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Song of an "unChecked" King, Prologo, seconda parte

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Checkmãte
view post Posted on 17/4/2013, 16:45




Song of an "unChecked" King
Prologo, seconda parte

Dopo tutto il tempo che aveva trascorso nelle segrete, si ritrovò finalmente a sorridere mentre osservava il suo riflesso accarezzare dolcemente la fitta schiera di peli che ora spuntavano dal suo mento come un esercito di fieri pedoni. Non aveva mai avuto la barba così folta ma la trovava piuttosto piacevole visto che gli incorniciava le mascelle e gli donava un'aria più mascolina, selvaggia e risoluta che mai. Sembrava un affascinante e vissuto veterano di guerra. Gli occhi dalle iridi plumbee, illuminati dalla forte luce di rinascita che filtrava dalle finestre, indugiarono per un istante sul profilo del proprio corpo che, dopo parecchi giorni di cure, aveva finalmente ritrovato il suo naturale tono muscolare e il suo salutare colorito rosaceo. Così come i lunghi, lisci e ordinati capelli che erano tornati a splendere nella loro autentica tonalità dorata, donandogli una bellezza fuori dal comune, quasi divina. Numerose erano le lacrime di gioia che solcavano, irrefrenabili, le guance di Will, che, dopo il periodo peggiore della sua vita, aveva infine ritrovato sé stesso, più forte e bello di prima.
La camera da letto era molto spaziosa, accogliente e lussuosa. Avrebbe tanto voluto restare a godersi quello sfarzo di ricchezza per il resto dei suoi giorni, ciondolando sul letto e gustandosi quello che restava dei tesori del re, ma ora che aveva ritrovato le forze non poteva sprecare quel talento meraviglioso che aveva scoperto di avere. Doveva pensare ai propri ideali e fare della sua vita la tanto agognata missione di giustizia, liberando il mondo dalle catene che l'opprimevano. Will si allontanò dallo specchio, avvicinandosi al gigantesco armadio di frassino nell'angolo della stanza. Tra la lunga schiera di vesti, scelse quelle che sembravano le più eleganti e costose: una tunica di soffice seta bianca, un paio di guanti di pelle scuri come la notte, un mantello di leggera tussah colorata, una corona candida come il marmo, tempestata di diamanti, e un raffinato scettro rivestito d'oro massiccio.
Era ora d'agire.
I corridoi e le stanze vuote del castello riecheggiarono dei rumori sordi prodotti dagli stivali di pelle che sbattevano contro il pavimento di pietra. Ogni tanto qualche ratto lo accompagnava mentre Will svoltava un angolo remoto e umido del castello, ma continuava imperterrito per la sua strada, senza badarci, diretto sempre più in basso, nelle profondità della reggia. Svoltò ancora un paio di volte, percorse l'ultimo corridoio immerso nell'ombra più tetra e alla fine si fermò davanti ad una porta di legno, dalla quale filtrava una densa e asfissiante aria satura di un odore acre di putrefazione. A William era familiare quell'olezzo. Girò la chiave nella serratura e con molta forza aprì la porta che, graffiando il pavimento di pietra, ululò come il più affamato dei predatori.
Eric era steso sul letto, pancia in su, visibilmente scosso da convulsioni febbrili e in uno stato di spaventoso pallore. Gli occhi incavati, le rughe giallastre e il tremore delle mani indicavano che il prigioniero doveva essere molto debole e affamato. Probabilmente non aveva nemmeno dormito.
«W-Will» Mugugnò appena lo vide.
William mostrò un sorriso compiaciuto d'approvazione. Ad Eric era bastato molto meno tempo per ridursi in uno stato pietoso. Ricordò che lui i primi giorni di prigionia gli aveva passati a sgolarsi, a prendere a pugni la porta e graffiare le pareti. Si era indebolito da non riuscire più nemmeno a camminare ma se avesse avuto l'occasione che Eric aveva avuto in quel preciso momento, di certo non si sarebbe limitato a pregare mugugnando.
«Mio signore» Gli rispose con un ghigno malvagio William. Le parole uscirono dalla bocca senza sforzo, come se fosse stato facile come bere un bicchier d'acqua, come se Will non avesse mai smesso di farlo, quando in realtà quelle erano state le prime parole emesse dopo tanto, tanto tempo. Uscirono, però, nel tono beffardo che lui stesso voleva donargli.
«E' giunto il momento».
«T-ti p-prego».
Will non badò alle suppliche, si avvicinò al prigioniero, lo prese per il braccio e lo spinse in piedi. Eric barcollava e si reggeva a mala pena in equilibrio ma riuscì comunque ad uscire dalla cella e risalire i piani del castello senza aiuto. Continuò a supplicare e chiedere pietà, ma William mostrò il lato più maligno di sé stesso, che raramente aveva mostrato in passato. Non si fece addolcire dalle scuse del suo prigioniero e continuò imperterrito a spingerlo senza degnarlo di risposte.
Il castello si trovava sulla cima di una collina, dalla quale si dominava la visuale completa di tutta la capitale e, infatti, appena uscirono all'esterno, gli occhi di entrambi gli uomini furono rapiti dal panorama. Mentre William non mostrò alcun segno di sorpresa, gli occhi di Eric tremarono e si soffermarono, a lungo, a scrutare l'orizzonte. L'espressione che si stampò sul suo viso emaciato sembrava quella di un uomo che si è appena svegliato da un incubo ma che ha scoperto che l'incubo non è altro che la realtà stessa in cui si è svegliato. Rimase a bocca aperta per qualche minuto sforzandosi di ricordare cosa potesse essere successo alla capitale del suo regno. Ma le idee erano ancora troppo confuse per delineare una trama logica e sensata. L'intera città era rasa al suolo: non c'era un edificio che si reggesse in piedi, eccetto il castello; il silenzio dominava la scena, ponendo un tenebroso interrogativo su dove potessero essere finiti tutti i cittadini che, come di consueto alle ore più calde della giornata, riempivano le strade di un brusio confusonario.
Will lo strattonò, costringendolo a continuare la loro marcia e, a quanto pareva, Eric riusciva ad intuire benissimo dove sarebbe terminata. Trovò difficoltà a scendere i numerosi gradini di marmo e ad attraversare le viette acciottolate della città, e per questo fu lievemente risollevato quando finalmente arrivarono a destinazione. Il suo cuore ballava all'impazzata nel petto e gli sembrava di aver camminato per ore e ore. Spostò lo sguardo dal luogo al proprio corpo, dove distinse chiaramente, qua e là, vasti segni di ematomi dovuti, molto probabilmente, a colluttazioni violente.
La piazza delle esecuzioni era completamente deserta, tranne per un pilastro di pietra e due sedie di legno che dominavano la scena, nel più abissale silenzio, sorgendo là dove un tempo si ergeva il patibolo. Will allargò il braccio invitando il prigioniero a prendere posto in una delle due sedie. Eric arrancò, completamente sfinito, e scelse, ovviamente, di sedersi alla più vicina. Notò solo allora che, davanti a lui, sopra il blocco di pietra era stata preparata una scacchiera, pronta per giocare la partita. Si rincuorò, pensando che forse, il suo vecchio amico, non avesse ancora intuito i suoi poteri e, se avesse avuto fortuna, lo avrebbe potuto fregare ancora.
«C-che...cosa...è...s-successo?» Domandò con un filo di voce il re, guardandosi intorno.
Will, che nel frattempo aveva preso posto all'altro capo del pilastro di pietra e si trovava, ora, faccia a faccia col proprio prigioniero si limitò a dire: «Giochiamo» con un piccolo ghigno disegnato sul volto. Fissò dritto negli occhi il re mentre un pedone bianco, mosso da una forza invisibile, si spostò di due caselle in avanti. Cominciò allora a spiegare: «Ho distrutto l'intero paese, mio signore. Da solo, in fin di vita e con le mani legate».
Quel poco di coraggio che aveva riempito Eric di speranza vorticò via in un batter d'occhio. Prima rimase inorridito a fissare il pedone bianco muoversi da solo e poi ascoltò Will come se avesse avuto di fronte dio in persona. «C-che...c-che significa?...c-chi sei?».
«Svegliati, amico mio» Rispose l'altro, invitandolo con un gesto della mano a giocare «Non mi riconosi? Sono William, William Wittelsbach. Ricordi quella sporca gattabuia dove mi hai fatto rinchiudere fino a qualche giorno fa? Beh...» Scosse il capo in segno di disapprovazione mentre studiava la mossa sbagliata del compagno, troppo distratto ad ascoltarlo per concentrarsi a sufficienza. Ora un pedone nero era affiancato a quello bianco. «...In poche parole, là, nel buio, ho scoperto di avere un potere molto interessante. Sai, la cosa più buffa è che se tu non mi avessi impriogionato, io non avrei mai potuto scoprire questo mio talento nascosto, e se non avessi mai scoperto questo mio talento nascosto...». Il pedone bianco si mosse, urtò contro quello di Eric, che cadde faccia a terra contro la scacchiera. All'improvviso prese a vibrare e a ruotare su sé stesso, poi si levò in aria fermandosi all'altezza degli occhi, ostacolando il loro contatto visivo. William alzò un dito verso l'alto e all'improvviso il pedone nero cominciò a tremare più forte e a sgretolarsi in una miriade di finissimi frammenti che presero a ruotare attorno al suo indice per poi scomparire nel vuoto. «...a quest'ora tu saresti ancora - ingiustamente - re, io sarei - ingiustamente - incolpato di tutto e il popolo sarebbe ancora vivo e mi ricordarebbe - ingiustamente - come uno sporco bastardo che lo ha tradito» Concluse con tono severo, osservando e giudicando l'incapacità di Eric di trovare parole opportune per rispondere.
La partita continuò, allora, in silenzio, ma si concluse in fretta, con la vittoria di Will. Questo poteva significare solo una cosa. Il vincitore si alzò, brandì con rabbia leonina lo scettro e pronunciò in tono trionfale: «Oggi è un gran giorno, Eric, per me, ma soprattutto per te. Gioisci perché tu sarai il primo di tutti a cadere, sarai la prima vittima della nuova era...» Ma si fermò a metà discorso. Rimase per qualche istante spiazzato a scrutare, perplesso, il petto nudo del proprio prigioniero e notò che, tra le piaghe giallastre, era presente una lunga cicatrice, identica alla sua. Eric non ebbe il tempo di dire 'aspetta' che la croce dorata sulla cima dello scettro incontrò violentemente il suo cranio, spezzandolo con un sonoro colpo sordo.



Edited by Checkmãte - 20/4/2013, 14:39
 
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