Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Sandstorm; getye

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view post Posted on 8/5/2013, 23:07
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Like a paper airplane


········

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Un attimo prima c’era il suono dei corni che le rimbombava da un orecchio all’altro come una nenia familiare, rassicurante. Parlava del suo mondo al di là della palizzata, spezzava l’illusione di trovarsi sola, in un sogno, distante da tutto quanto. Le prometteva un giorno di poter tornare indietro, che qualcuno sarebbe venuto a prenderla. Un attimo prima le Maree erano il movimento sinuoso della sabbia che cercava di spezzare le difese dell’uomo, erodendole pezzo per pezzo, scheggia dopo scheggia, granello dopo granello di pietra. Un attimo prima era il giorno, quel giorno giallognolo con il cielo invisibile e la luce del sole tenue quanto un miraggio sfuocato attraverso le sbarre fosche di una prigione. Aveva il volto coperto da un lenzuolo grezzo, più adatto a una bestia che a una creatura umana. Ma bastava anche quello: una come lei non aveva freddo.
Un attimo prima era il sonno profondo, scandito dai suoni del mondo reale, un suono a tinte colorate che le ondeggiavano davanti agli occhi, dove una bambina dai riccioli scuri le stava di fronte. A volte pareva lontana, a volte talmente vicina da poterla toccare. Le carezzava il volto, e la sua pelle aveva la consistenza del lido del mare. Le asciugava le lacrime innocenti e avevano il sapore acre del sale. Avrebbe voluto parlarle, domandarle di restare, ma sentiva la lingua spessa contro il palato, vittima della carenza di liquidi. Un goccio d'acqua, solo uno, questo pensava sull'orlo del sonno dove si era rinchiusa.
Un attimo dopo era scesa la notte. Non più il buio delle palpebre serrate, ma l’oscurità profonda, quasi compatta di un cielo senza sole. Uno schianto secco l’aveva indotta ad alzarsi di scatto, insieme a tutti gli altri, gli occhi stretti che le bruciavano, le labbra screpolate contro l'aria bollente. I loro volti erano confusi, le espressioni turbate, forse addirittura spaventate. Erano corsi alla difesa, gridando ordini sconnessi, muovendosi incespicando e cercando di stare vicini gli uni agli altri come pesci in un banco attaccato dagli squali.
Rimase immobile per qualche istante: le pareva che il sogno non fosse affatto finito, che il torpore non la volesse abbandonare, che ogni cosa accadesse ad un ritmo lento, strisciante, come immerso nella melassa. Aveva compiuto i propri gesti con la quotidiana lentezza, ripiegando attentamente il giaciglio in un angolo, lisciandosi le pieghe del mantello sgualcito. Da qualche parte fuori i suoni erano cambiati, accelerati: ora tutto era sconnesso, cacofonico. Il clangore dell’acciaio si sovrapponeva alle grida e alle suppliche, al suono soffocato della stoffa strappata, ai tonfi sordi della carne contro il terreno, intriso di sangue, sempre più rosso, sempre più pesante.
Passò le dita tra i propri capelli scuri, cercando di sciogliere gli eventuali nodi formatisi durante le poche ore di sonno. Da quanto poteva capire tutti si erano riversati alle porte, tentando di fermare l’orda degli alleati. Tutto questo le dava ancora qualche minuto di pace, prima di essere obbligata a svegliarsi davvero. Sorrise, carezzandosi distrattamente una guancia. Non c’erano specchi in quel luogo, né superfici in cui poter ammirare il proprio aspetto ritornato alla normalità. Eppure riusciva a immaginare il proprio sorriso sbieco, il battito distratto delle ciglia, il movimento provocatorio del bacino mentre si dirigeva verso l’uscita dei baraccamenti. Era l’ultima, il ventaglio che le roteava pigramente tra le dita.
Il mantello la copriva quasi totalmente, tanto che gli Shadar-kai nemmeno se ne resero conto. Scivolò alle spalle del primo, posandogli delicatamente una mano sulla spalla e disegnandogli una linea curva, netta, da un orecchio all’altro. Il corpo, troppo magro, troppo stanco, le si adagiò dolcemente tra le braccia senza emettere neppure un suono. Pareva leggero, inconsistente, come i fantasmi degli incubi notturni. Forse lo era davvero, solo un miraggio stralciato di immaginazione. Non mutò la propria andatura, non si lanciò nel mezzo della battaglia. Non cercò di affrontare nemici su nemici, di coprirsi di gloria. Sapeva già che avrebbero vinto. Si era assicurata che fosse così, aveva tenuto duro tutti quei giorni per aprire loro la strada.
Un mantello rosso la urtò, un volto terrorizzato si alzò ad incontrare il suo sguardo. Forse lo aveva perfino conosciuto, forse avevano scambiato qualche parola. Quelle mani grigie le afferrarono le spalle con una forza spasmodica.



Fuggi! Fuggi! È impossibile resistere! Loro…



Si interruppe a metà, mentre lei gli conficcava il ventaglio nella nuca osservando senza emozioni la lama emergere dalla gola. Forse lui sarebbe potuto essere un buon compagno qualche giorno prima. Forse in un altro mondo, in un altro sogno, avrebbero potuto perfino giacere insieme per una notte. Lo depose a terra dedicandogli pochi secondi di attenzione. Il suo unico obiettivo, ora, era di riunirsi agli assalitori per aprire finalmente gli occhi. Il contatto con la loro pelle, il suono della loro voce, l'avrebbe svegliata, ne era certa. Sarebbe tornata nella realtà e tutto avrebbe ripreso a scorrere con la consueta rapidità. Lo desiderava veramente? Sì, per una volta tanto. Sì, perchè sarebbe stato tutto facile, per una volta.
I sacrifici già alle spalle, solo il sapore della vittoria sotto la lingua. Doveva quasi fare uno sforzo per non esultare già da ora, per serrare le labbra e non chiamare ognuno per nome, facendoli a danzare insieme a lei.
Era talmente certa che dopo quella loro notte sarebbe sorto un loro giorno, che non si accorse dei golem, dei loro corpi di ferro che riflettevano scintille cupe nell’oscurità. Non ne sentì i passi soffocati, lo scivolare fluido delle giunture.
Ma potè leggere tutto nelle facce dei suoi compagni, nei loro occhi sgranati. Vide scritta la condanna nelle bocche che si aprivano con una lentezza quasi esasperante, nelle braccia che si tendevano avanti, le dita pallide e tremanti rivolte a un punto alle sue spalle.
E poi l’ombra le fu sopra, un’ombra ancora più possente di quella che avevano creato. E la mazza roteò a pochi centimetri da terreno, generando un’onda che la spinse in avanti, infrangendo la sua indifferenza, facendola incespicare e poi cadere a faccia a terra tra il sangue e i corpi ormai senza vita.
Solo in quel momento si rese conto di essere viva, sveglia, nel mezzo della disfatta, e la paura la afferrò per le caviglie, scivolandole lungo il corpo come se fosse stata colpita da un fulmine. I capelli le si rizzarono sulla nuca, mentre cercava disperatamente di non scivolare sulle stoffe e sui liquidi sparsi sul terreno, mentre sperava di potersi trascinare avanti anche solo di mezzo metro. Il prossimo colpo, ne era certa, non l’avrebbe mancata.
Le sembrava tutto il delirio di un folle: un attimo prima stavano vincendo, un attimo dopo erano loro a dover tentare la fuga. Si afferrò al lembo di un’armatura, rotolando avanti di poco, rimettendosi rapidamente in piedi. Nella sua mente c'era una nuova parola, un nuovo canto. Era una nenia che la esasperava ancora più dei corni e dei sogni incostanti, interrotti di quegli ultimi giorni.
Ci uccideranno, moriremo tutti. Tutti quanti.
Le sfuggì un gemito, mentre percepiva con la coda dell’occhio le immense braccia del golem sollevarsi di nuovo. Si girò su se stessa, pronta a farsi scudo in qualche modo, quando la sabbia davanti a lei parve irritarsi, corrugarsi, ergersi caparbia a difendere chi aveva assassinato i suoi figli. Sgranò gli occhi, provando una paura nuova, ancora più inspiegabile. Come era stato possibile? Chi poteva avere tanto potere?
Si alzò in piedi goffamente, cercando con lo sguardo chi dovesse ringraziare. Scorse una figura ammantata di nero, o forse era solamente un fantasma, un’ombra tra gli incubi di quella notte. Non c’era tempo di accertarsene, non c’era tempo per nulla. Il mostro non dava cenni di voler desistere. Sul suo volto cristallizzato, il gioco delle luci e delle ombre proiettava espressioni talora furenti talora profondamente malinconiche. Quale fosse la sua capacità di comprendere non era importante.
Tese le mani avanti.
Un altro mostro si lanciò verso il primo. Ancora una volta non aveva avuto tempo di pensare, qualcuno l’aveva preceduta. Aprì e chiuse la bocca, senza riuscire a trovare le parole, mentre una morsa di angoscia le serrava lo stomaco. Non perse più tempo a guardarsi intorno, non prestò più attenzione a quel delirio.
La morte le sussurrava all’orecchio, ancora e ancora. Forse lì attorno qualcuno la stava aiutando, forse tutto stava accadendo per caso. Si sentiva impotente davanti a quei colossi indifferenti, ai loro corpi enormi, alla loro forza che sarebbe stata in grado di stritolarla in pochi secondi. Si sentiva incredibilmente piccola. Sapeva di avere a disposizione un solo colpo, una sola occasione prima che la notassero e la annientassero.
Strinse i denti e chiuse gli occhi. Proprio lì, dietro le palpebre, lontana da quella guerra, il sogno che aveva appena abbandonato, la bambina che sorrideva dolcemente in disparte. Sorrise anche lei, ma solo per un istante.



Ti prego…



Parole a fior di labbra, appena percettibili, mentre dai palmi delle sue mani prorompeva una spirale di fiamme diretta ad uno dei due avversari. Non credeva di poterlo fermare, non da sola. Ma a terra il numero dei suoi era spaventosamente aumentato e lei voleva impedirlo. Voleva tornare a camminare con calma, a scherzare con i commilitoni su quella fastidiosa parentesi di deserto. Voleva abbracciare, stringere con forza, uomini e donne sconosciute che per un solo giorno avevano condiviso con lei quella battaglia. Voleva annusare il loro profumo, sentire con le labbra contro la loro gola il battito frenetico del cuore, respirare il loro stesso respiro. Voleva sentirsi sveglia e viva, rivestita della sconfitta altrui.
Ti prego. Le palpebre appena socchiuse, nel timore di fallire, mentre non si sentiva più sicura di nulla.
Non si accorse neppure di tremare da capo a piedi, ricoperta di sangue altrui come una statua vandalizzata per troppo tempo.




Equipaggiamento: Bloody Maries,(indossate); Leviatano (evocato)
Consumi: Critico x1;
Energia Residua [100% - (29%)] = 71%
*Anello del potere + Risparmio del Dominio
Danni riportati: Qualche leggera contusione per la caduta

Azioni: Ho descritto la battaglia dal punto di vista di Dalys che la "vede", o meglio la sente iniziare da dietro la barricata. Nella confusione uccide qualche Shadar-kai, ma più che altro tutto si incentra nel momento in cui entra in contatto con il golem e con la forza evocata da janz e da Stella Alpina. Per contrastarlo lancia un colpo critico di fuoco con la sua variabile.

Spero sia un buon post >.< e la strategia sia efficiente...

Passive in utilizzo




Autocontrollo ~ Al 10% Dalys non sviene

Ammaliamento ~ Risparmio energetico dall'1% al 5% per le tecniche illusorie e aumento di un livello dei loro effetti

Intimità ~ Abilità passiva che induce fascino nell'osservatore

Dominio ~ Equilibrio su qualsiasi superficie

Equilibrio ~ Equilibrio su qualsiasi superficie

Derviscio ~ finchè danza con l'arma in mano non può subire colpi fisici



Attive Utilizzate




Passione ~La Rosa è poi in grado di fare propria la malia del fuoco, di rendere le fiamme sue serve. Potrà infatti controllarle con i gesti sinuosi delle proprie dita, come un direttore farebbe con la propria orchestra, per indirizzarle ove più ritenga opportuno entro un metro di distanza dal proprio corpo.
Le fiamme potranno avere, come lei, creatura sfuggente a qualsiasi legge, la forma che più le possa piacere, da palla di fuoco, a muro incandescente, a getto rovente, e le sarà necessaria dispendiosa concentrazione per poterle evocare. Il fuoco, come la donna, è restio ad essere asservito. Restio, insegna l'esperienza, ma non certo peccatore di pigrizia. La velocità del colpo, in accordo con le rapide movenze della Ballerina, dipenderà dall'energia da lei stessa profusa nell'evocarlo.
[Variabile]

 
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J!mmy
view post Posted on 9/5/2013, 17:56




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La guerra non aveva alcuna pietà.
Cadaveri, orchi, assassini, costrutti; non faceva alcuna differenza.
Mentre il sangue dei nemici le schizzava in volto, Rekla poté vederlo chiaramente: l’inferno, sbucare dalle piaghe stipate di sabbia del terreno, ghermire la volontà dei più deboli, sottomettere con violenza quella dei più forti. Affamato, esso dilagava tra il clangore di spade e i lamenti di disperazione come un morbo che appestava tutti, tutti, senza distinzione.
La guerra non aveva alcuna pietà. Lei non aveva alcuna pietà.
Affondò la lama grigio-arancio di Vesar nella mascella dello Shadar-Kai più vicino, che cadde in ginocchio con il capo diviso orizzontalmente a metà neanche fosse un frutto maturo. Attorno a lei, stava scatenandosi il caos, una ressa di corpi madidi dove a ogni fendente non smetteva di seguire un urlo, chi per la fatica, chi per il dolore che ne scaturiva. Era come un oceano dai suoni rasserenanti, però, benché la serenità trovasse realmente poco spazio in quel campo di battaglia e sofferenza; ma per lei, quelle note così sgraziate e talvolta fievoli fino a sfociare nell’inerzia, uguagliavano le più angeliche e soavi delle voci del paradiso.
Per un momento, le parve di ritrovarsi accomodata sul suo scranno di teschi ad ammirare una deliziosa sceneggiata, una di quelle che sapeva sfiorarle il cuore e riaccendere fiamme stinte nel profondo, leste a tornare a scoppiettare alimentate da un nuovo fervore;
il fervore dell’odio.

« Abbattete quelle fottute catapulte! » urlò Nicholas Varry al vuoto.
Invero, da un capitano quale lei era sarebbe stato plausibile attendersi ordini, comandi, disposizioni tattiche. Rekla, invece, pareva stranamente e completamente assorta nell’abbattimento del primo nemico a portata di daga, estranea a tutt’altro che non lo riguardasse. Per certi versi, era tuttavia come se le Tenebre non ne risentissero minimamente: sciamavano sulla sabbia come mosche indaffarate, tanto industriose quanto chirurgiche nel divorare un pollice dopo l’altro dell’accampamento che calpestavano.
D’altronde, in sua vece, il Lord Assassino somministrava loro gli assetti dei plotoni, i punti strategici da colpire, come le robuste catapulte su ruote che nel cedere ai colpi dei negromanti senzavita sembravano certo un po’ meno robuste. Cataste di legna bruciata si formarono alle pendici dei camminamenti di nord-ovest, prima che nuovi e più violenti gettiti di polvere giungessero a inghiottirle. La sabbia: quella era forse il loro peggior nemico; l’unico che non potessero in alcun modo abbattere.
Intravide un Bugbear, a manca, bloccarsi e portarsi le mani al volto. Aveva compiuto il madornale errore di rinunciare al turbante, e adesso si trovava costretto a strofinare le palpebre convulsamente come se potesse servire a fermare l’insediarsi della sabbia sul suo corpo. In quello stesso istante, tre Shadar-Kai gli furono addosso: mentre il primo lo passava a fil di spada all’altezza dello sterno, affondando la lama in un torace così spesso da rendere l’atto a dir poco inverosimile, gli altri due lo mutilavano strappandogli orecchie, naso, virilità, dita delle mani e ogni cosa potesse rappresentare – con molta probabilità – un raccapricciante trofeo di guerra da sfoggiare.
I non-morti, invece, avevano abbandonato le narici fin da quando la madre notte li aveva accarezzati, avvolgendoli nella sua coltre di mera deformità e dannazione, ma la brutalità delle maree era comunque tale che la leggerezza delle loro ossa dovette presto piegarsi. In troppi erano i senzavita incapaci di destreggiarsi adeguatamente nella polvere, consentendo all’Ala Rubra di avere facilmente la meglio.
Date le circostanze, dunque, come una lancetta che ticchettava impellente allo scoccare del mezzodì, l’ordine del Lord Assassino fu lesto a giungere alle loro orecchie:
« I sotterranei!! » berciò lui, faticando a sormontare il brusio delle tempeste e della guerra che imperversava loro dinanzi.
« Rifugia... tevi nei so... tterranei!! »
Nel proferire quelle uniche frasi, la bocca del secondo consigliere si riempì rapidamente di sabbia, tanto da costringerlo a tossire più e più volte. Ma l’uomo conosciuto come "L'Immortale", l'uomo che l'aveva aiutata a sbaragliare il leggendario Asad Sayyid Shareef fece nuovamente sua la Mietitrice e riprese a mulinarla da un fronte all’altro quasi fosse un prolungamento del suo stesso braccio. La scioltezza di quei gesti, la leggerezza di quei sibili fatali, la grazia con cui i ventri degli assassini rigettavano le proprie viscere le fecero venire in mente i primi fendenti sferrati sotto l’egida attenta e severa del Maestro Reoka. Se mai da quegl’insegnamenti avesse tratto effettivamente una lezione, non seppe dirlo neppure dopo tutti quegli anni. Le verità, però, era più che chiara: da quei giorni aveva imparato che uccidere le infondeva un’eccitazione senza pari; da quei giorni aveva capito d’essere destinata a diventare quel che era adesso.
Un omicida. Un carnefice.

La terra sussultò una prima volta, quando l’ennesimo Shadar-Kai le si accasciò di fronte, l’addome divelto dalla gola all’ombelico riverso in basso e una pozza scura che tinteggiava la sabbia sotto di esso di un colore simile alla pece.
Quando ebbe recuperato la lama dal cadavere, sentì un altro urlo provenire dalle spalle. Si volse, ma appena in tempo per vedere il corpo del proprio assalitore – o presunto tale – volare via come un fuscello arido al contatto inesorabile di una gigantesca palla chiodata.
Fu allora che la terra tremò una seconda volta.
Vide l’acciaio, duro e gelido persino in quell’inferno di sabbia turbinante, ergersi dalle fauci del deserto sotto titaniche spoglie di colossi. Furono due, poi cinque, otto ed altri ancora. Sentì tra la ressa Nicholas dare l’allarme a pieni polmoni.
Golem.
Quale altra diavoleria avrebbe avuto in serbo per loro Razelan Vaash?
Tremava tanto all’idea d’incontrarli che era addirittura costretto a sguinzagliare nuovi costrutti?
Ma lei era pronta anche a questo.
Uno dei colossi la puntò e, roteando il flagello sopra di sé, iniziò a correrle incontro. La Nera imitò il gigante e, con Vesar ancora stretta in pugno, scattò all’indietro spintonando ogni impedimento le si parasse davanti, amico o nemico che fosse. Di contro, il golem maciullava tutto ciò che trovava sul proprio cammino, pestandolo coi suoi enormi piedi d’acciaio o falciandolo a suon di sferzate. Era raccapricciante come quell'ammasso di feccia potesse sfornare un’atrocità dopo l’altro, privo del ben che minimo ritegno; era disgustoso, persino per lei.
Quando finalmente scorse un tumulo di arenaria più alto degli altri, capì che era giunta dove stabilito. Uno Shadar-Kai, a pochi palmi di distanza dall’ingresso delle macerie, attendeva impaziente proprio il suo arrivo.
Con la gigantesca figura ormai alla nuca, parlò:

« E’ ora! »
Non seppe dire esattamente ciò che accadde di lì a breve, ma vero fu che prima che potesse rendersene conto aveva già richiamato centinaia d’ossa dai cadaveri che costellavano l’intero accampamento. Queste si chiusero le une sulle altre, mentre rapide accorrevano per frapporsi tra l’evocatrice e la minaccia. Un muro pallido e dalle venature corvine prese a levarsi dinanzi alla Nera, neutralizzando l’ennesima – e furiosa – randellata dell’energumeno.
Prima che potesse riorganizzare i pensieri, dunque, distese il palmo destro verso un punto non bene identificato nella tempesta, là dove il suo occhio carpiva a malapena bagliori convulsi d’armi e corazze che fluttuavano a mezz’aria nella notte. Sperò con tutta se stessa che il piano funzionasse.
Le labbra si mossero leste, sollazzandosi nella profana lingua dei morti.
Una litania, inquietante e oscura, stillò da queste valicando confini cui mai creatura vivente alcuna avrebbe dovuto spingersi. Ma Rekla Estgardel aveva superato quei confini già da prima che il primo re degl’uomini nascesse; inconsciamente, sentiva come se fosse stata lei stessa a partorire quei limiti.
L’atmosfera intorno alle donne – che ora s’eran fatte due – si fece greve, irrespirabile, torrida. Lembi di tenebra e spiriti tormentati trasudarono dalla carne sommersa di drappi della Regina dei morti; fluirono come acqua lorda e corrotta verso l’attrezzatura in volo, rivestendo ciascun pezzo di nient’altro che pura empietà.
E mentre quest’ultime partivano alla volta del colosso, pregò che quell’alleanza non divenisse una delle tante scelte di cui presto avrebbe dovuto pentirsi.

[...]

. alcuni giorni prima .

Le vampe crepitavano pigre sui pochi ceppi d’acero gettati ad alimentarle.
Era tardi, ma Rekla volle comunque fare una deviazione prima di andare a riposare – benché nessun riposo, in verità, l’attendesse quella notte. Seguì la luce che si propagava per gli stretti cunicoli dell’avamposto sotterraneo, giungendo a un’alcova poco più grande di molte altre in cui era stato sistemato un falò tra macigni rossi di pietra del deserto. Vide neppure una mezza dozzina d’uomini intorno ad esso, quindi decise che non v’era luogo più adeguato per fare ciò che doveva.
Si accomodò sul fronte piatto di uno dei massi, sguainò Vesar e ne appoggiò la punta sul terriccio umido della sera. Con l’altra mano, lenta, sfilò una piccola cote dalle falde del pastrano e prese a fregarla ripetutamente sulla corta lama color d’arancio.

« La prima volta che ti ho incontrata, mai avrei immaginato di rivederti. »
« In qualche modo, ogni persona che sfiora la mia vita, ne rimane bruciata. Tu no. Sei d'acciaio, Nera. »
Una voce familiare la sorprese dalla semioscurità della spelonca. Zaide le era stata seduta al fianco fin dall’inizio, ma Rekla ne aveva ignorato la presenza per tutto il tempo – non che non si fosse accorta che fosse lì, è ovvio. Quando la rossa parlò, la Nera non accennò a muovere un muscolo. Immobile era e immobile rimase, ad eccezione del braccio che strofinava ancora e ancora sul ferro caldo.

« No. Non acciaio, ragazza » le rispose pacata, osservando le scintille che zampillavano dappertutto
« Ma fuoco. E il fuoco non può bruciare se stesso. »
Nel tono della Nera si percepiva una qualche remota amarezza.
Zaide era stata una donna con la quale, nonostante la giovinezza, aveva spartito più di quanto avesse fatto con chiunque altro conoscesse e più di quanto avesse voluto. Inconsapevolmente, era come se le due fossero sempre state legate da un unico destino, da un unico intreccio di trame. Avevano compreso le asperità del Deserto dei See da mesi, le avevano fronteggiate, e lo avevano fatto insieme.
Si stupì dal riscoprire in lei quanto di più simile a una compagna... o a una sorella minore.

« No, non può bruciare se stesso. Può uccidere. Può far rinascere. »
La colse con la coda dell’occhio scrutare le fiamme, riflettere silenziosa.
« E nel fuoco si forgiano lame altrettanto letali e pericolose » riprese, alludendo alla Luna che stringeva in pugno « Non credere di essere al sicuro dai tuoi nemici solo perché credi di essere al sicuro da te stessa. »
Quella risposta la stuzzicò il tanto bastante da strapparla per un istante al da farsi.
Quella ragazza... shaman, la chiamavano alcuni tra i pelleverde. Come strega, però, non sembrava essere molto promettente; lei, Rekla Estgardel, incatenata alle fiamme degl’inferi e perseguitata da demoni in mondi che esistevano e in mondi che non esistevano, sentirsi al sicuro? Quasi scoppiò a ridere, non fosse che nulla la divertiva di quella circostanza.

« Ho più d'un motivo per sentirmi al sicuro da quasi ogni essere di questo continente » replicò caustica « Ma neppure uno per sentirmi al sicuro da me stessa. »
Qualcosa, dentro di lei, nel fondo dello stomaco, si dimenò. Solo adesso, improvvisamente, Rekla provava interesse per la ragazza dai capelli rossi che le sedeva al fianco. La guardò, con occhi appena materni, come se la vedesse per la prima volta.
Sorrise, ma totalmente priva di allegria.
« Uccidere, però; quello mi riesce ancora bene. »
Il volto di Zaide parve tradirla con una parvenza di sorpresa. Era raro, d’altronde, che qualcuno potesse ambire a una conversazione “cuore a cuore” con niente di meno che la Nera Regina in persona. Qualsiasi cosa fosse accaduta quella notte, pertanto, doveva esser stata estremamente potente.

« Lo so. E' per quello che i migliori cavalieri del regno ti seguono. »
« Centinaia di persone, interi popoli sono ai tuoi piedi: sei la Regina. »
Succedette del silenzio, profondo, cupo, inquietante.
Rekla parve indifferente, eppure sentì l’ego gonfiarsi sotto la pelle e ribollire nel petto.
Sentirsi chiamare a quel modo da chi credeva non serbare affatto alcun rispetto nei suoi confronti le diede uno strano e sgradevole piacere. Non si scompose, però, e con fare tediato riprese ad affilare la daga uno strofinio dopo l’altro.

« A parte me, tu sei l'unica qui che provi un odio reale verso Razelan » le confessò.
Sollevò l’arma all’altezza del mento, ne osservò il taglio, ne soppesò il bilanciamento: era pronta. Se la portò al fianco, lasciandola scivolare fino a incontrare il fodero in cuoio. Quando ebbe terminato, infine, volse lo sguardo sul viso bianco ed esile della strega.
« Come un fuoco, intendo alimentare quell'odio. »
Le falangi di lei si strinsero così forte sulla cote che ne fu quasi possibile udire le ossa stridere. La rabbia montò su per la nuca, mentre gocce di sudore le imperlavano gli zigomi incavati.
« Come un fuoco, intendo divorare ogni squama di quella viscida serpe. »
Pausa. Nessun sorriso, nessun respiro; solo una fredda, intangibile luce tra le palpebre.

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« ... e voglio che tu mi aiuti. »
Zaide tacque per diversi instanti, ma sul suo volto poté leggerne immediatamente l'assenso.
Dopo un po’, la fanciulla si protese in avanti, il torpore del bivacco che danzava sui suoi capelli rosso fiammeggiante, il crepitio che cullava placido il suadente fruscio delle sue vesti. Schiuse le labbra appena, delicatamente, arrestandosi a meno di qualche pollice dall’orecchio di Rekla.

« Tu sai cosa accadrà alla Tomba della Chimera. »


~

Non puoi fare nulla per ostacolarmi.
Il tuo corpo è solo un pezzo di carne.
Sei nata per trastullarmi, per soddisfare il mio piacere.
Io ti ho messa al mondo
e io ti ci toglierò...
... forse.


CITAZIONE
Rekla Estgardel
la Nera Regina
––––––––––––––––––––––
Stato Umano
{ Intelligenza 4 | Forza 1 | Maestria armi da mischia 1 }

––––
« Energie: 94 - 6 - 33 = 55%
« Stato fisico: ferite da taglio di lieve entità sparse.
« Armi: Constantine • riposta; Vesar "Luna dell'inferno" • estratta

Attive...
Secon darkness - Oscurità dell'osso
La tenebra che divorava Rekla non conosceva vincolo, o inibizione, o freno. La carne stessa marciva al suo incedere, non essendo di alcuno impedimento per un morbo tanto instabile ed insaziabile. Per tale ragione, la maledizione era giunta finanche al duro delle ossa, elargendo alla Nera Regina delle Tenebre la facoltà di sfruttare i resti putridi e decomposti dei cadaveri per richiamare difese impenetrabili in grado di proteggerla come meglio necessita. Era sufficiente un cenno, un misero cenno, perché la tecnica -di natura magica- tramutasse le spoglie derelitte dei morti in ombre solide come roccia e inamovibili come acciaio temprato. Rekla poteva compiere qualsiasi manifestazione le venisse in mente: armature, barriere, scudi, cupole, difese dirette o a trecentosessanta gradi. Tutte queste dovevano però averla come punto d'origine e non potevano perdurare sul campo di battaglia oltre il compimento di ciò per cui erano state reclamate; dunque, svanivano subito a seguito del colpo incassato. La potenza delle manifestazioni era variabile medio, pari al consumo speso per richiamarle, e di un livello inferiore se dislocate a trecentosessanta gradi intorno al caster.

Last darkness - L'Apostolo delle Tenebre
E infine giunse il male in persona, nella sua forma più depravata, con quelle sue catene fatte d'ombra e puro ribrezzo. Quatto quatto scivolò tra le lenzuola di lei, in una notte fredda e tempestosa, si avviticchiò alle pallide falangi che tante vite avevano spezzato, penetrò la pelle e trasudò nelle ossa, logorando e scavando più a fondo, sempre più a fondo, corrodendo ogni cellula già deviata dalle vampe. Fu allora che Rekla realizzò quanto effettivamente la tenebra fluisse in lei come gelido sangue, come un'anima divelta dal dolore che ricercava nella vendetta la giustizia che mai aveva avuto. Palpitava, urlava in lei, bisbigliava parole oscene e mostrava scenari grotteschi: l'oscurità divenne un tutt'uno con la Nera Regina, con l'umana che non poté fare alcunché per evitarlo. Chinò il capo, dunque, si sottomise a quell'infinito gorgo di malvagità, assurse a quello che i profani chiamarono presto "L'Apostolo delle Tenebre", la creatura dalle vene nere. Padroneggiando anche l'ultimo stadio di queste abilità, Rekla divenne in grado di plasmare l'ombra stessa a proprio gradimento e immagine, mutandola in tangibile minaccia o in mutuo disagio a seconda di ciò di cui avesse voglia. Spendendo un consumo pari a variabile critico, infatti, la Regina di coloro che più non vivono poteva modellare il male in sé e partorirne un'arma, una sfera, un raggio o qualunque altra immagine la sua perversa volontà fosse capace di generare. Alternativamente, però, la donna poteva anche far sì che quella medesima crudeltà, quel medesimo odio, quel medesimo obbrobrio s'insinuasse nella mente delle sventurate vittime, facendo di loro null'altro che conigli dinanzi a una bestia - la bestia - trasformando finanche il più esile lembo di coraggio in disarmante paura e crescente terrore; un'arma, questo lei lo sapeva assai bene, che le avrebbe assicurato il dominio assoluto. [Pergamene ultime del negromante "Dominio del male" e "Timore".]


... e passive

La connessione tra l'evocatore e il mostro è molto più potente di quella che potrebbe mai avere con qualsiasi altra delle sue creature. Loro sono la stessa cosa, divisasi solamente con l'obiettivo di distruggere il proprio avversario. Per questo, i loro corpi sono legati insieme non solamente dalle mere catene che fuoriescono dal gauntlet. Nel caso in cui Rekla dovesse subire un danno provocato dal proprio avversario (e non autoinflitto tramite tecniche o atti impulsivi) ella potrebbe decidere di suddividere tale ferita e farne subire la metà esatta al proprio colosso, che griderà, alimentando la propria furia. Esemplificando, se Rekla dovesse subire un danno Medio, ella potrebbe decidere di prenderne solamente uno Basso, facendo sì che il mostro, tuttavia, subisca anch'egli un danno Basso. In poche parole, potrà smezzare qualsiasi danno rivolto alla propria persona, purché l'evocazione sia già presente sul campo. Viceversa, potrà anche decidere di suddividere i danni rivolti all'evocazione, subendone la metà, poiché i due non sono che diverse emanazioni dello stesso corpo [Tecnica passiva].

Nel principio, la Riluttanza
Il primo stadio di violenza contrappone il rifiuto della verità al suo viscerale attaccamento alla propria arma, il quale diverrà indissolubile, tanto intenso e profondo da impedire a chiunque di scinderlo. L’arma diviene un ninnolo, un prezioso memento, un tesoro inestimabile per la fanciulla che potrà impiegarlo per evocare istantaneamente l'ombra sotto forma di lorde creature, potenziate di un punto CS addizionale e a un costo energetico ridotto del 5%.


.Voi cittadini mi chiamaste Ciacco: per la dannosa colpa della gola, come tu vedi, alla pioggia mi fiacco.Il peccato di gola coincide con un desiderio d'appagamento immediato del corpo per mezzo di qualche cosa di materiale che provoca compiacimento. É un'irrefrenabilità, un'incapacità di moderarsi nell'assunzione di cibo o, più in generale, nel desiderio incontrollabile di qualcosa che si brama. E' stato proprio per quest'ultima ragione che Rekla ha accresciuto la propria fame nell'ambito della negromanzia, al punto da strappare il sottile velo che separa ciò che è vivo da ciò che è morto. Più precisamente, in termini di gioco, la Nera Regina acquisisce il potere dell'immortalità; questo non significherà che non sentirà la stanchezza o perderà i sensi una volta al di sotto del 10%.

.Or superbite, e via col viso altero, figliuoli d'Eva, e non chinate il volto sì che veggiate il vostro mal sentero. Il superbo è una persona innamorata della propria superiorità, vera o presunta, per la quale si aspetta un riconoscimento. La superbia affonda le sue radici nel profondo dell'uomo, sempre teso alla ricerca e all'affermazione della propria identità. Quest'ultima non è qualcosa che si elabora al proprio interno, ma che ciascuno negozia nel rapporto con gli altri da cui attende, appunto, il riconoscimento. Tale bisogno nell'essere umano è fortissimo: forte al pari di altri bisogni più esistenziali…
Allo stesso modo Rekla è innamorata di sé, della sua sicurezza, del suo corpo. Così facendo, nonostante le origini ancora sconosciute, la giovane insinua in chi le sta accanto non molta fiducia, oserei dire nessuna piuttosto, ed un timore di non poco conto. Tutto ciò, ovviamente, è efficace laddove chi la affianca non sia un demone né possegga un'energia superiore alla sua.

Vizio dell'Animo • честолюбие
Che sia negativa o positiva, l’ambizione - così come la sua assenza - sottende tutte le azioni umane malvagie o meritevoli che siano. L’ambizione sfrenata può portare all’insoddisfazione perenne, a cambiare schizofrenicamente campo di interesse o obiettivo pur di avere una nuova vetta da scalare, mentre un’accezione positiva di questa attitudine psicologica può coincidere con una sana spinta a migliorarsi e non accontentarsi, a superare i propri limiti. Rekla Estgardel è forse l'essere più ingordo e privo di scrupoli del pianeta, pericoloso e raggelante nell'infinita contaminazione della sua mente. E' proprio grazie a quest'incessante bramosia, però, che la Nera Signora è riuscita a cogliere frutti misteriosi ed unici, rari e preziosi come le più pregiate ricchezze del mondo. In termini pratici, ella è in grado di usufruire delle capacità di una seconda classe: il ladro. A tal modo ciò potrà senz'altro spalancare alla regina dei morti molteplici vie ad un'innumerevole quantità di attacchi e strategie, tutte indubbiamente mirate a stroncare sul nascere l'esistenza del malcapitato avversario. (Tomo furtivo)

An endless guard
In breve, il giovane Shiverata apprese l'orrenda verità su chi fossero i nemici e le prede cui il Magus l'aveva destinato. Non ne fu felice. L'anello gli imponeva di cercare e sconfiggere gli emissari dell'Abraxas: lui era costretto a frapporsi fra il mondo umano e l'Ombra, senza poter abbracciare nessuno dei due. Il dono lo condannava ad una guardia senza fine, perché il fiore di ossidiana, quel cuore del fiato di drago, non conosceva scalfiture. Il Maestro l'aveva definito nero come il peccato e resistente come la roccia. Lo era molto di più. Inoltre lo costringeva ad una percezione impossibile da interrompere, gli donava non la visione esatta ma la totale percezione del nemico, della sua presenza. Era orribile -e per questo maledisse il nome del Maestro.
{ Abilità Passiva: L'anello è indistruttibile. ; Abilità Passiva: Auspex sui non-morti, il portatore sarà sempre a conoscenza della loro presenza nei paraggi. }

Note
Tre chiarimenti:
• le mie energie partono dal 94% per via della pergamena "Notte" attivata al turno precedente;
• mi difendo dalla flagellata nemica con "Second darkness - Oscurità dell'osso" (Dominio difensivo delle Ossa);
• l'offesa - così come i dialoghi del flashback della seconda parte di post - è stata concordata con Zaide stessa. In soldoni, dopo che quest'ultima ha "rianimato" le armi e le armature del deposito degli Shadar-Kai, Rekla li avvolge con un'aura di potenziamento critica per mezzo di "Last darkness - L'Apostolo delle Tenebre" (Dominio dell'elemento sacrilego). Dopo di ciò, le attrezzature vengono scagliate contro il golem con l'intento di ucciderlo.


Edited by J!mmy - 11/5/2013, 11:56
 
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view post Posted on 9/5/2013, 23:18

Esperto
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Oltre la Barriera.

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Immobile nell’oscurità scrutavo le mie mani.
Erano tozze e coperte di cicatrici annerite di sporco, a malapena distinguibili dal sottile disegno geometrico di un tatuaggio che correva dal polso all’incavo dell’avambraccio. Mani forti, virili e insensibili. Una lieve, malsana curiosità mi spingeva ad ingannare l’attesa sfiorando con le dita la fiamma della torcia che ardeva accanto a me, unica luce nell’oscurità dell’accampamento: aprivo e chiudevo la mano come per afferrare la guizzante sagoma del fuoco, senza avvertire dolore né paura.
La fiamma si specchiava nei miei occhi rossi, danzava leggera e rapida disegnando arabeschi di luce nella mia mente che mi riportarono a quella strana notte in cui lei aveva aperto uno spiraglio del suo mondo sul mio.
Prima non c’era stato disprezzo: pura e semplice indifferenza. Ma quell’indifferenza ostentata che poteva significare una sola cosa: il terrore di mostrare la propria debolezza, ritrovarsi in un lampo vulnerabili, accerchiati e schiacciati dal mondo esterno.
Credevo che Rekla fosse nient’altro che quello: un guscio vuoto che proteggeva un terribile, tormentato nulla.

Il fuoco non può bruciare se stesso.

Zaide avvertiva la presenza della Nera Regina già da alcuni minuti, nonostante tenesse gli occhi chiusi. Quella donna emanava una strana energia che scuoteva Zaide nel profondo, un misto di rispetto, ammirazione e fastidio che fino a quel momento aveva spinto la strega a girare al largo dalla guerriera per evitare di venire contaminata da quell’aura di malessere. Eppure quella notte lasciò che l’oscurità di Rekla penetrasse in lei. Se c’era qualcosa che gli sciamani del deserto le avevano insegnato, era che ci sono certi legami che trascendono la nostra consapevolezza e la nostra volontà: la razionalità umana può arginarli, ma mai cancellarli.
Rekla era così spavalda, fulgente. Si era appena definita “fuoco”. Zaide lasciò vagare la mente: quante volte il fuoco l’aveva accompagnata in quella devastante avventura...Il fuoco che brucia e uccide, il fuoco che purifica, il fuoco che ridona la vita, il fuoco...il fuoco che divampa di collera e amore mutato in odio cieco. Zaide batté le palpebre. Il calore l’aveva estraniata per qualche istante dalla realtà e una strana visione si era impadronita di lei. Caelian...? Così pura e dolce, così lontana: non aveva tempo per lei ora.
- Non credere di essere al sicuro dai tuoi nemici solo perché credi di essere al sicuro da te stessa - mormorò, forse più a se stessa che a Rekla.
La presenza di quella donna forte e spigolosa, sgradevole e invincibile la rassicurava. Tante cose non avevano funzionato nella sua vita, ma stranamente ogni volta che la Nera le era stata accanto erano sempre riuscite a tirarsi fuori dalle situazioni più intricate: un saggio le disse una volta che è facile scegliere i propri nemici, ma impossibile scegliere gli amici. Era quello allora? Un’amica? Zaide sorrise tra sé al solo pensiero. Un’alleata, forse. Una spada letale. Ma fuoco e ombra non avrebbero mai potuto fondersi insieme.

- A parte me, tu sei l'unica qui che provi un odio reale verso Razelan - la voce di Rekla spezzò il silenzio che si era creato.

- Come un fuoco, intendo alimentare quell'odio. Come un fuoco, intendo divorare ogni squama di quella viscida serpe. - La voce della donna si era assottigliata man mano che le sue parole si inasprivano di odio, o esaltazione. - ... e voglio che tu mi aiuti.

Era come se la sicurezza feroce di Rekla fosse penetrata inesorabile nella pelle della strega: un brivido di eccitazione percorse Zaide mentre un piano si delineava perfetto nella sua mente. In molti avevano accettato il rischio della missione segreta ordita dalla strega: la Spia, la Rosa, l’Oscuro erano solo alcune delle sue pedine in quel tenebroso gioco. La Regina sarebbe stata la sorpresa finale.


C’era odore di sangue nell’aria. E di fumo, e di sudore, e di paura. Ricordai lo sguardo colmo d’orrore del giovane Shadar-Kai di sentinella quella notte in cui ci eravamo infiltrati alla Tomba della Chimera. I suoi occhi sgranati di paura mentre cercava di liberarsi dei mostri immaginari che gli beccavano il viso non mi abbandoneranno mai, lo so. La sua unica colpa era stata quella di trovarsi nel luogo sbagliato al momento sbagliato, e di combattere per Razelan Vaash. Aveva grandi mani forti, le stesse mani con cui accarezzavo il fuoco: assumere il suo sembiante mi era sembrato un modo per chiedergli scusa, per onorarne la memoria. Non avevo motivo di odiare Vaash e i suoi uomini: ma il filo rosso della mia vita si era dipanato fino a lì, e avrei lottato per vedere come sarebbe andata a finire.
Un brusco movimento alle mie spalle richiamò la mia attenzione: nelle ultime ore la battaglia si era praticamente conclusa con una schiacchiante vittoria delle truppe guidate da Rekla, che avevano approfittato del clima di tensione e paura seminato da noi nelle notti precedenti: gli Shadar-Kai non erano altro che esseri umani, e le loro menti logorate dall’incertezza non avevano retto.

- Rekla...? - Mormorai. Ero appostata accanto alla porta dell’armeria principale in modo da bloccare qualunque tentativo degli Shadar-Kai di riarmarsi e tentare il contrattacco. Sapevo che la Regina mi avrebbe raggiunta lì, come concordato.

- Rekla? - ripetei. Ma il rumore soffocato e cadenzato che avvertivo in lontananza non era un passo umano. Mi affrettai a spegnere la torcia e scrutai nell’oscurità attraverso le basse costruzioni dell’accampamento: e li vidi. I leggendari Golem di cui avevo solo sentito narrare nelle antiche leggende parevano sbucare dalle crepe del sottosuolo: doveva esserci evidentemente un nascondiglio segreto di cui ignoravamo l’esistenza.
Enormi e indistruttibili, avanzarono sulle macerie della Tomba della Chimera sbriciolando qualunque cosa si ponesse sul loro cammino. E mi fu presto chiaro che uno dei Golem doveva aver avvertito la mia presenza, perchè si muoveva pesante e inarrestabile nella mia direzione.

- E’ ora!

La voce di Rekla risuonò come un rintocco di campane alle mie orecchie: eccola infine, come sempre agguerrita e detestabile, attraente e decisiva. La sua voce fu come un tonico per me: ero Zaide, la strega di Taanach, e quella notte il fuoco e la tenebra si sarebbero fusi in una sola cosa.

Di fronte al Golem le due donne sembravano inermi come bambine, insignificanti moscerini da spazzar via con un colpo di piede. Zaide aveva abbandonato le sembianze dello Shadar-Kai morto e i capelli rossi rilucevano nell’oscurità rotta qua e là da piccoli roghi e fiaccole accese. Fu semplice parare la micidiale frustata con cui il Golem aveva cercato di renderle inoffensive. Zaide avvertì a malapena il colpo frangersi contro la barriera perlacea che aveva avvolto il suo corpo come un bozzolo fatto di una miriade impalpabile di volti cangianti, sospiri e pensieri tra cui le parve di scorgere anche il giovane Shadar-Kai e il suo amato Shaman. La nube evanescente si dissolse rapidamente nell’oscurità, ma le arti oscure della strega erano già all’opera per sferrare l’attacco decisivo.

Se solo il Golem avesse avuto un cervello con cui pensare, con cui avere paura, il terrore lo avrebbe paralizzato all’istante - pensò Zaide con una punta di orgogliosa superbia.
Un ritmico sferragliare proveniva dall’armeria, come se un esercito sorto dal nulla si stesse organizzando nelle profondità delle segrete pronto a distruggere il nemico. Ed infine apparvero: centinaia di figure vuote, le armature degli Shadar-Kai che si muovevano come fantasmi inesistenti avanzavano rapide e compatte, un vero schieramento fatto di scudi, pettorine, gambali ed elmi.
Le spade sguainate roteavano nell’aria della notte sibilando e cozzando tra di loro con gran fragore, che parve moltiplicarsi quando andarono a schiantarsi contro la figura mostruosa del Golem.
Un brivido freddo percorse la schiena di Zaide quando Rekla intonò una tetra litania appresa chissà dove, che le ricordò sinistramente il canto degli sciamani nel loro malefico incantesimo per resuscitare i morti. E fu come se gli anfratti vuoti tra le corazze e gli elmi si riempissero di vita putrida, anime morte e maledette che presero possesso delle armi: lo schianto risuonò in tutta la Tomba della Chimera perdendosi nella notte.






Zaide

°concentrazione [+2]
°intuito [+2]

[c. 29%; a. 13%; m. 5%; b. 1%]



Energia:
100 - 5 - 29 = 66%

Passive:
[Passiva di ammaliamento psionico; a seconda dei comportamenti di Zaide e ad interpretazione del personaggio che subisce la tecnica, può istillare in lui lussuria nei confronti della strega o terrore - sta alla vittima decidere quale delle due, coerentemente ai comportamenti e all'aspetto assunto da Zaide]
[Disciplina ferrea e dedizione, ma anche un’innata predisposizione nei confronti di tutto ciò che riguarda la sfera delle conoscenze arcane, sono alla base della capacità di Zaide di percepire istintivamente ciò che è magico attorno a lei, permettendole di svelare illusioni ambientali e avvertire attacchi magici anche alle proprie spalle]
[La portata del suo sapere magico è tale che ogni sua tecnica di natura magica provocherà danni di un livello superiore rispetto al consumo utilizzato, a fronte di una diminuzione delle tecniche fisiche di pari natura]

Attive:
Arabesque [Medio]

Statues [Critico]
CITAZIONE
Con un consumo pari a Variabile, Zaide potrà richiamare un vortice di spiriti che apparirà normalmente come una massa in cui però rimarrà possibile scorgere i lineamenti di una moltitudine di creature. Zaide può modificare la forma della presenza come desidera, ai fini di creare una barriera difensiva di livello pari al consumo di energie speso per evocarla, che avrà come punto d’origine sempre ed esclusivamente la sua persona.
[Abilità di manipolazione del Non-Elemento difensiva]

CITAZIONE
Zaide è inoltre in grado, con un consumo pari a Variabile, di infondere vita negli oggetti presenti nelle immediate vicinanze: al suo comando si animeranno istantaneamente statue e gargoiles, corde e catene, armature e oggetti di qualunque genere che andranno ad attaccare l'avversario. La tecnica non può essere attuata su armature o oggetti indossati da un altro essere vivente. La tecnica ha natura magica e dura isolo il tempo necessario per portare a termine l'attacco.
[Abilità personale offensiva]

NOTA: Come specificato da Jimmy, le nostre azioni e interazioni sono concordate. Ho utilizzato una forma un po' diversa per questo post cercando di alternare il modo della narrazione per provare a rendere l'idea dei diversi piani temporali e mentali che convivono in Zaide, spero che il tentativo venga apprezzato. Inoltre spero che la narrazione della tecnica adoperata sullo Shadar-Kai non sia un problema: se necessario scalo l'energia (non l'ho fatto perchè in effetti quel post non c'è mai stato, l'ho raccontato per collegare la scena presente agli eventi narrati dai controllori nel turno precedente), non è mia intenzione "rubare" su questo punto.



 
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Xi.lan
view post Posted on 10/5/2013, 10:57




Second peek: Wounds.
Le ferite si sommano.



I giganti erano morti e con essi uno degli elementi di maggior importanza nell’offensiva umani-orchi-demoni. Le tempeste di sabba continuavano a “caratterizzare” l’ambiente locale, rendendolo estremamente inospitale, per non parlare delle sue dirette conseguenze in battaglia. L’aria era pregna di granelli, rendendo durante certi momenti difficile non chiudere gli occhi per farli lacrimare. Privarsi della vista per anche un solo istante era un errore che non si sarebbe mai permesso. Troppe vite erano state strappate prematuramente per permettersi un’imprudenza simile. Nonostante la perdita gravosa dei gargantueschi compagni d’arme, per l’armata sarebbe stato più facile combattere considerando l’irruzione nell’accampamento.

Illorium, intento ad accessoriare uno sventurato di turno con un nuovo taglio all’addome, inaugurato con un violento schizzo di sangue, notò che effettivamente il suo schieramento stava guadagnando terreno, finalmente mettendo in minoranza, anche se non sarebbe riuscito a combattere a lungo. Le ferite che si era procurato nella fase pre-sfondamento gli stavano facendo dannatamente male e non aveva ancora trovato un momento per dedicarsi alle prime cure, rendendo così reale un rischio di svenimento per l’eccessiva perdita di sangue, che se ulteriormente ignorata potrebbe sfociare nel peggior risultato possibile: la morte.

Gli si parò di fronte un altro avversario, questa volta munito di spada e scudo. Illorium si avventò sul guerriero di fronte a se, non aveva più la minima intenzione di destreggiarsi in duelli di tecniche, cercando di trovare un punto debole fra le difese nemiche. Fino a quel momento poteva dirsi fortunato di aver incontrato solamente gente armata con una o due armi. Sapeva che la presenza di uno scudo avrebbe diminuito le sue possibilità di uscire vittorioso in massimo due scambi, affaticandolo pericolosamente.

Si getto con la forza celata in tutto il suo corpo contro lo scudo del tizio, facendoli cadere a terra entrambi. Si rialzò immediatamente lasciando la lancia a terra e posizionò un ginocchio sulla protezione, mentre l’altro sul petto. Sfruttando la mano sinistra artigliata da cui deriva il suo cognome, infilò ben due dita dentro il collo della persona, per poi ritrarle macchiate di sangue. In qualche secondo accompagnato da qualche schizzo energico di “liquido vitale” che tinse la sabbia di rosso.

Rialzatosi e recuperata la lancia l’elfo continuò a farsi strada con l’aiuto di alleati o della sua arma fino a quando non incontrò una figura fin troppo conosciuta.

G’onk si trovava a qualche passo intento a finire un di quei disperati dello schieramento avverso con un colpo di martello, uno strumento che non aveva mai visto in mano al suo amico orco.
Cercando di raccogliere un po’ di coraggio si avvicinò al compagno d’armi e gli pose una mano sulla spalla.

G’onk senti…



Ho visto morte di mio fratello prima di sfondamento di porta. Ho visto che ti ha protetto poi essere ucciso da freccia. Ho visto però quello che tu fare a suo assassino. Bel lancio quello con calcio a testa, potere diventare sport nuovo.



Convinto del fatto che non fosse possibile credere a ciò che aveva sentito, strabuzzò gli occhi e disse:

Scusa G’onk, tuo fratello è morto proteggendomi, non dovresti avercela con me? Se fossi stato più forte lui non sarebbe dovuto intervenire per poi ricevere quella freccia.

Noi essere guerrieri mio giovane amico. Morte arriva per tutti, per noi prima. Bal’k è morto proteggendo tua vita, approfittane!



Detto questo gli diede una pacca sulle spalle e lo incitò a continuare la battaglia. Animato da una nuova fiducia in se stesso l’elfo riprese a farsi strada con l’uso di calci ed affondi fino a quando un flagello non ferì il suo braccio sinistro, quello artigliato.
Poco ci mancò a tranciarlo, ma fortunatamente la ferita da cui stava sgorgando copiosamente sangue sembrava essere stata fatta con la punta, quindi il colpo non possedeva sufficiente forza per poter “mozzare” il braccio. Sembrava che con quell’attacco molti dei suoi compagni erano stati feriti. Innanzitutto Illorium sfruttò l’assenza temporanea di nemici nelle sue vicinanze per poter bloccare la ferita al meglio che poteva per evitare l’aggravarsi dell’emorragia.

Dopo aver completato le prime operazioni di pronto soccorso vide che non sarebbe riuscito a continuare a lungo. Tuttavia bastò guardare di fronte a se per poter vedere il responsabile di quell’attacco. Un enorme golem coperto da una grossa armatura ed un’imponente scudo e nella mano destra si trovava quell’arma che lo aveva ferito.

Sembrava che nonostante la ferita non fosse affatto leggera, specialmente sommata alle altre, ma non gli avrebbe impedito di usare decentemente la sua lancia. Gli sarebbe stato difficile, se non impossibile, manovrare l’arma con la sua solita destrezza, tuttavia ciò non gli avrebbe impedito di poter ricorrere alla sua magia esplosiva.
Con due affondi diretti al piede del colosso; entrambi se non avessero incontrato resistenza avrebbero colpito lo stesso punto con la finalità di ridurre la protezione offerta dall’armatura. Poi Illorium scattò con la finalità di colpire con la mano artigliata dove aveva precedentemente mirato con l'arma bianca.

Informazioni tecniche.



- Nome. Illorium Blackfang.
- Energia. Gialla.
- Stato fisico. Ferita alta al braccio, ferita media alla spalla ed al fianco, taglio bassa al torace.
- Psiche. Determinato.
- Consumi. Basso x2.
- Energia residua. 66%.
- Passive. Autosufficienza [Immunità alle influenze psioniche passive] e Indistruttibilità della lancia.
- Attive utilizzate. Mira infallibile x2.
- Note. Nessuna.
- Riassunto azioni. Mi faccio strada fino a quando il flagello lo ferisce. Poi con un doppio affondo potenziato dalla pergamena per poi eseguirne un terzo sempre nello stesso punto.

- Mira infallibile. La tecnica ha natura magica e permette al caster di acquisire la capacità di non sbagliare il suo prossimo attacco. Questi, pertanto, dovrà combinare la tecnica con un qualunque attacco, anche fisico, scelto tra quelli normalmente a sua disposizione: l'effetto, infatti, consisterà proprio nella circostanza che tale attacco raggiungerà sicuramente il bersaglio, prescindendo dalla sua posizione o dalla sua distanza, e arrecherà comunque un danno pari a Basso ove colpisca. La tecnica è istantanea e potrà essere accompagnata da effetti scenici che giustifichino il potenziamento della mira, anche legati alle armi o alle capacità del personaggio, purché non si leghi ad essi effetti che prescindano o non siano correlati alla tecnica per se stessa.
Consumo di energia: Basso
 
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Yomi
view post Posted on 11/5/2013, 04:13




Territori Meridionali
— Sandstorm; getye

Si rialzò a testa alta all'ombra del colosso, tergendosi la fronte noncurante dell'avversario incombente solo per ritrarla sporca di sangue. Si era ferita chissà dove alla tempia, ed ora un rivolo rosso le scorreva a lato del viso. All'istante reagì passando da una posizione rilassata ad una di guardia quando con uno stridere di metalli il titano sollevò l'enorme stella della mezzanotte e si preparò ad una spazzata capace di spazzare via un edificio. Cambiò impugnatura alla spada e si preparò a balzare a lato nell'istante in cui l'arma mastodontica avrebbe tradito la sua traiettoria. Corrugò la fronte e scartò a destra con largo anticipo, ma ciò che udì fu il rumore di ghiaccio infranto e non di terra desertica macinata da un maglio del peso di cento scudi. Con la coda nell'occhio vide l'arma del golem di metallo schiantarsi con fragore contro una barriera, al che senza pensare oltre reagì mutando traiettoria per portarsi sul fianco destro dell'avversario.

« Zanganken!!! »
Un rintocco di ferro e acciaio riecheggiò per il campo di battaglia quando la pesante nodachi misurò il suo taglio sulla pelle inumana del costrutto, Motoko colpì ancora al fianco e superò di un balzo il nemico, terminando il suo attacco alle spalle di quest'ultimo, mentre altre figure dei Toryu si univano alla battaglia. Cercò con lo sguardo Hazuki, senza successo. La marea era mutata ed il gigante aveva formato un'isola attorno a cui i pelleverde esitavano ad avvicinarsi, motivo per cui Motoko aveva all'improvviso perso di vista la compagna. Corrugò la fronte e si costrinse a concentrarsi su di un obbiettivo per volta, rinsaldando la presa sull'arma e canalizzando il ki per abbatterla.
« Shinmei-ryuu... »

Cattura42

« Zankūsen, Lampo che Fende l'Aria! »
Squarciò l'aria con un rapido movimento della spada, e come in un letale riverbero il fendente si avventò sul golem allo scopo di falciarne l'arto armato. Motoko non attese oltre e si avventò con furia sul nemico, attaccando in un affondo al centro esatto della corazza ventrale, per poi far leva su tutta la maestria nelle armi di cui era capace per tranciare in due il corpo metallico del nemico, infliggendo così un colpo mortale. Ciò che avevano di fronte, quei monolitici guardiani, erano senza dubbio l'ultima risorsa, l'estrema linea difensiva. Superato quell'ostacolo, avrebbero di certo mandato in rotta l'armata dei difensori, preso l'accampamento e vinto la battaglia!


    Status

    CS: 12, Maestria nella Spada; 1 Forza
    Energia Spirituale: 23%

    Abilità Passive

      Discipline di Distruzione: -3% ai consumi e capacità di raddoppiare consumo e potenza delle tecniche
      Discipline di Spada: -20% di energia spirituale; +8CS
      Discipline di Forza: Bonus di un CS alla Forza
      Discipline dell'Ougi Dominio warrior style, permette di fendere qualsiasi materiale

    Abilità Attive

      Zanganken: Letteralmente "Spada che Fende la Roccia", basilare tecnica della Divina Scuola Shinmei. Permette di scagliare un feroce attacco potenziato usando la spada come tramite, facendole risucchiare energia spirituale e poi rilasciandola con un fendente capace di tranciare facilmente pietra e carne. Shisui è probabilmente l'arma che all'interno della Divina Scuola Shinmei è più adatta a praticare questa tecnica, essendo stata applicata talmente tante volte tramite il suo acciaio antico e venerato da temprarla nel corso dei secoli, così come l'acqua leviga la roccia. In virtù di ciò, questa tecnica scagliata tramite Shisui ha potenza Media ma non ha consumo di energia spirituale.

      Zankūsen: Letteralmente "Lampo che Fende l'Aria", tecnica del genere Hiken, "Colpo Nascosto". Rapida e silente, è una tecnica di spada molto vicina alle jutsu di "morte silente" praticate dagli Iga, che si dice siano in grado di recidere il cranio di un uomo senza che si versi una sola goccia di sangue, ibridata con le tecniche Shinmei perde parte delle sue qualità come tecnica furtiva in favore di una maggior potenza. Si tratta di un attacco a distanza, caratteristica alquanto inconsueta per una tecnica di spada, l'esecuzione inizia sferrando un colpo di spada a vuoto, da una distanza di almeno cinque metri dal bersaglio. L'ultimo segmento della spada, circa dieci centimetri di lama, si concretizza sotto forma di lama energetica in un punto qualsiasi in un raggio d'azione piuttosto ampio come se fosse un prolungamento della spada, e segue fedelmente il movimento della nodachi. Questo significa che, per infliggere danno all'avversario, lo Shinmei deve puntare su di lui la spada ed eseguire un fendente come se egli fosse entro il raggio d'azione della sua arma. Consumo Alto.

    Note

      Il muro di ghiaccio di Leona, in quanto tecnica ad area, protegge Motoko dall'offensiva del golem, lasciando libera di scagliare dapprima un colpo di spada Medio al fianco del costrutto, seguito da un attacco fisico nello stesso punto, poi una tecnica Alta sotto forma di una lama di vuoto che mira a mozzare il braccio del golem che regge il flagello. Infine, chiude la successione di attacchi con un affondo che mira a sfondare la piastra ventrale del colosso ed a dividerne in due il busto.
 
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view post Posted on 11/5/2013, 17:38
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Il corpo di Razelan era umido di sudore freddo; talmente tanto che nei momenti di debolezza più acuti sfuggiva al suo abbraccio, scivolando in terra. Dopo aver avvolto il braccio menomato del nobile nelle sue stesse vesti stracciate, aveva preso a trascinarlo seguendo le sue stesse indicazioni, stando ben attento a nemmeno pensare di levare la propria lama dalla sua gola. Non si poteva certo dire, però, che Razelan stesse opponendo resistenza: i suoi lamenti si facevano via via più deboli e il suo corpo si abbandonava di continuo alla gravità, mano a mano che proseguivano nel loro percorso.
Era di fondamentale importanza che il Vaash rimanesse in vita: avrebbe dovuto condurlo dai Corvi per giustificare il suo comportamento, oppure abbandonarlo fra le mani vendicative di Zaide e Rekla perché avesse la fine che si meritava. Per il Lancaster era indifferente a quale sorte sarebbe andato incontro il Ratto, ma non poteva permettersi che morisse prima di averlo condotto verso il suo obiettivo.

Dopo essere smontati dalla carrozza che li aveva ricondotti in vista dell'accampamento, Razelan l'aveva fatto scendere in uno stretto cunicolo di pietra bianca: un'uscita d'emergenza dalla Tomba della Chimera che, con le Maree in corso, nessuno sarebbe mai stato in grado di trovare e che probabilmente prima dell'inizio delle tempeste di sabbia era rimasta sepolta per anni sotto la polvere.
Il budello si stringeva sempre più in profondità, illuminato a malapena dalla luce proveniente dalla sua apertura, allungandosi per diverse decine di piedi.

« Raaahymond... stai... compiendo un errore... »
annaspò ad un certo punto Razelan, bianco come un cencio
« Il tuo nemico... è fuo-ori dalla tuaaah... portata. »

In tutta risposta, il Lancaster gli diede uno strattone, sollevandolo e spingendolo a riprendere il passo.
Non gli importava chi fosse al comando: se il Vaash, se le sue Streghe, se un falso Dio di ferro: aveva bisogno di risposte da dare ai Corvi al suo ritorno; altrimenti, il suo eterno vagabondaggio sarebbe ricominciato e tutti quei privilegi che aveva ottenuto nell'ultimo anno vissuto all'interno dei Quattro Regni si sarebbero sciolti velocemente. Ma non era solamente questione di mera sopravvivenza: l'Ala Rubra costituiva una minaccia concreta per il regno e aveva decimato quegli stessi pelleverde che gli avevano salvato la vita più volte nel corso di quella sgradevole avventura; garantire la loro sicurezza era il minimo che avrebbe dovuto e potuto fare per ricompensarli.

Continuarono a camminare per diversi minuti, fino a che Raymond non perse del tutto il senso del tempo. Sentiva distintamente i suoni della battaglia provenire dalla superficie, dunque intuiva che non poteva essere trascorsa più di un'ora, e che non dovevano essersi allontanati dall'accampamento: il corridoio d'altronde procedeva in continue curve a gomito, discese e serie di gradoni, come se volesse fargli perdere il senso dell'orientamento di proposito. Era come cercare di muoversi all'interno di un palazzo in continuo mutamento, animato da una propria infida volontà.
A un certo punto Razelan gorgogliò di nuovo e una luce artificiale iniziò a intravedersi all'ultimo capo del camminamento.

« Ec-coci... »

Il Lancaster mosse qualche passo avanti e distinse chiaramente un fuoco molto grande ad illuminare una sala incredibilmente ampia poco più avanti. Riuscì anche ad intravedere numerose figure tutt'intorno a quel falò; presumibilmente, le Streghe di Razelan Vaash.
Stava per raggiungere la camera, quando uno di quegli uomini si staccò dal cerchio e lo raggiunse, parandoglisi innanzi. Aveva il corpo interamente coperto da un drappo di seta rossa dalle finiture d'oro: una specie di saio incoerentemente lussuoso, dello stesso colore del sangue. Il suo viso era completamente oscurato da un cappuccio e il suo passo era lento, sicuro e misurato: per nulla intimorito dalla presenza del Lancaster.
Quando gli fu a distanza di sicurezza abbassò la cappa e parlò, con uno strano tono divertito nella voce.

« Ben ritrovato, Raymond Lancaster. »

Aveva i capelli canuti, lunghi e lisci, come quelli di un vecchio. Il suo viso, però, non dimostrava più di venti anni d'età. Era scavato e glabro, senza un filo di barba: le guance incassate per la fame, il mento affilato e gli occhi allungati verso il basso.
Raymond lo riconobbe subito.

« ...Fratello Martin?! »

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Sulla superficie l'apparizione dei golem aveva contribuito a riequilibrare le sorti della battaglia, pur senza salvare del tutto l'Ala Rubra: le grosse creature metalliche erano armi ingovernabili, che spesso mietevano vittime indistintamente fra i due eserciti, abbattendo chiunque incontrasse le punte dei loro flagelli. Molti Shadar-Kai vennero coinvolti dagli attacchi dei Golem, nonostante questi fossero stati lanciati prevalentemente contro l'esercito di pelleverde e uomini.
Quasi nessuno pareva in grado di fermarli, e questo spiegava perché gli Eidolon vi erano ricorsi in maniera così tardiva; solamente qualche misera sacca di resistenza riuscì ad opporsi alla loro travolgente avanzata.

Quando il colpo del primo golem si abbatté sul muro di sabbia e terra innalzato da Caino, quest'ultimo reagì quasi con curiosità, incapace di comprendere ciò che stava accadendo davanti ai suoi occhi. Sollevò la sua arma e la osservò incuriosito, senza avvedersi dell'altro costrutto che, nel frattempo, gli si stava avvicinando minacciosamente: non avrebbe mai considerato un suo pari un nemico, e fu questo a segnare la sua disfatta. Il secondo golem lo immobilizzò e Caino ebbe tutto il tempo per dilaniargli la gamba destra, abbandonandolo poi alle cure del costrutto ipnotizzato; quest'ultimo iniziò infatti ad abbattere il proprio flagello sul primo golem, senza alcuna esitazione. Il controllo del Corvo su di lui era totale, e la sua volontà inattaccabile.
In breve, altre figure si avventarono sul corpo del Golem: prima un gigantesco scorpione apparso da chissà dove finì il lavoro che aveva iniziato Caino, distruggendo completamente la gamba destra del costrutto e danneggiando severamente la sinistra. Quasi contemporaneamente due figure evanescenti lo circondarono, attaccandolo al capo e impedendogli di recuperare il proprio equilibrio o rialzarsi, e costringendolo ad agitare le proprie goffe mani intorno a sé senza risultato. Elias avrebbe sorriso soddisfatto del risultato ottenuto dalle sue evocazioni.
Fu Dalys, tuttavia, a dare il colpo di grazia al Golem: le fiamme generate dalla protettrice dell'oriente investirono il costrutto senza pietà, divorando il metallo e spezzandolo sotto la forza del calore, annerendo la creatura e abbattendola al suolo con tanta violenza da far tremare la terra. Purtroppo, però, altri golem stavano flagellando il campo di battaglia.

Il secondo Golem reagì in maniera analoga al primo quando la sua arma si schiantò su un muro composto completamente di ghiaccio: una visione alquanto strana proprio lì, al centro di un torrido deserto. Fu ancora più sorpreso, tuttavia, quando da qualche punto indistinto in mezzo a quella massa di omuncoli provenne l'emanazione gelida di Leona: un fendente di gelida energia azzurrina che lo colpì al centro del busto, facendogli perdere l'equilibrio e costringendolo a poggiarsi su una delle sue ginocchia.
Illorium e Motoko lo attaccarono quindi quasi contemporaneamente. Il primo si lanciò sulla gamba che ancora lo teneva in piedi, bersagliandola con tutto ciò che aveva a disposizione: la colpì prima con la propria lama, forte di un'accuratezza invidiabile, e in seguito con i propri artigli, aggravando i danni provocati già in precedenza. Fu Motoko, tuttavia, ad abbatterlo. Come una furia la ragazzina si lanciò urlante su di lui, spingendolo con tale forza da sbilanciare quella gigantesca massa di ferro: i colpi al fianco l'avevano già quasi completamente distrutto quando la Aoyama, non contenta, affondò ancora con la propria spada verso lo sterno del costrutto, con una forza tale da scaraventarlo in terra. Il torso del Golem venne pressoché diviso in due e la sua "vita" si spense in quello stesso istante.

Il terzo Golem fu ingaggiato da un numero inferiore di avversari, ma non per questo meno pericolosi. Zaide e Rekla combattevano animati da motivazioni ben più profonde di quelle di qualsiasi altro soldato e non erano disposte a cedere alcun passo al proprio nemico: quel costrutto incarnava tutto ciò che avevano respinto fino a quel momento nel Deserto dei See e sarebbe stato un ottimo fantoccio su cui fare pratica fino al giorno in cui non avrebbero potuto stringere le proprie dita sulla gola di Razelan Vaash.
Le armi degli Shadar-Kai si abbatterono sul corpo del Golem come una violenta tempesta di ferro scuro, animate dalle arti stregonesche delle Donna Rossa e potenziate dall'aura malefica della Nera Regina. Nonostante la violenza con cui venne flagellato il corpo della creatura, però, quest'ultima parve quasi non reagire, abbandonandosi sulle ginocchia e alzando le mani verso le crepe nella sua armatura, come a volerci mettere una toppa. Un gesto che compì con debolezza sempre crescente, fino a quando l'energie non le mancarono del tutto.
Il golem si spense così, sulle ginocchia. Il capo abbassato come in un gesto di pentimento e le mani sollevate verso i suoi nemici.

La sconfitta dei tre golem portò nuovo coraggio ai pelleverde e agli uomini che stavano assistendo ai tre combattimenti: i cori di battaglia aumentarono di volume e ben presto giganti e soldati iniziarono a combattere ad armi pari con i rimanenti costrutti, riprendendosi e sfogando la propria tensione contro il metallo di Golem, Eidolon e Shadar-Kai.
Fu in quell'istante che iniziarono a sentire il battito.

tum
.


Prima basso, come una sensazione. Il suono di un cuore che batteva nel sottosuolo.

tum
.


Poi sempre più alto, fino a coprire i suoni della battaglia. Il clangore delle armi lasciò il posto alla paranoia e il fragore della tempesta di sabbia ad un silenzio sordo.

tum
.


Il battito di un cuore debole; lento; soffocato. Eppure tutti gli altri suoni iniziarono a sparire lentamente, solo per lasciare spazio a quest'ultimo.
Dopodiché Rekla, Zaide;
Illorium, Leona, Motoko;
Caino, Elias e Dalys;
vennero tutti colpiti da una fugace visione.
L'immagine di un uomo ammantato di rosso seduto su un trono di pietra bianca, col viso nascosto nelle tenebre -
- che li osservava crudelmente; con severità.

Tanto sarebbe bastato per distrarli, e una distrazione avrebbe potuto essere fatale, nel corso di quella battaglia.

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« Io... non capisco. »
« Che cosa, Raymond? »
« Nello Stern... noi ti avevamo... »
« ...lasciato a marcire. »

Raymond non aveva abbandonato la presa su Razelan; anzi, mentre Martin lo conduceva all'interno della sala con il fuoco, aveva premuto con ancora più forza la lama sulla gola del Vaash, fino a farla sanguinare.
Cosa ci faceva fratello Martin lì? Qual'era il suo ruolo in tutto quello che stava accadendo loro, e come erano collegati gli eventi di quei mesi a ciò che aveva compiuto nello Stern?
Davanti all'apparizione di quel viso conosciuto, innumerevoli domande iniziarono ad affollarsi nella mente di Raymond, confondendolo e impedendogli di formularne persino una. Si limitò a seguire il Corvo eretico balbettando le proprie questioni, attendendo una spiegazione che tardava ad arrivare.

« Devi comprendere, Raymond, che il Padre di Ferro non è perfetto: egli è fallace come tutti noi. In quel tempo mi aveva guidato nello Stern convinto che la mia sola influenza sarebbe bastata a portare a compimento i suoi piani, ma era ovvio che sbagliava. L'influenza dei Corvi era troppo forte così vicino a Basiledra e la mia voce fu velocemente taciuta; tu poi intervenisti a sopprimere i miei piani ulteriori, impedendomi di realizzare ciò per cui mi ero mosso. »
Sorrise con genuinità.
« Ma ai tempi non ero che uno sciocco: l'influenza del Padre di Ferro in me non era che una misera sensazione; un'idea che ero ancora incapace di comprendere. Quando l'ho vista ed accettata, tutto è stato più semplice: dovrei quasi ringraziarti per avermi permesso di entrare in stretto contatto con lui, quando mi ha rimproverato per il mio fallimento. »
Fece un ampio gesto con la mano, indicando le altre figure intorno al fuoco.
« Evaso da quella prigione ho trovato altri che la pensavano come me, o che erano stati toccati dal Padre di Ferro. ...non è stato difficile come potresti credere; come non è stato difficile condurli qui, dove lui voleva che venissimo, né metterci in contatto con Razelan Vaash. Abbiamo fatto sì che il Padre di Ferro toccasse anche lui, inviandogli sogni e premonizioni di un futuro glorioso se si fosse convertito alla nostra fede, e abbiamo poi indottrinato i suoi uomini - gli Shadar-Kai - ma anche i Rooi Valke e chiunque fosse così sciocco da decidere di lavorare per lui, spinto dall'oro o meno. ...l'Ala Bianca si è colorata del Rosso dei loro nomi e delle loro vesti, ed è così che siamo diventati ciò che siamo ora. »

Raymond deglutì sonoramente. Sentì le labbra secche appiccicarglisi insieme mentre cercava le parole per ciò che voleva domandare.
« Quindi voi siete tutti...? »

« Corvi? Sì, Raymond. Streghe era il nome con cui era solito chiamarci il tuo ostaggio, troppo paranoico e spaventato per presentarci con il nostro vero appellativo. Corvi che hanno visto dove il culto di Basiledra sbagliava, e che hanno assaggiato la verità. »
Martin assunse un'espressione incredibilmente seria, nel pronunciare le successive parole, quasi di rimprovero.
« La vostra cattedrale... le vostre chiese, funzioni... non sono che mezzi per detenere il potere politico nel regno alle spalle del Falso Re Sennar Sigvhat! Solamente noi, che veniamo chiamati eretici, abbiamo il diritto di definirci la voce del Sovrano! Ma è ovvio che se accettassero le nostre predicazioni i nostri ex compagni di Basiledra perderebbero tutto il loro potere, e dunque ci hanno allontanato, impauriti dalle nostre parole e incapaci di comprendere! »
Riprese velocemente un tono calmo, riassettandosi le vesti e tossendo per ricomporre la propria voce.
« La guerra è la soluzione più semplice. Ed è la soluzione che desidera anche il Padre di Ferro. »

« Perché mi dici tutto questo? »

Martin poggiò una mano sulla spalla del Lancaster e quest'ultimo quasi sussultò a quell'incomprensibile gesto di comprensione.
« Ma Raymond, non è ovvio? Poiché tu credi! » continuò con gli occhi illuminati dall'emozione « Tu credi nel Sovrano da ben prima che i Corvi si insediassero a Basiledra e iniziassero la loro scalata al potere! Tu puoi comprendere le nostre parole, benché io non sia la persona più adatta ad esprimerle. »

Il Corvo si allontanò quindi da lui e gli mostrò una porta in lontananza, che prima non aveva notato poiché nascosta dalla penombra: era un gigantesco cancello di ferro, in quell'istante semichiuso. Dall'interno sembrava provenire un'oscurità quasi viva, che si allungava verso il fuoco al centro della sala come se potesse spegnerlo da un momento all'altro.

« Devi vedere con i tuoi occhi. Solo il Padre di Ferro potrà convincerti del tutto. »

Il Lancaster deglutì per una seconda volta.
« Dunque questo Padre di Ferro... esiste? »

Martin gli sorrise con scherno, ridendo della sua ingenuità.
« Oh Raymond... »

« ...possibile che tu non abbia ancora capito chi si celi dietro a quella porta? »

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« i have to thank you, Raymond Lancaster. »
« Se tu non avessi creduto così ferventemente nel tuo Dio, rinnegando la possibilità di essere stato influenzato; »
« se tu non avessi avuto così tanta fede, ignorando i sogni che ti inviavo; »
« oggi non avresti condotto qui tutti i miei nemici, stipandoli insieme nello stesso punto »
« perché io possa schiacciarli in un unico istante. »



CITAZIONE
Se non sapete chi sia fratello Martin, correte a leggervi la quest "King's Doawn ~ nello Stern" o altrimenti accontentatevi di questo riassunto:

dal diario di Raymond Lancaster: Sono stato incaricato dai Corvi stessi di indagare su alcuni omicidi che stanno avvenendo nello Stern in circostanze misteriose: le vittime sembrano collegate, ma le guardie cittadine brancolano nel buio. Mi sono unito a tre compagni e abbiamo iniziato ad ispezionare la zona del villaggio di Vene Nere, incappando per altro in un assassinio a pochi minuti dal nostro arrivo. La mia indagine è durata poco, però: in breve sono stato circondato dalle guardie cittadine che ho scoperto facenti parti di un complotto instaurato in tutta Vene Nere: mi hanno rinchiuso nella miniera d'argento, che è anche utilizzata come prigione. Lì ho incontrato fratello Martin per la prima volta: un Corvo eretico a capo dell'organizzazione "Ala Bianca", colpevole dell'organizzazione degli omicidi. Martin pareva convinto che Sennar Sighvat non fosse il legittimo Leviatano e si sentiva tradito dai suoi confratelli; così aveva organizzato quel complotto. I miei compagni mi hanno raggiunto qualche giorno dopo, seppur ciascuno di loro in maniera differente, e siamo riusciti a lasciare Vene Nere distruggendo l'organizzazione, ma lasciando Martin in vita. Al mio ritorno a Basiledra mi è stato assegnato l'incarico di reggente dell'ovest e primo comandante della schiera del Drago Nero. Che il Sovrano mi aiuti...

Nel vostro prossimo post, come si evince da questo, tutti i vostri personaggi verranno colpiti da una visione nel corso della battaglia: inizialmente perderanno il senso dell'udito e smetteranno di sentire tutti i suoi intorno a loro, tranne il battito di un cuore debole provenire dal sottosuolo, che finirà con l'assordarli. Dopodiché si vedranno innanzi ad un uomo seduto su un trono, seminascosto nell'oscurità. Tutto ciò avverrà in pochi secondi e non provocherà alcun danno alle vostre menti ma sia chiaro... siete nel mezzo di una battaglia. Di conseguenza mi aspetto che non rimaniate indenni da una simile manifestazione e che alcuni nemici - vedendovi immobili - se ne approfittino.
In poche parole nel prossimo post dovrete descrivere le reazioni dei vostri pg alla visione e ciò che vi succede nel frattempo. Niente di troppo complesso; è un giro molto semplice rispetto ai precedenti; di conseguenza avete ancora soltanto cinque giorni per postare :sisi:

Vorrei sottolineare che ho apprezzato moltissimo la vostra presenza nell'ultimo giro di post, e che vi ho ricompensato con delle belle descrizioni personalizzate su ciò che accade a ciascuno dei vostri Golem; spero che apprezziate X'D

Enjoy :DD


Edited by Ray~ - 11/5/2013, 19:49
 
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Stella Alpina
view post Posted on 13/5/2013, 16:52




Sandstorm; getye

-Incubo ad occhi aperti-











Deserto dei See, tomba della Chimera



Un moto di orgoglio strinse il petto di Elias nel vedere il golem crollare a terra per l'intervento delle sue creature. Le grida di gioia degli Shadar-Kai che accolsero l'arrivo dei golem, si trasformavano ora in grida di disperazione. L'esercito verde riprese coraggio e si ributtò nella mischia. Dove prima vi erano buchi nello schieramento per gli uomini in fuga, ora vi erano nuovo vigore e voglia di uccidere. Un sorriso si dipinse sul volto del negromante quando una fiammata incenerì il golem facendolo crollare a terra con uno schianto secco.
Cotto a puntino.
Il calore del fuoco arrivò fino a lui riscaldandogli il viso coperto dal tessuto.
In quell'istante tutto gli sembrò andare per il verso giusto. Il fuoco gli ricordava i falò accesi nella notte con il fratello, il freddo scacciato dalle loro membra e le storie inventate di battaglie enormi con creature fantastiche ed eroi coraggiosi.
Ed ora eccolo lì a rivivere tutto questo, ed il fratello... il fratello non c'era. I rumori della battaglia cominciarono a scemare lasciando spazio ai ricordi malinconici e ad un ritmico e profondo battere.
Tum.
Il suo cuore si faceva sentire, quasi a giurare di essere ancora lì.
Intorno a lui i soldati di uno schieramento e dell'altro si scontravano senza sosta. Grida sofferenti, urla disperate, schianti di spade e scudi, ossa che si rompevano, budella che si riversavano sul terreno, tutto questo non produceva più alcun rumore.
Tum.
Elias si sentiva come in una boccia d'acqua, con un vetro a separarlo da quegli eventi che erano così vicini e al tempo stesso così lontani.
Il suo cuore batteva forte, senza sosta.
Tum.
Non era il suo cuore! Era qualcos'altro, non proveniva dal suo petto ma da un posto indefinito sotto di lui, nel sottosuolo. Elias cominciò ad agitarsi, c'era qualcosa che non quadrava.
Tum.
Un orco probabilmente si accorse del suo disagio e prese a corrergli incontro.
Lo stava per aiutare, aveva capito che aveva bisogno di essere portato in salvo.
Il pelleverde alzò la spada. Che stava facendo? Poi Elias si ricordò di avere ancora l'aspetto di uno Shadar-Kai.
Tum.
Il battito era sempre più assordante, non c'era altro che quel frastuono.
Elias urlò più che poté quando la spada dell'orco lasciò un taglio sul suo petto ma nessun suono sembrò uscire dalla sua bocca.
Cadde a terra tenendosi la ferita, gli occhi corsero a controllare il taglio, non era troppo profondo.
Tum.
Degli Shadar-Kai abbatterono l'orco prima che ponesse fine alla sua vita. Elias sentì delle braccia trascinarlo lontano dalla battaglia, qualcuno lo metteva in salvo.
Tirò indietro la testa e fissò degli occhi completamente neri, di un nero che prese il sopravvento su tutto, calando un velo sul campo di battaglia.
Tum.
Tutto buio, tranne un solo piccolo particolare: nella semioscurità restava immobile un uomo, seduto su un trono. Elias scosse la testa cercando di scacciare quell'immagine. La ferita sul petto bruciava, i suoi occhi lacrimavano, le sue membra tremavano, la sua testa non ragionava più. Lasciò che quella visione mostrasse ciò che doveva, lasciò che il buio dilagasse. Chiuse gli occhi e attese.
Tum.






Riassunto Tecnico

Energia rimasta: 56%
Energia consumata:0%
Stato Fisico: Taglio di entità media al petto.
Stato Mentale: Frastornato.
CS: 1 CS all'Intelligenza.
Consumi: Basso 6% ~ Medio 11% ~ Alto 22% ~ Critico 44%

Abilità passive

Controllo energetico ~ Raggiunto il 10% delle energie infatti, un uomo non sverrà, come invece potrebbe succedere a qualsiasi altro membro di un'altra razza. Ciò però non significa che non sarà stanco raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%.

Passiva Dominio I ~ All'inizio del percorso negromantico, evocare una creatura può sembrare estremamente complesso e dispendioso in termini di tempo, ma con la pratica si può arrivare ad evocare anche più creature contemporaneamente e lo si può fare istantaneamente, senza neanche troppa concentrazione. Questo a patto che tu abbia raggiunto il livello di pratica adatto allo scopo.

L'arte del sotterfugio ~ Possibilità di utilizzare tecniche della classe Ninja.
 
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view post Posted on 13/5/2013, 21:30
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Il cuore è una voce che parte dal petto.
Si innalza, come una coscienza subdola ed inconscia, oltre il corpo di un uomo e ne infligge penitenze ed emozioni, che più di ogni altra cosa egli è condannato a subire.
Il cuore lo avverte, Caino, ogni volta che invoca il nome del suo dio. Lo annuncia come un inno alle muse, cercando di trovarvi l'ispirazione necessaria a condurre le proprie gesta; talvolta, però, non trova altro che un vuoto abisso, ovvero una voragine di nulla nella quale egli stesso sprofonda, insieme alle proprie convinzioni e virtù.
Ed al vuoto del proprio animo risponde con la crudezza delle proprie necessità. Sorride, o irride, le proprie mancanze con la schiettezza del proprio cinismo.
Non sarebbe lui altrimenti. E non lo sarebbe nemmeno il suo credo.

Allo stesso modo, col vuoto nel petto, trascinava per il braccio il guerriero riluttante.
Lo sentiva lamentarsi, tradire la propria debolezza nel braccio floscio che strisciava la spada lungo il terreno. L'occhio tremava alla visione dei golem che si danno battaglia, o delle carni dei viventi che cacciavano i propri simili, bagnandosi di lacrime, sangue e budella. In questo genocidio di emozioni, Salhzar esitava come un cane bastonato che non disdegna di esser tale, implorando il suo padrone di non dannarlo oltre.
« Lasciami » disse, liberandosi dalla stretta del proprie « lasciami stare, maledetto! »
Fece un passo indietro, fissando l'orizzonte alle sue spalle. La strada, però, si era chiusa su se stessa ed altrettanti golem o pelleverde ormai chiudevano a cerchio ogni via di fuga. Proseguire o fuggire, non avrebbe fatto alcuna differenza: avrebbe comunque dovuto aprirsi la via combattendo. « Rendi gloria alle virtù che decanti - per una volta » il Priore lo ammonì con schiettezza, sottolineando tutte le sue mancanze. « Quante volte sei già morto, fino ad oggi? » proseguì, indicandogli le mani « ...hai decantato le tue virtù di guerriero, ma la tua spada si è bagnata solo di deboli ed indifesi. »
Lui si fermò, indeciso sul da farsi. « Sono stato un codardo; ma almeno sono rimasto vivo fino ad oggi. »
« ...che senso ha morire qui, in una guerra che non mi appartiene? »

« Il tuo onore non ti appartiene, forse? »
Il giudizio del Corvo fu tanto vero, quanto violento. « Ogni passo indietro, ogni gesto infame ti ha fatto morire, fino ad oggi. »
Poi aggiunse, ancor più severo. « Puoi ancora decidere se morire ancora, vivendo da codardo o essere un eroe, morendo con onore. »
Salhar si fissò le mani sporche di terra. Il sangue umido aveva reso il terreno simile ad un fango pastoso e la sua pelle si era colorata dell'oscurità di quella mistura. Uno strato di vergogna che gli si appiccicava indosso e si induriva come creta, simboleggiando l'anonimato di una creatura del nulla che, accovacciata al suolo, si lasciava andare nella vergogna, mentre - attorno a se - centinaia di anime affidavano la propria vita ciascuna al proprio dio.
« Tanto oggi morirai comunque; sta a te decidere come »

Salhzar si levò piano, puntando la spada al suolo ed aiutandosi con essa.
I suoi occhi brillarono e Caino vide lo strato di terra scivolare via dal suo corpo; lo vide sbocciare in un rinnovato coraggio, pregno di una decisione che - forse - per la prima volta interessava il suo spirito. Eppure il Priore si convinceva di aver incoraggiato un uomo per suo semplice tornaconto. Una guardia del corpo, uno sgherro levato dal niente ed asservito a se con i principi del Sovrano. Un risuonare di belle parole che avevano indotto la più ovvia delle costrizioni: dare a qualcuno una ragione per morire. Una ragione valida che, in qualche modo, facesse leva sulle necessità sue proprie. Uno strumentale ritorno del coraggio, richiamato a se con la beltà delle sane virtù.
Quanto di più meschino potesse fare e, allo stesso tempo, nient'altro che un inganno con cui riempire il vuoto del suo cuore.
Nient'altro che questo.

Un battito.
Forse; ma forse no. Un altro battito.
Nell'istante in cui svendeva il coraggio di quell'uomo, infatti, Caino avvertì un cuore battere distintamente. Prese ritmicamente ad inneggiare una presenza che credeva impossibile da percepire e, per qualche istante, si convinse davvero che fosse il suo, o quello del mercenario accanto a se. Poi lo udì ancor più distintamente: lontano e pulsante. Un cuore che prendeva vita e che, in qualche modo, sottolineava la cadenza con cui il coraggio di Salhar prendeva vigore, avvicinandosi al Priore.
Ancora un battito. In qualche modo un ritmico sottolineare dell'inganno in cui era scaduto.

« Conducimi alla gloria, dunque » disse, con un filo di voce.
Il Priore si stranì, mentre il battito crescente sovrastava la sua voce, sussurrandogli al contempo l'empietà della vita che si stava prendendo.
« Ehi amico, che diavolo ti pren---? »

Poi, fu il silenzio; udiva nient'altro che se stesso. Caino avvertiva il suo respiro come un richiamo inconscio della sua esistenza di vita. Forse un ritorno di coscienza o un vuoto nel cuore che riprendeva vita e - in qualche modo - lo giudicava per quello che era. Un'amenità senza ritegno, che induceva alla morte un povero sventurato.
Infine, gli fu sottratta anche la vista. Il buio dominò lo sfondo, ove poco prima v'era la guerra. Un regno di sangue divenne un regno di nulla; l'unica certezza che avvertì fu l'immagine di un seggio levigato di pietra bianca. Ed un uomo, eretto come un dominatore sul trono impavido, lo giudicava col volto nascosto dalle ombre.
Ammantato di rosso, lo fissava con vergogna. Ed imponeva su di lui uno sguardo crudele ed impietoso.
Uno sguardo, però, che Caino immaginò soltanto, non potendolo vedere.

E, per la prima volta, il Priore avvertì un tremito.
Alcuni l'avrebbero chiamata paura.

Quando la vista gli tornò, Caino avvertì il dolore prima ancora del resto.
Innanzi ai suoi occhi, quel mercenario spaventato era divenuto un martire. Salhzar era coperto di sangue, pieno di tagli e lacerazioni. La gamba destra era ormai ridotta ad un feticcio di carne senza vita e lui si reggeva a malapena sulla spada, che teneva sotto l'ascella come una stampella. Nel mentre, carcasse di creature deformate dalla battaglia giacevano ai suoi piedi ed il suo volto, coperto di sangue, si contraeva a più riprese in una smorfia simile ad un sorriso. Dal canto suo, Caino non se la passava meglio: la sua tunica era strappata in più punti e diverse lacerazioni interessavano le sue braccia, all'altezza delle spalle e della gamba sinistra.
Se era ancora tutto intero, però, lo doveva a Salhzar ed al coraggio che gli aveva imposto poco prima.

Il mercenario lo vide ridestarsi e, quasi rasserenato, l'omaggiò con una risata.
« Il mio destino, dunque, è salvarti la pelle mentre tu ti caghi sotto? » disse, scherzando.
Il suo vigore, però, si reggeva a malapena, proprio come il suo corpo su quella tremula gamba improvvisata. Quando il suolo vibrò ancora, lo sforzo di rimanere eretto cedette sotto il peso delle ferite ed il guerriero ricadde su se stesso, non differente dalle carcasse che aveva sferzato fino a qualche momento prima. Un golem di ferro si avvicinò ai due con ampie falcate, facendo sussultare il terreno ad ogni passo. Giunto in prossimità di Salhzar, si fermò a fissarlo qualche istante.
Caino lo guardò a sua volta. No sussurrò tra i denti.
Ma, per qualche ragione, la voce non fece in tempo ad uscire.

Il piede di metallo si addossò sul corpo inerme del soldato, schiacciandolo come un insetto.
Salhzar urlò a squarciagola, mentre il sangue riempiva la sua gola, fin quasi a strozzarlo. Il costrutto, poi, avvolse la mano intorno al collo di Caino e lo tirò su come un fuscello, portandoselo all'altezza del volto. Il Priore gli restituì lo sguardo, benché contorto per il dolore. E, con gli occhi semi chiusi dallo sforzo, riuscì comunque a riconoscerlo: era il golem che aveva controllato poco prima. Era danneggiato in più punti; malfermo, con pezzi di metallo che si staccavano distintamente dal corpo centrale. Inoltre, avanzava ad un passo cadenzato, più incerto di quanto fosse prima. Aveva assaporato le asperità della guerra. Loro malgrado, però, non aveva carne che soffrisse il dolore, ne sangue che potesse appannargli la vista. Quando Caino poté scrutarlo attentamente, quasi ebbe a sorridere, immaginandosi i pensieri di quell'essere.
Semmai ne avesse avuti.

Come hai osato.
Avrebbe inveito contro di lui. Come hai potuto distogliermi dal mio dio?
Quello stesso dio che gli aveva imposto la volontà, infatti, l'aveva persa per qualche istante. E Caino era divenuto più forte, più potente di esso, salvo spaventarsi per una visione temporanea. Per un sogno dettato dalla sua coscienza o dai suoi rimorsi. No, non poteva essere così.
Il Priore non poteva avere paura di una mera superstizione. Al primo timore, infatti, qualcuno era morto.
Era morto per lui.

« Nessuno può toccarci »
disse, sussurrando lentamente le parole. « Nessuno tocca Caino! »
Sbarrò gli occhi: le pupille brillarono e, d'un tratto, un impeto di vento si concentrò in quel punto.
Una raffica indomita si sollevò dalle spalle del Priore, tanto violenta e poderosa da sbalzar via il braccio del costrutto che, a sua volta, si sbilanciò leggermente indietro.
Il Corvo si liberò dalla presa, rimanendo sospeso qualche istante, col volto del golem innanzi al suo. Lo fissò ancora una volta, con cordoglio.
Una vendetta, avrebbero detto - probabilmente. Eppure, una vendetta per se stesso e nessun'altro, sarebbe stata.
La mano del Priore scivolò all'altezza del collo di metallo come vento tra le fronde, tagliando di netto la testa dell'essere, già provato dalla battaglia.

Il metallo ricadde in decine di pezzi sul suolo della battaglia.
Caino si ridestò, avvicinandosi a Salhzar; nonostante le ferite, il mercenario viveva ancora.
« Mi ricorderai nei libri che scriverai di questa giornata... » chiese, quasi con apprensione « ...avrò l'onore che merito? »
Il Priore vibrò ancora, memore di quanto quell'uomo potesse aver visto. L'aveva scrutato impaurito, chiuso in un sogno che l'aveva scosso al punto da spaventarlo.
Era l'unico che l'avesse mai visto timorato di qualcosa.
« Parlerò di te, se ti è di consolazione... » gli rispose, con tono greve « ...dirò che non sei morto da codardo. »
« Considerate le circostanze, è molto più di quanto meriti... » aggiunse, allontanandosi da lui.
Quando poi la battaglia ancora l'avvolgeva, il Corvo fissò l'orizzonte oscuro. Scrutò la propria meta e si rese conto di quanto fosse oscura, adesso.
« Raymond...! Dove sei, dannato...?! » disse, urlando contro il vento.



CS: 6 (2 alla Potenza Fisica; 2 alla Velocità; 2 alla Intelligenza) +2 passiva
Energia: 74% - 5 - 13 = 56%
Status fisico/mentale: lacerazioni in più parti del corpo (danno totale alto)/illeso

Passive:
Lo Strumento: Passiva razziale umana, non sviene sotto il 10%, ma si stanca comunque sotto il 20%; Passiva di Primo Livello del dominio Vampirismo, le mani contano come armi naturali, essendo la pelle dura come il ferro e le unghie taglienti come lame, al pari di artigli di stessa fattura; Passiva di Secondo Livello del dominio Vampirismo, benché disturbato dalla luce intensa, i suoi occhi gli permettono di vedere attraverso il buio ed attraverso qualunque ostacolo atto ad ostacolargli la visuale; Passiva di Terzo Livello del dominio Vampirismo, Caino può essere ucciso soltanto qualora gli vengano strappati gli occhi, in quanto non avrebbe più modo di nutrirsi.
Il Potere Passiva Personale (1/10), Caino è in grado di assorbire l'anima dei suoi nemici gradualmente, tanto che la sua semplice vicinanza indurrà nella vittima un'afflizione fisica crescente che gli causerà un senso di stanchezza e rallentamento dei riflessi sempre maggiore al prolungarsi della vicinanza stessa; Passiva Personale (2/10), ogni qual volta Caino contrasta una tecnica avversaria di qualunque tipo ed in qualunque modo, parandone una di natura fisica, annullando una magica o evitando una psionica, guadagna 2 CS alla Potenza Fisica temporanei, fino alla fine del turno, non cumulabili; Bracciale dell'Auspex, Auspex passivo che permette a Caino di individuare qualunque creatura intorno a se.
Il Tempio Passiva personale (5/10), Caino è proprietario dell'Abbazia di Acque Perdute e, come tale, si considera a conoscenza di tutti i tomi in essa contenuti, risultando - in gdr - erudito su gran parte della letteratura, della scienza e della storia contemporanea;
Sii solamente una voce e tralascia i tuoi desideri quando indossa la maschera Caino sarà per ogni suo interlocutore un semplice Corvo, non potendo nessuno riconoscerlo come Ludwig Lestat Lucavi, se non lui stesso (Abilità passiva);
Racconta soltanto la verità e rifuggi gli inganni Caino è in grado di riconoscere le bugie quando indossa la maschera, pur senza comprenderne i dettagli ma la sola esistenza;

Attive:

CITAZIONE
La cura Curerai i mali della gente, eliminando il primo di essi: la resistenza critica verso la nuova dottrina. Qualunque cosa accada, infatti, il primo passo per la comprensione del dogma è difendersi dalla diffidenza dei tuoi simili. Loro non ti comprenderanno: il male di cui il mondo ha riempito i loro occhi, le ignominie delle genti e le false dottrine avranno rafforzato il dispregio per tutto quello che dirai. Dovrai profonderti, pertanto, per ammaliare il loro cuore, di modo da rompere le barriere dell'indifferenza. Inizialmente ti sarà sufficiente un dispendio Basso di energie, per infondere fiducia: chi ti ascolterà così potrà vederti come un amico, seguirti lontano dal pericolo e affidarsi alle tue parole. Poi, potrai proseguire nella tua predica con maggior vigore e maggior successo: sarà sufficiente un dispendio Medio di energie, infatti, perché la semplice simpatia ed affinità per le parole si tramuti in un'attrazione naturale verso il credo che, per il suo bene, proverai ad inculcare nel tuo ascoltatore. Infine, un ultimo, benché costoso, dispendio di energie Alto potrà trasformare l'attrazione in un legame profondo, molto vicino all'amore, che concilierà il tuo ascoltatore col tuo animo e gli permetterà di aprirsi a tutti i dogmi successivi. L'ardore, però, andrà coltivato con passione e costanza: se saprai infondervi tutta la lucentezza che il Sovrano ti avrà donato, potrai anche far durare il legame a lungo, fino a renderlo quasi eterno. [Attiva di primo, secondo e terzo livello del dominio Vampirismo; Personale Passiva (4/10) di potenziamento dell'attiva di terzo livello del dominio Vampirismo]

CITAZIONE
La volontà Qualora, infine, la volontà del tuo nemico non si arrenda nemmeno a questa evidente manifestazione di benedizione con la quale il Sovrano ti proteggerà, ti basterà compiere un terzo e più veemente gesto con le mani, oltre che spendere un consumo energetico pari ad Alto, perché all'impunito sia inflitta l'ultima pesante condanna: la corrente crescerà di potenza in un istante, ingenerandosi in un vorticoso sferzare tanto violento da spostare di peso qualunque creatura di stazza umanoide. La vittima verrà sollevata per un breve tratto, giungendo per pochi istanti più vicino al Sovrano e ricadendo, successivamente, di peso verso il terreno, subendo un danno di entità pari al consumo quale pena per la sua collera. In questo modo l'ignorante non potrà far altro che cambiare la propria volontà, rimettendola nelle mani dell'unico dio esistente e della cui potenza si sarà reso testimone. [Vento Violento (Pergamene Iniziali da Druido), consumo Alto]

Riassunto
Durante il dialogo Caino usa l'attiva di secondo livello di vampirismo per indurre coraggio in Salhzar; poi ha la visione, durante la quale il mercenario lo difende e ne limita i danni, perdendo la vita. Infine, Caino si libera con vento violento dalla presa del golem e gli trancia la testa.

Note:
Poco da aggiungere, spero che il post piaccia così come la mia personale interpretazione della scena. Enjoy!
 
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view post Posted on 13/5/2013, 22:13
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Il golem si infranse a terra vomitando fiamme. Ma lei non provò paura, non rabbrividì di terrore. Si piegò invece lievemente sulle ginocchia, sentendosi invadere da un improvviso senso di sollievo. Morto come una bambola inconsapevole, quel viso senza espressione che ormai si scioglieva nel fuoco. E solo lei, sullo sfondo, infinitamente piccola, eppure ancora viva. Le fiamme la lambivano senza riuscire a ferirla. Ruotò su se stessa, pronta a ritornare in battaglia, pronta a lanciare il proprio grido di vittoria. Levò il braccio armato del ventaglio, aprì le labbra prendendo fiato.



tum…



Fece un mezzo passo indietro, come se un punto l’avesse colpita nello stomaco. Il mantello rosso le fluttuò attorno, i nemici le gridarono attorno, i compagni esultarono della loro vittoria, i golem schiantarono le proprie mazze a terra. Ma lei non riuscì a sentirli. Probabilmente aveva gridato, da qualche parte all’esterno di quella stanza vuota che erano le sue orecchie. Ma non si era sentita. Il mondo attorno a lei era improvvisamente diventato quieto.
Sgranò gli occhi. L’unica cosa che aveva sentito era quel battito, come un respiro sopito da tempo che si fosse risvegliato. Le aveva soffiato contro, dentro, rendendola improvvisamente sorda. Boccheggiò, sperando in qualche modo che tutto passasse in fretta. Forse era solo una situazione momentanea, si disse. Forse al prossimo colpo d’ascia, al prossimo cozzare d’acciaio sullo scudo, si sarebbe spezzato come un brutto sogno.



TuM…



Alzò lo sguardo verso l’alto, per poi calarlo alle proprie spalle. Si sentiva inquieta, braccata, eppure nessuno attorno a lei pareva averla presa di mira. Iniziò a camminare senza meta, senza sapere, senza poter capire. Il campo di battaglia sembrava un teatro congelato, un’illusione imperfetta, una piazza piena di bambole di pezza. Le pareva che, se solo avesse teso la mano, avrebbe potuto strappare la pergamena e rompere le quinte di quello spettacolo da quattro soldi. Se non fosse stato per quel battito, ora più intenso, che le aveva martellato nella gola. L’unica cosa che fosse stata capace di percepire. Veniva da qualche parte lì attorno, e lei doveva trovarlo. Era come il corno del cacciatore nella foresta, come il richiamo che sveglia la tigre nel sonno e la induce a fuggire o combattere.



TUM…



Aprì il ventaglio, facendolo ruotare attorno, certa che qualcuno l’avesse colpita con un incantesimo. Impotente, la lama tagliò solo l’aria. Il suo sibilo si perse da qualche parte dove gli altri forse l’avrebbero udito. Iniziava ad avere veramente paura. Si sentiva raggelare, temeva di essere stata tagliata fuori per sempre. Si passò una mano contro l’orecchio, graffiando con forza il lobo, cercando qualche materia che potesse averlo chiuso.



Dove sei, bastardo, eh? Ti piace fare lo spiritoso? DOVE SEI?



Lo chiese, lo urlò, ma non lo sentì realmente. Le sue labbra si mossero, l’aria scivolò sulla lingua e sul palato, morse il proprio disappunto, ma le parole sfuggirono in punta di piedi. Potè solo pensarle. Uno Shadar-kai poco distante si girò verso di lei, sfoderando la spada per fronteggiarla. Forse aveva creduto si rivolgesse a lui. Forse le stava dicendo qualcosa da sotto il cappuccio. Ma lei non lo poteva capire. Forse la implorava di avere pietà, di salvarlo, di fare la pace. Ma lei comunque non avrebbe potuto rispondergli. Allungò il braccio, iniziando a correre verso di lui con la forza della disperazione. Lo avrebbe ucciso, fatto a pezzi, e poi forse tutto sarebbe passato. Aveva voglia di piangere.



T U M …

jpg



E proprio in quel momento, a metà tra un passo e l’altro, fu buio. Ed era in piedi in una stanza vuota, senza pavimento né soffitto, senza luce né alte colonne svettanti. Attorno a lei solo il nulla. Davanti a lei solo un trono e sopra il trono una figura vestita color del sangue. Avrebbe potuto essere un suo sogno, eppure era sicura di essere sveglia. Cercò di girarsi e fuggire, ma una forza inspiegabile la costringeva a guardare. No, non era un suo sogno. Era molto, molto più terribile. Perché, ne era certa, la figura rossa l’aveva notata. Poteva sentire la sua consapevolezza scivolarle addosso, come un’onda rovente. Poteva vedere il suo capo girarsi e guardarla, sorriderle. Lui sapeva chi fosse lei, conosceva il suo nome. Sapeva che amava farsi chiamare Signora d’Oriente, ma che non era altro che una diseredata, costretta a fuggire e danzare per il miglior offerente e a giacere con molti uomini diversi per non dover sprofondare negli abissi del terrore.
Sentiva il suo scherno grondarle lungo il viso come miele appiccicoso, poteva leggere in quell’espressione la certezza di quell’uomo sconosciuto: lei sarebbe morta come l’insetto che era. Di certo questo voleva dire il sorriso.
Si portò le mani agli occhi, cadendo in ginocchio. Ma l’uomo rosso era ancora lì, dietro i palmi, dietro le palpebre, più terribile che mai.
Gridò. Gridò forte, fortissimo, con tutto il fiato che aveva. E il suo grido ruppe il silenzio, l’oscurità, il mantello scarlatto e il suo sorriso. Lo infranse in mille pezzi, spalancandole le orecchie. Spalancando il suo corpo a una scarica di dolore inaspettato. Abbassò lo sguardo, attonita, guardando la ferita che le aveva tagliato il fianco. Toccò con la mano il proprio sangue, stupita, come se non l’avesse mai visto prima.
Lo Shadar-kai di fronte a lei aveva ancora la spada in mano, la punta levata, pronto a sferrare il prossimo colpo. torreggiava su di lei perché, si accorse solo in quel momento, lei era in ginocchio. La sua lama calò verso il basso e lei riuscì appena in tempo ad interporre la propria. La punta le scivolò lungo la guancia, tracciando una linea scarlatta tra l’occhio e l’orecchio.
Come era possibile? Come aveva potuto distrarsi, forse addormentarsi, proprio in quel momento? Facendo forza sulle gambe si spinse in avanti, rotolando sopra il nemico, tagliandogli di netto un polso e mandando le sue stupide dita a rotolare a terra, come inutili insetti. Lo guardò negli occhi, furente. Sentì il suo respiro affrettato, l’alzarsi e abbassarsi del petto che teneva stretto tra le cosce. Vide il suo terrore, che era stato anche quello di lei pochi secondi prima.
Un brivido la percorse di nuovo. Il brivido sorto dal silenzio e culminato nell’uomo rosso. Si alzò e si allontanò lentamente, senza girargli la schiena, come se ogni cosa fosse emanata da quella creatura ferita. Ora tutto pareva tornato alla normalità.
E allora perché aveva tanta paura?



Equipaggiamento: Bloody Maries,(indossate); Leviatano (evocato)
Consumi: Critico x1;
Energia Residua [100% - (29%)] = 71%
*Anello del potere + Risparmio del Dominio
Danni riportati: Qualche leggera contusione per la caduta; Danno Medio al fianco; Danno Basso al viso

Azioni: Presuppongo che lo Shadar-kai non si sia fatto scappare l'occasione per sferrare un buon colpo, magari potenziato (quindi un Medio) e poi ritenti il più possibile di uccidermi (quindi la ferita bassa). Sfrutto anche la differenza di CS per evitare di subire troppi colpi. Non lo uccido, anche perchè non sono sicura di cosa si possa fare o meno in questo turno xD.

Passive in utilizzo




Autocontrollo ~ Al 10% Dalys non sviene

Ammaliamento ~ Risparmio energetico dall'1% al 5% per le tecniche illusorie e aumento di un livello dei loro effetti

Intimità ~ Abilità passiva che induce fascino nell'osservatore

Dominio ~ Equilibrio su qualsiasi superficie

Equilibrio ~ Equilibrio su qualsiasi superficie

Derviscio ~ finchè danza con l'arma in mano non può subire colpi fisici



Attive Utilizzate




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J!mmy
view post Posted on 14/5/2013, 23:35






Così come era venuta, la sabbia svanì.
Si ritrovò a correre nella notte, sola, tra cespugli di more rancide e ruvidi tronchi di antiche querce. Sulla loro corteccia, le venature si annodavano come budelli dipingendo volti ambigui, inquietanti, le cui fauci spalancate parevano lanciarle dietro il loro dolore, la loro angoscia, i loro fallimenti. I raggi della luna, freddi e aguzzi, danzavano sulle increspature dei rami secchi dandole l’impressione che si protendessero verso di lei in un sordo tentativo di agguantarla, farla loro, scorticarle la carne.
Ma Rekla correva, a perdifiato, i polmoni che sembravano scoppiarle, incapaci di racchiudere tutto l’ossigeno che le serviva per continuare a scappare; non da quelle immagini tetre, però, non da quelle grottesche fattezze incavate nel legno, bensì da qualcosa di ancor più cupo, di ancor più oscuro, di ancor più orrendo che tra queste sentiva essere celato.
Tremando, le ginocchia si contrassero per lo sforzo, sfinite, guidando i talloni sull’unico sentiero dell’intera vallata. Un sentiero tortuoso, a tratti ripido e a tratti scosceso, dal terriccio talmente umido da inghiottire interamente il suono dei suoi stessi passi. Dai bordi dilagava, inoltre, la più vasta e fitta foresta che Rekla avesse mai potuto conoscere, così impenetrabile che tra i tronchi degli alberi sarebbe a malapena passato un uomo.
Un uomo, già. Ma di uomini, in quel bosco in mezzo al nulla, non ve n’era neppure l’ombra; non di quelli che ancora respiravano, perlomeno. Lungo il sentiero che si perdeva ben oltre la portata dello sguardo, infatti, macchie di sangue denso si alternavano a cadaveri lividi e tumefatti, cadaveri di individui che mai aveva incontrato in vita sua, cadaveri deturpati e sconvolti in viso ancor più delle facce che non smettevano d’inseguirla. Si chiese chi fossero, o perché avesse l’impressione che stessero parlandole, che stessero tentando di dirle qualcosa, di avvisarla.
Ma avvisarla di cosa? Da chi diavolo stava scappando?
Per un attimo ebbe l’impulso di fermarsi, voltarsi e guardare indietro.
Ma aveva paura, la peggiore che avesse mai provato, quasi come se quel qualcosa la stesse braccando e fosse finalmente riuscito a stanarla. Forse era di questo che volevano parlarle i morti, della creatura che la inseguiva.
Troppo tardi: era lì; da qualche parte, sotto le pietre, tra le rachitiche falangi degli alberi, tra i sussurri e la brezza della notte.
Era lì... lo sentiva, lo respirava!

tum

D’un tratto, tutto tacque.
Sentì solo quel battito, piovere dal cielo nero, raggiungere la terra e incunearsi nel suo stomaco sotto forma di una lontana e travolgente eco. A quel punto, correre non serviva più a niente.
Piantò i piedi nella fanghiglia, scostò i capelli inzuppati di sudore dalla fronte, il petto che si gonfiava e si sgonfiava a intervalli sempre più irregolari, spossato. Guardò indietro, lo fece, annaspando nell’aria satura dell’odore di morte dell’oblio in cui era intrappolata.
Non c’era alcuna via di fuga.
Una volta, una vecchia balia le aveva raccontato che di notte, nei boschi, gli spiriti irrequieti delle persone che avevano conosciuto prendevano vita, si animavano, fluttuavano a mezz’aria sopra l’erba fresca di rugiada e il brusio delle cicale. Lo facevano perché in quel luogo ritrovavano la pace che avevano perduto, una pace che solo ai vivi era dato di godere. Per questo era concesso loro d’indugiare solo pochi istanti, prima di tornare a risplendere alti tra le stelle illuminando la strada di chi ardiva avventurarsi per quelle pacifiche lande selvagge.
Sarà che aveva solo sei anni quando aveva udito quella storia, ma Rekla non colse affatto nulla di pacifico in quello che vedeva adesso; anzi: sa mai qualche spirito a lei familiare avesse fatto ritorno, certo sarebbe stata una qualunque delle sue innumerevoli vittime. Creature che avrebbe fatto meglio a desiderare di non incontrare mai, quindi.

tum

Di nuovo, ma con maggior violenza, il battito esplose nel silenzio.
Un silenzio totale, capace di avvolgere ogni cosa in un’ovattata coltre di torpore e di tramutarla in un fastidioso e penetrante sibilo in fondo all’orecchio. Quel suono fu l’unico che dovette udire per lunghissimi minuti, fino a che il crepitio dei rami che si spezzavano non lo infranse duramente.
Torse il collo a sinistra, lenta. Lo sentì intirizzito e dolorante, ma quando ebbe fatto riuscì a vedere il bosco aprirsi poco alla volta, rapidamente, divellendosi letteralmente a metà. Le querce, che sembravano aver dimorato in quella posizione per eoni, presero ora a sradicarsi una dopo l’altra, precipitando al suolo come immensi giganti privi di vita ed energia. Improvvisamente, tutte quelle facce scolpite sui loro fusti non le fecero più tanta paura.
Erano divenute vittime, proprio come lei.

tum

Quando infine lo vide.
Avvolto nelle tenebre, agghiacciante, bieco, un uomo apparve dal sottobosco, camminando nonostante fosse adagiato su quello che sembrava un trono e non avesse accennato a separarvisi neppure per un momento. Era immobile, eppure si muoveva verso di lei, inarrestabile, ingigantendosi mano a mano che le si avvicinava, mano a mano che quel perduto battito di cuore diventava più forte, sempre più, sempre più, sempre più, sempre più. Prim’ancora che potesse accorgersene, Rekla era già piegata su se stessa con i palmi a premere violentemente sulle orecchie, grondante sangue nero che colava tra le attaccature delle dita e giù fino al suolo, perdendosi nell’oscurità soverchiante della terra.
Ormai era sopra di lei. Sentiva il suo respiro farsi pesante e piombarle nel torace, sentì i suoi occhi trafiggerla nel profondo e raschiare nelle interiora.
Cosa cercava? Cosa cazzo voleva da lei?

tu-tum

« Dimmelo, Rekla » parlò una voce, da qualche parte, spezzando per un attimo il tormento con uno ancor più greve, ancor più opprimente, ancor più soffocante.
Le palpebre, fino ad allora sigillate per lo spasimo, si schiusero appena, il tanto bastante da lanciare una furtiva occhiata al colosso che la sormontava di oltre cinquanta piedi. Benché non riuscisse a distinguerle chiaramente, era certa che le labbra della creatura fossero rimaste immobili come il resto del suo corpo. Sembrava nient’altro che un’immensa effigie, un simulacro fatto di... metallo? Era metallo quello che vedeva?
« Dimmelo che sei la mia puttana. Dimmelo adesso. »
La voce parlò di nuovo, travolgente benché priva di qualsiasi sfumatura.
Esisteva – se di esistenza poteva parlarsi – una sola creatura che osava rivolgersi a lei a quel mondo e provocarle un simile terrore nell’anima, ed anche il solo ringhiarne il nome a denti stretti le fece venire la pelle d’oca sulla schiena: Constatine.
La bile cavalcò furente lungo l’esofago, risalire il palato e poi dritta fino alle tempie. Vene gonfie di rabbia affiorarono dalla pelle bianca e gelida della donna, un pallore che non aveva nulla da invidiare a quello latteo della luna. Ma prima che potesse aprire bocca e rispondere, prima che la collera erompesse in un tripudio d’odio, il cuore invisibile sussultò un’ultima volta.

tuuuum
...
..

Freddo. Tanto, troppo freddo.
Le dita scivolano lungo il pastrano da beduino, tremolanti, incerte, imprecise.
Giungono alle brache, vi trovano uno squarcio irrorato di caldo liquido vermiglio, vi si introducono.
Le ossa sembrano incredibilmente vicine, la gamba è incapace di reagire.
Rekla sente la sabbia arrampicarsi sul suo corpo, coprirlo velocemente, mentre riversa al suolo può solo arrancare alla ricerca della daga.
La vista si annebbia, ma non prima di scorgere un Eidolon osservarla dall’alto, impassibile come la gigantesca ombra dell’incubo.
Anche lui, in verità, le appare ora gigantesco.
In mano stringe un’arma dalla lama ricurva, inzaccherata quasi completamente di sangue e umori.
L'abominio mugugna qualcosa, quindi solleva la spada, pronta a sferrare il colpo ferale.
Poi un urlo, un dardo e lo schiocco inconfutabile della balestra di Nicholas Varry.
L’uomo di ferro cade al suolo, inerme, il capo glabro perforato da parte a parte come burro.
Infine un braccio, accorto e sicuro.
E poi... e poi il fragore della battaglia.
... non poteva esistere suono più dolce.


CITAZIONE
Rekla Estgardel
la Nera Regina
––––––––––––––––––––––
Stato Umano
{ Intelligenza 4 | Forza 1 | Maestria armi da mischia 1 }

––––
« Energie: 55%
« Stato fisico: ferite da taglio lievi e sparse + lacerazione alta da perforazione alla coscia destra.
« Stato mentale: stordimento di media entità.
« Armi: Constantine • riposta; Vesar "Luna dell'inferno" • perduta

Attive...
Nessuna.

... e passive

La connessione tra l'evocatore e il mostro è molto più potente di quella che potrebbe mai avere con qualsiasi altra delle sue creature. Loro sono la stessa cosa, divisasi solamente con l'obiettivo di distruggere il proprio avversario. Per questo, i loro corpi sono legati insieme non solamente dalle mere catene che fuoriescono dal gauntlet. Nel caso in cui Rekla dovesse subire un danno provocato dal proprio avversario (e non autoinflitto tramite tecniche o atti impulsivi) ella potrebbe decidere di suddividere tale ferita e farne subire la metà esatta al proprio colosso, che griderà, alimentando la propria furia. Esemplificando, se Rekla dovesse subire un danno Medio, ella potrebbe decidere di prenderne solamente uno Basso, facendo sì che il mostro, tuttavia, subisca anch'egli un danno Basso. In poche parole, potrà smezzare qualsiasi danno rivolto alla propria persona, purché l'evocazione sia già presente sul campo. Viceversa, potrà anche decidere di suddividere i danni rivolti all'evocazione, subendone la metà, poiché i due non sono che diverse emanazioni dello stesso corpo [Tecnica passiva].

Nel principio, la Riluttanza
Il primo stadio di violenza contrappone il rifiuto della verità al suo viscerale attaccamento alla propria arma, il quale diverrà indissolubile, tanto intenso e profondo da impedire a chiunque di scinderlo. L’arma diviene un ninnolo, un prezioso memento, un tesoro inestimabile per la fanciulla che potrà impiegarlo per evocare istantaneamente l'ombra sotto forma di lorde creature, potenziate di un punto CS addizionale e a un costo energetico ridotto del 5%.


.Voi cittadini mi chiamaste Ciacco: per la dannosa colpa della gola, come tu vedi, alla pioggia mi fiacco.Il peccato di gola coincide con un desiderio d'appagamento immediato del corpo per mezzo di qualche cosa di materiale che provoca compiacimento. É un'irrefrenabilità, un'incapacità di moderarsi nell'assunzione di cibo o, più in generale, nel desiderio incontrollabile di qualcosa che si brama. E' stato proprio per quest'ultima ragione che Rekla ha accresciuto la propria fame nell'ambito della negromanzia, al punto da strappare il sottile velo che separa ciò che è vivo da ciò che è morto. Più precisamente, in termini di gioco, la Nera Regina acquisisce il potere dell'immortalità; questo non significherà che non sentirà la stanchezza o perderà i sensi una volta al di sotto del 10%.

.Or superbite, e via col viso altero, figliuoli d'Eva, e non chinate il volto sì che veggiate il vostro mal sentero. Il superbo è una persona innamorata della propria superiorità, vera o presunta, per la quale si aspetta un riconoscimento. La superbia affonda le sue radici nel profondo dell'uomo, sempre teso alla ricerca e all'affermazione della propria identità. Quest'ultima non è qualcosa che si elabora al proprio interno, ma che ciascuno negozia nel rapporto con gli altri da cui attende, appunto, il riconoscimento. Tale bisogno nell'essere umano è fortissimo: forte al pari di altri bisogni più esistenziali…
Allo stesso modo Rekla è innamorata di sé, della sua sicurezza, del suo corpo. Così facendo, nonostante le origini ancora sconosciute, la giovane insinua in chi le sta accanto non molta fiducia, oserei dire nessuna piuttosto, ed un timore di non poco conto. Tutto ciò, ovviamente, è efficace laddove chi la affianca non sia un demone né possegga un'energia superiore alla sua.

Vizio dell'Animo • честолюбие
Che sia negativa o positiva, l’ambizione - così come la sua assenza - sottende tutte le azioni umane malvagie o meritevoli che siano. L’ambizione sfrenata può portare all’insoddisfazione perenne, a cambiare schizofrenicamente campo di interesse o obiettivo pur di avere una nuova vetta da scalare, mentre un’accezione positiva di questa attitudine psicologica può coincidere con una sana spinta a migliorarsi e non accontentarsi, a superare i propri limiti. Rekla Estgardel è forse l'essere più ingordo e privo di scrupoli del pianeta, pericoloso e raggelante nell'infinita contaminazione della sua mente. E' proprio grazie a quest'incessante bramosia, però, che la Nera Signora è riuscita a cogliere frutti misteriosi ed unici, rari e preziosi come le più pregiate ricchezze del mondo. In termini pratici, ella è in grado di usufruire delle capacità di una seconda classe: il ladro. A tal modo ciò potrà senz'altro spalancare alla regina dei morti molteplici vie ad un'innumerevole quantità di attacchi e strategie, tutte indubbiamente mirate a stroncare sul nascere l'esistenza del malcapitato avversario. (Tomo furtivo)

An endless guard
In breve, il giovane Shiverata apprese l'orrenda verità su chi fossero i nemici e le prede cui il Magus l'aveva destinato. Non ne fu felice. L'anello gli imponeva di cercare e sconfiggere gli emissari dell'Abraxas: lui era costretto a frapporsi fra il mondo umano e l'Ombra, senza poter abbracciare nessuno dei due. Il dono lo condannava ad una guardia senza fine, perché il fiore di ossidiana, quel cuore del fiato di drago, non conosceva scalfiture. Il Maestro l'aveva definito nero come il peccato e resistente come la roccia. Lo era molto di più. Inoltre lo costringeva ad una percezione impossibile da interrompere, gli donava non la visione esatta ma la totale percezione del nemico, della sua presenza. Era orribile -e per questo maledisse il nome del Maestro.
{ Abilità Passiva: L'anello è indistruttibile. ; Abilità Passiva: Auspex sui non-morti, il portatore sarà sempre a conoscenza della loro presenza nei paraggi. }

Note
Il motivo per cui Rekla subisce tutto questo, nonostante Ray avesse specificato che la visione durava solo qualche istante, risiede nel fatto che l'Eidolon di cui si parla alla fine è lo stesso che - approfittando della debolezza di Rekla - le scaglia una psionica di media entità e la colpisce con una sferzata di potenza alta alla coscia destra, costringendola al suolo. La psionica, però, ottiene il devastante risultato di amplificare l'effetto della già potente visione e di scatenare quindi l'intervento del buon vecchio Demone Bastardo. Nell'incubo vissuto, insomma, Rekla patisce simultaneamente tre effetti psionici differenti: uno introspettivo (Constantine), uno narrativo (l'uomo sul trono) e uno strategico (l'Eidolon).
Non l'ho scritto nel post poiché non volevo rovinarne lo stile più di quanto già non abbia fatto.
Spero di non aver esagerato, comunque.


Edited by J!mmy - 15/5/2013, 00:38
 
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Xi.lan
view post Posted on 14/5/2013, 23:38




Third peek: Vision.
La visione.



Finalmente il golem cadde a terra tramite gli attacchi congiunti di tre guerrieri, Illorium compreso. La ragazza poi, con quella spada che riusciva quasi ad eguagliare l’altezza dell’elfo e che riusciva a maneggiare con una maestria davvero invidiabile. Se fosse riuscito ad arrivare vivo alla fine di quella battaglia, avrebbe contattato quella ragazza per chiederle che allenamento avesse seguito per raggiungere quel livello nell’uso delle lame.

Il costrutto con il petto letteralmente diviso a metà spirò e per accompagnare la dipartita dell’anima, sempre se disponesse di una cosa simile ad essa sputò sul corpo. La fatica ormai era prossima al sopraffarlo, non era abituato a battaglie e soprattutto a sforzi tanto intensi, quanto lunghi.

Il cacciatore era solito confrontarsi in duello con un solo avversario per volta, raramente due, ma in quel caso c’era Illain a poterlo aiutare, riportando in equilibrio il confronto. In quel deserto aveva imparato ad uccidere molta gente, con movimenti che gli richiedevano il minor sforzo possibile. Neppure per un secondo l’elfo arrivò a credere di essere più forte di tutte quelle persone, semplicemente ogni singola volta c’era stato un elemento, per quanto potesse sembrare irrilevante, che lo aveva aiutato nel finire rapidamente il suo nemico.

Purtroppo l’assalto del colosso riportò praticamente in parità il bilancio fra le forze occupate ad assaltare la costruzione e quelle impiegate a difenderla. Avrebbero dovuto riprendere a continuare l’attacco, mentre Illorium sperò per un singolo istante che i difensori potessero arrendersi e rendegli la vita più facile. Mormorando qualcosa riguardo il fatto che la vita fosse qualcosa di estremamente crudele si rialzò, ma notò immediatamente che qualcosa non stava andando per il verso giusto.

Tum.
Tum tum.
Blackfang allo schioccare più volte le proprie dita senza poter sentire il suono generato dalle stesse capì che definitivamente c’era qualcosa di storto in quella storia, ma prima che potesse formulare ulteriori pensieri anche la vista svanì lasciandolo letteralmente al buio.

Provò a muovere le mani, ma senza l’uso degli occhi non riuscì a capire dove le stava muovendo, se si trovava ancora nel campo di battaglia oppure trasportato in qualche anfratto privo di luce. Ad un tratto vide una figura che non riusciva a distinguere, pareva seduta su un trono di pietra bianca e vestita di rosso, ma ciò che lo colpì maggiormente fu lo sguardo severo che riuscì a bucare le tenebre per incontrarlo. Uno sguardo che lo fece rabbrividire come mai nella sua vita. Ebbe l’impressione che stesse per essere letteralmente divorato da quegli occhi. Tuttavia in pochi istanti il paesaggio mutò riportandolo alla battaglia, accompagnato da una spiacevole sensazione di dolore da una zona che non era stata ferita durante il conflitto.

Quando gli occhi finalmente tornarono ad osservare la realtà, vide la punta di una lancia estremamente conosciuta che gli aveva trapassato di circa un paio di centimetri la coscia destra. Bastò ripercorrere con lo sguardo l’asta in metallo indistruttibile per poter scorgere una grossa mano verde intenta a trattenerla, mentre un uomo intento a reggerla. Durante il suo “incontro” muto con quella strana figura aveva perso i sensi e qualcuno pareva aver avuto la brillante idea di rubargli la lancia e farlo fuori. Se non fosse stato per quell’alleato l’elfo avrebbe incontrato in anticipo di qualche giorno il cretore.

Con un colpo di ascia il pelleverde finì l’avversario e dopo essersi girato Illorium vide che si trattava di G’onk. Questa volta possedeva un debito di sangue che non sarebbe mai riuscito a ripagare durante tutta la sua vita, poiché il fratello lo aveva salvato a discapito della propria vita, mentre se non fosse stato per l’intervento provvidenziale dell’ominide sarebbe morto durante quella strana visione.

In un misto di vergogna e gratitudine l’elfo si rialzò per ringraziare l’amico tendendogli la mano, ma questo si rifiutò di dargliela.

Io pensare che tu essere guerriero, ma tu inutile manichino. Prossima volta non essere io a salvare te.



Lo stato d’animo dell’orco era del tutto comprensibile, poiché il fratello aveva sacrificato la propria vita per qualcuno che aveva rischiato di morire neanche un’ora dopo. Al termine di quella frase staccò la lancia dalle mani del cadavere e la lanciò ai piedi di Blackfang lasciandolo solo con i suoi pensieri alle spalle.

Mai si sentì peggio nella sua intera vita. Aveva quasi sprecato un sacrificio di tale magnitudo a causa di una qualche strana visione nella sua testa.

Informazioni tecniche.



- Nome. Illorium Blackfang.
- Energia. Gialla.
- Stato fisico. Ferita alta al braccio, ferita media alla spalla ed al fianco, taglio basso al torace e ferita bassa alla coscia destra.
- Psiche. Rammaricato.
- Consumi. Nessuno.
- Energia residua. 66%.
- Passive. Autosufficienza [Immunità alle influenze psioniche passive] e Indistruttibilità della lancia.
- Attive utilizzate. Nessuna.
- Note. Nessuna.
 
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view post Posted on 17/5/2013, 13:51
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I passi di Raymond non incontrarono alcuna resistenza mentre si addentrava nella penombra della sala quasi chiusa, né gli fu di ostacolo il corpo di Razelan Vaash che, ormai stremato e prossimo alla perdita di sensi, si era rifiutato di lasciare alle cure dei Corvi Eretici intorno al fuoco. Il Lord Ratto era il suo ostaggio e, per ora, la sua unica garanzia di poter uscire di lì vivo.
Superò un unico gradino di pietra subito dietro la porta. Nessuna anticamera; nessun corridoio; solamente un modesto scalino di marmo bianco che non avrebbe nemmeno riconosciuto se i suoi piedi non vi avessero sbattuto contro. Quella stessa tappa tuttavia poteva essere facilmente giustapposta all'abbandonarsi alle profondità di un'abisso senza fondo, e così Raymond la percepì, tremando leggermente mentre si lasciava la porta alle spalle. Oltre, la penombra si distendeva come polvere sui contorni dell'arredo, facendo arrivare ai suoi occhi solamente una vaga impressione di ciò che contenesse la stanza. I contorni lugubri ed infausti dei sostegni e della volta potevano quasi nascondere la presenza di innumerevoli inquietanti spettri pronti a saltargli alla gola in qualsiasi momento.
Gola sulla quale passò lentamente la sua mano in un gesto di spontanea protezione, poco prima che la porta si chiudesse con un tonfo dietro di lui.

Sobbalzò senza vergogna, e prima che la sua mente andasse alla risposta più logica - poteva essere stato Martin dall'altra sala a serrare la soglia - lui si era già voltato quattro volte, aveva alzato la spada e iniziato a vedere figure minacciose inesistenti nascoste fra gli angoli delle pareti. Abbassò la lama solo quando il battito del cuore glielo permise e gli servirono altri lunghi istanti di inazione perché la sua vista si abituasse all'oscurità pressoché completa della camera. Fu in quell'istante che riuscì ad intravedere una sagoma rettangolare posta al limitare opposto della sala dove si trovava lui; una forma incredibilmente precisa che attirò inevitabilmente la sua completa attenzione.
Avvicinandoglisi lentamente riuscì a distinguerla con più chiarezza: il rettangolo non poteva che essere lo schienale di un grande trono di pietra e lentamente iniziò a riconoscerne anche i bracci e il seggio, comprendendone la forma. Doveva essere incredibilmente spoglio, piatto e scomodo, eppure questo non impediva in alcun modo alla persona che vi era seduta di mantenere una posa di assoluta e solenne severità.

Incuriosito, si concentrò su quella figura che non aveva dato il minimo cenno di averlo visto.
Le sue vesti erano stracciate, lacere e cenciose di sabbia e polvere. Non riuscì a distinguerne il colore a lungo per colpa della penombra, ma dopo qualche secondo si convinse che avevano dovuto essere nere, un tempo, prima che fossero abbandonate in quello stato. Mancavano di larghe parti delle maniche, erano strappate lungo il petto e la schiena e i pochi brandelli rimanenti si allungavano fino alle caviglie, penzolando inerti.
La figura era esile, magra ed asciutta; avrebbe potuto tranquillamente essere quella di un ragazzo che non aveva mai sollevato una spada, tanto era priva di muscolatura e tonicità. Sembrava anzi particolarmente segaligna, come una pietra levigata dall'acqua impetuosa di un fiume, e spigolosa come può essere soltanto un corpo che non si concede un pasto vero e proprio da mesi.
Poteva vedere il suo petto alzarsi ed abbassarsi lentamente mentre respirava, un'azione talmente fiacca e flemmatica da fargli credere che l'uomo fosse addormentato, e in effetti, avvicinandosi, notò che aveva gli occhi completamente chiusi. Quella realizzazione lo incuriosì, considerando la posa solenne in cui la figura stava immobile nel proprio riposo.

Poi quando fu così vicino da poterne finalmente scorgerne i lineamenti del viso, lo riconobbe. Non l'aveva mai incontrato prima di persona, ma lo riconobbe lo stesso. Chiunque sarebbe stato in grado di farlo.
A malapena toccava il metro e settantasette; fisico asciutto ma ben costruito; pelle pallida e capelli lunghi e lisci, rigorosamente neri. Portamento regale, viso fine e leggero che faceva da cornice a due occhi che più che azzurri si sarebbero detti grigi, o almeno così ricordava. Aveva sempre amato i vestiti scuri, le fibbie e gli accessori che, in ferro o in argento, potessero avvalorare il suo aspetto, ai quali accompagnava una gemma nera piuttosto lunga appesa al collo;
nero. Come la pece, l'ombra e la paura. Nero come la notte, come le bugie e come l'ira più profonda. Seducente come il pericolo, il brivido e la tentazione. Falso; arrogante; subdolo. Machiavellico.


Innanzi a lui stava il corpo di Rainier Chevalier.
L'uomo che un tempo era stato conosciuto come il Re che non perde mai.
L'uomo che aveva fondato i Quattro Regni e che li aveva sacrificati nella guerra del crepuscolo per diventare un Dio.
L'uomo che secondo la sua fede non era stato niente di più che il profeta del Sovrano e che oggi avrebbe dovuto sedere ai piedi del suo trono.
Eppure in quell'istante quell'uomo era lì, vivo, davanti a lui; seppur perso in un sonno profondo.

Immediatamente lo colse il panico.
Era questa la verità di cui parlavano i Corvi Eretici? Era Rainier in persona a guidarli?
Mosse qualche frenetico passo indietro, perdendo l'equilibrio ma senza lasciar andare il corpo di Razelan Vaash, che si abbandonò ad un acuto lamento di dolore. Quel suono ruppe il silenzio sacro della camera, svegliando qualcosa nelle vicinanze; qualcosa di gigantesco. Raymond colse il movimento solamente con la coda dell'occhio, ma per un attimo gli parve che tutta la stanza si stesse spostando intorno a lui. Sentì uno sgradevole stridore metallico e quando vide la mano abbandonò ogni premura, estraendo la spada e abbandonando il corpo di Razelan Vaash lì sul pavimento dove era caduto.

Cinque artigli metallici di proporzioni colossali stavano dirigendosi con flemma nella sua direzione, lunghi ciascuno come un suo braccio. Il buio gli impediva di capire da quale creatura provenissero, ma il suo addestramento prese velocemente il posto della ragione, muovendo i suoi arti perché si mettesse in posizione di combattimento e allungando il filo della propria arma contro il nuovo nemico, pronto a ritirarsi in caso di pericolo. Sudava freddo ed ansimava rumorosamente; la rapidità con la quale si stavano susseguendo gli eventi lo lasciava poi inebetito, incapace di formulare qualsiasi serie di pensieri coerenti.

Fortunatamente, proprio quando stava per lanciarsi a testa bassa contro gli artigli che lo minacciavano, li vide cambiare direzione e dirigersi verso il corpo di Razelan Vaash, che fu troppo debole persino per urlare: Raymond riuscì solamente a cogliere il terrore profondo che si specchiava sul fondo dei suoi occhi, prima che la mano lo afferrasse e lo sollevasse, nascondendolo alla sua vista.
Poi il pugno chiuso fece forza sul corpo fragile del Vaash e il Lancaster sentì distintamente il rumore sordo, brutale e primitivo delle ossa dell'uomo che si spezzavano una dopo l'altra. Uno scricchiolio particolarmente sonante che gli diede immediatamente la nausea. Le gambe non poterono che cedergli innanzi a quella dimostrazione così animalesca della debolezza intrinseca del corpo umano.
Era terrorizzato.

Poi la mano metallica fece qualcosa di inconcepibile. Come se si fosse pentita del suo gesto precedente riaprì il palmo con innaturale delicatezza rivelando il corpo esanime e distrutto di Razelan Vaash. E mentre lo liberava dalla propria stretta lo appoggiò anche in terra in modo che stesse eretto al centro della sala - cosa che, al di là di ogni comprensione logica - accadde: benché il corpo del nobile fosse distrutto dalle ferite subite prima da Raymond e in seguito da quella stessa creatura, pareva ora completamente risanato; aveva ripreso la sua consueta posa arrogante e pareva non fare caso al sangue che sgorgava copioso da tutti i tagli sul suo corpo, come se non fosse ferito affatto.
I suoi occhi, però, erano diventati due lucide sfere completamente nere e quando parlò, Raymond non ne riconobbe il timbro, benché la voce fosse la stessa. La nuova parlata di Razelan era metallica, priva di alcuna emozione, lenta e misurata; totalmente differente dalle esclamazioni lunatiche a cui l'uomo si era sempre abbandonato con facilità.

Non gli ci volle molto per comprendere che la creatura nascosta nell'oscurità aveva ucciso Razelan Vaash
e ora utilizzava il suo corpo esanime per comunicare direttamente con lui, come un marionettista fa con una marionetta.

« Inchinati... al Vero Re, Raymond Lancaster. »

Non era Rainier il Padre di Ferro.
Non era Rainier a guidare l'Ala Rubra.
Bensì quella creatura.

« Inchinati... al Vero Re. »

E lentamente iniziò a distinguerne il profilo, nell'oscurità.
Si trattava nulla più che di un Golem. Un Golem di ferro. Il suo aspetto non era dissimile da quello di un qualsiasi essere umano, se non per i lunghi artigli che ne costituivano le dita, lo sguardo spento e obbediente e le dimensioni gigantesche: più di cinque metri d'altezza. In lui non mancavano, comunque, altri tratti bestiali: zanne affilate e in grado di sventrare le carni più dure, il collo lungo, la statura spesso ingobbita, la posizione inginocchiata.
In passato aveva letto che Rainier si faceva sempre accompagnare da un gigantesco costrutto metallico, che si diceva fosse un simulacro per l'anima di suo padre. Tuttavia non aveva mai avuto la possibilità di vederlo, prima di allora:

« Charles Étienne Chevalier »

realizzò, appena la sua memoria gli venne in aiuto.

« il... Padre di Ferro... »

Quello non ebbe alcuna reazione, e anzi proseguì imperterrito con la sua mesta cantilena, come se lui non avesse pronunciato alcunché.

« Inchinati... Raymond Lancaster. »

La situazione aveva del paradossale e sfuggiva alla sua comprensione; si sentiva niente più che una formica travolta dalla furia di un uragano e non aveva idea di come uscirne. Terrorizzato e momentaneamente inebetito, decise quindi di stare al gioco e si avvicinò nuovamente al trono di marmo bianco, poggiando il ginocchio destro in terra. Rainier restava in fondo la più importante icona religiosa della sua fede e, per quanto ne fosse terrorizzato, non gli era difficile capire quanto sarebbe stato poco saggio mancargli di rispetto in quelle circostanze. E tuttavia si sentì a disagio alzando lo sguardo verso il Re e analizzandolo più a fondo di quanto non avesse fatto in precedenza:
Rainier non stava dormendo. L'espressione sul suo viso era di assoluta serenità e il suo respiro innaturalmente regolare, quasi meccanico. Il suo stato era più simile a quello di un uomo che ha perso i sensi, piuttosto che a quello di un addormentato; eppure nessuno dei due casi spiegava la posa innaturalmente solenne che il suo corpo sembrava mantenere con spontaneità, sfuggendo alla legge di gravità e alle debolezze del suo corpo che - ora comprendeva - era veramente stravolto dalla fame e dall'abbandono.
La domanda gli uscì quasi senza che lo volesse.

« È... è... vivo? »

Vide Razelan - o almeno la marionetta che era stata Razelan - muovere la testa in un cenno affermativo e avvicinarglisi con passo lento.

« Non vedi forse il suo petto alzarsi ed abbassarsi mentre respira? ...Né come la morte non sia riuscito ancora a sfrondarlo della sua regalità? Egli è sì vivo quanto le sei tu, per quanto la sua mente si attardi a tornare di proprietà del suo corpo. Essa è lontana, soffocata dalle Maree di pensieri che noi creature mortali non possiamo comprendere. »
« Questo significa che... tornerà? ...È per questo che voi dell'Ala Rubra... state facendo tutto questo? »

Passò qualche istante di silenzio, come sempre tra un'affermazione del Padre di Ferro e la seguente.
« ...Non è tanto la reale aspettativa di un suo ritorno che ha costruito il culto che hai combattuto, Raymond. L'Ala Rubra è solamente la produzione di quell'amore così grande che può essere provato solo da un padre nei confronti del proprio figlio; finché il corpo di Rainier continuerà a respirare i tuoi Corvi Rossi faranno per sempre ciò che io demando che facciano, ed ogni giorno - in una reale simbiosi - mi condurranno più vicino a richiamare mio figlio su questo stesso mondo che l'ha così impunemente flagellato. Capisci quel giorno cosa significherà il ritorno di mio figlio... Raymond? »

Certo che lo capiva.
Sennar Sigvhat non era il legittimo Re dei Quattro Regni.
L'intera fede che aveva fatto da collante fra le famiglie nobili che avevano collaborato alla rinascita dell'impero si fondava su presupposti sbagliati.
I regni si sarebbero completamente distrutti; la fede sarebbe andata persa in ogni uomo; le famiglie avrebbero iniziato a combattersi tra di loro e i Corvi sarebbero stati giudicati dei traditori e probabilmente uccisi. L'impero sarebbe collassato e migliaia di uomini sarebbero morti nel corso di una probabile guerra civile.
« Ma non... qualcuno che si ribelli dovrà pur esserci... Rainier era un assassino, un tiranno... »
« Non... possono. »

« Non ti sei mai chiesto come mai proprio qui, su tutta questa terra... nel Deserto dei See...? La Chimera è stata la prima figura alla quale mi sono rivolto, nostra collaboratrice durante la guerra del Crepuscolo, poiché credevo possedesse la forza necessaria a richiamare mio figlio dai turbamenti che lo trattengono. Quando ella mi ha confessato che non ne era in grado, io l'ho... divorata. »
« Ho fatto miei quelli che erano i suoi poteri e ho... preso coscienza di ciò che sono. I Corvi Rossi non mi servono perché scelgono di farlo, Raymond, ma poiché non possono fare altrimenti. Io popolo le notti dei tuoi precedenti compagni con i miei sogni, faccio credere loro di compiere scelte e di detenere il controllo, ma non c'è loro azione che non faccia capo a ciò che io decido, né pensiero che non sia stato indottrinato dalla misera scintilla di divinità che ancora alberga nel corpo di mio figlio. »
« È la stessa illusione di avere il controllo sulle proprie azioni... a tenerli incatenati a me. Proprio come è successo con te, Raymond Lancaster. »
« Cosa...? Io...? »
« ...Tu hai visto il fuoco che io spargevo sulle montagne nei tuoi sogni perché ti sentissi colpevole e ti spingessi alla lotta per una causa in cui non hai mai creduto. Hai raccolto tutti i miei nemici e li hai condotti ai piedi del trono di mio figlio perché io potessi schiacciarli con un unico grande gesto. Hai lavorato sempre e soltanto per me. »

« Io... non... »
Raymond deglutì sonoramente; la testa gli scoppiava e una forte emicrania si era impossessata improvvisamente di lui.
« L'esercito che ho creato è ben più grande del tuo... non puoi vincere questa battaglia. »

« Tu parli come un uomo, Raymond. ...Dovresti pensare come lo stratega che sei. »
« ...Davvero credi che qualsiasi mortale possa restare indifferente alla presenza di un Dio così vicino a sé? ....Probabilmente i tuoi uomini l'hanno già visto, e le loro menti iniziano già ad essere sconvolte dalla sola esistenza di mio figlio, così vicina a loro. »
« Sei tu... che non puoi vincere. »

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E fu in quell'istante che gli occhi di Krusk diventarono due lucide sfere nere, simili a quelli di un corvo, mentre combatteva contro gli Shadar-Kai sulla superficie.
Fino a quell'istante la sua arma aveva colpito innumerevoli di quei beduini rossi, lasciandoli esanimi e grondanti di sangue al suolo. Non aveva esitato un solo istante né si era posto mai alcun dubbio sulla crociata che stavano compiendo contro quegli uomini: non era nella sua natura di orco porsi quel genere di questioni, né soffermarsi a riflettere prima di agire. I chierici avevano confermato che quella guerra era stata voluta dall'Unico, e tanto era bastato a lui per decidere di scendere sul campo di battaglia e dimostrare la propria forza a quegli uomini di ferro.
Ma più tempo passava nella Tomba della Chimera, più sentiva pena per loro.
Tanto più affondava la sua lama nelle loro carni, tanto più i dubbi assalivano la sua mente.
Quanto atroce doveva essere sempre stato lui, senza mai accorgersene, a combattere solamente per il gusto di farlo, insieme ai suoi compagni.
I pelleverde a cui apparteneva non erano forse che mostri? Non era forse legittima l'opposizione che l'Ala Rubra aveva compiuto nei loro confronti? In fondo si erano solamente limitati a scacciarli, e se se ne fossero andati da quel deserto non li avrebbero certo inseguiti.
La verità era che se non fosse stato per Raymond Lancaster, non avrebbero affatto combattuto quella battaglia e molti dei suoi amici non sarebbero morti invano.
Se non fosse stato per il Drago Nero, avrebbero semplicemente migrato, come sempre. Il cavaliere doveva aver convinto i suoi chierici della veridicità di quella guerra, ma l'Unico non c'entrava nulla con quel massacro! L'Unico non avrebbe mai voluto delle morti così insensate! E gli Shadar-Kai... loro... loro erano vittime dei complotti degli inviati dei Quattro Regni tanto quanto i pelleverde! AVREBBERO DOVUTO COMBATTERE INSIEME, NON L'UNO CONTRO L'ALTRO!

Krusk non fu l'unico pelleverde i cui occhi si colorarono di nero. Molti altri, casualmente nel mucchio, iniziarono lentamente a convertirsi e immediatamente dopo la trasformazione fisica anche le loro azioni cambiarono: con la stessa furia con cui avevano combattuto contro gli uomini dell'Ala Rubra fino a quel momento, rivolsero improvvisamente le loro armi contro i loro alleati, gli uomini dei Quattro Regni richiamati da Raymond Lancaster. Il tutto avvenne improvvisamente in ciascuno di loro e gradualmente quella follia si diffuse per tutto il campo di battaglia, trasformando l'esercito di uomini e pelleverde in una sorta di creatura contorta e aggrovigliata intenta a mordere la sua stessa coda. Gli uomini combattevano con gli orchi e gli orchi attaccavano gli uomini, dimenticandosi completamente delle ragioni che li avevano spinti a combattere insieme.
E nel frattempo Eidolon e Shadar-Kai approfittarono di quell'istante per fortificare la loro resistenza e recuperare i loro ranghi, ribaltando le sorti della battaglia.



CITAZIONE
TA
TA
TA
DAAN.


Bene, come potete intuire dall'ultimo paragrafo del mio post, ciò che succede sul campo di battaglia è molto semplice: i pelleverde iniziano ad essere influenzati dalla presenza del corpo divino di Rainier e cambiano parte nel corso della battaglia, rivolgendo le armi contro gli stessi uomini che erano stati loro alleati fino a quell'istante; lentamente questo inizia ad accadere anche ad alcuni degli uomini di Basiledra e - eventualmente - anche ad alcuni degli uomini di Rekla. Non ci sono regole particolari da seguire in questo post, interpretate a piacimento la conseguenza di queste azioni e come i vostri personaggi vivono la situazione - siete totalmente liberi a riguardo. Vi faccio notare poi che ci stiamo approssimando alla conclusione della giocata, quindi fate un ultimo sforzo!
Spero che il post e il colpo di scena vi siano piaciuti :sisi:


Edited by Ray~ - 13/7/2013, 19:35
 
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Yomi
view post Posted on 19/5/2013, 02:38




Territori Meridionali
— Sandstorm; getye

Poggiò piede a terra, sulla sabbia smossa dai venti delle tempeste che flagellavano il campo di battaglia, mentre alle sue spalle la figura titanica del colosso collassava su se stessa e finiva in pezzi, recisa in due dal taglio di Shisui. Incurante della vittoria riportata, Motoko Aoyama rinfoderò la spada e socchiuse gli occhi, canalizzando le sue attenzioni sul campo di battaglia in cerca di avversari potenti e alleati conosciuti. In particolare era l'aura macchiata di nero di Hazuki che le premeva, nel turbine della battaglia si era separata dal kami ed ora voleva ricongiungersi ad essa, proprio ora che la marea sembrava mutare e la battaglia pareva prossima alla conclusione. Tanto era assorbita da quella cerca, che impiegò un attimo in più del dovuto a rendersi conto dei suoni che andavano via via scemando, e che di colpo vennero ovattati ed esclusi, lasciandola sorda e disorientata per lunghi istanti di panico. Sgranò gli occhi e si pose immediatamente in posizione di guardia, voltandosi di scatto in cerca di una minaccia mentre un battito ritmico saliva rimbombando dal suolo, levandosi come un tamburo di guerra sempre più pressante, sempre più minaccioso.
Il gesto di voltarsi le provocò un capogiro che quasi le fece perdere l'equilibrio. Barcollò sentendosi persa, ora rendendosi conto di non essere più in grado di distinguere chiaramente ciò che stava succedendo attorno a lei. Sulle labbra le aleggiò un mantra di protezione, ma era come pescare acqua con una rete. Le parole le sfuggivano dalle labbra e si rifiutavano di cristallizzarsi in frasi coerenti. Non vedeva. Non sentiva! Cadde in ginocchio stringendo la spada con tutte le sue forze, sentendo alle sue spalle il pericolo sopraggiungere. Frattempo il furioso battito di cuore saliva, echeggiando nella sua mente finché lo sforzo per non abbandonare Shisui e stringersi le orecchie fu doloroso.

C'era un uomo... seduto su di un trono.
E Motoko, sola e indifesa, era immersa nel buio prostrata di fronte a lui.

Dietro di lei, l'Eidolon calò il braccio per strapparle il cuore.
Chiuse gli occhi e gridò mentre il suono saliva al punto da infrangerle i timpani.

« MUOVI IL CULO DA Lì, BAKAOYAMA!!! »

Senzanome-2

« ...!!! »
Con uno sforzo di volontà immane, più per istinto che per effettiva consapevolezza Motoko si lanciò a lato, mentre il kimono bianco le veniva strappato dalla spalla al braccio, facendo sgorgare sangue al fendente della marionetta senza volto. Quasi contemporaneamente, uno dei Gemelli Linguagialla impattò con un colossale maglio da guerra il cranio della creatura, scagliandolo a rotolare nella sabbia. In piedi sulle spalle dell'orco, la figura esile di Hazuki si lanciò al suolo atterrando sul cultista di schianto, il braccio che si immergeva nelle carni fino al polso, la mano interamente nella cassa toracica della bestia. Anch'essa ferita, con l'altro braccio a pezzi ed il sangue che le sgorgava da una ferita alla tempia, aveva la faccia tosta di lanciare un sorriso selvaggio ed un gesto osceno al cielo che andava rischiarandosi, mentre l'eclisse innaturale andava via via scemando ed il sole riprendeva via via il suo posto.
« Hazuki...? Ho visto... »
Ansimando ancora sconvolta dall'esperienza e per lo scampato pericolo, la giovane Aoyama rivolse uno sguardo preoccupato alla fortezza, rendendosi conto rabbrividendo che qualcosa di terribile ed irreparabile era appena accaduto.
« Io direi che non hai visto il tizio che ti stava per ammazzare. Neh, comunque abbiamo quasi finito con questi qua. » Il Kami annuì al cadavere dell'Eidolon. Fece per aggiungere altro, ma si fermò sentendo del trambusto alle sue spalle, nella direzione sbagliata, fra i ranghi degli assedianti e non dove le sacche di resistenza dei nemici continuavano a resistere. Motoko seguì il suo sguardo, e ciò che vide la lasciò interdetta. Inizialmente pensò che uno di quei mostri si fosse incuneato in profondità fra gli assalitori, ma poi si accorse che non c'erano nemici in vista. « Cos...? »
Una banda di creature goblinoidi aveva aggredito un drappello di volontari di Basiledra, che sconcertati si stavano difendendo come potevano, qua e là trascinati a terra dalle lance delle creature pelleverde. Motoko fece per intervenire, quando si accorse che non era un caso isolato. Un po' dappertutto, zuffe e vere e proprie risse erano scoppiate fra umani ed orchi, troppo diffuse per essere un caso isolato, troppo disorganizzate per far pensare a del tradimento. La sua natura sospettosa le fece tenere in considerazione fino all'ultimo che quel caos potesse essere frutto di una pugnalata alle spalle organizzata dai capitribù pelleverde ai danni degli umani, ma non era tanto ottusa da non rammentare la terribile esperienza che aveva appena vissuto ed a riconoscere un qualche collegamento fra essa e la follia che stava dilagando sul campo di battaglia. Ed a confermare la sua sensazione, gli sguardi allucinati dei berserker che tradivano la loro confusione ed il diffondersi di quell'epidemia anche fra i ranghi umani, che ora assalivano senza motivo i loro alleati.

« Che figata, un tutti contro tutti! »
Come un sorridente spettro errante, Hazuki prese a vagare fra i corpi, di tanto in tanto chinandosi a raccogliere qualcosa che prontamente scartava.
« Mi serve una spada decente! » Disse in tono lamentoso, « voglio partecipare pure io! »
"Non ci vede..." pensò Motoko, guardando il sole.
Un'ombra oscurò il sole per un attimo. Motoko reagì all'istante, voltandosi ed al contempo mulinando la nodachi in un arco preciso, piombando sul fianco dell'avversario e calando l'arma in un arco discendente. Il colossale ufficiale orco, uno dei due Gemelli a capo dell'intera ala in cui si trovava Motoko, rimase paralizzato nell'atto di colpire, poi di schianto cadde all'indietro come una quercia secolare abbattuta dalla scure del taglialegna.
« Neh, che è successo?? »
Chiese Hazuki con il tono di voce di una bambina.
« Niente. Vieni con me. »
Rispose seccamente Motoko, rinfoderando l'arma e afferrandola per un braccio per trascinarla verso l'accampamento.
« Dove andiamo?? »
Chiese allegramente il Kami.
« A capire il perché di questa guerra. »
Fu la risposta secca della miko.


    Status

    CS: 12, Maestria nella Spada; 1 Forza
    Energia Spirituale: 23%

    Abilità Passive

      Discipline di Distruzione: -3% ai consumi e capacità di raddoppiare consumo e potenza delle tecniche
      Discipline di Spada: -20% di energia spirituale; +8CS
      Discipline di Forza: Bonus di un CS alla Forza
      Discipline dell'Ougi Dominio warrior style, permette di fendere qualsiasi materiale

    Abilità Attive

      -

    Note

      Recupero il giro mancante e svolgo il presente in un unico post. Non è stato scritto da nessuna parte, ma in base a quanto detto in precedenza deduco che la pergamena notte utilizzata da Rekla cessa la sua efficacia in questo turno, dettaglio che per me è non irrilevante perché Hazuki perde l'uso della vista durante il giorno a causa dei suoi malus.


Edited by Yomi - 19/5/2013, 03:59
 
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Stella Alpina
view post Posted on 20/5/2013, 10:52




Sandstorm; getye

-Tradimento-











Deserto dei See, tomba della Chimera



La visione lentamente cominciò a scemare, lasciando di nuovo il posto alla realtà. Lo sguardo penetrante nell'oscurità rimase come un ricordo impresso nella mente di Elias. Non era sicuro di ciò che aveva visto, non aveva riconosciuto quell'uomo seduto sul trono e non riusciva a spiegarsi il perché di quella visione. Il cuore batteva all'impazzata mentre Elias tentava di dare delle risposte a quello strano evento. Il buio si smaterializzò lasciando spazio ad una luce intensa, una luce in cielo che prima non c'era: il sole. I rumori tornarono ad essere presenti, prima come un leggero mormorio lontano ma via via sempre più violento fino ad esplodere in un caos di grida e schianti metallici. La battaglia riprendeva la sua esistenza nel pieno delle energie.
Il negromante sbatté le palpebre varie volte cercando di scacciare i puntini che continuavano a coprirgli la vista, aveva la nausea e la testa gli girava, quasi fosse su una giostra.
I suoi occhi incrociarono quelli di un altro, occhi neri come la notte più scura, occhi di uno Shadar-kai.
Elias fu preso dal panico, il corpo prese a dimenarsi d'istinto per scacciare invano il pericolo, le braccia partirono in alto cercando di artigliare il volto del grigio. Si accorse di essere sdraiato per terra. L'altro si spostò evitando con facilità i tentativi del negromante e si lasciò scappare una risata.

« Calmati, sei al sicuro. »

Elias si contorse con più foga cercando di liberarsi dal peso dell'uomo poggiato sopra al suo bacino. Si stava prendendo gioco di lui.
Sentì un dolore forte al petto, gli bruciava. In un attimo tutto gli tornò alla mente: l'inizio della visione, l'orco che lo assaliva, la ferita al petto, lo Shadar-Kai che lo traeva in salvo, l'orco ucciso e il dettaglio forse più importate di tutti, il suo aspetto ancora simile a quello dei grigi.
Lasciò andare i muscoli e cercò di rilassarsi.

« Ci sono, spostati. »

Lo Shadar-Kai lo fissò per qualche istante, come per assicurarsi della veridicità delle sue parole, poi con calma si adagiò di lato lasciandolo libero dal suo peso.
Elias si tirò a sedere portandosi la mano al petto per controllare la ferita, non era grave. Con un sospiro si alzò in piedi e si guardò intorno. Lo Shadar-Kai lo aveva trasportato all'interno dell'accampamento, lontano dalla battaglia. Non fosse stato per lui, probabilmente Elias sarebbe morto. Il negromante sorrise pensando all'ironia della situazione: salvato da un suo nemico. Chissà cosa avrebbe pensato il grigio se avesse saputo del suo camuffamento. Di certo avrebbe tentato di ucciderlo, dopo averlo salvato.
Elias si accorse che lo Shadar-Kai lo stava fissando.

« Che c'è? Non dovresti tornare alla battaglia? »

Ci mancava solo un cagnolino da guardia a fargli da balia. Doveva trovare il modo di andarsene da lì, prima che tutto finisse. Ne aveva abbastanza di quella guerra.

« Oh prego, figurati, non c'è di che. Comunque mi sono preso una pausa, non penso abbiano molto bisogno di un soldato in più visto che i barbari sono intenti a menarsi tra di loro. »

Elias batté a vuoto la bocca senza produrre suono.

« Cosa intendi? »

Lo Shadar-Kai sorrise e indicò con la testa il camminamento in legno.

« Guarda tu stesso. »

Il negromante seguì lo sguardo del grigio, poi di tutta fretta si diresse sopra la palizzata. Spostò vari soldati fino ad arrivare in un punto in cui la vista era libera ed osservò la battaglia. Non si capiva più quale fosse il fronte dei due schieramenti, all'interno dell'esercito attaccante c'erano macchie verdi che attaccavano in ogni direzione, orchi e goblin assalivano gli uomini di Basiledra prendendoli alle spalle senza pietà.
Tradimento.
Elias, frustrato, tirò un pugno contro la palizzata. Era evidente che i pelleverde fossero privi di qualsiasi tipo di lealtà, l'importante per loro era menare le mani.
Lo Shadar-Kai l'aveva raggiunto e osservava la scena dietro di lui.

« E' stata una vera fortuna non trovi? Senza l'intervento degli orchi probabilmente saremmo tutti morti. »

Il volto del grigio mostrava pura felicità, era raggiante.
Elias strinse i denti mentre dentro di lui saliva la rabbia. La mano si serrò con forza intorno ad un palo di legno della palizzata. Voltò la testa verso lo Shadar-Kai e si avvicinò a lui arrivando a pochi centimetri dal suo viso. Un gesto nascosto e una lama comparve tra le sue mani prima di scomparire nuovamente dentro il ventre del soldato. Un gemito uscì dalla bocca dell'altro, il suo sguardo pieno di incredulità e stupore. Elias si sforzò di sorridere e gli parlò in un sussurro.

« Grazie per avermi salvato. »

Il sangue prese a scendere copioso dalla ferita quando Elias estrasse il coltello dal ventre dell'uomo. Senza preoccuparsi di altro, il negromante si voltò e scese di fretta dal camminamento. Aveva altro a cui pensare, doveva trovare un modo per salvarsi.






Riassunto Tecnico

Energia rimasta: 56%
Energia consumata:0%
Stato Fisico: Taglio di entità media al petto.
Stato Mentale: Nervoso.
CS: 1 CS all'Intelligenza.
Consumi: Basso 6% ~ Medio 11% ~ Alto 22% ~ Critico 44%

Abilità passive

Controllo energetico ~ Raggiunto il 10% delle energie infatti, un uomo non sverrà, come invece potrebbe succedere a qualsiasi altro membro di un'altra razza. Ciò però non significa che non sarà stanco raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%.

Passiva Dominio I ~ All'inizio del percorso negromantico, evocare una creatura può sembrare estremamente complesso e dispendioso in termini di tempo, ma con la pratica si può arrivare ad evocare anche più creature contemporaneamente e lo si può fare istantaneamente, senza neanche troppa concentrazione. Questo a patto che tu abbia raggiunto il livello di pratica adatto allo scopo.

L'arte del sotterfugio ~ Possibilità di utilizzare tecniche della classe Ninja.
 
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view post Posted on 20/5/2013, 12:07

Esperto
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Nelle orecchie il rumore sordo della battaglia rimbombava con un pulsare ritmico che le faceva girare la testa. Tum. Tum. Tum. Una fitta di dolore la costrinse ad accasciarsi tamponandosi il fianco con la mano: a pochi passi da lei le lame si incrociavano, le pietre si schiantavano sulle corazze ammaccate degli Shadar-Kai, che continuavano a resistere nonostante le sorti della battaglia fossero ormai decise.

Eppure era accaduto qualcosa. Qualcosa che Zaide non era in grado di spiegare.

Appoggiò la schiena alla catasta di legname dietro cui aveva trovato riparo, lontano almeno per qualche momento dagli occhi dei combattenti. Maledisse la sua distrazione; una lama arrugginita e incrostata del sangue di molti caduti giaceva nella sabbia al suo fianco. Sangue di compagni pelleverde, certamente. Ma il sangue caldo che gocciolava dalla lama era della guerriera Shadar-Kai che aveva approfittato dell'istante di smarrimento della strega per affondarle la spada nel fianco, un istante prima di cadere a terra vittima della maledizione vendicativa di Zaide.

Frugò nella saccoccia di cuoio grezzo in cerca delle erbe del deserto con cui aveva preparato un impiastro medicamentoso nel caso avesse dovuto curare uno dei suoi compagni feriti: mai avrebbe immaginato di doverlo usare su se stessa - tra i pelleverde la sua capacità di prevenire il pericolo in battaglia era quasi leggenda, tanto che avevano ben presto cessato di preoccuparsi del fatto che una donna tanto esile e apparentemente inadatta alla battaglia combattesse accanto a loro.

Eppure era accaduto l'imprevedibile.

Zaide morse il cuoio della borsa per non urlare mentre applicava l'impiastro scuro sulla ferita aperta, e lasciò vagare la mente in cerca di risposte. Chi era l'uomo che le aveva invaso la mente in quell'istante fatale che le era quasi costato l'irreparabile? Non era da lei perdere la concentrazione in quel modo.
Eppure...era come se la realtà lentamente fosse svanita dai suoi sensi: prima l'udito, quando lo strepito delle armi che si incrociavano era via via diventato sempre più sordo e ritmico fino a diventare l'inconfondibile battito di un cuore mostruoso che le invadeva la mente, le scorreva nelle vene e le soffocava l'anima. Poi la vista e la consapevolezza di sé. Non aveva potuto evitare l'assalto nemico, sapeva che quella lama le avrebbe lacerato le carni eppure non aveva il controllo del suo corpo.
Non era lì.
Era al cospetto di quell'uomo avvolto d'ombra assiso su un trono sconosciuto: sentiva che stava accadendo qualcosa di grande e sconvolgente, ma non sapeva cosa.

E poi il sangue aveva iniziato a scorrere dalla sua carne, e lei era in ginocchio nella sabbia. Non pensò nemmeno per un istante di essere realmente in pericolo: lei, la Strega di Taanach, poteva contare su mezzi molto più potenti di una vecchia spada arrugginita per ferire un uomo. Non degnò nemmeno di uno sguardo la sofferenza della Shadar-Kai avvinta da penetranti tentacoli d'ombra dibattersi come un animale stritolato tra le spire di un boa. Non ascoltò il lamento disumano uscire dalla sua bocca quando l'oscurità si impadronì dei suoi occhi offuscandoli e privandoli per sempre della luce del sole. La ferita che le aveva procurato era un insulto sufficiente a meritarle la morte.

Ma poi la notte svanì, rapida com'era calata: e gli occhi di Zaide, pur avvezzi al buio, incontrarono lo sguardo spento della ragazza che aveva ucciso.

Il ferro mi spaventa...

Nella mente della strega quella conversazione sembrava accaduta appena pochi giorni prima.

Gli uomini che compiono questo rituale... è come...come se perdessero se stessi.

Zaide ricordava bene quei sussurri rubati nell'accampamento di Razelan Vaash. E ancora meglio ricordava i grandi occhi sgranati di paura di quella ragazza non ancora contaminata dal ferro ma già condannata a quella morte atroce. Aveva paura di lei: aveva l'aspetto di un troll, allora. E il solo fatto di essere disposta a scambiare quelle poche parole di confessione era segno di grande coraggio e di una mente pura e capace...E ora giaceva morta, riversa nella sabbia.

La strega aveva trascinato il suo giovane corpo al riparo dai colpi della battaglia, accanto a lei; non si accorse nemmeno che stava piangendo finché non vide le sue stesse lacrime scorrere scavando solchi lievi sul viso sporco della ragazza. Con un dito le accarezzò le palpebre, chiudendole gli occhi perché potesse smettere di guardare la miseria del mondo.

Quando si rialzò, qualcosa in lei era cambiato.
Il senso di quella guerra le sfuggiva dalla mente un istante dopo l'altro: lei non ne faceva parte, quello non era davvero il suo mondo.
Come da un'enorme distanza, vide che però anche il corso della battaglia stava mutando radicalmente. Cos'era successo in quei pochi minuti in cui Zaide aveva chiuso il mondo esterno fuori da sé?
Non riusciva più a capire chi fossero i compagni e chi i nemici: le spade si incrociavano, piogge di frecce calavano dall'alto, grida di guerra si levavano come prima. Ma gli orchi lottavano contro i cavalieri di Basiledra, gli Shadar-Kai sembravano avanzare e crescere di numero, gli uomini di Rekla a poco a poco abbandonavano le armi per unirsi al nuovo, improbabile schieramento mosso da una qualche volontà superiore.

E io, a chi appartengo?

Zaide era confusa. Voltò ancora una volta la testa, posando lo sguardo sul cadavere della Shadar-Kai che nella morte sembrava così piccola e fragile, giovane e inesperta.
Solo una ragazza.
Come lei.

- Perdonami, sorella.






Zaide

°concentrazione [+2]
°intuito [+2]

[c. 29%; a. 13%; m. 5%; b. 1%]



In questo post, prevalentemente narrativo, riprendo quanto accaduto nel turno precedente (la visione) e conseguente momento di distrazione dalla battaglia. Ho voluto dedicare spazio a questo momento più che a quello successivo (il cambio di schieramento degli orchi, volutamente appena accennato e visto da Zaide con un certo distacco, quasi disinteresse) perchè si tratta di una fase importante nello sviluppo del mio pg, già toccato in precedenza: ovvero il dolore provocato dalla morte. La ragazza Shadar-Kai che Zaide uccide è la stessa incontrata in questo post di Sandstorm, se a qualcuno interessa. E' un post semplice e breve ma mi è piaciuto scriverlo, spero apprezziate.

Dal punto di vista tecnico, Zaide utilizza Catene d'ombra e Dominio delle ombre (Alto) per imprigionare e strangolare l'avversaria.

Energia:
66% - 5 - 13 = 48%

Passive:
[Passiva di ammaliamento psionico; a seconda dei comportamenti di Zaide e ad interpretazione del personaggio che subisce la tecnica, può istillare in lui lussuria nei confronti della strega o terrore - sta alla vittima decidere quale delle due, coerentemente ai comportamenti e all'aspetto assunto da Zaide]
[Disciplina ferrea e dedizione, ma anche un’innata predisposizione nei confronti di tutto ciò che riguarda la sfera delle conoscenze arcane, sono alla base della capacità di Zaide di percepire istintivamente ciò che è magico attorno a lei, permettendole di svelare illusioni ambientali e avvertire attacchi magici anche alle proprie spalle]
[La portata del suo sapere magico è tale che ogni sua tecnica di natura magica provocherà danni di un livello superiore rispetto al consumo utilizzato, a fronte di una diminuzione delle tecniche fisiche di pari natura]

Attive:
Le Gibet [Medio+Alto]

CITAZIONE
Con un consumo Variabile potrà dominare l’elemento ombra a suo piacimento, generando raggi e sfere, armi, spazzate, attacchi diretti o a trecentosessanta gradi, purchè ogni emanazione si origini da lei stessa e svanisca dopo aver compiuto l'attacco. Con un consumo pari a Medio, Zaide può ricreare delle vere e proprie catene di tenebra che immobilizzano l’avversario, avvolgendosi come le spire di un serpente attorno al suo corpo. Contro offese o difese magiche, le ombre andranno considerate di un livello di potenza superiore; contro offese o difese fisiche, le ombre andranno considerate di un livello di potenza inferiore.
[Pergamene Dominio delle ombre + Catene d’ombra]




 
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