La più grande famiglia mai esistita, quella dei Titani. Almeno così ho sentito dire; forse sono semplici credenze comuni per attestarne il valore e per dimostrare il loro volto genuino nei confronti del mondo, o forse erano davvero fratelli, capaci di sacrificare la propria vita in nome di uno dei membri dello stesso circolo titanico. Accomunati da un solo scopo e dalla voglia di riscatto, i Titani sono sempre stati descritti come figure eteree, difficili da analizzare perché materia coesistente in due diverse coscienze, una visione del mondo divisa tra i due mondi: quello umano e quello titanico, degli Dei. Non ho mai capito realmente i limiti di un Titano, forse perché, di fatto, non esistono. Ogni volta, messaggi criptati mi suggerivano nuove soluzioni che mai ero riuscito a sperimentare in precedenza. Essi trovavano sempre il modo di stupirmi, di meravigliarmi con nuove forme d'essere, distogliendo la propria attenzione dallo scopo e mirando all'evoluzione. L'evoluzione. Ciò che li renderà onniscenti, che donerà loro il potere che hanno sempre desiderato. Saranno capaci di sovvertire le normali leggi dell'universo, plasmare nuovi mondi e dirigere il proprio volere verso nuovi strati emozionali, incapaci di provare ad oggi. Forse è il corso stesso del Destino a tesserne le trame, forse il percorso umano non è che una fase pre evolutiva della strada che conduce al Titanismo, il morbo. Ma se è vero che solo uno tra questi può esaudire il proprio desiderio, perché continuano ad essere una famiglia? Perché si ostinano ad apparire come un gruppo di entità felici, in grado di collaborare? Non possono che muoversi insieme. Ma nel farlo solo uno di loro può vincere. Che sia la saggezza. il fato, l' ombra, il ripensamento o la mortalità, tutti loro sembrano essere assoggettati dal volere del Tempo, statuario nel suo essere perenne, deciso come non mai ad ottenere ciò che suo di diritto: l'Olimpo.
Ma qual è il prezzo da pagare, per raggiungerlo? E' arrivato il momento di riunirsi, una volta per tutte, per distinguere gli alleati dai nemici. Svegliatevi, Titani.
SVEGLIATEVI
Prendete la vostra Dark Soul, sta brillando. Vi sta chiamando, ancora una volta. Potete sentire il tatuaggio bruciare, il vostro pegno diventare incandescente, eppure il vostro corpo sembra non avvertire nulla, come se il Titano si fosse appropriato definitivamente di ciò che era suo, dolore compreso. E' la vostra volontà - di uomo e di Titano - che vi spinge a prendere quell'oggetto che, sapete, non vi porterà in un luogo nel quale potrete rilassarvi, tutt'altro. Ognuno di voi è cosciente e sa benissimo quali sono i rischi di essere ciò che siete, di rispondere alla chiamata del Tempo e di unirvi ad esso. Se fate silenzio, potrete ascoltare la sua voce, quel senso permanente che vi suggerisce frustrazione prima, dolore poi. E' una voce che ormai potreste riconoscere tra mille diverse voci, perché è la stessa che vi ha fatto prendere consapevolezza di ciò che eravate e che vi ha trattato come fratelli. Quella voce vi ha promesso così tanto, eppure ancora non avete ricevuto nulla. Quando arriverà il vostro tempo?
« Fratelli » risuona più volte nella vostra testa, fino a dilaniarla. « è giunto il tempo, finalmente. » Il tempo che tanto avete desiderato, ma dal quale siete tremendamente spaventati. La vostra vittoria. O la definitiva sconfitta. « Andiamo! »
CITAZIONE
QM Point.
Benvenuti.
Grim, Neve, Albtraum e Hole. La vostra Dark Soul - come ormai sarete abituati - inizierà a brillare. Il vostro volere di Titano inizierà a smuoversi, come fosse un impulso irrefrenabile che vi spinge a toccare l'oggetto. Una volta toccato, al vostra mente sarà trasportata in un mondo onirico, qualcosa di simile al luogo del primo incontro con Crono - vi rimando alla prima quest di Cronos, per maggiori dettagli -. Crono sarà lì ad aspettarvi, dicendovi che è giunto il momento di andare. Quando uscirete da questa dimensione, proverete una fortissima spinta emozionale che vi forzerà a muovervi verso il deserto del Plakard, lì dove il Vaso è stato Risvegliato. Proprio dal Plakard riuscirete ad avvertire una forza spirituale immensa, che tenderà a schiacciare la vostra volontà. Potete concludere il vostro post con l'arrivo nel luogo esatto in cui - nella quest Vaso di Pandora, cui vi rimando anche stavolta per i dettagli - i Risvegliati vi avevano attaccato. Ora però la zona è completamente diversa, vuota. Non vi è nient'altro che sabbia. In lontananza, però, riuscite a scorgere come un mulinello, che sta aspirando a sé tutto il deserto.
Coldest. Anche la tua Dark Soul inizierà a brillare, ma non riuscirai a sentire alcuna voce di Crono, bensì un lamento che riconosci essere quello di Noah. Anche per te, una forza irrefrenabile ti spingerà a muoverti nella direzione di questo lamento, proveniente dal Plakard, ma dalla parte opposta a quella degli altri Titani. Arrivato all'origine del lamento, troverai Noah a terra, rannicchiato, in preda a crisi isteriche - convulsioni, attacchi d'ira -. Dietro di lui, un enorme grotta del deserto. Il ragazzo sembra manifestare una violenza ed una instabilità, come preda di personalità multipla. Egli non riesce ancora a parlare, come l'ultima volta. Puoi essere autoconclusivo nei confronti di Noah - puoi chiedermi qualsiasi cosa -, di fatto è ormai un PnG, quasi un seguace di Jevanni. Puoi concludere il post quando la forza irrefrenabile cesserà d'esistere, quindi nel momento in cui entrerai nella grotta, assieme a Noah.
Avete cinque giorni di tempo - fino al 6 Novembre, ore 21:00 -. Per qualsiasi domanda, MP o Confronto.
Nella piccola dimora di legno e cemento sita nel niente e nel nulla, lì tra altre piccole case in un groviglio cittadino sparso, un canto serafico inondava l'aria ed un cielo tanto plumbeo. Quelle erano note calde che aprivano una breccia in un giorno così cupo e grigio. Una canzone così armonica ed allegra che inondava i cuori di chi passava sotto quella finestra chiusa, appannata dal vapore acqueo in un luogo troppo piccolo ed insignificante. All'interno di quel familiare giaciglio, gutturali e sibilanti danzavano svolazzando di qua e di là per la piccola stanza adibita a toeletta. Spazzole dalla punta dura ed alcune dalle morbide setole, asciugamani di lino, saponi dall'intenso profumo di attar e muschio, unguenti ed oli per il corpo, composti di argilla per il viso dalle varie consistenze e colori, essenze di henné color nero corvino, profumi a getto ed a soluzione centellinata. E poi ancora boccette, ampolle, forbici e pinze, impasti profumati e dalla consistenza appiccicosa, tutto quello che insomma potrebbe servire ad una donna per curare il proprio corpo. Ogni cosa, ogni piccolo contenitore, era disposto ordinatamente per numero e per utilizzo in ogni mensola di quell'hammam improvvisato. I trattamenti che Afrah si dedicava nel suo personale centro di benessere erano, da un po' di tempo, più frequenti ed accurati. Molto più di quanto non facesse prima, benché il velo e l'abaya così disposti a coprire le sue grazie la preservassero come fosse un tesoro celato. Qualcosa da nascondere agli occhi di tutti.
L'acqua saponata nell'ampia tinozza di legno era limpida ed assumeva adesso i colori della beduina. Canuta pelle bianca che diventava rossiccia al contatto con il liquido caldo, nera a spire come neri erano i suoi capelli, acconciati adesso senza l'ausilio del velo in una palletta morbida sopra il suo capo. Cantava, perché nel petto la gioia l'invadeva per la prima volta dopo tanto tempo. Cantava ed Hani muoveva la coda pigramente, appollaiato ai piedi dello stipite. Era parecchio cresciuto ultimamente, più di un normale esemplare della sua razza, ed Afrah si interrogava spesso se non poteva essere il caso di metterlo un po' a dieta. Ma di certo il cibo riusciva a procacciarselo da solo, e dunque non se ne crucciava più di tanto. Probabilmente, pensava, era tutto un fattore costituzionale. Si, doveva essere così. Si destò - non appena ebbe finito di crogiolarsi - dalla vasca da bagno, ed un vapore inebriante si levò dal basso fino al suo viso lucido reso paonazzo dal calore. E mentre stava lì ad asciugarsi, il giovane felide di tutto piglio sottrasse, ripiegato nella sedia, il suo prezioso chador portandoselo a spasso per la calda dimora.
" Hyet una hylauna, settin sariq!! " Vieni qui, piccolo ladro!!
Sbottò indispettita. E quello lo riportò indietro, poggiandolo con il muso tra le mani di Afrah. Mogio mogio e a testa bassa, come un bambino che riceve una strigliata dalla mamma. In fondo voleva solo giocare, Hani. Passava la maggior parte del tempo da solo a gironzolare per le viuzze del paesucolo, ed ogni tanto cacciava qualcosa per farsi passare la noia. Di giocare con altri caracal o gatti o cani non se ne parlava, perché grande e grosso com'era poteva uccidere per sbaglio i suoi piccoli amici con una sola zampata. D'altronde era goffo e maldestro, ed Afrah non poteva ancora portarselo in giro. Rischiava di farsi male e mandare all'aria le missioni per la sua Saìdda. Era un cucciolo troppo cresciuto, ma gli voleva bene.
Sciolse i capelli in un simposio di spezie e fragranze. Lo chador si posò leggero sul suo capo come fosse la mano dell'Unico, il dono delle sue antiche sorelle. E allorché i vapori acquei si diradarono fuori dalla stanza, qualcosa cominciò a brillare ed insieme ad esso il suo tatuaggio sul suo basso ventre. Il simbolo alato emanò un bruciore che ben conosceva, ma non le fece alcun male. Era un appello, un richiamo. La dark soul altresì, brillava di una luce accogliente che la invase. Avvolse il suo stesso essere in un abbraccio morbido e delicato. Erano le emozioni delle sue sorelle parche, le loro voci che si mescevano e si rimescolavano nel suo triplice animo. Le sentiva e le accoglieva in sé. Ed allora rimembrò in quel preciso istante di essere solo un misero guscio, una bambola vuota in balia delle sue tre voci. Ed allora il volto si fece mesto, svanì la breve allegria dal suo viso. Quell'eterno momento di pace era destinato a finire e lei lo sapeva, lo sentiva. Un tempo avrebbe gioito di quella visione, un tempo avrebbe aspettato con ansia il ritorno delle sue sorelle. Ma non ora, non in questo istante. Desiderava fuggire forse Afrah, desiderava scappare dai suoi doveri da parca. Perché fuori da quel mondo ovattato che era la alcova di Cronos l'attendevano altri compiti, altri ordini da eseguire, alleati da aiutare, amici da soccorrere, un sole da inseguire e tenere stretto tra le mani. Per la prima volta Afrah voleva rimanere aggrappata a questo misero mondo ma non ci riuscì, non seppe fuggire da quella luce ancestrale.
Perché ora? Perché adesso?
« Ora che ho ritrovato la mia luce. Ora che il mio cuore è ricolmo. » « Adesso che eravamo unite in un trino abbraccio. »
La mano destra sfiorò la palla di ferro bucherellata, e fu un lampo, un attimo. Tutto divenne bianco, ancora una volta.
C r o n o s ~ Riunione
Il cortile era immenso. Una grande finestra di bagliori e luci ovattate. Al suo interno la sede del Tempo pareva sospesa da fili invisibili, come se non appartenesse a quello stesso mondo. Come se lì in quel preciso istante i giorni e le ore scorressero senza sosta né ritmo alcuno. Isolati dal resto della creazione. Ed Afrah schiuse i suoi occhi di fiamma, i bagliori erano tali da bagnarne le iridi. Così forti da tenerle a stento scoperte. Intorno a lei le lancette degli orologi ticchettavano in una martellante sinfonia, non riuscivano a chetarsi. Era come se in realtà il tempo stesso si fosse fermato, inghiottito da quello spazio vuoto e privo di senso. E la foresta attorno a sé mangiava il silenzio, era parte del tutto ed il tutto era parte di lei. Solo un palazzo distrutto sullo sfondo si riusciva a scorgere. Un'antica reliquia di un'epoca ormai al tramonto. Cronos era lì la osservava, la scrutava. Saggiava ogni suo movimento ed ogni sua mossa come fosse il lupo sulla preda, non poteva deluderlo e non voleva farlo. Sapeva che qualunque cosa facesse sarebbe stata giudicata, sottoposta ad un metro troppo elevato persino per lei che con se stessa era tanto severa. Così, quando le parole del sovrano dei Titani lacerarono la sua mente, ella si sentì fragile. Inetta. Incapace di dire o fare qualcosa.
« Fratelli. » Diceva serafico. « È giunto il tempo, finalmente. Andiamo! »
Il tempo per cosa? Per chi?
Non sapeva, Afrah dal candido viso. Non comprendeva le parole del suo re. Eppure le sue gambe si mossero veloci. Eppure sentiva la testa scoppiare ed il cuore battere frenetico. Non riusciva a capire a quale fato stava andando incontro, sapeva soltanto che quel momento era già arrivato. Per lei e per molti altri. I suoi piedi dunque corsero all'impazzata, infrangendo forse ogni forma di resistenza e limitando la stanchezza. Non si sentiva fiacca, ma anzi le sue intere membra fremevano e palpitavano come fossero spinte da qualcosa di troppo grande a cui opporsi. E superò confini, vette e oceani, ed attraversò campi e vallate e zone rocciose e brulle. Il paesaggio intorno a lei cambiava di volta in volta ed i cieli si alternavano assieme ai soli ed alle lune. Si sentì come quella volta che, ascoltata la voce di Velta, aveva camminato per giorni senza sosta fino al Gorgo. I giorni parevano sorgere e tramontare, l'erba sembrava crescere e radersi di colpo. Gli occhi erano fissi sul vuoto della sua coscienza mentre le veloci gambe non avevano mai una tregua. Infine arrivò. Quanto tempo era passato? Ore, giorni, mesi? Non seppe darsi una risposta. Eppure il fiato di certo non le mancava e sapeva che quel luogo era la fonte del tutto. Lì dove ogni cosa era iniziata. L'immensa distesa desertica si stagliava adesso innanzi ai suoi occhi e si sentì piccola e fragile. Un puntino in mezzo ad un oceano di sabbia. E quando si accorse che ormai non era più sola il suo volto perso si addolcì al tremolare di una nuova figura.
Nur era lì.
" Djais, sei tu?" Sibilò appena.
Il cappuccio ed il mantello di ceruleo colore brillavano ai raggi di quell'opaco sole quasi divorasse l'intera luce intorno a sé. Ed i suoi occhi erano gelide gemme sul vuoto. Il Cartomante era fisso ed immobile, non fiatava, non muoveva alcun muscolo. Le mani di Afrah avanzarono, fredde ed incerte sulle sue, tiepide ma tremanti.
"Anche tu sei stato chiamato." Non era per nulla sorpresa, la beduina. Lo sospettava già da molto tempo, forse da quell'incontro nella foresta di ombre. Quando i ricordi divorarono il suo animo più nel profondo di quanto già un tempo non avevano fatto. E le braccia si allargarono stringendosi al busto di Jace. Il volto di Afrah scomparve dentro le spalle di lui. Volle inebriarsi per un attimo di quell'incontro, volle assaporare ogni istante di quella stretta, perché sapeva di non poterlo fare ancora per molto e perché il Tempo non attendeva.
"Ho pensato a te ogni giorno. Ho sognato questo incontro tutte le notti, Afrah."
"Ed ora il nostri fili del fato si intrecciano ancora, come Vega ed Altair nella notte silenziosa."
Si fissarono per un po' senza dire nulla. Il silenzio mutava il caos ed allungava le ombre. Ora erano alif su un foglio di dorato papiro. Ora erano carne e sangue. Si volsero insieme ed insieme videro gli altri. Erano loro, i compagni, i congiunti. Ma gli occhi di fiamma di Afrah corsero veloci su una figura più piccola e minuta delle altre. E lei vide ciò che non avrebbe voluto vedere. Un piccolo animo, una piccola donna che già aveva sepolto nei meandri della sua memoria. Uno dei suoi errori più grandi, uno degli errori che Velta l'aveva costretta a commettere.
"Priscilla..." Sussurrò a mezza voce portandosi la mano alle labbra canute.
Bene, eccoci qui! *_* Come si evince dal post, Afrah tocca la dark soul non appena essa sta brillando e viene catapultata nel mondo onirico. Sentita dunque la spinta emozionale viene attratta verso il Plakard dove incontra per primo Jace che abbraccia. Subito dopo nota gli altri ed in particolare Priscilla, a cui chiede scusa in riferimento agli eventi dello scorso Extirpanda. Le azioni con Jace sono state concordate.
Non metto per ora lo specchietto riassuntivo, ma vi anticipo solo che l'unica passiva rilevante che dovete considerare è quella dell'avatar demoniaco. Buona quest a tutti! ^^
La grossa tazza poggiata davanti a lui fumava invitante, il vapore tiepido gli carezzava il mento e le narici, inebriandolo del suo aroma. Una miscela nera e robusta, come Tayf, dal sapore amaro, come la separazione, dal gusto esotico e dall'effetto inebriante, come Afrah. La bevanda era bollente, ma Jace avrebbe voluto ugualmente farla scivolare giù per la gola in un solo sorso, trangugiando fino all'ultima goccia di quell'ottimo caffè, ma si sarebbe scottato e il piacerebbe sarebbe subito tramutato in un rimpianto amaro. Bisognava goderselo con pazienza, assaporando ogni sorso per quanto misero, lasciando che l'ombra di quel gusto vagabondasse sul suo palato fino a scomparire, facendo crescere il desiderio nel vuoto tra un sorso e l'altro. Il mercante che l'aveva introdotto a quel delicato rituale gli aveva assicurato che quell'attesa era l'essenza stessa delle felicità, l'anticamera del paradiso. Guardò distrattamente il vapore che emergeva dalla tazza e gli parve di vedere in quel fumo caldo la figura della beduina, il suo viso soave, le sue labbra sottili, e sorrise di rimando a quell'immagine che era solo nella sua testa. Le parole del venditore di caffè erano sagge, un consiglio utile non solo per godersi il gusto di quella bevanda calda, ma per approcciare la vita stessa. Eppure non smetteva di fremere, in attesa del prossimo piacevole sorso.
Un pulsare inatteso ti scosse da quel fantasticare a occhi aperti. Mille crune incandescenti iniziavano a perforare la tua schiena, a spingere dall'interno come per venire fuori dalla tua carne. L'elettrica e pungente sensazione di dolore prese ad annebbiarti la vista, a spezzare ogni pensiero razionale. A che servono sogni e speranze quando bastano pochi attimi a spazzarli via? Quando il dolore come un dio tirannico sovrasta ogni altro tuo bisogno?
Te lo domandavi, e sentivi dentro te vacillare la tua fermezza e quella tremule fiammella di coraggio che ancora ti restava. Qualcosa brillava nelle tue tasche, una luce vivida che veniva fuori dalla cappa, un brillare caldo ed intenso. Prendesti la sfera nera fra le tue mani, la dark soul, e la scrutasti chiedendoti che veleno avevi messo in quello strano involucro e quale sostanza stesse reagendo in maniera così particolare. Smemorato babbione, avevi forse dimenticato l'arido Plakard e il vaso di pandora? I piccoli orridi fratellini e la dolce bambina costretta a farsi mostro e arma? Avevi scordato la chiamata di Crono e i fratelli Titani?
Si, lo avevi fatto. L'odiosa e frenetica quotidianità ti aveva reclamato e tu l'avevi lasciata fare, intrappolato in una spirale di oggi coi loro tristi imperativi. Svegliati, lavora, mangia, impegnati, divora, riposati. Una routine spezzata da avventure intraprese solo per guadagno, e mai per volontà. Ora ti si poneva di fronte una scelta: abbracciare qualcosa di importante e grande o rintanarti nel tuo grigiore. Le decisione ti inquietava, e ogni volta che ti convincevi di imboccare una strada, subito riconsideravi l'altra. La tua mano si mosse da sola, stringendo la sfera con forza tra le tue mani e il mondo cambiò completamente in forme e dimensioni. Avevi già visto quella magione ed il suo unico abitante. Ti aveva fatto una proposta e tu, sciocco di un ragazzo avevi accettato. Avevi avidamente confidato di trarne profitto e potere, e ti eri trovato le mani legate dalle catene del dovere e un posto in prima linea in una guerra sconosciuta. Tra questo e l'escursione nelle selve del Gwathlàiss era arduo decidere quale fosse il peggiore affare che avessi concluso. La prima battaglia stava per cominciare, prepara le armi e i bagagli, così aveva detto Crono. Partire a conquistare l'olimpo, con camerati mai visti, non l'avevi mai immaginato.
Il piede si mosse da solo alzandosi e compiendo il primo passo verso quello strano richiamo, ed il tuo corpo prese a muoversi seguendo le indicazioni di un altro che però abitava il tuo corpo. Inutile che te ne lamenti, l'avevi accettato tu stesso, no? Così via, verso l'ignoto.
Te ne saresti pentito presto, eri certo.
ɲ Ɏ ɳ
L'arido Plakard, distesa di nulla e polvere. Si diceva che solo cose malvagie e tenaci potessero crescere in quel deserto, creature aride di compassione per un paesaggio arido di pietà. Jace attraversava quelle terre non senza timore, ma sentiva di doversi spingere avanti. Era il titano Epimeteo a trascinarlo con forza oltre la sua ritrosia, cosa molto ironica per colui che incarnava il ripensamento. Ma lui combatteva per una causa, per una moglie morta tempo prima ed un fratello perso, Prometeo. Colui che si era fatto imprigionare e torturare a causa del suo idealismo, che si era dannato per le propria generosità; e lui ora forse che stava facendo?
La stessa medesima cazzata. E non cedeva il passo, ma trascinava Jace con lui; anche se il cartomante aveva una vita a cui tornare e una amata a cui badare. Come forse suo fratello stesso avrebbe dovuto fare: prenderlo sotto braccio e portarlo con sé forzosamente. Almeno sarebbero rimasti uniti com'era destino, per sempre insieme. Era questo a fargli muovere un passo dopo l'altro, nonostante la paura che gli ispiravano gli dei. Sarebbe stato distrutto o forse sarebbe stato incatenato a Prometeo; in entrambi i casi tutto sarebbe andato per il meglio. Di riuscire nell'impresa, il titano, non credeva nemmeno per un istante. Così seguiva le direttive di Crono, anche se era facile capire in mezzo a quel nulla dove dirigersi. Erano come falene, attirate da una grande luce che lampeggiava nella completa oscurità, un segnale troppo grande da non poter essere ignorato e perso. Ma più vi si avvicinava più lo stregone ricordava un qualcosa di familiare, e poi infine se ne accorse: era il luogo dove era iniziata per lui l'epopea dei titani. Osservò silenzioso quella desolazione: dove un tempo c'erano i resti di una cittadina perduta ora stava solo sabbia, e a torreggiare su di lei un mulinello che frangeva l'aria tutta attorno. Non sapeva nemmeno lui come ne fosse certo, ma era così, era nello stesso luogo. Tremò nonostante non vi fosse nulla né di spaventoso né di freddo. Rimase così minuti, in attesa di qualcosa o meglio di qualcuno. E tra i tanti scorse lei, e il suo cuore vibrò d'emozione e di terrore.
Lei si ergeva tra le sabbie, come un'oasi per il viaggiatore, rinfrescante e tanto provvidenziale che doveva essere un miraggio. La sua figura si completava messa a fianco al deserto, diveniva ancor più bella, o forse erano i sentimenti di lui che ne alteravano le impressioni. Era la sua Pandora, avrebbe detto Epimeteo, la più bella fra le mortali. Lui invece stese zitto e immobile, mentre centinaia di idee e discorsi fiorivano nel suo cervello. Di abbracciarla, di gettarsi ai suoi piedi, di soffocarla di baci, di attenderla a braccia aperte. Dirle quanto le era mancata, quanto la amava, da quanto aspettasse quel momento, di come semplicemente fosse bella per lui, e lui solo. Tante e troppe immagini che si affollavano nei suoi pensieri, affossando l'una l'altra, schiacciandolo con la loro sovrabbondanza. Paralizzandolo.
Fu lei a rompere l'indugio, con un sorriso sollevato di gioia e un soffio di voce, caldo e lieve. " Djais, sei tu?" Le loro mani si intrecciarono in un groviglio che non trasmetteva disordine, ma solo completezza. Un contatto incerto ma solido. "Anche tu sei stato chiamato." Lui non si chiese perché lei fosse con lui, come mai anche la sua dolce Afrah era coinvolta in quella faccenda. Ma almeno potevano stare assieme, e si sarebbe fatto bastare quello. La cinse con un abbraccio caldo e posato, perché non voleva risultare impetuoso, nonostante il terremoto che gli scombussolasse l'animo. Era delicata e schiva, troppo timida e fragile, come il primo germoglio primaverile. Meglio evitare che sgusciasse di nuovo sotto la neve.
" Ho pensato a te ogni giorno, ho sognato questo incontro tutte le notti, Afrah. " " Ed ora il nostri fili del fato si intrecciano ancora, come Vega ed Altair nella notte silenziosa. "
Avrebbero percorso insieme anche questa nuova strada, ma stavolta l'avrebbe protetta ad ogni costo.
Spero che la lunghezza non scoraggi troppo. Ho preferito evitare lo specchietto a questo giro, l'unica passiva degna di nota è l'invisibilità agli auspex di natura magica. Le parti con Afrah sono state concordate.
Lo spadaccino si defilò fra le sabbie, sibilanti nel vento pregno del lamento.
Il lamento che aveva perseguito da giorni a dorso di cavallo, dalle gelide lande dell'infausto Eden nelle torride piane dell'altrettanto infido Akerat. Fuoco mascherato da granelli grigi luccicanti nel sole implacabile del Plakard, il vero unico avversario di quel mondo abbandonato dagli dei stessi: e se anche gli dei davvero si erano rifiutati di volgere il loro sguardo in quel luogo, lo spadaccino non poteva.
« Ti troverò. » Il ritornello risuonava nell'aria rovente, dalle labbra rese secche dall'arsura ma ancora non arrese. Perché arrendersi, quando finalmente si era destato il fautore delle sue preoccupazioni? Era passato tempo, forse troppo, ma non aveva dimenticato quella sensazione. Quella sensazione, una volta straniera, di essere famiglia. « Resisti, Noah. Io ti troverò. »
Si svegliò all'udire una voce lanciare un urlo, di scatto, nel cuore della notte quando il resto della locanda dormiva. La propria voce.
Nonostante fosse riuscito a lasciarsi alle spalle il Midgard gelato, l'Eden continuava a spirare col suo alito intirizzente i suoi sentieri spogli. Il Guerriero sentiva freddo in quella stanza, eppure quando si massaggiò la fronte dolorante la scoprì -sorprendentemente- sudata. Strinse i denti e volse lo sguardo verso la finestra, ignorando il bisogno impellente di riaddormentarsi ancora.
Ogni notte era lo stesso ciclo, lo stesso sforzo infinito per mantenere gli occhi chiusi e abbandonarsi al sonno - puntualmente vanificato dai primi incubi che si affacciavano, riportandolo brutalmente alla realtà. Quella volta, però, qualcosa era cambiato.
« Oi, tutto a posto ser? » Il bussare lo strappò ai suoi pensieri con un sussulto. La porta si aprì con un cigolare sinistro, al quale seguì il crepitare della minuta candela che il locandiere reggeva con una mano. L'espressione, per quanto resa arcigna dalla barba folta e dal naso adunco sul volto stanco, un po' lo tranquillizzò. Quasi aveva temuto di scorgere un altro volto mostruoso quella notte. « È successo qualcosa? »
Jevanni si sollevò lentamente a sedere sul letto, massaggiandosi il viso con una mano e cercando con l'altra Orizzonte. « Lei...lo sente? » L'uomo chinò leggermente il capo, guardandosi attorno. « Sentire che? »
Come immaginato.
« ...nulla. » Anche se sapeva che il proprio sguardo diceva l'opposto, lo spadaccino gli sorrise. Lanciò con il pollice una moneta all'altro, prendendo la cintura e preparando gli abiti da viaggio. « Anticipo la mia partenza. » Il locandiere la intascò armeggiando con la tasca usando l'unica mano a sua disposizione, annuendo con aria smarrita. « Ora? Con questo vento? È sicuro di star bene? » Era sicuro di non esserlo. Ma non lo disse ad alta voce - non aveva senso preoccuparlo. Aveva visto un deserto nella propria visione, e una formica nera che si dimenava fra le dune. La formica aveva un volto a lui familiare. Qualcuno che, una volta, aveva chiamato fratello.
« La strada è lunga. Qual miglior auspicio di partir nella notte, per poi arrivare in piena mattina alla meta? »
Giunse al luogo predetto dalla visione, dopo aver seguito tanto a lungo l'eco di quei lamenti che ora li percepiva come parte di sé. Ma poteva metter da parte la fatica di quel viaggio, adesso che la formica aveva preso le sembianze di colui che aveva dato per disperso. Si chinò sulla figura gracile di Noah, schermandolo dalle intemperie del sole col proprio mantello; al notare il suo sguardo sgranato ma al contempo assente gli scrollò le spalle, riuscendo solo a malapena a distoglierlo dai tremiti che scuotevano le sue braccia. Gli occhi del bambino incontrarono i suoi, e solo allora si accese una scintilla -forse solo un barlume fioco- di comprensione. Riconoscimento. Forse, lontano in quei pozzi torbido e indecifrabile, persino gratitudine.
« Sono qui. Andrà tutto bene, fratello. »
Noah annuì, torcendosi i polsi e muovendo le labbra. Jevanni si trattenne dal sibilare un'imprecazione: aveva sperato che fosse tornato a parlare, che qualcosa fosse cambiato, ma il tempo sembrava non esser scorso per il piccolo. Tempo - quella, forse, era la parola chiave di tutta quella faccenda. Ma Crono avrebbe atteso, così come la vendetta del Titano della Mortalità. Gli spasmi violenti del fratello Titano - come potersi definire altrimenti, anche dopo che l'uomo senza nome li aveva strappati di quel titolo? - gli riempirono d'angoscia lo stomaco, mentre stringeva sabbia in un pugno e con calci involontari smuoveva piccole dune.
« Riesci a reggerti? »
Gli tese una mano per aiutarlo a rialzarsi, e seppur barcollando e fremendo febbrilmente questi riuscì a rimanere in piedi. Con un sospiro Jevanni si schermò il volto dalla calura, cercando di reprimere la brutta sensazione che stava tentando di minare il suo spirito. Nella visione non aveva scorto la grotta, però - e che questo fosse un bene o un male, quello era l'unico rifugio in vista. Aveva bisogno di un luogo in cui poter riflettere.
« Ti porterò via di qui. Dammi...solo un po' di tempo. » Prese nuovamente la mano a Noah, facendo i primi passi verso l'ingresso. Il viaggio lo aveva stancato, in fondo cosa sarebbe significato sostare un po' all'ombra?
La gola secca lo infastifiva come non mai, e si rassegnò all'evidenza: avrebbe dovuto dissetarsi con la poca acqua che rimaneva nella borraccia. Un ultimo dolce sorso, che avrebbe alleviato le sue pene per pochi minuti. Sospirò, il bardo: abituato com'era a viaggiare, l'enorme distanza dalla sua meta non lo spaventava affatto; temeva invece il vigore innaturale che spingeva le sue gambe verso il centro di quel deserto. Si era ormai arreso completamente al volere di Ceo.
Le loro due volontà erano entrate in conflitto, dopo il lungo periodo che avevano passato ignorandosi. Taliesin si sentiva imprigionato, ed il Titano tradito da quell'insignificante moccioso. Fu evidente fin da subito chi dei due fosse destinato a perdere lo scontro, e soccombere al volere dell'altro. Pover'uomo. Il cantastorie desiderava solo riavere indietro la sua libertà, e avrebbe volentieri sopportato qualche giorno di schiavitù per riaverla indietro. Era costretto a onorare una promessa fatta con troppa leggerezza, e questo fatto proprio non gli andava giù. I rimpianti erano tanti, ma la speranza di potervi rimediare li spazzava via tutti, anche se a fatica. Alla luce di essa, aveva deciso di collaborare. Vedeva il brusco risveglio di Ceo come un punto di svolta di quella faccenda. Inoltre la sua presenza, nonostante fosse incombente e fastidiosa, era anche un vantaggio: la saggezza di uno mitigava l'impulsività dell'altro, ed entrambi ci guadagnavano qualcosa.
Aveva dunque seguito il volere altrui, toccato l'anello scuro donatogli in sogno molto tempo prima e ascoltato, in perfetto silenzio, le parole di Crono. Aveva avuto la riconferma della sue speranze: era giunto il tempo. "Che sottile ironia", avevano pensato i due, che condividevano un'ampia vena di cinismo. Su qualcosa si trovavano d'accordo, almeno. L'abnegazione non era il suo forte, ma in quell'occasione il vagabondo aveva dovuto sforzarsi. Era quindi partito seguendo il volere dei Titani verso il lontanissimo deserto del Plakard, lasciandosi alle spalle ogni turbamento che potesse distoglierlo da quell'obiettivo, un po' per volontà di Ceo, un po' perché era anche suo interesse terminare e chiudere quei tristi capitoli: lasciare l'Eden non poteva che aiutarlo, in fondo.
Aveva viaggiato di tratto in tratto rimendiando passaggi da carovane di altri viaggiatori. In cambio, come al solito, lui cantava e suonava antiche ballate, per scacciare la tristezza ed il rammarico di quelle anime che migravano da un posto all'altro. Non sapeva per quale motivo questo metodo funzionasse, ma pareva che ascoltare tragedie altrui aiutasse a sopportare le proprie. Funzionava per lui, i suoi ascoltatori, e non solo. Ceo odiava parecchie di quelle melodie, e Taliesin lo percepiva chiaramente, ma davanti alle migliori non poteva che allentare la sua morsa e restare in rispettoso ascolto. Che avesse anche lui qualche rimpianto, nascosto in fondo ai suoi pensieri? Non lo sapeva, ma era così. E quel rimpianto aveva anche un nome: Febe.
L'acqua rinfrescò la sua lingua e si riversò giù verso lo stomaco, lasciando dietro di se una piacevole ma caduca sensazione di sollievo. Attorno a lui quel deserto roccioso si tingeva degli stessi colori del suo mantello. Si era procurato un turbante bianco, ed aveva avuto la premura di farsi insegnare dai nomadi di quei luoghi come fosse meglio spostarsi: non era la prima volta che passava per di lì, ma non aveva idea di quanto avrebbe dovuto fermarsi.
Grazie ai suoi compagni di viaggio apprese quali radici fossero le migliori da raccogliere, come cucinare le locuste, in che modo sfuggire alla sole delle ore più calde e al freddo della notte e come usare l'acqua. Tutte cose di cui aveva già sentito parlare, ma che gli sarebbero state lo stesso utili. Ripose la borraccia vuota, e immaginò di ringraziare quell'uomo che, giorni prima, gli aveva detto di portarsene sempre una in più di quante era solito portarsene, e di riporla in fondo alla borsa, facendo come se essa non esistesse. Quel consiglio fu provvidenziale, poiché l'unica che rimaneva era proprio quella.
Si fece guidare dalla forza opprimente che pareva volerlo stritolare, senza nemmeno provare a resisterle. A capo chino, sfinito dal viaggio, giunse a destinazione, e subito i suoi occhi si persero verso l'orizzonte rosso, dove un mulinello di sabbia risucchiava le dune. Udì poi delle voci, e comprese di non essere solo: che quei due, l'uomo e la donna che si ergevano sotto il sole, fossero altri titani? Gli parve subito di conoscerli, e ricordò: molto tempo prima, Gerico, nella Taverna del cuore impavido. Un uomo seduto a un tavolo molto lontano dal bancone, nelle stesse vesti blu, che leggeva il futuro ad una bellissima ragazza dai capelli corvini. Un cartomante e una danzatrice. Forse si sbagliava. E comunque, ammesso che la sua memoria non lo ingannasse, loro non lo avrebbero di certo riconosciuto. Nonostante questo quella strana coincidenza lo turbò non poco: chinò il capo di nuovo, senza avvicinarsi, sistemandosi meglio il turbante e tuffandosi nei suoi pensieri.
«E adesso?» chiese a Ceo. In risposta ebbe solo un rispettoso silenzio.
Nemmeno io inserisco lo specchieto, però ci sono molte passive che hanno effetto su taliesin, quindi almeno quelle rilevanti le riporto brevemente:
Ammaliamento psionico passivo: natura psionica; il caster emanerà un’aura di fascino e ammirazione, che influenzerà chiunque sia presente nei dintorni, interpretabile in base alla psicologia dei personaggi colpiti. Mente Impenetrabile, pergamena comune: difesa psionica passiva, intesa come straordinaria forza della personalità del possessore. Non protegge da tecniche attive. Amuleto dell'auspex: auspex uditivo passivo, inteso come straordinaria acutezza di udito, che renderà il possessore capace di essere sempre consapevole di quel che lo circonda, e di inviduare i nemici anche meglio occultati. "Nessuno farà domande a chi si nasconde allo sguardo della gente"; Passiva: qualora lo desiderasse, il mantello potrà celare sotto di esso le aure, proteggendole da auspex passivi. Passiva: il possessore di Scarabio non emetterà rumore alcuno mentre camminerà, perché il peso del suo corpo sarà pari a quello di uno scarabeo.
Taliesin è avvolto nel suo bel mantello rosso, e in testa porta un turbante di colore chiaro. Se ne resta in disparte, dopo aver riconosciuto Jace e Afrah, pur non conoscendo i loro nomi.
La bambina dai capelli neri si era inginocchiata su una cassa di legno scheggiato, l'espressione rapita mentre guardava il paesaggio desolato del Plakard tingersi di rosa alla luce dell'alba. Dune dalla sabbia rossa erano intervallate da crepacci neri di roccia porosa simili a grosse cicatrici. Da alcune di esse proveniva l'odore intenso dello zolfo, da altre fuoriuscivano sbuffi di fumo nero. Hua non capiva cosa quella mocciosa trovasse di così affascinante in quell'inferno. Aveva provato a mettersi accanto a lei e guardare fuori, ma la puzza di marcio delle fumarole le aveva fatto venire la nausea. Lei, invece, riusciva a stare lì tutta la giornata, anche quando il sole batteva così forte che sotto il telo bianco del carro respirare diventava un'impresa. Hua preferiva grandi distese di boschi e prati, ma l'ultimo filo d'erba doveva averlo visto un secolo prima; ora le uniche piante visibili erano grossi tronchi verdi ricoperti di aghi lunghi e affilati come spade.
«Siamo arrivate?»
Sbadigliò strofinandosi gli occhi. Si era rannicchiata in un angolo del carro raccogliendosi le gambe al petto e poggiando la fronte sulle ginocchia. Maria e Jeanne, sedute poco lontano su una panca, confabulavano a bassa voce. La gatta non aveva alcuna voglia di alzarsi per ascoltare. Sarebbero stati i soliti discorsi noiosi, e in quel momento la noia le stava serrando le palpebre.
«No.»
Rispose frettolosamente Jeanne senza voltarsi. Hua gonfiò le guance, stizzita.
«E adesso?»
La volpe sollevò lo sguardo al cielo.
«Non fare i capricci, Hua. Milady sta tentando di capire dove dobbiamo dirigerci. Perché non fai come Priscilla? È più piccola di te e sta in silenzio.»
La nekomata lanciò un'occhiataccia alla bambina. Quella non stava in silenzio: semplicemente non parlava mai, nemmeno quando aveva sete o fame. Si aggrappava alla gonna di lady Maria e Jeanne ogni volta che voleva qualcosa e poi si spiegava a gesti. Se qualcuno sfiorava il coniglietto di pezza che stringeva sempre al petto o la sferetta nera che teneva in mano lei si metteva a urlare e piangere come se qualcuno le stesse facendo del male. Hua si chiese come facessero Milady e la volpe a sapere il suo nome.
Con un sospiro si sollevò da terra appoggiandosi a uno dei sostegni del telo, un'asta di ferro arrugginita. Strinse forte le dita dei piedi. Le gambe intorpidite le formicolavano fastidiosamente dopo una notte passata rannicchiata nell'angolo. Con una smorfia mosse lentamente qualche passo verso Priscilla. Per quanto le desse sui nervi, la noia era molto La bambina si voltò quando la sentì arrivare. Aveva gli occhi arrossati e circondati da occhiaie viola. Quando vide Hua sorrise tendendo le mani verso le sue code. La gatta le ritrasse dietro la schiena stringendo le labbra.
«Vorresti giocare a shogi?»
Aveva portato con sé la scacchiera e i pezzi quando erano partite pensando che avrebbero avuto occasione di giocare durante il viaggio. Maria e Jeanne, tuttavia, avevano sempre detto di essere troppo occupate e Priscilla aveva sempre rifiutato. In quel momento, però, annuì.
«Sai come si gioca?»
Priscilla aggrottò la fronte. Hua sospirò.
«Vado a prendere la scacchiera e poi ti spiego.»
Maria
«Queste sono le cento monete pattuite, più una piccola aggiunta per il disturbo.»
Maria fece tintinnare il sacchetto di monete in mano al capo della carovana, un beduino la cui stazza torreggiava sulla minuta corporatura della Strega. Gli occhi scuri dell'uomo, l'unica parte visibile del suo volto nascosto da un foulard di morbida lana nera, valutarono rapidamente il pagamento prima di far scivolare la borsa di cuoio all'interno delle pieghe del suo abito.
«Molto gentile da parte sua.»
Abbassò un lembo di tessuto sul viso, scoprendo la bocca e un paio di folti baffi neri. La sua voce roca e dura e la piega assunta dalle sue labbra non nascondevano il fastidio che provava.
«La prossima volta ci pensi due volte prima di portare due mocciose con sé nel deserto. Siamo guerrieri, non balie.»
La scimitarra dal manico scintillante che portava appesa alla vita sottolineò sufficientemente quelle parole senza che lui dovesse sfiorarla o accennare a essa. Maria piegò il capo.
«Mi scusi ancora. Ha la mia benedizione per le sue future battaglie.»
L'uomo scrollò le spalle e si voltò per andarsene.
«Non me ne faccio niente della sua benedizione. Kej'tan veglia su di noi.»
Maria sospirò guardandolo sparire dietro la porta di perline colorate di una casa dalla spoglia muratura gialla. “Pallone gonfiato” pensò, distogliendo lo sguardo. Gli avrebbe volentieri piantato la punta dell'ombrello nello stomaco in un'altra occasione, ma in quel momento non avevano tempo da perdere. Alle sue spalle Jeanne teneva per mano Hua e Priscilla in silenzio, lanciando occhiatacce alla nekomata che agitava le code guardando a terra. La bambina con i capelli neri, invece, si strofinava gli occhi umidi di lacrime. Maria la accarezzò su una guancia.
«Avete fatto un bel guaio, voi due.»
Mormorò sorridendo per scacciare l'irritazione. La carovana di quell'uomo era una delle poche disponibili a scortare stranieri attraverso il Plakard. Ora avrebbero dovuto affidarsi a mezzi meno sicuri per tornare indietro.
«È stata lei a cominciare!»
Si lamentò Hua. Jeanne la scosse per il braccio.
«Priscilla ha dieci anni. Saresti potuta essere più comprensiva.»
Hua soffiò scoprendo i denti.
«Imbrogliava a shogi e non mi ascoltava. E poi è stata lei a rovesciare il carro.»
Maria si passò un fazzoletto sulla fronte sudata. Oltre al sole caldo del deserto era costretta a sopportare i litigi di due bambine indisponenti. O, meglio, di una: a parte per le lacrime e i lamenti Priscilla era rimasta muta.
«Non importa chi è stato. Siamo quasi arrivate, no?»
Con una mano indicò il villaggio che le circondava. L'oasi di Kerlam non aveva che mezzo centinaio di abitanti che vivevano in casette di legno chiaro o muratura attorno a un piccolo bacino di acqua potabile, rara risorsa nel Plakard. Palme cariche di datteri e cespugli di bacche azzurre crescevano nelle piccole coltivazioni e fornivano cibo agli abitanti. Villaggi del genere nel deserto non ne esistevano che una manciata.
«Dobbiamo dirigerci un po' più a sud-est. Non mancano che pochi chilometri, possiamo farli da sole.»
Jeanne la guardò stringendo le labbra. Non sembrava entusiasta dell'idea.
«Milady, in queste terre girano predoni. Vestite così siamo troppo... appetibili.»
Non aveva tutti i torti: Maria indossava un abito viola pieno di merletti, Jeanne la sua tunica e Hua la solita giacca rossa. Priscilla, invece, aveva indosso solamente una camicia da notte bianca che le arrivava alle ginocchia. Si era rifiutata di indossare qualunque altra cosa. In ogni caso, bianco rosso e viola erano colori troppo accesi in mezzo a quel deserto di sabbia e roccia per passare inosservati. Ma per la Strega non era comunque un problema.
«Prenderemo un carro.»
Liquidò con un gesto della mano. Per quanto Kerlam fosse un piccolo paradiso non era molto diversa dalle altre città del Plakard: la maggior parte degli abitanti camminava per le strade di selciato con una mano posata sull'elsa del proprio pugnale o spada. Non erano questi gli uomini da temere: Maria teneva d'occhio, invece, quegli individui dal volto coperto che giravano senza avere armi in mostra. Fu comunque felice di constatare che, per quanto le avessero addocchiate, a nessuno fosse venuto in mente di assalirle. L'ultima cosa che voleva era attirarsi addosso tutte le attenzioni del villaggio: quelli potevano essere assassini o ladri, ma nel momento in cui li avesse sfiorati con un dito tutta Kerlam sarebbe stata contro di loro. Nel centro del villaggio, una piazzola non più grande dell'anticamera della Fortezza Oriente, una carovana di mercanti contrattava con gli abitanti grano in cambio di formaggio e lana. Mercenari armati di moschetti e spade lunghe facevano la guardia con le teste ciondolanti per il gran caldo. Lì una vecchia venditrice di foraggio da Basiledra le accolse nella propria tenda. Parlava in maniera gentile e sorrideva spesso alle due bambine, ma a Maria non sfuggì il bagliore nei suoi occhi quando fissava la borsa per le monete appesa alla vita di Jeanne. Preparò loro un pasto a base di spiedini di agnello piccanti accompagnati da pane fritto e verdure alla griglia che consumarono attorno a un piccolo tavolo rotondo. Offrì loro anche una brocca di vino dolce del sud che Maria rifiutò con garbo. Con quel caldo bere vino era un suicidio. Hua divorò con gusto la propria porzione, e se non fosse stato per le occhiatacce di Jeanne ne avrebbe chiesta un'altra. Priscilla, invece, mangiò a malapena qualche boccone, poi, rossa in viso per bruciore, svuotò il proprio bicchiere d'acqua in un sorso e non toccò più nulla. A fine pasto fu servita una teiera di porcellana bianca piena di tè nero caldo. Hua e Priscilla si erano addormentate sulle proprie sedie, la testa posata mollemente sullo schienale. Jeanne si tese per scuoterle ma Maria le fece cenno di lasciarle dormire.
«Credo che faccia bene loro un po' di riposo. Stanno crescendo. E poi Priscilla non dorme mai la notte.»
Mormorò nella lingua delle terre d'oriente versandosi il té nella tazza. La vecchia era uscita dopo aver portato il tè, ma qualche mercenario avrebbe potuto sentirle, e quello non era il genere di discorsi che la Strega avrebbe voluto che qualcuno udisse.
«Me ne sono accorta.»
Grugnì la volpe. Spesso la bambina la svegliava la notte scuotendola, senza poi dirle il motivo. A volte si metteva a piangere. Jeanne non riusciva più a sopportarla.
«Probabilmente ha paura del buio.»
Rise Maria, sorseggiando la propria bevanda. Era leggermente troppo speziata per i suoi gusti.
«Manca poco al luogo in cui dobbiamo arrivare. Dovrai resistere solo un altro giorno.»
Jeanne si mise a mescolare la tazza con svogliatezza. Lanciò un'occhiata preoccupata a Priscilla. Aveva il coniglietto di pezza stretto contro una guancia e il suo petto si alzava e abbassava appena sotto la camicia. Vi era qualcosa di triste nella sua espressione. Pareva un cucciolo abbandonato che dorme aspettando che la mamma ritorni. “Un cucciolo dagli artigli terribilmente affilati.”
«Quella bambina è pericolosa. L'ha detto lei, Milady. Ho paura che possa fare del male a Hua.»
Maria scostò una ciocca di capelli dal viso di Priscilla. A quanto pareva dietro l'atteggiamento da mamma premurosa anche Jeanne temeva la bambina.
«Non è di lei di cui devi aver paura. È di ciò che sta dentro di lei. Quello, e della gemma nera che tiene in mano.»
«Ha quasi rovesciato un carro con un pugno.»
«L'ha fatto perché Hua l'ha picchiata.»
Jeanne volse gli occhi al cielo. Maria allontanò da sé la tazza con una mano. Comprendeva l'esasperazione della volpe. Avere accanto una mocciosa in grado di sfondarti il cranio senza nemmeno volerlo non era la migliore delle situazioni. La bambina si rigirò sulla sedia, disturbata dalle loro voci.
«Jeanne, Priscilla è troppo importante. Io l'ho visto.»
«Che cosa?»
«Il motivo per cui stiamo facendo questo viaggio.»
Sorrise socchiudendo gli occhi scarlatti. Passo i polpastrelli sulla guancia liscia di Priscilla, carezzandola appena.
«Dio.»
Priscilla
«Stai bene, piccola?»
La ragazza con il vestito viola le passò una mano sulla fronte sudata. Priscilla annuì appena senza sollevare gli occhi dal pavimento del carro. Un peso le opprimeva le viscere e le rendeva difficile respirare, ma non voleva far preoccupare Maria. Lei l'aveva sempre trattata con gentilezza e l'aveva difesa quando la bambina con le orecchie di gatto le aveva fatto male. Si rigirò davanti agli occhi la gemma nera che teneva in mano. Le pulsava debolmente fra le dita come se fosse dotata di vita propria, ma al suo sguardo non era altro che una piccola pietra scura decorata con minuti intagli. Il battito diventava più intenso man mano che il carro proseguiva il suo viaggio nel deserto, così come il dolore alle viscere.
«Non preoccuparti. Arriveremo fra...»
Il carro ebbe uno scossone improvviso. Priscilla urlò afferrando stretta la gonna di Maria.
«Cosa succede, Jeanne? Una buca? Un...»
La ragazza ammutolì all'improvviso. La bambina sollevò gli occhi, il cuore che le batteva all'impazzata. I due cavalli pezzati che avevano comprato all'oasi stavano sbandavano fuori controllo nitrendo e scalciando. La ragazza con le code di volpe teneva strette le briglie e gridava nel tentativo di calmarli, ma questi sembravano non volerla ascoltare.
«Jeanne.»
Mormorò Maria con gli occhi sbarrati.
«Guarda.»
In lontananza di fronte a loro un turbine d'aria stava aspirando la sabbia e le rocce del deserto. Si muoveva lento, pigro, trascinandosi dietro nel proprio cammino tutto ciò che incontrava. I costoni di pietra nera si staccavano dal terreno, la terra fine andava a colorare il mulinello di rosso sangue. Da quella distanza era impossibile dire quanto fosse grande, ma a Priscilla sembrò arrivasse oltre il cielo. Un brivido le corse lungo la schiena. Cosa stava accadendo? Perché Cronos l'aveva chiamata?
«Milady... che cos'è... quello?»
Balbettò la bambina con le orecchie da gatto, nascondendo il viso fra le pieghe della giacca rossa. La ragazza con il vestito viola si passò una mano sugli occhi.
«Non ne ho idea. Dobbiamo andare avanti.»
Priscilla ebbe una fitta dolorosa alle viscere. No, non dovevano andare avanti. Erano arrivate.
«Qui!»
Gridò, afferrando il vestito di Maria.
«Cosa c'è, Priscilla?»
Domandò, voltandosi. La bambina aprì la bocca per spiegarsi ma non riusciva a trovare le parole giuste.
«Qui! Qui!»
Ripetè, incapace di dire altro. La ragazza sollevò un sopracciglio, poi afferrò Jeanne per una manica.
«Ferma i cavalli.»
La ragazza con le code di volpe strattonò le briglie con forza. Le bestie si fermarono con un nitrito all'improvviso, e Priscilla andò a sbattere la schiena contro la parete del carro. La testa le girava violentemente e aveva voglia di vomitare. Maria le carezzò i capelli con dolcezza.
«È questo il posto, piccola?»
Attorno a loro vi era una distesa di sabbia che arrivava fino all'orizzonte, tutta uguale a quella che avevano attraversato fino a quel momento. Alcune figure vagavano in quello spiazzo. La bambina diede un'occhiata alla gemma nera. Ora le vibrava così forte in pugno da farle male. Aveva paura. Strinse forte a sé Piper, il coniglietto di pezza, ma il calore non le restituì coraggio.
«Sì.»
Sussurrò. Scese dal carro con l'aiuto di Jeanne che l'afferrò per la vita. La sabbia era bollente, e quando ci posò sopra i piedi nudi lanciò un grido stringendo le dita.
«Oh, povera cara. Non ci avevo pensato. Tieni.»
La mano di Maria scomparve a mezzaria, inghiottita da una fessura nera. Un istante più tardi riapparve stringendo fra le dita due scarpette bianche di stoffa. Si sedette sulla sponda del carro per indossarle. Era da tanto che non ne metteva un paio e le trovò un po' strette, ma nel guardarsele ai piedi si ritrovò a sorridere. Jeanne e Maria parlavano fra di loro in una qualche lingua dal suono buffo. La ragazza con il vestito viola prese Priscilla per mano.
«Conosci le persone che sono qui, piccola?»
Le domandò in un sussurro. Priscilla le studiò per qualche istante. Erano tre le persone che si erano raccolte in quel punto del deserto. Vi era un uomo vestito con un mantello rosso scuro decorato con merletti dorati. Priscilla non lo aveva mai visto. Poco distante, due figure più familiari parlavano fra di loro: un uomo con un manto blu come la notte e una donna vestita di nero. Questa si voltò verso la bambina. Lei la riconobbe.
“Afrah...”
Un tremito di paura le corse lungo la schiena. Si aggrappò alla gonna di Maria stringendola forte. Ricordava cosa la donna le aveva fatto, non poteva perdonarla di aver risvegliato la Bestia.
Maria Violetta Mircalla Himmelherrin von Bucuresti
4 - Astuzia
Risorse
Energia 100% Status psicologico
Status fisico
Equipaggiamento
Parasole (Fucile, arma contundente e da affondo; mano destra) [5/5] Eros e Thanatos (Katane; impugnate da Jeanne) Comete (x20) (Kunai; possedute da Hua)
Passive An eternal being can hear voices the mortals will never know ~ Pass through the centuries Immortalità, Auspex passivo, Immunità psionica passiva
Summon of an unspeakable secret ~ Possession Evocazioni istantanee, Condivisione dei sensi con le evocazioni, +1 CS alla forza delle evocazioni
Communion between demons and mankind ~ Spiritual bond I compagni animali possono partecipare ai combattimenti e usare tecniche attingendo dalla riserva energetica del padrone
Attive
Tiny trinkets from a devastated land ~ Relic of the past [Abilità personale nulla (3/10)][Consumo nullo, evocazione di oggetti utili][Non utilizzabile in combattimento]
Vi sono terre devastate nascoste all'occhio umano. Fra le loro rovine giacciono piccoli oggetti di tutti i giorni: posate, giocattoli, chiavi... nessuno li utilizzerà più, e nessuno si importerà mai della loro esistenza. Solo Maria, con un consumo nullo, potrà aprire un portale fra Asgradel e il loro mondo attirandone uno in propria mano. Potrà prendere qualsiasi oggetto desideri e che sia capace di immaginare, ma esso non avrà alcun utilizzo in combattimento.
L'utilità di questa tecnica è da concordare con il master durante le quest.
Note
Eccoci qui. Scusate per il ritardo e il post un po' cheesy. L'uso della mia nulla per creare oggetti è solo per creare un paio di scarpe a Priscilla. Spero non sia troppo op.
Vi siete infine riuniti, fratelli di un destino fallace sin dal principio. Avete fatto in modo che le vostre forze siano indirizzate verso un unico obiettivo, sotto un solo stendardo del dominio del Tempo. Cronos è l'orologio, voi siete le lancette che continuano ad avanzare, ciechi ed obbedienti, pronti per adempiere al proprio destino. Ma ora che siete così vicini, che vi sentite come una famiglia, cosa volete fare? Il Plakard è un'immensa distesa nel nulla, lo sapete bene; né l'orologio, né le tracce che conducevano ad Ade esistono più. Tutto sembra essersi dissolto, divorato da un passato affamato di voi. Ricordate il Vaso? Molti di voi erano lì, quando è stato liberato. Molti di voi hanno potuto saggiare la sua crudeltà e la paura che riesce ad instillare nei cuori dei Titani anche solo con uno sguardo. Potete vederlo, il Vaso, è proprio lì, di fronte a voi, che cammina verso quel mulinello che sta risucchiando la sabbia come un enorme buco nero. E come granelli di sabbia inermi, anche voi sentite l'impellenza di raggiungere quel luogo che vi sta succhiando l'anima. Goccia dopo goccia, pezzo dopo pezzo, il vostro corpo sembra quasi supplicarvi di raggiungere quell'enorme fonte di potere. Eppure, allo stesso tempo, avete visto che il Vaso ci si è diretto senza esitazione. Entrare significherebbe incontrarlo di nuovo. Avere paura di nuovo. Potrebbe significare morte. Ma in fondo siete Titani, avete preso parte ad un progetto ben più ampio di una semplice scelta. Siete in grado di badare a voi stessi, in grado di governare l'intero continente, quindi il problema sembra essere svanito. Siete creature fortissime, non potete di certo avere paura della situazione, perché ne siete all'altezza e lo sapete. Siete anche uomini, però, deboli ed incerti; siete fiocchi di neve pronti a sciogliersi sul ciglio della strada. Siete mortali. Il Tempo ed il vostro Titano vi suggeriscono di continuare, l'uomo che è in voi di andare via. Siete voi a tracciare il vostro cammino.
Sono diventato suo amico? Sento come se ormai il Vaso sia parte integrante del mio essere, della stessa esistenza che mi sta rendendo incontrollato, instabile sotto qualsiasi punto di vista. Sento di dovere esplodere da un momento all'altro. Boom. Una sola esplosione, in grado di travolgere tutti. Sto cercando di resistere, di mantenere il controllo del mio corpo e della mia mente, eppure è così difficile. Come se dovessi addossarmi le responsabilità di un Tempo immaturo, incapace di deliberare il giusto cammino. Perché sto seguendo Jevanni? Lo trasporterò assieme a me in questo barlume di sana follia che ancora rimane, per poi riversarne l'umanità nell'oblio, quella voragine tanto grande da poterci inghiottire tutti. Uomini, Dei, Titani. Tutti. Sto impazzendo.
Jevanni, riesci a sentire la corrente che ti sta trascinando verso quella grotta. E' un labirinto, un reticolato impossibile da decifrare, la tana del Minotauro che è pronto a mangiare il bambino che porti con te. Lo desidera con tutto sé stesso, ma il tuo compito è chiaro: devi proteggerlo, oltre a proteggere te stesso. Le vedi, quelle luci. Riesci ad avvertirne il colore, ma non la forma. Riesci a distinguerle, quasi. Giapeto può farlo, perché ha incontrato quelle luci più volte. Non ne avete mai parlato? Non ti ha mai rivelato quello che è successo ai fratelli meno fortunati di lui? Non la morte, né l'estinzione, ma un trattamento ben peggiore, che riesce a consumare il tuo spirito nel lungo termine, straziando la tua voglia di vivere. L'immortalità rilegata a quel preciso luogo. La grotta dei Titani. Più ne attraversi i percorsi, più riesci ad avvertire la sofferenza di quelle anime erranti. Anche Noah riesce a sentirle, puoi avvertire il suo lamento interiore, contorto in quella che sembra essere compassione.
Guarda quella luce, quella che brilla più di tutte. Quella è la risposta che cerchi, anche la gemma nera nella tua mano te lo suggerisce. Non ti resta che una cosa da fare. Prendila.
CITAZIONE
QM Point.
Benvenuti.
Grim, Neve, Albtraum e Hole. Riuscite a vedere il Vaso di fronte a voi - un enorme creatura che suscita in voi un senso di terrore molto profondo -; vi guarda, ma vi ignora e continua verso il mulinello. Ne viene risucchiato e sparisce. A questo punto dovete decidere cosa fare: entrare anche voi o andarvene, consci del fatto che sapete che Crono vuole che andiate nel mulinello. Continuate in confronto per decidervi. Mi piacerebbe che postaste in confronto senza però mettervi d'accordo per vie private, per rendere al massimo la caratterizzazione del personaggio. Una volta che avrete deciso - dovrà essere una decisione unanime; in casi estremi dovrete forzare la minoranza a seguirvi - avrete quattro giorni per postare.
Coldest. Entriamo nella grotta - che è un reticolato complessissimo di gallerie scavate nella roccia - e inizi a vedere delle luci che galleggiano nell'aria; sembrano umani, ma non riesci a coglierne esattamente le forme - come fantasmi -. Cammini per qualche minuto, poi la tua attenzione viene rapita da una di queste luci, ben più luccicante rispetto alle altre. Sembra inoltre avere delle forme molto più delineate, umane. Non appena ti vede inizia a scappare, quindi la tua Dark Soul inizierà a brillare molto forte, spingendoti a catturare quella luce - o comunque a fermarla, in qualche modo -. Hai due slot tecnica per fermarla - puoi anche ordinare a Noah di utilizzare una delle sue, di tecniche, utilizzando però tua energia e tuo slot -. Non è estremamente veloce, però sembra percorrere un percorso ben definito nelle gallerie. Il termine per postare è lo stesso dei tuoi compagni - in linea di massima quattro giorni più il loro tempo di confronto -.
Non aveva immaginato che la grotta potesse essere così grande. Il fresco al suo interno lo distrasse dai suoi pensieri, persino strappandogli un mezzo sorriso sollevato. Noah lo guardò distrattamente per qualche attimo, la testa leggermente ciondoloni di chi è confuso. Nemmeno Jevanni, a dirla tutta, aveva idea del perché esser lì dentro gli avesse messo l'anima in pace. Come se sino a quel momento quel rifugio fosse stata la sua meta iniziale.
No, loro dovevano uscire da lì, ripercorrere a ritroso i cunicoli e ritornare sotto il sole dell'Akerat. Dovevano andarsene da quel deserto, tornare in un qualche luogo più favorevole. Lui doveva tornare nelle terre dell'Eden, e Noah...
...Noah. Jevanni, inavvertitamente, strinse le dita in un pugno. Noah a quel punto non aveva un posto in cui tornare, non in quelle condizioni, e certamente non dava cenno di voler uscire. A quel punto le gambe li stavano trascinando nelle viscere di pietra di quell'antro, sempre più in fondo, quasi al punto in cui i loro occhi non sarebbero riusciti a distinguere nel buio le proprie braccia.
Fu allora che la vide: una luce, un bagliore che si librava nell'aria come una lucciola. « ...la vedi anche tu? » sussurrò al bambino, ma nella penombra non riuscì a scorgere nessun cenno - si limitò ad andare avanti, sempre stringendo la mano allo spadaccino e quasi portandolo con sé. Alla fine anche l'albino si costrinse ad avvicinarsi, seppur rimanendo cauto. Man mano la lucciola divenne più grande, quasi quanto loro, e ad essa se ne aggiunsero sempre più - una moltitudine, come una folla, abitanti inquietanti di una città nascosta agli occhi dell'uomo. Non erano fantasmi di Velta.
Tese la mano in avanti, cercando di sfiorare il lume alla propria destra, quando avvertì un brivido all'altezza delle costole. Infilò la mano in una delle tasche adiacenti, e quando questa riemerse fuori con una sfera racchiusa fra le dita lo stupore si tramutò in timore. La Dark Soul brillava forte, più di quando l'aveva osservata appena uscito dalla locanda, rischiarando le pareti della grotta. Con urgenza, quasi.
Alzò lo sguardo per scorgere davanti a sé, e comprese la ragione: una delle luci davanti ai due era più imponente e sfavillante delle altre, più netta, più...umana. E la sfera nel suo palmo gli stava intimando di afferrarla.
In quel momento accaddero due cose, entrambe troppo repentine perché lui avesse modo di fermarle: la luce si voltò per quanto una luce potesse farlo e iniziò ad allontanarsi nei tunnel, falcate d'argento a mezz'aria che si andavano spegnendo nella distanza.
La seconda a muoversi fu, al limite della sua vista, la figura minuta di Noah in avanti. « No, fermo! » Lo spadaccino gli sbarrò con un braccio la strada, ma dalla mano sporta di fronte a sé l'altro fece apparire catene nere come la pece. Queste bucarono la luce che adesso illuminava le pareti di roccia, come lampi neri balenanti verso la sagoma in fuga, sotto lo sguardo atterrito dell'albino, paralizzato dalla confusione e dall'espressione feroce del piccolo.
Lenta l'immensa creatura, inesorabile nei suoi passi. Avanzava certa e sovrana in quella distesa di sabbia. Ed il deserto quasi stette ad ascoltare il suono della sua avanzata. Li vide, quel vaso pregno dei mali più reconditi. Li vide - fratelli di epoche ancestrali, Titani dai molti volti e dalle tante anime - ma passò avanti. Come se già sapessero cosa fare, come se in realtà non vi era alcun bisogno di indurli ove lui volesse. Ove il Tempo li aveva condotti. Il cuore di Afrah si strinse, non fiatò, non si mosse. Rimase ferma a fissare il mostro. Gli occhi vitrei e rubescenti erano due gocce di sangue sul deserto celato. Schiacciata, soppressa dalla sua immensità. Il mulinello si aprì allora ad accogliere la creatura, inghiottendola nelle sue brame vorticanti. Il vaso scomparve, ed insieme ad esso il tremore che invadeva le membra della giovane banshee. Il suo corpo fragile si svuotò come fosse stato liberato dalla sua mortalità ed intriso invece di un sentimento più grande, di una volontà più ferrea. Ed in quel momento Afrah non fu più donna terrena. Non misera creatura del mondo, ma Parca, Titanessa ed insieme fortezza. Detentrice del fato e della morte inesorabile. Adesso più di prima sapeva a cosa poteva andare incontro. Parlò allora il suo Nur in mezzo al silenzio dei volti astanti.
" Quel vortice mi inquieta, ma siamo tutti qui per una ragione, e mi sembra chiara. Cosa facciamo? Andiamo? "
Lo vide ergersi incerto in quel mare tumultuoso, guidato e protetto da una volontà più grande di lui. Era sempre Jace, l'uomo dallo sguardo di ghiaccio e dall'animo pavido. Era lui, ma era qualcun'altro. Incerto e sicuro allo stesso tempo. Si fece allora coraggio, spronata non solo dalla voce delle sue antiche sorelle, ma anche dalle parole del Cartomante.
"Si, dobbiamo andare." Disse dunque laconica. "Il Tempo vuole così e noi lo faremo, o non sarebbe valsa a nulla la sua chiamata."
E gli occhi guizzarono a destra e a sinistra in cerca di risposte, sui volti dei suoi compagni, dei suoi fratelli. Il suo sguardo si posò sul ragazzo dal purpureo manto e sugli occhi scarlatti della fanciulla bionda. Non li riconobbe ma proruppe gentile.
"Sono stata scortese a non presentarmi, venerabili. Mi chiamo Afrah, lieta di conoscervi."
Esordì poi chinando il capo cortesemente, così come indicava l'etichetta. Così come le usanze volevano. Perché in fondo, nonostante fosse pervasa dal titanismo in tutta la sua essenza e triplicità, rimaneva solo e soltanto Afrah la beduina del deserto. Figlia del meridione ed indossatrice di maschere di circostanza. E gli occhi codardi evitarono le pozze celesti e timorose della piccola Priscilla. Era lei la bambina dal dolce odore di morte. Era lei la figlia che avrebbe potuto amare, colei che il suo animo allora più cupo aveva rifiutato. Rigettandola in un mare di sofferenze. La piccola non l'aveva ancora perdonata, non poteva farlo. Ed Afrah lo immaginava mentre il suo cuore se ne doleva immensamente. Si morse le labbra, nervosa.
"Io sono Taliesin, Venerabile Afrah. E vedo che ci stiamo muovendo come pedoni su di una scacchiera. Sempre dritto. Non siamo davvero capaci di fare altro? Ci sono solo pericoli, in quella direzione."
Diceva adesso sbottando, l'uomo dal manto purpureo. In disaccordo con le loro ragioni, ma forse più conscio di ciò che stava accadendo.
" E noi siamo Jace Beleren, un cartomante, ed Epimeteo, Titano del ripensamento. " "Ceo, Titano della Saggezza." "Io... io sono Febe..." "Noi siamo Cloto, Lachesi ed Atropo. Le Parche." Rispose per ultima Afrah. " Il nostro fato è già impresso nello stame e l'unica soluzione sarebbe quella di andare avanti. "Ma ascoltiamo qualsiasi altra proposta. Voi cosa pensate di fare, venerabile?"
"Se volete ascoltare il mio parere, io seguirei quella... cosa." Sorrise allora la fanciulla bionda. "Purtroppo non credo di avere un nome altisonante come voi. Chiamatemi solo Maria."
" Sembra che siamo quasi tutti d'accordo. Messer Taliesin, voi avete perfettamente ragione, io per primo odio essere manipolato. Ma qui le alternative sono poche, o andare o aspettare. E l'ultima volta che sono stato in questi luoghi noi e gli altri titani siamo stati attaccati da alcuni esseri che dire bizzarri è poco. Credo che sia meglio andare avanti e cercare di dire la nostra all'occasione più propizia."
Silenzio.
Il Tempo parve fermarsi allorché Ceo e Febe si unirono in una calda stretta. Le loro labbra si giunsero, quasi ritrovatisi dopo un lungo periodo di separazione. I due Titani furono fratelli ed amanti insieme. I due Titani furono sposi. Ma Taliesin e Priscilla ora erano un uomo ed una bambina. Afrah stette a guardare, incredula. Incapace di dire o fare alcunché. Incapace di emettere alcun suono dalle sue sottili labbra di fico. L'immagine l'aveva turbata e afflitta allo stesso tempo. Cominciò a tremare. Così, istintivamente, la sua piccola mano fredda e affusolata si strinse dentro quella grande e calda di Jace. Ora erano un tutt'uno col deserto.
"Non lasciarmi sola." Gli sussurrò tremante. " Non lo farò, Nur el ayni." Rispondeva allora il suo baluardo, la sua fortezza. Luce dei suoi occhi, ora la chiamava. " Non lasciarmi nemmeno tu. "
Uniti si mossero verso il vortice, consci del pericolo ma forti nell'animo. " Allora andiamo, e che il fato ce la mandi buona. "
Energia: 100% Stato Fisico: Illesa 16/16 Stato Psicologico: Illesa 16/16 Kukri: riposto Spilli: 20/20 Foglie di Kahab (Erba ricostituente): x2
PASSIVE:
CITAZIONE
♦La Banshee: ❖ Afrah e Tayf sono, insieme, un’unica Banshee, ogniqualvolta la Banshee incrocerà lo sguardo con un individuo di potenza pari o inferiore alla sua, esso percepirà un lieve timore che sfocerà in un leggero brivido di paura. [Passiva razziale Avatar] ❖ La Banshee non sviene al 10% di energia. [Abilità personale] ♦Il Velo: ❖ La banshee è capace di evocare le proprie difese in maniera istantanea ed inconscia, senza alcun vincolo di tempo o concentrazione. [Passive del Talento Guardiano,I e III livello] ❖ Qualsiasi difesa a trecentosessanta gradi avrà potenza pari al consumo impiegato per generarla. [Passiva del Talento Guardiano II livello] ♦Né in Paradiso Né all'Inferno: In particolari condizioni di calma e concentrazione la Banshee sarà in grado di levitare. [Pergamena del Ladro Sostegno] ♦ La ragazza Nessuno: Anti auspex. Chi è nelle vicinanze della Banshee non potrà localizzarla, tanto meno avvertirne la presenza. [Artefatto "Il Pianto delle Parche"]
Rimase immobile, il bardo. Attonito, fissava la creatura mentre scompariva nel vortice, incapace di fare o di dire niente. Ceo, dentro di lui, era straordinariamente inquieto. Anche gli altri presenti rimasero in rispettoso silenzio, mentre in tutti quanti cominciava a crescere la consapevolezza di quello che, infine, avrebbero dovuto fare.
«...»
Respirò profondamente, cercando di fare chiarezza nei suoi pensieri. Qualcosa lo spingeva verso il vortice, ma si trattava più di un'imposizione esterna che un suo bisogno, e lui non era di certo uno che seguiva incondizionatamente il volere altrui. Proprio questo lo sconvolse: il volere del Tempo, ciò da cui lui per tanto tempo era scappato, era sempre più manifesto e intenso. E lo stava incatenando a un destino che non desiderava davvero.
Era così assorto nei suoi pensieri, il cantastorie, che quasì non sentì le parole dell'uomo, il cartomante: anche lui intimorito dal vortice, ma anche lui desideroso di agire. Erano tutti lì per un motivo, in fondo, e restare fermi o scappare non era più un'opzione possibile. Afrah, così si chiamava la donna vestita di nero, si presentò dopo aver chiarito la sua opinione in merito al vortice: seguire il volere del Tempo poiché altrimenti, sosteneva, la sua chiamata non sarebbe valsa a nulla. Il bardo si mordicchiò un labbro, mentre turbolente obiezioni si accumulavano sulla punta della lingua. Il risveglio di Ceo aveva portato il suo cinismo a livelli incredibilmente pericolosi. «Io sono Taliesin, Venerabile Afrah» cominciò, caustico. «E vedo che ci stiamo muovendo come pedoni su di una scacchiera. Sempre dritto. Non siamo davvero capaci di fare altro? Ci sono solo pericoli, in quella direzione».» il suo torno tornò normale, e riuscì a non scomporsi più di tanto. Jace Beleren e Epimeteo: con questi nomi si presentò l'uomo. «Oh, giusto. Siamo» aggiunse il musicista, senza mascherare il grande disagio che lo turbava. Spostò il turbante che gli copriva il viso, per risultare un po' più riconoscibile. «Ceo, Titano della Saggezza» declamò sontuosamente lui, accennando un inchino. «Dunque?» chiese, impaziente: i pensieri volavano già molto lontano da lì ma bastò una voce, un nome, per spezzare loro le ali. Brividi.
Lo chiama per nome, la piccola Febe.
La sua voce basta a cancellare ogni altra cosa: Cloto, Lachesi, Atropo sono le ultime parole che raggiungono le sue orecchie, già attutite dall'ullato del vento caldo che spazza il deserto. Ceo riemerge, travolto dalle emozioni, ma prima di parlare si ferma. Ha paura di quel vortice dentro di lui, e fa un passo indietro, chiudendosi in se stesso. Deve pensare.
Taliesin percepì solo un brivido, e improvvisamente comprese chi aveva parlato: non solo una piccola bambina dai capelli neri e dall'aspetto inquietante, ma anche Febe, la Titanide dell'Oscurità. Ceo aveva aperto una porticina a Taliesin, che ora capiva una parte dei turbamenti di quello. «F-Febe» farfugliò, impacciato. Si domandò come avrebbe dovuto comportarsi adesso: aveva davanti una sconosciuta o la sua sorellina e consorte per l'eternità? Era così confuso, combattuto tra due emozioni contrastanti, che nemmeno riusciva a ragionare. Si inginocchiò, senza parlare, le prese la piccola mano e la baciò delicatamente. «Ti seguirò. Tu cosa vuoi fare?» le parole gli uscirono dalla bocca senza che lui lo volesse. Le due mani gli afferrarono la nuca: in una frazione di secondo Ceo si intromise violentemente, e tutto ciò che lui vide fu il deserto rosso che si tingeva di bianco.
Un bacio, che per il Titano ha il sapore dell'inchiostro. Le loro labbra si sfiorano per un'eternità - troppo poco. Quando si staccano, lui ascolta il suo sussurro.
«Credevo non ti avrei mai più rivisto, Ceo»
Le mani si congiungono e le dita si intrecciano: quello è un contatto? Per un attimo quei due corpi gli sembrano estranei e fastidiosi, e si sente imprigionato in essi.
«Se ci fosse solo più tempo per stare insieme sarei più felice»
La sua voce è flebile e innocente proprio come lui la ricordava.
«Cronos ci chiama, mio Ceo. Ho rifiutato l'Olimpo perché tu non c'eri più. Adesso prendiamolo assieme»
L'avrebbe seguita in capo al mondo e si sarebbe trascinato dietro il bardo, se quello avesse solo osato tirarsi indietro. Non risponde, si limita a guardarla: il resto non ha davvero alcuna importanza.
Per la prima volta Taliesin e Ceo furono insieme, e videro dagli stessi occhi senza che le loro volontà facessero attrito tra di loro. Le due personalità combaciavano, anche se a fatica, l'una l'opposta dell'altro: i due poli di un magnete.
Taliesin strinse la bambina a sé, mentre nei suoi pensieri nasceva una nuova melodia: note di un piano che risuonavano chiare e drammatiche nell'etere; note che forse mai nessun pianista avrebbe potuto suonare.
Vi prego di ascoltare i 30 secondi dell'ultima traccia (devo ringraziarti, Ast) che mi sembrava parecchio azzeccata. And there's nothing more to say (si tratta dell'Ending Theme della serie televisiva Haven). Chissà, magari Noah la suonerà, prima o poi. Again, passive. Lo status genereale è, ovviamente, ottimale.
Ammaliamento psionico passivo: natura psionica; il caster emanerà un’aura di fascino e ammirazione, che influenzerà chiunque sia presente nei dintorni, interpretabile in base alla psicologia dei personaggi colpiti. Mente Impenetrabile, pergamena comune: difesa psionica passiva, intesa come straordinaria forza della personalità del possessore. Non protegge da tecniche attive. Amuleto dell'auspex: auspex uditivo passivo, inteso come straordinaria acutezza di udito, che renderà il possessore capace di essere sempre consapevole di quel che lo circonda, e di inviduare i nemici anche meglio occultati. "Nessuno farà domande a chi si nasconde allo sguardo della gente"; Passiva: qualora lo desiderasse, il mantello potrà celare sotto di esso le aure, proteggendole da auspex passivi. Passiva: il possessore di Scarabio non emetterà rumore alcuno mentre camminerà, perché il peso del suo corpo sarà pari a quello di uno scarabeo.
La sabbia si sollevava leggera, e Jace le attribuiva non la fastidiosità delle mosche ma il calore delle carezze. E tutto in quel nulla privo di vita, desolante e arido, anzi gli suggeriva una piacevolezza intima, forse una felicità tranquilla. Il gorgo che tutto divora non lo turba, non se ne cura nemmeno. Poiché tutto ai suoi occhi rifletteva il candido sorriso di Afrah e la dolcezza delle sue iridi rosse, che invece a molti invece inquietava a tal punto da far cambiare strada, per non dire di peggio. Ormai lui si era abituato a quel cipiglio terribile che tanti spaventava, a quel manto di creatura ultraterrena che si portava addosso benché ogni tanto il suo corpo rabbrividisse inconsapevolmente. Uno scotto che era più contento di pagare. Non che gli altri suoi fratelli e sorelle, gli altri titani che attendevano assieme a loro fossero meno particolari. Non riconosceva nessuno che avesse incontrato prima d'allora, soltanto la giovane bimba di cui non ricordava il nome o forse non l'aveva mai saputo. Di certo fra la piccola e la beduina vi era quell'intesa che nasceva dagli incontri particolari. Anche lei emanava un che di inquietante, l'impressione che c'era troppo di sbagliato in quella bambina, come lui stesso aveva impegnato nella scorsa avventura. A differenza dell'ultima ora però pareva aver trovato una badante o forse una madrina, qualcuno talmente folle da seguire quel demone nel suo cammino. Lo stregone non avrebbe saputo trovarsi al suo posto. L'altro ragazzo invece aveva un aria simpatica, di qualcuno con cui passare piacevolmente un pomeriggio d'estate o una mattina primaverile; non di certo qualcuno con affrontare una guerra. Si stava basando sull'apparenza, ma non aveva altro su cui giudicare ancora. Sperava seriamente di sbagliarsi.
Mancava Jevanni, il bianco guerriero che si era sacrificato per la loro missione, rimasto da solo a difenderla quegli schifosi abomini. Mancava Carillion e la sua bertuccia, che aveva incontrato prima a Yoshikawa e poi in quello stesso deserto. E mancava anche l'altra coppia, Aron e... e non ricordava il nome della ragazza. Erano forse morti per qualche servizio di Crono o per motivi che non c'entravano nulla? Avevano forse, a differenza sua, resistito al richiamo, preferito la propria vita al dovere?
E invece un altro sopravvissuto di quella storia c'era, fino a quel momento non l'aveva notato ma ora la sua presenza si spargeva a macchia d'olio come la più terribile infestazione di cavallette o una diceria in paese, ma cento volte più malvagia. Era fracasso che assordava l'anima e brivido che schizzava su tutta la pelle. Era il Vaso. Quell'essere tumultuoso solcava il deserto come un aratro fa con un campo dissodato: dritto e senza incertezze; e in un istante svanì nel mulinello che tutto assorbiva. Non l'avrebbe mai seguito, se fosse stato solo e libero, avrebbe girato i tacchi e se ne sarebbe andato il più lontano possibile. Ma Epimeteo in fondo glielo aveva già detto, in una guerra si devono affrontare nemici mortali, e danzare assieme alla morte. E poi lui aveva affianco Afrah, sebbene non lo spaventasse fare la figura del codardo, mai avrebbe permesso di lasciarla sola contro quel mostro. E nel suo sguardo di rubino c'era la determinazione di andare avanti; e lui sarebbe stato con lei.
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" Quel vortice mi inquieta, ma siamo tutti qui per una ragione, e mi sembra chiara. Cosa facciamo? Andiamo? " Come tutti i codardi, per dimostrare di non esserlo, fu il primo a parlare con spavalderia, incitando all'avventura quando era il primo a non chiederla. "Si, dobbiamo andare. Il Tempo vuole così e noi lo faremo, o non sarebbe valsa a nulla la sua chiamata."
Nessuno sapeva bene come approcciarsi, erano un po' fratelli, e lo sentivano in una maniera impalpabile. Però non si conoscevano e sopratutto non si fidavano l'uno dell'altro. Erano non solo persone diverse, ma anche più costretti che uniti ad una causa in cui credevano. Non era la necessità a unirli, nemmeno il caso crudele ma equo. Era il padre a unirli: lui era il quadrante dell'orologio, e loro i segni che indicavano le ore, ognuno rivolto verso una direzione diversa e tutti costretti a stare dentro il cerchio. Fu la beduina a smorzare la tensione e dare tutti l'occasione di avvicinarsi.
"Sono stata scortese a non presentarmi, venerabili. Mi chiamo Afrah, lieta di conoscervi." "Io sono Taliesin, Venerabile Afrah. E vedo che ci stiamo muovendo come pedoni su di una scacchiera. Sempre dritto. Non siamo davvero capaci di fare altro? Ci sono solo pericoli, in quella direzione." " E noi siamo Jace Beleren, un cartomante, ed Epimeteo, Titano del ripensamento. " "Ceo, Titano della Saggezza." "Io... io sono Febe..." "Noi siamo Cloto, Lachesi ed Atropo. Le Parche." Il nostro fato è già impresso nello stame e l'unica soluzione sarebbe quella di andare avanti. "Ma ascoltiamo qualsiasi altra proposta. Voi cosa pensate di fare, venerabile?" "Se volete ascoltare il mio parere, io seguirei quella... cosa." Sorrise allora la fanciulla bionda. "Purtroppo non credo di avere un nome altisonante come voi. Chiamatemi solo Maria."
Come aveva sospettato la donna non faceva parte dei titani, era solo la governante di Febe, o qualcosa di molto simile. Sperava potesse dimostrarsi utile in qualche maniera e non soltanto a sistemare qualche camicetta. Ceo invece aveva pienamente ragione, ed era quasi sul punto di cambiare il suo parere quando fu Epimeteo a spintonarlo, a spingerlo nella via che aveva scelto. " Sembra che siamo quasi tutti d'accordo. Messer Taliesin, voi avete perfettamente ragione, io per primo odio essere manipolato. Ma qui le alternative sono poche, o andare o aspettare. E l'ultima volta che sono stato in questi luoghi noi e gli altri titani siamo stati attaccati da alcuni esseri che dire bizzarri è poco. Credo che sia meglio andare avanti e cercare di dire la nostra all'occasione più propizia."
Poi avvenne l'impossibile, qualcosa che non si aspettava di vedere: la bambina baciò Taliesin, non con l'affetto tipico dell'infanzia, ma con la consapevolezza di un adulto e il coraggio che a lui e Afrah mancavano. Era doppiamente turbato da quella effusione spontanea, sia per l'immagine di per sé turbante sia perché in qualche maniera lo sminuiva. Lui che non aveva motivo per vergognarsi, esitava anche a dare una carezza a Afrah. E che diritto aveva lui di giudicare quegli altri? Non aveva lui stesso un manto nero di colpe a gravare sulla sua anima? A quanti infanti aveva tolto il futuro agli ordini dei suoi padroni e quanti aveva condotto ai bordelli di Ca'aanan nello Xuraya? Non era stato mercenario e assassino, compagno di schiavisti e servo di dittatori? Poteva realmente permettersi il lusso di scandalizzarsi?
Lui, misero mortale, era il vero demone in quel fazzoletto di deserto, e non c'erano giustificazioni che avrebbero potuto cambiarlo; si voltò perciò verso colei che poteva consolarlo. La luce dei suoi occhi.La mano di lei s'allungava tenue verso di lui, sfiorandola come facevano i raggi del sole con la rugiada del mattino. Lui la strinse, fermo, cercando di cancellare ogni disagio e prosciugare ogni sua debolezza. "Non lasciarmi sola." " Non lo farò, Nur el ayni.
Non lasciarmi nemmeno tu. "
Un ultimo sguardo verso i suoi compagni, un primo passo verso la sua meta. " Allora andiamo, e che il fato ce la mandi buona. "
Stato Fisico: Perfetto; Stato Psicologico: Perfetto; Energia: 100 %
Mastigos:I Mastigos sono più potenti ingannatori. Essi possono lanciare le sue tecniche di illusione, infatti, anche nel caso in cui fosse completamente immobilizzato ed imbavagliato: non avrà necessità di alcun movimento per ricorrervi né di pronunciare alcuna parola. Sono in grado di modificare a piacimento il tono, il volume e il luogo di provenienza della propria voce. Potrà farla suonare blasfema e cavernosa come quella di un demone; potrà ingigantirla al punto da assordare i propri avversari; potrà farla sembrare un sussurro proveniente da poco distante alle orecchie dei suoi alleati, e molto altro ancora. I più potenti possono inoltre fondersi nelle loro stesse illusioni. Fintanto che sul campo di battaglia sarà presente un'immagine richiamata da lui, infatti, egli potrà modificare a sua volta anche il suo aspetto, assumendo qualsiasi forma e dimensione desideri. Questa mutazione - seppur ingannando tutti i sensi dell'avversario - sarà tuttavia soltanto un'illusione e non donerà al possessore del dominio alcuna capacità aggiuntiva rispetto alle sue. Infine essi non svengono una volta raggiunto il 10 % dell'energia sebbene muoiano una volta esaurita la riserva energetica. Inoltre la sua aura risulta invisibile agli auspex di natura magica. [ Passive di Talento (I, II, III) e Razziale e Personale]
Cappa:Il più appariscente degli indumenti del Cartomante, un enorme drappo azzurro ricoperto di simboli argentei che cinge le sue spalle e lo copre fino alle caviglie. Pur essendo fatta di semplice stoffa, per quanto di buona qualità, non è in alcuna maniera capace di proteggere lo Stregone, se non dalle intemperie. Sotto di essa è però celato un robusto corpetto di strisce di cuoio, tinte del medesimo colore. L'armatura lo copre dalle spalle alla vita, lasciando però libere le braccia, garantendo così una completa mobilità ed una moderata protezione al busto. [Armatura Leggera al busto]
Sigillo dell'acchiappasonni: Un ninnolo di capelli intrecciati delle tribù dello Xuraya che racchiude all'interno uno spirito maligno dei sogni. L'essere intrappolato al suo interno non solo è innocuo per il suo portatore, ma anzi lo fortifica. La potenza magica sovrannaturale della creatura gli permette di essere pari ai più grandi Illusionisti, aumentando i poteri del suo Dominio di un livello. L'essere inoltre conferisce la capacità di vedere l'invisibile, sotto forma di auspex di potenza passiva. Inoltre forte delle memorie e delle capacità dello spirito Jace è inoltre capace di utilizzare le pergamene della Classe Ladro. [ Cristallo della Conoscenza e Tomo Furtivo e Bracciali dell'Auspex - Cucito sulla cappa ]
Frusta: Dalla rigida maniglia color terra bruciata nasce il corpo vero e proprio dell'arma fatto in un cuoio molto più chiaro intrecciato per due metri e mezzo alla cui estremità termina con una piccola lama curva, come un minuscolo kama, in ferro brunito, quasi nero; questa testa può essere rimossa. [Arma da corpo a corpo - Legata al ventre]
Le petites Thriompes: Il secondo mazzo dei Tarocchi è composto da Cinquantadue carte divise in quattro semi, come molti mazzi da gioco, che forse hanno ispirato o da cui han tratto ispirazione. Esse presentano la medesima qualità, sia per carta che per i motivi riprodotti, delle sorelle Maggiori ma presentano una importante differenza: Venti di esse nascondono sotto una leggera sfoglia cartacea un'anima metallica e sono appositamente bilanciate per essere scagliate. [ Arma da lancio - Tasche interne della cappa - 20/20]
Alito di Nebbia: Questa piccola biglia metallica contiene un particolare Gas compresso fino ad occupare tutto il volume della sfera. Una volta rotto il contenitore la sostanza si spande nell'ambiente velocemente, generando in pochi attimi una densa coltre di fumo grigio. I fumi che si sprigionano non sono venefici in alcuna maniera né dannosi ma per la loro natura sono capaci di oscurare la vista per qualche secondo, dopo il quale si diraderanno, con la stessa rapidità con la quale erano comparsi. [Fumogeno ]
Bacio del Bufo: Questa piccola biglia marrone contiene un liquido poco denso, verdognolo, che presenta dei riflessi giallastri sotto la luce del sole. Qualora il contenitore si rompesse, liberebbe un Gas che una volta inalato causa nel malcapitato delle Allucinazioni, che si manifestano nella forma di piccole creature dalle fattezze orrende, asimmetriche pronte a tormentare la vittima; causando un danno di entità Basso alla psiche della vittima. [Veleno Psionico ]
Polvere di Lucciola: Una sfera che può generare un immenso flash in grado di accecare chiunque l'osservi. Il flash svanirà nell'arco di un secondo, ma sarà abbastanza potente da riportare i demoni in forma umana. [ Bomba Accecante ]
Soffio di Puck: Una biglia metallica che dopo un urto deciso rilascia una densa nube violacea, che persiste per qualche secondo e poi si dissolve nell'aria. Chiunque respiri questa nebbia proverà un lieve senso di stordimento, e i suoi sensi risulteranno leggermente offuscati per i prossimi due post di combattimento. [Stordente ]
Note: Ho approfittato per mettere qui tutto lo specchietto in anticipo, anche se non ve ne è ancora necessità. Non penso abbia molto da aggiungere.
La volpe afferrò con forza la spalla sinistra di Maria stringendo le unghie dentro il vestito. La donna sollevò lo sguardo dal viso di Priscilla e lo puntò all'orizzonte, là dove il turbine risucchiava la sabbia del deserto. Una figura alta quanto la torre della Fortezza Oriente avanzava verso di esso a passi ampi e lenti, barcollando sulle proprie gambe dall'aspetto scheletrico. Aveva le guance scavate e gli arti simili ai rami secchi di un albero, ma ciascuno di essi era almeno spesso quanto un tronco. Priscilla e Hua nascosero il viso nella gonna della Strega tirandosi il tessuto viola sulla testa. Era quello il Dio di cui aveva parlato milady? Era quella... cosa che avevano inseguito dall'oriente fino lì? Jeanne cercò gli occhi della padrona. Un brivido le corse lungo la schiena quando vide il sorriso dipinto sulle sue labbra.
«Magnifico...»
Mormorò, posandosi una mano sul petto. Tremava, Jeanne non capiva se per la paura o l'eccitazione. No, quell'abominio non era magnifico. Guardarlo le pungeva le pupille come se stesse fissando il sole. La creatura allungò una mano verso il vorice. Il nero delle sue dita si mescolò al rosso della sabbia piegandosi e confondendosi a essa. Seguirono le braccia, le spalle, la testa e il resto del corpo. In un istante il gigante sparì risucchiato e tutto quello che rimase di lui fu l'ansia che martellava nel cuore di Jeanne.
«Su, se ne è andato, potete alzarvi.»
Maria passò le dita fra i capelli delle due bambine spaventate. Hua si voltò lentamente a controllare che il mostro fosse veramente scomparso. Aveva il viso paonazzo i suoi occhi lucidi tremavano. Jeanne prese un fazzoletto da una tasca interna alla manica e le asciugò le guance.
«Il vaso...»
Sussurrò Priscilla. Maria aggrottò la fronte.
«Di cosa stai parlando, piccola?»
Le alzò delicatamente il mento con un dito. Al contrario di Hua, non era rossa né aveva pianto: la sua espressione era vuota.
«Il vaso...»
«Quale vaso?»
«Pan... Pandora.»
Jeanne si passò una mano sulla fronte con un sospiro. Ogni risposta che dava quella bambina non faceva altro che generare altre domande. “Almeno ha qualcosa in comune con Milady”.
«Quel vortice mi inquieta, ma siamo tutti qui per una ragione, e mi sembra chiara. Cosa facciamo? Andiamo?»
Propose l'uomo con il mantello blu. Jeanne strinse le labbra. Non potevano fidarsi di quelle persone, eppure Maria era completamente indifferente. Poteva essere tutta una trappola, un'illusione, a partire da quella bambina dalla forza spaventosa. La volpe lanciò un'occhiata sospettosa a Priscilla. La piccola cullava fra le braccia il coniglietto di pezza con le palpebre socchiuse. In qualche maniera Jeanne la trovava inquietante, starle vicino le faceva venire le farfalle allo stomaco. Avrebbe voluto avere la stessa sicurezza di Milady quando la abbracciava, eppure ogni volta temeva di essere stritolata.
«Signora, cosa ha intenzione di fare?»
Parlò nella lingua orientale avvicinandosi alla Strega. Lei le fece cenno di tacere con la mano.
«Sto tentando di capirlo. Stanno succedendo troppe cose che non riesco a comprendere.»
Aveva una mano posata sulla fronte e gli occhi rivolti verso il basso. Li chiuse lentamente con un respiro profondo.
«Loro sono... dei, credo. In qualche maniera lo sono. In passato hanno perso una battaglia.»
Sollevò lo sguardo con un sospiro. Jeanne alzò gli occhi al cielo sgombro di nuvole. Altre domande senza risposta. La faccenda stava iniziando a darle sui nervi più del caldo che le picchiava in testa. Avrebbe voluto consigliare di tornare alla Fortezza Oriente e lasciar stare quella faccenda, ma Maria non avrebbe mai accettato. Non con la speranza di poter incontrare Dio.
Priscilla
«Ceo, Titano della Saggezza.»
Priscilla sollevò la testa dall'animale di stoffa sbarrando gli occhi. Il cuore le cominciò a strepitare in petto. Era stato il ragazzo sconosciuto, quello con gli ampi mantelli a parlare. Il suo viso non le diceva niente, così come i vestiti o il modo di parlare, eppure quel nome lo conosceva. Era stato in un sogno di tanto tempo prima, così lontano che si stupì di riuscirlo a ricordare. “Non voglio questi ricordi” singhiozzava una bambina con i capelli come l'oro. “Dì a Mnemosine di strapparli”. Si avvicinò al ragazzo a passi lenti, gli occhi perduti nel vuoto. Piper le scivolò di mano e cadde nella sabbia, imbrattandosi tutta la pelliccia di rosso. Qualcuno alle sue spalle lo raccolse e la chiamò, ma la bambina non comprese cosa le veniva detto.
«Ceo?»
Mormorò, afferrando un lembo del mantello del bardo. L'uomo abbassò lo sguardo su di lei, l'espressione sorpresa.
«Io... io sono Febe...»
Priscilla sorrise, eppure gli occhi le pizzicavano forte. Prese una mano del ragazzo fra le proprie e la strinse forte. Non sapeva quello che stava dicendo o facendo, sapeva solamente che dentro al petto aveva un grande calore.
«Sono... felice di rivederti.»
Posò la mano di Ceo sulla propria guancia e chiuse gli occhi. Era più calda del sole.
«F-febe.»
Farfugliò il ragazzo, inginocchiandosi di fronte alla piccola. I suoi occhi erano di un verde limpido in cui ci si poteva specchiare. Lui le baciò la mano.
«Ti seguirò»
Sussurrò appena.
«Tu cosa vuoi fare?»
Priscilla sospirò. Affondò le dita nei capelli castani di lui e lo attirò a sé alzandosi sulle dita dei piedi. Lo baciò.
Maria
«Non sono del tutto sicura che la faccenda sia lecita.»
Rise maliziosa con una mano di fronte alla bocca. La risata non servì a scacciare la morsa che le attanagliava lo stomaco. Ricordava un altro bacio come quello, il bacio che suo padre aveva dato a una bambina con i capelli rosa. Strinse forte l'ombrellino fra le dita. Sarebbe bastato girare il manico nel senso giusto e il Casanova sarebbe caduto con il cranio sfondato fra le sabbie. Un brutto ricordo. Come suo padre. “No” pensò la Strega, rilassando la presa. Non poteva mandare all'aria tutto, non dopo aver faticato così tanto per arrivare fino lì. Quello straccione con i capelli sporchi di polvere poteva baciare la bambina se ci teneva tanto. Se avesse voluto se la sarebbe potuta persino fottere. In ogni caso lei rimaneva sua.
«Facciamo in modo di non rimanere ignorate, qualunque cosa succeda. Fate la conoscenza dei nostri nuovi amichetti appena ne avete la possibilità.»
“E preparatevi a piantare loro un coltello nella schiena” nascose in un sorriso. Jeanne annuì rigida. Maria sapeva quanto a lei non piacesse avere a che fare con le armi, ma spesso uccidere era l'unica scelta possibile.
«Se volete ascoltare il mio parere, io seguirei quella... cosa.»
Aprì l'ombrellino per ripararsi la testa dal sole cocente. La tela bianca scintillava sotto quella intensa luce.
«Purtroppo non credo di avere un nome altisonante come voi. Chiamatemi solo Maria.»
Li scrutò con un sorriso sulle labbra. Probabilmente si stavano chiedendo cosa ci facesse lì qualcuno che non fosse dei loro. Non aveva importanza. Finché aveva speranza di incontrare Cronos, avrebbe sopportato qualsiasi occhiata insolente.
Maria Violetta Mircalla Himmelherrin von Bucuresti
4 - Astuzia
Risorse
Energia 100% Status psicologico
Status fisico
Equipaggiamento
Parasole (Fucile, arma contundente e da affondo; mano destra) [5/5] Eros e Thanatos (Katane; impugnate da Jeanne) Comete (x20) (Kunai; possedute da Hua)
Passive An eternal being can hear voices the mortals will never know ~ Pass through the centuries Immortalità, Auspex passivo, Immunità psionica passiva
Summon of an unspeakable secret ~ Possession Evocazioni istantanee, Condivisione dei sensi con le evocazioni, +1 CS alla forza delle evocazioni
Communion between demons and mankind ~ Spiritual bond I compagni animali possono partecipare ai combattimenti e usare tecniche attingendo dalla riserva energetica del padrone
Attive
Comprehension of the language of Gods ~ Omniscience [Abilità personale nulla (4/10)][Consumo nullo, visioni di un qualsiasi avvenimento nel passato/presente/futuro][Player killing]
La conoscenza degli uomini normalmente è limitata agli avvenimenti che sono già accaduti o che stanno accadendo in quel preciso momento attorno a loro. Il futuro è uno schermo inaccessibile per loro. Maria ha il potere di forzare i limiti del tempo per entrare a conoscenza di qualsiasi cosa, senza alcun limite. Passato, presente o futuro non fanno distinzione, così come il luogo. Visioni le sveleranno qualsiasi accadimento, e lei potrà sfruttare questo nuovo sapere a proprio vantaggio. Tuttavia, la sfasatura dei limiti temporali non è stabile, ed è possibile che le visioni risultino poco nitide o addirittura si rifiutino di mostrarsi.
È una nulla di Player Killing, il suo utilizzo va concordato con il master in caso di quest e con l'avversario in caso di torneo.
Note
Pedofilia e post schifoso. Alè.
Enjoy it
EDIT: il disegno era sbagliato. Priscilla era letteralmente senza corpo. Ora dovrebbe essere giusto.
La sensazione di fallimento sta opprimendo la vostra anima da quando siete entrati. Potete ben vederle, quelle scene che avete già vissuto e che avreste tanto voluto dimenticare. Nemmeno riuscite a scindere la realtà dal sogno, in questa dimensione, assistendo nuovamente alla vostra caduta; quell'evento che cambiò la vostra posizione, tagliandola di netto. Vi era stata messa avanti una scelta e voi avevate scelto Crono, avevate deciso di seguirlo in qualunque sua azione perché egli era stato capace di creare una famiglia, di darvi una casa, di identificare gli altri titani come fratelli. Di farvi stare bene, in fondo, una sensazione che di certo l'Olimpo non vi aveva mai procurato. Poi però la sventatezza e la bramosia del Primo Titano vi aveva condotto al fallimento, riducendovi a semplici uomini. Lasciandovi in balia del destino. Voi, che avreste dovuto poterne modificare qualsiasi aspetto. Eravate schiavi di un errore che forse, oggi, rimpiangete più che mai. Siete disposti a seguirlo di nuovo, nonostante vi abbia fatto perdere tutto ciò che avevate. Ma forse voi lo avete interpretato solo come un riprendersi ciò che è suo. Nulla, in fondo, era destinato a voi; il suo era piuttosto un favore dettato dalla cordialità e dalla voglia di crescere attorniato da persone che lo vogliono bene. Altruista da un lato, estremamente egoista dall'altro. Siete caduti di nuovo nella sua trappola apparentemente paradisiaca. Avete creduto al suo lato altruista, quello che vi mostra assieme al suo mondo fatto di lancette e ticchettii. Vi ha ingannato. Di nuovo.
Silenzio, adesso. Il mondo sta crollando su sé stesso.
« Eccoli. I Titani, fratelli di Crono, figli dell'Olimpo, mortali che ascendono al cielo. » La figura di Ade si stagliava in tutta la sua austerità, galleggiante nel cielo di quella che sembrava essere una dimensione più onirica che reale. I dettagli sembravano sparire, al suo interno, così come gli intenti della famiglia di Titani. Dove li aveva condotti Crono? « Gli Inferi stanno reclamando le vostre anime. In quanto Overlord, io, Ade, non posso deluderli. Raccatterò le briciole di divinità che risiedono nel vostro corpo e lascerò la vostra parte umana vuota, costretta a vagare per l'eternità.
Venite a me, miei fedeli servitori! La morte reclama il vostro intervento. »
Tutto prese a colorarsi di un rosso sbiadito, le fiamme iniziarono a consumare il terreno sul quale poggiavano i piedi i Titani e due nuove forme originarono da esse. Cerbero, il cane infernale. Il gigante cane a tre teste, guarda scelta per la difesa di Ade. Carone, il traghettatore infernale. Colui il quale accoglieva e divorava le anime meno importanti, trasportando ad Ade coloro che invece conservavano nel loro corpo una forte energia spirituale. Forse si trovavano all'Inferno, o forse no. Quello che era certo è che dovevano sbrigarsi. O sarebbero stati consumati dalle fiamme anche loro.
« Il tempo scorre, mezzidei. » E svanì, lasciando solo il suo sorriso malefico.
E' già segnato, il mio destino. Sto solo percorrendo una strada già solcata in precedenza. Il Mostro mi suggerisce di andare avanti, ma ho così paura da tremare. Vorrei gridare, ma non posso; non faccio che aggrapparmi agli altri, come fossero barlumi di speranza adatti alla mia situazione. Vorrei che qualcun altro facesse il lavoro sporco per me, che mi liberasse una volta per tutte di questo fardello. vorrei così tante cose, ma non posso avere niente, perché non ho più un futuro, se non quello di morire. Sacrificarmi per gli altri servirà a qualcosa? No. Il Tempo vincerà, ne sono certo. Vincerà ancora ed ancora, fino ad ottenere quello che desidera. Dovrei lasciarmi morire. E liberare questo mondo dal Mostro che è in me.
Non appena le catene toccarono il corpo del fantasma di luce, questi si fermò; la materia incorporea del quale era fatto sembrava poter evitare qualsiasi contatto. Eppure i ricordi sembravano aver fatto eccezione. La memoria aveva ragionato e gli aveva permesso di ricordare. Lui conosceva quei due individui, non doveva scappare. « Mnemosyne, sei tu! Mia amica fidata, ti ho cercato a lungo tra le anime dei Titani. Non è riuscito ad imprigionarti, ne sono estremamente felice. » La figura lucente sorrise appena, poi abbracciò Noah, che respirava a fatica. Il titano dei ricordi portò le mani alla testa; si sentiva estremamente instabile, pronto ad esplodere. Stava male. « Giapeto, anche tu sei salvo. Che sollevazione. » Le catene tornarono alla spada della memoria, Noah si distaccò di qualche metro dal fantasma. Semplicemente non capiva. « Sono io, Crono. Il vero Crono.
Dopo la nostra sconfitta, il mio recipiente ha trovato il modo di liberarsi di me, ottenere i miei poteri e rilegare me e tutti i Titani che aveva già rintracciato in queste gallerie. Siamo prigionieri del suo volere da tantissimo tempo, ho perso il conto dei secoli ormai. Quello che voi chiamate Crono, fratello, non è altro che un impostore. La mia ragione di vita è ormai svanita assieme alla mia sanità mentale. Ciò che rimane del senno di Crono è racchiuso in questa White Matter, materia che conserva l'anima di un Titano, quella esclusiva. Quando si raggiunge il Desiderio, l'Asgradel, allora i due corpi possono scindersi ed il Titano divora l'anima del suo recipiente per creare una sola entità. Ma lui.. lui mi ha tradito. » Lo sguardo basso e malinconico. Il suo fallimento. « Prendetela. Prendete la White Matter e scappate, prima che sia troppo-! »
CITAZIONE
QM Point. Grim, Neve, Albtraum e Hole. Il tempo perso a ragionare vi costa caro. Oltre alla sabbia, quel mulinello stava risucchiando anche la vostra energia. Ognuno perde il 15% delle proprie energie. Entrate infine nel Mulinello, una dimensione onirica che vi fa rivivere le scene della vostra sconfitta. Ad un certo punto, però, questa dimensione inizia a sgretolarsi e ad infiammarsi. Fa la sua apparizione Ade, che dopo avervi minacciato evoca due creature: Cerbero e Caronte. Cerbero è un cane infernale, un enorme colosso nero a tre teste. Caronte è un uomo apparentemente innocuo, dai tratti scheletrici. Entrambi possiedono una passiva di timore, che però sembra amplificata dalle fiamme. Il mondo onirico sta per distruggersi, dovete uccidere entrambi, ma dovete farlo in fretta!
Coldest. Le catene raggiungono il corpo della figura, ma lo attraversano. Qualcosa però succede; sembra che i ricordi vengano a galla e lo spirito si avvicina a te e Noah e vi parla. In realtà quello è lo spirito di Crono, che è stato debellato dal corpo del suo recipiente proprio da questi, esprimendo un desiderio - probabilmente all'asgradel -. Per maggiori informazioni leggi la nuova scena Cronos.
Rimando tutti a questa scena: Divorzio. Buon lavoro.
Jevanni - Immediatamente dopo la spiegazione del vero Crono, un'ombra emerge alle sue spalle e lo uccide definitivamente: è l'Innominato. Il Conte pretende da Jevanni e Noah l'oggetto che hanno appena ottenuto, la White Matter. Poco prima di questi avvenimenti, Jevanni percepisce l'avvertimento di Luna che avviene attraverso un flash istantaneo. Il Guerriero dell'Inverno capisce immediatamente che la scena appena vissuta non è nient'altro che una primitiva forma di illusione psionica, probabilmente castata inconsciamente dall'Innominato stesso. Sta a lui decidere cosa fare, ma attento: dopo la dipartita di Crono, le luci sparse per la caverna sembrano essere attratte dall'Innominato e soggiogati dalla sua stessa presenza. Se inizi un combattimento, il Conte non esiterà ad usare questi fratelli di Crono contro di voi.
Tutti - Per postare avete fino a Venerdì, ore 18:00. A voi!
Cerbero, fiera crudele e diversa, con tre gole caninamente latra sovra la gente che quivi è sommersa. Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra, e 'l ventre largo, e unghiate le mani; graffia li spirti ed iscoia ed isquatra.
C r o n o s ~ Riunione III
Gli antichi la chiamavano As-sahra' Ash-sharqiyah, la grande distesa orientale. Il luogo dei silenzi e delle risposte. La sabbia fine si sollevava ora dal terreno allorché i piedi dei fratelli si infossavano entro il mulinello del terrore. L'intero deserto li inghiottì, fagocitandoli nel suo antro di misteri. Afrah rimase salda, si fece trascinare dal vortice cercando di mantenere la propria lucidità. Cercando di affrontare le sue paure. Perché quei granuli roventi erano in realtà abbraccio e fuga da un presente pieno di domande, un ritorno alle sue antiche memorie, quando ancora abitante del deserto si faceva cullare dal suo caldo suolo. Si sentì cadere, si sentì trascinare e ghermire. Le gambe e le braccia, ed il viso come grattati da una ruvida coperta. Sentì le membra fiaccarsi, le gambe tremolare appena, e la mano sottile quasi scivolare dalla ferrea stretta del Cartomante. Il suo corpo tutto cadde in una spirale eterea e fumosa, la sua mente viaggiò per antri ed epoche, ed anni e sogni. Guerre. Si rivide in quella distesa di corpi, combattenti, sovrani, fratelli, Titani. Lei era lì, loro lo erano. Cloto e Lachesi. La madre e la figlia, la nascita e la vita. Tessevano i fili degli uomini, indicavano loro il destino. Ma mai come quella volta avevano filato il loro. Si erano trovate a combattere una battaglia che in nessun modo avevano potuto prevedere. Un esito scritto non nello stame del fato, ma nelle loro azioni conseguenti. Erano giovani, troppo giovani. Benché il loro tempo fosse ormai finito. E quando l'ultimo baluardo di speranza cedette il posto alla disperazione ella si mostrò. Atropo apparve recidendo la vita.
« Noi siamo già morte. » Diceva. Gli occhi incavati, le rughe profonde sul viso. Linee e solchi di vuoti e memorie. Il Tempo attraversava quella pelle cadente, la morte l'aveva nel viso. E con quel viso pallido stette a fissarle, entrambe. Entrambe sue figlie, entrambe sue sorelle. Come se non avesse avuto nient'altro che loro. Si dice che Atropo fosse rimasta la sola, alla fine dell'universo. E quando fu il suo momento, ella tagliò il suo filo. Aveva molto aspettato quel giorno. Rinacquero poi gli uomini, rinacquero il cosmo e le anime erranti. Rinacquero anche loro, ma furono schiave. Intrappolate in abissi di tenebra e cieli senza luce. Per molto avevano invocato con voce fioca di ritornare unite, per molto tempo erano state divise. Finché un giorno si ritrovarono nel guscio fragile della banshee, di nuovo insieme. Mai più da sole.
Ed Afrah sentì allora, ancora una volta, il corpo fremere ed insieme svuotarsi. Una fredda sensazione di distacco attraversò le sue intere membra, come se fosse stata privata della sua anima. Come se il timore le avesse strappato la forza. Frinì sotto il gelido soffio delle sue paure. Si sentì schiacciare, opprimere. Poi si riebbe. Aprì gli occhi e la vita continuò a scorrere placida attraverso la sua pelle. La mano destra era lì, avvinghiata con tutte le forze alle dita di Jace. Troppo forte, come se avesse avuto paura a lasciarla anche solo un'istante, poiché se solo lo avesse fatto allora si sarebbe persa in buie memorie. Lasciò la presa e chinò il capo in basso tra l'imbarazzo e la vergogna di essersi comportata come una bambina.
"Sc...scusami." Gli sussurrò ad un passo dal suo viso. Mentre tutto intorno a lei la realtà cominciava a plasmarsi. Fiamme, ardenti spire di distruzione. Fuoco che divorava l'aria e la terra sotto di loro. Prese a crepitare inondando l'aere di fumo opprimente. Si sgretolò ogni forma di esistenza e parvenza di sogno. Una figura adesso primeggiava in quel rosso senza fine. Ade, re degli inferi, sovrano delle anime e dei dannati. Il suo Iblìs dei racconti del meridione. Il maligno, il nero sovrano che tutto arraffava con la forza. Finanche l'amore della bella Persefone. Lo vide ergersi in un mare di crepitanti fiamme. Lo vide sorridere, saziarsi delle loro paure ed invocare a sé i suoi fedeli servitori. Lo vide tutto e non seppe far nulla. Dalle fiamme cocenti si sollevarono potenti Caronte e Cerbero. L'uno era uomo, spirito e spettro. Traghettatore di anime, arido e muto. L'altro era canide trino, mostro a tre teste composto. Forte di ringhio e di latrati, creatura fedele assoggettata al suo padrone. Ed in po' si rivide in esso, Afrah dal candido viso. Triplice creatura in balia degli istinti, violenta e fedele al fu Hamza, il signore dei suoi incubi. Ma ora non più il suo cuore era stretto da morse di tenebra, ora Nur aveva spezzato quelle nere catene. Ora il suo animo risplendeva di fiducia, palpitava trepidante verso un futuro più conscio e reale. Certo adesso il suo corpo trasaliva e la sua pelle si riscoteva alla vista di quelle immane creature. Certo la sua antica fiamma tremolava alla vista di fiamme più grandi. Mai più però avrebbe permesso al terrore di divorarla da dentro.
Energia: 100% - 15 % - Medio 10% - Medio 10% = 65% Stato Fisico: Illesa 16/16 Stato Psicologico: Illesa 16/16 Kukri: riposto Spilli: 18/20 Foglie di Kahab (Erba ricostituente): x2
PASSIVE:
CITAZIONE
♦La Banshee: ❖ Afrah e Tayf sono, insieme, un’unica Banshee, ogniqualvolta la Banshee incrocerà lo sguardo con un individuo di potenza pari o inferiore alla sua, esso percepirà un lieve timore che sfocerà in un leggero brivido di paura. [Passiva razziale Avatar] ❖ La Banshee non sviene al 10% di energia. [Abilità personale] ♦Il Velo: ❖ La banshee è capace di evocare le proprie difese in maniera istantanea ed inconscia, senza alcun vincolo di tempo o concentrazione. [Passive del Talento Guardiano,I e III livello] ❖ Qualsiasi difesa a trecentosessanta gradi avrà potenza pari al consumo impiegato per generarla. [Passiva del Talento Guardiano II livello] ♦Né in Paradiso Né all'Inferno: In particolari condizioni di calma e concentrazione la Banshee sarà in grado di levitare. [Pergamena del Ladro Sostegno] ♦ La ragazza Nessuno: Anti auspex. Chi è nelle vicinanze della Banshee non potrà localizzarla, tanto meno avvertirne la presenza. [Artefatto "Il Pianto delle Parche"]
ATTIVE:
CITAZIONE
# CANTO ♦ Non guardare ~ "Non guardare piccola mia, mantieni puri i tuoi occhi. Perché il tempo è una condanna e la vita sfugge tra le mani dei nostri soldati." Si narra che in tempi di guerra le donne del Sud erano solite addormentare i loro bambini con questa dolce nenia per non far vedere loro gli orrori e le stragi. Essa è infatti una particolare canzone che Afrah imparò tramandatale da sua nonna. Da piccola, la beduina non sapeva cosa in realtà celasse il melanconico motivo, ma in tempi più recenti ella ha scoperto il suo reale scopo. Con un consumo di energie medio, la banshee cantando potrà ricreare un'onda psionica che generi una luce accecante o tenebre nere nella mente dei nemici a seconda della situazione. Questa malia priverà gli avversari per brevi istanti della vista, e infliggerà un danno basso ad area da confusione. [Pergamena del Mentalista "Allucinazione"]
CITAZIONE
Crescendo La voce della banshee è malleabile e mutevole, si innalza e si acuisce nelle note alte. Si abbassa e si fa cupa nei motivi più bassi. Afrah ha sviluppato una tale capacità vocalica ed un uso eccelso del diaframma che quando lo vorrà sarà in grado di generare, con il solo volere della voce, delle esplosioni nello spazio che percepisce, dalle dimensioni e dalla potenza variabile a seconda del consumo. Quando la sua voce si farà più acuta e stridente quindi, all'interno di un canto, potrà generare fino ad un massimo di quattro esplosioni contemporanee. La potenza ed il danno, di magica natura, saranno equipartite tra le stesse e saranno direttamente dipendenti dal consumo. [Pergamena del Mago "Dominio delle esplosioni"] Usato a Medio
RIASSUNTO E NOTE: Afrah cadendo nel vortice rivive la sconfitta delle sue antiche sorelle Parche, sentendosi fiaccata non solo nelle energie ma anche nell'animo. Al cospetto di Cerbero e Caronte è terrorizzata, ma ripromettendosi di essere forte dinnanzi agli altri e vedendo Jace che già compie le sue magie si decide ad attaccare le due creature. Canta "Non Guardare" (Pergamena del Negromante "Allucinazione") e successivamente con un "Crescendo" di voce (Pergamena del Mago "Dominio delle esplosioni") crea tre esplosioni contemporanee di potenza Media equipartite contro le tre teste di cerbero. Infine lancia due spilli, uno in direzione della fronte centrale del canide, l'altro in direzione della sua gola sinistra.
- Le azioni con Jace sono state concordate. - Afrah attacca cronologicamente dopo le azioni di Jace - I versi ad inizio post e la citazione di Afrah alla fine sono un omaggio al sesto canto dell'Inferno.