Se non puoi leggere, prova a scrivere. Così dicono alcuni relativamente al futuro. E io ho deciso di provare, di smettere di aspettare che ogni cosa mi venga addosso come ho fatto in passato. Ho scelto di rinascere per affrontare le ombre di questo mondo e non farmi nuovamente sconfiggere. Sì, così ho fatto. Mi sono già arreso una volta, mi sono lasciato sommergere dalle acque e così sono affogato, riuscendo a tornare a galla soltanto grazie all’aiuto di qualcuno: del mio caro Adrian. Ora, però, devo camminare da solo. Solo dovrò cercare queste ombre, l’Oscurità, e affrontarle, dovessi anche immergermi in essa. Ma questa volta non sarà un’immersione soave, per non vedere al di fuori e per scappare, no. Questa volta sarà un gesto per vincere questo male, questa pesantezza che come un macigno continua a sembrare inamovibile. Tuttavia prima dovrò affrontare i miei simili, coloro che non ce l’hanno fatta. Coloro che sono morti e hanno portato dietro di sé tutto il rancore, tutta la disperazione del loro trapasso. L’hanno urlato, l’hanno vissuto con tutta la loro anima, ma non è rimasto loro altro se non quest’ultima, usurpata di ogni virtù positiva per lasciare il posto a soltanto il male più grande che potesse esserci: la morte e la rinuncia. La possibilità di andare avanti è ormai perduta, per loro. In questo lugubre campo di cenere soltanto qualche lapide emerge, solo qualche sporadico fuoco fatuo fa la propria apparizione per poi svanire nel nulla. Persino il cielo è celato, ogni astro è nascosto dietro un velo di nebbia impenetrabile, da un clima innaturale che impedisce di vedere chiaramente al di là dei propri arti. Pure io sono sommerso da questa coltre immonda, che impedisce di osservare e giudicare, che mette paura anche solo al minimo passo. Ma io non ho paura. Non posso averne, non devo averne. Anch'io sono una stella, ormai. Sono rinato, mi sono infuocato e dunque reincarnato. Seppure sia circondato da ombre, so dove trovare un minimo di luce. Un fuoco che non smetterà mai di bruciare finché l’ultima speranza del mondo non sarà andata perduta. Ho molte colpe anche io, come i carnefici di questi morti sotto il terreno pure io ho ucciso. Quel che ho ucciso, però, è me stesso. Mi sono suicidato, ho rinunciato alla vita per poi ricercarla, sebbene non per miei fini mortali. Morendo non ho pugnalato soltanto il mio corpo, ma anche quello di chi mi era vicino. Ho ucciso una parte di loro, così che fosse divorata dai sensi di colpa, sempre più tenaci, mai leggeri nemmeno dopo il trapasso. Credevo fosse una soluzione, ma la coscienza umana è ben lontana dal concedere che il suicidio o l’omicidio siano tali.
Come mi aspettavo, eccola apparire. Madre, sapevo ti saresti trovata qui. Sottoforma di spirito, incappucciato dietro una maschera, con le lacrime agli occhi. La Luce, la mia cara Pyx, mi ha guidato fino a te per provare a salvarti. Non puoi però sentirmi, dietro quel lungo mantello etereo e oscuro che t’impedisce di andartene da questo mondo, ma anche di vivere davvero di nuovo. Potrei riconoscerti tra mille in questa nebbia. Il tuo sguardo ti tradisce, disperato e pieno di sensi di colpa. Sei stata uccisa, madre. Sei morta quando sono venuti a depredare il villaggio e nella disperazione, nella tua avarizia, hai perso tempo a nascondere i tuoi beni preziosi anziché scappare subito. Forse ti saresti salvata, forse no, ma di sicuro ti sei condannata da sola come io feci con me stesso. È forse questa tua morte ingiusta a trattenerti in questa dimensione anziché raggiungere la Quarta? Oppure è la mia colpa? Ti ho abbandonata, madre. L’ho fatto per il tuo bene, speravo ti potesse giovare. Ora, tuttavia, so bene che non è stato così. La nostra presunzione, la nostra freddezza ci ha spinti a pensare che potessimo fare l’uno a meno dell’altra. E possiamo, possiamo in qualche modo. Ma non con uno strappo, non a causa nostra, altrimenti la fine giungerebbe per entrambi, come è stato. Una fine travagliata, persi in due deserti differenti ma ugualmente dolorosi. Io ho, però, trovato la mia strada, mentre tu continui a vagare, disperata. Sarò io a liberarti da questo fardello, per questa ragione mi sono mostrato a te nella mia forma reincarnata. Sono vivo, madre. Sono rinato. Puoi avvicinarti, se vuoi, ma non toccare la mia pelle. Siamo due esseri differenti ormai, ma un tempo eravamo simili, quando entrambi eravamo umani. Eravamo ugualmente freddi e ci volevamo bene, ma eravamo anche egoisti allo stesso modo. Perché sì, il mio suicidio non è stato altro che un gesto egoista. Speravo di salvarvi così facendo, ma non ho pensato alle conseguenze che avrebbe avuto su di te. Sono scappato, non riuscivo più a respirare. Perché, no, non è stata l’acqua la prima a sommergermi, non per prima almeno, quanto la sofferenza in cui mi facevi vivere, in cui continuavamo a stare in attesa di una ben più forte. Ti avvicini, madre. Allunghi la tua mano scheletrica, quell’arto morto che ancora si muove. Io non posso però permettertelo, non posso lasciare che tu mi tocchi e infetti la mia anima con il tuo fiato d’oltretomba. Eppure con le tue unghie vuoi colpirmi, vuoi farmi provare quel che hai visto. Il sangue spilla dal mio fianco mentre provo dolore fisico, semplice male come quello che ho vissuto in passato, minimo rispetto a quello che ancora ricordo, però, alle fiamme che ho scelto affinché mi divorassero per rinascere. Vuoi che veda quel che hai vissuto, ma non posso permettertelo, no. Devo evitarlo, devo impedirlo. Non posso farmi vincere dal tuo antico dolore, troppo vecchio ormai e troppo profondo perché possa sopportarlo davvero. Eppure lo vedo, debole ma comunque lancinante. Vedo la tua disperazione quando hai scoperto che ero morto, il tuo senso di colpa quando vedesti i miei abiti sulla riva del fiume. E cercasti, cercasti il mio corpo ma non lo trovasti. Le tue lacrime, il tuo cordoglio, la tua chiusura a ogni cosa che non fosse legata al tuo piacere mortale. La tua continua fuga. Lo so, madre. So di aver sbagliato, ma pure tu hai fatto lo stesso. Avresti dovuto porre fine a quella situazione disperata prima, avresti dovuto continuare anche tu a nuotare anziché galleggiare mentre io affogavo, troppo occupata a non sprofondare tu stessa per guardarti attorno. Ti ho perdonata, però. Per questo sono venuto qua, perciò cercherò di purificarti. Non allontanarti da questa fiamma rossa, non lo fare. Non puoi eluderla, mia cara madre, non puoi. È un fuoco troppo puro perché un essere come te possa scapparvi e resistervi. È lo stesso grazie al quale io sono rinato, quello che ha divorato il mio vecchio Io per rendermi nuovo. Lascia che divori anche te, che ti faccia rinascere a nuova vita nella Quarta Dimensione. Non scappare. È inutile, è tutto inutile. Non puoi colpirmi con i tuoi arti scarnificati, non puoi colpirmi nemmeno con il tuo coltello. Sei così ostinata a ripagare i debiti di questo mondo, a denunciare il tuo dolore, che non ti accorgi della sua caducità. Tutto è passato, madre, molti, moltissimi anni fa. Tutto s’è dissolto, come sta facendo ora l’arma tra le tue mani, trasformata in polvere. Non puoi nemmeno fuggire né farti scudo con le creature che provi a evocare. Altri fantasmi, altri debolissimi spettri d’ossa che riemergono dalle lapidi. Li conosco troppo bene per farmi impaurire da loro, come da te. Sono stato morto per più anni e ho visto l’aldilà che tu e loro ancora non conoscete. Non sono rimasto legato a questo mondo come tu hai fatto. Posso purificare anche loro con il mio fuoco rosso. Ti precederanno soltanto, ma non ti potranno proteggere nemmeno. Conosco troppo bene l’oscurità perché tu possa vincermi con essa. Non ha effetto su di me, non può colpirmi. Pure il mio corpo, questo nuovo fragile contenitore, è solo un’emanazione temporale, qualcosa di caduco come il resto del mondo. Posso trasformarlo in sabbia e formarlo di nuovo, è immune a ogni alito di vento proveniente dall’oltretomba.
Madre, madre. Ti supplico. Lasciati vincere, lasciati condurre in un mondo migliore, un posto eterno dove non sarai più dannata. Lascia che ti ci accompagni. Sarà doloroso bruciare, ma ti salverà come ha fatto con me. Permettimelo. Sei disarmata, sei senza compagni, senza via d’uscita. Non puoi toccarmi, non puoi vincere. Puoi solo arrenderti all’inevitabile. Continui a evocare forze oscure, ma ti stanno abbandonando. Questa coltre nera che mi mandi contro non ha alcun effetto. Posso fermarla con un semplice pensiero. E anche questa sofferenza, questo terribile dolore che mi mandi contro e che mi penetra la mente, già la conosco. L’ho vissuta, tante volte. Sento le tue urla, il tuo male. Ma è sempre lo stesso, ripetuto ad oltranza tanto che qualunque mortale, se non impazzisse, si abituerebbe a esso. Ti sei rinchiusa su pochi attimi perdendo tutto il resto della tua vita, tutti gli altri momenti. L’odio ti ha consumata, ti ha resa debole. Lascia che queste frecce ti inchiodino, ti espongano alla luce del sole e ti guidino. Da lì provengono, lì ti condurranno. Non devi avere paura, madre. Queste fiamme ti bruceranno e ti faranno rinascere. Riposa, lascia che la stanchezza della vita passata ti possegga. Riposa in pace, così... Finalmente potrai dire che la tua fine è giunta e sei pronta a ricominciare. Persino tu, mamma. |