Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

I Primogeniti » Onde di Fumo

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view post Posted on 20/11/2013, 16:43
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And...bla..Bla..BLA
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YhatuKN

Basse e affusolate come nere piume di corvo, le piccole imbarcazioni scivolavano silenziose sulle acque del Ràn. Nello specchio di quel bacino privo di onde parevano farfalle pietrificate. Dai parapetti di alcune, minuscole figure si affaccendavano nella pesca di pesci minuti e lucenti, scintillanti nel riverbero delle torce usate per attirarli.
Vicine al porto alcune imbarcazioni più grandi, quasi certamente mercantili, calavano i pesanti ormeggi fra gruppi di curiosi e interessati, quieto preambolo di facchini e garzoni già in viaggio dalla piazza del mercato per recuperare questa o quella merce a lungo attesa dai loro padroni. Non era un viaggio particolarmente lungo, sebbene molti dei giovani aiutanti preferissero allungare il tragitto passando per i vicoli più esterni alla città piuttosto che per quelli del quartiere dei Predatori di Neiru.
"Prova ad entrarci una volta, ragazzo" dicevano sempre i manovali più anziani ai nuovi arrivati "E vedrai che il giro largo ti sembrerà subito più attraente". Non che servisse per davvero avvertire le nuove leve dei pericoli del "Quartiere Neiru".
Dal loro arrivo -risalente pressapoco la caduta di Velta- gli elfi non avevano fatto altro che sbucare dai più improbabili recessi del nord e stabilirsi l'uno vicino all'altro, casa dopo casa, in quello che presto aveva assunto le sembianze di un ghetto in piena regola.
Una zona molto tranquilla, dovevano ammettere tutti, ma di tanto in tanto ravvivata da sparizioni tutt'altro che casuali, come le guardie cittadine tentavano ogni volta di rassicurare gli abitanti del luogo. Nel migliore dei casi il poveretto (o la poveretta, pareva che i criminali non facessero distinzioni di genere) veniva ritrovato giorni dopo a galleggiare nel lago con null'altro che la propria pelle a ripararlo dal freddo della morte.
Così, memori degli ammonimenti, i giovani garzoni preferivano passare per il centro città -un po' più affollato ma certamente più sicuro- costeggiando l'antica "Torre del fato", ora meglio nota come la Caserma dei Danzatori d'Ambra, dove costantemente la guardia cittadina si addestrava all'arte del combattimento. Le dicerie di paese tramandavano che portasse fortuna calciare il primo gradino della scala che dava sull'ingresso, così durante la giornata era possibile vedere sempre qualcuno, fanciullo o vecchio, che nel camminare accanto all'edificio dava ad un certo punto un colpo di tacco bonario, scaramantico, all'ingresso.
Sciocche superstizioni?
Per qualche ragione, le genti di Neirusiens parevano avere sempre fame di queste tiepide e miti fatalità in cui credere, quasi che non bastassero le mura entro cui dimoravano, le fitte gallerie che li circondavano e, non per ultimo, la medesima granitica montagna che racchiudeva tutte le loro vite per rassicurarli di quanto poco servisse tutto quello rispetto alla concreta forza delle armi, della parola, della conoscenza.

-O-


Dalla sua finestra si poteva intravedere il quartiere Neiru, reliquia antica scampata a tempi malvagi e lì rimasta a lungo, piena di cicatrici, a ricordare il tempo che fu. Come un ricordo che, per qualche ragione, colpì Edwin al petto come un vago senso di nausea e frustrazione insieme. Scostò piano le tende, sporgendo l'occhio chiaro da dietro quel sipario con circospezione, come un gatto che guardingo studi la propria preda.
"Tutto bene, signore?"
Una voce alle sue spalle lo fece sobbalzare, un che di colpevole ad attraversare per un istante il suo sguardo prima di tornare alla solita composta freddezza. Esitò un attimo, come valutando cosa rispondere o meno per poi, con simulata tranquillità, lasciare andare le tende.
"A volte rimpiango gli anni della mia gioventù" sospirò senza voltarsi. I suoi occhi indugiavano ancora nelle strade di sotto, come alla ricerca di un qualcosa difficilmente scovabile. Sbattè una volta le palpebre. "Vivere era ogni giorno un'avventura"
Il ragazzo alle sue spalle parve per un secondo incerto su cosa rispondere. Oramai era cosa normale udire il vecchio Edwin dilungarsi in pensieri cupi e vacui, ma l'incertezza del suo sguardo aveva un che di destabilizzante ogni volta.
"Presto la Cerchia si riunirà in consiglio"
decise quindi di fare presente all'altro muovendosi a disagio sul posto. Fra tutte le sue qualità, Hens non aveva certo quelle dello psicologo o del consolatore.
Parve pensarlo anche Edwin perchè, girandosi per un attimo dalla sua parte, gli rivolse uno sguardo accondiscendente.
"Certo"
sospirò ancora, cupamente, mentre con una mano sfiorava sovrappensiero il primo bottone del suo soprabito ricamato
"Prima di unirti a noi và però a chiamare Marlow e digli di mandare due dei suoi al quartiere Neiru. C'è quell'elfo pazzo che ancora tiene banco in mezzo alla strada."

-O-

"...Ed ella era bianca come neve.
E nera come ombra.
Occhi di giada e cuore di diamante, come cristallo che nessuno poteva guardare senza colmarsi di bramosia e cupidigia.
Ella era il sogno e l'incubo al contempo di ogni uomo, seducente megera che con le arti magiche poteva tanto sedurre quanto dannare l'animo di ogni bestia, creatura, mostro e infima creatura della terra.
Dama Bianca la chiamavano i suoi, che più di tutti la veneravano. Eppure quello non era il suo nome."

Magro e ossuto, il Predatore fece un improvviso gesto teatrale con la mano, il lungo indice ricurvo di un'unghia nera e rosicchiata che si inchiodava sulla folla lì presente, come ad indicare ognuno di quegli sguardi vigili -solo per metà interessati, in realtà- e sfidarli a prendere parola.
"No"
aggiunse poi cupo come raggrinzendosi su se stesso.
La sua pelle pallidissima, comune incarnato dei Predatori di Neiru che da millenni non godevano del favore della luce solare, pareva marmo venato di riflessi rossi e bluastri.
"Ella possedeva in realtà un nome tanto tenebroso quanto solo la sua anima poteva essere.
Tanto scuro come la sua vita era stata, come la sua esistenza era divenuta da che la maledizione dell'amore impossibile l'aveva colta. Ella era detta, o meglio conosciuta..."

"Si chiamava Eitinel"
una voce non meglio imprecisata proveniente dalla folla lo interruppe allora, arrestando il suo denso accalorarsi con la medesima tempestività di un calcio al ventre cui il vecchio, suo malgrado, rispose incassando a stento. Tremò un attimo, con l'aria di chi si svegli da un brutto sogno di soprassalto.
"Chi ha parlato?"
sputò poi facendosi immediatamente rosso in viso, il corpo nodoso che si tendeva nello sforzo di alzare il capo e guardare oltre i volti lì riuniti.
"E' la ventesima volta che racconti questa storia, Ka Shanzi. Bella e appassionante senza dubbio. Ma non credi sia ora di variare?"
rimbeccò l'anonimo dissidente questa volta senza celare l'aperto scherno del tono
"Rau si ethnei, ker inam li vazha!
La Storia non varia, razza di idiota!
Thez'has!
Vieni qui se hai il coraggio! Che magari una cosa possiamo cambiarla qui!"

agitando furioso le braccia, fu con imprevisto e alquanto letale vigore che in quella il vecchio Ka Shanzi si buttò letteralmente sulla folla onde raggiungere l'irrispettoso critico della sua storia. Mai sottovalutare un Predatore, dicevano in molti. Anche se vecchio, mezzo cieco da un occhio e affatto in carne.
Mentre la folla si disperdeva come uno sciame di topi terrorizzati, l'anziano elfo a sbraitare fra di loro come un indemoniato, nella mente di molti passò la quieta, pur vitale domanda, ma chi diavolo aveva osato interrompere quel pazzo proprio sul più bello della sua storia?



CITAZIONE

Neirusiens
Ciò che tutti (anche i vostri pg) sanno


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Temuta quasi quanto le personalità che la abitano, Neirusiens è da tutti conosciuta come la “città dal cuore nero”, o meglio, “la Nera città”, oscura quanto le profondità della montagna entro la quale essa soggiorna da tempo immemore. Neirusiens sorse sulle sponde di un nero lago (Ràn, Specchio nell'antica lingua elfica) racchiuso all’interno di una montagna (Kavresh ni Va, Il gigante che attende ) nel tempo scavata dalle sapienti mani dei Predatori di Neiru. Decisi a scampare l’armata di Eitinel rintanandosi nelle profondità di una montagna, essi presero infatti a scavare la roccia e le vie sotterranee già anticamente popolate da demoni raminghi fino a quando, più per caso che per reale intento, non capitolarono in questa immensa spelonca alla base del monte per metà sommersa. Avvolta in un silenzio quasi spettrale, essa apparve agli occhi di quei fuggitivi come il paradiso in terra, concretizzazione di una salvezza tanto inequivocabile da indurli a chiamare la città che ivi fondarono “La salvezza di Neiru”, Neirusiens.
Sfortuna volle però che né la terra né la sua silenziosa città bastarono a difendere i Predatori di Neiru dall’avanzata della Dama Bianca. Depredata e saccheggiata, per lunghi anni Neirusiens rimase incustodita e dimenticata da tutti fino al giorno in cui un gruppo di esploratori in cerca di rifugio durante le vicende del Valzer la riscoprì decidendo di stabilirvisi e li fondare una nuova fiorente comunità umana. Con la rinascita del commercio e di una pallida idea di benessere, tornarono un giorno anche i Predatori di Neiru costretti fino ad allora a vagare per le terre del Nord senza rifugio.
Oggi Neirusiens è una città divisa in due, profondamente segnata dalle diversità che scindono il mondo umano da quello elfico e che inevitabilmente si ripercuotono negli aspetti della vita di tutti i giorni. I più lungimiranti già intuiscono che presto o tardi la spaccatura fra queste due culture diverrà una voragine incolmabile, ferita aperta che nessuno parrebbe capace di curare a dovere.
Vi sono due modi per giungere a Neirusiens. Via fiume e via terra.
Nel primo caso, è possibile imbarcarsi sulle numerose chiatte mercantili, piccole imbarcazioni d'acqua dolce in realtà, che costantemente risalgono i numerosi corsi d'acqua del nord collegando le poche cittadine commerciali presenti sul territorio. Affacciata su un lago, Neirusiens sfrutta ampiamente questa forma di commercio per comunicare con l'esterno sebbene pochi marinai amino addentrarsi nei tortuosi cunicoli che dai fiumi "aperti" si incuneano entro Kavresh ni Va. Scuri e per lunghi tratti rischiarati dal chiarore di sole torce, tali passaggi potevano in passato essere sbarrati e sommersi per evitare l'avanzata di demoni o ombre. Oggi i meccanismi permangono sebbene solo raramente vengano utilizzati.
Nel secondo caso, è possibile unirsi alle carovane commerciarli e non che di tanto in tanto attraversano le terre del Nord per sostare entro le mura della città. Si tratta della modalità meno piacevole di giungere a Neirusiens, poiché il dedalo di gallerie che circondano la città è del tutto simile ad un labirinto e solo poche guide esperte possono inoltrarvisi senza smarrire la via o incappare in vicoli ciechi. Di solito le carovane impiegano almeno mezza giornata di viaggio a causa della difficoltà di avanzamento e delle molteplici cancellate -tutte sorvegliate- che ad intervalli regolari sbarrano le gallerie impedendo il passaggio se non dopo un attento esame di merci e visitatori.



6rTb5KU



Ed eccoci qui!
Questo è ufficialmente l'inizio della Quest! Si tratta di una partenza molto descrittiva ed introduttiva fatta per ambientarci tutti quanti nella allegrissima atmosfera di Neirusiens che da ora in avanti sarà protagonista della vicenda. A tutti quanti chiederei, come di norma, un post introduttivo dove raccontate l'arrivo dei vostri pg a Neirusiens secondo le modalità che preferite. Nel trafiletto sovrastante è indicato ciò che -più o meno dettagliatamente- tutti i vostri pg dovrebbero sapere della città e del suo travagliato passato storico. Il post introduttivo è lasciato completamente alla vostra discrezione salvo la conclusione, che gradirei terminasse con i vostri personaggi assistenti alla scena finale del post (quella nel quartiere dei predatori), dove l'elfo pazzo insegue la folla alla ricerca di colui che gli ha rovinato la storia. Per qualsiasi domanda, idea, dubbio o simili, non fatevi alcun problema a chiedere in confronto, sono a vostra totale disposizione ^__^
4 giorni per postare.
 
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view post Posted on 21/11/2013, 23:27
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Esempio
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Aveva ormai perso la cognizione dello scorrere del tempo.
Seduto a terra con le spalle contro una botte colma di vino, Lomerin scrutava l'orizzonte inquieto, silenzioso. In lontananza le ultime immagini visibili sbiadivano lentamente, mentre egli veniva inghiottito in un cunicolo dominato da tenebre dense ed oscure. La chiatta proseguiva pigramente su acque immobili e nere più del buio che le circondava, infranto solo dalla luce di poche lampade ad olio disperse tra prua e poppa. Il chiarore rossastro rischiarava le nude pareti interne del monte Kavresh ni Va, dai lineamenti aspri e affilati: le propaggini del lago Ràn si inoltravano timide nel monte scavando ampi cunicoli e conducendo nelle sue viscere, come pungiglioni nascosti che iniettavano veleno nel cuore della terra. La monotonia del paesaggio si rifletteva anche nel lugubre silenzio che lo sovrastava, rotto solo dal rumore cadenzato dei remi che si tuffavano nei liquami torbidi del lago, che l'eco rendeva acuto e pesante come se infrangessero una superficie di vetro. Le immagini e i suoni si ripetevano nella sua mente come in un'inquietante illusione, mentre i secondi sembravano fermarsi al medesimo istante e le torce divenivano il suo unico, sbiadito sole. Ma proprio quando credeva che l'attesa lo avrebbe fatto impazzire, a poca distanza dalla prua un grande molo ligneo si disegnò allungandosi sulla superficie dell'acqua, seguito da altri più piccoli e sottili, o più grandi e larghi. E alle spalle del suo porto, all'interno le gallerie del Kavresh ni Va si levavano le costruzioni della città di Neirusiens, la Nera città, nata, morta e rinata ancora una volta nelle profondità della terra.

Lomerin sollevò lo sguardo e inspirò, ma l'aere gli si congelò in gola; nessuna descrizione che aveva udito aveva saputo raccontare quel tetro panorama. Nella città aleggiava un'atmosfera funebre e languida, come se si trovasse al culmine di una rovina lenta ma incontrollabile: i suoi neri edifici sordidi sembravano castelli di cenere e polvere, quasi pronti a disfarsi all'improvviso per soffocare nelle tenebre chiunque vi passasse vicino. Il buio che ne dominava le strade sembrava più frutto di un male congenito, più che dell'eterna Notte che dimorava quei cunicoli. Un senso di perduta maestosità e decadenza lo attraversò come uno spettro, e strinse le labbra in segno di ribrezzo. Intorno a lui i mercanti iniziavano a scaricare le merci sul molo; ed egli, immerso nei suoi pensieri, strinse i pugni e affondò le unghie nei solchi dei palmi, trovando la forza di sollevarsi. A quella vista la gloria sembrava davvero una cosa assai vana, se i regni che ne avevano goduto potevano sprofondare in un tale baratro di corruzione.

All'improvviso, dei passi pesanti scricchiolarono sugli assi di legno nella sua direzione. Il rumore inaspettato lo scosse come svegliandolo da un incubo, il cui protagonista era il suo paese ridotto in quelle stesse condizioni.
«Qui non abbiamo tempo da perdere, messere» lo sollecitò il mercante della nave, un uomo calvo eccetto per il pettine di baffi che gli si distendeva sulle labbra nere. «Se non avete già cambiato idea, scendete adesso.»

I suoi marinai gli rivolgevano intanto segreti sguardi biechi, sicuri che se avesse abbandonato la nave non sarebbe mai più uscito dai cunicoli di Neirusiens, a meno che le acque del Ràn non ne portassero il cadavere tra i flutti.
«Purtroppo cambiare idea è fuori dalle mie prerogative» rispose Lomerin con tono mesto e occhi cupi. «Scendo senz'altro».
E mentre si allontanava a passo lento dal porto nella barca si levarono in coro numerose risate sommesse. Soltanto nel volto del mercante si schiuse un sorriso muto.

Il Volkov si dissolse nel viavai di gente che dal porto conduceva nel cuore di Neirusiens, serpeggiando lungo le sue strade come un grosso rettile che dominava il suo nido. Immerso nella massa e travolto dal suo flusso, lasciava però volare via la sua mente, ripercorrendo in sella al vento del Nord le distese di conifere e nevi che regalavano alla sua Marca una bellezza che non avrebbe mai dimenticato. Per anni aveva lottato invano, ma sembrava che per lui foste destino rivederla soltanto nei suoi ricordi.

Poi nel suo cuore era risuonato un canto: i menestrelli dissero che la voce della Nera città si era levata ancora, ed essa aveva attraversato il Midgard, dove solo pochi spiriti potevano udirla. Le notizie che da essa provenivano e una sete di risposte che non tollerava attesa lo avevano guidato attraverso l'Eden e lo guidavano ancora. Il suo corpo danzava seguendo le note del dolce invito di una città in decadenza, che chiamava un suo nipote ad udire storie di vecchiaia e di putredine. E Lomerin lo aveva accettato, sperando di scoprire che il Fato aveva riservato un destino diverso dalla sua patria, anch'essa ferita mortalmente dalla follia dei suoi abitanti e dalla minaccia dei nemici. Il terrore di quel destino era grande e poche le possibilità di sfuggirgli: la cantilena di Neirusiens giungeva forse dallo stesso male che la flagellava, avido di nuove prede sulle quali crescere ancora, ma lui doveva averla udita per fini diversi. Altrimenti sarebbe sprofondato in un baratro di disperazione senza fondo: per trovare la salvezza, anziché sfuggirgli, avrebbe dovuto sprofondare in quel miasma di putrefazione.

La tensione fu alle stelle e il fiato lentamente spirava via dalle labbra tremanti e ansiose. I bronchi pesavano nella cassa toracica come sassi. Si era lasciato il gremire di gente alle spalle era di nuovo piombato un cupo silenzio. In quella zona la metropoli si era spogliata del suo velo di decadente maestosità, e si era rivelata in tutto il suo mostruoso aspetto interiore: i palazzi di pietra nera avevano un aspetto antico e consunto e affondavano in una nube di polvere, come al limite del disfacimento. Nella totale desolazione facevano eco solo un piccolo gruppo di persone a poca distanza; il Volkov seguì i rumori scivolando come un'ombra lungo i vicoli angusti scavati fra le case. Non aveva paura di Neirusiens, perché il suo morbo lo aveva contagiato da molto tempo; ma la sua patria manifestava gli stessi sintomi, e gli era concesso soltanto un flebile barlume di speranza.

«...Ed ella era bianca come neve. E nera come ombra.»

La piccola piazza era gremita di una folla in ascolto. Al centro dei civili, silenziosi e assorti come fossero stati stregati, pendevano dalle labbra di un anziano elfo.

«Occhi di giada e cuore di diamante, come cristallo che nessuno poteva guardare senza colmarsi di bramosia e cupidigia.
Ella era il sogno e l'incubo al contempo di ogni uomo, seducente megera che con le arti magiche poteva tanto sedurre quanto dannare l'animo di ogni bestia, creatura, mostro e infima creatura della terra.
Dama Bianca la chiamavano i suoi, che più di tutti la veneravano. Eppure quello non era il suo nome.»

Era un Predatore di Neiru. I segni della sua rovina si manifestavano nel suo aspetto turpe e rivoltante. L'odio dei Neiru violentava il suo corpo, ossuto e deforme, e i suoi gesti secchi e teatrali ne rendevano un'immagine soltanto grottesca. Aveva un viso secco e scavato, e la pelle pallida e lucente, soprattutto lungo le protuberanze delle ossa, come madreperla. Lui e chi ne udiva la voce aspra gli suscitavano un profondo disgusto: per un secondo si guardò le mani, come se ne condividesse le mani sottili e dalle sottili unghie nere di lordume.



«Si chiamava Eitinel» si levò allora una voce senza volto, come la lama silenziosa e improvvisa di un pugnale. Il vecchio sobbalzò come se ne avesse assaggiato il filo nel suo ventre. La sua bocca sottile vomitò un grumo giallastro di fetente saliva e il suo volto scheletrico si gonfiò di un irato rossore. «E' la ventesima volta che racconti questa storia, Ka Shanzi. Bella e appassionante senza dubbio. Ma non credi sia ora di variare?»
«Rau si ethnei, ker inam li vazha! La Storia non varia, razza di idiota!»

Uno spettro sembrò all'improvviso levare le sue membra morte. Il vecchio agitò le braccia nervosamente, sbraitando in una lingua così velenosa che bastava coglierne il tono per capirla. Lomerin levò le iridi di zaffiro e le cullò sulle labbra rugose dell'oratore. Lo scrutò da lontano con un signorile atteggiamento di pietà e disprezzo insieme, perché in quel vecchio incosciente la pazzia aveva impedito alla saggezza di radicarsi: era come se avesse acquisito nuovamente i bisogni e la mentalità di un infante.
«Thez'has! Vieni qui se hai il coraggio! Che magari una cosa possiamo cambiarla qui!»
E alla fine Ka Shanzi si tuffò sulla folla come un animale inferocito, alla ricerca del maledetto che aveva interrotto il suo racconto pieno d'odio e livore. Tutti coloro che popolavano la piazza fuggirono come topi mentre l'elfo, anche negli ultimi momenti della sua vita, confermava le voci piene di terrore sui Predatori. Eppure quel saggio straniero aveva soltanto posto fine ad un penoso cabaret di un anziano elfo troppo vecchio per accorgersi -o ricordarsi- della sua terribile follia. Soltanto Lomerin lo guardava con un accennato sorriso, chiedendosi se in quei luoghi fosse l'unico folle a vedere quel vecchio in tutta la sua miserevole apparenza; lui, d'altronde, non aveva ragioni per temere la sua rabbia. E Neirusiens, ai suoi occhi, era tutta lì: in Ka Shanzi e nel manipolo di gente che stava a sentirlo. Aveva soltanto storie da raccontare, e nessuna nuova storia da scrivere.



—◊◊—

Mi approprio il diritto di aprire le danze :P: Spero non di non aver esagerato con le menate introspettive.

 
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Alb†raum
view post Posted on 22/11/2013, 12:03







Jeanne




Jeanne uscì dalla propria cabina strofinandosi gli occhi gonfi per il sonno e barcollò fino alla scaletta che conduceva su in coperta. Un'inclinazione improvvisa della nave la sbilanciò, costringendola ad appoggiarsi a una parete per rimanere in piedi. Si portò una mano alla bocca. Aveva lo stomaco in subbuglio e un sapore acido in bocca, ogni passo era una lotta contro le gambe che tremavano. Un ragazzo moro e muscoloso le passò a fianco trasportando alcune cime e quando la vide arrancare sugli scalini si mise a sghignazzare sguaiatamente.

«Dormito bene, Kujara?»

Jeanne digrignò i denti pregando che le correnti d'aria nel cunicolo in cui stavano navigando lo gettassero giù dalla chiatta. No, non aveva dormito bene. Erano notti che non dormiva affatto e trascorreva il tempo rigirandosi fra le coperte in preda alla nausea o attaccata a una ringhiera a vomitare la cena. Era stufa marcia di stare male, così come era stufa di quell'irritante soprannome che le avevano messo i marinai e delle risate che si facevano alle sue spalle. All'inizio l'aveva trovato divertente... finché il capitano non le aveva detto che era il termine con cui gli uomini del nord chiamavano le donne di altre razze dai facili costumi. “Un popolo che ha una parola solo per dire questo deve essere composto da idioti” grugnì.
Quando raggiunse il ponte si accasciò contro a un parapetto e inspirò profondamente l'aria della grotta. Era fresca e umida, dall'odore piacevole di muschio e roccia. Sotto di lei il proprio viso era specchiato dalle acque del fiume illuminata dalle sparute torce magiche fissate sulle pareti rocciose. Deformato dalle onde, sembrava uno spettro pallido e smunto con gli occhi congestionati. Era così appropriato per l'ambiente che per un istante Jeanne ebbe paura che uscisse dal pelo dell'acqua per trascinarla sul fondo come in alcune antiche leggende. Distolse lo sguardo con uno brivido e lo alzò verso prua. Lady Maria si era già svegliata, ed era lì in piedi a osservare la fenditura dai bordi affilati sul soffitto di fronte a loro che lasciava vedere un frammento di cielo nuvoloso, forse l'ultimo prima di Neirusiens. Teneva l'ombrellino stretto fra le mani, la punta piantata sulle assi a terra. Il suo vestito bianco di taglio orientale ondeggiava per la brezza che soffiava da poppa.

«Milady.»

Mormorò la serva, avvicinandosi con un inchino. Maria scosse il capo come se fosse stata appena destata da un sogno e le lanciò un'occhiata sorpresa.

«Ah, sei tu Jeanne.»

Le sorrise tornando poi a guardare di fronte a sé.

«Il mal di mare è migliorato?»

La volpe si grattò dietro a una delle grandi orecchie appuntite cercando le parole giuste con cui rispondere. Non voleva far preoccupare la padrona.

«Un po'. La ringrazio.»

Quando stava all'aria aperta il dolore alle viscere diventava sopportabile, ma al chiuso non riusciva più nemmeno a respirare. “La chiatta è fatta apposta per attraversare questi fiumi tortuosi, non dovete preoccuparvi. Tutto ciò che sentirete sarà un debole rollio” aveva riso il capitano quando Jeanne aveva fatto domanda in proposito. Non aveva specificato che il suddetto rollio sarebbe stato un costante pugno nello stomaco.

«Mi è stato detto che tra poco arriveremo a Neirusiens. Dov'è Hua?»

Domandò Maria. Jeanne si chiese come facesse l'equipaggio a sapere dove si trovassero. Davanti alla nave non vedeva altro che un labirinto di strettissime svolte in cui riuscivano a passare sfiorando di un palmo le affilate stalagmiti che parevano attendere soltanto che qualcuno vi si infilzasse.

«È ancora in cabina. Forse sta dormendo.»

Hua non era uscita dalla sua stanza per tutto il viaggio. Passava il tempo nascosta fra le coperte a sonnecchiare o a leggere i libri che le venivano passati dal capitano. Jeanne le portava da mangiare in stanza, spesso il proprio piatto che non aveva toccato per la nausea.
Maria ridacchiò aggiustandosi la cuffietta sul capo.

«È un gatto, dopotutto. Avrà paura dell'acqua.»

In quel momento il cunicolo si spalancò in un'enorme cavità e la nave sfociò nel grande lago su cui si affacciava Neirusiens. Per un istante Jeanne rimase senza fiato. Il soffitto della grotta era una cupola di dimensioni tali che la luce delle torce a malapena lo illuminava, lasciando ampie zone d'ombra fra i boschetti di stalattiti pendenti. In quell'oscurità le barche che solcavano il lago erano tanti piccoli lumicini che fluttuavano sull'acqua come fuochi fatui, mentre alla loro destra si riusciva a intravedere la città sotterranea con le sue luci che coloravano d'oro gli edifici. La cosa più impressionante era tuttavia il lago: sulla sua superficie quel mondo sotterraneo si rifletteva nitidamente l'intero mondo sotterraneo. Jeanne ebbe l'impressione di essere chiusa all'interno di una gigantesca sfera.

«Da qui è bella, vero?»

Ridacchiò una voce alle loro spalle. Jeanne e Maria si voltarono. Il capitano della chiatta, un uomo tarchiato di mezza età dai folti baffi sale e pepe, zoppicò verso di loro aiutandosi con un bastone di frassino. Portava una giacca nera consunta riparata da toppe grigie e un cappello dalle falde larghe che doveva tenere con una mano perché non volasse via. Molti dei suoi denti erano neri e quando parlava li metteva in mostra tutti emanando un odore di marcio nauseante. Jeanne dovette trattenersi per non storcere il naso.

«La vera merda, mi perdoni il termine, comincerà quando sarete arrivate.»

Maria sorrise scostando una ciocca di capelli che il vento le aveva spinto negli occhi.

«Dopotutto la chiamano la Città Nera, no?»

Il capitano sghignazzò roco e sputò un grumo di catarro scuro nel lago.

«Nera nel volto e nello spirito. Mi creda, signora, se quello di cui aveva voglia era fare villeggiatura allora le consiglio di prendere il prima possibile un traghetto che torni all'esterno. La gente qui è simpatica come una gamba rotta ed elfi del cazzo non aspettano altro che aprirti la gola.»

«Allora devo sperare che abbiano pietà di tre fanciulle indifese.»

Maria lanciò un'occhiata di intesa a Jeanne. Lei portò la mano dove si sarebbe trovata l'elsa della propria katana. Le aveva lasciate in stanza, nascoste dentro un armadio. Nel caso si fossero trovate in difficoltà non avrebbe esitato estrarle, ma avrebbe preferito non si presentasse mai l'occasione.

«Mi dica, invece, dove possiamo trovare un buon alloggio per la notte?»

Il capitano si passò una mano sul mento ruvido di barba.

«Dipende da cosa intendano per "notte" qui sotto. Comunque non sono andato molte volte oltre il molo. Sono spiacente di non potervi aiutare. Ehi, tu, ragazzo.»

Strillò a un marinaio che stava passeggiando sul ponte. Quello si voltò con un sobbalzo.

«Piantala di battere la fiacca e va ad ammainare le vele. Ci avviciniamo a remi fino al molo.»


Hua




«Su, stai buona. Non vorrai prenderti un raffreddore.»

Hua sbuffò mentre Jeanne si chinava su di lei per chiuderle i bottoni della giacca rossa. Aveva provato a dirle che non aveva freddo, ma la volpe non aveva sentito ragioni. Da quando erano arrivate al molo non l'aveva persa d'occhio un istante. Il porto di Neirusiens era enorme, pieno di luoghi dove nascondersi e giocare, ma Jeanne non voleva lasciarla andare.

«Qui rischi di perderti o di incontrare qualche persona cattiva. Non fare storie.»

Stavano passeggiando sulle assi scricchiolanti del molo in attesa che Maria finisse di parlare con il capitano della nave. Attorno a loro uomini a petto nudo scaricavano casse dalle navi e le impilavano su grandi carrelli di legno assicurandole con spesse cime. I carrelli venivano poi trasportati in una serie di brutti edifici dalle pareti grigie che circondavano l'intero porto. Gli scaricatori si lanciavano fra di loro grida parlando con un buffo accento strascicato; altri, invece, lanciavano occhiate incuriosite alle due shikigami. Hua avrebbe voluto arrampicarsi sulle alte pile di casse e guardare il porto dall'alto come i pirati nei libri del capitano fissavano il mare alla ricerca di navi da abbordare. Quei romanzi le erano piaciuti molto, li aveva trovati molto più divertenti di quelli che le dava Jeanne da leggere di solito. Non riusciva però a sopportare il fatto che fossero ambientati in mare. Gettò un'occhiata preoccupata alle acque scure. Per quanto ci fosse Jeanne fra lei e il lago aveva comunque paura di bagnarsi. Odiava la sensazione dell'acqua fredda che le gocciolava dalla pelle.

«Ho i coltelli che mi ha regalato milady.»

Frugò in una tasca e ne tirò fuori uno per mostrarlo alla volpe con un sorriso fiero sulle labbra. Era un piccolo pugnale da lancio con il manico che terminava in un anello a cui era legato un nastro argentato. Era così bello quando volteggiava in aria. Maria le aveva insegnato come impugnarli e lanciarli. Nella foresta era riuscita persino ad abbattere un cinghiale, per quanto piccolo.

«Ci sono uomini cattivi per cui quel coltello non basterebbe.»

Jeanne le prese la mano fra le proprie e la costrinse a rimettersi in tasca il pugnale controllando attorno che nessuno lo avesse visto.

«E dovresti evitare di tirare fuori armi senza alcun motivo. Non sono giocattoli.»

Hua strinse le labbra volgendo gli occhi al cielo. A volte Jeanne sapeva essere detestabile con tutte le sue attenzioni. Sembrava la considerasse stupida.
In quel momento Maria le raggiunse correndo goffamente sui tacchi tenendo sollevata l'ampia gonna per non inciampare.

«La strada per la città è dall'altra parte. Muoviamoci.»

Le avvertì portandosi una mano al petto ansante. Camminarono in direzione di un arco merlato di pietra scura sopra cui pattugliavano guardie armate di balestra. Hua le fissò, incuriosita. Le loro armature erano lucide, argentate, così diverse da quelle scure che aveva visto indossare dalle guardie di Maria.

«Il capitano ha detto qualcosa di interessante?»

Domandò Jeanne, raccogliendo le mani all'interno delle maniche. Maria si portò un dito di fronte alle labbra con un sorriso.

«Mi ha consigliata caldamente di evitare il quartiere dei Neiru. Dice che gli elfi abbiano come principale divertimento quello di sgozzare uomini.»

Un brivido corse lungo la schiena di Hua, che cominciò a sferzare le code nervosamente. Accarezzò con il pollice il filo del pugnale da lancio che teneva in tasca. Non doveva avere paura. Aveva le Comete, e poi c'erano Maria e Jeanne a difenderla.

«Cosa intende fare, allora?»

Maria si fermò per voltarsi. Aveva gli occhi socchiusi e un ghigno poco rassicurante sulle labbra.

«Avete mai visto un elfo, mie care?»


Maria




Il quartiere dei Neiru era decisamente più tranquillo di come l'aveva descritto quel vecchio puzzolente. Sottili crepe dovute ai secoli solcavano le superfici buie delle case e degli edifici così come stanchezza e rancore deformava il volto degli elfi che passavano loro accanto, ma nessuno si era spinto oltre alle occhiatacce. Piuttosto dovette notare che vi erano ben pochi umani che camminavano per quelle vie.

«Gli elfi li abbiamo visti, milady. Possiamo andarcene?»

Supplicò con tono lamentoso Hua costringendo Maria a fermarsi. Aveva gonfiato le guance e la fissava corrugando la fronte, capricciosa. La Strega le passò una mano fra i capelli castani con dolcezza. Riusciva a capirla, dopotutto. Non c'era assolutamente nulla di attraente in quel luogo dall'aria che sapeva di antico e odio, eppure lei era lì per un motivo ben preciso.

«Devo prima cercare una persona, cara. Appena abbiamo finito prendiamo una stanza in una taverna.»

Hua si staccò da lei con un sospiro. Jeanne prese la Nekomata per mano

«Chi stiamo cercando, milady?»

«Una bambina con le corna.»

Rispose la strega riprendendo a camminare mentre la volpe la fissava con sguardo sconcertato.

«E cosa c'entrano le Ombre con questa bambina?»

Maria si fermò di fronte a un bivio, carezzandosi il mento indecisa su quale strada prendere. Gli edifici le parevano tutti uguali e se non fosse stato per le rade rovine inabitabili incastrate fra le case integre avrebbe sicuramente già perso il senso dell'orientamento. Dopo qualche istante optò per la strada per cui passavano meno persone. Le due shikigami attraevano non poco l'attenzione con i propri vistosi tratti animali ed era sempre meglio non dare troppo nell'occhio.

«Lo scopriremo.»

Rispose alla volpe con un sorrisetto misterioso. Jeanne sollevò gli occhi al cielo, esasperata. In realtà persino la Strega aveva difficoltà a capirlo. Aveva visto quella bambina in sogno pochi giorni dopo la fuga dalle terre di Lord Milorca. L'aveva vista lì, in mezzo agli edifici neri di Neirusiens intenta a giocare con altri bambini. Poco lontana da lei, una donna la fissava con un mezzo sorriso sulle labbra. I suoi occhi erano fatti di tenebra pura e tentacoli neri parevano fuoriuscire dalle orbite.
Non era la bambina che lei cercava, era quella donna, o qualsiasi cosa in realtà fosse. Nessuno fino a quel momento era riuscito a dirle nulla riguardo alle ombre, solo qualche frase tanto sbrigativa quanto vuota di significato. Se la visione aveva davvero un significato, forse quella donna avrebbe potuto dirle qualcosa.

La strada in cui giunsero era affollata da un muro di persone, elfi e umani. L'unico modo per passare sarebbe stato a spallate o a volo d'uccello. Maria sospirò passandosi una mano sulla fronte. Avevano imboccato la via sbagliata, a quanto pareva.

«Forza, torniamo indietro. Non ho voglia di rimanere ferma fra questa gente.»

Mormorò, girando i tacchi, ma Hua la trattenne per una delle ampie maniche.

«Quell'elfo sta raccontando una storia, Milady. Posso rimanere ad ascoltarla?»

Maria alzò gli occhi sul Neiru che parlava in mezzo al cerchio di persone. Aveva il volto scavato dalla fame e dalla vecchiaia, gli occhi infossati e il corpo tanto gracile da sembrare in procinto di sgretolarsi da un momento all'altro. Eppure la sua voce era forte, incalzante, così come lo erano i suoi gesti. Aveva qualcosa che affascinò la Strega abbastanza da spingerla ad ascoltare.

«...Ed ella era bianca come neve. E nera come ombra. Occhi di giada e cuore di diamante, come cristallo che nessuno poteva guardare senza colmarsi di bramosia e cupidigia. Ella era il sogno e l'incubo al contempo di ogni uomo, seducente megera che con le arti magiche poteva tanto sedurre quanto dannare l'animo di ogni bestia, creatura, mostro e infima creatura della terra.
Dama Bianca la chiamavano i suoi, che più di tutti la veneravano. Eppure quello non era il suo nome.
»

Le vene sotto la sua pelle pallida e raggrinzita scintillarono di azzurro quando indicò la folla che lo circondava. Maria non comprendeva nulla della storia, eppure anche lei come Hua e Jeanne era incantata da quella voce roca.

«No. Tanto scuro come la sua vita era stata, come la sua esistenza era divenuta da che la maledizione dell'amore impossibile l'aveva colta. Ella era detta, o meglio conosciuta...»

«Si chiamava Eitinel.»

Lo interruppe qualcuno in mezzo alla folla. Un rumore di vetri infranti. L'incantesimo era cessato, e la forza del vecchio parve svanire nel tremito che gli attraversò la schiena.

«Chi ha parlato?»

Il Neiru si fece tanto paonazzo che Maria si chiese come facesse ad esserci così tanto sangue in quel suo corpo rattrappito.

«E' la ventesima volta che racconti questa storia, Ka Shanzi. Bella e appassionante senza dubbio. Ma non credi sia ora di variare?»

Disse di nuovo la voce sconosciuta. L'elfo si gettò in mezzo alla folla con rabbia strillando improperi in una lingua secca e aspra che Maria fu grata di non avere mai udito prima. Prese Jeanne e Hua per mano e si dileguarono assieme al resto della folla.

«Io volevo sapere come finiva.»

Si lamentò la nekomata, sbuffando. Maria la carezzò sulla testa. Dubitava che avesse realmente capito qualcosa.

«Sono sicura che incontreremo qualcun altro in grado di raccontartela. Ora andiamo.»




Maria Violetta Mircalla Himmelherrin von Bucuresti

Priscillaspecchietto

4 - Astuzia





Risorse

Energia
100%
Status psicologico

Status fisico

rchBJ

Equipaggiamento

Parasole (Fucile, arma contundente e da affondo; mano destra) [5/5]
Eros e Thanatos (Katane; impugnate da Jeanne)
Comete (x20) (Kunai; possedute da Hua)


rchBJ
Passive

An eternal being can hear voices the mortals will never know ~ Pass through the centuries
Immortalità, Auspex passivo, Immunità psionica passiva

Summon of an unspeakable secret ~ Possession
Evocazioni istantanee, Condivisione dei sensi con le evocazioni, +1 CS alla forza delle evocazioni

Communion between demons and mankind ~ Spiritual bond
I compagni animali possono partecipare ai combattimenti e usare tecniche attingendo dalla riserva energetica del padrone

Attive



rchBJ

Note



Primo post con Maria in una quest. Sono mediamente soddisfatto, anche se non sono riuscito a includere tutti i particolari che avrei voluto per non ridurre il post a un gigantesco infodump.

Enjoy it :8D:


 
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.Azazel
view post Posted on 22/11/2013, 17:29




I Primogeniti
Onde di Fumo, Atto I
___ _ ___


~


Sulla plancia del mercantile vi era una calma serafica, sia perchè le ombre calarono sul mondo inghiottendo la luce del sole, sia per la presenza di Kel sul ponte di comando.
Nonostante si fosse accuratamente preoccupato di celare pressochè tutto il suo corpo alla vista altrui, nulla potè fare per nascondere la presenza demoniaca di Neracciaio al suo fianco.
Sorrise leggermente, tamburellando sull'elsa dell'arma le ossuta dita scheletriche protette dal guanto metallico. Il cappuccio nero gli scendeva quasi fin sotto gli occhi ma per qualche istante se lo levò, giusto per osservare Kavresh ni Va.

« Il gigante che attende. »
Era l'ennesima volta che pronunciava quella frase nel corso del viaggio, in modo silenzioso, in un sussurro impercettibile ma vivo. Possibile che all'interno di quell'enorme e granitica montagna ci fossero nascosti degli indizi per il risveglio del Nephilim?
Scosse la testa e si rimise il cappuccio: fantasticare soltanto per il nome di una montagna era cosa ben sciocca e inutile. La chiatta s'infilò agilmente e senza particolari problemi in una ciclopica grotta, entrata naturale che precedeva l'imminente arrivo al porto della città dal cuore nero.
Adorava in maniera smisurata i vari nomi dati a Neirusiens, descrivevano in maniera perfetta l'atmosfera che si respirava sin dall'arrivo al porto: un silenzio innaturale nonostante il frenetico lavoro di garzoni e marinai, la luce del sole era pressochè inesistente e al suo posto l'intera città usufruiva di torce e fiaccole per illuminare le vie e dare un senso agli spostamenti alle anime che l'abitavano.
Una città oscura costruita dentro la pancia della montagna.
Affascinante a dir poco.
Notò solo ora che il capitano della chiatta era sveglio e lo osservava guardingo standosene bene a distanza: l'ora di scendere era giunta, aveva approfittato fin troppo della gentilezza, - pardon, puro terrore -, del capitano.
Saltò oltre il parapetto ligneo dell'imbarcazione lasciando completamente di stucco l'uomo che si precipitò ad osservare lo sgradito passeggero annegare, ma nulla riuscì a vedere se non il buio più totale e il silenzio più assordante.
Kel'Thuzak camminava lentamente sulle calme acque del bacino, evitava con cura tutte le piccole imbarcazioni di pescatori, dotate di lanterna per attirare i piccoli e affusolati pesci presenti, non era difficile schivarle vista la lentezza con la quale procedevano: parevano foglie morte che si spostavano placide su una pozzanghera, mosse solo dalla lieve brezza autunnale.
Salì grazie alla scaletta di un piccolo punto d'attracco semi-abbandonato e scarsamente illuminato, il prossimo passo era immergersi per le vie della città nera e da lì in poi sarebbe risultato impossibile passare inosservati ma non aveva altra scelta. Inspirò l'aria carica d'umidità del porto ed espirò lentamente poi s'incamminò per la prima via che gli si parava dinanzi e rischiarata dalla fiamma di una flebile torcia da parete, oramai morente.

Più s'inoltrava nel cuore della città, lasciandosi alle spalle la zona portuale, maggiori erano gli incontri con i cittadini di Neirusiens: camminava a testa bassa e per poco non rischiò di scontrarsi contro un vecchio elfo, a tutti i costi voleva evitare di mostrare l'orripilanza del suo viso, accuratamente celata dal cappuccio color pece, era l'ultima cosa che in quel momento voleva.
Obbiettivamente non conosceva l'eventuale reazione della gente del luogo, magari l'avrebbero semplicemente ignorato ma preferì non sfidare la sorte.
Solitamente vinceva sempre lei e si rivelava un avversario alquanto ostico.
Le costruzioni erano tetre e uggiose come se fossero presenti ancor prima della creazione della città stessa, antiche spettatrici segnate dal tempo e dagli eventi tragici avvenuti in passato sembravano voler comunicare a tutti i viaggiatori, che per la prima volta camminavano per le vie della città nera, di andarsene o comunque di far capire ai visitatori che non vi era nulla di interessante o degno di nota.

"...Ed ella era bianca come neve.
E nera come ombra..."


Nei pressi della piazza un gruppo di persone erano riunite ad ascoltare le parole di un vecchio.
Un Neiru, oramai con un piede nella fossa, probabilmente vecchio quanto la città stessa, se ne stava in piedi sopra una sedia sopraelevandosi rispetto alla folla di poco, nonostante l'appoggio di fortuna che, nel frattempo, si era trasformato in un palcoscenico a tutti gli effetti.

"Occhi di giada e cuore di diamante, come cristallo che nessuno poteva guardare senza colmarsi di bramosia e cupidigia.
Ella era il sogno e l'incubo al contempo di ogni uomo, seducente megera che con le arti magiche poteva tanto sedurre quanto dannare l'animo di ogni bestia, creatura, mostro e infima creatura della terra.
Dama Bianca la chiamavano i suoi, che più di tutti la veneravano. Eppure quello non era il suo nome."


Il vecchio dalla pelle raggrinzita e color del marmo indicò la folla con dita lunghe e ossute come volesse sfidarli a contestare parole pronunciate con tale solennità, poi riprese a parlare: "Ella possedeva in realtà un nome tanto tenebroso quanto solo la sua anima poteva essere.
Tanto scuro come la sua vita era stata, come la sua esistenza era divenuta da che la maledizione dell'amore impossibile l'aveva colta. Ella era detta, o meglio conosciuta..."


« Si chiamava Eitinel »
Nonostante Kel si trovasse ai margini più estremi della folla ed avesse una buona visione di tutti i presenti, non riuscì a capire da dove arrivò la voce che stroncò l'orazione del vecchio Neiru.
Tale interruzione fu quasi letale per la raggrinzita figura in piedi sulla sedia che parve raggomitolari su se stessa, come se le parole provenienti dalla folla si fossero tramutate in un montante invisibile diretto al suo debole ventre: "Chi ha parlato?", domandò per poi sputare a terra, scandalizzato e rabbioso si fece rosso in volto abbandonando per qualche istante il pallido color avorio della sua pelle.

« E' la ventesima volta che racconti questa storia, Ka Shanzi. Bella e appassionante senza dubbio. Ma non credi sia ora di variare? »
Replicò l'anonimo ascoltatore con parole ricoperte da un impercettibile velo di derisione nei confronti del vecchio e delle sue storie.
La reazione del decrepito Neiru fu un'esplosione di vitalità, tant'è che Kel rimase stupefatto dall'energia prodotta da quella figura così gracile e raggrinzita. Come un pazzo iniziò a blaterare frasi nella sua lingua, sconosciuta al goryano, ma che sicuramente, visti i toni e la foga nel dirle e nel muoversi, non erano complimenti o lodi di alcun tipo; la folla si sfoltì velocemente, quasi terrorizzata dalle azioni del Neiru che, nel frattempo, cercava il mascalzone che aveva osato interromperlo poco prima.
La figura nera e silenziosa del Mezzanima, avvoltò dal mantello e dal cappuccio, vibrò sotto di essi per qualche istante.
Sogghignava a denti stretti.

Kel'Thuzak
il Mezzanima

CS 4 ~ Destrezza 2 - Intelligenza 2

~ Basso 5% ~ Medio 10% ~ Alto 20% ~ Critico 40% ~

Energia: 100%
Status Fisico: Indenne.
Status Psicologico: Indenne.

Equipaggiamento in uso

Neracciaio__Inutilizzata.
Silentium__Inutilizzata. [º º º º º]


Abilità in uso

arcanus__L'anima corrotta di Kel, scissa in due tra spada e corpo, ha fatto sì che Neracciaio acquisisse un potere in grado di distinguerla dal resto delle armi comuni: il potere della sua anima racchiusa in questa spada è in grado bruciare e ustionare. L'arma infliggerà danno come il riflesso della propria anima tant'è che oltre al danno fisico arrecherà un danno legato all'elemento Fuoco, non pregiudicherà in alcun modo la regolamentazione sugli attacchi fisici e le Capacità Straordinarie; il danno totale inflitto dagli attacchi fisici non cambierà in alcun modo, ne verrà solo caratterizzata l'entità aggiungendovi proprietà elementali. L’arma, come una creatura viva e senziente, si plasmerà sulla figura del possessore assecondando la sua indole, vettore della sua anima. Da questo momento in poi essa vibrerà di energia propria, liberando una malia psionica di tipo passivo, sottoforma di terrore e paura, che influenzerà chiunque sarà abbastanza vicino da percepirla. Inoltre Kel, raggiunto il 10% delle energie, non sverrà, come invece potrebbe succedere a qualsiasi altro membro di un'altra razza. Ciò però non significa che non sarà stanco raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%.
{Passiva Lvl.1 e 2 Artigiano + Razziale Umana}

tutum iter__La tecnica ha natura magica. L'abilità non ha potenza e concede i propri benefici passivamente, sempre funzionanti nel corso di una giocata. Il personaggio diviene in grado di camminare e reggersi su qualsiasi superficie, sia essa avversa a lui e alla gravità (come una parete o un soffitto), sia essa liquida (acqua, ad esempio) o aeriforme (camminare sull'aria). Non sarà affetto in alcuna maniera da correnti d'aria o sbilanciato da onde nell'acqua, e potrà camminare tanto agilmente nell'aria quanto lo farebbe sulla terraferma, il tutto non alterando in alcuna maniera la sua agilità o la velocità con la quale si muove normalmente - rendendolo di fatto né più veloce né più lento del solito. {Pergamena Sostegno - Ladro}

mysticus__Il prescelto dei guerrieri stregoni di Kolozar Dum è stato dotato inconsapevolmente, da quest'ultimi, del dono della magia, ma non magia comune bensì qualcosa di molto più potente e in grado di far impallidire i migliori maghi esistenti. Poter contare ogniqualvolta su una fonte di potere sempre maggiore rispetto a chi si ha di fronte è una capacità che molti vorrebbero e che Kel possiede dopo essere tornato alla vita. In termini di gioco la tecnica ha natura Magica e avrà sempre effetto. Ogni volta che il proprio avversario utilizza una tecnica di natura magica, per la durata di quel turno Kel guadagna 2 CS in Intelligenza.
{Pergamena Discendenza Arcana - Mago}

Attive Utilizzate

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Alicia.
view post Posted on 24/11/2013, 00:59




OVERNEATH THE PATH OF MISERY
all the world has closed her eyes. Tired faith; all worn and thin.

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Ogni giorno percorrevo quella strada per arrivare alla locanda nella quale lavoravo, costeggiava delle mura di fredda pietra che cingevano il palazzo reale. Non mi ero mai accorta della sua presenza prima d'ora, le fortificazioni infatti mi inducevano a distogliere sempre lo sguardo; era inutile osservare un luogo così lontano ed irraggiungibile. Una mattina però, il sole era tanto alto e caldo da farmi alzare lo sguardo, il suo tepore abbracciò la mia pelle e fu proprio in quell'istante che la vidi. La regina. Con le mani posate sul marmo bianco, circondata da colonne altrettanto biancastre; i raggi solari si posavano su di lei illuminandone i tratti somatici, esaltandoli. Su di lei avevo ascoltato le storie più variegate, cioè di cui però ero certa era che senza di lei non sarebbe esistita nel paese questa incredibile e duratura pace.
I suoi occhi fissavano l'orizzonte colmi d'ambizione e risolutezza, sembravano in grado di penetrare qualsiasi difesa e, soprattutto, qualsiasi cuore. La brezza mattutina le sollevava i capelli rosei facendoli levitare davanti al viso, non turbandone però la sua celestiale bellezza.

Era incredibile pensare come oltre quelle mura gelide ci fosse una simile visione. Continuai ad osservarla, giorno dopo giorno, con una sicurezza sempre maggiore; la medesima sicurezza che lei stessa riusciva ad infondere ad ogni singolo cittadino. Non camminai più con gli occhi rivolti al terreno, mi sentivo in grado anche io di osservare l'orizzonte, nulla poteva trattenere quel mio nuovo entusiasmo. Me lo dissero in molti, da dietro il bancone mi vedevano diversa, solare, una nuova me. Come se avessi conosciuto ed abbracciato Dio. Effettivamente ne ero sempre più certa, ogni volta che i miei occhi la incontravano la mia convinzione si faceva più concreta.
Lei non faceva parte di questo mondo.

Sia che nevicasse o che piovesse la si poteva vedere ogni mattina su quel verone, come fosse la prima sentinella del regno, un grande occhio che vegliava costantemente su tutti noi. Riaprire gli occhi al mio risveglio aveva assunto un nuovo -radioso- significato, avendo constatato la sua presenza avevo di nuovo qualcosa in cui credere. Le mura e la distanza sociale che ci separava andava assottigliandosi, lasciando spazio solo alla mia pura devozione.
Il suo viso era come una melodia che non riuscivo a togliermi dalla testa.
Forse era stata proprio quest'ultima ad illudermi, a farmi credere che tutto ciò non sarebbe mai finito. Niente di più sbagliato e lontano dalla realtà. Quando una mattina non la vidi capii istantaneamente. Il suo posto era stato occupato da un vento gelido che all'improvviso avevo iniziato a soffiare in tutto il regno, un presagio piuttosto chiaro. La luce che fino a quel giorno mi aveva illuminata aveva lasciato spazio a quell'aria pesante e fredda, che sembrava volesse opprimermi e farmi nuovamente abbassare lo sguardo. Non potevo permettere che tutto ciò si ripetesse; per questo, con il cuore in gola, corsi fino al cancello principale del palazzo, dove il ferro dell'ingresso si univa con l'altrettanto grigia pietra.

Una carrozza era appostata fuori, pronta a lasciare il regno verso una meta a me ignota. In cuor mio sapevo che quello che stava accadendo non era niente di più che l'inevitabile, ma non potei comunque fermarmi. Corsi fino a quando il muro di guardie non mi si parò davanti bloccandomi la vista ed il seguito del ciottolato. Non dissi nulla, cercando di sbirciare tra le armature ed i drappi di quei cavalieri; il silenzio da me alimentato mi permise di udire una breve frase. Una frase che per grazia e calma difficilmente scorderò. Una frase che in un solo istante mi rassicurò e contemporaneamente mi fece sentire insignificante.
« ...Non possiamo tollerare l'esistenza di un simile luogo; per quanto mi addolori lasciare il mio paese non esiste altro modo per dar seguito alla nostra missione. »
Io non ero nient'altro che una minuscola goccia nel mare degli ideali della Regina, il mio egoismo mi aveva portata a pensare di poter essere come lei o, almeno, di poterle essere utile.

L'unico modo in cui avrei potuto esserle d'aiuto consisteva nel pregare per lei, per un suo ritorno. Questa volta però non per una distorta visione egoistica della fede, ma solo per il bene del mondo intero.
Non avevo Dei a cui rivolgere le mie preghiere, perciò parlai direttamente a lei.
Un suo ritorno avrebbe significato l'ennesima vittoria del bene sul male, l'ennesima sua vittoria e quindi l'ennesima nostra vittoria.
Sì, l'avrei aspettata. Aspettata per sempre.

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« Siamo arrivati mia signora. » La voce neutra e priva di sfumature di una guardia la destò dai propri pensieri. Il viaggio -inutile nasconderlo- l'aveva provata, i lunghi tragitti la destabilizzavano sempre, più fisicamente che mentalmente.
La corsa dei cavalli si arrestò ed Alicia scese con grazia dal proprio mezzo di trasporto, sollevando delicatamente un lembo del suo lungo vestito. Appena sollevò gli occhi ebbe come l'impressione di essersi appena fermata all'interno di un gigantesco e scuro alveare. Le varietà di suoni e il loro eco non era del tutto dissimile da quello delle api, così come la conformazione di Neirusiens non di discostava poi molto da quella di un labirinto nero. Non vi era alcuna fonte naturale di luce in quel luogo, non era altro che una gigantesca caverna abitata da ombre. O almeno così la dipingevano in molti. Molti individui in questa oscurità di sguazzavano, invisibili all'occhio della giustizia e all'ombra del male. Tutto questo non sarebbe durato oltre, con la presenza della Regina quel luogo poteva contare su una nuova luce.

Il muschio ovattava i passi di Alicia che senza indugiare oltre si diresse verso il centro della cittadina, congedando con un semplice cenno del capo i propri accompagnatori. Molte persone le rivolsero sguardi più o meno lusinghieri, squadrandola dalla testa ai piedi. Non passava sicuramente inosservata, con quel suo vestito così elegante e così fuori dall'immaginario collettivo di quei luoghi. Rimase perciò piacevolmente sorpresa quando si accorse che qualcos'altro aveva catturato l'attenzione dei più. Voci incomprensibili e rumori ancora più indistinti giunsero alle sue orecchie, invitandola ad avvicinarsi.

"Occhi di giada e cuore di diamante, come cristallo che nessuno poteva guardare senza colmarsi di bramosia e cupidigia.
Ella era il sogno e l'incubo al contempo di ogni uomo, seducente megera che con le arti magiche poteva tanto sedurre quanto dannare l'animo di ogni bestia, creatura, mostro e infima creatura della terra.
Dama Bianca la chiamavano i suoi, che più di tutti la veneravano. Eppure quello non era il suo nome."


Racconti di persone passate, narrate da un individuo anche lui prossimo a divenire storia. Storie senza ideali, vuote; narrate per intrattenere e non per educare.

« E' la ventesima volta che racconti questa storia, Ka Shanzi. Bella e appassionante senza dubbio. Ma non credi sia ora di variare? »

Interruppe qualcuno, scatenando l'ira dell'anziano. Mettere in discussione i racconti ed i ricordi di una persona è il modo più facile per inimicarsela. Perciò la reazione -smodata- di quel vecchio elfo non sorprese Alicia. Proprio lei che di ricordi e racconti faceva volentieri a meno.


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passive in use.

harmony - Nemmeno le tecniche più subdole ed imprevedibili possono far vacillare le sue convinzioni o distorcere la realtà che lei stessa ha creato. Per questo sarà immune anche a qualsiasi tecnica psionica passiva che tenti di deviare la sua mente. [Passiva di difesa contro le tecniche psioniche]

god shape - Se la mente di Alicia si è rinforzata grazie al proprio credo lo stesso ha fatto il suo corpo, per sopportare il peso e le conseguenze dei suoi ideali. La cute pallida e delicata cela qualcosa che ormai ha ben poco di umano; la sua forte morale ha mutato a poco a poco la carne, facendola divenire più simile a quella di una divinità. La Regina infatti non sottostà più alle leggi che regolano il mondo, per lei non esiste vecchiaia, tempo o morte. Il suo corpo un tempo umano ha trasceso i limiti imposti da tale razza, divenendo un monumento senza tempo in onore dell'unica e vera Giustizia. Fino a quando la sua mente sarà pervasa da pensieri giusti e puri, ella non perirà; il suo corpo rimarrà infinito, irraggiungibile per chiunque. [Abilità personale passiva - Immortalità]

liar game - Segreti e menzogne non hanno ragione d'esistere nel mondo sognato e dipinto da Alicia per tutti noi. Ella è in grado di comprendere e capire qualsiasi persona, ascolta e poi trae le sue personali conclusioni. Avere una conversazione con lei non è però alla portata di tutti; al di là della difficoltà "fisica" nell'avvicinarsi alla sua figura ogni suo interlocutore dovrà dosare con flemma ed intelligenza le proprie parole. Una smorfia, un battito di ciglia troppo rapido o perfino una parola sbagliata, tutto ciò può portare la Regina a dubitare di qualsiasi cosa le venga detta. Le basterà infatti uno sguardo attento per scindere il vero dal falso, un rapido instante in grado di far crollare anche le bugie più radicate e complesse. [Passiva 1° livello informatore - Alicia sa sempre se qualcuno le sta mentendo] In modo quasi similare Alicia può venire a conoscenza del fatto che una qualsiasi persona stia celandole un segreto, questa volta però senza il bisogno di interagire con il proprio bersaglio; le basterà infatti uno sguardo fugace per cogliere la più minima ed impercettibile esitazione. Purtroppo però non sarà in grado di conoscere ulteriori dettagli circa le falsità ed i segreti altrui (I motivi o la verità), ma ciò spesso è sufficiente per far calare sui bugiardi la scure della Giustizia. [Passiva 2° livello informatore - Alicia sa sempre se qualcuno le sta nascondendo un segreto]


notes.

Eccomi :3 Perdonate la scarsa qualità del post, penso di essere ancora un po' arrugginita, non scrivevo da davvero tanto tempo!
Semplice scena d'introduzione comunque, ho solo un piccolo appunto riguardo la prima parte: il primo paragrafo è narrato in prima persona da una concittadina di Alicia, ho voluto infatti narrare in modo "diverso" la sua partenza, indirettamente si capiscono i motivi che la spingono a Neirusiens. Nei prossimi scritti cercherò di migliorare. Spero piaccia! Buona quest a tutti ^^

 
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Lill'
view post Posted on 24/11/2013, 15:05






kjea

Il picchiettio dalle rocce.
Quella fogna macabra vibrava ancora sotto di loro, insinuandosi tra gli androni come un sussurro, piegandosi su anse di sabbia scura. Scintillava ogni tanto in risposta alle torce, ma in modo insondabile, affatto trasparente; come se si cercasse una verità in una pozza d’olio nero, o anche solo un torsolo di mela buttato l’istante prima.
Che era il caso di Rick.
L’acqua del Ràn era sempre uno stagno lugubre.
Grossomodo sfamatosi con lo spuntino, il nano si era accostato agli altri sul barcone, attendendo in dormiveglia. In quelle maledette caverne pure il ciclo del sonno pareva alterato, buio pesto e denso senza una fine, ed era umido. Maledettamente, umido. Nelle ore precedenti – non che lui tenesse il conto, il timoniere l’aveva informato – avevano incontrato di tutto: ratti imbacuccati appesi al soffitto, secche e denti di roccia usciti dal nulla, ogni possibile grana per la navigazione. Ruderi, anche. Fatiscenti ed enormi, i cancelloni Neiru gli avevano sbarrato il passo più di una volta, da lontano, per poi farli sgusciare in occasionali squarci nella ruggine una volta avvicinatisi. Il vagabondo se n’era guardato bene, rompendo in via eccezionale il suo sonnecchiare, graffi e simboli ad intagliare quegli spettri di metallo. Non sapeva perché, ma non gli dicevano niente di buono: gli rievocavano rigurgiti strani nello stomaco, umori nella testa - per lui non c’era una vera differenza, tra i due.
Il resto dell’equipaggio, ognuno preso dalle proprie attività – chi preparare le sacche di roba per l’arrivo, chi conteggiare le provviste da vendere a luce di candela – non ci aveva fatto troppo caso. Il timoniere, che aveva percorso quegli antri decine di volte, sembrava conoscere bene le insidie del fiume sotterraneo; non esitava, tirava dritto oltre i banchi di rocce. Il capitano, un tizio baffuto incaricato di portare mercanti ed affaristi da due soldi al porto, pareva annoiato; osservava l’oscurità chiudersi dietro di loro al passaggio della nave sotto le stalattiti.

Dal canto suo, Rick si era appisolato. Senza fare troppi complimenti, e senza aspettare altri per la cena, aveva svolto tutte le sue attività quotidiane – post-pasto comprese - per ritrovarsi anche lui a fracassarsi le scatole. Cosa ovvia, teneva sempre la sacca con la sua di merce, o meglio quella del Clan, sottomano: mai fidarsi di ciò che sguscia nell’ombra, pipistrelli o uomini comuni – dunque malandrini, nella giusta occasione – che fossero.
Specie gente che andava in quel posto, poi.
In generale attendeva; in silenzio e con un nodo in gola – non solo per il pasto appena divorato, però.
Fu così che quando la figura del capitano, altra ombra diretta in quella cloaca sudicia, gli si affiancò, non parlò. Sbuffò un po’ e scatarrò nel fiume invece, in risposta ai sussurri provenienti dal buio.
Siamo quasi arrivati, Sorya.
Non si girò. Non perché si fidasse - anzi.

Lo so







RICORDI,
Neirusiens?


huvs



ri5u
Buttando giù l’ultimo tozzo di pane, riprese a camminare. Il gradino dove s’era fermato raccontava del sudiciume del suo ultimo pasto, quelle radici amare fritte alla buona; non che si potesse aspettare niente di più saporito, lì sotto – non che ci fosse pulizia altrimenti. Come colazione aveva avuto di peggio, comunque.
Tutt’altro che ordinate, case e strade si ammassavano attorno a lui in un groviglio opprimente. I portici decadenti erano rischiarati qua e là da mozziconi di torce, il massimo che quella zona di pitocchi potesse permettersi, e in giro c’era un che di stagnante – un odore stantio. Tipo quello sotto le sua ascelle, in effetti. Muovendosi spedito, il nano si lasciava alle spalle ciottoli e bancarelle colorate; aveva passato da un pezzo la zona del porto, ormai, il suo viavai di merci dai luoghi più esotici dell’Eden, rigorosamente in spalla a poveracci malvestiti. La vita – se così la si poteva chiamare – pullulante attorno al Ràn, il suo andirivieni sgargiante, lasciava ora il passo ad una chiavica di edifici scuri.
All'esistenza vera, in effetti.
Sempre guardingo dei passanti, Rick portava le due sporte sulle spalle. Ogni tanto pescava un ragazzetto adocchiarlo di sguincio, dietro un angolo nero, per poi scappare; altre volte erano proprio gli sguardi dei poveri diavoli capitati lì, scie di fumo e angoscia anch’essi, ad attirare la sua attenzione. Ma tutto sommato, non erano loro a preoccuparlo: non lo preoccupavano neppure i faccia-da-morto, se per questo.
Semplicemente, dava un occhio a quanto accadeva, rizzava bene le orecchie tra la peluria madida – il solito. Quei balordi sulla nave l’avevano avvisato, persino gli altri faccendieri – dirli mercanti era troppo – s’erano stupiti: non nel quartiere Neiru, nano. Non tra le vie avvelenate.
E che, se la sarebbe fatta addosso per questo?

No di certo.
Che ne sapevano.

Nondimeno, guardava per terra; la roba che il clan gli aveva assegnato aveva più valore del solito, quell’incarico un briciolo di dignità superiore all’usuale. Sempre di carabattole si trattava, per carità, ma non voleva mica sciupare l’occasione: qualche soldo in più da spendere in taverne, ecco, non gli dispiaceva proprio. I vicoli correvano in sospiri e veleno, altri spettri fuori dalla sua testa lo incalzano ogni istante. Lo sapeva, lo sapeva bene: brividi che sgusciavano da un angolo all’altro, rintronando per le piazze cupe.
Salamelecchi e affamamenti antichi.
Ma non c’era niente da temere davvero lì, ora.
E, oltretutto, non si era ancora ritrovato tra demoni smaniosi e sacerdoti balenghi, come d’uso nei suoi incarichi di compravendita. Questione di tempo, probabilmente.

Il Quartiere Neiru pareva ammantato in un eterno crepuscolo. Le luci ancora più sparute si accendevano solo ogni tanto, cospargendolo di un’ansia febbrile. Più in là il vagabondo scorse un muso bianco alla finestra, subito ritratto; nella via parallela sentiva marmocchi elfi schiamazzare, cantilene vecchie di cui aveva perso il filo e le note, in buona parte. Non gli badò. Percuotendo pietrisco e sporcizia con gli stivali, il nano non pensava proprio al resto: bandi cittadini strappati sui muri, forni per il pane all’aperto e cani randagi.
Viandanti e ombre, tra i vicoli.
Che c’era di strano?
Era normale: scie e trucchi per arrabattarsi ingombravano le vie del mondo – di quella città – sentimenti antichi e beceri, a dire degli altri. Incontri casuali, nella notte, senza un senso o un fine che non fosse il più semplice: ecco tutto. Ma non sempre erano piacevoli.
Anche questa volta, i fatti sembrarono confermare il suo fiuto: folla e grida si sparpagliavano a pochi passi da Rick. Incupendo ancor più lo sguardo, il tozzo vagabondo studiò meglio la scena. Un vecchio faccia-di-morto aveva preso ad azzuffarsi, demoni a salirgli per i tratti scavati. Gli arrivarono le urla in quel grugno antico, e il vociare degli avventori disperdersi; si fermò un attimo, guardando meglio:
poi proseguì.

jzyc

Il capitano gli aveva bofonchiato qualcosa sulla ripartenza.
Mollavano gli ormeggi nel pomeriggio o qualcosa del genere.
Si fece strada sui ciottoli scuri, imbrattati di brame comuni e risentimenti persi nel tempo. Andando dritto così sarebbe giunto al centro in qualche minuto: nessuna deviazione per altre strade, sciocchezze; nessuna visita in ruderi dimenticati, in sale dove qualcuno poteva stare ancora aspettando, ormai da troppi anni fa. Tutto si concentrava su una cosa sola, l'unica ad aver avuto mai importanza: solo per terra,
vicoli nell’ombra.

Cos’altro (c')era, Rick?








Beh, buona quest a tutti :riot:


Edited by Lill' - 24/11/2013, 16:34
 
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view post Posted on 29/11/2013, 13:28
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And...bla..Bla..BLA
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VqRrrAg
Tanto ingobbito da raggiungere poco meno che la statura di un adolescente malnutrito, tanto magro da parere lo scheletro di un uomo in carne, Ka Shanzi saettò nella folla con grazia felina, selvatica, gli arti nodosi a distendersi e poi contrarsi come legamenti di ingranaggi abbastanza perfetti di non temere tempo o età.
Molti anni prima egli era stato un cacciatore, uno dei più abili e ammirati fra i Predatori, così bravo che spesso si arrischiava ad abbandonare i propri compagni "troppo lenti per stare al suo passo" andandosene da solo in giro per le gallerie di Kavresh ni Va in cerca di prede, demoni e sfide di qualunque genere. Per anni ne trovò tante da riempire vite intere.
Poi, un giorno, qualcosa trovò lui.
"Turish yu i Vikrahm! Krec lo ha yi!
Forse sarò vecchio, ma un collo lo so ancora strizzare con queste mie manine intirizzite!"

Come tanti ratti spaventati, la folla sciamò tutt'attorno a lui in un brulichio confuso segnato di piccole risa e sboccate imprecazioni mentre, chi più chi meno, tutti gli abitanti di Neirusiens li radunatisi tentavano come potevano di sottrarsi alle affatto velate minacce del pazzoide di turno. Perchè ce n'era sempre qualcuno in giro per quelle strade...
Scattò in avanti, schivò un gruppetto di straniere li radunatesi nel mezzo della piazza, saltò a piè pari un buffo ometto dall'aria compiaciuta e mentre era ancora a mezz'aria tese due dita in avanti -avvizzite e sporche- chiedendosi, per un attimo, da dove diavolo fosse comparsa tutta quella gente "nuova" in quella fogna di città che nessuno voleva ma che tutti alla fine non potevano che...odiare.
E poi era lui il pazzo..
In ogni caso, quando le sue dita si chiusero, nel pugno si ritrovarono una liscia ciocca di bruni capelli color della notte. Neri e freschi, questi si sfilacciarono per incanto nella sua stretta accompagnati da un gridolino smorzato, acuto come lama nel buio, mentre la vittima tentava inutilmente di divincolarsi come preda infida.
Strattonò una volta, giusto per sicurezza, e solo allora si diede la pena di gettare un'occhiata allo sguardo che subito fece capolino da quel sipario corvino.
Non potè proprio trattenersi dal piegare gli angoli di quella sua bocca rinsecchita in un mezzo sogghigno di piacere.
Lei si chiamava Aris, ma tutti a Neirusiens l'avevano presto soprannominata "Occhi di luna", perchè spesso pareva che l'iride cambiasse colore, senza motivo apparente, virando da un grigio perla ad un'ambra intenso e scuro.
Ed ora verde muschio, poco prima che Ka Shanzi strattonasse ancora una volta i suoi neri capelli prima di avvicinarlesi con un sospiro denso di erbe amare.
"L'a thier vhay...Arish
Fra tutti, mai avrei sospettato di te, mia cara"


-O-

"E' ridicolo! Pensi davvero di avere a che fare con una massa di idioti, Edwin?"
pericolosamente pallido, il volto di Lackhir pareva ora una maschera di cereo livore. La mascella tesa, gli zigomi disegnati, le vene del collo pulsanti. Sottile come una lama, pochi fra i membri della Cerchia faticarono ad immaginare perchè tutta Neirusiens avesse temuto - e temeva tutt'ora- quell'ometto dai tratti ferini.
Per un attimo nessuno disse niente, la sala del concilio livida di bracieri ardenti e seggi già per metà rovesciati, poi, silenziosamente, la mano che Edwin aveva poggiato sotto al mento si scostò da quella posa, scivolando quieta a grattare con il dorso delle unghie la sua barba ispida.
"Siediti, Lackhir" lo invitò gelidamente senza neppure guardarlo "E questa volta tenta di ascoltare attentamente quanto sto cercando di dirti"
Una pausa.
"Vi dico che gli elfi non sono un problema" pochi riuscirono a trattenere una smorfia tirata "Sto lavorando a qualcosa di molto più importante per darmi pena di questi beoti con la nostalgia di casa"
"Beoti?!"
Tersh era in piedi, livido
"Questi Beoti come li chiami tu potrebbero mettere a ferro e fuoco Neirusiens in qualunque momento! Sono pericolosi, numerosi, e decisamente più forti di noi non solo grazie a quella robaccia che si iniettano nelle vene"
"Noi abbiamo i Danzatori"
lo liquidò Edwin con un mezzo sorriso che l'altro, ovviamente, parve non gradire affatto.
"Non sono abbastanza"
"E invece basteranno"
"Basteranno giusto il tempo per consentirti di portare a termine i tuoi" Lorin si accigliò "Piani...di cui non hai alcuna intenzione di metterci a parte?"
Con un movimento misurato Edwin si tirò allora in piedi, il suo metro e ottanta che svettava dalla posizione lievemente sopraelevata in cui si trovava
"Poi dovrei uccidervi tutti quanti" commentò con un ghignetto "E sinceramente confido molto sull'operato della Cerchia. Sarebbe cosa triste perdere ognuno di voi in questo stupido modo."
"E' una minaccia?"
Lakhir assottigliò lo sguardo, le dita chiuse a pugno tanto fortemente da sbiancare le nocche. Placido come sempre, Edwin gli rivolse uno sguardo enigmatico, appena appena sardonico.
"Solo i traditori temono l'abbraccio dei propri amici, Lakhir, ricordalo"
E detto ciò, abbozzando un mezzo inchino, Edwin si voltò e cominciò ad avviarsi verso l'uscita della sala del consiglio lasciando un'interdetta schiera a fissarlo attonita. Sull'uscio, si accostò per un attimo al suo Secondo sussurrandogli qualcosa all'orecchio per poi, senza accomiatarsi, sparire oltre la soglia.

-O-


Nella mischia generale della piazza di Neirusiens, pochi facevano ora caso ad un gruppetto di Predatori fermo al margine della piazza, giovani segugi in attesa di una preda.
"Guardali, peggio di cani randagi"
pallidi e nebulosi, gli occhi dell'elfo parevano latte sfere senza fuoco. Aprì un attimo le labbra, come a saggiare con la lingua il gusto di ciò che stava accadendo solo pochi metri di distanza da lui.
Piegò appena la testa di lato, uno dei suoi a ricambiare, pur non vedendolo, il sorrisetto che era già comparso sul suo volto.
"E guarda guarda che assortimento di Lady che abbiamo oggi sul mercato. Da quando simili principesse non si sporcavano i piedini poggiando le loro preziose scarpette qui a Neirusiens?"
Dietro di loro, un elfo dal volto incendiato dal Fiume si sporse appena annusando cautamente l'aria.
"Non sono le sole qui a sapere di mughetto. Ce ne sono altri freschi freschi di Yarih ka"
Yarih Ka.
Nella Luce.
Così coloro che non vedevano mai la luce del sole chiamavano il mondo oscuro fuori dalla Terra, dalle profondità abissali e coloro che da esso provenivano, caldi di quella carezza potente e bruciante.
Il primo elfo annuì lentamente, la mano che scendeva alla cintola onde saggiare la curvatura sottile del pugnale lì riposto.
"Potremmo dar loro un caldo benvenuto"
sospirò un'altro poco distante, le mani sottili che tremavano di tensione. Qualcuno accanto a lui sogghignò d'intesa, facendo saettare gli occhi pallidi dall'una all'altra figura "straniera" presente nella piazza.
Heresh, quello che tutti gli altri solevano chiamare "capo", si umettò piano le labbra, come pregustando un sapore a lui soltanto noto.
"Ad ognuno la sua preda" decretò dunque con un mezzo sospiro "Niente baruffe, niente duelli, sapete come muovervi" una pausa, le sue dita si serrarono attorno all'arma posta al suo fianco, finalmente estraendola con un guizzo letale
"E che nessuno tocchi la mia preda."
Tutto insieme, silenzioso e letale, il gruppo parve allora muoversi all'unisono, gambe e braccia di un unico essere che lentamente si stiracchi, si allunghi, e poi cominci ad avanzare in un'unica sincronia, unica armonia.
Poi, improvviso, un brivido.
"Sono arrivati i Danzatori"
il sussurro di Heresh passò come scarica elettrica in quel corpo tribale, come felino a cui si rizzino i peli in un inequivocabile presentimento di pericolo.



Ed eccoci qui ^__^
La scena prosegue. Particolare molto importante. Questa Quest è progettata per "andare avanti da sola", gli avvenimenti cioè hanno un corso prestabilito che starà a voi deviare, interrompere, modificare e così via. Diversamente, potreste godervela anche da spettatori -cosa che spero però non vorrete fare XD-
Detto questo. Il vecchio pazzo trova finalmente la maleducata persona che ha osato interrompere la sua novella. Si tratta di Aris, una giovane fanciulla dai capelli corvini e occhi verdi nota per qualche "particolarità" che l'hanno resa abbastanza popolare fra le genti di Neirusiens. Raggiuntala, il vecchio la agguanta per i capelli, strattonandola in malo modo senza che alcuno si frapponga -ancora- fra di loro per dividerli. Poco distante, un gruppo di Predatori osserva interessato la baraonda creatasi nella piazza. Sono una decina di individui, ognuno noto nella malavita per azioni affatto popolari come furto, omicidio e altre cose del genere. Indifferenti a quanto accade alle "normali" genti di Neirusiens, essi paiono molto interessati agli stranieri giunti da poco da "fuori" ed ora tutti radunatisi nella piazza. Ai loro occhi si tratta ovviamente di potenziali bersagli da derubare. Il capo comincia a dirigersi verso Alicia, la preda ai suoi occhi più ghiotta. Gli altri elfi prendono invece ad avvicinarsi a coppie di due verso ognuno dei partecipanti, ovviamente forti di cattive intenzioni. Non è detto però che attacchino immediatamente. Nella piazza sono infatti giunti i "Danzatori d'Ambra", le guardie armate di Neirusiens temute dai cittadini e dai malviventi in eguale misura. Esse si affacceranno semplicemente sulla piazza senza dire nulla e, soprattutto, senza farsi notare a meno che la situazione non lo richieda. Notando il loro arrivo, gli elfi hanno come una esitazione, un attimo in cui ognuno di voi potrà agire provocando o dissuadendo qualunque tipo di azione.
Questo turno si svolgerà in confronto, con i soliti botta e risposta cui ormai molte quest vi avranno abituato. Attenzione però che essendo ancora "in gruppo", molte azioni compiute potranno ripercuotersi su tutti quanti quindi...leggete attentamente le risposte di tutti, mie comprese.

-O-


Predatori di Neiru. La banda: il gruppetto di elfi è composto da una decina di giovani Predatori, cinque Novizi e quattro Fiori recisi. La loro tattica consisterà nell'avvicinarsi a coppie di due, uno direttamente attaccante e l'altro di "guardia", pronto ad intervenire nei momenti di debolezza della preda o nel caso in cui il compagno si trovi in difficoltà. Sono tutti molto giovani, sebbene la vita di strada abbia rapidamente strappato ad ognuno di loro qualunque mentalità da fanciullo e adolescente. Sarà tranquillamente possibile parlare con loro, dialogare, così come combattere o altro ancora. Non trattateli però autoconclusivamente,aspettate la mia risposta in confronto.
Il Capo, Heresh, è un Cacciatore, leggermente più vecchio degli altri ed estremamente violento. E' la mente e -spesso- il corpo dell'intero gruppo. Nell'aspetto non differisce da un Neiru comune tranne che per il tradizionale "collare" dei cacciatori e alcune cicatrici in viso, segni di una lotta o zuffa non andata a buon fine.

Danzatori d'Ambra: si tratta di due individui posti in disparte ai margini della piazza, silenziosi e tranquilli malgrado il caos generale. Sembrano affatto intenzionati ad intervenire malgrado le disposizioni di Edwin o, più propriamente, sembrano aspettare un preciso momento per attivarsi. Per quello che è possibile notare di sfuggita (maggiori particolari saranno forniti a chi vorrà interessarsi a loro), indossano entrambi delle leggere armature nere con un normale mantello corvino posto sulle spalle. L'elmo avvolge per intero il volto, rendendo impossibile scorgere le espressioni del viso. Non sembrano armati.

-O-


Come promesso, ecco qui maggiori descrizioni circa la città di Neirusiens -man mano che la storia andrà avanti, se ne aggiungeranno altre-. Essendovi stata data piena libertà, i vostri pg potranno tranquillamente ignorare la situazione della piazza e spostarsi per le vie di Neirusiens incappando, ovviamente, in situazioni e incontri differenti.

- Piazza del mercato
Si tratta della zona più viva di tutta Neirusiens. Qui piccoli banchetti e bancarelle si assiepano strette le une alle altre in uno spiazzo ampio e circolare percorso da elfi e uomini. Questo è il centro città, snodo per ogni quartiere e zona. Spesso qui si riuniscono le genti più improbabili di Neirusiens, in parte dissidenti, in parte fenomeni da baraccone, dediti alle più strampalate manifestazioni di sé. Vicina al palazzo della Cerchia, questa zona è sempre strettamente tenuta sotto controllo dai Danzatori d'Ambra.

- Quartiere elfico
Situato nella zona più distante dal lago, il quartiere elfico è una zona dove non sempre tutte le genti dell'Eden amano andare. Le nere case di pietra anticamente costruite dai Predatori di Neiru non hanno subito variazioni dall'epoca in cui furono costruite, il che da all'intera zona un aspetto cupo e antico. Ora che il clima di Neirusiens si è fatto sempre più teso a causa delle recriminazioni elfiche, gli esseri umani evitano il più possibile questa zona, costantemente silenziosa e popolata da figure stipate all'ombra dei vicoli, mai del tutto visibili. Voci attendibili raccontano di alcune sparizioni recenti avvenute in questo quartiere. Solitamente, il quartiere viene pattugliato dai Danzatori d'Ombra in gruppetti di due o più -nel caso di agitazioni-.

- Zona del porto
Seconda solo alla piazza principale, questa zona è nota tanto per le attività commerciali che ivi si svolgono quanto per quelle criminose. Non è raro che i peggiori crimini di Neirusiens vengano perpetrati in questa zona malgrado il costante pattugliare delle guardie armate. Il via vai portuale continua ad abbondare di furti e rapine e, più inquietanti, suicidi. E' infatti cosa risaputa che molti cittadini di Neirusiens scelgano le acque del lago per porre fine alle proprie vite infelici.

- Torre del fato
Imponente struttura anticamente ospitante gli iniziati al Fiume del Fato, ora questo edificio in tutto e per tutto simile ad una torre spiraleggiante è la "caserma" dei Danzatori d'Ambra, la forza armata di Neirusiens. Chiunque desideri far parte di questo gruppo armato può presentarsi all'ingresso senza che alcuno glielo impedisca e lì, come di prassi, sostenere il proprio esame di ammissione. Di recente, viste le agitazioni elfiche, i Danzatori hanno dato inizio ad una importante campagna di arruolamento.

- Palazzo della Cerchia
Anticamente un templio in onore di Neiru, questo edificio ospita ora la Cerchia di Diamante, Edwin ed il suo seguito che, unitariamente, formano il governo di Neirusiens. Avvicinarsi a questo spazio e entrarci non è cosa semplice. i Danzatori pattugliano strettamente la zona evitando a qualunque curioso di avvicinarsi.
 
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view post Posted on 5/12/2013, 23:19
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Il vecchio si mosse con l’agilità felina di una pantera, muovendosi tra i civili a forza di bassi e scatti come fossero alberi immobili che lo separavano da una preda in fuga. La sua sagoma si dissolse in una sveltissima macchia grigia che si confondeva tra la folla e la notte, diffondendo un inquieto trambusto nello spiazzo, ed aveva un’energia che non avrebbe mai immaginato di trovare in un elfo di quell’età. Decine di occhi erano puntati sul dispiegarsi della sua follia, le palpebre schiuse dal timore, dallo sconcerto, dal divertimento. Ma gli occhi di Lomerin scivolarono rapidi lontano da quella grottesca falsa, esplorando i margini della piazza. Lì, appena sul limitare dei vicoli bui e silenziosi sulla piazza, un manipolo di figure emersero dalle tenebre. Elfi elfi scuri e silenziosi mimetizzati nel caos di rumori e persone nella folla; le loro sagome scomparivano e ricomparivano tra la folla, i loro bianchi occhi vitrei e opalescenti sembravano levitare nel nulla... vagavano come bianchi fuochi fatui, finché quattro di essi non incontrarono i suoi, e gli altri si posarono su altri viandanti. Erano banditi di Neirusiens.
All’improvviso però qualcosa li scosse; il suo sguardo viaggiò ancora intorno ai vicoli che si incontravano in quel luogo, e individuò altre due sagome celate nel buio. Immerse anch’esse nel silenzio e nell’oscurità, osservavano l’agitazione che si stava levando in quei bassifondi, come guardandola impassibili attraverso una bolla di vetro. Il Volkov non perse tempo; approfittando del timore che aveva bloccato i predatori, scivolò all’interno della folla come una foglia di pioppo al vento. Doveva agire in fretta, prima che un vero bailamme piombasse su di lui e sulle persone intorno; il tempo scorreva e trovare un corpo a quella voce senza padrone che aveva nominato Eitinel, e che poteva forse indicargli la strada da seguire nel suo tuffo nella città nera, la strada per raschiare il fondo della sua rovina.

68h9b7

L’ha thier vhay...Arish” risuonò la voce tonante e rauca del vecchio, alta tra i bisbigli e le ridarelle. “Fra tutti, mai avrei sospettato di te, mia cara”.
Lomerin frenò la sua corsa, ritrovando in uno spiraglio il volto di Ka Shanzi. Tra le dita ossute e legnose stringeva la liquida chioma nera di una giovane fanciulla e l’elfo, le labbra increspate di un sorriso compiaciuto, strinse la presa: ben celato dagli abitanti del borgo, la mano dell’uomo scivolò lungo la faretra, ne estrasse una freccia, la sistemò sulla corda e lasciò la presa. Una leggera vibrazione risuonò nella piazza e la mano che stringeva i capelli della ragazza esplose in multipli rivi di sangue, piombando poi a peso morto e abbandonando la vittima della sua morsa. Avrebbe preferito tenere un basso profilo, ma le circostanze gli avevano imposto un’azione veloce e poco tattica; non poteva lasciare che le fosse fatto ancora del male, non ad un’umana con la testa piena di conoscenze preziose e la bocca larga. Aveva definitivamente compromesso il suo ruolo di tacito e indifferente spettatore, e forse in fondo non lo sarebbe mai stato, ma in cuor suo sapeva e temeva che quel suo ardire improvviso avrebbe causato soltanto seccature. Soltanto guai.
Ka Shanzi lo cercò e lo vide. Come un orso inferocito l’elfo si diede ad una carica improvvisa e furiosa, divorando a lunghe falcate lo spazio che ancora li divideva.

Sussultò; sulla sua cornea si fissò un’immagine spaventosa e terribile. Ka Shanzi, il volto basso adombrato dalle tenebre e dall’ira, si scontrava con violenza contro chiunque gli barrasse la strada. Intorno a lui finalmente i banditi strisciavano fuori dalle ombre, sollevando una chiassosa baraonda di fendenti e minacce a viso aperto, ma non un altro insulto spirò fuori dalle sue labbra nere e secche. Per un istante Lomerin ebbe timore di ciò che l’elfo avrebbe tentato di fargli, se soltanto fosse riuscito a mettergli le mani addosso. Ma il suo spirito rimase inamovibile, gelido come le rocce delle montagne.
Come due mani bianche sorte dalla terra nera della montagna, due veli di ghiaccio si stesero lungo le caviglie dell’elfo, concludendo la corsa così com’era cominciata. Allora sollevò ancora l’arco di Hodr: il legno lucido rifulgeva scuro della fioca luce delle fiaccole, e lanciò una grigia freccia volante che penetrò nelle ossa come nel legno secco. Sul limite della distanza che avrebbe potuto essergli fatale, Ka Shanzi percepì per intero, inerme e stupefatto, il dardo affondargli nel ginocchio; precipitò a terra in un tonfo, ansante. Vivo, ma inoffensivo.
In quello stesso istante però lo sguardo duro dell’arciere scavalcava la sua vittima, affondando nei quattro occhi bianchi che si schiudevano, ostili, alle spalle del loro capo. Lomerin lasciò scivolare la mano lungo la cintola, afferrando l’elsa della daga; temeva di essere finito in grossi guai, eppure il suo sguardo duro lanciava già una sfida feroce ai due elfi in avvicinamento. I due elfi, però, non risposero; un cenno di Ka Shanzi, dal basso, li fece sparire nuovamente nel buio.

Akr ni-maah” disse “ottima mira, ragazzo”.
Lomerin indietreggiò di un passo, indispettito dalla sua reazione. Sollevò lo sguardo per un istante, e vide la giovane donna in compagnia di due figure che sembravano intente a soccorrerla; una aveva l’aspetto di una giovane nobildonna, dai lunghi capelli sottili del color del grano vestita di purpureo. L’altra era una bambina, sulla cui chioma castana sembravano torreggiare due orecchie di gatto, del tutto simili a quelle che si portavano dietro i demoni felini delle foreste in Oriente. Dinanzi a quell’assurdo teatrino in cui si accorse di essere capitato, in cui ogni cosa sembrava evolversi affinché perdesse di senso, Lomerin reagì per come gli era stato insegnato. Gli occhi ridotti a due fessure, si scrutò intorno brevemente e ritornò a considerare l’elfo. Avrebbe dubitato e sospettato di chiunque, senza discriminazione.

Mi chiamo Lomerin” sibilò. “Sappiate che le mie frecce non vi feriscono per ferirvi, ma per fermarvi dal torcere un altro capello ad una giovane indifesa.
Una risata si levò sopra i rumori intorno a loro, risuonando come il verso di una creatura disgustosa, putrida e morente. Sul volto di Ka Shanzi era dipinto un ghigno di scherno che avrebbe voluto spezzare volentieri con una terza freccia.

Ragazzina indifesa...” disse dunque, sollevando la mano trafitta e sanguinante. “Molto cavalleresco da parte tua, Saighdeas, ma Aris Occhi di Luna non è affatto una fanciulla che uno come te dovrebbe prendersi il disturbo di salvare. A questo ci pensa la sua Lyzari” soggiunse, sogghignando. Un rivolo di sudore lungo la fronte tuttavia palesava ancora la sua sofferenza. Il suo sguardo scivolò lungo il braccio sino alla mano, e con un cenno pietoso indicò con il mento la ferita: voleva che estraesse la causa di quel dolore.

Lomerin rispose con un cenno negativo del capo, secco; sapeva che avrebbe pagato cara quella misericordia. “Le vostre parole sono ambigue. I miei occhi non hanno visto nessuna Lyzari, chiunque ella sia, altrimenti non avrei sollevato il mio arco.” Cercava di approfittare della sua lingua larga per sapere di più su Aris.

Il vecchio sembrò individuare la sua diffidenza e, come se l’approvasse, gli regalò un cenno d’intesa. “Caro Saighdeas” iniziò, ma subito dopo i suoi artigli neri individuarono il dardo nel ginocchio. Lo estrasse in un’unica tirata, e il sangue scivolò lungo gli stinchi piovendo sulle erbacce del selciato di Neirusiens. “Vi sono molte donne a questo mondo...” Il suo volto conservò per qualche istante una terribile smorfia di dolore intenso. Estrasse da una piccola bisaccia un panno che pose sullo squarcio sanguinante, lordandolo del liquido cremisi. “Donne belle e donne brutte. Donne argute e donne ottuse. E poi c’è Aris Occhi di Luna e la sua dolce Lyzari. Ed ora, visto che di rimediare ai tuoi danni proprio non ne hai voglia, rispondimi. Perché la fanciulla di nome Aris ha interrotto il mio racconto?

Continuava a ripetere quel soprannome come se fosse parte del suo nome, come se fosse nata con esso e tutti, in città, la chiamassero a quel modo. Lomerin cercò ai margini della piazza, attraversando con lo sguardo gli individui che imperversavano nell’aria come granelli di una rumorosa tempesta di grandine. Aris era ancora lì, sola. “Dove volete arrivare, vecchio? Intendete dire che la fanciulla stessa ha a che fare con esso?

Un guizzo oscuro percorse il volto dell’elfo. Il nero delle iridi si ridusse ad un piccolissimo punto, come se volesse rientrare nelle profondità dell’occhio; sembrava che un dardo lo avesse finalmente colpito, nel profondo. Ma all’improvviso Ka Shanzi dimenticò la domanda e indicò un punto della folla con il braccio secco e sottile come un ramo di pino. Ne seguì la direzione e volarono entrambi con lo sguardo in tempo per osservare una piccola creatura, una bambina, sfilare un bracciale dal candido braccio della nobildonna dai capelli d’oro. “Intendo dire che qui a Neirusiens gli stranieri sono come bambini. Per loro le donne sono indifese. Le madri apprensive e i bambini impauriti.” La voce di Ka Shanzi giunse ancora alle sue orecchie accompagnata da quel suo orrido sogghigno. Lomerin ebbe un tuffo al cuore, e un cattivo presentimento si fece largo nel suo spirito. La bambina comparve accanto ad Aris; era Lyzari. Quella consapevolezza lo colpì più duramente di quanto potesse mai aspettarsi.

Aris mi ha mancato di rispetto sapendo che uno di voi stranieri sarebbe di certo intervenuto a salvarla, dando così il tempo a sua figlia, Lyzari, di studiare il pollo di turno e spennarlo al momento più opportuno come, ecco, ha fatto proprio ora con quella ragazzina. E’ un trucchetto divertente, peccato che questa volta abbiano mirato proprio troppo in alto. Tu e quella ragazzina non mi sembrate affatto...” e tacque all’improvviso. In quello stesso istante, una figura di spalle comparve nell’aria a frapporsi tra l’elfo e l’uomo e la ragazza e la bambina; le sue vesti nere erano così oscure che sembrava che la luce, debole ma vicina, non potesse lambirne i contorni. Quel nero fendeva la penombra come la lama di un pugnale sorto dalle viscere della terra.

b65095

All'improvviso il gelo sembrò penetrare nella piazza attraverso uno spiraglio lontano, un gelo diverso da quelli che era sempre stato abituato a tollerare e sopportare. Ka Shanzi, accanto a lui, si pietrificò in un’espressione a metà fra il terrore e lo stupore. Il suo volto sembrò perdere tutto il suo colore, trasformandosi in una maschera di lignea corteccia.
Ma Lomerin non voleva sentire altro; in un attimo, tutto ciò che aveva visto sino a quell'istante si rovesciò di prospettiva. La beffa sembrò squarciare il suo animo nel profondo, la rabbia graffiò da dentro le sue viscere e l’imbarazzo gli sottrasse il respiro giù nella gola. Desiderava ricondurre quelle due criminali tra le grinfie di Ka Shanzi, così che il vecchio potesse far loro quel che desiderava. Aveva commesso un terribile sbaglio, e non se lo sarebbe mai perdonato: l’uomo si mosse in scatti lenti e cauti. La mancina si tuffò dentro la faretra, afferrando una freccia con un tale impeto che rischiò di spezzarla; la destra si serrò sull'arco, stringendolo stretto e rivolgendolo verso il basso, così che nessuno potesse vederlo tendere la corda pronto a scoccare. Si pose dunque dinanzi all'elfo ferito, forse per proteggerlo, forse per non continuare a guardare negli occhi i risultati del suo patetico errore.
Per l’ultima volta il suo sguardo sorvolò la piazza, localizzando gli altri due guardiani. Lyzari si mosse, tentando di fuggire: Lomerin sobbalzò, ancora incapace di riuscire a lanciare quel dardo su di lei, né pronto a decidere se rispondere alle azioni dei Danzatori d’Ambra. Le due figure allora disparvero, per ricomparire dinanzi a lei, serrandola con la madre in un cerchio nero da cui mai sarebbe potuta fuggire. I loro elmi lucenti risplendevano persino nel buio, simili a corvi che si stringevano sempre di più intorno alla loro preda. Una mano si posò sulla sua spalla.

Non pensarci minimamente, ragazzo.
Il fiato gelido e fetente di Ka Shanzi accarezzò la sua nuca, spirando all'interno delle sue narici.
I Danzatori non sono pane per i tuoi denti. Non sono pane per i denti di nessuno.
Alle sue parole seguì un silenzio di tomba. I tre uomini sollevarono le braccia.

GIU' LA TESTA!!
fu l’ultimo grido secco e disperato del vecchio elfo.
Nella piazza si stese un nero velo di tenebra.
Luci, suoni, colori si persero nella notte. Nella vera notte.
Neirusiens mostrava il suo volto nascosto.

—◊◊—



player point
lomerin volkoff
( specchietto )



energia: 80% <- (100-20)%
status fisico: Illeso
status psicologico: Illeso

capacità straordinarie: 2 (Int)
passive rilevanti: Timore passivo (abilità di razza, Avatar)

tecniche utilizzate:

CITAZIONE
tramonto sinistro
Improvvisamente il suolo viene invaso dallo stesso gelo che ha succhiato via la vita dalle montagne del nord. La terra famelica di calore sottrarrà lentamente le energie delle sue creature, congelando gli arti inferiori di un bersaglio fino al ginocchio e coprendoli con una sottile patina ghiacciata. Se non distrutto, il ghiaccio causerà gravi danni, in una morsa dolorosa e tenace, immobilizzando il malcapitato per impedirgli di fuggire da quel dolore.
[pergamena iniziale "rovi incatenanti" dello sciamano, consumo alto, potenza media; il ghiaccio causa immobilità per un turno, a meno che non sia distrutto con una tecnica di potenza media].

note: //
 
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Alb†raum
view post Posted on 6/12/2013, 00:16







Jeanne





«C'è qualche problema, signora?»

Lady Maria si era improvvisamente fermata a fissare l'interno della piazza con espressione perduta. Jeanne le posò una mano sulla spalla e la scosse piano. La Strega ebbe un sobbalzo e si voltò, rilassando il volto teso.

«Abbiamo un problema, Jeanne.»

Mormorò, picchiettandole un dito sull'elsa della spada agganciata alla cintura. Un tremito attraversò la schiena della volpe e le raggiunse le folte code che iniziarono ad agitarsi.

«A quanto pare il buon vecchio elfo ha trovato per noi ciò che cercavamo.»

Sorrise la Strega scostandosi una ciocca di capelli dagli occhi scarlatti.

«Solo, mi sembra che qualcuno in questa folla si stia muovendo verso di noi. Potresti occupartene mentre io e Hua diamo un'occhiata?»

Jeanne annuì lentamente, volgendo gli occhi su Hua. La gatta sorrideva contenta aggrappata a una delle maniche di Maria senza dare l'impressione di essere minimamente preoccupata. Aveva veramente capito ciò che era stato appena detto o era solo contenta di potersi cacciare nei guai?

«Fai la brava.»

Sospirò, incapace di trovare avvertimenti più adatti alla situazione. Guardando la giacca rossa sventolare mentre si allontanavano sperò con tutto il cuore che milady si fosse sbagliata. Una speranza che sfumò quando vide sbucare dalla folla quattro elfi con le mani posate sull'elsa di lunghi pugnali.
“Dannazione”. Avvicinò una mano alla spada tremando per il nervosismo. Erano tutti molto giovani, con i volti ancora paffuti da ragazzini e la corporatura slanciata di chi è cresciuto troppo in fretta, ma la luce che brillava nei loro grandi occhi scuri non aveva nulla di infantile né di rassicurante. Jeanne strinse il manico della katana fino a sbiancare le nocche. Bambini o no, non avrebbe permesso loro di fare male a Lady Maria.
Per un istante attese che si facessero avanti ad armi sguainate, ma gli sguardi della piccola banda vennero completamente catturati da una figura al fianco della volpe. Con la coda dell'occhio Jeanne vide a lato della piazza un individuo in armatura di cuoio nera con il volto coperto da un cappuccio. Poco distante da lei un altro con la spada sguainata fronteggiava anche lui due Neiru. Jeanne aggrottò la fronte. La guardia cittadina? Ma perché allora solo uno di loro faceva qualcosa? La volpe indietreggiò verso lo sconosciuto sperando che la sua presenza scoraggiasse i Neiru.

«Che intenzioni avete, ragazzini? Volete rischiare la vita per due monete?»

Portò una mano alla bisaccia appesa alla cintura. Forse avrebbe potuto evitare lo scontro se avesse dato loro ciò che volevano. Frugando nella borsa di cuoio sentì la superficie fredda di una singola moneta d'oro. Strinse le labbra. Le altre le aveva spese durante il viaggio e Maria si era dimenticata di dargliene altre. Forse quegli elfi erano abbastanza disperati da accontentarsi. Gettò il conio a terra di fronte ai tre. La monetina rotolò per qualche istante, poi si fermò sul lastricato tintinnando.

«Andate a rovinarvi da un'altra parte, allora. Non sarò io la responsabile per la vostra morte.»

Uno del gruppo si fece avanti e prese la moneta. Se la rigirò fra le dita ossute qualche istante, come per accertarsi che fosse vera, poi ridacchiando sparì nella folla stringendo l'oro in pugno. Jeanne contò quanti ne rimanevano.
“Quattro”. Due per lei e due per la guardia con il cappuccio, se di una guardia si trattava: gli elfi si stavano avvicinando a lui senza dare segno di temerlo come l'uomo che li osservava ai limitari della piazza.
Nelle mani dei Neiru baluginarono le lame dei pugnali sguainati. Jeanne ebbe appena il tempo di sfoderare una delle due katane che uno degli elfi fu già su di lei. Parò il colpo diretto al petto. L'acciaio si scontrò con un clangore sprizzando scintille. Jeanne sentì le braccia tremare per la forza dell'impatto e dovette indietreggiare. Per quanto il suo avversario fosse un ragazzetto senza valore aveva di certo più forza della volpe: Jeanne era una serva, non un guerriero. “Una serva morta, se non faccio qualcosa”.

«Avrei avuto un contentino anche per te e il tuo amico.»

Mormorò, estraendo anche l'altra spada. La lama nera scintillò alla luce delle lanterne che rischiaravano la piazza. Jeanne brandì le katane di fronte a sé, ma esitò a rispondere all'attacco. Forse poteva ancora convincerli ad andarsene.

«Cosa otterrai uccidendomi? Due, tre monete d'oro? Le mie spade? La mia padrona può darti ciò che vuoi. Getta l'arma e verrai ricompensato. E questo vale per tutti voi.»

Parole al vento: l'elfo fu sordo alle sue promesse e si scagliò nuovamente a lama tratta contro la shikigami. Jeanne strinse i denti. Il combattimento doveva esserci, a quanto pareva.
“E allora sia”. Dal suo corpo si sprigionò una scarica di saette viola che crepitarono a contatto dell'aria. Il cuore della volpe cominciò a battere più rapidamente mentre le sue mani divenivano artigli dal colore nero e un paio di ali da corvo nere come la pece le spuntavano sulla schiena. Le viscere della volpe furono oppresse dall'euforia fino a farle male. Un fluido caldo le pulsava nelle vene
Saltò all'indietro per evitare l'affondo e spiccò il volo. Il pugnale del Neiru trafisse solo l'aria. Jeanne sollevò la spada, ma prima che potesse calarla una sferzata alla caviglia le fece perdere l'equilibrio. Cadde nella polvere della piazza con un grido. Riuscì ad appoggiarsi a terra con una mano, ma per poco non perse la presa su una katana. Si rimise in piedi ringhiando. Alle sue spalle il secondo Neiru stringeva in mano la frusta con cui era stata colpita. Jeanne volò a mezz'aria e calò in picchiata su di lui.

«Schifoso idiota.»

Ruggì, piombandogli di fronte. Un calore intenso le invase le tempie e la testa. Aveva offerto a quei selvaggi di potersene andare senza un graffio con ciò che volevano, aveva addirittura promesso loro più di quanto potessero mai immaginare, ma a quanto pare all'oro preferivano l'acciaio.
Mulinò le spade puntando al petto e al collo del Neiru, poi due delle sue code mirarono a trafiggergli il ventre. L'elfo si gettò a terra e si riparò con le braccia prive di protezione alcuna. Sulla carne pallida si disegnarono strisce scarlatte da cui colarono rivoli di sangue. Jeanne sollevò le spade con un ghigno vittorioso guardando il volto atterrito dell'altro. Aprì la bocca per urlargli contro qualcosa... poi si rese conto del brusio di grida scandalizzate attorno a lei. Neiru e umani fuggivano disordinati spintonandosi e inciampando nell'intreccio di corpi pur di allontanarsi. “Sono arrivati i demoni!” esclamò qualcuno. Jeanne sbarrò gli occhi. Le braccia le caddero inerti lungo i fianchi, il pulsare rabbioso alle tempie si dissolse in un lieve tremito di nervosismo. Si ritrovò ad ansimare per la fatica. Non aveva considerato le conseguenze di cambiare forma in pubblico.
Tre uomini emersero dalla folla con le mani sull'elsa delle proprie armi. Jeanne sollevò lo sguardo al cielo mettendosi in guardia con le spade tese di fronte a sé.

«Che intenzioni avete, signori? Avete paura delle mie ali?»

I tre uomini si scambiarono un'occhiata, poi con un cenno di assenso estrassero le proprie armi, una frusta, una mannaia e una scimitarra. La volpe affondò i denti in un labbro. L'esasperazione aveva avuto la meglio e aveva parlato troppo. Sul riflesso della lama della katana bianca vide altri due uomini prenderla alle spalle.



Maria





«Cielo, un uomo in forze come lei non dovrebbe prendersela con una fanciulla indifesa.»

La punta dell'ombrellino si spinse nella nuca del vecchio fino a graffiargli la pelle diafana. Steso a terra, il Neiru stava addosso alla ragazza che lo aveva interrotto. I capelli di lei erano stretti fra le dita ossute dell'assalitore, tirati fino a farla urlare.

«Perché non si rialza e non mi racconta il termine della sua storia? Sono molto incuriosita di sapere chi sia questa...»

La sua frase fu interrotta da un sibilo. Una lunga freccia dal pennaggio grigio trafisse da parte a parte la mano . Nell'aria si librò una nube di fili neri e sangue. L'anziano elfo mollò la presa reggendosi la mano per il dolore. Scrutò per un istante nella direzione da cui era provenuto il dardo, poi si gettò in mezzo alla folla con tale rapidità che Maria sobbalzò per la sorpresa. La Strega si riaggiustò in capo la cuffietta scivolata al lato del capo ringraziando mentalmente il misterioso arciere per averla liberata da quell'impiccio. Non aveva decisamente tempo da perdere.

«Sta bene, signorina?»

Hua afferrò per un lembo il vestito di Maria e lo strattonò. La Strega la guardò con la coda dell'occhio.

«Milady... alle spalle...»

Sussurrò piano la nekomata. Maria sollevò un sopracciglio. Effettivamente qualcuno si stava avvicinando a loro a passo sostenuto, una fiammella che si muoveva diritta quando le altre seguivano percorsi confusi. La Lady della Fortezza Oriente strinse il manico dell'ombrello fra le dita.

«Mi dispiace per quello che è successo. Se fossi intervenuta prima avrei potuto evitare che le facessero del male.»

Si chinò sulla ragazza con un sorriso, porgendole una mano per aiutarla a rialzarsi. Era giovane, più di quanto la Strega avesse pensato, dal viso ancora con la pelle morbida e liscia e le labbra piene. L'espressione atterrita e i capelli scompigliati le davano un'aria infantile.
Dietro di loro lo sconosciuto si stava avvicinando. Di scorcio Maria vedeva le code di Hua sferzare agitate.
“Più vicino. Solo poco più vicino.”

«Io sono Maria Violetta Mircalla Himmelherrin von Bucuresti. Posso sapere il suo nome?»

Girò su se stessa sollevandosi da terra con l'ombrellino bianco teso verso il suo capo. Il Neiru di fronte a lei sobbalzò per la sorpresa, portando la mano al coltello sulla cintura. La Strega fu più veloce. Girò il polso fino a far scattare il meccanismo all'interno del parasole. Il proiettile esplose in faccia all'elfo, ma questi istintivamente si piegò su un lato. La palla di piombo lo prese all'orecchio sinistro, facendo schizzare frammenti di pelle e cartilagine in aria.
Hua gli saltò addosso con un grido, puntando i lunghi artigli verso il volto del Neiru. Lui si protesse con le braccia stringendo i denti per il dolore causato dai graffi scavati nella carne, poi con un movimento fluido estrasse il coltello e lo fendette di fronte a sé per allontanare la gatta. Hua tese i palmi in avanti. Un taglio rosso si colorò sulla pelle.

«Ah!»

Si guardò la ferita mentre l'elfo fuggiva a nascondersi in mezzo alla folla. La sua fiammella si dissolse nel moto caotico delle altre. Maria sorrise soddisfatta.
Soddisfazione che durò il tempo in cui apparvero altri due elfi pronti ad estrarre le armi.

«Appena arrivata e subito così aggressiva.»

Disse il primo ponendosi di fronte alla Strega. Non era vestito diversamente dagli altri elfi: abiti poveri e sporchi della polvere della strada, un mantellaccio consunto sulle spalle e alla vita un cinturone con il fodero di un pugnale. Lì si era andata a posare la mano del Predatore.

«Nessuno ti ha mai detto che fine fanno le gatte randagie a Neirusiens?»

“Forse il capitano non aveva tutti i torti”. Maria tirò fuori un fazzoletto da una manica e si terse la fronte sudata. Da quando erano arrivate nel quartiere non avevano avuto che problemi dai Neiru. Nemmeno gli ex-vassalli di suo padre l'avevano fatta tanto penare.

«Credo che si stia sbagliando, signore.»

Abbassò l'ombrello e se lo appese per il gancio al braccio con noncuranza.

«È stato il suo amico a sparare.»

Indicò l'elfo alle proprie spalle con un gesto della mano. L'altro scrutò il compagno per qualche istante corrugando la fronte, confuso. Nella sua mente realtà e pensiero si contraddicevano l'un l'altra, sconvolte dalle parole della Strega.

«Non... non prendermi in giro ragazzina.»

Balbettò, strabuzzando gli occhi. Maria aprì la bocca per replicare, ma la sua voce venne coperta da urla che si alzarono dalla piazza. Si girò di scatto, i due elfi la imitarono. Jeanne era a mezz'aria, due grandi ali di pece dietro la schiena e le nove code scompigliate dallo spostamento d'aria. La Strega si passò una mano sulla fronte con un sospiro. I due Neiru, invece, si unirono alla fuga scomposta della folla.
Aveva detto a Jeanne di non dare nell'occhio. Era la situazione peggiore in cui quella Volpe potesse andare a cacciarsi in quel momento. Si voltò verso la ragazza. Sentiva le viscere strette, avrebbe voluto andare ad aiutare la shikigami, ma non in quel momento, non quando non c'era più nessuno a disturbarle e poteva finalmente sperare di sapere qualcosa di più sulle Ombre.
Hua aveva aiutato la sconosciuta a rialzarsi. Questa teneva il capo chino, i capelli neri che le coprivano il volto ansimante. Il suo vestito era spiegazzato e sporco di terra.

«Non trovo Leanne...»

Sollevò il volto pallido verso la Strega guardandola supplice con i propri grandi occhi verdi.

«Con la confusione generale credo si sia persa e ora...»

Maria si portò una mano al petto.

«Leanne ha detto?»

La bambina con le corna della visione le tornò in mente. Era possibile che quello fosse il suo nome?

«È sua figlia per caso? O una sua amica? Forse posso fare qualcosa. Intanto mettiamoci in un luogo più riparato.»

Si spostarono verso i limitari della piazza, vicino a una casa dalle pareti gialle infestate da un rampicante dalle piccole foglie bianche. Maria fece una smorfia guardandola. Non era stata che poche volte nei villaggi vicino alla Fortezza Oriente, ma mai aveva visto case tanto trascurate.
In quel punto perlomeno la turba era meno rada, per la maggior parte composta da curiosi che osservavano la confusione a debita distanza, forse sperando di adocchiare la strana creatura alata che poco prima si era alzata in volo. Maria sperò con tutto il cuore che Jeanne fosse riuscita a mettersi al sicuro, e dagli sguardi preoccupati che Hua rivolgeva alle proprie spalle anche lei doveva stare pensando la stessa cosa.
“Pensiamo a trovare la bambina”. Socchiuse le palpebre per qualche istante. L'immagine fumosa di due bambini sdraiati a terra all'ombra di una qualche copertura le passò di fronte agli occhi, poi quella di un Neiru con un pugnale ricurvo che minacciava una ragazza vestita con un ricco vestito.

«Leanne è mia figlia.»

Spiegò la ragazza stringendosi il vestito sul petto con una mano.

«Sono sicura che nella confusione si sia persa ed ora non ho idea di dove sia. Neirusiens è una città pericolosa...dovesse trovarla qualcuno da sola...»

Maria annuì. L'aveva potuto constatare da sola come la Nera Città riuscisse a tenere fede al proprio nome. Si guardò attorno. Vi erano alcune bancherelle di legno per il mercato poco lontano abbandonate dai commercianti nel momento in cui erano iniziati i problemi. Probabilmente Leanne doveva essere strisciata sotto una di queste quando aveva visto la volpe volare.

«Sembra che si sia nascosta da qualche parte. Ha un amichetto con sé, forse?»

Si portò un dito alle labbra. Evitò di far riferimento alla lama sguainata: non era una mossa saggia spaventare una madre dall'aria già piuttosto scossa.

«Vado a cercarla. Lei non si allontani da Hua.»

Accarezzò sul capo la gatta che, rannicchiata a terra, si stava leccando i tagli sui palmi.

«Se per qualche motivo dovete andarvene, restale vicina.»

Le sussurrò piano in un orecchio. La nekomata annuì pulendosi il sangue e la saliva sulle mani strofinandole sulla giacca.

«E non sporcarti i vestiti.»

Si avvicinò alle bancarelle con un giro largo per evitare di passare in mezzo alla folla di persone. Non poteva sapere se qualcun altro fosse in agguato là in mezzo e voleva decisamente evitare di far saltare la faccia a qualcun altro.
Poco oltre il mercatino si svolgeva la scena della visione, quella della donna minacciata dall'elfo con il coltello. Sul vestito blu chiaro pieno di merletti della ragazza risaltava una chioma di capelli rosati. Maria li scrutò per qualche istante, indecisa, poi scosse la testa con un sospiro. Al momento non aveva tempo per occuparsi di sconosciuti. La poveretta avrebbe dovuto cavarsela da sola. "Ho già Kaoriaki".

Si concentrò sulle presenze che la circondavano. Sotto uno dei banchi percepì delle fiammelle crepitare immobili, come in attesa. Maria si raccolse la gonna con le mani per chinarsi e guardare. Fra le ruote erano sdraiate tre sagome infantili, due bambine e un bambino con le braccia e il viso imbrattati di polvere. Erano rannicchiati stretti, e per la Strega era impossibile dire chi di loro fosse Leanne. Una bambina si voltò a guardarla. Maria non fece neppure in tempo a rialzarsi che i due bambini erano scivolati fuori dal loro nascondiglio e le giravano attorno ridendo e saltando.

«Buoni... state buoni...»

Sorrise Maria, girando su sé stessa per seguirli con lo sguardo. Erano una bambina dai lunghi capelli biondi tutti spettinati che aveva per vestito una gonna grigia che forse in origine era stata bianca. Assieme a lei un bambinetto dagli occhietti azzurri e vispi cantava una canzoncina nella secca lingua del nord.
“Cosa sta succedendo...?” Maria sollevò confusa gli occhi dai due fanciulli, la testa che le girava. Di fronte a lei la terza bambina la guardava sorridendo. I suoi capelli, ondulati e rossi, erano lingue di fuoco che le cadevano sulle spalle, le sue palpebre socchiuse lasciavano scoperta la pupilla stretta come un ago. Il suo volto era affusolato, il naso leggermente schiacciato sul viso e due paia di corna le spuntavano sulla fronte.
“Leanne” comprese Maria. Si era aspettata una bambina in lacrime e spaventata. La piccola invece la fissava senza mostrare alcun timore.
Prima ancora di vedere la sua sagoma diventare trasparente e poi sparire e di sentire gli altri due bambini saltarle addosso e afferrarla stretta per i lembi della gonna, la Lady della Fortezza Oriente comprese di avere appena abboccato all'amo.


Hua




Il taglio alla mano era poco più profondo di un graffio, ma non voleva smettere di sanguinare. Ogni volta che ci passava sopra la lingua per pulirla, la ferita tornava a colorarsi di rosso acceso dopo pochi istanti e a lasciar colare una sottile striscia di sangue. All'inizio l'aveva trovato divertente, ora il sapore metallico del sangue in bocca iniziava a darle la nausea. Sputò a terra con una smorfia di disgusto. Si guardò il palmo chiudendo e riaprendo le dita. Il taglio bruciava. Strinse le labbra. Rimpiangeva le rose e i gigli del giardino di Maria. Avrebbe voluto essere lì, a inseguire farfalle. L'unico pericolo che avrebbe corso sarebbe stato quello di graffiarsi la giacca con gli aghi dei cespugli.
La Nekomata sospirò alzando gli occhi sulla ragazza poco lontano. Non si era mossa da dove si erano fermate ad aspettare Maria di ritorno con la bambina. Aveva il volto chino e le labbra strette in un'espressione di dolore. Hua non aveva il coraggio di parlarle in quello stato. A volte anche Milady era così triste, e Jeanne le aveva detto di non disturbarla in quei momenti. Rimase silenziosa a guardarla, sperando che la volpe o la Strega tornassero presto.
Improvvisamente la ragazza si sollevò e si mise a correre. La gatta rimase immobile aggrottando le sopracciglia per qualche istante, senza capire, poi sobbalzò.

«A... aspetta! Cosa stai facendo? Dove vai?»

Strillò, mettendosi a correre dietro. Le catenelle e i pugnali all'interno della sua giacca rossa sferragliarono. Scansò un Neiru impegnato a intagliare un pezzo di legno con un coltello spingendolo di lato. Alle sue spalle risuonarono grida incomprensibili, ma lei le ignorò. In quel momento al fianco della ragazza con i capelli neri comparve una bambina con i capelli rossi e le corna.

«Aspettate! Milady vuole parlare con...»

Una figura nerovestita comparve di fronte alle due fuggitive, e queste arrestarono la propria corsa balzando all'indietro spaventate. Hua rallentò fino a fermarsi poco distanti da loro.
L'individuo comparso dal nulla piegò il capo come per scrutare le due ragazze. Il suo mantello scuro svolazzava come se una forte ventata l'avesse scosso, eppure non un alito soffiava in quel momento. La nekomata si avvicinò di qualche passo.

«Chi è lei, signore...?»

Balbettò guardandolo in viso. Ebbe un tremito quando si rese conto che l'intera testa di quell'uomo era coperta da una maschera di vetro nero e opaco, sottile come una foglia, la foggia simile al becco di un corvo. Hua scoprì i denti, spaventata, soffiando sommessamente.

«Stai calma, Hua.»

Mormorò calma una voce alle sue spalle. La nekomata si voltò. Jeanne e Maria l'avevano raggiunta.

«La ragazza si è messa a correre e...»

Non fece tempo a finire la frase che la bambina la spintonò via per scappare. Hua barcollò e mise il piede in fallo. Jeanne la afferrò per una mano prima che scivolasse a terra.
Di fronte alla bambina erano comparse altre guardie vestite di nero. Hua si guardò attorno rizzando le code. Erano circondate.

«Andiamocene, la prego...»

Supplicò, ma la Strega non rispose. I suoi occhi erano persi sulla maschera nera di uno degli individui.
Un istante dopo il buio le immerse.




Maria Violetta Mircalla Himmelherrin von Bucuresti

Priscillaspecchietto

4 - Astuzia





Risorse

Energia
100% - 10 - 10 = 80%
Status psicologico

Status fisico
Jeanne: ferita bassa a una caviglia

Hua: ferita bassa sui palmi delle mani


rchBJ

Equipaggiamento

Parasole (Fucile, arma contundente e da affondo; mano destra) [5/5]
Eros e Thanatos (Katane; impugnate da Jeanne)
Comete (x20) (Kunai; possedute da Hua)


rchBJ
Passive

An eternal being can hear voices the mortals will never know ~ Pass through the centuries
Immortalità, Auspex passivo, Immunità psionica passiva

Summon of an unspeakable secret ~ Possession
Evocazioni istantanee, Condivisione dei sensi con le evocazioni, +1 CS alla forza delle evocazioni

Communion between demons and mankind ~ Spiritual bond
I compagni animali possono partecipare ai combattimenti e usare tecniche attingendo dalla riserva energetica del padrone

Attive

Comprehension of the language of Gods ~ Omniscience
[Abilità personale nulla (4/10)][Consumo nullo, visioni di un qualsiasi avvenimento nel passato/presente/futuro][Player killing]


La conoscenza degli uomini normalmente è limitata agli avvenimenti che sono già accaduti o che stanno accadendo in quel preciso momento attorno a loro. Il futuro è uno schermo inaccessibile per loro. Maria ha il potere di forzare i limiti del tempo per entrare a conoscenza di qualsiasi cosa, senza alcun limite. Passato, presente o futuro non fanno distinzione, così come il luogo. Visioni le sveleranno qualsiasi accadimento, e lei potrà sfruttare questo nuovo sapere a proprio vantaggio. Tuttavia, la sfasatura dei limiti temporali non è stabile, ed è possibile che le visioni risultino poco nitide o addirittura si rifiutino di mostrarsi.

È una nulla di Player Killing, il suo utilizzo va concordato con il master in caso di quest e con l'avversario in caso di torneo.

The ownest prospect of the being ~ Vision of death
[Pergamena iniziale Accidia][Consumo Alto, malia della durata due turni][Danno medio psionico da stanchezza della vita ogni turno]


"Si muore" afferma l'ingenuo, il ragazzo giovane che vede la fine talmente lontana da sé da considerarla inesistente. Non si rende conto che nella vita è proprio la morte l'unica reale certezza.
"Tu morirai" sussurrerà una voce nell'orecchio del nemico quando Maria, con un consumo Alto di energie, lo vorrà. Questa consapevolezza improvvisa sarà per lui sconvolgente e, se non si difenderà adeguatamente, l'idea della morte inevitabile ed eterna comincerà a divorarlo dall'interno e a privarlo di qualsiasi gioia o volontà di vivere. Per due turni subirà, infatti, un danno medio alla psiche da interpretare come stanchezza profonda della vita, di cui si vorrà raggiungere la fine al più presto.


Summon of an unspeakable secret ~ Possession
[Abilità di talento bianca, verde e blu][Evocazione media, alta e critica; durata due turni][2/4/8 CS alla resistenza/forza fisica/velocità]


Un uomo o un animale, morendo, lasciano dietro di loro un corpo carico di esperienze di vita, emozioni, ricordi. Se queste sono estremamente intense, prendono consistenza in un essere immateriale, una creatura intrappolata fra la vita e la morte. Questo spettro tormentato può trovare sollievo solo riacquistando un corpo materiale e trasferendo il proprio dolore alla vittima, ma non solo: il fantasma condivide con il posseduto anche la propria forza e il proprio potere. Lo spettro acquisterà sembianze tipiche dei rapaci come artigli affilati, becco e ali dalle piume di pece, mantenendo però una forma umanoide. Questi uccelli, simbolo della morte, rappresentano il tormento della sospensione fra l'esistenza e la non esistenza. La gente di oriente chiamerebbe questi incubi che camminano "tengu".
Con un consumo medio, Maria potrà evocare da uno squarcio uno spirito minore, spesso di un animale o un demone minore, dotato di 2 CS in resistenza. Con un consumo alto, lo spirito sarà di un guerriero, e possiederà 4 CS in forza fisica. Con un consumo Critico, l'essere evocato sarà uno spettro di qualche individuo formidabile o yokai superiore, e avrà 8 CS alla velocità. Questi spettri assumeranno la forma sopra descritta per combattere. In alternativa, Maria li evocherà direttamente all'interno del corpo di uno dei suoi shikigami, possedendoli momentaneamente con l'anima dello spirito. In questo stato, il servitore acquisterà le ali nere del tengu, le sue armi e le sue capacità, entrando in uno stato di furore e concentrazione profonda in cui la loro personalità risulterà distorta da quella dello spettro, e tuttavia ancora fedele a Maria.

Il limite fra le diverse realtà è per la strega solamente un sottile velo. Squarciarlo per consentire il passaggio di spiriti e demoni da una dimensione all'altra non è per lei né una fatica né uno sforzo, e perciò sarà in grado di effettuare evocazioni pressoché istantanee. Il suo potere, inoltre, richiama yokai più potenti del normale, ed è per questo che le creature richiamate possiedono 1 CS aggiuntivo a qualsiasi caratteristica, e la comunione instaurata fra di lei e le creature evocate sarà tanto stretta che Maria sarà in grado di percepire attraverso il corpo delle sue evocazioni. Concentrandosi al massimo e annullando i propri sensi può ricevere un controllo totale dell'evocazione.

[Consumo Medio]

Whispers from the woman who inspected the reality ~ Words of power
[Pergamena iniziale Sussurro di morte][Consumo medio; tecnica psionica][Danno basso psionico da confusione; alla vittima viene trasmesso un messaggio non ignorabile e che prenderà tutta la sua attenzione per un intero turno]


Il linguaggio umano non è che una delle infinite forme di comunicazione. Musica, scrittura, pittura, simboli e gesti sono solo metodi per ottenere lo stesso scopo: la trasmissione di un pensiero da una persona all'altra. Gli uomini sono costretti a sottostare alla limitatezza della propria lingua per farlo. Maria, spendendo un consumo basso, riuscirà invece a parlare con la voce degli Dei, appresa guardando oltre il Velo di Maya. Il concetto che lei pronuncerà raggiungerà la mente del bersaglio che, incapace di sopportare la complessità del messaggio, ne risulterà stravolta per qualche istante e subirà un danno basso. Inoltre la vittima non potrà ignorare la frase, che percepirà non come pronunciata da Maria ma come generata dai propri pensieri.

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Note



Ok, a cercare bambine in un centro città malfamato.

È già sabato sera?

*Sirene della polizia fuori dalla porta*

A parte le cazzate, ho glissato su alcune parti trattate in confronto (in particolare, il dialogo di Jeanne con i tre uomini e Maria che si libera dai bambini) in primo luogo non accadeva nulla di particolarmente rilevante o interessante, in secondo luogo perché il post stava venendo già abbastanza lungo (e confuso) senza quelle scene. In ogni caso ho incluso la tecnica che ho usato per liberarmi dai bambini (la nulla di materializzazione di oggetti). Spero he queste mancanze non siano gravi.

Enjoy it :8D:




Edited by Alb†raum - 6/12/2013, 09:11
 
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.Azazel
view post Posted on 6/12/2013, 13:25




I Primogeniti
Onde di Fumo, Atto II
___ _ ___


~


Il vecchio narratore riuscì ad artigliare la propria preda, colei che aveva osato interrompere la storia: era una ragazzina, niente più, niente meno. La strattonò diverse volte, con decisione, mentre nella loro lingua le rivolgeva quasi sicuramente parole di rimprovero.

« Lasciala. »
Il Mezzanima si mosse, con fare svogliato s'era avvicinato alla scena, quell'unica parola fuoriuscì fiacca, debole anche se significava un'unica e precisa volontà. Non ebbe l'effetto voluto. Forse non avvertì nemmeno l'ammonimento, forse l'aveva addirittura ignorato, tant'era che il vecchio strinse con maggior vigore la presa e mandò la ragazzina bocconi a terra.
Lasciò definitivamente perdere l'intera faccenda, attirato da qualcos'altro: con la coda dell'occhio individuò un nano interessato a soggetti poco inclini all'ordine e alla legge. Girò i tacchi a sua volta e notò che altri due Predatori di Neiru erano intenzionati ad avvicinarsi a lui, di soppiatto, mischiandosi con la folla.
Il guanto metallico destro si strinse sull'elsa di Neracciaio, infine lo sfrigolìo metallico della lama della spada che fuoriusciva dal fodero fu l'unico suono amico a Kel, in quel momento. La risposta dei due fu quella di dividersi, tattica utile per disorientare la preda: uno aveva sguainato un pugnale e si era mischiato fra la folla, l'altro s'avvicinava lentamente, a mani nude verso Kel.
Non avevano capito con chi avevano a che fare, non era di certo una preda per ladri o tagliagole.
A poco meno di due metri, il Neiru con il quale non aveva interrotto il contatto visivo, scattò in avanti snudando una piccola daga in grado di esser celata dall'avambraccio. Parve voler colpire al petto ma all'ultimo secondo si buttò a terra e mirò alle gambe. Fulmineamente il goryano reagì: diede una pedata in avanti con la gamba sinistra, come volesse sfondare una porta invisibile che aveva dinanzi, in realtà utilizzò l'aria come parete solida per darsi lo slancio necessario per eseguire un salto all'indietro, schivando in tal modo l'abietto attacco nemico.
Riguadagnatosi un paio di metri di distanza dal Neiru, Kel alzò il guanto sinistro, infine posò lo sguardo sull'arma dell'altro. Schiocco le dita e il clangore metallico prodotto da tale azione pervase l'intera area avendo un effetto solo su una cosa: la daga nemica.
Il metallo cambiò di stato, da solido si trasformò in una colata di liquido incandescente che si riversò a terra lasciando il Neiru solo con la parte dell'impugnatura dell'arma.

« Siete così desiderosi di morire? »
Domandò al Predatore che aveva davanti, il quale perse tutto il coraggio che aveva e senza nemmeno rispondere o tentare di attaccare ancora fece dietrofront e si dileguò fra la folla, sicuramente intimorito dalla piccola manifestazione di potere di una preda un pò troppo difficile da ferire.
Non si era dimenticato del secondo pericolo, quello che per primo si era mischiato fra la gente della città cercando di far perdere le proprie tracce per poi attaccare al momento opportuno.
Quello era sicuramente il momento migliore.
Sbucò dalla folla alle sue spalle e con un rapido fendente tentò di colpirlo fra le scapole. Fu tutto troppo rapido: riuscì ad intravederlo appena prima che potesse attaccarlo ma era da scartare immediatamente l'ipotesi di una schivata o di una parata, non in quella posizione, non con quei tempi.
L'unico modo per scamparla era la magia.
Fece fluire in un batter d'occhio le energie lungo la schiena dandole la consistenza del granito per un breve istante, giusto il tempo di assorbire il fendente nemico ed uscirne illeso.
E difatti fu così, il risultato finale fu un bello strappo lungo il mantello color pece: la goccia che fece traboccare il vaso.
Grondante rabbia e tracimante furia si voltò in un lampo, nell'ardore di quel movimento il cappuccio gli cadde all'indietro rivelando l'aspetto di decadenza e morte che, da anni, lo contraddistingueva. Gli occhi, due profondi pozzi d'un grigio cenere, parvero sprizzare colleriche fiamme verso colui che aveva solamente osato attaccarlo alle spalle: il braccio armato si mosse in sua direzione facendo finta di voler attaccare il Neiru con un taglio verticale dall'alto verso il basso mentre, in realtà, il vero colpo era un gancio mancino diretto al volto del Predatore. Lo prese in pieno volto mandandolo a terra, sanguinante e terrorizzato nel vedere l'aspetto della preda se la filò a gambe levate fra la folla. Ma non solo il Predatore aveva visto il reale aspetto del Mezzanima, anche la gente comune iniziò ad additarlo, guardandolo come fosse un appestato o un mostro vomitato da chissà quale anfratto della terra. Tre uomini gli si avvicinarono, sguardo truce e poco rassicurante, si fermarono a circa cinque metri da lui.

« Che problema avete? Mai visto un uomo molto brutto? »
Esclamò velenoso verso i tre energumeni che lo scrutavano disgustati e al contempo pronti a spaccargli quell'orrido muso. Rinfoderò Neracciaio cercando di far capire che il caos prodotto era dovuto ad una più che legittima difesa nei confronti dei Neiru: era meglio calmare le acque, era fin troppo semplice scatenare confusione in città.
La scelta del riporre Neracciaio parve azzeccata. I tre omaccioni si avvicinarono a Kel cambiando espressione e apparentemente più inclini a dialogare.

« Io di uomini brutti ne ho visti. Certo che però tu li superi tutti. »
Esclamò uno facendo trapelare una certa diffidenza nel tono di voce.
« Non sei di Neirusiens. Da dove vieni? »
Domandò un altro.

« Sono un semplice viaggiatore, i miei interessi non hanno alcun valore. »
Mentì, soprattutto nel secondo pezzo di frase. Scelse di cambiare rapidamente discorso, odiava parlare dei suoi interessi, non erano certo di dominio pubblico, non ancora.
Indicando i due danzatori, rimasti chiaramente in disparte dal trambusto, gli venne spontaneo domandare: « Deve scapparci il morto per far agire la guardia cittadina? »
Il trio umano lanciò una fugace occhiata al duo corazzato e armato, rimasto ai limiti della piazza, fermi e silenziosi come due statue antiche.

« I Danzatori d'Ambra non si sporcano le mani per risse come queste. Non è nel loro stile. Preferiscono di gran lunga guardarci in silenzio mentre giorno dopo giorno umani e elfi si scannano a vicenda e attendere il momento più opportuno per una lezione esemplare. Il che, in tutta sincerità, è un gran sollievo. Il solo pensiero di misurarmi con uno di loro mi mette i brividi. C'è qualcosa di dannatamente inquietante nei Danzatori d'Ambra e non sono il solo a pensarlo. »

Da un altro punto della piazza sembrò generarsi altro disordine e gli uomini che aveva davanti gli domandarono se era un'amica sua, affermando inoltre che erano giunti lo stesso giorno. Kel osservò questa ragazza dagli occhi dorati e i capelli biondi, aveva nove code.
Già, nove code: solitamente le ragazze normali non ne hanno nemmeno una di coda.
Voleva dire che non era umana, e soprattutto non era nemmeno sua amica.

« Io non ho amici. »
Tagliò corto il Mezzanima in direzione dell'interlocutore, fulminandolo con lo sguardo, come fosse stato appena offeso.
« Ditemi piuttosto: dove devo recarmi per trovare il centro di comando di questi Danzatori d'Ambra? »
Domandò facendo trapelare una curiosità inconscia prodotta soprattutto dalla reazione e dalle parole degli uomini che aveva davanti, alquanto timorosi della guardia cittadina, quasi sicuramente per buoni motivi.

« E' facile. Tutti i Danzatori si addestrano nella Torre del Fato, non molto distante da qui. »
Con un mezzo ghigno indica con il mento un punto poco distante dal loro nel quale fece il suo ingresso in campo proprio uno dei temibili soggetti in questione.
Un Danzatore si era materializzato dinanzi alla ragazzina che aveva interrotto il vecchio diversi minuti prima e una donna, entrambe pietrificate dal terrore. Lasciò immediatamente il terzetto umano e si diresse verso il punto d'interesse, avvicinandosi senza risultare una minaccia, forse era anche fin troppo vicino: un paio di metri affianco al Danzatore. Quest'ultimo parve nemmeno considerarlo, il suo elmo di nera ossidiana e lavorato in maniera da farlo assomigliare al becco di un corvo, era direzionato verso le due figure tremanti dalla paura. L'istante dopo alle due si aggiungono altre tre fanciulle, quelle responsabili dello scompiglio creatosi fino a quel momento in piazza.
Per qualche istante un sudario di puro silenzio parve calare sull'intera città poi alle spalle del gruppetto si materializzarono altri due Danzatori. Tutti e tre stesero le braccia verso l'esterno disegnando un triangolo fittizio nel quale all'interno vi era il quintetto femminile e pure il Mezzanima.
Nessuno reagì.
Nulla si mosse.
Il tempo parve dilatarsi in maniera spropositata mentre l'oscurità più nera giunse su di loro.
Forse era uno dei tanti motivi per i quali Neirusiens veniva chiamata la Nera Città.
La Notte aveva avviluppato il mondo.

Kel'Thuzak
il Mezzanima

CS 4 ~ Destrezza 2 - Intelligenza 2

~ Basso 5% ~ Medio 10% ~ Alto 20% ~ Critico 40% ~

Energia: 100 - 5 - 5 = 90%
Status Fisico: Indenne.
Status Psicologico: Indenne.

Equipaggiamento in uso

Neracciaio__In uso e in seguito rinfoderata.
Silentium__Inutilizzata. [º º º º º]


Abilità in uso

arcanus__L'anima corrotta di Kel, scissa in due tra spada e corpo, ha fatto sì che Neracciaio acquisisse un potere in grado di distinguerla dal resto delle armi comuni: il potere della sua anima racchiusa in questa spada è in grado bruciare e ustionare. L'arma infliggerà danno come il riflesso della propria anima tant'è che oltre al danno fisico arrecherà un danno legato all'elemento Fuoco, non pregiudicherà in alcun modo la regolamentazione sugli attacchi fisici e le Capacità Straordinarie; il danno totale inflitto dagli attacchi fisici non cambierà in alcun modo, ne verrà solo caratterizzata l'entità aggiungendovi proprietà elementali. L’arma, come una creatura viva e senziente, si plasmerà sulla figura del possessore assecondando la sua indole, vettore della sua anima. Da questo momento in poi essa vibrerà di energia propria, liberando una malia psionica di tipo passivo, sottoforma di terrore e paura, che influenzerà chiunque sarà abbastanza vicino da percepirla. Inoltre Kel, raggiunto il 10% delle energie, non sverrà, come invece potrebbe succedere a qualsiasi altro membro di un'altra razza. Ciò però non significa che non sarà stanco raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%.
{Passiva Lvl.1 e 2 Artigiano + Razziale Umana}

tutum iter__La tecnica ha natura magica. L'abilità non ha potenza e concede i propri benefici passivamente, sempre funzionanti nel corso di una giocata. Il personaggio diviene in grado di camminare e reggersi su qualsiasi superficie, sia essa avversa a lui e alla gravità (come una parete o un soffitto), sia essa liquida (acqua, ad esempio) o aeriforme (camminare sull'aria). Non sarà affetto in alcuna maniera da correnti d'aria o sbilanciato da onde nell'acqua, e potrà camminare tanto agilmente nell'aria quanto lo farebbe sulla terraferma, il tutto non alterando in alcuna maniera la sua agilità o la velocità con la quale si muove normalmente - rendendolo di fatto né più veloce né più lento del solito. {Pergamena Sostegno - Ladro}

mysticus__Il prescelto dei guerrieri stregoni di Kolozar Dum è stato dotato inconsapevolmente, da quest'ultimi, del dono della magia, ma non magia comune bensì qualcosa di molto più potente e in grado di far impallidire i migliori maghi esistenti. Poter contare ogniqualvolta su una fonte di potere sempre maggiore rispetto a chi si ha di fronte è una capacità che molti vorrebbero e che Kel possiede dopo essere tornato alla vita. In termini di gioco la tecnica ha natura Magica e avrà sempre effetto. Ogni volta che il proprio avversario utilizza una tecnica di natura magica, per la durata di quel turno Kel guadagna 2 CS in Intelligenza.
{Pergamena Discendenza Arcana - Mago}

Attive Utilizzate

dissipatio__La tecnica è un danno all'equipaggiamento di natura Magica, consumo Basso. Lo stregone colpisce l'arma dell'avversario con una modalità a propria scelta (castando l'arma da lontano, toccandola, colpendola) e la disgrega distruggendola. Qualora non ci si difendesse da questa tecnica, l'avversario vedrà la propria arma o un suo pezzo di equipaggiamento sciogliersi, come se una colata di lava avesse colpito il bersaglio in questione. In nessun caso potrà essere utilizzata per cagionare danni a qualsivoglia essere organico. L'equipaggiamento danneggiato potrà essere ripristinato nella giocata in corso solo mediante l'uso di tecniche apposite.
{Pergamena Disgregare - Mago}

corpore marmoris__Per riuscire a manipolare la magia ed utilizzarla come strumento fisico per difendersi ha richiesto molti anni di duro allenamento: a volte non hai la fortuna di possedere facoltà innate di tale rilievo e la soluzione è solamente la pratica costante. Proprio per questo Kel, tramite un consumo energetico Variabile, potrà difendersi dagli attacchi nemici incanalando la magia in una zona del corpo, o in tutto se necessario. Facendo ciò l'epidermide dello stregone, stimolata dalla magia, assumerà un colorito grigio scuro, evidenziando così le parti soggette a tale azione magica, rendendo il corpo dell'uomo inscalfibile come fosse composto da solido marmo. Tale abilità avrà effetto immediato, incassato il colpo la pelle tornerà allo stato originario. Non si potrà usare in fase offensiva, tecnica di natura magica.
{Abilità Personale - Difesa Variabile [Consumo impiegato: Basso]}



 
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Alicia.
view post Posted on 6/12/2013, 14:15




BREAKING ALL ILLUSIONS
la notte ha versato una lacrima per raccontarle della sua paura; la morte è la prima danza, eterna.

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Le sue mani parevano avere volontà propria, dovette compiere uno sforzo non indifferente per non cedere alla tentazione di salvare quella ragazza. Il vecchio elfo la carpì in mezzo alla folla, sparendo attraverso essa, venendone fagocitato e coperto. La Regina sospirò amaramente, anteponendo al bene di quel singolo individuo la propria -sacra- missione; nonostante ormai fosse abituata a tali decisioni, per lei rappresentava sempre un ostacolo dover venir meno ai propri istinti. Distolse lo sguardo disgustata, non volendo essere spettatrice di quello scempio. Mentre la maggioranza delle persone si precipitò nella direzione opposta ad Alicia, in mezzo a loro una figura venne incontro alla ragazza. Un elfo il cui volto era visibilmente segnato dal tempo e dai conflitti; sotto di esso un collare, del tutto simile a quello di una bestia. Forse era proprio questo, una bestia, pensò Alicia prima di indietreggiare. Doveva avere la certezza di essere proprio lei il bersaglio di quell'individuo e, purtroppo, ne ebbe una prova pochi istanti dopo. Sfoderò un Kukri mentre la Regina, senza voltargli le spalle, saliva una scalinata di pietra. Intorno a loro non vi era nessuno, come se il mondo intero avesse voluto farli incontrare e parlare. Uno strano scherzo del destino, soli in mezzo a tutte quelle persone.
« Milady » Si prodigò in un inchino l'elfo « Posso sapere cosa ci fa una ricca fanciulla di così bell'aspetto in questa città affatto bella e affatto ricca ? » Forte della propria arma tentò di approcciarsi alla ragazza, che non esitò a controbattere. Se vi era un campo nel quale eccelleva, quello era proprio il dialogo.
« Ricca ? » Rispose con aria di finta sorpresa.
« Io in verità non possiedo molti averi. Le cose a me più preziose le custodisco in un luogo irraggiungibile per chiunque. Voi piuttosto... » Salì un altro scalino, osservando la piazza ormai sgombra. « ...Possedete altre qualità oltre a saper impugnare un'arma ? Qual'è il vostro ruolo in questa "cittadina affatto ricca" ? » Ripetè apatica la frase detta dal proprio nemico. « Permettetemi di darvi un consiglio. In base alla vostra risposta deciderò se risparmiarvi o meno. » Aggiunse, non staccando gli occhi dal suo interlocutore.
Si inchinò di nuovo, il Predatore. Con fare beffardo schioccò le labbra e continuò « ...al vostro servizio, Signora. Umile cacciatore e pescatore, esperto amatore e idolo di tutte le fanciulle -elfiche e non- di Neirusiens. » Si avvicinò ad Alicia con mal celata indifferenza. « Ma detto fra noi, la cosa che mi riesce meglio in assoluto è tagliare le pallide gole di giovani principessine come voi, Madame »
Sibilò aggiustandosi il collare e sfiorandosi la gola, quasi a mimare le parole dette poco prima.
« Capisco » Disse sconfortata la fanciulla, chiudendo gli occhi.« È un vero peccato che un individuo con così tanti talenti debba cessare la propria esistenza così presto » Sentenziò ironicamente, con un tono di voce che però nulla aveva di scherzoso. Il suo sguardo tornò alto, a squadrare il proprio nemico e l'intera piazza. Tanto le era bastato per poter farsi un'idea di chi le stesse di fronte. « Ho udito strane storie su questa città; storie riguardanti delle ombre » I suoi occhi tornarono fissi sul capo dei predatori. « Sembra proprio che prima di morire sarai tu a dissipare questi miei dubbi. » Il ghigno dell'elfo si interruppe quasi bruscamente, quasi costretto alla compostezza dalle parole della Regina. Si chinò in avanti, posando a terra la propria daga; colpito dalla presenza e dalla forza della propria nemica, forse troppo sottovalutata.

« Mia signora. » Esordì con un inedito tono di voce, molto sentito. « Se siete a caccia di leggende e antichi racconti del passato, allora Neirusiens è la città che fa al caso vostro. Ne troverete più di quante sarete in grado di ascoltarne. » Avanzò di nuovo, senza però imporsi con irruenza come in precedenza. « Ma se è la Verità che volete rimarrete alquanto delusa. Non vi è nulla di malvagio qui a Neirusiens tranne Neirusiens stessa e coloro che la abitano. » Disse quasi con sincerità.
« Chi vi ha riferito queste storie ? » Terminò, interrogandosi sulle fonti di quelle notizie.
« Nessuno in particolare mi ha riferito di queste storie. » Ammise sincera alzando le spalle. « In verità prima delle vostre parole pensavo fossero solo leggende, storie raccontate da anziani ed ingigantite a causa della conformazione di questa cittadina. » Si guardò intorno, circondata dall'ombra di quella montagna. Poi posò lo sguardo dove qualche istante prima il vecchio elfo stava narrando alla folla il suo racconto. « Un paese, comunque, non può rendere proprio un pensiero unicamente degli uomini. » Socchiuse gli occhi, quasi come se fosse in preghiera. « Sono questi ultimi ad avvelenare la terra sulla quale camminano. Neirusiens, come il mio regno natale, ha soltanto bisogno di qualcuno in grado di cambiarne il destino, in grado di riportarla al cospetto della luce » Parlava metaforicamente e non. I suoi occhi poi tornarono fermi sul capo dei predatori. « Ora vi chiedo, chi sono coloro che hanno avvelenato e corrotto queste terre ? »
In risposta ottenne un sorriso amaro da parte dell'elfo, quasi sconsolato continuò il dialogo che pareva infinito « Non stono stati gli uomini che qui vedete ad avvelenare Neirusiens. » Disse abbassando lo sguardo. « La loro colpa sta nel volerla possedere pur non meritandola di diritto, pur avendola solo rubata a noi Predatori quando ancora eravamo troppo deboli e troppo disperati per ricordarci di lei, della nostra casa. » Esitò, venendo interrotto da un crescente boato generato dalla folla alle loro spalle.
« Fu La Dama Bianca a distruggere questa città e costringere tutti noi a fuggire come reietti per l'Eden. E fu sempre lei ad infestarla per secoli con i suoi abomini e atrocità - che Neiru la maledica. Anni terribili, fatti solo di terrore ed esilio. » Alzò lo sguardo, fissando Alicia in viso come per dar maggior peso alle proprie affermazioni. « Avete la minima idea di che cosa sia l'esilio, mia signora ? La consapevolezza di non poter tornare in una casa che non esiste più ? » Il tono beffardo e di finta cordialità tenuto all'inizio della loro conversazione era sparito, lasciando spazio all'amarezza e ad una punta di rammarico.

Dal canto suo, Alicia ascoltò le parole del Predatore, rimanendone incuriosita ma non totalmente soddisfatta. « Non ho idea di cosa possa provare una persona nelle vostre condizioni. Costretta lontano da casa e dai propri affetti. » Lanciò un'occhiata severa al proprio interlocutore e continuò con fermezza. « Ciononostante io morirei per preservare ciò che mi è caro, non accetterei mai l'esilio o la sconfitta. In molti hanno tentato di allontanarmi dai miei obiettivi ma, come potete constatare voi stessi, sono ancora qui d'innanzi a voi. » Sospirò, rilasciando le seguenti parole con una pacatezza a lei non comune. « Non mi fraintendete, non ve ne faccio una colpa. Da un individuo avvezzo a sgozzare fanciulle non mi aspetto alcun moto d'orgoglio. » Non aveva scordato le prime parole del proprio nemico e ancora meno aveva dimenticato l'arma che le era stata puntata contro. « Cosa è successo a questa Dama Bianca ed ai propri abomini ? » Continuò imperterrita. « Se avete rimesso piede a Neirusiens immagino che queste creature abbiano abbandonato le vostre terre. » "Forse", pensò.

« Forse per voi, Signora, uno come me è troppo meschino e rozzo per provare orgoglio. » Osservò la daga lasciata cadere poco prima. Con estrema probabilità la stava già rimpiangendo « Quindi non credo di essere la persona più adatta per narrarvi la storia di Neirusiens. » Disse, probabilmente, con finta modestia. « Ma conosco qualcuno che potrebbe certamente farlo, e che forse riuscirebbe anche a guadagnarvi la vostra così preziosa stima. » Porse poi una mano ad Alicia, invitandola a seguirlo. Da parte sua la Regina osservò curiosa la mano tesale dall'elfo, il suo braccio destro si alzò ma le dita non incontrarono quelle del nemico. Indicò semplicemente la piazza in fermento e parlò « Non sono interessata ad altre storie. Ora che mi avete svelato la causa della decadenza di questa cittadina, ho bisogno solamente di sapere cosa concretamente è possibile fare per Neirusiens. » Continuò, con una crescente sicurezza. « Se qualcuno è davvero in grado di darmi questa risposta allora vi seguirò. Ma... » Sospirò, abbassando lo sguardo anch'ella sulla daga lasciata dall'elfo. « ...Lasciate che vi avverta. Nel caso abbiate secondi fini, non sarò più misericordiosa come lo sono stata fino ad ora. » Ed ero vero. Nonostante le parole proferite dal suo nemico questo era ancora illeso, benché il codice morale di Alicia le imponesse il contrario. Non si trattava però di misericordia, come aveva detto qualche istante prima, ma di opportunità. Se vi era qualcuno in grado di aiutarla a purificare quella cittadina, allora era suo dovere fare di tutto per raggiungere tale scopo.
Anche se ciò avesse significato graziare quel predatore.

Quest'ultimo, con calma e naturalezza riprese la propria arma, riponendola nel proprio fodero senza mostrare alcun segno d'ostilità.
« Non si preoccupi mia signora. Fra i Predatori si racconta che un tempo la nostra razza non era priva della vista. » Ammise con pacatezza.
« Poi un giorno qualcuno osò mentire a Neiru...e questa fu la punizione. Da allora ci guardiamo bene dal dire le bugie, specie a delle belle fanciulle come... »

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Non ebbe il tempo per finire la frase, che l'intero -loro- mondo venne pervaso da una fitta oscurità. Era pesante, come se tutta l'acqua di Neirusiens si fosse sostituita all'aria opprimendo tutti i propri abitanti. Perfino Alicia -in quei momenti- era impossibilitata a vedere; lei, che più di ogni altra cosa detestava non poter carpire ogni minima variazione di tutto ciò che la circondava.

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essential information.

{ Basso: 5% | Medio: 10% | Alto: 20% | Immenso: 40% }
cs: 3 { 2 Freddezza - 1 Agilità }

condizioni fisiche: Illesa
condizioni mentali: Illesa
consumi: 10 % + 5 %
energia: 85 %

armi & artefatti:
• Justice: L'unica arma in dotazione alla Regina Onnisciente, si tratta di una spada leggera ed elegante, con un'impugnatura in oro, di pregevole fattura. È assai maneggevole e veloce, adatta per affondi o fendenti rapidi. Nonostante la tenga legata alla vita, non l'ha mai sfoderata nemmeno una volta.

• Crown Of Justice: Corona di Alicia - Artefatto Epico


passive in use.

harmony: Passiva di difesa contro le tecniche psioniche
god shape: Immortalità
liar game: Passive 1° e 2° livello informatore - Alicia sa sempre se qualcuno le sta mentendo o se le sta nascondendo un segreto

active in use.

equity - Spesso la Regina, suo malgrado, si trova coinvolta in conflitti molto più adatti ad un cavaliere che non ad una donna. Di invasori che hanno tentato di scardinare il suo impero di luce ne ha visti fin troppi, così come è ben consapevole della natura abietta dell'uomo. Proprio per questo Alicia ha dovuto sviluppare un'abilità che le permettesse di confrontarsi anche contro subdoli assassini o maestri d'armi. Benché lei stessa sia provvista di una spada, allo scontro ravvicinato preferisce la lenta ma graduale frammentazione dell'Io del proprio avversario. Alla luce di ciò, con con medio consumo d'energia, ella inibirà il tatto del proprio nemico. Tale handicap gli farà perdere l'utilizzo di un'arma a sua scelta immediatamente e di una seconda il turno successivo, sempre che ne sia provvisto. L'equità è alla base della giustizia così come in battaglia lo è la spada. [Pergamena "Disgrazia"]

fear - "Conoscere le nostre paure è il miglior metodo per occuparsi delle paure degli altri"
Nessun sovrano può governare secondo giustizia se non gode del timore dei sudditi. Nessuna legge può essere efficace se non si paventa la sanzione. Per questo motivo anche Alicia deve riuscire ad incutere il reverenziale rispetto che la sua figura regale merita nei propri interlocutori. Con un consumo pari a basso, chi la guardasse proverebbe immediatamente una sensazione di sottomissione nei suoi confronti. Questo si ripercuoterà come un danno basso alla psiche del nemico. Perché lei è Sovrana e Giudice. Davanti a una donna del genere non si può che chinare il capo e sperare che essa passi in silenzio, senza posare i propri occhi severi su di noi. [Attacco Psionico di potenza bassa contrastabile come tale]

 
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Lill'
view post Posted on 9/12/2013, 22:19






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Un uomo rientrò in una casupola distante dal lago. La penombra affliggeva anche quell’ambiente striminzito, e il silenzio lì era squallido, tranne che per le grida di bambini dal retro. “Allora? Com’è andata?!” Quando la donna l’abbracciò era pensieroso. Lei emerse dall’altra stanza, l’unica a parte quello spazio comune, l’ombra corposa proiettata sul muro dalle candele; l’uomo, che un tempo era stato un valoroso soldato della Guardia, contraccambiò il bacio con fare austero. “Beh, dicono che vogliono effettivamente restare – non sono qui per caso.
Avranno sentito.
La donna annuì con un sorriso, forse, nella penombra. “Vedi? Possiamo stare tranquilli ora, non torneranno…se la gente fuori si fida!” L’uomo si scostò fosco. Constatò quasi sorpreso lo sfacelo di quella sala-cucina, lui che un tempo fu un valoroso guerriero dei Nani, ora un accattone tra ruderi neri. Aveva le spalle large e, raro nel suo popolo, un viso e un corpo smagriti – mangiati dalle preoccupazioni continue; indugiò nei pressi dell’uscio sul retro, ascoltando. “E vedi, quel furfantello starà solo meglio, anche lui. Gioca con i nuovi bambini e…oggi ha rotto il labbro al figlio dei mercanti!
Era vero. Poteva sentire le urla dal cortile, e quelle del suo marmocchio parevano poco giocherellone e infantili: quasi già sbraiti di lotta, ridicoli. Era il suo sangue, quel botolo.
Mh” le si avvicinò piano. “Avrai ragione”. Forse era così: poteva pensare di tornare a fare due soldi, via da quella storia e dagli incubi e tutto – se n’erano andate. Due soldi, magari anche per lei e il marmocchio.
Sono mesi che non si sente nulla…che si dorme per ore di fila; il mondo è cambiato e…” indugiò, quasi restia a dirlo. Lui la squadrò sotto le spazzole di sopracciglia, un improvviso fremito nelle narici.
La fottuta strega è morta, me l’hanno confermato prima.
HAH! All’inferno i suoi mostri e



76ts



Eitinel
Eitinel



Mocciosi,
VIA!


Si produsse in un unico sguardo, qualche parola a far cambiare idea alla chioma-di-rosa un po’ troppo baldanzosa: di soldi non ne avrebbe visti, non da lui. Non che le sole parole potessero veramente fare qualcosa, per carità; coinvolgendo l’elfo nella baraonda che aveva nella testa però, quella voce nera e sanguigna, forse lui e Rick arrivavano a capirsi: smise effettivamente di seguirlo, per quanto bastava. Il nano non ci penso due volte e si buttò in un vicolo. Era come se la stessa cantilena, il bercio della sua panza e di Velta, guidasse i suoi stivalacci consunti e gli rintonasse cose antiche nella fronte: via, scambiare la roba in centro, niente perdite di tempo; come se quel bofonchiare maledetto lo spartisse pure con gli altri ora, gli desse un’idea delle iettature e i malanni che aveva dovuto sopportare nel Midgard. I vicoli bui dell’Eden non erano troppo freddi, dopo quello.
Si avviò tra le stradine e la mura di pece, broncio e martello sempre indosso – uniche certezze, da che lui sapeva.
Che c’era un motivo per non stare tranquilli, se fuori da un’osteria, e che l’arma c’era, non ti tradiva:
ecco cosa conosceva il nano.
Per l’affare, poi, quello l’avrebbe svolto alla svelta: sapeva dov’era il commerciante con cui parlare e ci si dirigeva spedito. Lo scorrere di passanti dai tratti così fini non pareva interessarlo, non le spezie e gli odori corposi che arrivavano dalle finestre, insieme al fetore delle strade. Tastò che le ceste fossero intatte sopra la sua capoccia, e grugnì contro un marmocchio facciadimorto fattosi un po’ troppo curioso; il piccolo si rintanò in una catapecchia scolorita, scosso dal vago rimbotto di quel bieco avventore. Per come la vedeva Rick, ecco, quelle non erano che dimostrazioni delle due stesse certezze: le parole buone per i giullari, e il fatto che la voglia di campare, l’energia nera, gli raccontasse tutto il necessario.
E di cosa aveva bisogno lui, poi?
Ira marcita negli anni, istinti e voci nella testa: da lì il suo scatto, ecco perché l’elfo s’era imbambolato – brama di mettere il culo su una panca d’osteria pure domani, che altro?
Osterie, già; gliene rinvennero alcune.

Cercando con i suoi occhietti a fessura, però, ritrovò altro.

In principio non ci fece particolare caso, fermandosi ad un ennesimo incrocio; c’erano cataste di roba qua e là, qualche straccio un tempo cangiante steso ad asciugare. Le arcate vecchie e logore segnavano il seguirsi degli edifici, pietre dal taglio fine e dalla spessa copertura di lerciume: il nano si fermò davanti a uno di quei portici. Non più austero, non più logoro di altri, Rick adocchiò l’arcata e i due battenti, un tizio buttato sugli scalini. Qualche mugugno gli uscì dalla bocca, quindi posò le ceste a terra con un cenno esemplare: se proprio doveva fare affari per il Clan, tanto valeva ricorrere a gabole e trucchi. Un mercato nero rientrava tra questi.
Sbracciò un altro po’ alla volta delle ceste, ma il tipo in tunica non pareva dargli retta. Chiaro, poteva passare per l’ennesimo beone accartocciato su un uscio, ma in quella città... no, Rick non credeva proprio. Elfi o meno, lì si trattava di un qualche inghippo illegale – così li aveva sentiti chiamare. Per ciò che lo riguardava, il nano ne aveva fatto una discreta esperienza: giri da mercenari, armi e bottini – dove trovare talismani migliori per il Sorya? Come non riconoscere il pugnale nella manica del tizio, mentre si schiariva la voce?

-ra..ragno delle caverne
bollito di ragno delle caverne

Ripescò qualche parola, detta a stento – come se quegli usi gli fossero ormai estranei; con una scintilla negli occhi spenti parve riprendere qualcosa, una faccia e una voce spinte giù in canna da troppe pile di cadaveri e di sterco, gelo e ferro per un tozzo di pane.

"Taverne, non Caverne"

Ti credevamo morto, sai?” Raccolse le sporte. Scrutò per qualche istante quel rigurgito dei suoi pensieri, carne olivastra e un sorriso sghembo a canzonarlo – un sorriso amaro, indurito da cose e anni. Strinse ancora per qualche istante il manico del martello, mai lasciato dall’incontro con i furfantelli elfi.
Morto..., disse qualcuno – forse ancora qualche voce dentro la sua testa.
Gli altri? si fermò sull'uscio, in attesa davanti al portone; mentre spingeva il legno scorticato Rick si guardò le spalle, uno scricchiolio ad accompagnarlo – non solo l’abitudine, forse, ma la voglia di vedere se quel vecchio estraneo venuto dal Sud entrava con lui. "Molte cose sono cambiate. E non tutte in meglio, purtroppo."

jcyj

Nei fumi del cortile entrò solo.
Come luce nella nebbia, il vagabondo passò quelle figure confuse; pelle di carcame ed occhi vuoti, lo stesso genere di piantagrane in cui s'era imbattuto poco prima – solo, ovunque.
Non che gli importasse neanche un po'.
Camminando tra folla e bancali, il nano non sembrava allarmato, non più del solito. Facciadimorto o umani, la feccia aveva sempre lo stesso colore, le ombre lo stesso tono – nero – e quella baracca di pietre chiamata città faceva sempre schifo. Di che guardarsi, oltre le grane che già c’erano? Scarmigliandosi tra figure tetre e sguardi ostili, Rick badò a quanto gli serviva: ordini del clan, ninnoli per scacciare le ombre.
Di quelli aveva bisogno.
Scegliendo il venditore meglio fornito non gli venne neanche un dubbio, porgendogli il pezzo di carta datogli nel Ventre non ci pensò due volte. E per cosa, poi? L’immagine del tizio che gli dava l’incarico era un grumo sempre lì nella sua testa, le cose da fare tra ieri e ora un’unica linea: per cosa scorticarsi la fronte? Il suo bisogno era là, i cosiddetti ricordi, come la carne o le cicatrici che lo componevano: a dirla tutta gli andava pure comoda, rispetto al passato.
I marchi della vita da mercenario se li portava appresso, la mano segnata mentre ritirava il pacchetto, il facciabianca che faceva ossequi quasi gli desse la zuppa più saporita dell’Eden. Se valeva, tanto meglio: Rick si lascò scivolare le sue parole addosso, girandosi alla volta dell’uscita.

Altri disgraziati Neiru gli si piantarono davanti.

"Facciamo compere, nano?" il piglio di uno, l’acciaio già scoperto; altro metallo parve raschiargli sotto le chiappe. Ah, in realtà il vecchio Gultermann non ce l’aveva mica con gli smilzi: pestando lo stivale a terra, il vortice scuro che inghiottiva l’incanto elfico, Rick non era incazzato con qualcuno nello specifico. Con uno sguardo di pietra colpì quello che aveva parlato, era vero, e gli stessi gridi e consigli che gli fracassavano le tempie – e paravano i fondelli – li buttò nella testa dell’elfo. Non combatterlo, berciavano, come fossero la vera coscienza del Neiru.

Ma in realtà era a posto, il nano, non si trattava di un odio particolare.
Lo faceva da sempre.

Beccare una freccia alle spalle all’ultimo, un altro bastardo a mirarlo tra le ombre, incassare un taglio con la sua pelle dura. Lo scudo d’energia sfrigolò dietro di lui, il dardo deviato, con un mugugno strinse i denti per la ferita sulle gambe; mostrandosi – un tentativo – insofferente, l’astio di Rick comprendeva tutti e nessuno: un altro passo in avanti, volto a far vedere di che pasta era fatto alla mammoletta che l’aveva sferzato troppo vicino ai gioielli, parole serrate al suo precedente bersaglio. Uno di voi vuole proprio crepare, eh? E si piantò saldo a terra.
Già, di guazzabugli ne aveva visti, di massacri stessi e infamate ne era stato partecipe. Gli bastava ricordarsi del recente lavoro a Siassi, per avere un peso della differenza dei due mestieri. No, il mercenario e il galoppino prevedevano rischi assai diversi, tutt’altro genere di grane: Non so se al vostro dio-lago farebbe piacere..
...al cieco!


Il martello venne alzato. E la rabbia di campare di Rick gorgogliò pure, bruta e totale. "Calma, nano" la pressione si allentò un po’. "Non è il caso di scaldarsi tanto. In fondo noi ti stiamo facendo un favore chiedendoti gentilmente di darci quel fagotto. E' stato un Danzatore a portarlo qui, e tutto ciò che riguarda i Danzatori significa guai."

L'intero chiostro sembrò rifiatare, quella tensione assassina allentarsi; per un attimo si poterono scorgere le figure dei Neiru ammantate tra le ombre delle colonne, i mercanti e gli avventori gustarsi una scena insolita. Movenze e sussurri parvero rallentare, il tempo dilatarsi.
"Heh!" Ma l’ira marcita da anni nel nano, quell’energia scura, non venne meno. Che quei tizi volessero prendergli qualcosa era un fatto normale, tanto più in quel posto, ci era abituato – le saette si compattarono al suo fianco. L’avvicendarsi di carne e mazzate mostrava solo quello, ognuno voleva tirare avanti come poteva – la legge in una fogna senza leggi. Ma in quel mondo di sgozzamenti e bestemmie quotidiane – la sfera nera sibilò cruenta – ogni tanto c’erano pure stramberie. Sputate quello che volete da quest'affare...
Bislaccate, cenciumi insoliti. Screzi che non tornavano.

…e forse ci capiamo
Quegli elfi e il fottuto fagotto parevano uno di quelli.
Cioè, non era tanto l’accanimento degli smilzi – il loro uomo duro che finalmente si rivelava, mettendosi tra Rick e la porta; quel non mollare per un gingillo da fattucchiere – la fame era un motivo più che valido, e certo il suo brutto muso un incentivo. "Noi vogliamo quel fagotto. E tu vuoi salva la vita" il capo, nelle mani una lunga sciabola ricurva "Credi che potremmo giungere ad un accordo?"
Ma, davvero, il non aver pagato andava contro ogni sua esperienza.
Contro ogni maledetto buonsenso, unico requisito per tirare avanti in quel letamaio di mondo.

Da quand’è che si vendeva agratis?

Sopracciglia d’ebano corrucciate, grugno ancor più arido, Rick diede una smossa alla faccenda. Quel mattatoio nella sua testa gridava in ogni tono, e l’istinto gli pompava astio nelle vene – oltre al grasso della colazione. Con un botto la palla d’energia si scagliò contro il capo dei Neiru, e Rick si fiondò verso l’uscita, una sporta lasciata lì in pegno.
Si lasciò i colonnati alle spalle, e con essi lo strano piazzale pullulante di ombre pallide. Quella questione pareva più ingarbugliata del previsto, e il talismano richiesto dal clan l’aveva ottenuto – magari anche più potente; in fondo, pensò il vagabondo, l’oggetto doveva portare sofferenze ai mostri: quale modo migliore che confezionarlo con le sofferenze di altri, mostri o meno che fossero?
Mercati del genere servivano a quello.

'stanotte alla taverna! bofonchiò all’uomo all’entrata, prima di venire inghiottito di nuovi dai vicoli. Magari valeva la pena avere qualcosa in più sul ninnolo, e farsi due o dieci birre con un vecchio amico – o qualcosa del genere; dai facciadimorto non era riuscito a cavare niente tanto, un'altra conferma sull'utilità dello stare a ciarlare - anche se i suoi ragli avevano ben poco di ciarliero. Poco male: ora doveva rispondere in tutto e per tutto alla sua descrizione, quel muso di cadavere là dentro. E lui poteva sempre prendere la chiatta successiva.







CITAZIONE

Rick Gultermann
Basso 5%, Medio 10%, Alto 20, Critico 40%




CS: 0 Resistenza
ENERGIE: 50%
Status Fisico: Danno Basso da taglio alla gamba sinistra, Danno Basso autoinflitto.
Status Mentale: Danno Basso autoinflitto.
EQUIPAGGIAMENTO: Scudo tondo (avambraccio destro), Mazza (mano sinistra), Armatura di cuoio (tutto il corpo eccetto testa e mani)


PASSIVE

~Abilità razziale. Il tozzo ancora in piedi.
[Controllo Energetico, Umano]

~Abilità personale. Sopporta!
[Possibilità di resistere a 2 Mortali nel Fisico]

~Abilità da dominio. Io speriamo che me la cavo.
[Possibilità di difesa istantanea – passiva dominio Guardiano liv. I]


ATTIVE


~Batosta VII. La fame che ti tormenta.
II. Allo stesso modo, con un consumo Medio, il vagabondo sarà in grado di riversare le leggi della sopravvivenza in un urlo, uno sguardo od una parola: forze che sono un'imposizione. Il bersaglio sarà infatti costretto, qualora subisse la tecnica, a rimanere immobile nella propria posizione per tutta la durata del turno successivo.
II.[Pergamena Imposizione, Comune; Consumo Medio, immobilità totale del bersaglio per 1 turno ][Natura Psionica]

~Batosta V. Lo scatto di chi ha fame.
No, Rick non è un velocista: non lo è mai stato. Non corre, lui e la sua panza un po' rilassata, non si da' da fare per muoversi più di tanto. A meno che non c'è di mezzo la vita, o una scorza di cacio: allora è capace di prodigi.
Tramite un consumo Nullo, Rick è in grado di spostarsi sul campo di battaglia ad una velocità pressochè istantanea. Si tratta di un unico scatto che, se le condizioni dell'ambiente circostante o tecniche già attive non lo impediscono, agisce come un teletrasporto a corto raggio. In accordo al consumo Nullo, comunque, la tecnica non potrà mai essere impiegata a fini difensivi, ma bensì puramente di spostamento.
[Personale; Consumo Nullo, teletrasporto a corto raggio][Natura Magica]


~Batosta II. Lui se ne fotte!
II. In maniera simile egli si comporterà con incanti magici, buffonate da saltimbanchi.
Tramite un consumo Alto, Rick sarà in grado di dissolvere completamente una tecnica di natura Magica, purchè questa abbia potenza pari od inferiore ad Alta.
II. [Personale; Consumo Alto, Dissolvenza Magiche, Potenza Alta][Natura Magica]

~Batosta II. La fame che ti tormenta.
Non è semplice gestire uno stomaco vuoto, crampi e urli dentro il tuo vero essere. E per Rick non lo è stato: fremiti, scosse, una tormenta che ti scuote il corpo - e poi si spinge nella testa, entità congiunte. L'energia, l'istinto che guida il nano ne è pregno di tali sensazioni - fame, paura. Appellandosi ad esse, egli saprà palesare queste forze basilari dell'esistenza, e in maniera concreta: fumi neri, famelici. Non tutti resistono di buon grado a questo male insito nel mondo.
I. Con un consumo Medio, ad esempio, il vagabondo sarà in grado di replicare urla e suoni nella testa di un bersaglio, i gridi ancestrali a base della vita. Parole che parlano di fame e barbarie, il più delle volte, e possono scioccare chi ne viene colpito con un danno psionico Medio. Ma Rick non è stupido, non totalmente: persino lui, quando messo alle strette, saprà impiegare tale capacità per richiamare altre voci, discorsi più articolati - o non è la forza del campare che lo fa, e lui solo il tramite?
I.[Pergamena Istigare, Iniziale; Consumo Medio, Danno Psionico Medio][Natura Psionica]

~Batosta IV. Braccia toste.
Il nano è un duro. I suoi avambracci hanno linee d’acciaio che corrono dritte, le sue spalle curve dure e inamovibili. Queste braccia possono prendere senza problemi graffi e botte.
Tanto dure che, se portate avanti, le braccia del nanaccio arriveranno a concretizzare l’impossibile: un addensamento di energia nera, fumosa, si concretizzerà davanti a Rick, un grumo scuro percorso da macchie color sangue. Tale sorta di scudo potrà assorbire colpi di potenza bassa e le sue forme e dimensioni varieranno, arrivando al più alla – scarsa – altezza del nano. Il tutto con un consumo Basso.
[Dominio Guardiano, Attiva liv. I; Consumo Basso, Difesa Bassa][Natura Magica]

~Batosta III. Questa sedia è la mia sedia!
II. E d'altra parte non si ferma a quello che tocca, la cocciutaggine del nano - non sparisce nel tempo.
Persevera, anzi, riverberandosi nel futuro con tutte le sue sozzate, il cenciume di voglia bastarda che ha: colpisce anche dopo. Il vagabondo sarà infatti in grado, tramite un consumo Basso, la rinuncia ad 1 CS e un danno Basso sia al Fisico che alla Mente, di attaccare con la sua energia oscura senza che gli effetti siano immediatamente visibili: una sfera nerastra si creerà allora, pronta a colpire a suo comando. L'energia, continuando a roteare attorno alla sua panza, si staccherà in un turno successivo a quello in cui la tecnica è stata attivata, a scelta di Rick, colpendo il bersaglio con una potenza Alta.
Senza poter dire che il nano fa cilecca, quindi.
II.[Personale; Consumo Basso, riduzione di 1 CS, Danno Basso a Mente e Fisico, Attacco Alto ritardato][Natura Magica]

~Batosta VI. La rabbia di chi ha fame.
I. Quando si ha lo stomaco vuoto è dura non essere nervosi - è dura pensare, muoversi piano. Si sarà incazzati, come Rick, con tutti ma invero con nessuno. Si ricorrerà a quanto si ha, tutto. E il nano ha dalla sua delle potenze carnali e antiche, vortici scuri e lampi scarlatti: li userà per rendere i suoi prodigi più forti quand'è disperato, più insidiosi. D'altra parte egli ricorre a forze oscure, risvegliate da chi brama anche sole briciole: e dunque pagherà lo scotto di tale potere, indebolendosi nel fisico.
Come un affamato - come chiunque prima o poi.
Tramite un consumo Nullo, Rick è in grado di rendere per 1 turno (quello in cui casta la tecnica) le proprie tecniche magiche di un grado di potenza superiore rispetto alla norma. Come contreffetto, però, egli sarà più vulnerabile a quelle fisiche, da cui dovrà difendersi come se avessero un grado di potenza superiore rispetto al normale: a prescindere dal momento di cast, infatti, nel turno in cui la tecnica viene impiegata le difese da colpi fisici del nano si vedranno indebolite.
I. [Personale; Consumo Nullo, potenziamento/depotenziamento Magiche/Fisiche, 1 turno][Natura Magica]

EDIT 1: errori di battitura [22.59]
EDIT 2: inserita la frase "Molte cose sono cambiate. E non tutte in meglio, purtroppo."; potevo farne a meno, magari, ma data la struttura della scena sembrava strano che Rick non avesse risposta. [8.26]


Edited by Lill' - 10/12/2013, 08:26
 
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view post Posted on 15/12/2013, 19:23
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5t7PvXz
Parve come il risvegliarsi di mille terrori e mille paure. Esplosione di orrori in nera oscurità tale da avvolgere e dipanare ogni altra cosa al di fuori della stessa. Molti gridarono, tanti piansero, alcuni tentarono di fuggire a tentoni.
Nessuno vi riuscì.
Nessuno fu in grado di muovere anche solo un passo, di strisciare o sgattaiolare via mentre la greve manifestazione magica dei Danzatori avvolgeva in un gelo infernale la vastità della piazza.
Priva di forma e consistenza, niente meno che tempera scura in un bicchiere di limpida acqua, essa per un attimo avvolse ogni cosa. Nera. Fredda. Densa.
Le genti di Neirusiens la chiamavano "La Danza delle Ombre", triste assonanza che i Danzatori d'Ambra avevano con Danzatori d'Ombra, quello strano fenomeno di illusione e distorsione, insieme magico e sovrannaturale. Poiché a seguito dell'oscurità -come sempre accadeva- venne poco dopo un suono basso, cupo e vibrante, come tremito della terra stessa. Non una nota unica, quanto più una modulazione attorno ad un cuore pulsante, un baricentro melodico.
E loro.

Sbattendo una volta le palpebre, Ka Shanzi si mosse appena per accostarsi al giovane ragazzo al suo fianco. Annaspò come in cerca d'aria, per poi passarsi la lingua sulle labbra.
"State calmi" tentò di rassicurare lui e tutti gli altri elfi li vicini "Se voi non farete male a loro, loro non ne faranno a voi"
O almeno...Di solito succedeva così.
Qualche attimo di paura, di tensione, di vivo panico ed infine...
"Ecco"
sospirò dopo un attimo, la voce nulla più che un sussurro sfibrato
"Dovremmo essere alla fine".
Come nebbia al mattino, l'oscurità iniziava già a dipanarsi attorno a loro, lasciando che lentamente la piazza circostante tornasse a mostrarsi in tutta la propria misurata vastità ora disseminata di figure stese o chine a terra. Sbattendo le palpebre, Ka shanzi non potè trattenere un brivido nel notare che per la maggioranza -la grande maggioranza- erano elfi. Predatori di Neiru.
Alcune parevano non muoversi.
"Lothar, và a controllare"
ordinò senza ancora trovare la forza di alzarsi. Sapeva già cosa era accaduto ad alcuni di quei poveretti la cui colpa era stata solo quella di trovarsi eccessivamente vicini al luogo dove i Danzatori d'Ambra -per qualche motivo- si erano radunati. Eppure, con lo stesso spirito di un bimbo al risveglio di un sogno, faticava ad accettare l'inequivocabile pallore dei loro volti ora privi di espressione, dei loro occhi sbarrati, lattei di una paura quasi primordiale.
Quando Lothar alzò il capo verso di lui, non si diede nemmeno il disturbo di ascoltare quanto aveva da dirgli.
"Perchè i Danzatori li hanno uccisi?" al suo fianco, un giovane Neiru pareva incredulo "Non stavano facendo nulla di male..."
Ka Shanzi scosse il capo, il suo sguardo a vagare per la piazza in cerca di qualcosa che, senza sorpresa, non trovò.
"Hanno preso le due Janhas" sibilò assottigliando gli occhi "E già che c'erano hanno pensato bene di falciare tutti coloro che si trovavano nei paraggi"
La solita azione dimostrativa. La solita manifestazione di potenza cui seguiva il muto leccarsi delle ferite di chi, infimo, non poteva che subire tali manifestazioni di crudeltà.
"Portateli via" ordinò dopo un istante il vecchio "Anhm li attende"
Volgendosi poi finalmente alla volta del giovane Saighdeas, gli porse una mano pallida e rugosa, insieme un gesto di amicizia improvvisata e comunanza.
"Molto bene, ragazzo" gli sorrise appena, malgrado l'evidente dolore nei suoi occhi "Vedo che le brache e tutto il resto hanno tenuto. Sono pochi quelli che sopravvivono indenni alla loro prima incursione dei Danzatori"
Alle sue spalle, gruppi di Predatori si assiepavano attorno ai cadaveri dei loro simili caricandoseli chi sulle spalle, chi fra le braccia, in silenzio.
"Direi che a questo punto sei pronto per fare la conoscenza del secondo vero Potere di Neirusiens. Ci farebbe comodo un arciere come te"
a fatica, per quanto prima il suo corpo si fosse dimostrato capace di ben altro, Ka Shanzi si tirò in piedi, donando un'ultimo sguardo alla piazza ora muta prima di voltarsi e cominciare ad incamminarsi per la via ciottolata.
Non molto distante, forse nelle vie del Quartiere Neiru, già voci basse e cupe si levavano al cielo in quello che in breve si palesò essere un canto funebre, debole e ruvido come i Predatori di Neiru erano, fatto di note cieche, nere come il cuore del Gigante che Attende.
Parlavano di rancore?
Di dolore?
O forse solo di Vendetta?
Heresh alzò lo sguardo verso la fanciulla al suo fianco, in parte sorpreso in parte sollevato di vederla ancora viva dopo il terribile manifestarsi dei Danzatori.
"Mia Lady" la chiamò piano, un tremito nella voce che lui stesso si vergognò di serbare "E' meglio andare, ora, prima che il dolore avvampi per queste vie"
Presto, come sempre accadeva, qualcuno avrebbe cercato vendetta per ciò che in quella piazza era appena accaduto. E poco sarebbe importato essere Neiru o Umano. La folla non avrebbe guardato in faccia a nessuno, mietendo laddove la debolezza gliel'avrebbe permesso.
Tirandosi in piedi a fatica, Heresh indicò un gruppetto di elfi che già si allontanava in silenzio.
"Sarà meglio seguirli. Con loro non correremo rischi"


-O-

Immobile, il volto celato da un'ombra proiettata da una candela danzante, Edwin accostò il volto alla finestra della stanza. Già in lontananza, i primi fuochi si levavano dalle strade di Neirusiens, collegando in un cammino tutto fiammelle, candele e lumi il tragitto che andava dalla piazza fino al Lago. Erano stati i Predatori ad accendere uno per uno, uno dopo l'altro, i bagliori di quel camminamento che secondo le loro tradizioni funebri aveva la funzione di guidare le anime dei defunti verso il Bacino Corrotto, il luogo ove le anime di tutti gli elfi di Neiru dimoravano in attesa di reincarnarsi. Un rituale suggestivo e toccante, aveva fin dal principio dovuto riconoscere Edwin, sebbene questa volta presentasse una variante alquanto preoccupante.
Fu in quella che dalla porta fece capolino un ometto alquanto basso e tarchiato, piccoli baffi rossicci a spuntare da sotto un naso piccolo e rotondetto.
"Signore, c'è un problema per le strade di Neirusiens" ansimò più per la tensione che per un reale affanno "I Predatori stanno accendendo lumi per tutta la città, anche nei quartieri interni e attorno alla Torre del Fato"
Senza muovere un muscolo, Edwin si limitò ad occhieggiare ancora fuori dalla finestra, il tiepido bagliore di una città ora non più avvolta nelle tenebre ma rischiarata dai tremolanti barlumi di mille e più fiammelle ad addolcire i suoi tratti irrigiditi.
"Quanti morti?"
mormorò monocorde. L'altro scosse il capo.
"All'arrivo dei nostri i Predatori avevano già sgomberato la piazza, non abbiamo idea di quanti siano caduti..." "Quanti umani?" "Pochi, fortunatamente. Pare che gli effetti del potere dei Danzatori siano inferiori sulla nostra razza"
Edwin annuì una volta, sovrappensiero, poi socchiuse le palpebre.
"Puoi andare"
ordinò all'altro che malgrado ciò -pur dando chiaramente l'impressione di voler ubbidire al comando- non si mosse.
"Signore..." si umettò le labbra "Gli elfi parlano di rapimento di una di loro"
esitò
"Di un'elfa"
La parola, per quanto semplice e infima se paragonata a molte, parve calare nella stanza come una coltre di nera caligine, fluido tremore della candela che, come colta da un gelo improvviso, tempestò tutt'attorno luci spettrali.
Per la prima volta da che la conversazione era cominciata, qualcosa nello sguardo di Edwin si mosse improvvisamente, costringendolo a volgere il capo in direzione dell'uomo sulla porta. SI accigliò, come notando solo in quell'attimo la sua esistenza.
"Non ricordo di aver ordinato alcun rapimento" asserì con calma, gli occhi gelidi fissi in quelli slavati dell'altro "Men che meno il rapimento di un'elfa."
"Loro parlano di una fanciulla e sue madre, note fra la loro gente per alcune qualità particolari..."
l'altro lo zittì alzando una mano
"Non ho mai manifestato alcun interesse per i Predatori, e se la smettessero di paventare un'alluvione ad ogni cambio di marea, lo capirebbero anche loro."
E con questo non ho più nulla da dire a riguardo.
Edwin non disse nulla, ma il messaggio fu più che chiaro all'altro che, con un mezzo inchino fece per uscire dalla porta. Si bloccò per un attimo.
Questo non sarà perdonato.
Questo non le sarà perdonato.
Ne è consapevole?

Nemmeno l'altro disse nulla ma, con un mezzo sospiro, l'ex capo dei Crostascura annuì una volta, le sempre più vive fiammelle di Neirusiens a rischiarare il suo volto ora incredibilmente vecchio.

-O-

La taverna brulicava di facce cupe e ingrigite. Pochi parlavano. Pochi conversavano. Solo il consueto Toc dei boccali sulle nude tavole di legno addobbate a tavolate da mensa rompeva lo stagnare di quel silenzio in parte funereo, in parte rancoroso.
Rare erano le giornate in cui l'umore di Neirusiens era tanto nero da svuotare le bocche e le tasche degli avventori, ma Will le ricordava tutte, poiché ognuna faceva rima con Danzatori, la cui sola nomea pareva inondare d'ombra il cuore di tutti. La paura era tale che nessuno, malgrado il clima d'odio generale, si lasciava andare ad insulti o espressioni colleriche. Casomai anche i muri avessero orecchie e vesti color della notte...
Seduto al bancone, Olsen chiamò con un cenno l'oste, facendogli cenno di riempire il suo bicchiere ora miseramente vuoto. Si passò poi una mano sul viso, ricordando improvvisamente le poche ore di sonno che si era concesso negli ultimi giorni per seguire da vicino un carico particolarmente prezioso diretto a sud, verso i Quattro Regni.
Dannato lavoro. E pensare che c'era stato un tempo in cui aveva pensato di fare il panettiere. Il caro, vecchio, panettiere che tutti sanno essere onesto e volenteroso, tranne quando allunga la farina con segatura e polvere....
Almeno così avrebbe avuto una vita semplice. Un'esistenza pacifica -con tanto di pancia annessa- e, perchè no, una moglie.
Con un unico movimento trangugiò l'intruglio che Will gli aveva cupamente versato.
E poi avrebbe evitato incontri come quelli di oggi.
Suo malgrado non potè trattenere un sorriso.
Rick.
Un nome, una garanzia di guai. Chissà se quel nano sarebbe vissuto abbastanza da raggiungerlo lì, alla Venere Nera....



Ed eccoci qui ^_^
Al manifestarsi dei tre Predatori, la piazza viene inondata dall'oscurità, segnale di una manifestazione arcana senza precedenti. Quando la magia si esaurisce, i tre sono spariti, e con loro Leanne, Aris, Hua, Maria, Jeanne e Kel. Per coloro che hanno studiato la magia e le sue manifestazioni, è chiaro che si sia trattato di un teletrasporto. Dalla reazione di Ka Shanzi ed Heresh, è evidente che non è la prima volta che i Danzatori utilizzano questo tipo di potere, sebbene i suoi effetti siano alquanto disastrosi: molti Predatori ed alcuni umani hanno infatti perduto la vita in preda ad un terrore tanto vivido quanto irresistibile.

Lomerin: L'attacco dei predatori vale come un'aura passiva di paura che infliggerà il ragazzo per alcuni istanti per poi dissolversi gradualmente. A te libera interpretazione. Ka Shanzi invita subito Lomerin a seguirlo insieme agli altri Predatori e i loro caduti verso il Lago, facendogli intendere di considerarlo "uno di loro" per la stima maturata nei brevi attimi di conoscenza. Mi servirebbe sapere se la tua intenzione è seguire o meno il gruppo ^__^ Ovviamente Lomerin è libero di tempestare Ka Shanzi di domande prima di scegliere.

Alicia: Anche per te, l'attacco dei predatori vale come un'aura passiva di paura che infliggerà la fanciulla per alcuni istanti per poi dissolversi gradualmente. Il Predatore sopravvissuto all'attacco invita Alicia a seguire il gruppo di Ka Shanzi verso il porto. Malgrado le sue iniziali intenzioni, ora l'elfo pare interessato all'incolumità della ragazza e mosso da una genuina volontà di proteggerla dalle oramai prossime reazioni di collera degli elfi conseguenti il massacro.
Anche per te, avrei bisogno di sapere se Alicia è intenzionata a seguire i Predatori o meno. Ovviamente, è concesso fare tutte le domande che si desidera prima e dopo la scelta circa gli avvenimenti etc.

Kel: Più per casualità che altro, Kel si è ritrovato coinvolto nella magia di teletrasporto dei Danzatori. La magia provoca dolori lancinanti sul suo corpo equiparabili ad essere trafitto da mille e più aghi roventi ovunque. Lo svenimento è immediato. Al risveglio, Kel si ritroverà in una nuda cella di pietra molto ampia ed affollata di individui chiaramente a digiuno da giorni. Le sue armi gli sono state portate via. Destandosi, Kel scoprirà che due individui stanno rudemente frugando nelle sue vesti alla ricerca di oggetti da rubare. Non sono particolarmente forti (Grado G), ma paiono disposti a tutto pur di trovare qualcosa da "barattare" con le guardie per uscire da quella cella.
Chiaramente, Kel è stato sbattuto in una prigione nei sotterranei di Neirusiens con una moltitudine di criminali e indesiderati.

Rick: La tua scena continua. Scampato all'imboscata nel quartiere Neiru, Rick si ritrova a vagare libero per i quartieri di Neirusiens. Il suo amico, come da parola, lo aspetta alla Taverna (La Venere Nera). Nel locale vige un'atmosfera affatto rilassata a causa delle recenti faccende dei Danzatori. Sconsiglio vivamente di aggirarsi a lungo per i quartieri ora sempre più illuminati da fiammelle e candele poste dagli Elfi.

Maria-Hua-Jeanne: Da qui inizia la tua "missione segreta". Tutto ciò che atterrà questo turno - e forse i futuri- avverranno via mp ^__^ A breve, dunque, il mio mp.

7 Giorni per confronto e postare.
 
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.Azazel
view post Posted on 28/12/2013, 13:32




I Primogeniti
Onde di Fumo, Atto III
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Fosse stato possibile urlare, l'avrebbe fatto.
Una sensazione di aghi roventi che perforavano pelle, carne, ossa e anima. Una oscurità così densa da sembrare liquida e palpabile, il mondo parve caduto in una notte perenne priva di cielo, priva di stelle, un buio che avviluppava tutto e tutti nel suo abbraccio tetro e silenzioso.
Riaprì gli occhi, destandosi da un torpore innaturale e terrificante: aveva sicuramente perso i sensi perché si trovava in una cella con molte altre persone e, obbiettivamente, del trasporto sino a lì non aveva memoria. Se ne stava disteso mentre due individui frugavano bruscamente fra le sue vesti alla ricerca di qualche oggetto di valore o qualche moneta d'oro nascosta sotto il mantello.
Non si erano ancora accorti del suo risveglio.
Con uno scatto alzò il busto da terra mentre la mancina afferrava in una possente morsa il collo dell'individuo alla sua sinistra e il braccio destro rifilava una gomitata in pieno volto all'uomo sull'altro lato.

« Toccatemi ancora e morirete, garantito. Ora ditemi dove ci troviamo e non rispondete "in una cella" perché ci arrivo anche da solo e finirete solamente per farmi innervosire ulteriormente. »
La morsa al collo si fece più intensa ad ogni parola emessa mentre si levava in piedi.
Non vi furono risposte per diversi istanti, la paura e lo sgomento avevano preso il sopravvento sulla lingua e da quel che sembrava la presa del goryano non facilitava il compito di instaurare un dialogo costruttivo.

« Sei nei sotterranei della Torre del Fato. E con tutto il casino che stai facendo con questi due idioti, presto arriveranno i padroni di casa. Ti ho visto, poco fa, in piazza. Uno spettacolo niente male. »
Un ragazzo, a pochi passi di distanza, rispose per l'uomo sotto le sue grinfie. Dall'aspetto tutt'altro che amichevole, era magro e slanciato e i capelli color pece erano tutti arruffati e sporchi.
Lasciò la presa dal collo dell'uomo facendolo cadere a terra come un sacco di patate poi si voltò verso il ragazzo, probabilmente unica fonte di informazioni e di conseguenza soggetto da tenere d'occhio.

« Devo uscire di qui. E soprattutto recuperare i miei averi. »
Non riuscì a celare la rabbia che provava: sin da quando si era risvegliato aveva notato l'assenza delle sue armi e del suo equipaggiamento ma la cosa che doveva a tutti i costi ritrovare era Neracciaio.
L'altra metà della sua anima.
Il ragazzo sorrise appena dopo aver ascoltato le sue parole.

« L'unico modo per uscire da qui è offrirsi volontari come reclute per i Danzatori d'Ambra. Ma non credo che ti convenga provarci: le prove di selezione non prevedono "fallimento" e "sopravvivere" nella stessa frase. Però sei fortunato. Presto arriveranno per la selezione, se sei ancora dell'idea ti conviene fare il tuo nome in fretta: tutti coloro che sono rinchiusi qui dentro faranno presto la fine del topo. »
Incrementare le fila dei Danzatori non era proprio un suo desiderio o un suo obiettivo ma se voleva significare il ritrovamento della sua spada allora avrebbe mandato giù quel boccone amaro e sarebbe andato avanti, a testa bassa, distruggendo qualsiasi ostacolo gli si fosse parato davanti.

« In cosa consistono le prove? »
Domandò senza timore e incuriosito dalle suddette prove che come superamento davano la possibilità di entrar a far parte del corpo d'élite di Neirusiens. Dovette ammettere a sé stesso che era incuriosito da tutto ciò: non aveva mai visto delle guardie del genere e in grado di controllare le ombre in quella maniera, magari sarebbe riuscito ad apprenderne i segreti.

« Solo nel rimanere in vita il più a lungo possibile, mi dicono. »
Dal corridoio comparirono due figure ammantate di nero, Kel si girò verso di loro.
La prima era un Danzatore d'Ambra mentre la seconda sembrava una carica politica, o perlomeno così sembrava poiché era vestito di tutto punto: osservò gli individui presenti nella cella, srotolaò una lunga pergamena e si schiarì la voce.
Ci fu una serie di nomi lunga e noiosa quanto il modo di pronunciarla da parte dell'ometto.

« Adam Leigh. »
Il ragazzo con cui parlò fino a quel momento sbatté le palpebre in risposta. Evidentemente era quello il suo nome.

« E tu. »
Esclamò il funzionario verso Kel.
« Su tutti voi pendono accuse molto gravi per le quali la pena prevista è l'impiccagione.
Edwin e la Cerchia di Diamante vi offrono però la possibilità di sfuggire a questo infausto destino arruolandovi nelle fila dei Danzatori d'ambra e militando sotto la bandiera di Neirusiens per difendere i suoi territori e le sue genti.
C'è qualche volontario? Fatevi avanti.
»
Due individui si fecero avanti, nei loro occhi e nelle ginocchia tremolanti era leggibile un terrore palpabile vista la presenza silenziosa e misteriosa del Danzatore.
Anche Kel si fece avanti, anche lui era intimorito dalla presenza dell'essere sotto l'armatura ma nonostante tutto riuscì a nasconderlo molto meglio rispetto ai due che l'avevano preceduto. Non aprì bocca sul fatto che non aveva violato alcuna legge, s'era ritrovato solamente nel posto sbagliato al momento sbagliato, sapeva che sarebbero state parole buttate al vento.

« Il tuo nome? »
Sogghignando il burocrate prese dal taschino una piuma d'oca, pronto a scrivere il nome di Kel.

« Kel'Thuzak. E rivoglio indietro ciò che mi è stato tolto. »
La sua lingua era peggio di una lama: irrefrenabile, e si lasciava quasi sempre scappare qualche parola di troppo in situazioni poco avvezze al dialogo.
Il burocrate non ascoltò le parole dello stregone, si limitò solamente a riportare il nome sul foglio di pergamena.
Adam affiancò Kel e anche lui scelse di calarsi nella folle impresa di superare le prove per diventare Danzatore.

« Molto bene. Per i volontari, che la fortuna sia con voi.
Per tutti gli altri, che la vostra anima possa trovare conforto laddove andrete.
»
Il Danzatore alle sue spalle alzò una mano e da essa spirali di fumo nero vennero generate e in men che non si dica occuparono tutta la stanza lasciando solo i partecipanti e facendo svanire nel nulla tutti gli altri prigionieri.
La cella della prigione, ora, era aperta.
Adam mise la testa fuori, Kel uscì direttamente.
Alla loro destra vi era un gruppo di persone che scappavano terrorizzati poco dopo, in lontananza, un ruggito ferale in grado di far raggelare il sangue nelle vene. Ora era più chiaro da cosa stesse scappando tutta quella gente.

« Dico che se questa è una prova allora bisogna affrontarla. »
Iniziò a camminare in direzione del pericolo. Adam lo seguì per nulla intimorito, tutt'altro: pareva divertito dall'intera situazione. Dopo una manciata di minuti avvertì la presenza ostile, non ancora visibile, di una creatura fuori dal comune e decisamente pericolosa ma, fortunatamente, poteva tenere la guardia abbassata visto che non era proprio nelle immediate vicinanze. Il corridoio che stavano percorrendo era pieno di porte e Adam ne aprì due con una disinvoltura incredibile: quasi sicuramente era un ladruncolo o uno scassinatore e per questo era giustificata la sua presenza nella cella.

« Chissà mai che non ci siano le nostre armi quà sotto »
Sarebbe stato bello, di certo però non avrebbe trovato Neracciaio.

« Ne dubito, non avverto la presenza della mia spada, però tentare non costa nulla. Come fai ad essere così calmo in una situazione del genere? »

« Perché non dovrei esserlo? Prima ero destinato a morte certa. Ora solo ad una morte presunta... la sorte mi è favorevole. »
S'infilò in una stanza e invitò Kel a seguirlo. La stanza doveva venir utilizzata probabilmente dalle guardie, come dormitorio o piccolo alloggio. "Ad ognuno il suo" fu il commento di Adam alla vista dei bauli presenti.
Mentre Kel apriva i bauli sul suo lato, la creatura si stava facendo sempre più vicina e l'incontro era oramai imminente.
L'unica cosa degna di essere rubata era un pugnale da esposizione, molto bello ma difficilmente utile per combattere, nonostante tutto lo prese e se lo nascose sotto il mantello.

« Tra poco avremo visite. Preparati a combattere, spero solo che la sorte si riveli favorevole ad entrambi. Se vogliono una prova del mio potere, allora li accontenterò. »
Si rimise in piedi e si voltò verso la porta: era pronto a dare il benvenuto a qualsiasi cosa fosse penetrata nella stanza.
Una figura nera, piuttosto grande, si ferma dinanzi lo stipite della porta.
Era una pantera.
Ma non una normale, era grande almeno il doppio di una comune.

« Accontenta me...come fronteggiamo questa belva? »

« Con il fuoco. »
Concentrò le proprie energie nella mano destra: fiamme sprizzarono dall'arto, avvolgendolo in una morsa di fuoco magico.
Si lanciò verso la belva la quale interruppe il proprio balzò verso Adam, dandogli il tempo di allontanarsi, distratta dal fuoco generato dallo stregone.
La mano chiusa a pugno e intrisa dell'elemento prescelto colpì in pieno il fianco della belva: l'impatto fu violento e la bestia s'infuriò come non mai, tant'è che cercò di assestare un morso verso il busto di Kel. Se fosse andato a segno sarebbe stato in grado di squarciare la pelle e farlo morire dissanguato, poco ma sicuro. Con una fulminea capriola all'indietro riuscì ad evitare le pericolose e abnormi zanne nemiche. Allargò le braccia come volesse stringere in un abbraccio il mondo intero.

« Viribus deficio. »
Il tono di voce parve quello di un giudice nel momento della sentenza. Se fosse riuscito a contaminare l'organismo della creatura con la sua magia sarebbero stati a cavallo. Infine mosse la mano destra in avanti disegnando una linea immaginaria nell'etere attraverso un movimento simile a quello utilizzato per scacciare via un moscerino fastidioso. Una spinta di pura magia avrebbe colpito la bestia e l'avrebbe scagliata contro la parete della stanza, danneggiandola e quasi sicuramente stordendola.
La pantera incassò il primo colpo ma resistette alla raffica telecinetica puntando le granitiche unghie nel pavimento della stanza, nullificando quindi l'onda d'urto. Adam scelse il momento migliore per agire: con la frusta trovata in uno dei bauli vibrò un colpo in direzione del muso della bestia, accecandola per qualche istante. Il risultato fu il caos universale: la bestia si dimenò come fosse posseduta, letti vennero lanciati lontano, mensole e mobili scagliati via e buttati a terra, pure Adam nel pandemonio generale venne sbattuto contro la parete mentre una credenza colpì alla spalla sinistra Kel, totalmente incapace di difendersi visto il trambusto. Le uniche fonti di luce, un paio di lanterne, caddero a terra e con esse scese il buio più totale su tutta la stanza.
Già era difficile combattere contro una creatura dalle dimensioni doppie rispetto al normale, figurarsi farlo nella più completa oscurità.

« Attento! Sta venendo dalla tua parte! »
Prima che il mondo piombasse nella notte, Adam riuscì ad avvertire Kel del pericolo imminente. Attivò ancora una volta le sue capacità sensoriali percependo nuovamente la bestia nella stanza, poi si ricordò del pugnale ritrovato in uno dei bauli: la mano destra scivolò sotto il mantello andando ad afferrare l'impugnatura dell'arma. Avrebbe atteso immobile, cercando di apparire indifeso e invogliando la bestia ad avvicinarsi e ad attaccare mentre invece si sarebbe lanciata verso una tragica fine.
La tattica funzionò.
In un lampo il braccio destro scattò in avanti e con esso il pugnale ben saldo nella presa della mano: avvertì solo una pioggia calda bagnargli il viso e il rantolo della bestia mentre si strozzava nel suo stesso sangue.
Scioccamente pensò di esserne uscito vincitore ma la fiera riuscì ad assestare un ultimo colpo prima di dissolversi in un fumo nero: il braccio armato venne azzannato e sangue caldo fuoriuscì copioso.
Lasciò la presa sul pugnale, il quale oramai era conficcato nel nulla, fece due passi indietro, tremando, poi cadde all'indietro.
Cosa diavolo gli stava accadendo?
Il dolore al braccio era forte ma era normale visto le dimensioni delle zanne della pantera gigante ma quello che lo preoccupava e lo terrorizzava al contempo era la sensazione di gelo che si stava impossessando di lui.

« Non mi piace. Ha un colore strano. Resta qui. Cerco del'acqua per pulire la ferita. »
Non ebbe le forze di rispondere e sinceramente manco avrebbe trovato le parole, non aveva mai provato nulla del genere, sembrava stesse vivendo in un sogno, tutti i sensi erano rallentati, pigri.
Anzi era un incubo.
Osservò la figura magra e sfocata di Adam uscire dalla stanza correndo. Poi l'oscurità parve farsi viva dando forma a tentacoli che si avvicinavano a lui cercando di ghermirlo.
Non capiva.
Che fosse tutto frutto della sua mente, o qualcosa di incredibile stava accadendo in quella stanza?
Nel frattempo le ombre danzavano.


Kel'Thuzak
il Mezzanima

CS 4 ~ Destrezza 2 - Intelligenza 2

~ Basso 5% ~ Medio 10% ~ Alto 20% ~ Critico 40% ~

Energia: 90 - 10 - 10 - 20 - 10 - 10 = 30%
Status Fisico: danno Basso braccio dx. Danno Medio braccio sx.
Status Psicologico: Indenne.

Equipaggiamento in uso

Neracciaio__Dispersa.
Silentium__Dispersa. [º º º º º]


Abilità in uso

arcanus__L'anima corrotta di Kel, scissa in due tra spada e corpo, ha fatto sì che Neracciaio acquisisse un potere in grado di distinguerla dal resto delle armi comuni: il potere della sua anima racchiusa in questa spada è in grado bruciare e ustionare. L'arma infliggerà danno come il riflesso della propria anima tant'è che oltre al danno fisico arrecherà un danno legato all'elemento Fuoco, non pregiudicherà in alcun modo la regolamentazione sugli attacchi fisici e le Capacità Straordinarie; il danno totale inflitto dagli attacchi fisici non cambierà in alcun modo, ne verrà solo caratterizzata l'entità aggiungendovi proprietà elementali. L’arma, come una creatura viva e senziente, si plasmerà sulla figura del possessore assecondando la sua indole, vettore della sua anima. Da questo momento in poi essa vibrerà di energia propria, liberando una malia psionica di tipo passivo, sottoforma di terrore e paura, che influenzerà chiunque sarà abbastanza vicino da percepirla. Inoltre Kel, raggiunto il 10% delle energie, non sverrà, come invece potrebbe succedere a qualsiasi altro membro di un'altra razza. Ciò però non significa che non sarà stanco raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%.
{Passiva Lvl.1 e 2 Artigiano + Razziale Umana}

tutum iter__La tecnica ha natura magica. L'abilità non ha potenza e concede i propri benefici passivamente, sempre funzionanti nel corso di una giocata. Il personaggio diviene in grado di camminare e reggersi su qualsiasi superficie, sia essa avversa a lui e alla gravità (come una parete o un soffitto), sia essa liquida (acqua, ad esempio) o aeriforme (camminare sull'aria). Non sarà affetto in alcuna maniera da correnti d'aria o sbilanciato da onde nell'acqua, e potrà camminare tanto agilmente nell'aria quanto lo farebbe sulla terraferma, il tutto non alterando in alcuna maniera la sua agilità o la velocità con la quale si muove normalmente - rendendolo di fatto né più veloce né più lento del solito. {Pergamena Sostegno - Ladro}

mysticus__Il prescelto dei guerrieri stregoni di Kolozar Dum è stato dotato inconsapevolmente, da quest'ultimi, del dono della magia, ma non magia comune bensì qualcosa di molto più potente e in grado di far impallidire i migliori maghi esistenti. Poter contare ogniqualvolta su una fonte di potere sempre maggiore rispetto a chi si ha di fronte è una capacità che molti vorrebbero e che Kel possiede dopo essere tornato alla vita. In termini di gioco la tecnica ha natura Magica e avrà sempre effetto. Ogni volta che il proprio avversario utilizza una tecnica di natura magica, per la durata di quel turno Kel guadagna 2 CS in Intelligenza.
{Pergamena Discendenza Arcana - Mago}

Attive Utilizzate

oculus vitae__La tecnica è un auspex di natura magica, consumo Medio. Tramite questa tecnica le capacità di percezione di Kel aumentano incredibilmente rendendolo un vero e proprio esperto in magia sensoriale in grado di percepire ogni sorta di aura, alleate o meno anche se queste si nascondono in posti lontanissimi da dove è Kel. La tecnica consiste in un auspex passivo dispiegato in un area incredibilmente vasta. Le applicazioni di questo potere sono innumerevoli, e trovano utilità specialmente nel corso di missioni complesse, di individuazione o inseguimento. Tale capacità percettiva può essere interpretata come un semplice potere di auspex, ma anche come un'emanazione energetica o evocazione che farà da guida al caster verso un suo obiettivo designato - in questi ultimi casi, la creatura o l'emanazione non potrà essere né attaccata né dissolta e svanirà dopo aver indicato al caster il suo bersaglio. La guida o la capacità di auspex permane per quattro turni compreso quello di attivazione.
{Abilità Personale - Consumo Medio - Utilizzata due volte}

vetus flammas__ La tecnica ha natura Magica, consumo Medio. Lo stregone sarà in grado di circondare una parte del proprio corpo, l'intero corpo o il proprio equipaggiamento e le proprie armi con l'elemento che controlla, il fuoco, nonchè manifestazione elementale della sua anima corrotta. Questa tecnica non può essere castata nel momento della difesa per danneggiare il nemico che attacca. In compenso, nel momento in cui Kel sferra un attacco con un'arma o una parte del proprio corpo ricoperta dall'elemento, questo conterà come una tecnica di potenza Bassa che infligge un danno Alto compatibile con l'elemento del fuoco.
{Pergamena Fusione Elementale - Mago}

viribus deficio__ La tecnica ha natura Magica, consumo Alto. Kel è in grado di lanciare la tecnica con l'intenzione di danneggiare e corrompere la parte interna del corpo del proprio nemico. Il corpo è lo specchio dell'anima e cercare di danneggiare il fisico del nemico equivale a danneggiargli pure l'anima. La corruzione magica, qualora non ci si difendesse, sarà in grado di mutare il colore e la consistenza del sangue dell'avversario trasformandolo in un liquido molto denso e putrescente, scuro e oltre a questi danni è in grado di infliggere anche una forte sensazione di confusione e debolezza alla mente del proprio nemico. Il danno risulta suddiviso in un Medio alla mente e un Medio al corpo del bersaglio.
{Pergamena Corruzione Magica - Mago}

dominatus__ La tecnica ha natura Magica e consumo Medio. Kel è in grado di scagliare una scarica telecinetica verso un oggetto o verso il proprio avversario, allo scopo di scagliarli o di attirarli verso di sé. La tecnica infligge danni da impatto o da contatto con l'oggetto scagliato. A seconda delle situazione è possibile utilizzare questa tecnica anche con una valenza offensiva o difensiva.
{Pergamena Raffica Telecinetica - Mago}

Note: in Confronto avevo sbagliato un paio di calcoli, purtroppo ho solo il 30% di energie, non il 40% ç__ç



 
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Alb†raum
view post Posted on 28/12/2013, 20:59






Maria



Quando aprì gli occhi un bagliore le penetrò nelle pupille come uno stiletto affilato, costringendola a stringere gli occhi. Era sdraiata su un pavimento duro e irregolare che le faceva male a tutte le ossa. Si rialzò appoggiandosi con una mano a terra mentre con l'altra si strofinò le palpebre che le pizzicavano. Era in una stanza immersa nella penombra, illuminata solamente dalla luce di una torcia che si insinuava dentro lo spioncino di uno spesso portone metallico. Quando i suoi occhi si abituarono al buio distinse accanto a sé le sagome di Jeanne e Hua che si sollevavano pigramente guardandosi attorno con occhi stanchi e confusi, le orecchie animali piegate sul capo che si sollevavano a scatti. Maria si passò una mano sulla fronte. Come erano finite in questo posto? Cosa era successo nel mercato? I brividi gelidi che le corsero lungo la schiena la aiutarono a ritrovare la lucidità.

«Siamo state arrestate, a quanto pare...»

Mormorò, lisciandosi la gonna con le mani. Arricciò il naso: il tessuto si era inumidito e i pizzi tutti stropicciati. Avrebbe dovuto procurarsi qualcosa di decente da mettersi il prima possibile.

«Come state voi due?»

Jeanne si mise a sedere a terra soffocando uno sbadiglio.

«Poteva andare peggio.»

Biascicò, poggiando la schiena contro una parete.

«Ho freddo.»

Si lamentò invece Hua, tremando. Jeanne la prese fra le proprie braccia e l'avvolse fra le folte code. La gatta le si accoccolò con il capo sul grembo e socchiuse gli occhi. A Maria sembrò per un istante che stesse facendo le fusa.

«Mi devo scusare con lei per quello che è accaduto in piazza, milady.»

Mormorò Jeanne, accarezzando sul capo la gatta.

«Non mi sarei dovuta lasciare prendere dalla foga. È colpa mia se ora siamo qui.»

Maria le sorrise dolcemente. Probabilmente era vero, ma non voleva che la cosa le pesasse. Era stata lei a ordinarle di respingere gli assalitori e avrebbe dovuto immaginare che le sue spade non sarebbero bastate.

«Non preoccuparti, cara. Sono certa che tutto si risolverà presto.»

In un angolo della cella notò altre due sagome abbracciate. Maria capì di chi si trattasse prima ancora di notare la sagoma delle corna che crescevano sul capo della figura più piccola. Socchiuse le palpebre, soddisfatta. Forse avrebbe dovuto ringraziare Jeanne, dopotutto. Una cella fredda e buia non era il luogo più piacevole in cui parlare, ma sicuramente era molto più tranquillo di una piazza gremita di pazzi.

«Ci sono anche le nostre amichette, vedo.»

La piccola e la donna tremavano stringendosi l'una all'altra. Maria gesticolò con due dita come se stesse scostando un velo. Una fessura non più grande di una manica si aprì a mezz'aria e la Strega vi infilò dentro una mano per trarne fuori un'ampia trapunta candida. Quando l'ultimo lembo fu uscito dal portale, questo si richiuse senza emettere un suono. Dopo la morte dei suoi genitori la Strega aveva impiegato quasi una settimana per evocare l'abito che ora indossava; adesso richiamare oggetti non era che questione di qualche istante.

«Se non vi coprite rischiate di prendervi un brutto raffreddore. Su, prendete. E' calda e morbida.»

Porse alla ragazza la coperta. Quella la guardò negli occhi per qualche istante con la fronte corrugata, dubbiosa, poi la prese con uno strano sorriso sulle labbra. Maria strinse la mano a pugno. Avrebbe voluto chiederle immediatamente cosa sapesse sulle Ombre, ma sapeva che qualsiasi domanda sarebbe caduta a vuoto se l'avesse fatta in quel momento. Doveva rimanere fredda per un po', solo per un altro po', guadagnarsi parte della sua fiducia. Doveva trovare un altro argomento di cui parlare. Il braccialetto...

«Mi sovviene che durante la confusione nella piazza devo aver perso un mio piccolo oggetto.»

Maria sin dicò il polso da cui era stato sfilato il gioiello.

«Ne sai qualcosa, Leanne?»

La bambina sollevò gli occhi su di lei, un sorriso furbesco sulle labbra, e sollevò le mani dalla coperta come per mostrarle che non ce lo aveva.
Che bimba vivace”. Alla strega scappò una risatina nervosa. Avrebbe tanto voluto torcerle le dita fino a che non le avesse restituito il braccialetto, ma in quel momento non era proprio il caso di inimicarsi sua madre, e poi la piccola aveva dato mostra di avere capacità ben superiori a quelle dei suoi coetanei nella piazza, riuscendo a derubarla senza alcun problema. Non fosse mai che anche lei sapesse qualcosa sulle Ombre.

«Su, Leanne. Il gioco è bello quando dura poco. La signorina vorrebbe indietro le sue cose.»

La bambina guardò dispiaciuta la madre per qualche istante prima di tirare fuori dalle proprie maniche il gioiello. Lo osservò per un istante con un bagliore di tristezza negli occhi, poi lo porse alla Strega. La debole luce che entrava dentro la stanza, mostrando i contorni del braccialetto. Questo era perfettamente identico a quello che Maria aveva perduto, solo di un colore diverso.

«Leanne! Ridalle subito la sua collana!»

La sgridò la donna, ma Maria si limitò a sorridere. Forse la bambina voleva solo fare pace regalandole il proprio bracciale. La Strega lo esaminò comunque per un istante con sospetto dopo averlo preso. Era già stata ingannata una volta, voleva evitare di essere colta in fallo una seconda.

«Credo di non sapere ancora il suo nome, signorina. O signora? Non so nemmeno se lei è veramente la madre di questa deliziosa fanciulla.»

Ridacchiò Maria mettendosi al polso il braccialetto.

«Lei sa da chi siamo stati qui e per quale motivo? Non credo di essere molto informata su queste cose.»

La donna scosse la testa con un sospiro.

«Spiacente, non ho la minima idea del perchè i Danzatori ci abbiano portato qui. Io e mia figlia siamo giunte da poco tempo a Neirusiens e, a parte destare l'interesse degli abitanti per il semplice fatto di non essere del posto non abbiamo mai avuto problemi con la legge, le guardie o chissà chi.»

Maria annuì lievemente. Evasiva, la ragazza. Perché non le voleva dire il nome? E poi quel tono formale. Non si fidava. La Strega distolse lo sguardo per stringere le labbra, irritata.

«E voi? Perchè siete finite qui con noi? A parte spaventare a morte un paio di imbecilli non mi sembra abbiate fatto alcunchè.»

Maria lanciò un'occhiata a Jeanne, che sorrise nervosamente. No, non si erano limitate a spaventare a morte un paio di imbecilli: avevano attirato su di loro le attenzioni di mezza città di idioti.

«Me lo chiedo anch'io, onestamente. Neirusiens è una città così poco amichevole. Da quando siamo arrivate non abbiamo incontrato altro che pazzi, assassini, ladri...»

Scoccò uno sguardo cupo a Leanne, poi si mise a ridere.

«Su, su, scherzavo. E' che mi avete veramente sorpreso con quel trucco. Dove lo ha imparato una bambina della tua età?»

Posò una mano sulla propria guancia guardando la donna a fianco della bambina.

«Forse dalla mamma?»

Ridacchiò.

«Se avevate bisogno di aiuto bastava chiedere. Io sono molto generosa con i bisognosi.»

Lanciò a Leanne una copia del proprio braccialetto. Lei non la degnò di uno sguardo.

«Non siamo miserabili. Leanne voleva solo scusarsi per essersi presa gioco di voi, signorina, offrendole qualcosa di suo in segno d'amicizia.»

Replicò la ragazza con un sorriso sdegnoso. Maria scosse la testa. Orgogliose, a quanto pareva. “Voi siete delle miserabili, piccola mia. Pericolose, utili. Ma miserabili.”.
In quel momento il portone metallico si aprì. La luce invase completamente la cella, costringendo la Strega e le due shikigami a ripararsi gli occhi con un braccio per non rimanere abbagliate. Un uomo tarchiato fece capolino dalla porta a passi goffi e pesanti. Sotto il suo enorme naso simile a una patata, un paio di baffi tentavano di restituire qualche parvenza di eleganza a un volto privo di qualsiasi grazia.

«Buongiorno a voi. Mi scuso per la collocazione alquanto sgradita. E' nostra abitudine riservare un trattamento migliore alle donne ma viste le circostanze ciò è stato impossibile.»

Maria strinse le labbra.

«Buongiorno a lei.»

Rispose, fredda. Accarezzò per un istante l'idea di togliere di mezzo quell'ometto, ma l'oscurità le impediva di vedere se lui avesse armi a portata di mano. Oltretutto la fuga dai sotterranei sarebbe stata impossibile. Si sforzò quindi di rivolgergli un sorriso.

«Io sono Lady Maria Violetta Mircalla Himmelherrin von Bucuresti, signora della Fortezza Oriente. Posso avere il piacere di sapere il suo nome?»



Jeanne





«Il mio nome è Edwin, e sono il signore di Neirusiens.»

L'uomo di fronte a loro fece un mezzo inchino. I suoi capelli ingrigiti dall'età si scompigliarono un poco per quel gesto. Mc Gregor, così aveva detto di chiamarsi la persona che era venuta a prelevarle dai sotterranei, le aveva portate in un ampio salone che aveva alle pareti scaffali scaffali ricolmi di libri. Non si riusciva a vedere fin dove arrivassero: il soffitto era inghiottito dalla penombra, appena illuminato dalle lampade a olio posate sui tavoli che le poche persone nella biblioteca usavano per leggere. Alcune di esse avevano alzato lo sguardo su di loro quando le avevano viste arrivare. L'unica nota positiva era che lì perlomeno faceva caldo. La volpe sgranchì le mani infreddolite muovendole un poco.
Hua le si attaccò al fianco, le labbra strette. Fece per aprire la bocca e dire qualcosa, ma Jeanne si mise una mano sulle labbra per zittirla.

«Fai la brava. Non è il momento.»

Sussurrò appena, carezzandola.

«Non si deve dispiacere per quanto accaduto in piazza, le genti di questa città spesso possono essere alquanto minacciose e ingestibili. Ma mi è stato riferito che voi signorine. Avete saputo difendermi egregiamente seminando, anzi, il panico nei vostri stessi assalitori. Potrei sapere, di grazia, cosa avete fatto esattamente per provocare simili reazioni?»

Edwin le indicò parlando con calma, troppa calma. Jeanne aggrottò la fronte. Quale signore sarebbe felice di causare il panico nella propria città? Istintivamente il suo sguardo si posò su Maria.
“Il signore che ha bisogno di tenere sotto controllo la propria città” pensò con un brivido. Ricordava bene in che modo la bambina dagli occhi tristi che aveva conosciuto sotto il ciliegio era stata capace di sottomettere a sé i vassalli delle terre d'oriente.
Era da quel momento che i contadini avevano cominciato a parlare di streghe.

«Devono aver visto la mia serva Jeanne trasformarsi. Jeanne, è così?»

Jeanne sollevò il capo nel sentirsi nominare. Maria le fece segno di annuire.

«Sì, signora.»

Rispose accennando a un inchino con il capo. Che intenzioni aveva milady?

«Jeanne è una volpe a nove code. In oriente sono conosciute per essere in grado di cambiare forma.»

Edwin si carezzò il mento coperto di una barbetta ispida, gli occhi lucidi d'interesse.

«Una volpe. Qui al Nord le uniche volpi che si vedono non sono solite parlare, figuriamoci trasformarsi.»

Mormorò, studiando Jeanne per qualche istante. La shikigami agitò le code nervosamente, sforzandosi di non arrossire. Avrebbe voluto chiarire che era una persona, non un animaletto domestico, ma si limitò a mordersi il labbro.

«Potresti mostrarmi questo tuo potere? Potresti trasformarti qui, adesso?»

Jeanne sbarrò gli occhi, stupita. Cercò gli occhi di Maria sperando in un diniego, ma lei le fece cenno di ubbidire. Con un sospiro, la volpe legò a sé un altro spirito servitore, e in un istante il suo aspetto divenne lo stesso assunto in piazza, con artigli al posto delle mani e due grandi ali nere di corvo sulla schiena.

«Potrei sapere il motivo di questa richiesta?»

Domandò la Strega. Edwin non diede segno di stupore davanti alla trasformazione, si limitò a sorridere soddisfatto.

«Sono alla ricerca di talenti. E a quanto pare voi, signorine, avete ciò che sto cercando, sebbene vi manchi ancora qualcosa. Dico bene, Aris?»

Gli occhi del vecchio si posarono sulla donna che avevano soccorso sulla piazza. Lei si irrigidì facendosi pallida in volto. Fra le sue braccia la bambina fissava immobile la scena.

«Avvicinati, mia cara, lascia che io guardi per bene i tuoi occhi di Luna.»

La ragazza esitò per un istante, si staccò da Leanne facendole cenno di rimanere ferma. Edwin le prese il volto fra le mani portandole gli occhi alla luce per rimirarli.

«Davvero uno sguardo eccellente, non c'è che dire.»

Jeanne aggrottò la fronte. Non riusciva a capire cosa stesse succedendo. La Strega fissava la scena con la stessa espressione dubbiosa.

«Fà attenzione, Edwin. Stai giocando con qualcosa di pericoloso.»

Mormorò Aris. L'uomo sorrise.

«Non più pericoloso di me, mia cara.»

In quel momento una ragazza arrivò nella sala. Aveva i capelli rosa e un vestito elegante e ampio. Per un istante Jeanne credette che fosse Kaoriaki, ma poi dovette risconoscere come il suo viso fosse completamente diverso da quello della piccola selvaggia.
Edwin e lei si allontanarono in un'altra stanza, lasciandole sole assieme agli altri uomini che, fino a quel momento, erano rimasti in silenzio.

«Sono... dispiaciuta di venire a conoscere il suo nome in queste circostanze.»

Mormorò Maria avvicinandosi ad Aris.

«Quell'uomo... Edwin... cosa vuole da noi?»

La ragazza sospirò. Il suo volto immerso nella penombra trasmise un brivido di inquietudine a Jeanne.

«Ciò che ha detto...talenti, persone speciali, individui che differiscano dalla massa per alcune specifiche abilità in loro possesso.»

Sollevò lo sguardo sulla Strega e le due shikigami, l'espressione indecifrabile.

«È da quando sono arrivata che quell'uomo mi sta addosso, chiedendomi di dimorare in questo palazzo e aiutarlo in chissà quale suo intento e voi tre... Appena ho visto ciò che avete fatto giù in piazza ho capito che avreste certamente attirato la sua attenzione ed infatti eccovi qui... Spero per voi che i vostri poteri non siano così interessanti come sembrano.»

Sospirò. Jeanne si chiese quanto genuino fosse il suo comportamento. Da come parlava sembrava avesse fatto apposta ad attirare l'attenzione di Edwin su di loro, eppure il disprezzo nella sua voce quando aveva parlato con l'uomo le era sembrato vivo.

«Perché non siete fuggite da Neirusiens, allora?»

Domandò la Strega, scoccando un'occhiata alla bambina con le corna.

«Non hai paura per tua figlia?»

Aris scosse la testa.

«Certo che ho paura per Leanne. Ed è proprio per questo che rimango qui a Neirusiens. Di tutte le città del Nord, è quella in assoluto più sicura, sebbene sia difficile a credersi.»




Maria Violetta Mircalla Himmelherrin von Bucuresti

Priscillaspecchietto

4 - Astuzia





Risorse

Energia
80%-10% = 70%
Status psicologico

Status fisico
Jeanne: ferita bassa a una caviglia

Hua: ferita bassa sui palmi delle mani


rchBJ

Equipaggiamento

Parasole (Fucile, arma contundente e da affondo; mano destra) [5/5]
Eros e Thanatos (Katane; impugnate da Jeanne)
Comete (x20) (Kunai; possedute da Hua)


rchBJ
Passive

An eternal being can hear voices the mortals will never know ~ Pass through the centuries
Immortalità, Auspex passivo, Immunità psionica passiva

Summon of an unspeakable secret ~ Possession
Evocazioni istantanee, Condivisione dei sensi con le evocazioni, +1 CS alla forza delle evocazioni

Communion between demons and mankind ~ Spiritual bond
I compagni animali possono partecipare ai combattimenti e usare tecniche attingendo dalla riserva energetica del padrone

Attive

Tiny trinkets from a devastated land ~ Relic of the past
[Abilità personale nulla (3/10)][Consumo nullo, evocazione di oggetti utili][Non utilizzabile in combattimento]


Vi sono terre devastate nascoste all'occhio umano. Fra le loro rovine giacciono piccoli oggetti di tutti i giorni: posate, giocattoli, chiavi... nessuno li utilizzerà più, e nessuno si importerà mai della loro esistenza. Solo Maria, con un consumo nullo, potrà aprire un portale fra Asgradel e il loro mondo attirandone uno in propria mano. Potrà prendere qualsiasi oggetto desideri e che sia capace di immaginare, ma esso non avrà alcun utilizzo in combattimento.

L'utilità di questa tecnica è da concordare con il master durante le quest.



Summon of an unspeakable secret ~ Possession
[Abilità di talento bianca, verde e blu][Evocazione media, alta e critica; durata due turni][2/4/8 CS alla resistenza/forza fisica/velocità]


Un uomo o un animale, morendo, lasciano dietro di loro un corpo carico di esperienze di vita, emozioni, ricordi. Se queste sono estremamente intense, prendono consistenza in un essere immateriale, una creatura intrappolata fra la vita e la morte. Questo spettro tormentato può trovare sollievo solo riacquistando un corpo materiale e trasferendo il proprio dolore alla vittima, ma non solo: il fantasma condivide con il posseduto anche la propria forza e il proprio potere. Lo spettro acquisterà sembianze tipiche dei rapaci come artigli affilati, becco e ali dalle piume di pece, mantenendo però una forma umanoide. Questi uccelli, simbolo della morte, rappresentano il tormento della sospensione fra l'esistenza e la non esistenza. La gente di oriente chiamerebbe questi incubi che camminano "tengu".
Con un consumo medio, Maria potrà evocare da uno squarcio uno spirito minore, spesso di un animale o un demone minore, dotato di 2 CS in resistenza. Con un consumo alto, lo spirito sarà di un guerriero, e possiederà 4 CS in forza fisica. Con un consumo Critico, l'essere evocato sarà uno spettro di qualche individuo formidabile o yokai superiore, e avrà 8 CS alla velocità. Questi spettri assumeranno la forma sopra descritta per combattere. In alternativa, Maria li evocherà direttamente all'interno del corpo di uno dei suoi shikigami, possedendoli momentaneamente con l'anima dello spirito. In questo stato, il servitore acquisterà le ali nere del tengu, le sue armi e le sue capacità, entrando in uno stato di furore e concentrazione profonda in cui la loro personalità risulterà distorta da quella dello spettro, e tuttavia ancora fedele a Maria.




rchBJ

Note



Nel post precedente ho segnato fra le attive l'utilizzo della tecnica "The ownest prospect of the being ~ Vision of death" (pergamena Accidia). Ciò non è mai accaduto. Ho invece usato "Tiny trinkets from a devastated land ~ Relic of the past" (segnata sopra fra le attive perché la utilizzo anche questo turno). Mi scuso per l'errore.

Enjoy it :8D:


 
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39 replies since 20/11/2013, 16:43   2336 views
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