Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Erdkun ≈ Sangue ribelle

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 8/11/2013, 23:37

Esperto
······

Group:
Member
Posts:
4,411

Status:



Nelle viscere della terra, negli abissi della notte, si cela un orrore sopito.
E' un incubo senza forma che striscia nell'ombra, agonia lancinante che afferra repentina, un alito di morte soffiato dal vento dell'inverno. I nani la chiamarono la Catastrofe, incapaci persino di dare un nome all'abietta atrocità che loro stessi, artefici della propria rovina, portarono alla luce. Le antiche fortezze crollarono, le loro tecnologie andarono perdute, un'intera civiltà cancellata, e su tutto calò il velo dell'eternità. Coi secoli la gente dimenticò, ma non per questo l'orrore svanì: rimase in attesa, inabissato fra le montagne, pronto a riemergere a tempo debito.

Quel tempo, ora, è arrivato.


_________ ____________________________ _________


ASY4yej


~ Cronache della Ribellione
Giorno di Combattimento 4


Sento le grida risuonare per le strade in lontananza, lo scalpiccio di passi in corsa, e più vicino il lieve tintinnio attutito delle armi foderate di tessuto che sbattono contro le cotte di ferro. L'aria è soffocante, la vista offuscata dal fumo dei focolai che divampano in ogni angolo del quartiere, gli occhi pizzicano e lacrimano, ma riesco comunque a scorgere attraverso la cortina le ombre dei miei compagni che guizzano veloci, diretti ognuno al proprio posto, pronti a dar battaglia. Non l'avranno vinta. Non contro di noi.
Vergo queste righe a capofitto, col fiato mozzo e il sudore che mi imperla la fronte, mentre attendo l'arrivo del drappello di soldati e lo scattare della nostra trappola. Il tempo scarseggia, ma la testimonianza della nostra resistenza non può essere taciuta. Ormai sono passati cinque giorni dall'emanazione della prima legge contro i nani per volere del Gerarca Rodric, che ha segnato l'inizio della repressione, e quattro dalla nascita del movimento di Ribellione. In principio hanno voluto escluderci dalla vita pubblica di Aberan, precludendoci i mestieri più remunerativi, vietando al resto degli abitanti di frequentare le nostre botteghe, imponendoci il coprifuoco. Non tutti sono insorti, non subito, ma non è passato molto tempo prima che decretassero di rinchiuderci in questo lurido ghetto, isolati dalle altre razze neanche fossimo appestati, e poco dopo di espellerci direttamente dalla città; allora sì che ogni nano degno di tale nome si è unito alla nostra battaglia, deciso a sacrificare tutto quanto pur di non vedere la propria gente piegata e sottomessa.

C'è silenzio adesso, la quiete prima del terremoto, ma da oltre la coltre e l'oscurità, al di là dei caseggiati che ci circondano, odo giungere attutiti gli incitamenti dei nostri compagni impegnati a combattere, a soffrire e morire per la nostra causa. Ogni tanto sento urlare anche il mio nome, come un grido di guerra, quasi che da solo potesse infondere forza nelle membra appesantite dal freddo acciaio, coraggio nei cuori grevi di disperazione. ENKIDU! ENKIDU! Forse è così, io lo spero. Sono stato scelto come guida dal mio popolo: piuttosto che tirarmi indietro preferirei morire, anche se a volte non posso fare a meno di interrogarmi... sono davvero all'altezza del compito? Non lo so, ma ciò che conta è che io non mi arrenderò finchè ci sarà un barlume di vita nel mio corpo. Questi uomini hanno giurato di seguirmi verso qualunque sorte, non posso tradirli.

Rumori nella penombra sempre più fitta: il tempo delle parole è finito. Vedo Jahir che mi fa cenni dal tetto di fronte a me, dove è appostato. Da lì gode di una visuale ottimale sulla strada, e i suoi gesti possono significare una cosa soltanto: il drappello della Guardia Cittadina sta arrivando. Mi giro verso i miei soldati, i miei amici, e quello che leggo sulle loro facce segnate dal tempo e temprate dalle battaglie è solo ferrea determinazione. La cosa mi rincuora, ma allo stesso tempo un pensiero mi attanaglia: quanti di quei volti si saranno trasformati in maschere di morte entro la fine della giornata, gli occhi ora accesi di furore ridotti a specchi vitrei? Troppi, temo, eppure non ci sono alternative allo scontro.
Rinsaldo la presa sull'ascia. Un respiro profondo prima del salto.
Mi getto.


_____ __________ _____

~ Cronache della Ribellione
Giorno di Combattimento 6


Tenebre: il crepuscolo è calato su Aberan come un manto di velluto, ponendo fine ai combattimenti, seppure per poche ore. Non riesco a dormire, contemplo le stelle: nel silenzio della vastità notturna, sotto la volta incastonata di gemme e diamanti, immerso nella quiete dell'universo, sembra quasi di essere in pace col mondo e con se stessi. Come se un'altra battaglia non ci aspettasse domani, e poi il giorno dopo, e quello dopo ancora, finchè l'ultima goccia di sangue non avrà bagnato questa triste terra. E' così che sogno la mia gente, come il cielo sopra di me: sereno e in armonia, alieno ad ogni conflitto. Invece, l'unica somiglianza che riesco a riscontrare è con queste stelle - nobili nel loro splendore, sì, ma separate le une dalle altre, sparse per l'infinità dell'universo. Siamo un popolo smembrato e diviso, ma non è sempre stato così. Una volta avevamo una casa nostra, formavamo una grande nazione: quanto vorrei che quel tempo tornasse. Il mio sguardo vaga nell'ombra, verso le sagome monolitiche dei monti che sovrastano la città: cosa si nasconde fra le gole e sopra i picchi di quelle montagne? Esiste davvero, ancora oggi, una delle nostre ancestrali dimore, celata là da qualche parte?

Un rumore dal buio. La mano corre alla bipenne, ma è soltanto la sentinella che cambia posizione. Non è il mio turno di guardia: dovrei approfittare di queste poche ore per riposare ma non riesco a dormire, e allora scrivo alla flebile luce della luna. Ormai è quasi una settimana che ci battiamo, il campo di battaglia si è esteso al di fuori dei nostri settori: mezza Aberan è devastata, l'altra metà continua impassibile nella vita di tutti i giorni, cercando di ignorare ciò che sta succedendo. Alcuni uomini si sono uniti alle nostre fila, ma nella maggior parte dei casi le altre razze risultano indifferenti alla nostra lotta - quando siamo fortunati. Più spesso, decidono di unirsi alle milizie cittadine con l'obiettivo di espellerci o ucciderci tutti. Noi nani non siamo mai stati particolarmente amati in questa città, neppure in tempo di pace. Oggi Rodric si è autonominato Arconte della Guardia Cittadina; i Gerarchi che si opponevano sono stati eliminati, gli altri hanno fatto atto di sottomissione riconoscendolo loro superiore. Ormai regna incontrastato su Aberan.

Fatico a scrivere. Le braccia sono pesanti e fanno male, affaticate dal peso delle armi. E' stata un'altra giornata di aspri combattimenti fra le vie della città, in mezzo agli sbarramenti improvvisati rovesciando carri e casse di legno, sotto l'incessante pioggia di pietre e dardi dai tetti, nemici o alleati. Ancora adesso sono vivide nella mia mente le immagini delle corazze impolverate della milizia e delle armature ammaccate dei miei compagni, lo scintillio rapace delle lance, gli schizzi di sangue nell'aria fumosa, il terreno fradicio di interiora sgorgate dai ventri squarciati e i cadaveri mutilati che ingombrano le strade. Jahir si è battuto bene, ma non meglio di altri. Lo sto addestrando e forse un giorno diventerà qualcuno, ma ora non è ancora pronto, è troppo giovane e inesperto. Shaelan invece ha lottato come una furia, falciando un nemico dopo l'altro. C'è del tenero fra i due, e prima dello scoppio dei combattimenti stavano perfino progettando di sposarsi. Mi chiedo se potranno mai coronare il loro sogno, prima della fine.

E' il momento di posare la penna e provare a riposare almeno un po'. Presto sarà giorno, un altro giorno di sangue, e il mio corpo ha bisogno di forze fresche, per quanto la mia mente sia logorata. Mi auguro un sonno senza sogni, ma so già che gli incubi verranno a tormentarmi di nuovo.
Negli ultimi tempi, strane creature popolano le mie notti, incessantemente.
Creature d'ombra e malvagità.




nanopost_zpsb2ca3fbe


~ Cronache della Ribellione
Giorno di Combattimento 9


Sono arrivati sul far della sera come una marea nera e ribollente, sciamando senza sosta dalle montagne a nord. Abomini informi, osceni esseri demoniaci portatori di morte. Non sono riuscito a distinguerli bene nella luce sempre più fioca, attraverso i fumi trafitti dai dardi del sole morente e la nebbia accesa di bagliori dorati e purpurei, ma ho visto ciò che rimaneva dopo il loro passaggio: ammassi di corpi riversi per terra, straziati e prosciugati, sui volti paralizzati nella fissità della morte espressioni di gelido terrore, come se avessero visto qualcosa di troppo orribile per appartenere a questo mondo. Probabilmente è così.
A un certo punto mi è parso di scorgere lo stesso Rodric incedere in mezzo all'ondata spettrale, del tutto incurante del massacro in corso attorno a lui; il suo corpo ha iniziato a contorcersi e deformarsi, la schiena inarcata ad un'angolazione impossibile, le ossa si sono spezzate e hanno lacerato la pelle, mentre muscoli e tendini venivano recisi con schiocchi secchi. Ha gettato la testa verso il cielo e spalancato la bocca, mentre un turbine nero prorompeva da lui. Infine si è accasciato a terra, esamine.

Ho perso di vista i miei compagni - che ne sarà stato di loro? Poco prima dell'invasione sono stato ferito: mi sono ritirato in questo vicolo nascosto per riprendere fiato e tamponare l'emorragia, e adesso sono solo. La paura mi attanaglia. Sento la fine avvicinarsi con passi inesorabili. Ero preparato a morire in battaglia, con l'ascia in pungo e un nemico tangibile, concreto di fronte a me. Ero preparato all'acciaio che affonda nelle carni, spacca le ossa e trafigge le viscere, ma non a questo, non a un'ombra che mi afferra e mi divora senza poter fare nulla. E' dunque così che tutto si conclude? Il mio sogno, il nostro sogno è destinato a evaporare come rugiada al mattino? Fra qualche anno, chi si ricorderà più di Enkidu Eresh’kigal, dei nani di Aberan e della loro Ribellione? Il pensiero di non poter vedere, un giorno, la nostra gente di nuovo riunificata mi strazia più di una lama nella carne.

Sento un sibilo gelido avvicinarsi da oltre l'angolo. Mi sporgo, e fra le volute di fumo intravedo a stento una sagoma nera dai contorni disumani che avanza verso di me, rimodellandosi ad ogni passo. Pare della stessa vaporosa consistenza della cortina, si distorce, si piega e riallunga mulinando in vortici frenetici, protuberanze contorte si estroflettono con fluidità quasi liquida, grumi d'ombra vengono risucchiati all'interno. Da che tremendo abisso è emerso questo abominio?
Non ne ho idea. So soltanto che il mio tempo è giunto.

Impugno l'ascia, per l'ultima volta.





Edited by 'Alchimista del Drago - 9/11/2013, 12:00
 
Top
Caccia92
view post Posted on 9/11/2013, 00:38






Shaelan. Te ne sei andata così, tra lampi neri e artigli di fuoco.
Non posso farcela da solo, Shaelan. Questo posto è andato a farsi fottere nel momento stesso in cui sei sparita nella notte. Io sono solo un giovane nano, una nullità. Come posso risolvere questa situazione?

Ho paura. Gli incubi mi tormentano e le giornate non passano mai. Quando potrò udire di nuovo il corno dei grandi antichi? Quando potrò rivedere le alte mura, fumare la radice di drago o sostare all'ombra delle tende rosse?



Erano passati diversi giorni dall'attacco, ma ancora nell'aria persisteva l'odore delle bestie. La foresta ai limiti della vallata sembrava fremere di vita, gli uccelli avevano interrotto il loro canto e un fumo denso si alzava da Est. Era stato un assalto violento e senza scampo, erano stati sopraffatti in meno di qualche minuto. Odiava quelle creature. Lui aveva combattuto, si era difeso, aveva provato a salvarla...e non c'era riuscito. Le sue budella si torcevano per quello. Sotto la costellazione del fuoco aveva pianto lacrime amare, commiserandosi nella sua inutilità, impazzendo nella sua impotenza. L'armatura ammaccata, il cuore infranto, la borraccia vuota. Disperato e corrotto dal terrore.
Così si presentava Jahrir Gahkoor, erede della grandiosa stirpe dei nani orientali. Grandiosa...per modo di dire. Dello sfarzo e della maestosità rimaneva ben poco e quel poco, spesso, risiedeva nei suoi pantaloni, appena sotto le mutande: una moneta. Ammaccata e corrosa dal tempo, la moneta raffigurava un re del passato e racchiudeva molti ricordi perduti negli anni. Probabilmente aveva un valore, anche se Jahrir non era mai riuscito a spenderla.
Aveva freddo, ma non poteva accendere un fuoco per riscaldarsi. La fortezza incombeva all'orizzonte e riusciva a percepire gli occhi luminosi che sondavano la piana erbosa. I suoi pensieri andavano ai caduti della battaglia, alla sua amata, al suo amico d'infanzia. Era stato versato tanto sangue e parte della colpa era sua.
Tossì. Il gelo della notte incominciava a dare fastidio.

« Forse è giunto il momento di ritirarsi... »

Quelle parole facevano male al cuore. Sputò per terra.


Dannazione! Non era lui il rivoluzionario, non era lui che organizzava le rappresaglie e i piani politici. Dov'era Enkidu quando serviva? Quel maledetto mascalzone si era lasciato prendere dai demoni proprio nel momento di maggior bisogno. Quanta frustrazione! Probabilmente era solo la conseguenza delle perdite appena subite, ma non riusciva a capacitarsi di quanto era accaduto. Prima erano tanti, erano vigorosi e forti...ora rimaneva un solo nano. Un nano con il moccolo al naso e la tremarella, colto alla sprovvista da un inverno rigido e pieno di orrori. Sarebbe stato meglio morire assieme a tutti gli altri. Almeno non avrebbe dovuto sopportare il peso del rimorso e dei rimpianti. Una tristezza che ti afferrava il cuore, stringendolo poi con dita di acciaio e cemento.
Si portò le mani al volto. L'erba bagnata dalla brina gli stava inzuppando il sedere, ma non gli importava. Niente aveva più un senso. Shaelan, Enkidu, i ragazzi...erano scomparsi. Dove sarebbe andato? Provò a pensare alle possibilità che gli restavano: l'unico sentiero percorribile era quello della fuga, dell'anonimato, dell'esilio. Nascondersi ad Aberan per un po' di tempo. Sarebbe stato al sicuro, lontano dalla fortezza e dall'alone di malvagità della regione dei demoni.

E tu, antico signore, cosa avresti fatto?

Jahrir raccolse la moneta antica dalla tasca dei pantaloni. Era fradicia come i suoi indumenti.
Percepì il profilo stilizzato del re sotto i polpastrelli.

Saresti fuggito alla tua immensa reggia, illuminato dalla luna, scortato dai tuoi califfi?
Io sono solo, non ho alleati e la stelle non brillano all'orizzonte.


Jahrir si alzò, maledicendo ancora una volta il freddo della notte. Guardò verso la fortezza, il fumo nero che svaniva piano piano nell'aria. Lasciava indietro il passato e un presente tormentato, un'amore distrutto e la sensazione di essere l'ultimo vero combattente del reame dei nani. Prima di andarsene, scavò una minuscola buca nel terreno per seppellire la moneta dell'antico re. Seppelliva così anche la sua ultima fonte d'ispirazione.




_________ ____________________________ _________






Prese il diario dal comodino e cominciò a leggere. In un istante, riuscì a perdersi tra le pagine che odoravano di muffa e inchiostro di basso costo. Le parole scivolavano davanti ai suoi occhi, rievocando immagini terribili e ricolme di sofferenza. Man mano che scorreva il racconto, questo infrangeva la barriera dei suoi ricordi e imprimeva nuovamente la storia nella sua mente. Era un rituale quotidiano, ormai. Non era masochista, non gli piaceva quella storia, ma non voleva scordare le eroiche gesta dei suoi compagni, la puzza acre delle bestie, il buio e l'oscurità. La memoria non lo avrebbe abbandonato, anche se aveva perduto tutto il resto. "...mi sono ritirato in questo vicolo nascosto per riprendere fiato e tamponare l'emorragia, e adesso sono solo..." continuava il testo "...la paura mi attanaglia. Sento la fine avvicinarsi con passi inesorabili...". Rievocare le scene del massacro era l'unico modo che conosceva per restare vivo.
Da giorni non mangiava, da giorni non dormiva. Era sempre al bancone della locanda a tracannare birra, sporcando una barba già lercia. Sebbene il suo onore lo continuasse a punzecchiare da dietro, la sua coscienza si rifiutava di riprendere in mano le redini della vita. Andava avanti così, ubriacandosi e barcollando fino alla stanza che aveva affittato. Poi si gettava su letto di paglia, riprendeva in mano il diario e leggeva. Leggeva fino a vomitare l'anima. Aveva trovato il libricino in uno dei vicoli della città, mentre fuggiva dall'assalto dei demoni, ultimo cimelio ed eredità del suo amico Enkidu. Quanto gli mancava. Quanto gli mancavano tutti. Perché il destino aveva concesso a lui quella pena? Perché non era morto come il resto del gruppo?
Fanculo!

Jahrir si alzò, instabile sul pavimento di legno.
Gettò a terra il diario, pentendone subito dopo. Era così arrabbiato con se stesso.

« Chi cazzo devo pregare per un po' di pace?
Che cazzo devo fare?
»

Crollò in ginocchio, le lacrime che rigavano il volto rabbuiato.
Le rotule dolevano. Stava invecchiando ad un ritmo spaventoso.

« Shaelan...io non ci riesco da solo...non ce la faccio... »


Qualcosa urtò il vetro della finestra. In un secondo, Jahrir scattò verso il letto, raccogliendo l'ascia bipenne. Si acquattò, in silenzio, tentando di ascoltare i rumori proveniente dall'esterno. Per qualche minuto non accadde nulla. Poi eccolo di nuovo: un altro colpo, più violento del primo. Si avvicinò cauto alla finestra e diede un'occhiata fuori. Era notte e le ombre avvolgevano il piccolo villaggio come un sudario, tuttavia una fiaccola posta all'entrata della locanda permetteva di osservare la strada sottostante. Lì, immobile come una statua, sostava una piccola figura nera. Dalla postura curva, l'individuo doveva essere stremato.
Jahrir rimase in attesa. La figura solitaria raccolse l'ennesimo sassolino dal sentiero di terra battuta e lo lanciò contro la finestra della sua stanza. Chi era quell'idiota che si metteva a lanciare sassi dopo la mezzanotte?
Spalancò la finestra.

« Che cosa credi di fare? »

Sollevò l'ascia per manifestare le sue intenzioni. Era da qualche settimana che ad Aberan non si vedevano forestieri.
E quello era decisamente un forestiero.

« Mostrati! »

L'altro sollevò il cappuccio del mantello.
Jahrir spalancò la bocca come un ebete e quasi svenne.


Impiegò diversi secondi a riprendersi, andare alla porta della stanza, precipitarsi giù dalle scale - svegliando il proprietario - e aprire il cancelletto della locanda. Fece largo al visitatore inaspettato, maledicendosi per non avere un mantello con cui coprirlo. Di tutte le persone che potevano entrare dall'uscio semidistrutto della catapecchia in cui si era rintanato, quella era decisamente l'ultima. Anche perché pensava fosse morta.
Fece sedere Enkidu sull'unico sgabello del salone principale. Prese una birra da sotto il bancone, ignorando le proteste del proprietario, e la porse al suo amico resuscitato. Poi crollò sul pavimento, sopraffatto dalle emozioni.

« Io...io non so cosa dire... »

« Non abbiamo molto tempo. So che questo potrebbe essere traumatico per te... »

Enkidu bevve un lungo sorso di birra, mostrando i segni di una profonda stanchezza.
Era chiaramente fuggito da qualche cosa.

« Siamo tutti vivi. Sì, tutti, anche la tua amata. Ci hanno tenuti prigionieri fino a questo momento, alcuni sono stati torturati. Sembra impossibile, ma sono riuscito a fuggire in qualche modo. Sapevo che saresti venuto qui, sapevo anche quale stanza avresti preso in affitto. D'altro canto, questo era il luogo di ritrovo del nostro passato...comunque, non sono qui per codardia. »

Lo disse come se fosse plausibile una cosa del genere.
Quel nano non era mai stato codardo. Mai.

« Dobbiamo organizzare un gruppo di salvataggio, in fretta. I nostri compagni sono ancora dentro la fortezza, incatenati alle pareti fredde, sorvegliati dai demoni. Non possiamo abbandonarli! »

Enkidu si alzò, rinvigorito dalla birra. Era già pronto alla battaglia, alla rivoluzione.
Come i bei vecchi tempi in cui tutto sembrava possibile.

« All'alba ci troviamo alla piazza centrale di Aberan. »

Jahrir rimase pietrificato, avvolto dall'aura gloriosa del suo vecchio amico. Sorrideva, un dolce senso di appagamento che gli riscaldava il cuore. Sapere che c'era ancora una speranza per Shaelan era l'antidoto a tutti i veleni che lo avevano corrotto in quei giorni. Un barlume di luce nel bel mezzo dell'oscurità.

Sì, l'alba sarebbe stata splendida.

 
Top
view post Posted on 9/11/2013, 15:27

Esperto
······

Group:
Member
Posts:
4,411

Status:



La città stato di Aberan sorgeva nel rigoglioso entroterra del Perwaine, non distante dal confine meridionale fra Akerat e Mondo Umano; si innalzava imponente fra le sue alte mura di granito alle pendici della Zanne, una vasta catena montuosa che tagliava l'orizzonte da parte a parte dilaniando il cielo coi suoi bianchi artigli. Regno fiorente, Aberan era sempre stata un crocevia importante per le rotte mercantili terrestri, situata in una posizione strategica all'interno di un'area ricca di risorse naturali grazie alle montagne che la sovrastavano: il commercio del legname delle foreste di pini e dei minerali dalle cave fra i monti era facilitato ulteriormente dalla presenza della Lacrima Blu, il fiume che sgorgava dalle Zanne e fluiva attraverso la città prima di proseguire il suo corso fino al mare; le leggende spiegavano il suo nome con una storia avvolta nel mistero: la Lacrima sarebbe stata generata dal pianto delle montagne, addolorate dalle nefaste vicende cui avevano assistito secoli prima, quando ancora i nani imperavano nelle loro roccaforti fra i picchi innevati. Nessuno, però, sapeva aggiungere molto altro circa questi ignoti avvenimenti.

Aberan era una metropoli variegata sede di comunità e razze assai diverse fra loro, e ciò si rispecchiava nella sua struttura caotica e disordinata, in cui ogni area della città mostrava una faccia differente dall'altra a seconda del gruppo etnico maggiormente presente: strade spaziose e regolari intersecate perpendicolarmente si alternavano a budelli di vicoli e stradine immersi nel buio e nella sporcizia, edifici alti e slanciati cedevano il posto a tozze costruzioni ammassate le une sulle altre, templi e chiese di ogni forma e dimensione sorgevano a testimonianza di una miriade di culti. Una babele di archi, colonne e cupole, pagode esotiche e portici squadrati, moli di legno e ponti arcuati che formavano un'architettura illogica e anarchica.

Tutto questo, però, prima dell'invasione. Adesso, ormai, buona parte di Aberan era ridotta a una maceria fumante, le case in rovina, gli abitanti terrorizzati. La Ribellione dei nani e la guerra intestina avevano già provocato danni ingenti; l'arrivo delle creature demoniache e la seguente mattanza aveva fatto il resto.


aberan_zpsf10427cf


Nubi cariche di cattivi presagi sovrastavano l'ammasso caotico della città, mentre la luce dell'alba filtrata attraverso i nembi incendiava le rovine di bagliori rossastri, come se le case stessero ancora bruciando, perfino ora, perfino dopo giorni dall'attacco e dopo le piogge scese a ricoprire come un sudario traslucido una tale opera di morte. Nella piazza centrale le macerie erano state rimosse, i cadaveri trasportati via, ma l'atmosfera era più lugubre che mai. Macchie di sangue insozzavano la pavimentazione, gli scheletri delle abitazioni serravano lo slargo come spettri incalzanti, e sui volti ingrigiti erano dipinte espressioni di dolore.

Enkidu Eresh’kigal si guardava attorno. Dopo essere fuggito dalla fortezza fra le montagne dove i demoni lo avevano trasportato insieme agli altri prigionieri, prima di far visita a Jahir era riuscito a radunare alcuni superstiti scampati al massacro e determinati ad aiutarlo nella sua impresa: riconquistare la roccaforte e liberare i loro compagni. Da una parte era terrorizzato al solo pensiero di dover tornare in quel luogo oscuro, ma dall'altra non poteva fare a meno di tentare l'impossibile pur di riuscirci. La sua gente contava su di lui. Era la loro unica speranza.

« Non è un gruppo molto... grande. »

Si girò verso Jahir, che lo fissava con sguardo preoccupato: giusto il giorno prima l'aveva recuperato dall'abisso di depressione in cui era sprofondato dopo l'invasione demoniaca e la perdita di Shaelan, la sua amata, interrompendo il suo inesorabile processo di autodisfacimento. Non aveva un bell'aspetto, ma dal suo sguardo si ricordò che lui doveva essere messo anche peggio. Abbassò gli occhi verso una pozza d'acqua sporca ai suoi piedi, studiando il riflesso tremolante sulla superficie: un volto duro e scavato, temprato dai lutti e solcato da un reticolo di rughe profonde. Aveva visto troppi inverni, e troppo rigidi. La prigionia non aveva migliorato le cose: gli occhi erano infossati e le guance scavate, sembrava quasi un teschio scarnificato; i capelli erano fradici e aggrovigliati, la barba annodata ancoar più lunga del solito.
Soprattutto, si sentiva stanco. Stanco nell'anima.
Quanto tempo mi rimane? Non molto, temo.

« Forse hai ragione, ma è grande il loro coraggio! »

Doveva rinsaldare le certezze di Jahir, degli altri... e anche di se stesso. L'amico aveva ragione: erano pochi, ma ciò non li avrebbe fermati. Sarebbero riusciti nell'impresa, o morti tentando.
Scrutò ancora la folla di uomini radunata nella piazza, in attesa della partenza della spedizione. I vecchi Gerarchi, dopo la morte di Rodric, avevano ripreso il potere e inviato bandi e richieste d'aiuto fin oltre i confini dell'Akerat, promettendo riconoscenza, gloria eterna e più concrete ricompense. Nonostante quasi tutti i prigionieri fossero nani, infatti, anche loro temevano un'altra discesa dei demoni dalle montagne, che avrebbe potuto radere definitivamente al suolo la città e ucciderli tutti. Ma non più di questo: a parte pochissimi, gli uomini non intendevano mischiarsi ai nani, da sempre disprezzati, in una simile avventura, e anche adesso si tenevano a debita distanza dal gruppetto di arcigni guerrieri radunati attorno a lui e Jahir, osservando in silenzio. Eppure Enkidu riusciva a vedere comunque qualche faccia non nota in mezzo ai suoi amici: forse erano avventurieri giunti in città mentre lui era ancora segregato nelle celle della fortezza, in risposta ai bandi emessi dai Gerarchi. Gli sconosciuti parevano avere l'intenzione di partire con loro. Ogni aiuto è ben accetto. Non sarò certo io a rifiutarli.

Prese un respiro profondo e dall'alto del palchetto di legno che si ergeva nel mezzo della piazza parlò con voce arrochita:

« Compagni nani... o qualunque sia la vostra razza, vi dirò la verità: è un'impresa pericolosa, quella che ci apprestiamo a compiere, forse mortale. Qualche settimana fa un nemico bestiale, che pensavamo scomparso, ha fatto la sua ricomparsa, devastando Aberan, uccidendo e rapendo i nostri amici. Io stesso sono stato condotto prigioniero in un'antica fortezza fra le montagne a nord delle mura, che in un'epoca remota apparteneva a noi. Sono riuscito a scappare, ma non i miei compagni: ecco perchè ho organizzato questa spedizione, per liberare i prigionieri, riconquistare la roccaforte e distruggere i demoni. »

Il discorso fu breve, ma del resto il tempo scarseggiava.
Urla di approvazione si levarono dagli altri nani riuniti ai piedi del palco, e un lieve brusio corse fra la gente assiepata intorno.
Jahir poggiò una mano sulla spalla di Enkidu, stringendo e scuotendolo, come a dire: conta su di me.

« Allora... »

Ruggì infine Eresh’kigal,

« CHI E' CON NOI? »



CITAZIONE
~ QM POINT

Benvenuti nella Quest Erdkun - Sangue Ribelle. Il significato dei post penso sia chiaro. Nei primi due è narrato l'antefatto della giocata: la comunità nanica insediata nella città di Aberan è sconvolta prima da una violenta repressione voluta dal Gerarca Rodric, poi dall'invasione di strane creature venute dalle montagne. Jahir, uno dei nani, si salva, ma credendo morti Enkidu, suo mentore e amico, Shaelan, sua amata, e tutti gli altri si ritira in se stesso, fino a quando non riceve la visita dello stesso Enkidu, che gli rivela la verità. La maggior parte dei nani è tenuta prigioniera in un'antica fortezza fra le vicine montagne, in attesa di essere salvati: i due organizzano una spedizione con pochi superstiti, mentre anche i Gerarchi della città inviano richieste d'aiuto in giro per il mondo. Nel terzo post torniamo al presente: la spedizione, in procinto di partire, è radunata nella piazza principale. Per questo primo turno non dovete fare altro che descrivere il vostro arrivo nei giorni precedenti ad Aberan, in risposta a uno dei bandi letti in giro, o dopo aver sentito raccontare questa storia, o semplicemente per caso, mossi dalle vostre motivazioni, e la vostra presenza nella piazza. Terminate il post poco prima della partenza. Potete usare il topic in Confronto per interagire fra di voi o con i png (cittadini a caso, i nani del gruppo, gli stessi Jahir ed Enkidu) sia nei giorni precedenti che al momento presente, in modo da inserirlo nei vostri post. E' tutto, per il momento.

... Quasi dimenticavo! Ringrazio il sempre gentilissimo Coldest per l'header-titolo iniziale.


 
Top
.Azazel
view post Posted on 14/11/2013, 14:53




Erdkun
Sangue Ribelle, Atto I
___ _ ___


~


La Locanda dei Sussurri era la sua preferita, per due motivi.
Il principale era il silenzio che aleggiava nel locale, un silenzio d'obbligo, creatosi per evenienza e utilità verso il secondo motivo: le lingue e le orecchie della clientela erano sicuramente a conoscenza di ogni sorta di missione, incarico o qualsiasi altro lavoro in grado di procurare un bel guadagno per chi fosse realmente interessato a rischiare la vita.
Era il crocevia dei mercenari, il rendez-vous prediletto dagli avventurieri e dai soldati di ventura, e momentaneamente pure da Kel'Thuzak.
Entrò con calma serafica dalla porta e la richiuse dolcemente dietro di sè, accompagnandola come un gentiluomo porta la propria amata, dopodichè s'avvicinò al primo sgabello, dinanzi al bancone.

« Una birra. »
L'oste, che secondo Kel era un troll reincarnatosi in uomo, era alto più di due metri e forse era altrettanto largo, oramai non si spaventava nemmeno più alla vista del Mezzanima, tant'è che gli rispose con un cenno e non rabbrividì nemmeno per poco.

« Hai qualcosa per me, Sokkar? »
La voce profonda era ridotta ad un sibilo serpentino, proprio come s'addiceva al nome della locanda, oramai diventata caratteristica e consuetudine per poter dialogare al suo interno.
Il colossale locandiere poggiò sul bancone ligneo il boccale di birra, diede le spalle al goryano e ne prese un secondo appena svuotato da un altro cliente e con un panno di stoffa iniziò a ripulirlo a dovere, con le enormi manone che lo serravano in una morsa micidiale.
Kel temette per il boccale.

« Sì. Qualcosa di interessante... »
Il suono della sua voce evocava la curiosità nell'altro, non c'era niente da fare, era un dono innato: instillare interesse verso l'interlocutore per trarne un guadagno. Oramai era un cliente abituale della locanda e conosceva bene il modus operandi del gigantesco uomo che aveva di fronte.
Se paghi avrai notizie.
Se paghi bene avrai ottime informazioni.
E quella volta Kel aveva con sè il denaro sufficiente per soddisfare la seconda opzione, la migliore sul mercato.
Da sotto il mantello afferrò un bel sacchetto gonfio di monete d'oro e lo adagiò sul bancone, affianco alla birra, ancora nemmeno sfiorata. Il tintinnio del metallo prezioso fece vibrare l'oste che smise di dare le spalle e si voltò sfoderando un sorriso che partiva da un orecchio e terminava all'altro.
Certo, era uno spettacolo di cui si faceva volentieri a meno vista la condizione dei denti dell'uomo, perlopiù marci e ingialliti, ma poco male, se non altro di lì a poco sarebbero giunte delle notizie degne dell'oro appena speso.

« Questa birra è costata molto. Spero vivamente che ne sia valsa la pena. »
La velata minaccia fece scomparire rapidamente il sorriso marcescente del taverniere che tornò alla sua solita espressione corrucciata e burbera.

« Città di Aberan, al confine meridionale, la troverai alle pendici delle Zanne, la catena montuosa del luogo. Pare che i nani abbiano bisogno di spade e braccia forti e decise per impugnarle, è una missione di recupero di ostaggi, molto probabilmente altri nani, caduti vittime di un assalto da parte di un nemico sconosciuto, almeno così hanno riferito le mie fonti. »
Non ci fu risposta, Kel s'alzò dallo sgabello e fece un cenno all'oste col capo, infine si diresse alla porta e se ne andò lasciando la locanda immersa completamente nel brusio derivante dai mormorii continui dei presenti intenti a parlare.
O a scambiarsi informazioni.


[...]


Il tempo non era dei migliori, pareva rappresentare lo stato d'animo generale e lo sfacelo prodotto dagli attacchi dei giorni scorsi. Le abitazioni erano scheletri neri e silenziosi che si stagliavano verso il cielo, ossute dita che indicavano e maledicevano gli Dèi per non averli salvati dal tracollo e dalla rovina. Se non altro la piazza era stata un minimo ripulita dalle macerie e dai corpi dei caduti durante i vari giorni di combattimenti, solo una manciata di pozze di sangue rappreso facevano intuire ai presenti la mole di morte distribuita poche ore prima.
La tensione era alta e i mercenari che scelsero d'incamminarsi nel Perwaine per varcare le porte della città-stato di Aberan erano abbastanza numerosi: la scelta dei nani di scrivere nei bandi d'aiuto, sparsi un pò dappertutto, in maniera chiara ed esaustiva la parola "Ricompensa" fu il carburante necessario per mobilitare un maggior numero di uomini che, difficilmente, si sarebbero accontentati di gloria e gratitudine da parte del popolo nanico.
La voce rauca di un nano posto sopra il palchetto al centro della piazza richiamò l'attenzione di tutti i presenti.

« Compagni nani... o qualunque sia la vostra razza, vi dirò la verità: è un'impresa pericolosa, quella che ci apprestiamo a compiere, forse mortale. Qualche settimana fa un nemico bestiale, che pensavamo scomparso, ha fatto la sua ricomparsa, devastando Aberan, uccidendo e rapendo i nostri amici. Io stesso sono stato condotto prigioniero in un'antica fortezza fra le montagne a nord delle mura, che in un'epoca remota apparteneva a noi. Sono riuscito a scappare, ma non i miei compagni: ecco perchè ho organizzato questa spedizione, per liberare i prigionieri, riconquistare la roccaforte e distruggere i demoni. »
Ci fu una breve pausa dove i nani superstiti gridarono enfatizzando il discorso del loro compagno, alcuni mercenari si unirono a tale grido.

« Allora... CHI E' CON NOI? »
L'ora dei reclutamenti era scoccata: far parte della spedizione di salvataggio ed eliminazione del nemico o abbandonare la città di Aberan. Le scelte erano due ma solamente una era l'opzione giusta da prendere.
E Kel'Thuzak fu il primo a farsi avanti, senza alcun indugio, perchè l'incertezza il più delle volte, uccide.

Si fece largo fra i presenti, scostando anche in maniera poco dolce le poche anime che lo distanziavano dal palchetto centrale: « Sarò dei vostri. Kel'Thuzak è il mio nome e Neracciaio la mia lama. »
Sfoderò Neracciao e la tenne alta sopra la testa come per voler siglare e ufficializzare con tale atto la sua scelta di intraprendere la missione.
Alcuni impallidirono, altri tremarono alla vista della spada che emanava l'altra metà dell'anima di Kel, pura energia corrotta che però non smosse minimamente un muscolo al nano che aveva di fronte; sicuramente ne aveva viste fin troppe nell'arco della sua esistenza per impaurirsi di fronte a Neracciaio.
Il mezz'uomo lo salutò e gli diede il benvenuto.
Un altro individuo si fece avanti ponendo poi un quesito ai nani e sul nemico che li aveva attaccati.
La risposta non provenì dal nano che intavolò il discorso iniziale, bensì da un altro, rimasto in disparte fino a quel momento.

« Il mio nome è Jahrir. Siamo in conflitto con i demoni della fortezza, creature prive di pietà. Tengono prigionieri dei nostri compagni e noi intendiamo liberarli. »
Il punto focale era più che chiaro.
Il primo nano, Enkidu Eresh’kigal, riprese la parola e puntualizzò sulla natura del nemico in questione, una natura sconosciuta, un avversario antico e oscuro, indubbiamente pericoloso e pronto ad espandersi in tutto il continente mettendo a ferro e a fuoco tutte le popolazioni presenti sul territorio. I nani erano solamente i primi di una lunga lista e di conseguenza sarebbe stato meglio sedare l'emergenza, volevano evitare che la piaga presente nella fortezza potesse espandersi ovunque come una malattia virale.

« Se questa non è una motivazione sufficiente, sono sicuro che chi regna su Aberan sarà generoso nel ricompensarti per aver salvato la città. »
Non vi fu frase più azzeccata per risvegliare un mostro dormiente come la cupidigia presente nell'animo di Kel che, immediatamente, volle chiarire alcuni punti che riguardavano le ricompense citate da Enkidu.

« Oltre alle ricompense da parte dei regnanti locali, immagino che se trovassimo qualcosa di valore nella vostra roccaforte possiamo tenercela. D'altronde abbiamo fatto un lungo viaggio solo per aiutarvi e se lungo la strada ci capitasse sotto mano qualcosa che ci interessi non penso vi dispiaccia se ce ne appropriassimo. Alla fine incoraggerebbe la nostra efficienza per quanto riguarda la disinfestazione demoniaca, o sbaglio? »
Sarebbe sicuramente parso come una persona venale, attaccata solo ed esclusivamente ai beni materiali.
E lo era.
Ciò che lo infastidiva era farlo capire in maniera così esplicita ma alla fine non ebbe molta importanza vista la situazione: erano mercenari, soldati che offrivano un servizio armato in cambio di una ricompensa.
Il volontariato non rientrava nei suoi passatempi.

« Da un essere delle tue fattezze non mi sarei potuto aspettato altro. »
Inaspettatamente un altro individuo fuoriuscì dalla marmaglia presente nella piazza e con tono piuttosto velenoso si rivolse al non-morto.
Portava lunghi capelli neri, baffi e barba folta e due profondi occhi azzurri, ma la caratteristica predominante era un'insana predisposizione al suicidio. Kel lo squadrò dall'alto verso il basso.

« Da un essere del genere dovrai aspettarti ben altro... »
Lo liquidò con poche parole per poi dargli nuovamente le spalle per focalizzare l'attenzione su Enkidu, interrotto dall'entrata in scena dell'uomo barbuto. La risposta del nano non tardò ad arrivare: con tono duro dichiarò che era impossibile impossessarsi di tutto ciò che era presente nella fortezza poichè era di loro proprietà, comunque sia riuscì a rassicurarlo promettendo che oltre ai nobili, pure loro li avrebbero ricompensati per il lavoro svolto.
Chiusa in maniera definitiva la parentesi onoraria, era giunto il momento dei quesiti riguardanti il nemico.

« Non si sa molto sul nemico, questo è chiaro, ma vi sarete pur fatti un'idea sul perchè abbiano colpito la vostra razza e la roccaforte in vostro possesso. Dubito fortemente sia un attacco casuale anche se, ovviamente, posso sempre sbagliarmi. »
I nani non erano una razza molto incline al dialogo, preferivano agire e colpire con le loro asce e martelli da guerra, poco ma sicuro. Lo potè capire dal volto irritato di Enkidu dopo le troppe domande poste dal non-morto. Tagliò corto affermando che la rivalità tra il popolo nanico e questi demoni era una lotta secolare denominata da loro stessi come "la Catastrofe".
Con il cielo coperto da nubi nere come la notte era difficile intuire che ore erano ma un timido raggio solare fece capolino tra i lembi di nuvole, illuminando flebilmente il volto di Enkidu.

« E' l'alba: inizia il nostro viaggio. IN MARCIA! »
Un nuovo giorno era arrivato.
La spedizione sarebbe partita con l'unico obbiettivo di trarre in salvo il maggior numero di nani presi in ostaggio ed eliminare il nemico. Forse nemmeno un'intera armata sarebbe riuscita nell'impresa ma era proprio per la difficoltà di certe missioni che si scrivevano e tramandavano le leggende.
Forse i libri di storia della razza nanica, in un futuro prossimo, avrebbero narrato delle loro gesta.
Forse.



Edited by .Azazel - 14/11/2013, 15:20
 
Top
Stella Alpina
view post Posted on 14/11/2013, 15:21




Erdkun ≈ Sangue ribelle

-Un ingaggio inaspettato-










Perwaine, taverna del muschio rosso, cinque giorni prima


Bondir si accasciò sull'ennesimo anonimo sgabello dell'ennesima anonima taverna in uno stramaledetto paese qualunque. Il viaggio di fuga che aveva intrapreso ormai da qualche giorno l'aveva portato di cittadina in cittadina alla ricerca di un posto in cui fermarsi, un luogo da poter cinicamente chiamare casa, uno in cui poter affogare i propri ricordi e i propri rimpianti in pinte di birra, di quella scadente fatta dagli umani. Il nano ignorò i molti sguardi caduti su di lui, ormai c'era abituato. Era la stessa storia da giorni e così succedeva persino nella sua città: Aberan. I nani sembravano non piacere a nessuno, forse per la loro chiusura mentale o il loro essere scorbutici, ma lui cosa poteva farci? Era stato creato così e così sarebbe rimasto. Cambiassero gli altri maledizione! La lunga barba castana ormai sudicia e bagnata da giorni tremò sotto gli scossoni del pesante capo al pensiero di dover cambiare. Il suo carattere si era forgiato in più di cento anni, quello degli umani non arrivava ad ottanta, nelle migliori aspettative. Il tutto senza considerare l'orgoglio e la testardaggine della razza nanica.
Lo sgabello leggermente sbilenco si spostò da una gamba all'altra sotto il peso di Bondir che imprecò sonoramente tentando di non perdere l'equilibrio. L'ultima cosa che ci voleva per attirare l'attenzione era un bel rovinare a terra. Quello sì che avrebbe attirato sguardi. I piccoli occhi del nano vagarono in giro per la taverna a scrutare i volti dei presenti. C'era poca gente e, a parte i soliti curiosi, nessuno sembrava troppo interessato a lui per il momento. Bondir esaminò la taverna alla ricerca di possibili vie di fuga, porte nascoste e armi in bella vista. Da quando era fuggito da Aberan non faceva altro che quello, aspettarsi un'altra imboscata da parte dei demoni. Chissà che non l'avessero seguito fin lì. Per quanto ne sapeva potevano essere già nella taverna ad attenderlo. Il pensiero andò ai suoi compagni di rivoluzione spariti nel nulla e a quei volti terrificanti visti nell'oscurità. Aveva sempre considerato vere le storie su quegli esseri tramandate di nano in nano dalla Catastrofe in poi, ma mai avrebbe immaginato di doverne venire a che fare. In fondo non era neanche mai entrato in una delle roccaforti naniche. Questo era un suo rimpianto. Come poteva definirsi un nano se non aveva neanche mai visto una vera dimora della sua razza? Ma in realtà l'aveva vista. Tutti i giorni la vedeva nella mente, attraverso i racconti dei suoi compagni più anziani. Era come se ci fosse realmente stato, ne vedeva tutti i particolari, dalle colonne più grandi alle rune più piccole. Quell'immaginario era fermo nell'animo di tutti i nani, ci si nasceva con quelle conoscenze. Il loro dio li aveva creati così, proprio come li aveva creati tutti bassi, robusti e con quel caratteraccio.
Lo sguardo di Bondir si fermò su uno strano individuo in fondo alla sala. Era difficile non notarlo, il suo alto cappello a tesa larga calzato in testa non era usuale a vedersi e l'espressione dura volgeva verso di lui. Lo stava fissando. Era uno dei demoni? Forse no, probabilmente era un altro disagiato che si assicurava di non correre pericoli, come lui.
Il braccio del nano si alzò a chiamare l'oste che si avvicinò prontamente a prendere l'ordinazione. Una pinta di birra, forse anche due. Il ragazzo dietro al bancone annuì e lo servì di tutta fretta per poi allontanarsi da lui, quasi avesse una malattia contagiosa. Sia mai che gli dovesse crescere la barba a dismisura, che gli si abbassassero le gambe e gli crescesse la pancia. Avrebbe avuto da guadagnarci, altroché!
Il labbro superiore del nano si infilò avido all'interno del bicchiere alla ricerca della birra, sperando in un sapore quanto meno decente che giustamente non fu. Non ci faceva più caso da tempo, quel che beveva beveva, era più l'atto del bere quello che gli fungeva da rilassante, che lasciava scivolare via i ricordi. Ricordi brutti, di quelli che non si augurerebbero a nessuno ma che lui purtroppo aveva. Permise alla mente di rievocare per l'ennesima volta i fatti accaduti ad Aberan, di passare in rassegna tutti i volti che conosceva e che aveva conosciuto. La pinta di birra finì e ne iniziò una seconda, poi una terza. Il cuore si stringeva sempre di più e le lacrime si trattenevano lì sul bordo degli occhi. Un gruppo di ragazzi seduti al tavolo dietro di lui scoppiarono in una gran risata riempiendo la taverna con il suono delle loro voci. Al nano salì la rabbia. Si voltò all'improvviso scagliando il bicchiere vuoto contro il tavolo di quegli impertinenti. Il vetro andò in pezzi ma senza ferire nessuno. I ragazzi si alzarono di colpo cercando di evitare schegge impazzite. Il silenzio calò nella sala.

« Cosa diavolo avete da ridere? Se aveste visto quello che ho visto io non ridereste così, ve ne stareste rinchiusi a casa sotto le coperte, sperando che quei demoni non vi trovino e che passino oltre le vostre porte in cerca di qualcun altro! »

Il silenzio si fece se possibile ancora più pesante. Sapevano di cosa stava parlando? A giudicare dai loro volti probabilmente no, ma non gli importava. Si girò verso il bancone e lanciò un paio di monetine sul pianale indicando poi la birra e di seguito il bicchiere rotto, poi uscì di tutta fretta per la strada vuota, sotto gli sguardi di tutti. Una volta fuori respirò avidamente mentre l'aria fresca gli accarezzava il viso accaldato. Aveva smesso di piovere e la temperatura era quasi piacevole. Si lasciò alle spalle la taverna e si avviò per la via. Avrebbe dormito per strada da qualche parte, non aveva abbastanza soldi da permettersi una camera ovunque andasse.
Un rumore di passi alle sue spalle lo fece voltare di scatto, mano alla cintura in cerca del martello. Il suo sguardo si incrociò con due occhi azzurri penetranti, due occhi che appartenevano al tizio con il cappello nella taverna. Non sembrava avere brutte intenzioni e anche se il suo istinto vibrava, non provava quella sensazione di pericolo che in genere sentiva in presenza di guai. La mano fissa sul martello e lo sguardo torvo, il nano lo indicò con un cenno del capo.

« Che cosa vuoi da me, umano? »

L'uomo sorrise appena e lo sguardo si intensificò. Le armi erano riposte e il fisico era rilassato, non stava per attaccare.

« Parlami di quei demoni... nano. »






Perwaine, Aberan, tempo attuale


Aaron si spostò lasciando passare alcuni nani diretti verso il gruppo principale. La piazza era gremita di gente e di razze di tutti i tipi. Il redentore era arrivato quella mattina stessa e non era stato difficile per lui trovare il punto di raduno. Moltissime persone in città si dirigevano in quel punto. Alcuni per unirsi alla missione, molti altri per assistere alla partenza di quel gruppo così eterogeneo. Era una situazione difficile per gli abitanti, un gruppo di demoni era piombato su di loro in mezzo ad una ribellione e aveva colpito senza distinzioni l'uno e l'altro schieramento. Molti erano stati fatti prigionieri, a dire dei nani, nella roccaforte che sovrastava la città. Quei demoni sembravano essere una minaccia antica, ben conosciuta dai nani e forse la causa stessa del loro abbandono della fortezza. Lo sguardo del redentore abbracciò la piazza. Quella spedizione era stata pubblicizzata in tutte le città come fosse un nuovo evento sociale. Chiunque poteva partecipare e come c'era da aspettarsi, erano giunti in massa cani e porci. C'era gente d'ogni tipo, dai briganti ai mercenari, dai buoni di cuore agli approfittatori. C'era persino un non-morto. Allegria. Il redentore invece si trovava lì per uno scopo ben preciso, eliminare quei demoni di cui si parlava dalla faccia della terra. Era il suo lavoro, viveva facendo quello. Il suo ordine lo aveva indirizzato lì dopo aver ricevuto informazioni preoccupanti riguardo Aberan e lui aveva risposto alla chiamata. Il nano incontrato qualche giorno prima aveva confermato le sue informazioni, una fortuna incredibile averlo incontrato in quella taverna, ma d'altronde non era l'unico fuggiasco nei dintorni e le voci della ribellione erano volate in fretta.
Poco importava in realtà ai nani di chi accorresse alla loro missione, chiunque poteva andar bene purché non fosse uno di quei demoni. Avevano bisogno di numero, questo era certo.
Un nano salì su un panchetto al centro della piazza, rialzo che non lo rese certo di molto più alto, e fece il suo discorso.
Uno dietro l'altro i presenti cominciarono a rispondere e presentarsi, ad offrirsi per questa missione a detta del nano probabilmente mortale. Grande fu lo sconforto del redentore nel constatare che persino il non-morto accettò di parteciparvi. Aveva poco da spaventarsi, morto era già morto, farlo una seconda volta non gli sarebbe cambiato di molto. La mano di Aaron si strinse nervosa sull'impugnatura della spada da lato mentre il suo sguardo si piantava sulla spada sguainata del tipo. Non serviva una mente eccelsa per sentire quanto male provenisse da quella lama. Un brivido freddo scese lungo la schiena gelandolo sul posto. Avrebbe dovuto combattere affianco a quell'essere? Se non si fosse trovato in quella piazza il non-morto sarebbe già caduto per mano sua, ma gli ordini di fratello Gunther erano chiari e non comprendevano di certo un intervento su un obiettivo secondario quale poteva essere quel Kel'Thuzak. Qualcun altro si sarebbe occupato di lui a tempo debito e chissà, magari se ne sarebbero occupati i demoni stessi. Quando il non-morto aprì bocca, le parole che ne uscirono irritarono ancora di più il redentore.

« Oltre alle ricompense da parte dei regnanti locali, immagino che se trovassimo qualcosa di valore nella vostra roccaforte possiamo tenercela. D'altronde abbiamo fatto un lungo viaggio solo per aiutarvi e se lungo la strada ci capitasse sotto mano qualcosa che ci interessi non penso vi dispiaccia se ce ne appropriassimo. Alla fine incoraggerebbe la nostra efficienza per quanto riguarda la disinfestazione demoniaca, o sbaglio? »

Un non-morto e per di più accattone. La sua presenza avrebbe creato parecchi problemi, ne era sicuro.

« Da un essere delle tue fattezze non mi sarei potuto aspettare altro »

Le parole uscirono dal redentore come uno sputo velenoso, il ribrezzo che provava nei confronti del mostro non era certo nascosto. Forse non era una buona cosa iniziare la missione con un nemico in più tra le file ma la situazione non sarebbe stata diversa, l'avrebbe tenuto d'occhio in ogni caso. La risposta dell'altro non si fece attendere e confermò l'impressione del redentore.

« Da un essere del genere dovrai aspettarti ben altro... »

Aaron sorrise suo malgrado, in quel momento desiderava con tutto sé stesso dare una sbirciatina nell'anima del mostro, sempre che ne avesse una, o in alternativa poter vedere quella testolina scheletrica ruzzolare per terra, quello sì che gli avrebbe fatto piacere. Il capo dei nani intervenne per tenere sotto controllo la situazione.

« Non è il caso di mettersi a litigare: potrete risolvere i vostri conflitti personali al termine della spedizione. Per rispondere alla tua domanda, non è una caccia al tesoro quella in cui ci stiamo imbarcando. Ciò che risiede nella fortezza appartiene ai nani per diritto, non potete impossessarvene. Tuttavia, il vostro valore sarà equamente ricompensato anche da noi, se è questo che ti chiedi. »

Il redentore portò il suo sguardo verso il nano, nonostante la sua attenzione fosse ancora focalizzata verso il non-morto. La risposta del nano era rivolta al non-morto ma Aaron si sentì in dovere di chiarire la questione.

« Non sono qui per ricevere ricompense, sono qui per dare la caccia ai demoni che affollano quella roccaforte. Per quel che vale, nano, hai la mia lama. »

Intanto altre persone si erano presentate e finalmente il gruppo sembrava pronto a muoversi. Bene. Aaron lanciò un'ultima occhiata al non-morto, poi si allontanò dal gruppo in modo da poter avanzare tenendo sotto controllo tutti. Quella missione sarebbe stata interessante, se lo sentiva, una buona storia da trascrivere nel diario, sempre che ne fosse uscito tutto intero.

 
Top
Il Senzanome
view post Posted on 14/11/2013, 20:38




« Non ho provato niente, Bjarni.
Gerarth era appena morto e l'unica cosa che ho pensato
è stata 'ho un uomo in meno su cui contare'.
»



Una folata di vento gelido scivola all'improvviso sotto la giacca di cuoio, lasciando una scia di peli rizzati sul suo collo e sulle sue braccia. Non fece nulla per contrastare la sensazione sgradevole. Il suo corpo sentiva freddo, ma la sua mente
la sua mente non sentiva nulla.

Erano passati esattamente quarantatré giorni da quando aveva abbandonato la compagnia mercantile di Yusuf, giorni in cui le sue condizioni mentali erano degenerate in modo incontrastabile. L'Altro - in parte ricordi, in parte volontà - era diventato più che un sussurro ai margini della sua mente o una coperta sulle sue emozioni: era vivo; lucido e pensante come lui, e il tempo l'aveva reso soltanto più forte. Più presente. Più vivo.
Esteriormente era lo stesso di prima: capelli corti ma non tagliati militarmente, d'un mogano scuro invece del biondo paglierino prima della tinta, lineamenti occidentali e poco marcati, chiuso e di poche parole con gli estranei. Un tipico cacciatore stagionale, su cui gli sguardi cadevano per scivolare irrimediabilmente via - invisibile alla gente, in un modo ignoto a psion e maghi. Si chiese oziosamente cosa avrebbe pensato la "gente" se fosse messa al corrente di chi -cosa- era la persona che scivolava non visto tra le loro schiere. Di cosa pensava. Di cosa provava.
-chi di loro devo uccidere?-

« Presumo esista una ragione per la quale tu abbia portato il nostro allegro gruppo di beoni in codesta amena località. »

La frase spaccò la patina di gelo depositatasi sulla sua mente, lacerando il corso dei suoi pensieri con tutta l'affilata ironia che solo un membro della nobiltà può dispiegare. Il sopraciglio che inarcò - bruno, come ogni pelo del suo corpo - incontrò lo sguardo perfettamente controllato di un uomo che invece spiccava nella folla per la sua capacità di vestire finanche quel dignitoso completo da mercante con un'alterigia che nessun mercante mai potrebbe avere. Lord Grommet Telkier, il fuorilegge che alcuni chiamavano "la Tempesta delle Lande" e altri "il Mistico di Fort Malanoche". Il fuorilegge che lui aveva sconfitto e, spinto da un impulso irrazionale, trasformato in un alleato invece di portarne la testa al Goryo per riscuoterne la taglia. Un alleato riluttante, la cui fedeltà era vincolata al dimostrare la possibilità di mantenere un profitto elevato rimanendo al di sotto dei chiacchiericci del popolino che lo avevano trasformato nel criminale più temuto della contea di Ravens Creek.

« Uomini. Soldi. Reputazione. » fu tutto quello che disse.
« La sua eloquenza, signor Gnam- » l'enfasi sul suo falso nome fu tinta di bonaria ironia « -è come al solito eccellente. »

Non rispose.
Assorto, continuò a condurre il suo compagno attraverso l'intrico di viuzze e stradine del mercato vecchio di Aberan. I primi mercanti berciavano le mille meravigliose offerte delle loro bancarelle, i primi a cercare l'attenzione delle vecchie popolane insonni e delle matrone che iniziavano la loro giornata in quel confine crepuscolare che viene poco prima dei primissimi raggi del sole. Piccole bande di ragazzini di strada passavano rubacchiando e borseggiando, suscitando un ribollimento inquietante nel nucleo pulsante dell'Altro. Soldati appena smontati dal turno di notte, servitori in cerca di primizie e prostitute al termine di una lunga nottata di lavoro iniziavano a sciamare per le stradine: il preludio del più infernale pressarsi che l'umanità abbia mai visto, ripetuto in infinite varianti in ogni cittadina del mondo. Il loro cammino li portò sul fondo di un vicolo cieco, un errore urbanistico tipicamente usato come scarico urinali dalle abitazioni che vi si affacciavano.
Non si fermò.

« Sul tetto. »

Prese una rincorsa e saltò verso il muro. A metà del salto una forza invisibile fece presa sulla spada alla cinta, sui coltelli da lancio e su ogni altro pezzo di metallo nascosto sul suo corpo, sconfiggendo per lui la forza di gravità. Scalò il muro con la stessa facilità con cui aveva camminato per le strade fino a poco prima e ben presto i suoi stivali testarono la stabilità delle tegole del tetto, lottando con abilità finora ignota contro l'umidità mattutina che ricopriva l'argilla cotta. Grommet invece lo seguì con un singolo, preciso salto... e quasi inciampò rovinosamente sul tetto bagnato, cosa che gli fece guadagnare l'ennesima un'occhiataccia.
Davanti ai loro occhi, Aberan si risvegliava al primo schiarirsi del cielo.

« Supponiamo di voler creare un impero finanziario capace di fornire un tenore di vita garantito a prescindere da condizioni avverse in condizioni di invisibilità legale. » iniziò. « La diversificazione delle attività diventa indispensabile ad un certo punto, ma all'inizio è sufficiente una singola fonte di introiti. Supponiamo tale fonte sia una compagnia di mercenari. Tale compagnia dovrà risultare specializzata al fine di attirare la giusta clientela. Per costruire dal nulla una simile compagnia servono uomini validi, soldi, reputazione.
Noi non possediamo nessuna delle tre cose. Il modo più sicuro e anonimo per ottenerle è un singolo incarico ad alta visibilità che dimostri come siamo in grado di ottenere risultati importanti con pochi uomini e pochi soldi. Una volta guadagnato il capitale relazionale necessario per avviare l'impresa, il resto seguirà da solo.
»



« I nani della città sono una comunità unita ma dalla storia travagliata. La prima minaccia fu il defunto Arconte Rodric, autore di una campagna repressiva nei confronti della loro razza. La seconda, un'invasione di "demoni" che hanno rapito la maggior parte dei nani. La popolazione locale teme il ripetersi di un attacco, i Gerarchi hanno emesso un bando mercenario. Cosa per noi ancora più importante, il leader della comunità nanica - Enkidu Eresh’kigal - lancerà un appello tra pochi minuti per radunare una squadra con cui infiltrarsi nella fortezza nemica e liberare il suo popolo.
Nessuno, vedendoci rispondere all'appello, ci crederà all'altezza del compito. Quando avremo compiuto l'impresa il nostro nome sarà leggenda fra i nani, stupore fra i mercenari, incredulità fra i soldati. Il popolo di Aberan saprà che il famoso Enkidu, capo della resistenza sotto Rodric, ha liberato la città dalla funesta minaccia... assieme a noi. All'improvviso diventeremo un astro nascente fra le bande mercenarie, coloro cui rivolgersi quando tutti gli altri rinunciano: i Folli cui assegnare lavori che solo un folle con la "f" maiuscola accetterebbe. Coloro che vogliono guadagnare bene o migliorare le proprie capacità si uniranno a noi. Coloro che sono sul punto della disperazione pagheranno qualunque cifra pur di avere speranza sul filo delle nostre spade.
»

Il silenzio che riempì l'aria tendente verso un blu scuro fu denso, pesante e carico di sottintesi. Pochissime cose Grommet Telkier gli aveva rivelato del suo passato, ma l'Altro era stato una fonte inesauribile di informazioni: l'uomo era stato un militare -gerarca, non soldato- e la sua mente era più che in grado di capire cosa il suo discorso significava.
Grommet Telkier sapeva che lui aveva già fatto cose simili.

« Un buon piano... se riusciamo nell'impresa. Ma in caso contrario? »

Nulla del tono annoiato del nobiluomo rivelava la sottile vena di tensione frappostasi fra i due. Lui si era fatto conoscere come spada al soldo, nulla aveva mai dato a vedere che fosse mai stato qualcos'altro. Ora Grommet Telkier si domandava cos'altro lui fosse riuscito a nascondergli.
La risposta fu uno sguardo del colore del ghiaccio più puro, gelido come l'inverno e ancor meno pietoso.

« In tal caso creare un'altra identità falsa non sarà di troppo sforzo. »

___ _________ ___

« Miii, siamo proprio in parecchi acca' ! » commentò sarcasticamente Jonny, a voce non proprio alta ma neppure flebile come avrebbe dovuto essere.
Jonny per poco non morì in quel preciso istante.

Uno dei pochi, pochissimi vantaggi dell'Altro era che difficilmente gli permetteva di avere scoppi emotivi. Persino nella battaglia più cruenta o sotto le provocazioni più gravi, paura e rabbia erano attutite come da una spessa e soffice coperta di lana attorno al suo cuore: percepibili, ma controllabili. Così, anche se una grossissima parte di lui riusciva perfettamente ad immaginare di estrarre silentemente un coltello da lancio dalla manica e conficcarlo lateralmente nella sua gola, lui si astenne. In fondo, era o non era il piano? Aveva detto a Telkier che nessuno vedendo la sua squadra avrebbe creduto loro all'altezza del compito.
Era maledettamente vero.

« Tu zitto mai, eh? » sibilò al suo posto Reginald, mollando un nocchino dietro l'orecchio del ladro di cavalli. Prevedibilmente quello si voltò con aria irritata, biascicando qualcosa che Jason - Killibert, ora - coprì fingendo un colpo di tosse e spostandosi quel tanto che bastava a nasconderli alla vista del nano. Contemporaneamente aprì la bocca e sussurrò un'unica parola:
« Basta. »

Fu silenzio immediato.
-nessuno di loro voleva ritrovarsi oggetto della sua... inimicizia-
Controllò rapidamente che nessuno avesse notato il piccolo alterco, ma la commozione era stata di entità così piccola da essere passata inosservata. Per precauzione fece un cenno a Harmond Joll, l'unico del gruppo in cui riponeva un briciolo di fiducia: pur essendo un assassino condannato, perlomeno lui comprendeva il valore della discrezione.

Eliminate le distrazioni, poté finalmente concentrarsi sull'appello. Enkidu era stato conciso e appassionato, confidente nelle sue capacità, ma per tafferugliare con una minaccia capace di sventrare le difese di un'intera città bisognava essere folli, disperati o semplicemente stupidi. A quanto pare l'auditorio difettava di stupidi: ad essersi fatti avanti erano stati solamente Kel'Thuzak, creatura infernale la cui spada aveva fatto squillare più di un allarme nella sua mente, e un convoluto oratore di nome Sergey Magomedov. Entrambi furono prontamente accettati da Enkidu e prontamente discussero riguardo la ricompensa. Era un bene: dovevano essere ricordati alla fine di quest'affare, e spiccare come unica parte disinteressata era il giusto inizio. Tutto quello di cui aveva bisogno era un'occasione per interveni...

<< Da un essere delle tue fattezze non mi sarei potuto aspettato altro >>

La sua attenzione si catalizzò sul nuovo arrivato: alto, capelli corvini, uno spolverino marrone capace di nascondere molte armi e uno sguardo di tanto odio razziale verso il demone da indurre Enkidu ad intervenire per pacificare la situazione. Un problema in più: un cacciatore di demoni nella compagnia sarebbe stato un -involontario- concorrente al genere di reputazione che lui cercava. Meglio intervenire ora, al termine dei battibecchi... e fare colpo.

« Non sono tesori quelli che noi cerchiamo. »

La sua voce era calma e modulata, pensata per farsi largo nel discorso senza risultare violenta alle orecchie. La voce di una persona che sa cosa vuole e non ha bisogno di far vedere i muscoli per ottenerla. Si fece avanti fra le -poche- persone che avevano risposto all'appello, le sue spalle protette dalle tre persone che lo seguivano. Tutti mostravano armi alla cintola o dietro la schiena, anche se nessuno aveva sguainato lama come Kel'Thuzak, e tutti mostravano nel portarle la confidenza di chi sa come usarle.
Erano mercenari.

Si accostò agli altri tre che più apertamente si erano schierati con Enkidu e guardò il nano dritto negli occhi.
« Il mio nome è Killibert Gnam. Loro sono Joan Butcher, Harmond Joll e Reginald Foe. » La sua mano si mosse a indicare ciascuno dei tre quando venne il suo turno. « Ti seguiremo. »

« Ebbene- » rispose Enkidu, « -non mi interessano le vostre ragioni, ma soltanto la vostra determinazione in questa impresa. »
Un confronto che posso facilmente vincere pensò silentemente Killibert.
« E' l'alba: inizia il nostro viaggio. IN MARCIA! »

L'uomo che si faceva chiamare Killibert Gnam sorrise e si mise lo zaino sulle spalle.
Aveva una leggenda da creare.

 
Top
Emelianenko
view post Posted on 15/11/2013, 18:45




Pioveva.
Il rumore dell'acqua era costante e quasi monotono: ad una ad una le gocce s'infrangevano sulla terra, sulla strada, sulle cose, sulla gente. Ma per chi si trovava al riparo, coperto da qualche mura ed un soffitto, ciò che giungeva era solo una lenta risonanza più simile ad un lamento che ad un baccano. E l'odore della pioggia che, inconfondibile, da sempre aveva ispirato gli animi dei più – ed al quale lo stesso Sergey non era indifferente – penetrava inesorabilmente dalle finestre appena accostate di questo edificio che altro non era che una locanda semideserta, distorto dal più forte odore di fumo e di alcol della peggiore qualità.
Sergey era presente. Vagava ormai da giorni in quelle terre ed aveva deciso di soggiornare nella locanda di Aberan.
Era stanco e tormentato mentre mille pensieri s'alternavano senza tregua. Era reduce da una missione in cui aveva rischiato oltre alla vita anche di perdere la memoria. E forse sarebbe stato meglio così. Starebbe, in effetti, meglio se non ricordasse il suo passato, se i demoni che albergavano in esso non continuassero a torturarlo ed a fargli provare penosi sensi di colpa ogni volta che pensava di poter ricominciare, di esser finalmente pronto a rifarsi una vita.
La pioggia divenne più intensa e di pari passo il baccano della feccia che popolava la locanda diveniva più forte. Vari uomini parlavano di un imminente reclutamento di genti da parte dei nani, per non si sa quale motivo.
Li ignorò.
In quel momento voleva solo riposare, mettere a freno i suoi pensieri anche solo per una notte: l'indomani avrebbe rivolto la sua attenzione altrove.

"Portami un rum"

Disse all'ancella, senza neanche guardarla. Non lo fece per arroganza, anzi: non aveva voglia di parlare e non si sentiva in grado persino di sostenere lo sguardo della più semplice delle persone.
La donna poggiò il bicchiere stracolmo di un liquido maleodorante, senza preoccuparsi delle maniere del suo cliente: probabilmente era abituata a quei modi.
Sergey si irritò. Immaginò che doveva averlo inquadrato come il più bigotto dei furfanti che popolavano quei luoghi; non poteva sopportare quell'immagine e per più di qualche istante fu tentato di alzarsi, di afferrare l'ancella e farle capire chi in realtà lui fosse.
Non fece niente di tutto ciò.
In fondo voleva solo dormire e da un po' di tempo ciò era diventato impossibile senza l'aiuto dell'alcol.

Qualche giorno dopo.


La piazza era ghermita di genti di qualsivoglia razza – anche se per lo più erano nani.
Su un palchetto di legno situato lì in mezzo, un nano dall'aria segnata e quasi sconfitta iniziò finalmente a proferir l'agognato discorso. Sì, perché era da più di qualche giorno che si udivan voci riguardo la missione di soccorso organizzata da questi nani. Sergey era lì, in prima fila, più per curiosità che per esigenza, anche se in effetti l'idea di prender parte al gruppo gli era bazzicata in testa più di una volta.

« Compagni nani... o qualunque sia la vostra razza, vi dirò la verità: è un'impresa pericolosa, quella che ci apprestiamo a compiere, forse mortale. Qualche settimana fa un nemico bestiale, che pensavamo scomparso, ha fatto la sua ricomparsa, devastando Aberan, uccidendo e rapendo i nostri amici. Io stesso sono stato condotto prigioniero in un'antica fortezza fra le montagne a nord delle mura, che in un'epoca remota apparteneva a noi. Sono riuscito a scappare, ma non i miei compagni: ecco perché ho organizzato questa spedizione, per liberare i prigionieri, riconquistare la roccaforte e distruggere i demoni.
Allora...
CHI E' CON NOI? »


Urla d'approvazione e parole di sostegno sopraggiunsero non appena il nano terminò di parlare.
Sergey non riuscì a celare un sorriso provocatorio sul suo volto mentre accendeva una sigaretta con un fiammifero. Un odore di zolfo si sprigionò nell'aria appena lo strofinio del cerino ne provocò l'accensione. Lo ignorò, mentre si pronunciò in un controllato applauso.

"Di certo non si può dir che siate prolisso!"

Asserì con un po' di ironia, mentre alzava la mano sinistra a far intendere la propria collaborazione.

"Ebbene sarò dei vostri, in fondo una guerra è per noi uomini ciò che l'acqua dormiente è per i cigni"

Aggiunse qualche attimo dopo, quasi ad assicurarsi che i suoi modi beffardi non tradissero le sue seriose intenzioni. Non sapeva perché avesse pronunciato quelle parole: forse quel breve discorso era stato più persuasivo di quanto volesse ammettere, o semplicemente non aveva di meglio da fare; probabilmente, voleva solo un pretesto per essere impegnato e non pensare.

« Perdere tempo è un lusso che non ci è concesso. Ogni minuto che passa, un nostro amico potrebbe morire. Sei anche tu il benvenuto. Mi auguro tu sappia combattere bene quanto sai parlare... Come hai detto di chiamarti? »

Le parole erano decise, pronunciate nella maniera dura di chi ben riesce ad intendere chi si trova avanti.

"Oh, lo spero anche io! Anche se in effetti preferisco esser ritenuto un abile oratore più che un guerriero eccelso"

Rispose prontamente - senza abbandonare il suo tono beffardo, per poi porre la sigaretta tra le labbra ed aspirare profondamente. Assaporò per qualche istante il sapore del tabacco, mentre fissava negli occhi il suo interlocutore.

"In ogni caso, Sergey Magomedov è il mio nome. Con chi ho il piacere di parlare?"

Espirò il fumo velocemente, poi aggiunse con tono serio:

"E soprattutto, chi è questo nemico che tanto temete e perché vi avversa tanto?"

La vicenda iniziava ad incuriosirlo: il fatto che il nano non desse troppe informazioni gli fece venir voglia di metterlo alle strette. Non ricevette tuttavia risposta; non quella che si aspettava, quantomeno. Fu di fatti un altro nano ad intervenire.

« Il mio nome è Jahrir. Siamo in conflitto con i demoni della fortezza, creature prive di pietà. Tengono prigionieri dei nostri compagni e noi intendiamo liberarli. »

Parole già sentite...

Leggermente turbato dall'intromissione del nuovo interlocutore, Sergey lo squadrò dall'alto verso il basso per qualche istante. Sul suo volto una malcelata espressione di stupore prese forma, mentre non riuscì a trattenere queste parole:

"Tutto qui?"

Seguì qualche istante di silenzio, poi aggiunse con un finto rammarico:

"Oh, no, non fraintendermi, non cerco di minimizzare i vostri intenti. È solo che, ecco, mi hai detto ben poche cose rispetto al tuo compagno."

Tirò un altro tiro di sigaretta, poi continuò, rivolgendo lo sguardo ad entrambi i nani.

"Il linguaggio chiaro ed eloquente non è certo una virtù che v'appartiene!"

Questa frase fu particolarmente ironica, ma non dovette passare più di un attimo prima che continuasse.

"Tuttavia siamo pochi e - perdonami - ben poco motivati;"

Poi guardò di nuovo il nano che per primo aveva parlato, e continuò.

"qualche spiegazione su chi stiamo affrontando ce la devi"

« Il mio nome è Enkidu Eresh’kigal, e sono il capo di questa compagnia. Non possiamo dirvi molto di più sui nostri nemici, semplicemente perché non ne sappiamo molto. Sono creature abiette, esseri d'ombra e paura provenienti da un passato remoto. Ma una cosa è certa: se non le fermiamo adesso, non saranno solo i nostri amici a pagarne le conseguenze. I demoni si stanno espandendo, e presto tutti i territori umani saranno minacciati da essi. Vuoi lasciare che queste terre vengano devastate e gli abitanti uccisi? Se questa non è una motivazione sufficiente, sono sicuro che chi regna su Aberan sarà generoso nel ricompensarti per aver salvato la città. »

Altri individui s'avvicinarono per confermare la loro presenza. Erano esseri peculiari, Sergey avrebbe speso volentieri un po' di tempo per dialogare con loro, ma preferì non farlo: era troppo irritato dalle parole del nano. Si sentì denigrato, messo a paragone con la feccia che opera solo per il denaro.

"Non per denaro, non per la pace, né per morale. Se verrò con voi sarà solo per un mio capriccio, tenetelo bene a mente"

Disse con tono secco, e quasi distaccato, come se avesse perso ogni interesse nella discussione. Ed in effetti era così: era ormai concentrato solo sulla rabbia che quelle parole gli procurarono. Fu persino tentato di tirarsi indietro – e se non avesse espresso a voce alta la sua presenza probabilmente l'avrebbe fatto. Ma le carte, ormai, erano in gioco.
Gettò in terra con un gesto deciso ciò che restava della sigaretta, ed aggiunse rivolgendo lo sguardo ai presenti

"E dunque, cosa aspettiamo?"

« Non mi interessano le vostre ragioni, ma soltanto la vostra determinazione in questa impresa. È l'alba: inizia il nostro viaggio. IN MARCIA! »

Endiku confermò le sue parole ed i suoi propositi.
A testa bassa e passo lento, Sergey fece per incamminarsi e potersi porre in prima fila. Una nuova missione stava per cominciare e forse avrebbe rischiato anche la sua vita. Almeno lo sperava. Perdere la vita in quel viaggio era una fine ben più onorevole di quanto meritasse.
 
Top
view post Posted on 20/11/2013, 18:00

Esperto
······

Group:
Member
Posts:
4,411

Status:



La catena montuosa si innalzava sopra la nebbia come scogli acuminati che emergono da un mare spumeggiante.
La spedizione proseguiva a fatica lungo percorsi dimenticati, tracce appena visibili nella foresta, immersa nella bruma che si levava dal terreno come in un sudario impalpabile; l'umidità si attaccava alle stoffe dei vestiti e alla pelle scoperta condensandosi in goccioline d'acqua, gelida nell'aria fredda del mattino. Tutto attorno emergevano dal vapore figure confuse: in mezzo a quella coltre lattea pini e alberi contorti fluttuavano come spettri dannati per l'eternità venuti a perseguitarli, i rami protesi quasi a ghermirli. Il terreno era scosceso e accidentato, fradicio d'acqua per le piogge dei giorni precedenti; i nani e gli altri procedevano arrancando fra la vegetazione e facendosi largo nell'intricato sottobosco. Erano partiti da ore ormai: di Aberan non rimaneva che un ricordo lontano e una sagoma indistinta a voltarsi all'indietro, sempre che si riuscisse a trovare un varco fra nebbia e piante per guardare verso valle; parecchio più in alto svettavano le cime delle Zanne, imbiancate dalla neve come affilati denti d'avorio, che dilaniavano il cielo plumbeo sopra le loro teste. Il gruppo stava nel mezzo, in un limbo evanescente dove spazio e tempo andavano perdendo di significato: impossibile orientarsi con certezza, altrettanto stabilire da quanto esattamente fossero in viaggio. Proseguivano per forza d'inerzia, guidati dal giudizio di Enkidu e costeggiando il letto della Lacrima Blu quando possibile: non sempre la macchia boschiva concedeva spazio sufficiente per camminare ai lati del corso del fiume. C'era silenzio nella foresta, un silenzio innaturale: non si udivano i versi degli animali, i canti degli uccelli nè il tramestio delle creature del sottobosco. Gli unici suoni erano il frusciare delle foglie mosse dal vento e i respiri affaticati degli uomini.

Un silenzio di morte.


montagne_zpscd803f74


Enkidu camminava in testa alla colonna, rimuginando sulla loro missione mentre i piedi lo conducevano lungo lo stesso percorso che aveva seguito la notte in cui era scappato dalla fortezza. I nani erano tutti guerrieri di lunga esperienza, coraggiosi e determinati: non era quella la fonte delle sue preoccupazioni, se non per il loro esiguo numero. Gli stranieri che si erano aggregati al gruppo, invece, lo lasciavano interdetto. Certo, ogni spada era essenziale per un'impresa ai limiti del possibile, ma anche il suo possessore contava. Il demone scheletrico che rispondeva al nome di Kel'Thuzak non gli andava a genio, nè tanto meno la sua arma dall'aura corrotta. Non gli era sfuggito il fremito di tensione corso fra gli altri alla sua vista, soprattutto nell'uomo presentatosi in seguito come Aaron Richter. Eppure perfino quella creatura sarebbe tornata utile - o almeno così sperava. Combatti il fuoco con il fuoco, ricordava di aver pensato. Gli altri avventurieri accorsi a rispondere al suo appello non fornivano maggiori rassicurazioni: Sergey Magomedov, alto, capelli corvini e occhi azzurri pareva più bravo a parlare e provocare che a maneggiare una spada; e poi c'erano i mercenari capeggiati da quel Killibert Gnam, personaggio criptico i cui contorni precisi ancora sfuggivano ad Enkidu.
Si voltò verso la compagnia, esaminando il loro incedere stentato. Potrebbero davvero non bastare. Pensò cupo, aggrottando la fronte. Forse, però, avevano ancora un'altra possibilità. Sarebbe stato duro convincerli, ma decisivo averli con loro.

« Qual è il piano, Enkidu? Dovremo porre d'assedio la roccaforte? »

Jahrir gli si era avvicinato, interrogandolo con un'espressione angustiata. Il suo volto così familiare era ormai come un libro aperto per lui: poteva leggervi la disperazione per la perdita della sua amata, Shaelan, la determinazione assoluta per liberarla, il timore di non essere all'altezza della situazione. Ma lo sarai. Un giorno, dovrai esserlo per forza.

« Non siamo abbastanza numerosi per riuscirci... »

Enkidu puntò lo sguardo lontano, assorto, cercando di scorgere oltre il velo di nebbia la loro meta. Invano.

« Se siamo fortunati, altri lo faranno per noi. Conosco un passaggio segreto, lo stesso che ho usato per fuggire, ma abbiamo bisogno di un diversivo. »

Jahrir lo guardò stupefatto:

« Altri? Cosa intendi dire? »

L'anziano nano si assicurò che fossero fuori dalla portata degli altri, e spiegò:

« Questi monti non sono abitati solo da demoni e bestie selvatiche, sai? I Clan delle montagne vivono nascosti sulle Zanne da tempo immemore, uomini poco più che barbari, si dice, ma dal grande valore. Gli abitanti pigri e inflacciditi di Aberan non ci hanno voluto seguire, anche se è la loro vita in pericolo. Questi sono diversi: temprati dalla vita selvaggia, forgiati nel ferro e nel sangue, abituati a combattere per vivere. Vorranno salvare le loro dimore al punto da superare l'avversione verso noi nani. Se non altro, così mi auguro. »

L'amico lo fissò per qualche secondo, elaborando le nuove informazioni.

« Nascosti, hai detto: come pensi di trovarli? »

Enkidu gli concesse un sorriso tetro.

« Oh, penso proprio che saranno loro a trovare noi. »


_________ ____________________________ _________



Non passò molto tempo prima del loro arrivo. Enkidu sapeva che da quando i demoni era sciamati per la prima - e almeno al momento, unica volta - su Aberan, gli uomini dei Clan erano in stato dall'erta. Prima ancora che i cittadini della Città Stato, erano loro a correre i rischi maggiori, trovandosi a metà strada fra la fortezza, ormai ridotta a covo infetto di quegli esseri abietti, e le bianche mura della metropoli. Ne aveva rilevato la presenza, la notte in cui era fuggito: ombre guizzanti nella liquida oscurità, mormorii dalle tenebre. Aveva potuto percepirli - lo sapeva bene - soltanto perchè così avevano deciso loro: volevano fargli capire che lo controllavano e che niente passava inosservato fra le loro foreste. Quella volta avevano deciso che lui, solo e fuggiasco, non costituiva una minaccia. Ora però un intero drappello armato a tutto punto solcava i loro aspri territori: doveva aspettarsi che le cose andassero diversamente.

Così infatti fu: giunsero di sorpresa, materializzandosi dalle piante come silenti creature silvane. L'aspetto però era decisamente più rozzo e minaccioso: possenti guerrieri barbuti, le braccia percorse da fasci di muscoli e nervi, le armature ridotte a pochi brandelli di cuoi bollito o ferro rugginoso assemblati senza ordine alcuno; qualcuno indossava un mezzo elmo ammaccato, altri potevano vantarsi di schinieri e spallacci logori. Il loro equipaggiamento non era altro che il frutto di razzie ai danni degli incauti viaggiatori o dei villaggi dell'entroterra - si tenevano sempre lontani da Aberan, troppo scintillante e pericolosa con i suoi sfarzi. Erano almeno una trentina e impugnavano mazze e picche puntate a riccio verso il gruppo, oltre a archi con le frecce già incoccate. Enkidu si arrestò, sollevando una mano, e urlò imperioso ai suoi uomini:

« FERMI TUTTI! »

Voleva evitare qualsiasi reazione pericolosa: gli avversari erano in superiorità numerica, ma quello non sarebbe stato un problema se il loro scopo fosse stato combattere e sconfiggere i bruti. Avevano affrontato troppe battaglie per temere un manipolo di avversari del genere. Il fatto era che avevano bisogno del loro aiuto per portare avanti la missione, e adesso uno scontro dagli esiti mortali avrebbe compromesso ogni possibilità di guadagnare la fiducia dei Clan.

« Abbassate le armi. »

Le sue parole erano scandite da un tono di inflessibile autorità, maturato in anni di guida e di comando. Esalò un lieve sospiro di sollievo quando con la coda dell'occhio colse gli altri seguire i suoi ordini.
Uno dei guerrieri si fece largo dall'anello di lame avanzando verso Enkidu: spessi anelli di ferro serravano le ciocche nere argentee di barba e capelli, una lunga cicatrice frastagliata gli tagliava il volto in diagonale, dall'angolo della bocca all'occhio sinistro, ridotto a un grumo tumefatto.

« Chi siete, e cosa volete? »

Ringhiò rivolto al nano con un forte accento, brusco e gutturale.

« Non abbiamo intenzioni bellicose. Veniamo da amici. »

« Questo lo vedremo. »


_________ ____________________________ _________



Il Concilio si teneva in una radura circolare immersa nel fitto del bosco, racchiusa all'interno di un cerchio di pini svettanti come lance conficcate nel terreno. Vi partecipavano i capi tribù dei più importanti Clan, una dozzina o poco più, ognuno con la sua delegazione di fedelissimi e un manipolo di guerrieri come scorta: le varie comunità erano ben lontane dal vivere in armonia fra di loro, senza contare la più recente minaccia dei demoni. Erano passate poche ore da quando il gruppo di nani e mercenari era stata presa in consegna, e in quel lasso di tempo Enkidu aveva fatto il possibile per informarsi su quello che stava succedendo, per riferirlo poi ai suoi compagni. A quanto pareva proprio nel giorno della loro partenza da Aberan, i Clan delle Montagne avevano fissato un Concilio straordinario che doveva riunire tutti i rappresentanti delle varie tribù, per deliberare la strategia definitiva da adottare nei confronti del nuovo pericolo. C'era chi sosteneva la necessità di un intervento risolutivo, un attacco diretto alla fortezza per debellare le creature dalle Zanne una volta per tutte, e chi invece era fautore di una politica più attendista e discreta, consistente nel rafforzare le difese e rimanere in disparte, nascosti, finchè tutto non fosse passato. Pochi erano quelli che avevano suggerito di lasciarsi alle spalle quei monti e cercare una nuova casa: gli uomini dei Clan erano troppo attaccati alla propria patria anche solo per prendere in considerazione un'idea simile.

I leader delle varie tribù sedevano su grossi scranni intagliati in tronchi d'albero e disposti a cerchio all'interno della radura, e discutevano animatamente già da diverso tempo, senza giungere a una conclusione. La compagnia guidata da Enkidu attendeva in disparte, sorvegliata da un nutrito drappello di soldati, in qualità di ospiti inattesi. A un certo punto uno dei comandanti impegnati nell'assemblea additò verso di loro, ruggendo in un idioma incomprensibile. Eresh’kigal si voltò verso gli altri, mentre le guardie li sospingevano avanti attraverso un varco nel cerchio, verso il centro del Concilio. Si era raccomandato con loro riguardo al comportamento da seguire, soprattutto con gli stranieri che si erano aggiunti al gruppo di nani: se aveva ragione, erano essi quelli a cui i mezzi-barbari avrebbero prestato più ascolto. D'altronde, il disprezzo delle altre razze verso i nani era fatto tristemente risaputo. Sperò che avessero compreso le informazioni e le istruzioni fornite: non minacciare direttamente i membri riuniti in Concilio, ma cercare di convincerli con i mezzi della diplomazia, o meglio ancora dell'inganno, a perorare la loro causa e aiutarli nella spedizione contro la fortezza. Dovevano sfruttare la predisposizione di quelli già intenzionati a un attacco risolutivo, e far percepire a tutti la concretezza e immediatezza del pericolo. Siamo nelle loro mani, adesso. Un pensiero non proprio incoraggiante per Enkidu.

L'uomo che aveva richiesto la loro presenza si rivolse verso Richter, Magomedov, Killibert e i suoi uomini. Era alto e muscoloso, il cranio completamente calvo, gli occhi neri come la folta barba che ne oscurava i lineamenti.

« Sono Zaggar! », si annunciò imperioso, « Capisco cosa vogliono i nani da quella fortezza. Ma voi, cosa vi ha spinto ad aiutarli? »

Gli altri partecipanti grugnirono e annuirono, o continuarono a parlottare tra di loro a bassa voce, discutendo sugli ultimi arrivati in attesa delle loro risposte.

« Siamo qui per chiedervi aiuto in questa missione. E' anche la vostra terra a correre per- »

Jahrir intervenne, ma fu subito zittito:

« Non ho chiesto a te. Voglio sentire loro che hanno da dire. »

Scoccò dunque un'occhiata carica di ribrezzo verso Kel'Thuzak, e aggiunse:

« E cosa ci fa quel demone schifoso qui? »



CITAZIONE
~ QM POINT

Eccoci qui. Quello che succede è chiaro, penso: il gruppo viene sorpreso dai guerrieri dei Clan e preso in custodia, per poi essere portato al cospetto del Concilio che sta decidendo sulle prossime mosse da intraprendere nei confronti dei demoni. Ruoleremo un po' in Confronto col metodo usuale: il vostro compito è cercare di convincere il maggior numero possibile di leader ad aiutare la spedizione coi loro uomini, facendo ricorso alle vostri doti diplomatiche e persuasive. Potete sfruttare i mezzi che preferite, ma pensate bene a quello che fate. Se avete domande chiedete pure, ci vediamo nel topic. Iniziate pure gli interventi rispondendo ai quesiti posti da Zaggar.


 
Top
.Azazel
view post Posted on 28/11/2013, 12:37




Erdkun
Sangue Ribelle, Atto II
___ _ ___


~


Ogni due per tre era un imprecazione lanciata a denti stretti.
La spedizione procedeva a rilento e avanzare nel bel mezzo della foresta era cosa tutt'altro che semplice: tra pozzanghere d'acqua, terreno sotto i piedi che mutava completamente pendenza e conformità nel giro di quattro, cinque passi, il vento gelido mattutino che zigzagando fra il coriaceo legno degli alberi ti schiaffeggiava ricordandoti che eri ancora vivo. Per il momento.
Andava avanti e non disse nulla, il Mezzanima. Come molti della spedizione preferiva bestemmiare interiormente, scaricando la rabbia e la tensione dovuti alla missione. Poco ma sicuro non vedeva l'ora di trovarsi dinanzi la roccaforte posseduta dalle forze demoniache e combattere, se non altro voleva dire che ne sarebbe uscito illeso da quella marcia fatta di cadute e passi incerti.
Era la foresta di qualcuno.
Fu il pensiero che schizzò nella mente dell'uomo qualche istante prima che dei colossi fermarono la loro marcia, seppur stentata. Erano circa una trentina e dall'aspetto e dall'equipaggiamento era chiaro che si trattasse di barbari, riuniti in clan o tribù, e che come casa avevano la foresta stessa. La mano destra si muoveva lentamente nel tentativo di impugnare ed estrarre Neracciaio ma Enkidu ordinò chiaramente di eseguire l'azione diametralmente opposta: « FERMI TUTTI! Abbassate le armi. » La sua voce era decisa e perentoria, sicuramente abituata e malleata, nel corso degli anni, a dare precisi ordini a destra e a manca.
Uno dei bruti si fece avanti rompendo l'accerchiamento, raggiungendo il nano: « Chi siete, e cosa volete? »
Enkidu immediatamente rispose che il loro intento era totalmente estraneo ad atti ostili o pericolosi nei loro confronti ma sapevano bene tutti che non se la sarebbero cavata così facilmente.
Dovettero seguire i guerrieri silvani, volenti o nolenti.

Il Concilio fu organizzato in uno spiazzo immerso nel fitto della vegetazione e i principali capi dei più importanti clan furono convocati, questi ultimi naturalmente non vennero in solitaria, bensì accompagnati dai loro rispettivi gruppetti di guerrieri prediletti e prescelti.
Gli scranni presenti tutt'attorno a loro altro non erano che i seggi sopra i quali i leader di ogni tribù poggiavano il culo ed emanavano sentenze o intavolavano discorsi e dibattiti: sicuramente, negli ultimi tempi, se ne erano stati seduti parecchie volte discutendo con ardore e impeto sulla problematica relativi ai demoni, pericolosi e ignoti vicini di casa.
La comitiva di mercenari e nani era rimasta in disparte per diverso tempo, infine vennero portati al centro del cerchio, al cospetto di tutti i capi tribù.
Il primo a parlare fu un certo Zaggar, uno stereotipo vivente di bruto: completamente calvo ma con la folta barba nera, alto e muscoloso e dai toni esplosivi e dall'espressione perennemente rabbiosa.

« Sono Zaggar! Capisco cosa vogliono i nani da quella fortezza. Ma voi, cosa vi ha spinto ad aiutarli? »
Tale quesito scatenò un vociferare generale fra le file degli abitanti della foresta. Jahrir tentò di rispondere ma venne immediatamente zittito dal roccioso uomo calvo che, tutt'un tratto, scoccò un'occhiataccia nei confronti di Kel.

« E cosa ci fa quel demone schifoso qui? »
Il disgusto e la repulsione erano palpabili nelle sue parole e nel suo tono di voce.
Il goryano fece un passo avanti, ignorando completamente tali parole e tenendo lo sguardo fisso su Zaggar, incrociò le braccia e gli rispose.

« Il demone schifoso vuole eliminare la minaccia insita nella roccaforte. E per farlo ha bisogno dell'aiuto di chiunque sia in grado di spaccare teste e spezzare ossa. »
Fece una breve pausa nella quale col capo accennò alle numerosi armi possedute dai barbari, come per dire: "cosa le tenete a fare se non le usate?".

« Zaggar è il tuo nome. Kel'Thuzak il mio. Sarò anche uno schifoso demone come tu dici ma entrambi con una spada in mano siamo guerrieri, una volta sul campo di battaglia non ci saranno distinzioni ma solo vincitori e vinti. Io la mia scelta l'ho già fatta: combatterò, dobbiamo solo capire qual è la vostra. »
Imboccò la via della stimolazione usando come leva il più che probabile spirito guerriero e soprattutto l'orgoglio tipicamente insito nei guerrieri che facevano parte di tribù e clan.
Altri mercenari parlarono esprimendo la loro opinione e dando una motivazione personale per giustificare la loro presenza in quei luoghi pericolosi. Finito di ascoltare quello che avevano da dire gli sgraditi ospiti, un altro capo clan si levò in piedi, presentandosi: « Egerarth, delle Mani Rosse. Quel nano conosce la fortezza, l'ho visto fuggire, e i mercenari dimostrano coraggio. Insieme potremo annientare i demoni. Io sono con loro. »
Fu una ventata inaspettata di sollievo che provenì dal nulla e se ne andò ben presto vista la reazione di Zaggar.

« NO! Non abbiamo bisogno del loro aiuto. Ci offrono la libertà, dicono: ma noi siamo giù liberi! Ci offendono e denigrano: a sentir loro non siamo in grado di vincere da soli. Io dico che non ci servono degli stranieri per riscattare la nostra terra! Ce la siamo sempre cavata da soli! Perchè adesso dovrebbe essere diverso? »

Di diverso c'era che mai le loro tribù avevano avuto a che fare con dei demoni, era una differenza colossale e se avessero combattuto da soli la suddetta minaccia sarebbero tutti morti, e non solo loro. Bisognava farlo capire a qualsiasi costo: « Qua stiamo parlando di vita o di morte, non di libertà o schiavitù e a quanto pare Egerarth l'ha capito. Sei così sicuro di voler rischiare la tua vita, e quella della tua gente, combattendo un nemico così pericoloso senza alleati? »

Il cacciatore di demoni, che se n'era stato in silenzio fino a quel momento, si fece avanti creando una sorta di illusione dinanzi a tutti i presenti nel tentativo di far capire ai guerrieri delle Zanne cosa fosse un vero demone.
Per un attimo si scatenò il caos durante la riunione: tutti si erano alzati, armi in pugno e pronti ad eliminare la minaccia ma poi, quanto tutti intuirono che altro non era che una semplice illusione, vi furono diverse reazioni tra le quali nervosismo per il panico creato, espressioni impressionate alla visione del demone, altri ancora parlottavano fra loro in maniera concitata.
Zaggar era uno di quelli rimasti folgorati dalla visione della creatura infernale, finalmente erano riusciti a fare breccia in lui e farlo ragionare. Purtroppo però erano tanti ancora quelli decisi a non stipulare la momentanea alleanza, uno di quelli era un vecchio guerriero: « Questi stranieri pensano di spaventarci con un infimo trucchetto, ma io di demoni veri ancora non ne ho visti. Da quando hanno invaso Aberan settimane fa se ne sono stati rintanati nella loro fortezza. Io dico: che ci marciscano là dentro! Perchè dovremmo andare a risvegliare la loro rabbia? Un attacco alla roccaforte ci porterà solo rovina e distruzione! Finchè la minaccia non diventa reale, per me dobbiamo rimanere in attesa. Alla fine il pericolo scivolerà via come pioggia dalle montagne! »

Solitamente con la vecchiaia si acquisisce saggezza. Ma non era quello il caso, si era completamente invertito il trend per quel che riguardava il vecchio capo tribù: « E' proprio questo il momento giusto per attaccare invece: coglierli di sorpresa finchè se ne stanno rintanati dentro la roccaforte. Sarà la loro stessa tomba, non avranno via di fuga. Non capite che l'unica cosa che scivolerà come pioggia dalle montagne sarà il sangue di tutti noi? »
Sarebbe stato meglio dire voi poichè lui di sangue non ne avrebbe versato nemmeno una goccia ma preferì ficcarsi nel calderone comune per aumentare l'effetto delle parole appena pronunciate.
Prese parola anche il cacciatore di demoni ma nel bel mezzo del discorso vi fu un verso impossibile da ricondurre a bestie o umani, un suono così antico ed oscuro che mai aveva avvertito: ecco che versi facevano i demoni, infine. Tutti rabbrividirono all'unisono, finalmente iniziarono a capire che la minaccia era più vicina di quanto potessero pensare e se non avessero reagito prontamente quei versi immondi si sarebbero moltiplicati e sarebbero aumentati d'intensità.
Egerarth fu il primo dei capi a capire in che situazione erano, prese coraggio per primo e scelse di combattere affiancando mercenari e nani, altri seguirono il suo esempio e pochi se ne rimasero in disparte.
Enkidu Eresh'kigal e Egerarth delle Mani Rosse siglarono tale alleanza porgendosi la mano a vicenda.

« La nuova alba vedrà uomini e nani alleati per una battaglia comune. »
Proclamò con fare solenne verso tutti i presenti.
Pronti e decisi, più forti di prima, l'unione di tanti per la riuscita di un'unica missione: estirpare un male che ben presto avrebbe avvelenato tutto e tutti.

 
Top
Stella Alpina
view post Posted on 28/11/2013, 12:50




Erdkun ≈ Sangue ribelle

-Concilio-










Perwaine, in viaggio, tempo attuale


Il gruppo si faceva strada lentamente verso la fortezza. Il paesaggio fitto di alberi e piante risultava estremamente monotono agli occhi del redentore che non amava particolarmente le escursioni. L'atmosfera inoltre non era delle migliori. Aaron, per quanto si sforzasse di non pensarci, preferiva operare in solitaria e dipendere esclusivamente dalle proprie capacità, invece in quel momento si trovava circondato da perfetti estranei, non-morto compreso, che lo costringevano a guardarsi costantemente le spalle. Mercenari, nani e viandanti non erano certo la compagnia che più bramava eppure non c'era scelta. In fondo doveva ammetterlo: una fortezza piena di demoni era un obiettivo ostico persino per lui, forse pure per un gruppo di redentori. Stava viaggiando verso morte certa e lo faceva con il morale alto come si conveniva ad un membro del suo ordine, questo però non bastava a nascondere il leggero malumore di sottofondo, quello stesso disagio che si prova a muoversi nell'oscurità senza un benché minimo punto di riferimento. Soprattutto se si ha la certezza di non essere soli in quel cammino, quella strada cosparsa di demoni che dell'oscurità hanno fatto la loro tana. Non era nuovo a quella sensazione eppure non ci si abituava mai. La paura era costante nel suo lavoro, andava cullata e trasformata in un'arma adatta alla situazione perché se per disgrazia prendeva il sopravvento nel momento sbagliato, non esisteva santo da poter pregare, la fine sarebbe arrivata.
La marcia proseguiva e istante dopo istante Aaron dovette convincersi che il disagio provato non dipendeva soltanto dai pensieri verso la fortezza.
Rallentando il passo lasciò vagare lo sguardo tra gli alberi e gli arbusti intorno a lui. La natura sembrava tranquilla, le piante erano immobili, gli animali mandavano il loro saltuario richiamo, il vento non portava loro strani rumori ma concentrandosi sui nani, il capo in particolare, si poteva notare una certa agitazione interiore. Anche i loro sguardi vagavano intorno, quasi si aspettassero qualcosa. Il redentore si concentrò sul sentiero cercando di capire se la sua percezione fosse distorta, vittima dei pensieri macabri pieni di demoni e torture alle quali avrebbero partecipato attivamente in caso di fallimento, o se effettivamente ci fosse qualcosa di allarmante intorno a loro.
Ad un tratto il suo naso fu travolto da un odore nauseabondo, un misto di sudore e sporcizia. Il suo primo pensiero volò al non-morto nonostante sapesse bene che non proveniva da quella direzione. Gli occhi si spostarono a sinistra, verso la selva, incrociando quelli di un uomo grosso, muscoloso, vestito di stracci e sicuramente sporco. Un uomo minaccioso comparso improvvisamente dalla boscaglia che gli puntava contro una picca malandata. La mente del redentore non elaborò immediatamente la minaccia, lo fece il corpo al suo posto. La mano destra volò in un istante alla bandoliera allacciata a tracolla ed estrasse dalla fondina la pistola riposta. Due movimenti veloci e l'arma puntò dritta alla testa dell'omone, il dito fermo sul grilletto e il conto alla rovescia iniziato.
tre, due, uno...

« FERMI TUTTI! »

Un attimo, un'indecisione fortuita, il dito sul grilletto bloccato al limite della pressione tra il silenzio e il boato.

« Abbassate le armi. »

Aaron si voltò verso quella voce anche se sapeva bene a chi appartenesse. Il capo dei nani aveva un braccio alzato a sottolineare il comando dato e l'espressione concentrata verso il gruppo di barbari comparsi insieme all'omone. Erano circondati da una trentina di loro. Il redentore piegò leggermente il braccio senza però togliere il dito dal grilletto, la testa inclinata leggermente da un lato e l'attenzione rivolta tutto intorno a lui. Quella giornata non era iniziata nel migliore dei modi.






Perwaine, radura in mezzo al bosco, tempo attuale


Aaron osservava già da qualche ora l'andamento del concilio senza però riuscire a capire cosa stesse accadendo. Il gruppo di barbari discuteva animatamente sul come comportarsi con i demoni, questo lo aveva appreso da Enkidu, ma non sembravano riuscire a trovare una soluzione. La loro presenza al concilio era probabilmente un evento raro, quasi quanto quella riunione stessa. Gli era stato spiegato dal capo dei nani che i barbari di quelle terre erano divisi in gruppi e le tensioni tra di loro erano sempre ben marcate, eppure di fronte alla minaccia demoniaca si erano riuniti per affrontare quel pericolo insieme. I nani contavano di riuscire ad avere l'appoggio delle tribù barbare per liberare la fortezza e vista la pessima considerazione che tutti sembravano avere per la loro razza, l'asso nella manica erano proprio gli umani unitisi al gruppo. Il redentore stava comprendendo sempre di più il significato della sua presenza in quel gruppo, quei nani l'avevano pensata bene.
L'attenzione di Aaron fu catturata dagli enormi scranni scolpiti nei tronchi d'albero. Quelle tribù di barbari vivevano a pieno contatto con la natura che li circondava e sfruttavano in ogni modo possibile le poche risorse a loro disposizione. Le armi, le armature e le vesti in loro possesso erano logore, usurate dal tempo, probabilmente frutto di qualche bottino tra un'imboscata e un'altra. Le varie tribù si distinguevano tra di loro attraverso diversi dettagli, dai tatuaggi ai colori usati, dai gioielli, seppur semplici, alle pitture di guerra. La mentalità di quegli uomini era pressoché primitiva, molto lontana dall'evoluta civiltà dei quattro regni. Questo non minimizzava la loro pericolosità ma metteva ben in evidenza il loro possibile modo di pensare: semplice, conciso e diretto.

« Sono Zaggar! Capisco cosa vogliono i nani da quella fortezza. Ma voi, cosa vi ha spinto ad aiutarli? »

Finalmente l'attenzione di tutti si era focalizzata sul gruppo di ospiti. Uno dei nani provò a rispondere ma fu subito zittito, conferma del fatto che la loro razza non era ben accetta in quei luoghi. Stava agli umani rispondere.

« E cosa ci fa quel demone schifoso qui? »

Aaron non poté che sorridere a quella domanda, lui se la poneva continuamente. Avrebbe voluto concordare con il barbaro ma per il bene della missione rimase in silenzio.
Subito il non-morto rispose all'uomo giustificandosi da sé. Che la sua presenza lì fosse meno tollerata di quella dei nani era ben evidente, eppure venne ascoltato. Un comportamento di certo più educato di quello che avrebbe avuto il redentore al loro posto.
Subito, sull'onda della foga, uno dopo l'altro i componenti del gruppo sfoggiarono una cascata di belle ed eroiche parole, ognuno ansioso di dire la sua nella speranza di convincere i barbari. Qualche effetto positivo l'avevano avuto, ma quelle tribù non campavano di parole, in quelle terre vigevano i fatti. Chi parlava moriva, chi agiva sopravviveva. Una guerra non si vinceva a parole, servivano i fatti e la prova arrivò poco dopo dall'intervento di uno dei capi tribù.

« NO! Non abbiamo bisogno del loro aiuto. Ci offrono la libertà, dicono: ma noi siamo già liberi! Ci offendono e denigrano: a sentir loro non siamo in grado di vincere da soli. Io dico che non ci servono degli stranieri per riscattare la nostra terra! Ce la siamo sempre cavata da soli! Perché adesso dovrebbe essere diverso? »

Aaron sentì che era giunto il momento di esporsi a sua volta. Con fare deciso mosse un passo avanti arrivando a breve distanza dall'uomo. Lo sguardo fisso verso di lui e l'espressione severa. Alzando la voce in modo da farsi sentire da tutti si rivolse però a lui in particolare.

« Hai mai incontrato un demone? Ne hai mai combattuto uno? L'hai ucciso? Io si. Ne ho visti molti. Li ho visti spezzare uomini addestrati ad affrontarli come fossero ramoscelli, li ho visti prendersi le vite di donne che proteggevano i loro figli disperatamente e subito dopo prendersi i bambini. Ho visto molte cose che non starò qui a raccontarti. Volevi sapere perché combatterò i demoni? Ora lo sai, è quello che faccio, è il mio lavoro. vuoi sapere cosa ho combattuto? Guarda tu stesso. »

Lentamente, quasi a voler sottolineare quel movimento, alzò il braccio sinistro e tese la mano ad indicare un punto lontano. L'attenzione di tutti si focalizzò nella direzione da lui proposta. Aaron si concentrò e pochi istanti dopo, lontano da qualsiasi reazione fisica, comparve ciò che nessuno si aspettava: un demone. Nero come la notte più buia e in netto contrasto con il chiarore giallognolo degli occhi fissi su di loro. Il corpo massiccio, alto abbastanza da superare gran parte dei barbari presenti, era ben piantato su due gambe. Quattro braccia ondeggianti esibivano ognuna una mano piena di artigli. Fauci irregolari mostravano denti appuntiti e minacciosi. La testa nevrotica ciondolava in cerca di cibo, cibo umano.
Così come era comparso svanì, sotto il mormorio crescente dei presenti. Il redentore riportò l'attenzione su di sé concludendo il suo intervento.

« Questo è uno dei più carini che ho incontrato. Ora io ti chiedo: pensi davvero di essere in grado di affrontarli da solo? »

I suoi non voluti compagni, forse forti della sua azione, rimarcarono le loro posizioni incalzando i barbari che ancora voltavano la testa preoccupati verso il punto in cui prima era apparso il demone. Aaron non era sicuro del risultato del suo tentativo, ma era sicuro almeno di averli scossi visto che la comodità sfacciata dei capitribù su quegli scranni era ora stata sostituita da una frenetica alzata in piedi. Li avrebbe tenuti con il culo sulle spine, questo era certo.
Un terzo barbaro si fece avanti e prese la parola.

« Questi stranieri pensano di spaventarci con un infimo trucchetto, ma io di demoni veri ancora non ne ho visti. Da quando hanno invaso Aberan settimane fa se ne sono stati rintanati nella loro fortezza. Io dico: che ci marciscano là dentro! Perché dovremmo andare a risvegliare la loro rabbia? Un attacco alla roccaforte ci porterà solo rovina e distruzione! Finché la minaccia non diventa reale, per me dobbiamo rimanere in attesa. Alla fine il pericolo scivolerà via come pioggia dalle montagne! »

Il non-morto rispose di getto, ma ancora con inutili parole. Aaron strinse forte la mascella nel tentativo di trattenere l'impulso di spaccare la testa al vecchio barbaro intervenuto. Se voleva la minaccia più vicina, il redentore l'avrebbe accontentato. Con rabbia trattenuta iniziò il suo inganno.

« Attendere... a questo si limita la tua foga guerriera? Scenderanno una volta ancora e... »

Si interruppe nello stesso istante in cui tra le montagne riecheggiò un verso inumano, inquietante, diverso da qualsiasi suono associabile ad un animale. Un verso che Aaron conosceva molte bene: quello di un demone. Più di una volta la schiena del redentore aveva accusato un brivido di paura al solo udirlo, ma quella volta no, quella volta era semplicemente opera sua. Fintamente allarmato si voltò nella direzione di quell'eco e tacque. Non c'era altro da aggiungere, non per lui almeno. Gli animi dei presenti si scossero ancora di più. Altre parole da parte del suo gruppo susseguirono a quel verso, forse per farsi coraggio in qualche modo, forse per tentare un'ultima volta di convincere gli scettici rimasti, forse entrambe le cose. Un braccio si alzò verso il redentore e un dito lo puntò.

« Di tutte le persone presenti nella nostra compagnia, lui conosce i demoni più di chiunque altro. Sa quali sono le loro debolezze e i loro punti di forza, le loro armi e le loro difese, i loro trucchi e le loro magie. Soprattutto, lui sa come agiscono. Perciò credetegli quando dice che i demoni non rimarranno nella loro tana sulle montagne, non vi lasceranno in pace a vivere le vostre vite, non permetteranno ai vostri clan di rimanere qui indisturbati... »

Il discorso proseguì ma il redentore udì solo questo. Voltandosi di scatto fissò gli occhi in quelli dell'altro, il mercenario. Come aveva osato tirarlo in mezzo promettendo cose di cui non aveva minimamente la certezza? Cosa ne sapeva lui di demoni? Probabilmente nulla, eppure lo stava vendendo come la soluzione a tutti i guai. Non sapeva che i demoni erano diversi gli uni dagli altri, che avessero punti di forza e di debolezza diversi, che agissero in modo differente in base alla specie e che lui non avesse minimamente idea di che genere di demoni fossero quelli nella roccaforte.
Il redentore strinse i denti ingoiando il rospo ancora una volta per il bene della missione e voltandosi verso il vecchio barbaro tornò a simulare l'espressione preoccupata.
Gran parte dei dubbi rimasti furono fugati da uno dei capitribù e uno dopo l'altro i barbari si unirono alla decisione di partecipare alla spedizione insieme ai nani. Aaron annuì rincuorato, il suo inganno non era stato scoperto e aveva prodotto dei buoni risultati. Avevano trovato dei validi alleati ma la riuscita della missione era ancora più che lontana. Urli di acclamazione riecheggiarono per la raduna quasi in risposta al finto verso prodotto segretamente dal redentore, mentre brevi sorrisi comparvero sul volto rincuorato dei nani. Aaron sospirò silenziosamente mentre i suoi pensieri volavano in avanti, verso ciò che li avrebbe attesi nell'oscurità della roccaforte. Il brivido di paura lo raggiunse in quell'istante e non sarebbe stato l'unico durante quella missione.






Riassunto Tecnico

Energia rimasta: 95%
Energia consumata: 5%
Stato Fisico: Ottimale.
Stato Mentale: Preoccupato.
Armatura: Intera.
Armi: Pistola - 5 colpi, spada nel fodero.
CS: 4 CS all'Intelligenza.
Consumi: Basso 5% ~ Medio 10% ~ Alto 20% ~ Critico 40%

Abilità passive


"Sono ore che questi ragazzi si esercitano senza pausa. Li vedo portare in gruppo tronchi di alberi grossi più di loro su e giù per la collina con il solo scopo di migliorare la resistenza. Sono esausti, lo vedo nei loro occhi, vorrebbero mollare i tronchi, sdraiarsi e non rialzarsi per un giorno intero. La fatica li sta divorando ma loro non cedono, non possono, non gli è permesso. Continuano la loro marcia, ancora e ancora e ancora."

[Razziale umana - non sviene sotto il 10%]




"Oggi ho assistito fratello Hugo nel primo addestramento alle illusioni. Come previsto molti adepti non avvicinano minimamente il più basso grado di maestria, ad eccezione di Aaron. Lui, al contrario degli altri, sembra trovarsi a suo agio nel mettere in atto gli inganni. Gli viene quasi naturale e per di più riesce a creare le immagini in un solo istante e senza il benché minimo movimento. Inoltre ha una conoscenza innata dell'uso della voce. Può controllarla a tal punto da modificarne il tono, il volume e il luogo di provenienza a suo piacimento. Come se non bastasse, quando sul campo è presente un'immagine da lui creata, può decidere di modificare il suo aspetto in qualunque cosa e di qualunque dimensione gli occorra. In realtà si tratta soltanto di un'illusione, un velo che ricopre la realtà, ma riesce comunque ad ingannare tutti i sensi degli avversari. Quel ragazzo è pieno di sorprese."

[Passiva talento I, II e III illusionista]




Abilità attive utilizzate

"...mi sono offerto volontario per dirigere la prima prova di Aaron sugli inganni, mi ha compiaciuto molto e se devo dire la verità mi ha anche divertito. La prova consisteva nel ricreare un'immagine di natura magica utilizzando un semplice consumo Basso di energie. Avrebbe potuto scegliere una qualsiasi immagine a suo piacere e lui ha scelto quella di fratello Hugo vestito con abiti femminili. Lo vedevo muoversi ed ancheggiare. Anche i ragazzi l'hanno visto. Quando siamo scoppiati a ridere, l'anziano fratello è diventato viola dall'imbarazzo. Una tecnica del genere utilizzata in uno scontro, con l'immagine adeguata, potrebbe facilmente distrarre dal combattimento poiché inganna tutti i sensi dell'avversario, compresi quelli di ricerca per l'aura o sesti sensi vari, ma è comunque inutile se utilizzata per difendersi o attaccare perché si dissolve nel nulla."
[Attiva talento I illusionista]


Commenti

Ho preferito non riportare per intero tutti i dialoghi per non allungare di troppo il testo, sono sicuro che ognuno riporterà come minimo i propri discorsi quindi non andranno certamente persi. Per il resto Aaron partecipa al concilio e crea un'immagine di un demone da lui precedentemente affrontato utilizzando l'attiva del talento I dell'illusionista sperando di convincere i capitribù mostrando loro quanto temibili possano essere, visto l'intervento del vecchio barbaro a minimizzare il tutto decide quindi di far sembrare la minaccia dei demoni più vicina di quel che in realtà è, dunque usando la passiva nell'uso della voce ricrea il verso di un demone e fa sì che risuoni tra le montagne lontano da lui.
 
Top
Il Senzanome
view post Posted on 29/11/2013, 19:06




« So che il pollice è irrorato da una vena e da un nervo
differenti da quelle delle altre quattro dita, e come ferire
quello o quell'altro nervo in modo da impedire ad un nemico
di maneggiare una spada.
»





Durante la scalata spezzagambe e spezzafiato, "Killibert Gnam" rifletté.

I tre 'mercenari' al suo seguito si erano comportati in modo discreto... complice una marcia a tappe forzate che lasciava i quattro, non abituati a sforzi perduranti nel modo dei nani, privi di fiato. Il dolore sordo all'altezza della milza era più che benvenuto a confronto con le chiacchiere dei tre che l'accompagnavano: tra l'abitudine di Jonny a rinfacciare a Ron il nome da femminuccia che Killibert gli aveva assegnato e le quiete allusioni di Hal sul cavare occhi, il periodo di assemblamento della squadra era stato un vero inferno. L'amalgama di nebbia mattutina che offuscava la vista e ottundeva l'udito, rinfrancata dal quieto bruciare dei muscoli, era decisamente migliore per la sua salute mentale. Gli permettevano di riflettere senza il brusio di chiacchiericcio insopportabile, concentrarsi solo sulla voce nella sua mente.

Sulla situazione immediata: Enkidu aveva un piano. Il loro gruppo era semplicemente troppo minuto perché potessero affrontare i demoni in uno scontro frontale, quindi il loro era un inganno - qualcosa che l'Altro apparentemente capiva molto, molto bene. Per infiltrarsi in territorio nemico ed estrarre i compagni del nano egli aveva bisogno di vantaggi tattici superiori alla mera conoscenza del campo di battaglia, quali ad esempio una distrazione, un camuffamento o la capacità di ingannare gli occhi dei nemici. Alcuni dei presenti rispondevano ai requisiti, ma certo il nano non sapeva chi con esattezza avrebbe risposto al suo appello. Dunque, volendo escludere la possibilità che la loro funzione fosse quella di diversivo / carne da macello, cosa stava nascondendo il nano?

L'Altro aveva delle ipotesi. Lo percepiva in irrequieto moto lì, sotto il più spesso e profondo strato di ghiaccio sedimentato negli abissi della sua mente, rimurginare su fatti e ricordi ancora al di là della sua portata, rifiutandosi per la prima volta di condividere. Non era troppo preoccupato, poiché intuiva senza saper spiegare perché che lui e Lui non erano che due facce della stessa medaglia: la distruzione dell'uno avrebbe implicato l'annichilimento dell'Altro. Più che altro era... confuso. Perché, dopo tanto assillamento quotidiano sui più innocui fatti del vivere quotidiano, doveva nascondergli qualcosa?
La risposta gli fu data, a sorpresa, poche ore dopo.

Un guizzo ai margini del suo campo visivo indusse la sua mano destra a sguainare la spada prima ancora che avesse memoria cosciente del fatto compiuto. La sua mente, allenata dai costanti bisbigli dell'Altro, sezionò con freddezza la visione davanti ai suoi occhi: una decina di uomini davanti a lui, intuitivamente altrettanti sia ai lati che e alle spalle, già predisposti in formazione e con archi incoccati. A parte questo, nessuna mossa apertamente offensiva. La sua sinistra, lasciato il coltello da lancio, si serrò come una morsa d'acciaio sul polso di Harmond Joll impedendogli di estrarre oltre il lungo coltellaccio da macelleria preferito dall'assassino. Dei tre, lui era stato l'unico ad avere una pronta reazione: Ron -Reginald Foe- stava ancora caricando la balestra, mentre Jonny s'era lasciato sfuggire un urletto sorpreso. Hal -Harmond- lo guardò una volta in faccia, poi ripose il coltellaccio e scoccò agli uomini nei boschi occhiate omicide.
Qualcosa non quadrava.

Continuò lentamente ad osservare l'accaduto, senza sforzarsi di mettere a fuoco l'impressione, lasciando che l'intuizione venisse in modo naturale. Il paladino aveva la pistola puntata con la sua stessa prontezza, seguito dappresso da Kel'Thuzak. Enkidu abbaiava ordini alla compagnia, evitando il sorgere di ostilità; il nano non aveva neppure estratto le armi.
Non aveva estratto le armi.
E all'improvviso seppe cosa l'Altro gli aveva tenuto nascosto:
le sentinelle!

Enkidu Eresh’kigal era il guerriero con la maggiore anzianità nella compagnia, pure non aveva spedito alcuna sentinella a sorvegliare i dintorni. Un errore da pivello, un errore imperdonabile, un errore che avrebbe potuto commettere lui, con la sua memoria difettosa e le sue conoscenze inibite, ma certo non un guerriero esperto come Enkidu. Il quale ovviamente sapeva dell'imboscata, si aspettava che quegli uomini armati col prodotto delle loro razzie venissero a chiedere spiegazioni.
Voleva usarli.

Harmond parlò all'improvviso, sussurrando con quell'estrema lentezza che lo psicopatico riservava alle orecchie delle sue vittime. « Sai, se qualcun altro a parte te si fosse azzardato a fare una cosa del genere, a quel qualcuno avrei presentato la parte affilata del mio coltello. »
« Conoscendo il tuo strumento, sarebbe veramente una cosa terribile... » Voltò lentamente la testa, lasciando affiorare il ghiaccio nei suoi occhi. « ...prendersi un'infezione. »
L'assassino lo fissò in silenzio, riempiendo l'aria fra loro di promesse di violenza.
« Abbiamo un lavoro da fare. » Deciso, concreto. « Discuteremo le nostre divergenze in privato. »
« Non so cosa succede, ma non mi piace il modo in cui vi guardate. » disse qualcuno alla sua destra.
Sorrise - un sorriso spietato, affatto gradevole - poi si voltò verso il viso impallidito di Reginald e si ricompose nella maschera di mercenario solido e affidabile che aveva indossato per Enkidu. « Non 'succede' un granché, per il momento. » disse. « Enkidu si aspettava che i barbari venissero a fare domande, quindi noi daremo le risposte. »
« E perché noi? » fece Jonny "Joan Butcher" Bo.
Il sorriso che rivolse al ladro di cavalli fu il più allegro e falso di tutti.

« Perché noi siamo gli umani che seguono il capo dei nani. »

___ _________ ___

Erano nel profondo delle foreste, in una radura naturale, circondati dai guerrieri invitati al 'concilio', oggetto di discussione animata da parte dei capiclan - o di colorite e vivaci imprecazioni, per quanto ne sapevano. Certo i capiclan non mostravano riserbo nel manifestare le loro, di divergenze. Enkidu aveva detto loro di convincerli con le parole... o con l'inganno... ma di nn minacciarli, a nessun costo. I capiclan iniziarono a guardare più spesso verso di loro, e Killibert capì che tra poco li avrebbero interrogati.
Come si convince dei 'barbari' a fare da carne da macello in battaglia?

Uno dei leader barbari si staccò dal gruppo e venne verso di loro. « Sono Zaggar! » si presentò. « Capisco cosa vogliono i nani da quella fortezza. Ma voi, cosa vi ha spinto ad aiutarli? »
Uno dei nani intervenne, ma fu prevedibilmente messo a tacere.
« E cosa ci fa quel demone schifoso qui? »

Internamente sorrise mentre il demone replicava con stizza. Prima di intervenire voleva tastare la reazione delle tribù alle parole degli altri, "calibrare" il suo discorso. Inaspettatamente il paladino rimase in silenzio, mentre l'oratore -Sergey Magomedov- si esibì in un discorso articolato e capace di coinvolgerli emotivamente. Per distinguersi gli serviva una parlata concisa, non pontificata, che lo facesse sembrare come uno di loro.
aveva una sensazione...

« Sono un soldato. » disse. « Combattere è quello che faccio. »

Probabilmente gli abitanti della prosperosa Aberan avrebbero storto il naso alla vista di quegli uomini, stimandoli poco più che barbari. La loro vita era indubbiamente povera, ma c'era qualcosa negli sguardi fieri di quegli uomini che gli impediva di sottovalutarli - strane eco nei recessi della sua mente, residui di un'assonanza di qualche genere.
L'ultima volta che provato la medesima sensazione aveva incontrato Gromet Telkier.

« Questi esseri... questi demoni... hanno colpito la mia casa, messo in pericolo la mia gente. Dubito che rimarranno quieti e pasciuti sulle loro roccaforti ancora a lungo, e devo ammettere... » la sua voce si fece più cupa, tinta da una striatura di rancore venefico « ...devo ammettere che il pensiero di attendere passivo che ai demoni venga voglia di carne umana non è di mio gradimento. »
Semplice, personale, passionale. E con un sottile sollecito sia all'orgoglio di un vero guerriero, sia al pericolo corso da loro tutti.

Uno degli altri capiclan si alzò dal suo seggio, indicando il nano.«Egerarth, delle Mani Rosse. Quel nano conosce la fortezza, l'ho visto fuggire, e i mercenari dimostrano coraggio. Insieme potremo annientare i demoni. Io sono con loro.»
« NO! » urlò Zaggar. « Non abbiamo bisogno del loro aiuto. Ci offrono la libertà, dicono: ma noi siamo giù liberi! Ci offendono e denigrano: a sentir loro non siamo in grado di vincere da soli. Io dico che non ci servono degli stranieri per riscattare la nostra terra! Ce la siamo sempre cavata da soli! Perchè adesso dovrebbe essere diverso? »

Orgoglio.
Prevedibile: il diverso attira sempre inimicizie, e quei barbari erano indiscutibilmente diversi. Un po' meno prevedibile fu la reazione di Aaron Richter, fino a quel momento il più quieto del gruppo, il quale ribatté con il quieto rimprovero di un maestro ad uno studente dalla bocca troppo larga... e con un'illusione.
L'intero consiglio ebbe un sussulto e portò le mani alle armi in uno scoppio di grida irate che scatenò il tumulto. Lui invece, lui guardò il paladino con occhi nuovi: perché mentre i barbari decidevano se essere colpiti o indignati e i suoi compagni insistevano sulla necessità di attaccare, quello sfoggio aveva scatenato in lui una reazione che ormai aveva imparato a riconoscere. Ho già visto qualcosa del genere disse la voce dell'Altro nella sua mente, chiara come l'aria mattutina.
Mise da parte quel frammento di passato: quello non era il momento.

« Rifletti su questo, Zaggar. » disse dopo Kel'Thuzak. « Le terre del tuo clan non sono le uniche ad essere minacciate. Anche gli uomini di Aberan sono a rischio; i nani, poi, hanno già sofferto per colpa di quegli esseri. »

Si guardò attorno, scrutando quei guerrieri uno ad uno con sguardo adamantino. La logica era inequivocabile, la via da seguire ovvia, ma era la forza del cuore a guidare coloro che cercava di legare a sè con le sue parole decise.
Cercando di farli sentire uguali a loro, nani e mercenari e uomini montani.

« Ogni essere vivente ha il diritto di combattere per difendere la sua terra: voi non meno di noi. Veniamo da luoghi diversi, abbiamo usanze diverse, ma il nostro nemico è lo stesso! » I suoi passi lo portarono davanti al capoclan ostile con occhi chiari come il fondo di un lago - sinceri, per la prima volta. « Voglio quei bastardi morti. Ammazziamoli assieme. » terminò.

Zaggar lo guardò. Guardò lui, guardò gli altri, e nei suoi occhi vide la breccia che il fuoco incrociato di quattro diversi stili oratori stavano facendo nel muro di ostilità barbara. Per un attimo pensò fosse fatta.
Poi si alzò un altro capo, vecchio e curvo ma dagli occhi accesi di rabbia. « Questi stranieri pensano di spaventarci con un infimo trucchetto, ma io di demoni veri ancora non ne ho visti. » disse. « Da quando hanno invaso Aberan settimane fa se ne sono stati rintanati nella loro fortezza. Io dico: che ci marciscano là dentro! Perchè dovremmo andare a risvegliare la loro rabbia? Un attacco alla roccaforte ci porterà solo rovina e distruzione! Finchè la minaccia non diventa reale, per me dobbiamo rimanere in attesa. Alla fine il pericolo scivolerà via come pioggia dalle montagne! »
E fu allora che per un istante temette che tutto fosse perduto.

Sulla scia della replica del demone Aaron l'illusionista si voltò verso il vecchio. « Attendere... a questo si limita la tua foga guerriera? » disse. « Scenderanno una volta ancora e... » e non finì, le sue parole opportunamente coperte da un lungo e agghiacciante grido che fece accapponare la pelle a tutti, lui per ragioni diverse dagli altri. Farsi riconoscere come illusionista e poi usare un inganno così conveniente era... rischioso. Serviva un diversivo, e in fretta. Qualcosa che potesse catalizzare le attenzioni di tutti a prescindere dalle loro opinioni. Qualcosa che potessero combattere, magari, in modo che i capiclan - nel mezzo del loro rush adrenalinico - 'dimenticassero' di indagare troppo a fondo.
Qualcosa come la paura.
Quegli uomini avevano paura. Messi di fronte ad un nemico sovrannaturale cui l'ordinarietà delle loro vite non li aveva assuefatti, temevano il confronto con un ignoto che avrebbe potuto essergli sfavorevole. Non era un male: la paura, come il dolore, serviva al guerriero più dell'abilità con la spada. Gli permetteva di reagire con maggior acutezza alla minaccia, non cadere nel baratro dell'arroganza. Ma troppa paura era dannosa. Doveva essere combattuta.
Per questo puntò il dito contro Aaron Richter.

« Di tutte le persone presenti nella nostra compagnia, lui conosce i demoni più di chiunque altro. »

Perché la paura non si sconfigge senza la conoscenza.

« Sa quali sono le loro debolezze e i loro punti di forza, le loro armi e le loro difese, i loro trucchi e le loro magie. Soprattutto, lui sa come agiscono. Perciò credetegli quando dice che i demoni non rimarranno nella loro tana sulle montagne, non vi lasceranno in pace a vivere le vostre vite, non permettanno ai vostri clan di rimanere qui indisturbati. Guardatevi attorno! Cosa vedete? » Alzò la mano, indicando i capiclan che si erano riuniti attorno a loro. « Io vedo forza. Io vedo coraggio. Io vedo persone capaci di difendere le proprie case. Io vedo guerrieri! »

Aspettò un istante, cercando il silenzio adatto.

« E un demone non vuole avere interi clan di guerrieri vicino alla propria tana. » disse a voce molto più bassa - la sua voce un sussurro che risuonava minacciosa in quel consesso. « Preferisce vederli morti. »

Con la coda nell'occhio vide il paladino fissarlo, rabbia e stupore nel suo sguardo prima che riuscisse a ricomporsi in una maschera di professionalità. Non importava. Poteva vedere Egerarth davanti a lui sorridere compiaciuto, gli occhi fissi sull'esperto di demoni: lui aveva capito il trucco, ed era stata una dannata fortuna che non si fosse sentito offeso per l'inganno e li avesse sbugiardati. Ora Enkidu aveva il suo esercito, loro il diversivo di cui necessitavano.

Sopratutto, ora lui aveva qualcosa da usare contro Aaron Richter.


Perché il mio pg è amico di tutti! :8D:
 
Top
Emelianenko
view post Posted on 29/11/2013, 19:19




Il viaggio era iniziato.
Nani e mercenari procedevano spediti in un cammino che si rivelava sempre meno facile; tra loro, Sergey continuava la sua marcia. La giacca penzolava sbilenca mentre le scarpe andavano ad imbrattarsi di fango e chi sa quale altra disgustosa melma; in bocca aveva l'ormai consueta sigaretta ed il suo sguardo era fisso, quasi perso in un vuoto di pensieri ed aspettative tradite.
Sì, perché non sapeva neanche lui cosa stava facendo. Tentava di convincersi che voleva solo aiutare quei nani; che voleva liberarli, liberare l'intero continente da quella minaccia. Ma era realmente così? Poteva davvero ottenere la pace con la guerra? Perché era quello che stava facendo: stava per dar inizio ad una guerra. Una guerra che non gli apparteneva ed alla quale aveva preso parte per motivi che non sapeva spiegarsi. O meglio non voleva. La giustificazione che cercava di darsi, che lo obbligava a lambiccarsi il cervello con tanta foga non era altro che un palliativo. Quel viaggio, quella missione, quella guerra, per lui non era che un capriccio.
Rabbrividì quando si rese conto che quanto da lui affermato precedentemente poteva non essere una provocazione, ma pura realtà. Era forse vero che ciò che si annidava nel suo animo non era altro che semplice – banale malvagità?
Un anomalo tremolio delle foglie lo distolse dai suoi pensieri: non erano i soli in quella foresta.
Subito degli uomini rozzi e primitivi si imposero d'avanti; esseri barbari, quintessenza di ciò che Sergey definiva la feccia dell'umanità. Ma questa feccia era composta da guerrieri e – Enkidu lo sapeva meglio di lui – la cosa più saggia era averli dalla loro parte.


Furon condotti da quello che sembrava esser il capo: Dall'alto della sua stazza e del suo aspetto tutt'altro che raccomandabile esordì con queste parole.

« Sono Zaggar! Capisco cosa vogliono i nani da quella fortezza. Ma voi, cosa vi ha spinto ad aiutarli? »

Cosa vi ha spinto ad aiutarli?
Sergey non lo sapeva e ciò che sospettava non era di certo la cosa migliore da dire per convincerlo ad unirsi alla causa. Sì, perché – Enkidu li aveva avvertiti – sarebbero state le parole pronunciate dai mercenari a decretare se quei barbari sarebbero stati dalla loro parte o meno.
Prese un respiro: doveva prepararsi – ancora una volta – a fingere che tutto andasse bene.

"Le nostre motivazioni sono davvero così importanti? Sapere cosa ci spinge ad aiutarli - ad aiutarvi, ha realmente tanto rilievo? O forse ciò che conta è quello che vi stiamo offrendo? Vi offriamo il nostro aiuto, vi proponiamo di attaccare insieme quegli insulsi demoni così da poterli distruggere. Vi suggeriamo un'avanzata compatta, una vittoria reale.
Ma se preferite procedere in un'isolata e solitaria offensiva o prediligete ritirarvi e stare in disparte ad attendere che qualcun altro svolga il lavoro sporco, allora...
"

Si fermò per qualche istante, quasi per dare maggior risalto alle sue parole; prese un altro respiro profondo e continuò.

"Allora... Non avrebbe senso darvi alcuna risposta. Non avrebbe senso perché il vostro spirito sarebbe già morto, le vostre carni farebbero ben presto la stessa fine ad opera proprio di quei demoni che vi rifiutereste di combattere, e di voi non resterebbe che uno sterile ricordo."

Fece un'ulteriore pausa, per riprendere il discorso con un tono più lento.

Il mio nome è Sergey Magomedov, e ciò che vi stiamo offrendo è la libertà. A voi la scelta"

Si meravigliò di quanto fosse diventato bravo a mentire: probabilmente era così abituato a farlo con se stesso che l'ipocrisia divenne parte del suo animo; ormai non poteva più vantarsi d'esser differente dalla massa di esseri che popolavano il continente.

« Non abbiamo bisogno del loro aiuto. Ci offrono la libertà, dicono: ma noi siamo già liberi! Ci offendono e denigrano: a sentir loro non siamo in grado di vincere da soli. Io dico che non ci servono degli stranieri per riscattare la nostra terra!
Ce la siamo sempre cavata da soli! Perché adesso dovrebbe essere diverso? »


"Liberi? Liberi di cosa? Di vivere nel terrore, all'ombra della minaccia di quei demoni?"

Rispose prontamente, alzando leggermente il tono della voce.

"Non mentitemi, non mentite a voi stessi.
Forse siete in grado di cavarvela da soli; sì, lo ammetto, probabilmente è così. Ma quante saranno le vostre perdite? Avete realmente il coraggio di guardare negli occhi i vostri compagni sapendo che domani potrebbero non essere con voi? No, non credo: siete uomini d'onore."


Prese un'altra pausa per poi aggiungere.

"Ed è proprio al vostro onore che faccio appello. Insieme siamo più forti, insieme potremmo sconfiggere quegli abomini e guardarli dall'alto in basso. Insieme saremo liberi."

La questione cominciava ad irritarlo: doveva convincere degli individui a fare qualcosa per cui neanche lui era convinto. E ciò che più lo faceva star male era che le parole gli uscivano fuori in maniera estremamente facile e spontanea, come se mentire fosse parte della sua natura.
La sua natura.
Qual'era in effetti la sua natura?
Fin da quando aveva memoria, ha combattuto con se stesso, ha vissuto col terrore che la sua stessa natura si rivelasse malvagia. E più passava il tempo, più si rendeva conto che forse questa supposizione era vera. Forse era più simile a quei demoni che stava dando la caccia che agli umani.
Quest'ultimo pensiero lo fece rabbrividire: passò la mano destra lungo il braccio sinistro, ripercorrendone l'inumana trama. Un boato tremendo attirò poi la sua attenzione.
Era giunto il tempo, e non era più il caso di giocherellare con se stesso.
Alcuni dei barbari si convinsero ad unirsi alla causa, ma uno tra loro ancora si opponeva.

"Non c'è più tempo"

Disse rivolgendosi al guerriero che ancora esitava ad unirsi alla battaglia.

"Se preferisci attendere fa pure. Non vi stiamo obbligando a fare nulla, né tantomeno elemosiniamo il vostro aiuto. Ma sappi che quando i demoni scenderanno, perché stanne certo non hanno intenzione di starsene rintanati, beh, allora rimpiangerai di non esserti alleato con noi."

Prese un attimo di pausa, con l'obbiettivo di mettere sotto pressione i suoi interlocutori, poi continuò rivolgendosi a tutti.

"È l'ultima volta che lo chiedo: combatterete qui, ora, al nostro fianco, per la vostra vita e quella dei vostri figli, o preferite restare in silenzio, nell'indifferenza della vostra vita in attesa che essa stessa venga stroncata?"

Vuoi per quest'ultima frase, vuoi per le parole degli altri mercenari, quei barbari parevano essersi convinti: si sarebbero uniti.

« La nuova alba vedrà uomini e nani alleati per una battaglia comune. »

Fu Enkidu a parlare, quasi ponendo un epilogo all'intera faccenda.
La battaglia era alle porte e Sergey era pronto a partecipare. Ma la vera questione non era ancora risolta: per quale motivo lo faceva? Perché quel pensiero lo esaltava tanto? Probabilmente ciò che bramava era il mero combattimento; forse era realmente più simile ai demoni che agli umani.

Rabbrividì quando si rese conto che quanto da lui affermato precedentemente poteva non essere una provocazione, ma pura realtà.
Mi riferisco a quando - nel post precedente - Sergey dice ad Edinku di partecipare semplicemente per capriccio.

 
Top
view post Posted on 6/12/2013, 13:22

Esperto
······

Group:
Member
Posts:
4,411

Status:



L'alba appiccava illusioni d'incendi folgoranti sulle cime degli alberi e tra i viluppi di vegetazione selvaggia, mentre il gruppo avanzava attraverso la foresta, inerpicandosi sulla montagna. Erano partiti perfino prima dell'ora stabilita, lasciandosi alle spalle la radura circolare coi suoi scranni intagliati nel legno e le accese discussioni che avevano animato il Consilio del giorno precedente, culminato nella decisione, da parte della maggioranza dei capi Clan, di prendere parte alla missione dei nani radunando la loro gente. Enkidu aveva elaborato con Egerarth - il leader delle Mani Rosse, riconosciuto dagli abitanti delle Zanne comandante della spedizione per la sua autorevolezza e la decisione con cui fin dall'inizio aveva sostenuto l'idea di unirsi agli stranieri - un piano semplice ma, speravano, efficace, che il guerriero nano aveva più tardi riferito agli altri membri della compagnia. Messaggeri erano stati inviati per chiamare a raccolta gli uomini dei Clan da ogni picco innevato, gola scoscesa e passo montano; ogni uomo abile e arruolabile era già da tempo in stato dall'erta per una simile evenienza, per cui le operazioni militari sarebbero procedute in scioltezza. L'ordine era di convergere da tutte le direzioni verso l'antica fortezza in mano ai demoni, dove si sarebbero ricongiunti in un'unica armata sotto la guida dei vari capi tribù; quest'ultimi, insieme ai soldati delle loro scorte personali, avevano percorso un primo tratto di strada in compagnia dei nani e degli altri membri del gruppo, salvo poi separasi per dirigersi al punto di ritrovo convenuto, a distanza di sicurezza dalle mura della roccaforte. A tempo debito, gli Uomini delle Montagne avrebbero dato l'assalto alla secolare dimora, impegnando le creature d'ombra in un assedio estenuante. Enkidu e i suoi, invece, avevano obiettivi diversi: approfittando del diversivo garantito dall'attacco in massa dei Clan, sarebbero penetrati nella fortezza attraverso il passaggio segreto già sfruttato dal nano per la sua evasione.

Enkidu proseguiva in mezzo alla boscaglia con incedere sicuro; ogni nuovo passo lo portava più vicino alla roccaforte, ai suoi amici e ai suoi nemici, alla missione cui si era votato. Allo stesso tempo un senso di inquietudine, alieno e oscuro, serpeggiava nel suo animo, tentando di incrinare con dubbi e paure il muraglione delle sue certezze: era davvero sicuro di voler tornare al luogo della sua prigionia, dopo che tanto aveva sofferto e faticato per sfuggire? Non era forse molto più sensato lasciare perdere e andarsene via per sempre dalle Zanne? NO! Questo non è da me! Scacciò via quegli interrogativi inquietanti, realizzando qualcosa di allarmante. Non era lui a pensare quelle cose: era dovuto alla presenza sempre più incombente e minacciosa della fortezza e dell'oscuro potere celato al suo interno, che gravava su di loro come una cappa di morte e generava timori angoscianti e idee maligne. Si voltò verso il resto del gruppo, come per accertarsi che gli altri, e in particolare gli umani, fossero ancora ai loro posti. Si erano comportati bene fino a quel momento, soprattutto Richter, il cacciatore di demoni. Era risultato determinante al Consilio, convincendo i membri restii a unirsi alla missione con alcuni sottili inganni. Prima che si separassero dai barbari, aveva notato Egerarth avvicinarglisi per parlare, ma era troppo lontano per udire cosa si erano detti. Forse voleva semplicemente ringraziarlo.

« Coraggio uomini! E non cedete all'oscurità! »

Esclamò a mo' di sprono contro l'atmosfera greve che li avvolgeva. Si guardò rapidamente intorno, prima di proseguire:

« Non manca molto, ormai. »

Ed era vero: la minaccia era quasi palpabile nell'aria, mentre attorno a loro si facevano sempre più evidenti i sintomi della corruzione che infettava il cuore delle montagne. La vegetazione rimaneva abbondante, ma col procedere del viaggio assumeva un aspetto sempre più malsano e consunto: il verde smeraldo di pini e abeti non scintillava più come alle pendici dei monti, ma era stato sostituito da un grigio smorto e insalubre; i rami degli alberi erano rinsecchiti e contorti, e le cortecce si staccavano a scaglie dai tronchi lasciando ferite come squarci nella carne; il fitto sottobosco era inaridito, gli arbusti ridotti a cumuli marcescenti. Se alla loro partenza i boschi si mostravano silenti e vuoti, quasi che ogni forma di vita fosse stata risucchiata via da quei luoghi, adesso invece si udivano mormorii e ringhi soffocati provenire in lontananza dall'oscurità, e un indistinto scalpiccio senza sosta.
Ovunque si respirava il tanfo della morte.


fortezzanani_zps9bb53122


Non passò molto tempo prima che iniziassero a sentire un boato crescente, grida e clangore di armi. Tra le fronde imputridite e la boscaglia contaminata scorsero più avanti la tanto agognata fortezza. Era una costruzione immensa e imperiosa, incassata nel fianco stesso della montagna come se lì - in un'epoca remota - fosse stata schiantata a forza dalle mani di un gigante. Si innalzava fino ai picchi innevati delle Zanne, una serie irregolare di cinte murarie e fortificazioni poderose, con alla base un grande portale sbarrato; in alto, a malapena visibile, sorgeva il mastio, da quella distanza niente più di una mole maestosa fluttuante nella nebbia del mattino. Nei secoli, la roccaforte era stata quasi inglobata dalla montagna, divenendo una parte di essa: rupi scoscese interrompevano il percorso delle mura, speroni rocciosi simili a contrafforti monumentali e costoloni granitici. L'avanzare della foresta, un tempo arginato dai nani per mantenere una larga fascia scoperta dinnanzi alle mura, così da avvistare facilmente eventuali nemici in avvicinamento, sotto il dominio dei demoni non aveva conosciuto battuta d'arresto: di certo quelle creature non si aspettavano che qualcuno fosse tanto pazzo da andare a disturbarle nella loro stessa tana. La vegetazione si estendeva fino a poche decine di passi dal primo anello di difesa, ed era in quella banda di nuda terra che si trovava la ragione di tanto frastuono: diverse centinaia di uomini in armature raffazzonate sbattevano le armi sugli scudi e urlavano a squarciagola frasi ingiuriose, con l'intento di richiamare i demoniaci abitanti della fortezza.

« Non di qua. »

Enkidu arrestò il gruppo prima di raggiungere il fronte del bosco e accennò con la testa alla sua destra. Si incamminarono, costeggiando le mura da lontano senza mai uscire allo scoperto dal loro riparo boschivo. La cinta proseguiva incurvandosi all'indietro a descrivere un semicerchio terminante contro la parete rocciosa della montagna alle sue spalle. Ben presto persero di vista gli uomini dei Clan, nascosti dalla curvatura, dalla vegetazione e dalle rupi innevate, ma il nano comprese che la battaglia era iniziata quando alle grida di sfida si sostituirono urla di dolore. Proseguì senza esitazione: la loro missione era ben più importante.

Alla fine giunsero nel luogo cercato. Il bosco ormai arrivava a ridosso della roccaforte, inerpicandosi su di essa come a volerla stringere nel suo abbraccio di ferro fino a spezzarla. Lì, al punto di congiungimento fra mura e montagna, c'era una porta di pietra incorporata nella roccia e nascosta da un fitto viluppo vegetale. Enkidu fece per accostarsi quando un ruggito profondo e spaventoso risuonò nell'aria. Pochi attimi dopo dalle profondità della foresta emersero una serie di creature da incubo: lupi, orsi, cinghiali e altre bestie a stento identificabili procedevano verso la compagnia muovendosi in un solo branco, ringhiando minacciosi. Il loro aspetto era agghiacciante: le fiere erano gigantesche, quasi il doppio dei normale, il pelo irto, gli arti gonfi di muscoli e i corpi percorsi da fasci di tendini in rilievo; artigli e zanne ricurve si allungavano ben oltre il consueto, scintillando malevoli in direzione del gruppo; dalle fauci spalancate colava una fiele nera e nauseabonda. Gli occhi delle bestie risplendevano di una luce maligna, mentre una fitta rete di vene bluastre e pulsante solcava la pelle raggrinzita là dove la pelliccia era caduta a chiazze. Enkidu non aveva dubbi al riguardo: erano state corrotte dalla vicinanza dei demoni. Le bestie proruppero in latrati raschianti, ulularono e grugnirono, quindi si lanciarono alla carica. Il nano aveva già impugnato l'ascia, e come lui anche i suoi amici. Squarciò la testa al primo lupo che gli balzò addosso, conficcandogli la lama ricurva nel cranio, ma un altro più grande si fece subito sotto. Mentre lo fronteggiava con cautela, scorse con la coda dell'occhio i mercenari intenti a contrastare un simile pericolo. Come se non bastasse, sulle mura erano apparse due sagome scure e indistinte, attirate dai versi degli animali: Enkidu dubitava che potessero distinguerli con chiarezza, schermati com'erano dalla volta vegetale, ma di certo avevano capito che degli intrusi erano arrivati fin laggiù. Infatti, passarono solo pochi secondi prima che un'ondata di energia palpitante si generasse da loro per calare come un manto sul gruppo.
Maledizione! Si era distratto un attimo e il famelico lupo lo aveva sorpreso coi suoi riflessi eccezionali, ferendolo al fianco con un'artigliata. Enkidu rispose con un fendente, ma l'altro lo schivò facilmente e si accucciò sulle zampe posteriori, pronto a balzargli addosso per finirlo mentre era ancora sbilanciato dal colpo andato a vuoto. All'ultimo istante una scure scintillante si abbettè sulla bestia, schiantandola al suolo.
Enkidu alzò lo sguardo e incrociò quello di Jarhir. Un cenno d'intesa e si gettarono di nuovo nella mischia,
schiena contro schiena.


CITAZIONE
~ QM POINT

Mentre vi avvicinate alla roccaforte, avvertite gli effetti della presenza maligna celata al suo interno: consideratela come un'influenza passiva di timore e angoscia, nei termini descritti all'interno del post. Enkidu vi conduce fino al passaggio nascosto per penetrare nella fortezza, sfruttando il diversivo offerto dagli uomini delle montagne, ma non tutto fila liscio: un branco di animali selvaggi di vario genere vi aggredisce, bestie rese ancor più fameliche e terrificanti dalle contaminazioni causate dalla presenza dei demoni. I loro versi richiamano un paio di "sentinelle" sul settore remoto delle mura dinnanzi al quale vi trovate: queste scagliano verso la compagnia un attacco ad Area di potenza Alta, una specie d'ondata di energia nera che cala verso di voi come una cupola letale. I nani sono un po' troppo indaffarati per organizzare qualche difesa, ammesso che ne abbiano di adeguate: mi sa che tocca a voi. Inoltre quattro bestie vi caricano: due lupi, un orso, un cinghiale. Trattateli autoconclusivamente, ovvero come se fosse un piccolo combat contro mostri. Potete (direi anzi che è consigliato) personalizzarli con qualche abilità coerente (non mi fate un lupo che sputa fuoco :v:) e considerateli come energie bianche di pericolosità G. Organizzatevi pure in Confronto su come spartirveli, eventuali strategie in comune, decidere chi si occupa della bordata d'energia. Se avete domande, chiedete pure. Stella Alpina ti rimando sempre in Confronto per un breve scambio di battute con Egerarth (quello a cui ho accennato nel post). Avete tempo fino a tutto Mercoledì 11.


 
Top
Stella Alpina
view post Posted on 10/12/2013, 13:44




Erdkun ≈ Sangue ribelle

-La fortezza-










Perwaine, in viaggio, tempo attuale


« Aaron, giusto? »

Il redentore si voltò in direzione della voce andando ad incrociare due occhi che già conosceva; li aveva osservati bene il giorno prima durante il concilio. Egerarth, uno dei capitribù dei barbari, lo aveva avvicinato per potergli parlare faccia a faccia.

« Devo ringraziarti per aver convinto la mia gente a partecipare alla spedizione. Avevano bisogno di un piccolo... incentivo. »

Aaron vide un sorriso aprirglisi sul viso, un sorriso che lasciava intendere la sua consapevolezza riguardo alle azioni del redentore del giorno prima. A quanto pare era stato uno dei pochi, se non l'unico, ad aver intuito che il verso demoniaco che si era propagato per tutta la valle altro non era che l'ennesimo inganno.
Il cacciatore sorrise a sua volta. Incentivo era dir poco, neanche la visione di un demone del passato li aveva scossi abbastanza. Avevano bisogno di prove tangibili del pericolo che correvano, volevano vedere con i propri occhi la bestia che li avrebbe macellati prima ancora di rendersene conto, lì nei loro letti, affianco alle loro mogli addormentate e i loro figli tra le braccia. Fortunatamente l'intervento dell'uomo che ora aveva di fronte aveva posto fine ai dubbi. Adesso erano in marcia verso l'antica fortezza, verso la morte.

« Questa è Portatrice di Luce, uno dei cimeli che il mio Clan tramanda da tempo. »

Aaron osservò lo scettro nelle mani dell'uomo e aprì leggermente la bocca quasi dovesse dire qualcosa. Il lungo bastone nodoso era di un particolare legno scuro intagliato con cura nei minimi dettagli. Nella sommità si allargava una ramificazione che fungeva da protezione per una piccola fiala di cristallo contenente un liquido trasparente che rifletteva la luce chiara dell'alba. Degli intagli sottili collegavano il punto in cui si impugnava il bastone alla fiala.
Il redentore lo osservò con interesse ipotizzandone i possibili utilizzi. Aveva la certezza che non fosse un semplice bastone cerimoniale. Quell'oggetto doveva avere un particolare potere e le successive parole del capotribù lo confermarono.

« La si impugna da qui, e la Portatrice trae energia dal suo possessore, rischiarando anche le tenebre più fitte. Dicono che il potere della sua luce venga amplificato contro le creature dell'oscurità, ma personalmente non ho mai avuto modo di provarlo. Al massimo è servito a illuminare la tana di qualche bestia, nelle battute di caccia. »

Gli occhi del redentore si illuminarono a quelle parole. L'oggetto che Egerarth stringeva in mano poteva essere una delle reliquie sacre conosciute al suo ordine come le armi illuminate: una serie di oggetti estremamente antichi creati appositamente per combattere il male in tutte le sue forme. Una di quelle armi era custodita con cura all'interno del monastero in cui era stato addestrato; ricordava le ore passate davanti alla teca ad osservare quell'oggetto tanto strano e ad immaginarne l'immenso potere ed ora eccolo lì ad osservarne un altro.

« Penso che sarà più utile a te. »

Aaron sgranò gli occhi ed esitò un istante. Egerarth gli stava consegnando un oggetto di valore inestimabile senza nemmeno avere la certezza della buona fede del redentore. Cercando di mascherare l'incredulità afferrò lo scettro e fece un cenno del capo per ringraziare il capotribù, poi guardò l'altro negli occhi.

« E ora che sono in guerra avranno bisogno di un buon leader di cui fidarsi che li conduca alla vittoria. »

Disse riferendosi al discorso precedente. Aaron non era uno che si fidava facilmente, soprattutto degli sconosciuti, ma quell'uomo gli piaceva sempre di più e le sue doti di comandante erano ben visibili anche a primo impatto. La sua attenzione però tornò immediatamente al bastone che ora stringeva tra le mani. Con fare lento ne saggiò il peso e se lo passò da una mano all'altra.

« Portatrice di luce... che strano. »

Persino il nome era adatto ad un oggetto del genere. Che tutto questo non fosse un caso? Che probabilità c'erano di venire in contatto con un oggetto tanto raro in prossimità, per di più, di un esercito di demoni? E di tutte le persone presenti in quel gruppo, quel bastone finiva nelle sue mani. Aaron sentì la fede crescere in lui a dismisura mentre andava delineandosi sempre più il compito che gli era stato riservato.

« Farò in modo di riportarvelo indietro intatto. Tenterò, quantomeno. »

Avrebbe tentato e ci sarebbe riuscito. Non avrebbe permesso che un oggetto del genere finisse nelle mani sbagliate, né tanto meno distrutto. La sua vita al servizio di quel bastone, la sua vita al servizio della luce.

« Usalo con moderazione. Una volta attivato il potere della Portatrice, impiegherà diverso tempo a ricaricarsi. »

Egerarth ricambiò il cenno di ringraziamento e con quelle parole concluse il loro discorso allontanandosi per continuare la marcia verso la fortezza. Aaron osservò ancora una volta il bastone, sorrise e riprese a camminare.






Perwaine, Fortezza, tempo attuale


Il paesaggio intorno alla roccaforte variava completamente dalla foresta in cui si era svolto il concilio. Le piante e gli alberi emanavano un'energia diversa, sbagliata. La corruzione dei demoni modificava tutto ciò che di vivo ci fosse nella zona, una lunga esposizione alla loro influenza poteva avere dei risvolti devastanti. Spesso aveva assistito alla trasformazione mentale dei più deboli alla sola presenza di un abitante dell'oscurità, li aveva visti perdere il senno e la coscienza, sostituiti da uno sguardo vacuo o da una rabbia incontrollata. Questo poteva lasciar intendere quanto più pericolosa potesse invece essere la possessione di un corpo da parte di un demone.
La vista della fortezza lo lasciò esterrefatto e preoccupato al tempo stesso. Le imponenti mura, disposte ad anelli l'una dietro l'altra e incastonate nella montagna, bastavano a far capire quanto folle fosse quella missione. Istintivamente aumentò la presa del bastone che ora portava nella mano sinistra e tutto ad un tratto si sentì più sicuro, quasi bastasse la sola presenza di quell'oggetto a giustificare la sua permanenza in quel luogo. Un boato attirò la sua attenzione: poco più in là era schierato l'esercito di barbari in formazione da battaglia. Le urla di guerra e le armi battute con forza contro gli scudi lo rincuorarono un poco, non era il solo a gettarsi a testa bassa verso quella pazzia e la loro posizione era decisamente peggiore della sua. In quanti sarebbero morti quel giorno? Quanti ancora avrebbero voluto esserlo?
Enkidu condusse il gruppo sulla destra, lontano dallo schieramento barbaro: a loro era assegnato un compito diverso e ben più importante.
Il capo dei nani rivelò loro un'entrata secondaria a ridosso della montagna, nel punto in cui finivano le mura ed iniziava la nuda roccia. L'apertura era nascosta dalla boscaglia e difficilmente individuabile se non se ne conosceva l'esistenza. Aaron si paralizzò di colpo appena un ruggito profondo vibrò nell'aria, proveniva dalla vegetazione alle sue spalle. Il redentore si voltò quasi a rallentatore e parve rallentare ancora di più alla vista della causa di quel ruggito. Bestie profondamente mutate dall'influenza demoniaca, animali non più identificabili come tali e dalle dimensioni sproporzionate erano in carica verso di loro, come per proteggere l'ingresso secondario della fortezza. Lo scontro ebbe inizio. Aaron indietreggiò cercando lo spazio necessario a muoversi ed estrasse la spada da lato per puntarla poi verso il pericolo. Con il bastone nella sinistra e la lama nella destra scelse una bestia e si preparò ad affrontarla, ma qualcosa lo distrasse. Poco più in alto, affacciate dalle mura, erano apparse due figure appena visibili. In pochi istanti un'ondata di energia oscura scese dalle mura diretta verso il gruppo.
Aaron strinse i denti e azzardò le spalle alle bestie per fronteggiare la nuova minaccia. Concentrando tutta l'attenzione nel suo fuoco interiore chiuse per un istante gli occhi, quando li riaprì spalancò di scatto le braccia e una barriera di energia spirituale si propagò in avanti per opporsi al pericolo. La scintillante forma illuminata impattò contro l'ondata oscura disperdendola con un tonfo sordo e un'esplosione buia.
Aaron ansimante riabbassò le braccia. Erano stati scoperti, la missione non era cominciata con il piede giusto. Guaiti sofferenti risuonarono alle sue spalle e il redentore si voltò. I suoi compagni stavano ancora combattendo.





Riassunto Tecnico

Energia rimasta: 75%
Energia consumata: 20%
Stato Fisico: Ottimale.
Stato Mentale: Preoccupato.
Armatura: Intera.
Armi: Pistola - 5 colpi, spada integra.
CS: 4 CS all'Intelligenza.
Consumi: Basso 5% ~ Medio 10% ~ Alto 20% ~ Critico 40%

Abilità passive


"Sono ore che questi ragazzi si esercitano senza pausa. Li vedo portare in gruppo tronchi di alberi grossi più di loro su e giù per la collina con il solo scopo di migliorare la resistenza. Sono esausti, lo vedo nei loro occhi, vorrebbero mollare i tronchi, sdraiarsi e non rialzarsi per un giorno intero. La fatica li sta divorando ma loro non cedono, non possono, non gli è permesso. Continuano la loro marcia, ancora e ancora e ancora."

[Razziale umana - non sviene sotto il 10%]




"Oggi ho assistito fratello Hugo nel primo addestramento alle illusioni. Come previsto molti adepti non avvicinano minimamente il più basso grado di maestria, ad eccezione di Aaron. Lui, al contrario degli altri, sembra trovarsi a suo agio nel mettere in atto gli inganni. Gli viene quasi naturale e per di più riesce a creare le immagini in un solo istante e senza il benché minimo movimento. Inoltre ha una conoscenza innata dell'uso della voce. Può controllarla a tal punto da modificarne il tono, il volume e il luogo di provenienza a suo piacimento. Come se non bastasse, quando sul campo è presente un'immagine da lui creata, può decidere di modificare il suo aspetto in qualunque cosa e di qualunque dimensione gli occorra. In realtà si tratta soltanto di un'illusione, un velo che ricopre la realtà, ma riesce comunque ad ingannare tutti i sensi degli avversari. Quel ragazzo è pieno di sorprese."

[Passiva talento I, II e III illusionista]




Abilità attive utilizzate

"Le lezioni di fratello Hugo sono di quanto più interessante riuscissi ad immaginare. Sto imparando molte cose che mi saranno sicuramente utili. L'ultima meraviglia appresa è l'esistenza dell'energia spirituale e delle possibili applicazioni di questa immensa forza. Sono giorni che mi cimento nell'esternare la mia energia impegnandomi a modellarla come fosse creta. Ho scoperto come questa pratica possa avere dei risvolti difensivi di enorme utilità. Con un consumo Variabile Alto di energia riesco ad evocare una barriera spirituale a forma di scudo che posso manipolare a mio piacimento aumentandone la dimensione e creandola in un solo punto oppure tutto intorno a me, eliminando ogni minaccia nei miei confronti. Ho notato che la barriera è trasparente ma scintillante e l'aria sembra tremolare vistosamente nel punto in cui la produco. Creare una barriera a 360 gradi mi riesce però con più fatica, permettendomi di difendere solo attacchi con energia di un livello inferiore a quella da me utilizzata, ma non mi lamento."
[Personale 1/10 variabile difensiva]


Commenti

Ho riportato il discorso fatto in confronto e ho legato lo scettro ricevuto alle conoscenze di background del mio personaggio, spero non sia un problema, anche perché ovviamente Aaron non può esserne sicuro ma è solo ciò che pensa.
Nello scontro paro la bordata oscura con la mia personale difensiva variabile usata ad alto.
 
Top
.Azazel
view post Posted on 11/12/2013, 19:03




Erdkun
Sangue Ribelle, Atto III
___ _ ___


~


Erano partiti gonfi di coraggio e carichi d'audacia ma ad ogni metro percorso, ad ogni albero superato, Kel avvertiva un peso insinuarsi nel profondo. Un fardello alquanto difficile dal quale sganciarsi, una spada di Damocle dritta sulla propria testa, promemoria oscuro di un futuro nemmeno troppo lontano.
Nervoso e decisamente allarmato, il Mezzanima si guardava attorno ma oltre al verde della vegetazione, il quale andava via via scemando lasciando campo ad un grigiore innaturale simbolo della corruzione che aleggiava in quelle lande, vi erano solo lui e il resto del gruppo, tutti pronti ad attaccare la roccaforte caduta sotto mano demoniaca.
Ma allora perché quella sensazione?
Quel prurito fastidioso nella testa che lo faceva scattare ad ogni minimo rumore per paura di un imminente imboscata?

« Coraggio uomini! E non cedete all'oscurità! Non manca molto, ormai. »
Il nano parve fiutare le sensazioni di molti di loro: la presenza dei demoni aveva imputridito la terra e resa malsana l'aria, il lezzo di morte era ovunque ed era difficile da ignorare. I rami rinsecchiti e spogli degli alberi curvavano su di loro come artigli pronti a dilaniarli da un momento all'altro, in alcune cortecce gli sembrò di notare volti umani pressoché irriconoscibili e sigillati nel legno secolare e tutt'attorno i rumori della foresta aumentarono d'intensità.
Respirò lentamente ed espirò con la bocca, tentò invano di accumulare un poco di calma ma era un arduo compito, si sentiva attanagliato e prossimo alla morte.
Non gli intimoriva certo morire, una seconda volta, per giunta.
Era il modo di trapassare il punto focale.
I grugniti e il ringhiare delle fiere celate nel fitto della foresta furono rapidamente coperti dal clangore metallico di spade, scudi e grida. Poco più avanti iniziarono ad intravedere la ciclopica costruzione incassata nella montagna: non aveva mai visto in vista sua una roccaforte di tali dimensioni, pareva esser stata eretta in tempi talmente antichi da obbligare la montagna a costruirsi attorno ad essa nel corso del tempo e non viceversa.

« Non di qua. »
Enkidu diede l'ordine di fermarsi al gruppo.
Lo seguirono stando bene attenti dal non uscire dal riparo naturale che era la foresta: non era loro compito passare per la porta principale, avrebbero utilizzato una entrata segreta, quasi sicuramente nemmeno controllata da guardie nemiche.
La battaglia nel frattempo era iniziata, dopo le grida e le ingiurie per attirare il nemico all'esterno e il rumore del cozzare di armi, giunsero inesorabilmente le urla di dolore, strazianti e disumane. Avevano raggiunto la piccola entrata, posta praticamente nel punto in cui terminava la cinta muraria e iniziava la montagna ma un ruggito alle loro spalle bloccò tutti.
Un gruppo di bestie della foresta balzò fuori dalla vegetazione, chiunque si sarebbe accorto che le fiere erano imbevute della corruzione dovuta alla presenza demoniaca e tale aberrazione aveva avuto in loro effetti anomali come l'incremento innaturale della muscolatura e delle dimensioni originali e l'allungamento sproporzionato di zanne ed artigli.
Sbavando e ruggendo balzarono in avanti attaccando il gruppo.
Come se non bastasse due figure nere, probabilmente stavano facendo la guardia a quel settore delle mura, furono attirate dai quei rumori sospetti proprio sotto la loro posizione e scagliarono contro il gruppo una specie di bordata magica carica di energia negativa che, fortunatamente, fu nullificata da un immediato e salvifico intervento del cacciatore di demoni.
Erano stati scovati, addio irruzione silenziosa.
Impugnò Neracciaio con la destra mentre le bestie attaccarono: un orso, grosso e alto quasi il doppio del normale, caricò Kel a piena potenza. Prima che potesse investirlo e schiacciarlo sotto l'immane peso, il bestione si schiantò contro una barriera nera come la notte e dalla consistenza liquida in grado di assorbire completamente il colpo nemico lasciando indenne il Mezzanima, quest'ultimo tentò di cogliere di sorpresa l'animale con un colpo di spada diretto verso il muso: un rapido e letale affondo in grado di porre fine ai giochi con un sol colpo.
Pretese forse troppo, era pur sempre un orso grondante energia demoniaca.
Difatti il colpo andò a vuoto, la muscolatura potenziata della creatura reagì rapida al pericolo imminente e con un balzo, seppur di piccola entità, riuscì ad evitare l'affondo mortale. Inarcò il labbro superiore, con rabbia voleva porre fine al combattimento il prima possibile mentre la controparte non vedeva l'ora di affondare artigli e zanne nella carne grigiastra dello stregone. Partì nuovamente all'attacco con il fiato che andava a condensarsi in nuvolette biancastre mentre s'avvicinava all'uomo che questa volta non avrebbe eretto nessuna barriera a sua difesa: all'ultimo istante si spostò verso sinistra con rapidità tale da evitare di venir anche solo sfiorato dall'orso.
La bestia interruppe la sua devastante corsa, pronta a girarsi e tentare per la terza volta.

« Vetus Flammas »
Questa volta a ruggire non furono belve feroci o aitanti guerrieri ma l'abbraccio del fuoco unito al bacio del metallo della spada. Neracciaio fu avvolta dalle fiamme, non comuni fiamme ma lingue di fuoco magico che danzavano lungo la lama dell'arma come avessero vita propria. Impugnò l'arma intrisa di magia con entrambe le mani e vibrò un unico e secco colpo al collo dell'orso , spesso quanto un tronco d'albero.
Sangue bollente e vampate incandescenti fuoriuscirono dal corpo e dalla testa della creatura, decapitata con un unico fendente: il metallo e il fuoco magico attraversarono la carne con la facilità di un coltello che tagliava il burro. La spada risucchiò le fiamme come se queste fossero state sprigionate per volere della stessa mentre tutt'attorno l'odore di carne bruciata andava a mescolarsi con quello di morte e decomposizione.
Pulì la lama imbrattata dal sangue corrotto usando come strofinaccio il pelo della belva mentre osservava divertito l'enorme testa dell'orso capitolata un paio di metri più avanti e con lo sguardo rivolto nella sua direzione: era la perfetta rappresentazione del dolore e dell'incredulità racchiusi e cristallizzati nel momento della morte.
Chissà se anche lui, durante la sua prima dipartita, era stato attraversato da tali sensazioni e che queste fossero rimaste scolpite sul suo volto prima di ritornare alla vita.
Sorrise, divertito solamente nell'immaginare il tutto: non sarebbe di certo morto una seconda volta per trovare risposta a tale quesito.


Kel'Thuzak
il Mezzanima

CS 4 ~ Destrezza 2 - Intelligenza 2

~ Basso 5% ~ Medio 10% ~ Alto 20% ~ Critico 40% ~

Energia: 100 - 10 - 10 = 80%
Status Fisico: Indenne
Status Psicologico: Indenne.

Equipaggiamento in uso

Neracciaio__In uso (mano dx)
Silentium__Inutilizzata. [º º º º º]


Abilità in uso

arcanus__L'anima corrotta di Kel, scissa in due tra spada e corpo, ha fatto sì che Neracciaio acquisisse un potere in grado di distinguerla dal resto delle armi comuni: il potere della sua anima racchiusa in questa spada è in grado bruciare e ustionare. L'arma infliggerà danno come il riflesso della propria anima tant'è che oltre al danno fisico arrecherà un danno legato all'elemento Fuoco, non pregiudicherà in alcun modo la regolamentazione sugli attacchi fisici e le Capacità Straordinarie; il danno totale inflitto dagli attacchi fisici non cambierà in alcun modo, ne verrà solo caratterizzata l'entità aggiungendovi proprietà elementali. L’arma, come una creatura viva e senziente, si plasmerà sulla figura del possessore assecondando la sua indole, vettore della sua anima. Da questo momento in poi essa vibrerà di energia propria, liberando una malia psionica di tipo passivo, sottoforma di terrore e paura, che influenzerà chiunque sarà abbastanza vicino da percepirla. Inoltre Kel, raggiunto il 10% delle energie, non sverrà, come invece potrebbe succedere a qualsiasi altro membro di un'altra razza. Ciò però non significa che non sarà stanco raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%.
{Passiva Lvl.1 e 2 Artigiano + Razziale Umana}

tutum iter__La tecnica ha natura magica. L'abilità non ha potenza e concede i propri benefici passivamente, sempre funzionanti nel corso di una giocata. Il personaggio diviene in grado di camminare e reggersi su qualsiasi superficie, sia essa avversa a lui e alla gravità (come una parete o un soffitto), sia essa liquida (acqua, ad esempio) o aeriforme (camminare sull'aria). Non sarà affetto in alcuna maniera da correnti d'aria o sbilanciato da onde nell'acqua, e potrà camminare tanto agilmente nell'aria quanto lo farebbe sulla terraferma, il tutto non alterando in alcuna maniera la sua agilità o la velocità con la quale si muove normalmente - rendendolo di fatto né più veloce né più lento del solito. {Pergamena Sostegno - Ladro}

mysticus__Il prescelto dei guerrieri stregoni di Kolozar Dum è stato dotato inconsapevolmente, da quest'ultimi, del dono della magia, ma non magia comune bensì qualcosa di molto più potente e in grado di far impallidire i migliori maghi esistenti. Poter contare ogniqualvolta su una fonte di potere sempre maggiore rispetto a chi si ha di fronte è una capacità che molti vorrebbero e che Kel possiede dopo essere tornato alla vita. In termini di gioco la tecnica ha natura Magica e avrà sempre effetto. Ogni volta che il proprio avversario utilizza una tecnica di natura magica, per la durata di quel turno Kel guadagna 2 CS in Intelligenza.
{Pergamena Discendenza Arcana - Mago}

Attive Utilizzate

claustrum__La tecnica ha natura Magica e consumo Medio. Lo stregone genera una barriera magica, dal colore nero e dalla consistenza liquida e densa come fosse composta di sangue demoniaco, grande al massimo quanto lui, in grado di difenderlo efficacemente da una offensiva dello stesso livello o inferiore. La tecnica ha una potenza difensiva pari a Media.
{Pergamena Barriera - Mago}

vetus flammas__La tecnica ha natura Magica, consumo Medio. Lo stregone sarà in grado di circondare una parte del proprio corpo, l'intero corpo o il proprio equipaggiamento e le proprie armi con l'elemento che controlla, il fuoco, nonchè manifestazione elementale della sua anima corrotta. Questa tecnica non può essere castata nel momento della difesa per danneggiare il nemico che attacca. In compenso, nel momento in cui Kel sferra un attacco con un'arma o una parte del proprio corpo ricoperta dall'elemento, questo conterà come una tecnica di potenza Bassa che infligge un danno Alto compatibile con l'elemento del fuoco.
{Pergamena Fusione Elementale - Mago}


Resoconto: Kel utilizza la pergamena Barriera per difendersi da una carica non convenzionale da parte dell'orso, al quale ho fatto utilizzare la pergamena Carica Furiosa. Attutito il colpo tramite la difesa eretta cerca di colpire con un affondo direttamente il muso della creatura ma questa, tramite un balzo (pergamena Balzo per l'appunto) e nonostante la mole, riesce ad evitare l'attacco distanziandosi dalla spada. Torna nuovamente alla carica cercando di colpire ed atterrare Kel, questa volta però basta una schivata laterale portata grazie alla superiorità dei 4 CS, (ho ipotizzato che l'orso ne possedesse solo uno in Forza) nei confronti del nemico. Terminata la corsa e prima che potesse girarsi per tentare un nuovo attacco, Kel utilizza la pergamena Fusione Elementale su Neracciaio ricoprendo la spada con del fuoco magico e colpendo con un fendente lo spesso collo della belva. La potenza del colpo assieme alla pergamena utilizzata decapita la fiera in un colpo ponendo fine al combattimento.
Spero vada tutto bene!



 
Top
42 replies since 8/11/2013, 23:37   1081 views
  Share