisse in lei come gelido sangue, come un'anima divelta dal dolore che ricercava nella vendetta la giustizia che mai aveva avuto. Palpitava, urlava in lei, bisbigliava parole oscene e mostrava scenari grotteschi: l'oscurità divenne un tutt'uno con la Nera Regina, con l'umana che non poté fare alcunché per evitarlo. Chinò il capo, dunque, si sottomise a quell'infinito gorgo di malvagità, assurse a quello che i profani chiamarono presto "L'Apostolo delle Tenebre", la creatura dalle vene nere. Padroneggiando anche l'ultimo stadio di queste abilità, Rekla divenne in grado di plasmare l'ombra stessa a proprio gradimento e immagine, mutandola in tangibile minaccia o in mutuo disagio a seconda di ciò di cui avesse voglia. Spendendo un consumo pari a variabile critico, infatti, la Regina di coloro che più non vivono poteva modellare il male in sé e partorirne un'arma, una sfera, un raggio o qualunque altra immagine la sua perversa volontà fosse capace di generare. Alternativamente, però, la donna poteva anche far sì che quella medesima crudeltà, quel medesimo odio, quel medesimo obbrobrio s'insinuasse nella mente delle sventurate vittime, facendo di loro null'altro che conigli dinanzi a una bestia - la bestia - trasformando finanche il più esile lembo di coraggio in disarmante paura e crescente terrore; un'arma, questo lei lo sapeva assai bene, che le avrebbe assicurato il dominio assoluto. [Pergamene ultime del negromante "Dominio del male" e "Timore".]... e passiveLa connessione tra l'evocatore e il mostro è molto più potente di quella che potrebbe mai avere con qualsiasi altra delle sue creature. Loro sono la stessa cosa, divisasi solamente con l'obiettivo di distruggere il proprio avversario. Per questo, i loro corpi sono legati insieme non solamente dalle mere catene che fuoriescono dal gauntlet. Nel caso in cui Rekla dovesse subire un danno provocato dal proprio avversario (e non autoinflitto tramite tecniche o atti impulsivi) ella potrebbe decidere di suddividere tale ferita e farne subire la metà esatta al proprio colosso, che griderà, alimentando la propria furia. Esemplificando, se Rekla dovesse subire un danno Medio, ella potrebbe decidere di prenderne solamente uno Basso, facendo sì che il mostro, tuttavia, subisca anch'egli un danno Basso. In poche parole, potrà smezzare qualsiasi danno rivolto alla propria persona, purché l'evocazione sia già presente sul campo. Viceversa, potrà anche decidere di suddividere i danni rivolti all'evocazione, subendone la metà, poiché i due non sono che diverse emanazioni dello stesso corpo [Tecnica passiva].
Nel principio, la Riluttanza Il primo stadio di violenza contrappone il rifiuto della verità al suo viscerale attaccamento alla propria arma, il quale diverrà indissolubile, tanto intenso e profondo da impedire a chiunque di scinderlo. L’arma diviene un ninnolo, un prezioso memento, un tesoro inestimabile per la fanciulla che potrà impiegarlo per evocare istantaneamente l'ombra sotto forma di lorde creature, potenziate di un punto CS addizionale e a un costo energetico ridotto del 5%.
.Voi cittadini mi chiamaste Ciacco: per la dannosa colpa della gola, come tu vedi, alla pioggia mi fiacco.Il peccato di gola coincide con un desiderio d'appagamento immediato del corpo per mezzo di qualche cosa di materiale che provoca compiacimento. É un'irrefrenabilità, un'incapacità di moderarsi nell'assunzione di cibo o, più in generale, nel desiderio incontrollabile di qualcosa che si brama. E' stato proprio per quest'ultima ragione che Rekla ha accresciuto la propria fame nell'ambito della negromanzia, al punto da strappare il sottile velo che separa ciò che è vivo da ciò che è morto. Più precisamente, in termini di gioco, la Nera Regina acquisisce il potere dell'immortalità; questo non significherà che non sentirà la stanchezza o perderà i sensi una volta al di sotto del 10%.
.Or superbite, e via col viso altero, figliuoli d'Eva, e non chinate il volto sì che veggiate il vostro mal sentero. Il superbo è una persona innamorata della propria superiorità, vera o presunta, per la quale si aspetta un riconoscimento. La superbia affonda le sue radici nel profondo dell'uomo, sempre teso alla ricerca e all'affermazione della propria identità. Quest'ultima non è qualcosa che si elabora al proprio interno, ma che ciascuno negozia nel rapporto con gli altri da cui attende, appunto, il riconoscimento. Tale bisogno nell'essere umano è fortissimo: forte al pari di altri bisogni più esistenziali… Allo stesso modo Rekla è innamorata di sé, della sua sicurezza, del suo corpo. Così facendo, nonostante le origini ancora sconosciute, la giovane insinua in chi le sta accanto non molta fiducia, oserei dire nessuna piuttosto, ed un timore di non poco conto. Tutto ciò, ovviamente, è efficace laddove chi la affianca non sia un demone né possegga un'energia superiore alla sua.
Vizio dell'Animo • честолюбие Che sia negativa o positiva, l’ambizione - così come la sua assenza - sottende tutte le azioni umane malvagie o meritevoli che siano. L’ambizione sfrenata può portare all’insoddisfazione perenne, a cambiare schizofrenicamente campo di interesse o obiettivo pur di avere una nuova vetta da scalare, mentre un’accezione positiva di questa attitudine psicologica può coincidere con una sana spinta a migliorarsi e non accontentarsi, a superare i propri limiti. Rekla Estgardel è forse l'essere più ingordo e privo di scrupoli del pianeta, pericoloso e raggelante nell'infinita contaminazione della sua mente. E' proprio grazie a quest'incessante bramosia, però, che la Nera Signora è riuscita a cogliere frutti misteriosi ed unici, rari e preziosi come le più pregiate ricchezze del mondo. In termini pratici, ella è in grado di usufruire delle capacità di una seconda classe: il ladro. A tal modo ciò potrà senz'altro spalancare alla regina dei morti molteplici vie ad un'innumerevole quantità di attacchi e strategie, tutte indubbiamente mirate a stroncare sul nascere l'esistenza del malcapitato avversario. (Tomo furtivo)
An endless guard In breve, il giovane Shiverata apprese l'orrenda verità su chi fossero i nemici e le prede cui il Magus l'aveva destinato. Non ne fu felice. L'anello gli imponeva di cercare e sconfiggere gli emissari dell'Abraxas: lui era costretto a frapporsi fra il mondo umano e l'Ombra, senza poter abbracciare nessuno dei due. Il dono lo condannava ad una guardia senza fine, perché il fiore di ossidiana, quel cuore del fiato di drago, non conosceva scalfiture. Il Maestro l'aveva definito nero come il peccato e resistente come la roccia. Lo era molto di più. Inoltre lo costringeva ad una percezione impossibile da interrompere, gli donava non la visione esatta ma la totale percezione del nemico, della sua presenza. Era orribile -e per questo maledisse il nome del Maestro. { Abilità Passiva: L'anello è indistruttibile. ; Abilità Passiva: Auspex sui non-morti, il portatore sarà sempre a conoscenza della loro presenza nei paraggi. } ₪ ₪ ₪ NoteTre chiarimenti: • le mie energie partono dal 94% per via della pergamena "Notte" attivata al turno precedente; • mi difendo dalla flagellata nemica con "Second darkness - Oscurità dell'osso" (Dominio difensivo delle Ossa); • l'offesa - così come i dialoghi del flashback della seconda parte di post - è stata concordata con Zaide stessa. In soldoni, dopo che quest'ultima ha "rianimato" le armi e le armature del deposito degli Shadar-Kai, Rekla li avvolge con un'aura di potenziamento critica per mezzo di "Last darkness - L'Apostolo delle Tenebre" (Dominio dell'elemento sacrilego). Dopo di ciò, le attrezzature vengono scagliate contro il golem con l'intento di ucciderlo. Edited by J!mmy - 11/5/2013, 11:56
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