Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Winterreise ~ Täuschung, Capitolo VII: Inganno

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view post Posted on 24/1/2014, 01:11
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Lithien La Bella.
Infiniti miti e leggende si son succedute nel tempo circa la sua nascita. Fardello del nord, speranza e cordoglio per tutti coloro che han vissuto le pene di una vita straziata tra l'intolleranza ed il dolore. Dimora di tutti gli dei e, con essi, di tutte le verità degli uomini, di tutte le materializzazioni del bene che ciascun uomo immagina per se e per i propri figli. Questo era, sopratutto, Lithien: la dimora del domani. Il fulcro di ogni preghiera, che avrebbero trovato tra le sue torri bianche accoglimento ed accettazione, al di là della lingua, della forma o della natura. Il futuro per ciascun essere vivente, nel rispetto e nella lealtà.
Questi i concetti che accompagnano i testi sacri che ne hanno narrato le origini.
Quanta verità ci sia in quelle parole, l'avremmo scoperto solo molto tempo dopo, evidentemente.
Ed a caro prezzo.

inganno1


Gli occhi dello spettro fissavano intensamente la rocca, con una punta di commozione.
Erano anni che non l'aveva vista così da vicino, potendone finanche mirare le insenature tra le case. Eppure, il rimorso non gli lasciava tregua.
Anzi, se possibile, cresceva di intensità ad ogni sguardo posato, ricordandogli quanto il suo aspetto attuale fosse anche causa sua.
Lithien era cresciuta tra le cime alte dell'Erydliss, confondendosi tra di esse come fosse una di loro. Una bianca vetta, eretta in tutta la sua imponenza come un fulcro bianco di speranza, dai muri candidi come la neve ed i torrioni imponenti che dominano la vallata sottostante. All'interno si sviluppava come un groviglio di insenature, strettoie viali ed edifici che si incastrano tra loro, nascondendo biblioteche, templi ed abitazioni. La città si sviluppa come una montagna, mentre l'imponenza delle strutture cresce col crescere dell'altura. Dai quartieri più popolari, in basso, erano situati gli accessi per i quartieri più alti e ricchi, fino al quartiere più importante, ovvero l'Acropoli di Lithien, nel quale era eretto il Pantheon degli dei, quel tempio della speranza anni addietro orgoglio e prestigio di tutta la regione. Un tempo, inoltre, non aveva mura, giacché rispecchiava la volontà dei padri di tollerare chiunque chiedesse asilo ad essa: ampi giardini circondavano la città, con vie alberate atte ad accogliere chiunque volesse accedervi. Senza pregiudizi o dubbi.
Ora, invece, le rovine delle abitazioni confinanti erano state ammassate intorno ad essa, simulando una cinta muraria che proteggesse la città dai pericoli esterni.
I cunicoli interni, inoltre, sembravano bui e spaventosi, dissacrando quella santità che un tempo parevano riflettere a qualunque ora del giorno. La città era un crogiolo di livore e paura, inarcandosi in se stessa preda di ferite, crepe ed amenità. Buia e torva, sembrava - ormai - nient'altro che l'ombra di quei ricordi lontani.

« E' passato tanto tempo » disse, sospirando « troppo, forse. »
Si passò una mano sugli occhi, nascondendo quel rimorso in una nuvola di indifferenza. Poi tornò a fissare il suo interlocutore.
« Eppure la sua struttura è ancora perfetta, arroccata con perizia tra le vette dei monti. Si confonde con lo scenario » disse l'altro, facendo seguito al ragionamento.
Donovan era un uomo dall'aspetto particolarmente duro, fiero dei suoi anni nei campi di battaglia, ma - al tempo stesso - forte dell'esperienza che vi aveva guadagnato. Oltre a decine di cicatrici e ferite varie.
« Credimi, io ne ho viste di fortezze » aggiunse, sorridendo poco « questa è perfetta. Quasi non sembra... »

« ...umana? » concluse Shakan al posto suo, rispondendo a tono.
« In verità, la sua origine è avvolta nel mistero » disse poi, seguitandone a fissarne i dettagli in lontananza « nei testi sacri non si parla mai di quando o come fu costruita »
« si dice soltanto che i coloni la trovarono così » aggiunse, quasi in sottovoce « pura e perfetta, ma abbandonata. »
Donovan sgranò gli occhi, argomentando - forse con un pizzico di malizia - un certo interesse. « E chi l'ha costruita, allora? »
« Non si sa » concluse Shakan « forse l'hanno partorita le montagne; forse è un dono del cielo. »
Attese qualche istante, poi si sciolse in una breve risata, quasi a rompere la sacralità intonata da quel discorso.
Donovan sorrise a sua volta, storpiando il volto in un'espressione divertita che sembrava quasi mal posta sul suo viso segnato dalla guerra. Poi tornò a fissarlo, riguadagnando una certa serietà: « Le truppe sono schierate; non so come abbiate fatto, ma diversi mercenari sono giunti da ogni parte del continente »
« certo, per un assedio servirebbero almeno il doppio degli uomini, ma considerando che non avremo ad attenderci un esercito propriamente organizzato... »
« Donovan » lo spettro tagliò corto, fermandolo « queste cose le vedo già da me. »
« Dimmi il vero motivo per cui sei venuto qui a parlarmi »
E perché lei, invece, non c'è.

Donovan rimase in silenzio, portandosi una mano al mento.
Shakan l'aveva visto poche volte, ma quasi mai gli era sembrato un uomo riflessivo. Il fatto che l'avesse zittito con una semplice richiesta, era quantomeno significativo.
« I suoi doveri la richiamano nelle terre più a Nord » disse l'uomo, quasi sussurrando « c'è ancora un popolo che va difeso e guerrieri che non possono prescindere più dal suo comando. »
Poi attese, aggiungendo l'ovvio solo qualche secondo dopo « ...temeva che se fosse venuta di persona, non avrebbe avuto il coraggio di lasciarti »
Decine di anni sui campi di battaglia non sarebbero comunque bastati per affrontare un simile patimento. Donovan, il guerriero temprato dal fuoco della guerra, abbassava lo sguardo, evitando di incrociare quello dello spettro, mentre gli diceva che la sua amata non l'avrebbe seguito. Lo spettro leggeva il dolore che lo dilaniava, quasi potesse sentire - di riflesso - quello che Alexandra doveva avergli trasmesso mentre lo implorava di trovar lui le parole per dire quello che non avrebbe mai voluto dirgli.
Eppure, Donovan dissimulava anche qualcos'altro. Una volontà innata di proferir tutta la verità, argomentando anche le motivazioni - pressoché ovvie - perché una donna nello stato in cui era Alexandra, non avrebbe mai potuto prender parte ad una battaglia. Eppure lei glielo aveva impedito: gli aveva fatto giurare sul suo onore di non parlargli di quello. Forse per non dargli un altro peso oltre al rancore per la lontananza; forse per impedirgli di fuggire ancora una volta dal suo passato, abbandonando i suoi doveri.
Forse per qualche altro motivo che lui non poteva capire. Per tutto questo, tacque come promesso. E Shakan non sembrò cogliere nient'altro che un profondo rimorso.
« Io partirò subito con un piccolo gruppo. Il resto dell'esercito rimarrà qui, al comando tuo e di Kreisler »
aggiunse, soltanto « questi sono gli ordini. »

Un'altra lacrima scese dall'occhio coperto dalla benda. Poi un'altra ancora, da entrambi gli occhi.
Infine, per quanto si trattenesse, Shakan si sciolse in un pianto soffocato. Un rimorso che trattenne più possibile, senza riuscirsi del tutto.
Donovan attese in silenzio, distogliendo lo sguardo per rispetto. Poi lo vide asciugarsi le lacrime, e stentare qualche parola con la voce ancora rotta.
« Non posso abbandonare tutto adesso » disse lo spettro « questa è la mia guerra, Donovan. »
Il guerriero annuì « lo so. E lo sa anche lei, per questo ha mandato me a dirtelo »
Shakan lo fissò ancora una volta, cercando le parole per il giusto commiato. « Dille solo che l'amo » aggiunse poi, quasi con ritrosia
« ...e che, non appena potrò, verrò da lei. »

Donovan fece un cenno col capo, allontanandosi.
Dopo qualche passo, però, si fermò. Girando il volto, torno a guardarlo.
« Sei sicuro di voler fare promesse che non potrai mantenere? » disse.
Lo spettro gli restituì un'occhiata serena, quasi divertita: « I fantasmi non muoiono mai, Donovan »
« non dimenticarlo »

____________________________________

Mentre il grosso dell'esercito si radunava alle pendici della città, nei pressi di quelle rovine ammassate che dovevano cingerla come un muro invalicabile, Shakan aveva diramato la sua volontà per mezzo di emissari silenziosi. Messaggi scritti in piccoli biglietti, rimessi nelle mani di fedeli servitori. Nessuno avrebbe dovuto sospettare di quella mossa; nessuno avrebbe dovuto capire cosa il fantasma avesse realmente in mente.
La sua volontà di guidare un esercito, infatti, si era già manifestata tempo addietro - e con scarso successo. Non era un comandante, benché meno uno stratega. La sua empietà si manifestava con la freddezza di un sospiro ansioso. Era una mano gelida che scivolava lungo la schiena del nemico, colpendolo quando questi scopriva la guardia.
L'esercito, invero, avrebbe sfondato le barricate e guadagnato la piazza centrale, secondo gli accordi. Tutto quanto, però, avrebbe assolto all'unica funzione che lo spettro si era immaginato: fare rumore.

Il suo vero piano si sarebbe articolato con ben più arguto sospetto.
Quando ancora strisciava nei viali di Lithien come nobile altolocato dedito a complotti e vendette, infatti, non disdegnava di conoscerne ogni segreto, finanche quello più remoto.
La città possedeva decine di cunicoli sotterranei e passaggi segreti, la maggior parte dei quali mai esplorati ufficialmente o di cui non si era mai saputa la funzione.
La setta della Luna, dal canto suo, ne aveva date tante di funzioni: li usavano per passare oltre i sospetti occhi della gente. Per strisciare al di là del dubbio dei più, sgattaiolando fuori dalla città senza esser visti o, peggio ancora, per cogliere di sorpresa ignare vittime da destinare ai loro macabri rituali.
Non andava fiero di quelle funzioni, in verità. Ma, viste le circostanze, non poteva permettersi di disdegnar troppo quello che del suo nefasto passato avrebbe potuto sfruttare a suo vantaggio.
Un cunicolo in particolare, infatti, era usato come canale di scolo per il Pantheon e conduceva dalla sommità dell'Acropoli fino ad un campo fuori Lithien.
Sarebbe stato l'ideale, dunque, per arrivare alle spalle di Irwing Ravelon, mentre questo era impegnato a convincersi che il pericolo più grande derivasse dall'esercito ammassato alla sua porta. O, quantomeno, questo è quello che sperava.
Per farlo, però, aveva bisogno di uomini fidati; qualcuno abbastanza abile da assolvere al compito, rimanendo vivo, ma altrettanto fidato da non tradirlo sul più bello.
Scelse, tra tanti, uno dei guerrieri che aveva accompagnato Kreisler nella sua prima tediosa battaglia a Gefahrdorf.
L'altro, invece, era uno sguardo amico che aveva a lungo sperato di veder far capolino tra i mercenari accorsi al suo richiamo.
L'ultima volta che gli aveva parlato, credeva sarebbe stata l'ultima. Per una volta era felice di essersi sbagliato.
Il fedele Aang.

« Sei cambiato; sei diventato un guerriero »
gli disse, stringendogli la mano. Li aveva radunati in fretta, ma - nonostante questo - erano accorsi senza farsi troppe domande.
Erano una ventina di guerrieri e mercenari, accorsi dalle più disparate aree del continente. Tra questi, si premurò di eleggere cinque a comandanti della spedizione, di modo che potesse conferire con loro le decisioni da prendere.
Infine, illustrò loro i dettagli di quella missione, spiegando il perché non avrebbero seguito l'esercito "principale", insinuandosi di soppiatto in un vecchio canale di scolo, sudicio e buio.
« Non so cosa troveremo » disse, radunandoli a cerchio attorno a se « il canale è abbandonato ed in questi anni la città è stata preda di totale anarchia »
« preparatevi a qualunque eventualità » ammonì, cogliendo alcune occhiate preoccupate.
Poi, ordinò di radunarsi con compostezza, con file serrate che consentissero di proteggere i lati adeguatamente.

Il canale di scolo defluiva in un campo a qualche chilometro dalla città. Un tempo le terre vicine erano coltivate, con fattorie e granai a costellare lo sfondo. Ora il tutto sembrava ridursi ad un grosso campo arido e sconnesso. Piante di erba secca erano cresciute in ogni dove ed i liquami derivanti dallo scolo avevano riempito la zona, facendola assomigliare ad un paludoso pantano puzzolente.
Il canale era aperto, con una grata di ferro divelta che era rimasta abbandonata in terra, ad arrugginire nei liquami.
L'interno, invero, era buio e puzzava di un odore pesante di chiuso e decomposizione, derivante per lo più dai ratti morti che saltuariamente facevano capolino sul sentiero. Ben presto Shakan allungò delle torce ad alcuni di loro, illuminando la zona alla bene e meglio. Il liquido che seguitava a sgorgare, e che ormai riempiva i loro stivali fin quasi alla caviglia, era di un rosso scuro, tendente al marrone. Reflusso di rudimentali scarichi fognari e, più propriamente, residuo di fosse comuni o tombe a cielo aperto che, in quel tempo, dovevano essere state asservite allo scopo di contenere i cadaveri dei malati.
Shakan si premurava di avvertirli della malattia chiamata Gullhiw e della circostanza che mai e poi mai avrebbero dovuto mettere la pelle nuda a contatto con quei reflussi, o con qualunque infetto. Le conseguenze, infatti, sarebbero state nefaste.

Dopo diversi chilometri in cui il canale si presentava stretto e risaliva poco, lo stesso sbucava in un grosso spiazzo, con una piccola pozza dedita alla raccolta di acque.
Dalla stanza, il canale proseguiva diramandosi in tre direzioni diverse: la prima proseguiva a sinistra, risalendo ancora poco; la seconda proseguiva, invece, a destra, discendendo alquanto; la terza - infine - proseguiva diritto.
Dopo qualche istante passato a scrutare la zona, lo spettro parlò nuovamente: « Temo dovremo dividerci » aggiunse, aprendo un sacco che si era trascinato dietro dall'inizio.
« Decidete come proseguire, dovremo smembrarci in tre gruppi, nel caso in cui solo uno di questi tre canali giunga effettivamente sull'Acropoli di Lithien. »
Poi, tirò fuori vari oggetti, distribuendoli tra i presenti. « Queste sono alcune cose che potrebbero tornarvi utili, nel caso di pericoli - fatene buon uso »
« Qualora il vostro canale si interrompa, tornate indietro e prendete un'altra direzione » continuò, fissandoli negli occhi « ci diamo appuntamento in cima »
« Domande? » concluse, sperando non ve ne fossero.



littleqmpointwinterreisBenvenuti a questo VII capitolo.
Il testo è diviso in due parti, di cui la prima è solo un'introduzione "scenica" della quest, condivisibile con quanto accade nella quest aperta. La parte che vi interessa di più, dunque, è la seconda. La vostra, infatti, è una missione di infiltrazione, in cui entreremo direttamente nel punto più alto della città (l'Acropoli, dove Shakan ritiene si nasconda Irwing Ravelon, il "Conte Nero" che lui cerca da tempo), sperando che l'avanzata dell'esercito vero e proprio abbassi le difese di quest'ultimo.
Il canale potete descriverlo come meglio credete, seguendo le indicazioni che vi ho comunque fornito nel post. In generale, nel vostro primo post - oltre ad abbozzare una introduzione alla quest - dovrete "dividervi" in tre gruppi. Per la precisione: ciascuno di voi dovrà scegliersi un compagno e, insieme, dovranno scegliere una strada da percorrere, tra le tre decise. E' ovvio che, essendo cinque, uno di voi non avrà compagno da scegliere: quest'ultimo, infatti, "viaggerà" con Shakan stesso. Inoltre, ciascuno di voi dovrà scegliere uno tra i sei oggetti prescelti, che sarà utilizzabile in quest come azione gratuita, in qualunque momento. Sappiate, però, che lo stesso oggetto sarà utilizzabile "una sola volta", quindi state attenti a quale scegliere ed a come lo usate. Per tutte queste organizzazioni, potrete usare il thread in confronto specifico per la quest (che aprirò a breve).
Infine, come se non bastasse, il canale eserciterà su di voi un senso di "paranoia" crescente; inizierete a sentire voci lontane o a sospettare dei vostri compagni d'avventura. Fate conto che il gruppo, oltre voi cinque e Shakan, è accompagnato da una quindicina di mercenari/soldati che Shakan ha aggiunto alla spedizione, quindi effetto della paranoia potrebbe anche essere sospettare di loro per qualche motivo, o in qualunque senso, sentendoli ridere o lanciare occhiate strane. La paranoia agisce come una psionica passiva, difendibile come tale. E' ovvio che, quando vi dividerete, anche i soldati al seguito si divideranno (per cui ciascun gruppo avrà al seguito circa 5 mercenari).
Un ultimissimo appunto, doveroso, su coloro che non dovessero conoscere "Shakan". Sopratutto coloro che vivono nei Quattro Regni (ma, in generale, direi tutti) possono tranquillamente affermare di averne sentito parlare, pressoché come di un "traditore". Shakan è stato (oltre che il mio vecchio pg) il comandante che ha liberato i territori del Nord, annettendoli al regno dopo la Guerra del Crepuscolo. Di fatto, è anche colui che ha ucciso il "Re che non perde mai" durante la stessa guerra. Poi ha anche tentato di uccidere i Corvi e per questo è ricordato come un traditore. Coloro che vogliano argomentare in tal senso la sua figura, possono farlo - nel caso vogliate altre informazioni, basta chiedere.
Di seguito, vi metto in spoiler gli oggetti tra i quali scegliere. Essendo voi in cinque, si intenderà che Shakan possegga l'oggetto che voi non sceglierete (quindi, indirettamente, sceglierete anche l'oggetto da dare a lui).

Sfera risplendente. Sfera di vetro, se rotta contro una parete o a mani nude emetterà un flash molto intenso che illuminerà la stanza per un breve periodo ed accecherà chi la guardi intensamente.
Foglie urticanti. Gruppo di foglie dal breve effetto urticante, se strofinate (o strette nelle mani) causano un fastidioso prurito intenso per un breve periodo di tempo, che concentra totalmente la mente della vittima impedendole di pensare altrove. E' valida come una difesa di potenza Alta contro attacchi psionici.
Campanello. Piccola campana fatta di puro cristallo che emette un suono intenso, udibile a chiunque in una vasta area. Il suono della campana annullerà ogni rumore presente nella stanza per un breve periodo, richiamando l'attenzione su di se.
Pietra focaia. Piccola pietra seghettata, utile per generare piccole scintille, accendere fuochi e far luce con la torcia (riaccendendola, se si è spenta).
Radice curativa. Radice commestibile che guarisce un danno Alto al corpo.
Sassi rivelatori. Piccolo sacchetto con cinque-sei sassi di piccola dimensione, di forma sferica. Se toccano una superficie solida, emettono brevi bagliori, non sufficienti ad illuminare la stanza, ma utili per capire la profondità di un burrone o l'esistenza di un sentiero percorribile.


Ordine di risposta. sparso; organizzatevi in confronto nel caso, indirettamente vale la regola "chi prima arriva meglio alloggia", ma preferirei un pò di sportività nella gestione della cosa.
Tempi. Cinque giorni dal mio post, intesi fino alla stessa ora del quinto giorno successivo. Proroghe a disposizione solo in situazioni di emergenza. Sappiate che, in ogni caso, al primo post saltato il pg verrà pngizzato; al secondo post sarà inflitto il Pk sicuro.

Domande o dubbi, allo stesso modo, in confronto.


Edited by janz - 2/3/2014, 12:01
 
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view post Posted on 25/1/2014, 23:57
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Se ne stava in piedi ai margini del campo, a guardare la luce dei fuochi riflettersi sui visi degli uomini, scintillare nei loro occhi. Alcuni erano in silenzio, altri parlavano sommessamente per non disturbare quell’ultimo spiraglio di pace. Erano i loro sguardi a parlare, a comunicarsi nel silenzio dubbi e paure. Provò il desiderio di avvicinarsi, di tendere la mano ed immergerla nel tepore della loro vicinanza, di raccogliere un pezzo di carne dai loro piatti e condividere il loro pasto. Forse un tempo avrebbe potuto farlo, carezzare loro le guance con i capelli color del fuoco e allettarli con la promessa di un bacio.
La bambola chiuse gli occhi, la sprofondò nel buio setoso delle sue ciglia. Lasciò che la domanda rimbalzasse come un’eco nel suo regno senza immagini. Perché sei qui?
Carezzò distrattamente i capelli di seta, il vestito di velluto borgogna, simile a vino spillato troppo presto. Circondò con le dita i piccoli piedi calzati in morbide scarpe.
Perché sei qui?
Inspirò, e gli odori acri del sudore, della paura, della cena di fortuna le invasero le narici. Sotto di essi, sotto quel puzzo di vita, aleggiava l’aroma dolciastro della putrefazione, l’ultima essenza di una città morente. Erano lì per salvarla, per sconfiggere la malattia che l’affliggeva e dichiararla libera. Una città leggendaria, che nessun’altra era riuscita ad eguagliare.
Stai mentendo.
La bambola spalancò gli occhi di scatto, lei si mosse svelta attraverso le tende, poco più di un lampo ammantato di bianco. Fuggì dagli uomini che avrebbero condiviso con lei le proprie ultime ore. Fuggì dalle loro speranze sciocche e dai loro sogni che non sarebbero sopravvissuti nemmeno un giorno. Il cappuccio le scivolò lungo la fronte fin quasi alla radice del naso, ma non vi fece caso. Si fermò, ansimante, quando sopra di lei rimase solamente la notte. Si lasciò scivolare a terra, il viso premuto contro la testa della bambola. Le lacrime le scivolavano lungo le guance, ma non offuscavano quel paesaggio che pareva dipinto. Le mozzavano il fiato, le riempivano la gola di invidia e di rabbia, ma non le impedivano di vedere come il resto del mondo fosse totalmente indifferente.
Si chiese se anche lui provasse lo stesso, se in quel momento stesse rivolgendo lo sguardo verso il cielo e si ponesse quelle domande. Se alla fine di quella guerra di cui non le importava sarebbe riuscita finalmente a tendere la mano verso la sua veste e a richiamare la sua attenzione.



Shakan…



Pronunciò il suo nome quasi fosse una preghiera. L’eroe del Nord, il liberatore. Suo padre aveva raccontato molte volte di come fosse apparso imponente a ribaltare le sorti della guerra. Di come fosse terribile la sua spada e tonante la sua voce. Allora aveva pensato a lui come a qualcosa di lontano e irraggiungibile, poco più che un miraggio. Allora non le pareva molto interessante.
Perché non sapeva chi fosse lui veramente, come avesse ucciso il Re Invincibile, come avesse tradito i Corvi. Come fosse fuggito lontano da tutto e da tutti, ad immergersi nella morte e tornare al momento giusto. Aveva udito quelle chiacchere solo più tardi, e si era sentita stringere il cuore. Aveva sperato che lui potesse parlarle nella sua stessa lingua, raccontarle delle sue stesse sensazioni. Di come ci si sentisse ad essere fuori dal mondo degli altri, esclusi dalla loro quotidianità, schiacciati dalla loro normalità. E di come si potesse tornare da vincitori.
Era solo per lui che era venuta, per supplicarlo di darle una risposta. Aveva abbandonato le terre desertiche per raccontargli il proprio piano ed ottenere la sua benedizione. Ma ora che era così vicina si sentiva tremare le gambe, aveva la certezza che lui l’avrebbe gettata in disparte e disprezzata. Che non avrebbe ascoltato il tempo sufficiente perché lei potesse spiegare.
Non ti sei neppure avvicinata.
Ed era vero. Non era mai arrivata abbastanza vicino a lui da poterlo guardare negli occhi. Ma solo perché non era ancora degna. Prima gli avrebbe dimostrato quanto potesse valere. Allora lui non avrebbe avuto altra scelta. La notte ascoltava immobile i suoi pensieri. Quando levò il capo illuminò il naso arrossato dal pianto, la linea dura delle sopracciglia, la sua determinazione.



-- -- --

« preparatevi a qualunque eventualità »



Sorrise sprezzante, chinando il capo perché nessuno potesse vedere la sua espressione. Il cappuccio era abbastanza ampio da nasconderle il viso. Non aveva paura di quei cunicoli bui, di quell’odore che le impediva quasi di respirare, del suolo melmoso sotto gli stivali. Non era l’oscurità a poterla intimorire, non dopo averci vissuto dentro per così tanto tempo.
Gli occhi di porcellana rimasero immobili per tutto il tempo del discorso, fissi sull’unica persona che non avrebbe mai voluto incontrare in quel luogo. La sua eventualità sbagliata. Perché lui, quel ragazzino che le aveva sottratto la vittoria da sotto il naso, certamente l’avrebbe riconosciuta. Pareva essere in buoni rapporti con lo spettro, e se solo gli avesse parlato di lei avrebbe potuto vanificare tutto quanto. Strinse la bambola al petto finchè le nocche non le diventarono livide.
Aveva paura, brividi le risalivano lungo lo stomaco e gli arti. Ma aveva paura di lui, di quello sciocco guerriero tatuato. Tutto il resto le pareva insignificante, poco più di una passeggiata. Ma se fosse arrivata troppo tardi loro avrebbero avuto tutto il tempo di parlare, lui avrebbe avuto tutto il tempo di disprezzarla.
Sollevò la mano destra. Sul palmo la piccola campana di cristallo emanava bagliori dorati. Era perfetta, come un cristallo di neve gelata. Quando l’aveva raccolta dalla mano dello Spettro aveva levato verso di lui i propri occhi ciechi, quelli che non avrebbero comunque potuto vederlo. Non sapeva se lui li avesse guardati, non aveva avuto il coraggio. La bambola aveva fissato i suoi piedi immobili. Sempre meglio della delusione, sempre meglio di trovarsi ancora una volta respinta.
Attese per qualche attimo in silenzio, aspettando che qualcuno si offrisse di partire. I guerrieri strisciavano i piedi, impacciati come bambini in fila fuori dalla scuola. Parevano voler trattenere i secondi. Avevano braccia muscolose e non si radevano da giorni. Lei pareva piccola e fragile in mezzo a loro. Nuovamente sentì quel brivido, la consapevolezza di non poter perdere tempo, la certezza che avrebbe dovuto farcela da sola.
Fece un passo avanti, mentre le sue guance si imporporavano per quell’impudenza che non le era naturale.



Penso che prenderò il passaggio di mezzo”.



Strinse le labbra sottili, corrugò la fronte, inspirò lentamente. Le parve qualcosa impedisse all’aria di riempire i polmoni, come se una grossa pietra le si fosse posata sul petto. Sentiva il viso bollente, come in preda alla febbre.



Prendete una torcia”.



Abbassò la testa. Ora il tremito era visibile anche dall’esterno. Un rombo sordo le riempiva le orecchie. Si rese conto solo un attimo dopo che era il suono del suo cuore.




CITAZIONE
Non riporto consumi energetici ecc. perchè siamo appena all'inizio. Buon postaggio a tutti *_*
 
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view post Posted on 26/1/2014, 23:07
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Il tempo è la sostanza di cui sono fatto.
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Erano arrivati in vista di Lithien la mattina presto, ma l’ombra che Guglia dell’Alba proiettava sull’altura che aveva di fronte, Guglia del Tramonto, nascondeva alla vista la città, incastonata come un diamante tra le due rocce. Ora il vento gelido dell’Eden spazzava senza pietà l’altura su cui l’esercito stava piantando le tende, e il Demone era in piedi, noncurante del freddo o della neve, ed osservava la città lontana immaginando il suo risveglio. La neve si incollava alla sua barba corta che presto divenne completamente bianca, gli occhi di fuoco riacquistavano pian piano il loro colore castano con il salire del Sole, e la tunica nera era sbattuta dal vento come i capelli corvini. Forse anche i soldati che camminavano nel campo, osservando la figura del Demone stagliarsi contro l’orizzonte, avrebbero evitato la sua vicinanza con quel senso di disagio e timore che l’Eterno suscitava nei più.
Mancavano poche ore a mezzogiorno, e qualche raggio di sole illuminò Lithien, riflettendo la luce sui pinnacoli d’argento e risaltando, fin lì su quel crinale, i colori delle vetrate istoriate. Si dice che la bellezza risieda negli occhi di chi guarda, ma nessun occhio sarebbe rimasto impassibile di fronte il progressivo illuminarsi della città. Il Sole si stava alzando a picco tra le due Guglie gemelle, e la città si riempiva di quella luce, vivendo dei pochi istanti in cui l’ombra non tornava ad inghiottire le sue strade.

L’esercito doveva dormire durante il giorno per poi marciare di notte, la posizione della città impediva attacchi a sorpresa se non sfruttando il buio; non avrebbero usato torce, ma ad un Demone del Fuoco poco importava. Dopo l’estenuante viaggio che li aveva portati fino nell’Eden i soldati si erano immediatamente ritirati, ma Montu aveva viaggiato cavalcando il suo Drago, e più che il sonno ora sentiva i morsi della fame.

Abbandonò la vista della città per tornare nella sua tenda, poggiò distrattamente, ma con cura, la sua katana sul giaciglio, poi si sedette su uno sgabello, rovistando nello zaino in cerca delle sue provviste.
Appena recuperato il pezzo di pane e il formaggio, un uomo entrò senza troppe cerimonie nella tenda del Demone. Stringeva in mano una missiva chiusa con un sigillo di ceralacca.
-È per lei Signore, ha la massima urgenza.-

Montu afferrò la busta e la aprì, congedò il messaggero ringraziandolo, e iniziò a leggere.
Il messaggio era breve, un piano alternativo all'assalto diretto alla città che, a quanto sembrava, comprendeva la presenza dell’Eterno. La firma lo sorprese: Shakan Anter Deius.
Cosa poteva volere “Il Fantasma” da Montu?
Aveva sentito molto parlare di lui a Basiledra, anche se il suo nome era pronunciato con timore, e solamente nei locali dei bassifondi, lontano da orecchie indiscrete.
Alcuni lo ricordavano come il comandante che liberò i territori del Nord durante la Guerra del Crepuscolo, ma a caro prezzo… Uccise il “Re che non perde mai”, e tentò in seguito di uccidere i Corvi; altri, per le sue gesta omicide, dimenticavano ciò che fece per il Regno, etichettandolo come traditore.
La verità spesso è nel mezzo, ma Montu non si spingeva in giudizi ipotetici sulla sua figura. Ora era solamente il suo Comandante, il Demone ignorava le verità sul suo passato, ma essendo un suo sottoposto nel presente l’avrebbe servito al meglio delle sue possibilità.

Ripiegò la lettera e la infilò in una tasca, sdraiandosi sulla branda e provando a dormire un po’ prima dell’incontro con il Fantasma.



23xoC





Era arrivato alla presenza di Shakan insieme ad altri venti uomini tra guerrieri e mercenari. Il Fantasma aveva eletto a comandanti della spedizione altre cinque persone: oltre Montu c’erano il Drago Blu che il Demone aveva incrociato già a Taanach, al suo fianco un uomo che sembrava un monaco tatuato, poi un ragazzo alto e slanciato che sembrava troppo magro per i campi di battaglia, ed una figura femminile alta e minuta. Aveva sentito molto parlare dell’Oracolo, così chiamavano Ainwen Dobrzensky, la ragazza di porcellana. Montu fissò per un istante la sua pallida pelle, e le pupille che non potevano più vedere la luce del Sole, poi le lentiggini che disegnavano appena i lineamenti e le labbra sottili con un candore appena accennato.
Di fronte a loro il Fantasma. Pallido anche lui, un bianco funereo, come se la vita avesse abbandonato il suo corpo ormai da tempo, i capelli candidi e lunghi mentivano sulla sua reale età, era alto e il corpo muscoloso si scorgeva sotto le vesti.
Illustrò ai presenti i dettagli del piano, che consisteva nel raggiungere il cuore della città seguendo un canale di scolo abbandonato da anni, sfruttando l’assalto dell’esercito come diversivo per poter passare inosservati una volta giunti nella città preda dell’anarchia.

Si infilarono nel canale, che defluiva in uno spiazzo lontano dall’accampamento e distante alcuni chilometri dalla città, il terreno era arido e ricoperto di erbe secche, ma precedentemente doveva essere stato coltivato dagli abitanti di Lithien. L’interno del canale era buio e maleodorante, appestato dagli effluvi malsani dei liquami che ristagnavano contro la roccia. Quando Shakan accese alcune torce si illuminò il rivolo rossastro, quasi marrone, che copriva gli stivali del gruppo fin quasi alla caviglia, e alcuni mercenari vomitarono a causa del puzzo di chiuso e decomposizione che aumentava man mano che si addentravano nello scolo, mentre altri scostavano con schifo i corpi senza vita di moltissimi ratti usando la punta della spada.

Passate alcune ore le narici si erano abituate ai forti odori e gli occhi scrutavano meglio nella penombra, ma una lenta marcia in quelle condizioni può intaccare anche l’animo più duro. Il Demone vedeva le lame dei mercenari riflettere in modo strano la luce, e le loro figure lanciavano tremolanti e inquietanti ombre sulle pareti. Montu camminava con le spalle curve per non toccare la parte superiore del canale, e non si sentiva a suo agio in quella posizione, i suoi movimenti erano ostacolati e si sentiva scoperto. Le occhiate degli altri uomini nella sua direzione e le frasi sussurrate accrebbero la sua preoccupazione… Così, mentre la mano sinistra reggeva alta la torcia, la destra si mosse verso l’elsa della spada sul fianco opposto.
Poi vide in testa al gruppo Shakan, fiero e imperturbabile, era sicuro che il suo sguardo puntasse fisso nell’oscurità, quasi dimenticando chi lo seguiva, ma con la mente solo al suo obiettivo.
Tentò anche lui di svuotare la testa e così com’era cresciuta, l’ansia abbandonò il cuore del Demone, che lascio l’elsa della katana e rilassò i muscoli.

Erano arrivati in un grosso spiazzo, con al centro una fossa per il riflusso delle acque, e di fronte a loro il canale principale si divideva in tre direzioni diverse. Shakan si bloccò, poi rivolto ai cinque parlò:
-Temo dovremo dividerci. Decidete come proseguire, dovremo smembrarci in tre gruppi, nel caso in cui solo uno di questi tre canali giunga effettivamente sull’Acropoli di Lithien.- Mentre parlava estrasse degli oggetti da un sacco che aveva con sé. -Queste sono alcune cose che potrebbero tornarvi utili, nel caso di pericoli, fatene buon uso.-
Usando un guanto porse a Montu delle foglie di un verde molto scuro: -Queste foglie sono estremamente urticanti, usale per isolare la tua mente da influenze esterne. Il prurito è forte e ti distrarrà da tutto ciò che ti circonda, ma dopo qualche momento svanisce.-
Il Demone ringraziò, poi avvolse la mano nella manica della tunica e lasciò scivolare le foglie in una tasca, facendo ben attenzione a non toccarle con la pelle nuda.
-Qualora il vostro canale si interrompa, tornate indietro e prendete un’altra direzione, ci diamo appuntamento in cima. Domande?-

Ci fu un attimo di silenzio, poi l’Oracolo fece un passo avanti, e le sue pallide guance si colorarono un po’, forse per l’audacia di aver parlato per prima, forse solamente perché illuminate dalla luce delle numerose torce.
-Penso che prenderò il passaggio in mezzo.-
Il Demone avanzò, si volse verso i mercenari e con un cenno della testa si fece seguire da cinque di loro, poi seguì Ainwen: Vengo con te, se sei d'accordo.
Non la guardò mentre le parlava, ma fissò dritto nell’oscurità, tentando di far luce il più possibile con la torcia. In realtà non si aspettava una risposta, forse lei avrebbe solo continuato a camminare… e il Demone l’avrebbe seguita.




-Parlato Emissario-
-Parlato Shakan-
-Parlato Ainwen-
Parlato Montu

Energia: 100 -5 =95%
Status Fisico: Illeso
Status Psicologico: Illeso
CS Forma Umana: +1 Intelligenza

Armi:
Shokan: Riposta
Pistola: Riposta (5 colpi)

Oggetti:
Biglia Stordente: 1
Biglia Dissonante: 1
Biglia Deflagrante: 1
Rubino: Forma Umana: +1 Forza; +1 Velocità; +2 Maestria nell’uso delle Armi. Forma Demoniaca: +2 Forza; +1 Velocità; +1 Intelligenza.
Gemma della Trasformazione
Foglie Urticanti

Pergamene Utilizzate:
Concentrazione: Consumo Basso (5%) il guerriero si concentra esclusivamente sulla battaglia, isolandosi così da influenze esterne.
La tecnica ha natura psionica. Il personaggio che la attiva entra in uno stato di concentrazione assoluta e presta attenzione unicamente al suo o i suoi avversari, alla battaglia oppure ancora alle azioni che sta compiendo. Così facendo acquisisce un'immunità temporanea alle influenze psioniche di potenza passiva che potrebbero altrimenti deconcentrarlo, o peggio. La tecnica dura due turni, e offre un'assai limitata protezione a offensive di natura psionica più potenti.

Note: Uso la pergamena Concentrazione per contrastare la passiva psionica di paranoia dovuta al canale, un Demone di due metri (in forma umana) è meglio che non abbia paranoie chiuso in un canale insieme ad altre venti persone :v: Seguo Ainwen come deciso. Nient’altro da segnalare.
 
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view post Posted on 29/1/2014, 20:12

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Osservò il grosso dell’esercitò dispiegarsi dinanzi a lui. Vide i volti turbati, vide le rughe sulle loro fronti, vide il sudore, l’attesa, l’impazienza, la paura. Vide tutte queste cose mentre in lui non v’era niente. Se non rabbia, dolore e odio. Si portò dietro la tempesta insita nel suo animo, combatté guerre su guerre, passò da un campo di battaglia all’altro, ma nulla riusciva a placare il suo animo. Nemmeno Azure.
Così s’era ritrovato nell’ennesima guerra e nell’ennesima battaglia, inseguendo le sue emozioni semplicemente per non pensare. Azure era la sua compagna più fedele, era la donna che lo amava, che soffriva a vederlo in quello stato ma che non diceva nulla. Si limitava a curargli le ferite, ad attendere il suo ritorno nelle stanze confortevoli d’una locanda, a sperare semplicemente che non gli accadesse nulla di male. Il dragone era rimasto scosso molto più di quanto si sarebbe mai aspettato. La morte di Floki e del suo mentore segnarono il suo essere e la sua mente duramente. D’un tratto sul suo volto aveva perso il sorriso, la voglia di vivere e questo, Azure, lo sapeva bene. Dopo la morte di Floki, il drago blu s’era lanciato a capofitto in qualsiasi battaglia calcasse i territori asgradelliani, passava di guerra in guerra, da un campo di battaglia all’altro senza sosta. Azure, la ragazza dagli occhi azzurri e dai capelli fluenti e biondi, lo seguiva cavalcandolo, divenendo null’altro che la sua compagna più fedele. Eppure, lei, non poteva che essere triste, sul volto di Morpheus, quel giorno, oltre a morire Floki morì anche il suo sorriso e con lui qualsiasi emozione positiva. Azure lo aveva seguito in silenzio, lo attendeva nella stanza, gli puliva le ferite e cercava di riportarlo alla realtà, ma nulla che facesse migliorò la situazione. Per questo ben presto rimase in silenzio, lo aspettava sperando semplicemente che tornasse dalle sue guerre, ben conscia che la guerra più grande la stava vivendo nel suo cuore. Azure, come tutte le altre volte, era nella locanda d’un paese vicino quando Morpheus, salutandola in maniera laconica, la lasciò lì in preda ai suoi pensieri. Si era ritrovato li dunque in mezzo a quella cloaca infetta di sangue, dinanzi a lui Shakan il fantasma che illustrava la situazione a tutti quanti. Lithien si sviluppava verso l’alto come una piramide, cinta di mura e impenetrabile l’unico modo per raggiungere la sommità dell’acropoli senza incappare nell’esercito nemico era quello di percorrere quei cunicoli bui e fangosi, lordi delle peggio malattie senza, per l’altro, la sicurezza che uno di essi portasse a destinazione. Morpheus sorrise nascondendosi nell’ombra, osservando gli uomini che Shakan aveva mandato a chiamare infondo erano più fortunati, o sfortunati dipendeva dai punti di vista, di quelli che combattevano al fronte.
Erano uno sparuto gruppo di uomini, Aang già aveva avuto il piacere di conoscerlo e, per l’ennesima volta, si trovò a pensare quanto piccolo fosse quel continente. Sempre le solite facce, sempre le solite cose e, ogni cosa, ai suoi occhi sembrava insignificante. Rimase indietro, nel gruppo dei mercenari, nella mano stringeva una specie di radice, raggrinzita e dalla dubbia utilità, tra i tanti oggetti messi a disposizione da Shakan, Morpheus ne prese uno a caso, non badando particolarmente a quale esso fosse. « A cosa serve? » Chiese quasi fra sé e sé, senza aspettarsi una risposta concreta. Fece un passov erso il tunnel di sinistra, immediatamente cinque mercenari lo seguirono, tutti con in mano la torcia che illuminava il passaggio.

« Tu » – indicò un uomo a caso fra i cinque – « facci strada ».

L’uomo, non molto felice dell’idea, chinò il capo e borbottò qualcosa, tuttavia non trovò il coraggio di contraddire quell’uomo che, infondo, gli provocava un certo stato d’ansia, di paura.
Il gruppo pronto a gettarsi nell'oscurità aspettava solo un altro segnale, Morpheus guardò per un’ultima volta gli altri compagni.

« Allora chi altro viene con me? »

Chiese alla folla, mentre continuò a osservarli.
Poco prima di immergersi nel buio del tunnel, nel cuore di Lithien con solo una torcia a illuminare il cammino. Cammino molto simile a quello dentro il suo cuore.



CITAZIONE
Neinte, prendo la radice curative e mi avvio verso il tunnel di sinistra.
 
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PARACCO TRAVESTITO ALOGENO
view post Posted on 30/1/2014, 21:22




Lithien, la città originaria del Fantasma.
Quando era arrivato l'aveva osservata a lungo, passando lo sguardo da un muro all'altro, osservando i merli e le feritoie una per una, come farebbe un uomo con la propria amante. La città bianca era proprio come una bellissima donna, ma maltrattata dal tempo e dall'incuria. Un tempo doveva essere stata stupenda, il fulcro di una civiltà saggia e la culla di molte culture che erano svanite con il passare degli anni. Era questa l'impressione che i monaco si era fatto della città e del suo popolo, solo guardandola dall'esterno. Non sembrava nascondere pericoli di chissà quale entità, ma l'apparenza spesso era portatrice di sventura per chi non sapeva guardare con più attenzione. Aang temeva che non fosse tutto così facile, così dannatamente semplice. Altrimenti Shakan non avrebbe mai chiesto il loro aiuto.

A malapena il Fantasma aveva accettato il suo, quando era stato sull'orlo dell'abbandono e della sconfitta, quando credeva di essere rimasto solo, in bilico sul baratro della follia. Solo Aang allora gli aveva teso la mano, afferrandolo e trascinandolo verso la salvezza con la forza che solo un vero amico poteva avere. Si erano lasciati con parole di speranza dopo il loro ultimo incontro a Basiledra, ma il loro non era stato un arrivederci, bensì un addio. Per questo quando si videro, circondati da decine da altri uomini accorsi lì per aiutarlo, si sorrisero. Non credevano che si sarebbero più rivisti, ma nel profondo del cuore lo avevano sperato. Shakan gli aveva rivolto parole compiaciute, ed Aang le aveva accettate annuendo con un sorriso. Il monaco non era stato un suo sottoposto, nè un amico nel vero senso del termine: lo Spettro aveva affrontato i suoi demoni da solo, ed Aang non avrebbe saputo nemmeno come aiutarlo anche se lo avesse saputo. Però non si era tirato indietro, offrendogli una spalla e un conforto quando ne aveva avuto davvero bisogno. Più che un amico, un sostegno.
Più che un compagno, un erede.

Tuttavia, stringendosi nel mantello che il Fantasma stesso gli aveva donato, si chiese se anche gli altri fossero lì per aiutarlo in maniera sincera o se invece fossero accorsi per un tornaconto personale. La situazione non era delle migliori, e probabilmente quella che stavano per vivere non sarebbe stata una battaglia facile, ma sperava che tutto andasse per il meglio. Tra coloro che furono scelti assieme a lui per penetrare nella fortezza riconobbe qualcuno, ma la sua attenzione fu attirata soprattutto dalla cieca, Ainwen. Ricordava ancora - come se fosse passato un solo giorno - il loro scontro sotto il sole cocente del Sud, e la loro battaglia per il possesso del Leviatano. Era strano, quasi ironico che si ritrovassero a quel modo, dalla parte opposta del continente. Storse la bocca quando scoprì che anche lei era stata scelta per la spedizione, ma non intervenne nè protestò. Non si fidava di lei e l'avrebbe tenuta d'occhio, ma non voleva essere il primo a creare attriti e a complicare le cose. Nadìr, dal canto suo, non la degnò nemmeno di uno sguardo, per quanto la cosa dovesse interessarlo. Aang aveva provato a carpirgli qualche informazione sui suoi compiti precedenti al cambio di proprietà dell'anello, ma il Leviatano sembrava non ricordare niente, anche sotto gli ordini più autoritari di Aang. Così il monaco si era rassegnato a portarlo con sè senza poter ottenere ulteriori informazioni su come liberarsi di lui. Sapeva che il tempo a sua disposizione si assottigliava con il tempo, ma era sicuro che si sarebbe accorto del cambiamento quando fosse iniziato. O almeno così credeva.

...

Il canale da cui erano costretti a passare era puzzolente e claustrofobico. Aang muoveva ogni passo con attenzione, evitando di alzare schizzi di quel liquame scuro. Shakan era stato fin troppo chiaro a proposito: meno di quella melma avessero toccato, e meno problemi avrebbero avuto. Aang tuttavia era ancora scosso da ciò che avevano trovato prima di entrare nel canale: campi che un tempo erano stati sicuramente ricchi e rigogliosi, ora erano ridotti a scure paludi velenose. Non sapeva a cosa fosse dovuto quel cambiamento, ma non era sicuramente opera della natura: il giovane non sapeva ancora con cosa avrebbero avuto a che fare, ma era sicuramente una forza in grado di corrompere la natura e le persone attorno e dentro Lithien.

Il canale da cui erano stati costretti a passare sembrava sicuro, sorvolando sul fetore che rischiava di ucciderlo, ma Aang non si sentiva comunque tranquillo. Il giovane teneva lo sguardo fisso di fronte a sè, osservando come le vesti che circondavano il corpo di Nadìr si muovessero nella semioscurità. Il Leviatano aveva insistito per non indossare alcun capo protettivo - non senza mostrare un certo disgusto - vantandosi con il suo solito tono tagliente della sua resistenza ad ogni cosa che i deboli umani consideravano un pericolo. Ora, guardandolo camminare davanti a loro nella melma, il monaco non ne era più così sicuro. Tuttavia non era stata la testardaggine del suo compagno di viaggi a farlo sentire a quel modo: il suo cuore batteva più velocemente, e spesso rallentava il passo per voltarsi. Nonostante camminasse in gruppo, non si sentiva al sicuro, come se occhi e fauci pronte a ghermirlo lo aspettassero nell'oscurità. Una breve risata che risuonò nel condotto lo fece voltare di scatto, ma i volti dei mercenari dietro di lui erano tirati e disgustati come il suo. I loro sguardi curiosi lo fecero tornare a camminare alla svelta, ma quell'episodio non contribuì affatto a tranquillizzarlo.

Continuarono a camminare in quel cunicoli per un tempo che parve infinito, accompagnati solo dallo sciabordio del liquame sotto i loro piedi e dai topi che ogni tanto fuggivano dalla luce delle torce. Quando il passaggio si allargò in uno spiazzo il monaco tirò suo malgrado un sospiro di sollievo, guardandosi attorno: con una smorfia notò che la strada continuava in tre direzioni diverse. Shakan fu rapido a prendere una decisione: dovevano dividersi ed incontrarsi all'Acropoli, sempre se tutti i cunicoli avessero portato fin lassù, cosa di cui Aang dubitava. Tuttavia il monaco non disse niente, limitandosi a prendere uno degli oggetti che Shakan gli porgeva, osservando come si dividevano gli altri.

« Beh, allora noi andremo a destra. »

« Sagace come sempre, monaco. » - lo apostrofò Nadìr, approfittando del momento per prenderlo in giro. Come sempre, d'altronde. Aang lo ignorò con un borbottio, alzando la torcia e inoltrandosi nel cunicolo scelto assieme a Shakan. Nonostante non fosse il posto migliore per fare conversazione, si volse verso il Fantasma, con un sorriso trasformato per metà in una smorfia a causa della puzza.

« Questo mi ricorda la campagna al Nord. Solo che lì faceva più freddo... »

Spostò la torcia verso il basso, illuminando il liquame scuro su cui erano costretti a poggiare gli stivali.

« ...e c'era meno puzza. » - concluse con una smorfia, cercando di non farci troppo caso.



Diario del Monaco
Comprensione





Cs totali: 5 (2 in Tenacia; 2 in Costituzione; 1 in Intuito)
Basso 5% ~ Medio 10% ~ Alto 20% ~ Critico 40% ~ Mortale 80%

Energia attuale: 100%
Consumi utilizzati:

Condizioni fisiche: Illeso.
Condizioni mentali: Illeso.

Bastone del Manipolatore: mano sinistra.
Balestra: 15/15 - assicurata alla cinta.



Passive in uso:

CITAZIONE
Riassunto Passive
Studio: Passiva razziale umana, non sviene sotto il 10% di energie. + Passiva personale, resistenza alle condizioni ambientali e alla fatica. + Passiva personale, difese a 360° uguali al consumo + Amuleto dell'Auspex, percepisce le auree attorno a lui. + Discendenza arcana, guadagna 2 CS in Intuito ogni volta che un avversario usa una tecnica magica. + Prime due passive dominio Guaritore, guarigioni pari al consumo e possibilità di curare corpo e mente.
L'Immortale indica la via: Sopportazione di due mortali psionici + Immunità al dolore psionico.
Le braccia della mamma: Difese inconsce.
Il bacio della mamma: Guadagna 2 CS in Prudenza ogni volta che usa una tecnica di cura.

Attive in uso:


Azioni:

Aang prende la pietra focaia e si inoltra nel cunicolo di destra assieme a Shakan. :v:

Note:

Eccomi, eccomi! A voi!

 
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view post Posted on 31/1/2014, 19:20

Hear me Quack!
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" Allora chi altro viene con me?"


Chiese il guerriero, rivolgendosi al gruppetto. Aveva già mandato avanti un mercenario, mettendo in mostra la propria attitudine da scimmione alfa. Il Ratto si fece avanti, scostando quelli che gli nascondevano la visuale, in mano una torcia, alla cintola un sacchetto pieno di pietruzze che facevano un lieve rumore ad ogni passo.
Alla vista del suo nuovo compagno di viaggio, un brivido percorse la schiena del ladro e il suo cervello urlava, come se fosse vicino a qualcosa di pericoloso, gli era impossibile non provare un leggero senso di disagio affianco a quell'uomo.

"Verrò io con te!"


Disse Garrett, sorridendo, prima di tuffarsi nel condotto fognario che aveva difronte, seguendo la flebile luce della fiaccola davanti a lui. Non pensò neanche, lo fece e basta, consapevole che sarebbe stato in pericolo, di nuovo, ma anche che si sarebbe sentito vivo, di nuovo, nel cuore stesso della battaglia.
Non c'è da stupirsi nel vedere un ladro unirsi ad una spedizione del genere, soprattutto se quel ladro è una giovane testa calda che ha in mente di ripulire la zona da qualunque tesoro. Per quanto lo sciacallaggio non sia in cima alle preferenze del ragazzo, sapeva che se non ci si da da fare, è difficile che il proprio nome arrivi agli onori della cronaca in un continente diverso da quello di nascita. Non fu l'avarizia a condurlo lì, ma qualcos'altro, qualcosa di diverso, che prima di Asgradel non conosceva. Rubare non era più solo un modo per tirare avanti, non lo era più da tanto tempo, e dopo l'arrivo nel nuovo continente era diventato solo un modo per esplorare e mettersi in gioco, anche combattere lo sarebbe stato.
Per queste ragioni Garrett si era unito ai tanti pronti ad assaltare Lithien.
Erano arrivati di mattina presto. Il giovane, in mezzo alla folla, ammirò esterrefatto i picchi del castello, torreggianti sulla sua testa. In cammino, affianco ad uomini il cui unico scopo era il profitto, si trovava a proprio agio ma quella vista lasciò dentro ognuno un sentimento diverso. Quasi tutti erano ammutoliti dal panorama e il clangore delle armi, ferro contro ferro, risuonava come tante campane, tutt'attorno al ladro.
Garrett aveva fatto i compiti a casa e conosceva un paio di cosette su quel posto. La Bella lo chiamavano e nessuno si sarebbe potuto opporre al nomignolo. La guerra si era abbattuta su quella città ma, in qualche modo, non ne aveva alterato la bellezza, pur lasciando i propri segni. L'intero castello sembrava tendere al cielo, quasi volesse toccarlo, quasi volesse raggiungere quegli dei in cui molti credono. Tanti uomini, pellegrini, avevano raggiunto quella città in cui le preghiere sembravano essere ascoltate ed esaudite e il giovane ladro sembrava quasi poterne cogliere il perchè.
Forse, in un altro momento, si sarebbe soffermato di più ad ammirare l'architettura di quel posto costruito su una montagna, che sembrava sfidare le leggi della fisica, ed ammirarne ogni singolo dettaglio, come si fa con un diamante ben intagliato, ma non era quello il giorno.
Quel giorno un ladro aveva accettato di seguire un fantasma in battaglia.
Fu a quel punto che il Ratto si rese conto dell'ironia del suo destino: una vita dominata dalla ragione lo aveva condotto nel bel mezzo dell'Eden, ai piedi del più grande luogo di preghiera che avesse visto, al fianco di uno spettro.
Shakan, il non morto, si ergeva davanti a tutti gli altri, soldati e guerrieri di ogni angolo del continente, spiegando brevemente il proprio piano ed indicando l'obbiettivo.
Nessuno fece domande, nessuno batté ciglio.
In cinque si avvicinarono allo spettro, che consegnò loro un oggetto per aiutarli in caso di difficoltà. A Garrett fu dato un sacchetto, dentro il quale spiò non appena ebbe voltato le spalle, tornando nella bolgia. Furono date le ultime indicazioni e il gruppo si iniziò a dividere. Delle tre strade diverse, il ladro avrebbe seguito quella di sinistra con dieci mercenari e un guerriero in armatura pesante. Poco dopo essere entrato nel condotto, si voltò indietro, verso i suoi compagni e disse sorridendo:

"Casa dolce casa!"

 
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view post Posted on 2/2/2014, 14:56
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« Il tempo della speranza »
Ainwen e Montu

Il tunnel proseguiva diritto senza intoppi, seguitando a ripercorrere una via tracciata apparentemente nel ventre della montagna che ospitava la città, scorrendo di fianco alle sue viscere ed ai segreti nascosti nei secoli. L'odore stantio si faceva sempre più forte, sfociando ben presto in un puzzo persistente che assumeva toni marcescenti non di facile sopportazione.
Il gruppo proseguiva in silenzio, tenendo ferme le torce nelle mani. Tutto quello che illuminavano, però, non erano nient'altro che liquami che scorrevano sul pavimento, roccia scavata e sudicia di muffa ed umidità, oltre che i volti in apprensione dei guerrieri che accompagnavano i due prescelti dal fantasma.
D'un tratto si avvertì un sussulto distinto. Come un sommesso sbuffo, un sospiro appena accennato, ma che risuonò nel tunnel con straordinaria chiarezza. Si diffuse in un attimo, facendo eco tra le fila del gruppo.
Tutti si fermarono a fissare il proprio compagno, o chiunque fosse di fianco a loro. Nessuno, però, sembrava aver proferito alcunché. I mercenari si scambiavano sguardi perplessi e qualcuno di loro ebbe l'ardire di fissare il soffitto, illuminandolo con la torcia, senza - però - trovarvi nulla che potesse spiegare.
« Ehi, piantala - ti ho sentito e non è divertente! » disse uno dei soldati a quello che gli stava di fianco.
« Sei pazzo? » rispose lui, evidentemente scosso « io non ho fatto nulla! »

Si scambiarono altre occhiate irritate.
Poi, un terzo soldato intimò ai due di smetterla e di proseguire la marcia. Eppure, qualche passo dopo, lo sbuffo si replicò, seguito, però, da alcune frasi ben distinte.

Guardate
Una voce si diffuse indistintamente dal gruppo.
Vi donerò i miei occhi, perché possiate vedere quello che vi viene celato
Alcuni soldati fecero un passo indietro, quasi inciampando sui loro stessi piedi. Altri muovevano la torcia in giro, cercando di illuminare qualunque cosa originasse quel suono, inutilmente.
La verità origina in un peccato molto più remoto, latente e perverso...
Una raffica di vento improvviso sopraggiunse dalle profondità del tunnel. Le torce si spensero quasi subito ed un urlo strozzato di terrore si sollevò dalle fila dei mercenari. Quasi contemporaneamente, poi, la melma putrida che scorreva sul terreno si ingrossò sensibilmente, fino a diventare un vero e proprio corso d'acqua che raggiungeva le ginocchia.

Un paio di soldati scivolarono quasi subito, ricadendo su se stessi con un tonfo appena attutito dall'acqua. Di rimando, gli altri furono trascinati dalla furia della corrente e dal peso dei loro compagni, che li spinse l'uno sull'altro fino a ricadere tutti quanti. La violenza della corrente aumentò notevolmente, ed il corso d'acqua parve riempire l'intero tunnel, trascinando tutti i presenti fino ad una luce lontana, presumibilmente situata in un qualche sbocco ignoto.

Ainwen e Montu persero apparentemente conoscenza, venendo travolti dalla valanga di lamenti e corpi che furono trascinati via dalla corrente.
Quando ripresero conscienza, però, sembrava passata un'eternità. Gli occhi si inondarono di luce ed il tatto si poggiava su pareti levigate di pietra marmorea, diversi e lontani dalla scura pietra sporca delle profondità di poco prima.
Invero, si accorsero ben presto che qualcosa era cambiato. Invece degli ambienti angusti di poco prima, infatti, scrutavano su di loro il cielo azzurro e limpido di una bella giornata di sole. Attorno a loro sembravano ergersi della case in pietra bianca e legno, proprie di una piccola borgata cittadina. In lontananza potevano ammirare le alte torri di Lithien, benché in uno stato assolutamente differente da come le avevano ammirate poco prima. Si stagliavano con imponenza tra le vette dei monti, invero, benché risplendessero di una innata luce, beate e perfette lame di verità che si dispiegavano tra l'azzurra volta del cielo sopra di loro.
Era una giornata di sole in una Lithien apparentemente "pura", affatto corrotta da malattie e turbamenti, bensì adorna di speranza e lucentezza.
Loro stessi, d'altronde, parevano differenti. Ainwen aveva indosso una lunga e candida veste, ovvero un'ampia tunica, adorna di ricami in oro giallo e bianco, che terminava in una gonna che arrivava a cingerle anche le caviglie. Ai piedi aveva dei sandali in canapa, mentre tra le mani teneva anelli di oro bianco, impreziositi da vistosi smeraldi. Si toccò i capelli, per riscoprirli rossi, lunghi e ramati. Inoltre, incredibilmente, aveva degli occhi grandi che potevano scrutare liberamente il mondo: poteva vedere e non sapeva come fosse possibile.
Accanto a lei, poi, anche Montu appariva del tutto differente.
Era poco più basso di lei ed aveva capelli castani e ricci, corti. Vestiva con una tunica non differente dalla sua, benché più corta. Dalla vita in giù, infatti, lo cingeva un pantalone in seta bianca, che scivolava fino ai piedi. Calzava scarpe di canapa, ma chiuse.
Aveva occhi verdi e grandi, che la scrutavano con perplessità a sua volta.

« Veyia, Lukas! »
Non fecero in tempo a dire alcunché, però. Una donna, infatti, sbucò da una via laterale e si diresse verso di loro, chiamandoli con nomi che riconobbero a fatica come propri.
« Sono felice che siate giunti così in fretta » disse la donna, sorridendo in loro direzione. Vestiva una lunga tunica non dissimile dalle loro, ma poco più scura ed antica ad uno sguardo più attento. I ricami in oro erano sfilacciati in alcuni punti ed il tessuto bianco pareva sbiadito, quasi come se innumerevoli lavaggi ne avessero sottratto la lucentezza.
La donna era coperta da un cappuccio che ne celava il volto in parte, ma dallo stesso era possibile notare ciuffi grigi che sbucavano ai lati del volto. Il mento era affilato ed una bocca curata, adorna di un rosso accesso, rivelava un ampio sorriso.
« Dama Mior, è tempo » un altro ragazzo fece capolino al suo seguito. Aveva capelli neri molto corti e vestiva con un saio bianco molto più semplice. La donna si voltò a fissarlo per un attimo, poi gli indicò di allontanarsi.
« Il tempio ha preteso che solo i Prescelti accedano alla casa, quindi io e te rimarremo fuori » lo intimò.
Il ragazzo non se lo fece ripetere e si portò lontano, in disparte. Poi la donna ritornò a fissare i due: « Vi prego di prestare molta attenzione » disse loro, con un tono molto più serio « questa è la prima morte efferata che accade nella nostra comunità, da quando ci siamo stanziati in questa città »
disse ancora, incrociando le mani nervosamente « quindi state molto attenti a cosa riuscite a scoprire. »
Infine, indicò una casa dietro di loro. Era non dissimile da quelle che riempivano la piazza nella quale si trovavano, ma poco più grande. Aveva una forma squadrata, in pietra bianca e legno come tutte le altre, ma più ampia. Inoltre, la porta centrale sembrava adorna con intagli artistici, preziosi, che ne abbellivano l'aspetto. Sulla parete principale, infine, pareva intagliata un'effige vistosa, che ne manifestava l'estrazione nobile di chi ci viveva.

Mior aprì la porta d'ingresso ai due e fece loro segno di entrare, senza troppi complimenti.
L'interno della casa era evidentemente impreziosito da tappeti preziosi, mobili antichi e finemente intagliati, oltre che tele ed arazzi. Un letto a baldacchino in seta bianca ed ampi rivoli in tessuto rosso, adornavano una camera da letto preziosa e curata, come tutto il resto.
Quello che più attirava l'attenzione, però, era ciò che c'era al centro della stanza.
Un corpo di una donna era disteso a pancia in giù. La giovane aveva capelli neri lunghi, sparsi sulla schiena ed era riversa in una pozza di sangue che ricopriva un'ampia parte del pavimento.
Era evidentemente morta ed apparentemente loro dovevano scoprire come era accaduto.

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« Poco spazio per morire »
Garrett e Morpheus

Il tunnel proseguiva verso l'alto, curvando talvolta verso destra, come se risalisse le pendici di un monte.
Benché la pendenza non fosse tanta da giustificare un vero sforzo, dopo diverso tempo di marcia la fatica iniziava a farsi sentire tra i soldati. E, insieme ad essa, anche il nervosismo.
Talvolta non era rado sentire uno sbuffo d'aria soffiare sui colli dei presenti, o un brivido leggero correre lungo le loro schiene, come se qualcuno si divertisse a far scattare i loro nervi.
Sul momento i più pensavano fosse dovuto al poco spazio del tunnel, oltre che alle rapide correnti d'aria che talvolta incrociavano sulla loro via. Quantomeno, la cosa sembrava anche propizia per la circostanza del loro viaggio: più aumentavano le correnti, più era probabile che si avvicinasse una via di uscita.
Questo, almeno, quello che speravano.

Improvvisamente, però, non furono solo gli sbuffi d'aria ad infastidirli.
Sia Morpheus che Garrett sentirono, infatti, come se qualcuno ogni tanto li toccasse al fianco. Senza badare a corazze o vesti, invero, avvertivano distintamente delle mani fredde che toccavano la pelle nuda del loro corpo.
Lievi carezze o piccoli tocchi innocenti, benché fastidiosi per il loro numero e la loro ripetitività.
Improvvisamente uno dei soldati sbottò di rabbia, visibilmente innervosito.
« Smettila stronzo! » urlò e, senza troppi complimenti, sferrò un pugno in pieno volto all'uomo che gli stava di fianco.
Il pugno colpì in pieno il naso dell'altro, che si ruppe con un rumoroso suono sordo.
L'uomo iniziò ad urlare di dolore, mentre il sangue sgorgava copioso dal suo volto. « Non sono stato io, maledetto...! » urlava a sua volta, tra un singhiozzo e l'altro.
« Mi tocchi da quando siamo partiti, finocchio! » non si dava pace il primo, facendo seguito all'invettiva.
« Cosa cazzo dici...! » rispose a sua volta il soldato ferito « ...figurati se tocco quel tuo culo di mer- »
La discussione fu brutalmente interrotta. Improvvisamente, infatti, una freccia sbucata dal muro colpì in pieno il volto già insanguinato dell'uomo, trafiggendolo e piantandolo al muro di fronte.

Un soldato, quello più avanti di tutti, si ergeva immobile. Balbettava terrorizzato frasi sconnesse e, nel mentre, rimaneva immobile su di un mattone in pietra. Aveva attivato qualche meccanismo nascosto e, manco a dirlo, si era reso conto della gravità della cosa solo quando era ormai troppo tardi.
Di seguito, le pareti del tunnel iniziarono a muoversi, stringendosi gradualmente. Come se non bastasse, però, il sentiero dinanzi a loro era pieno di trappole ad attivazione di vario tipo, che avevano poco tempo - e poco spazio - per cercare ed evitare.

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« Non fidarti troppo di me »
Aang e Shakan

« Non vado molto fiero del mio passato »
il fantasma passeggiava con Aang, parlando col monaco come se si rivolgesse ad un amico fraterno. I due tenevano il passo del gruppo, ma camminavano comunque qualche metro più avanti del resto della compagnia. I soldati, infatti, se ne stavano poco indietro, guardinghi e perplessi sulla situazione.
Non era rado sentirli parlottare tra loro, lanciarsi qualche parola stizzita ed argomentare nervosamente la difficoltà della situazione.
Aang e Shakan, però, sembravano ignorarli, seguitando a discorrere tra loro.

« In questi tunnel ordivo complotti contro la mia città »
diceva, sospirando talvolta « conservavo una frustrazione contro il potere e contro i potenti »
« ...tale da spingermi a desiderare il peggio finanche per gli abitanti di questa città. »
Attese qualche istante, continuando a fissare un punto indefinito nell'oscurità che si stagliava dinanzi a loro. Nel mentre, le luce delle torce illuminavano un corridoio che proseguiva verso il basso, ma sempre uguale e dall'odore sempre più stantio, come se discendesse sempre di più verso un profondo pozzo di marcescenza.
« Eppure c'è sempre qualcosa che non mi convince » aggiunse poi, interrogandosi con tono serio
« ho riscoperto dettagli turpi del mio passato, che non avevo mai ricordato » disse ancora, alternando uno sguardo alla profondità del tunnel ed uno agli occhi perplessi del monaco, che gli camminava di fianco « e spesso ho la sensazione che tutto il bene che ho fatto al regno non era altro che un modo per farmi perdonare per quello che avevo commesso qui... »
Sospirò con veemenza, dando fiato ai propri dubbi, come un sonoro rimpianto che rimbrottava nell'amenità di quel ventre ripieno solo di muffa e fetore.
« Spesso mi sembra come se negassi a me stesso la verità su chi sono o chi sono stato »
aggiunse, affranto « come se mentissi a tutti »

Poi, si fermò. Come un lampo, arrestò il passo, quasi si fosse accorto solo in quel momento di un particolare importante. Dietro di loro, infatti, non udivano più i rimbrotti ed il parlottare dei soldati.
Invero, si accorsero solo in quel momento che dietro di loro non c'era più nessuno.

« Cosa, diavolo...? »
D'improvviso si spensero le torce ed il buio calò nella zona, inghiottendo qualunque cosa potesse comportare una percezione di se o dell'ambiente circostante. Invero, una sensazione di affanno si diffuse. Allo stesso modo, infatti, il monaco udì piccoli rintocchi lontani, crescere di intensità. Era come se piccoli tocchi interessassero il terreno, strisciando e muovendosi verso di lui, ma da ogni direzione.

Menzogna.
Udì una voce, provenire da ogni punto attorno a se.
Sei sicuro di poterti fidare di lui... ?

Due mani emersero dall'ombra. Irriconoscibili, nere - mai viste prima.
Le mani si avvinghiarono al collo del monaco, stringendo con veemenza. Come lame taglienti, segavano il collo del monaco, togliendogli il fiato e la vita, scivolando lungo la sua anima come la morte che sopraggiunge alla vita.
Sei sicuro di conoscerlo veramente?



littleqmpointwinterreisPer tutti. Ciascuno di voi ha una sua parte di post ed in tal senso non devo spiegarvi nulla. Da questo momento in poi la "paranoia" già citata prima vi varrà come una vera passiva psionica che non potrete ignorare a meno che non possiediate difese psioniche passive (che mi dovrete citare nello specchietto). Se la subite, sarete pressappoco influenzati dall'ambiente come lo sono le guardie: diventerete irritabili, sentirete voci, soffi e toccate varie che vi faranno innervosire alquanto.
Oltre a questo, ciascun gruppo dovrà affrontare una situazione differente che vi spiego meglio di seguito, ben coscienti che avete sempre gli oggetti a vostra disposizione che potete usare in ogni momento. Per ogni domanda o dubbio, non esitate a chiedere in confronto.

Ainwen/Montu. Non avete idea di come siete capitati in quella situazione, ma è come se foste in un altro posto. Potete fare ogni congettura che volete, ma sta di fatto che siete stati posti in una situazione particolare che dovete gestire. Apparentemente siete inviati di un fantomatico "tempio" che vi ha mandato ad investigare sulla morte della donna. Non avete informazioni su chi siate e su perché vi chiamano in modo diverso: conservate tutti i vostri ricordi ed avete tutti i vostri poteri che non implicano l'uso di artefatti/oggetti/armi. Queste, infatti, non le avete (per ora). In compenso, conservate gli oggetti che vi ha dato Shakan che - in questa fase - non sono oggetti, ma vere e proprie "magie" in vostro possesso. Il campanello di Ainwen è diventata una proprietà della sua voce che, se vorrà, potrà utilizzare per convincere qualcuno a dire la verità su qualcosa (il potere vale per un singolo "argomento"). Montu, invece, ha il potere di creare uno scudo mentale contro influenze psioniche di qualunque tipo, di potenza alta: tale scudo potrai anche usarlo su altre persone (ma lo consumi comunque). Vi chiarisco che l'uso di tale potere consuma l'oggetto per tutta la giocata, quindi sotto questo aspetto non cambia nulla. La scena la gestirete col solito metodo delle azioni in confronto. Mi direte li (con due righe soltanto, niente post complessi, solo "vado li e lo meno" cose così) cosa fate, fino a quando non vi dirò io stop. Lo scopo intrinseco della situazione è quello di capire come sia morta la donna o chi l'abbia uccisa. Insomma, investigate.

Garrett/Morpheus. Situazione critica. Una guardia è morta per una trappola ed il nervosismo serpeggia tra le vostre fila. A causa della trappola attivata, il sentiero si stringe attorno a voi, ovvero le mura stanno per schiacciarvi, quindi dovrete correre via da li. Il problema è che le trappole che hanno ucciso la guardia sono numerose. Decidete come procedere; voi non dovrete dirmi in confronto cosa fare, dovrete solo agire, organizzandovi - nel caso - tra di voi su come procedere. Sappiate che potete anche limitarvi a correre in avanti e tentare la fortuna, caso in cui subirete un quantitativo di danni pari a tre Alti al fisico (che vi si conteranno dal turno successivo, ovviamente). Le guardie dovrete gestirle voi, ma non autoconclusivamente. Potete ordinare loro di fare qualcosa, ma dovrete trovare un modo per farle "sopravvivere": se le ignorerete infatti, subiranno anche loro danni o potrebbero non sopravvivere (mi regolerò a seconda di cosa fate). Le muoverò comunque io nel mio prossimo post. Potete usare due slot tecnica, nel caso, oltre agli oggetti che vi son stati dati.

Aang. Piccola premesa, do per scontato che Aang sappia già gran parte degli episodi del passato di Shakan. O, comunque, lui lo da per scontato, parlando come se si rivolgesse ad una persona che conosce, ormai, "gran parte della sua storia". Se tu hai dubbi, però, puoi chiedere a me o leggere nel primo post del thread in confronto, dove c'è tutto quello che devi sapere insomma. Per il resto, è molto semplice. Non vedi chi ti stia tenendo, però quello che sai ti porta a pensare che sia proprio Shakan. La "presa" vale come una tecnica di potenza Alta, difendibile - nel caso - come tale. Oltre a questo, però, dovrai badare anche al pericolo che ti circonda. Avverti infatti una sensazione di paura crescente, dovuta ad un rumore che senti attorno a te. Odi come tanti piccoli movimenti, come se qualcosa toccasse il terreno con un crepitio crescente che sembra avvicinarsi, soltanto che sembra venire da ogni punto intorno a te. Questa sensazione agisce come un'influenza psionica di potenza bassa, ma non ti causa danno, si limita semplicemente a causarti un ulteriore stato di ansia. Decidi cosa fare. Come detto, la torcia ti si è spenta. Hai due slot ed agirai direttamente nel tuo post. Non essere autoconclusivo.

Ordine. Sarebbe il massimo se ogni coppia postasse vicina, mentre Paracco può postare quando vuole, prima o dopo le altre coppie. Non ve lo impongo come "dictat", però. Se riuscite a farlo, bene, se no fa nulla.
Tempi. Fino a Sabato 8 febbraio, ore 00.00.
 
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view post Posted on 8/2/2014, 10:24

Hear me Quack!
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Il tunnel claustrofobico si muoveva in un’unica direzione, a volte con piccole variazioni, costringendo dodici persone in uno spazio buio e umidiccio e freddo, dove sarebbe bastato il nervosismo di uno solo a contagiare tutti. Garrett questo lo sapeva.
Per anni aveva usato condotti fognari e cunicoli per introdursi nelle abitazioni dei nobiluomini, a volte accompagnato da gente tutt’altro che coraggiosa, senza grandi problemi. Quel tunnel, però, era diverso: una sola diramazione iniziale e nessun’altro crocevia; l’aria era pesante, come se l’intera montagna al di sopra poggiasse su quei dodici uomini; il vento, gli spifferi si insinuavano sotto gli abiti provocando sinistri brividi; la sensazione di una mano gelida che tocca la pelle, laddove è coperta, forse quest’ultima era la cosa peggiore.
No, non era una semplice fogna. Quella fogna era diversa da tutto ciò che il ladro aveva incontrato.
Le pareti di quel posto emanavano qualcosa di sinistro, che riusciva a corrompere le menti dei mercenari alle sue spalle ed anche la sua, per quanto cercasse di mantenere la lucidità. La tensione era palpabile nell’aria, nessuno sembrava esserne immune.
Akerat! Quel cunicolo riportava alla mente ciò che il ragazzo aveva provato al suo arrivo nel continente, quella sensazione di costrizione, che avrebbe portato chiunque a voltarsi e correre: bisognava farsi coraggio e continuare ma più andavano avanti e più quelle strane presenze eteree, il tocco gelido, i brividi sulla schiena, il fiato di uno sconosciuto sul collo, diventavano via, via più insopportabili.
Per il Ratto, fu uno sforzo mentale non indifferente ignorare quella presenza e continuare senza voltarsi, altri non furono così forti.
Più indietro, due mercenari caddero nella subdola trappola, accusandosi a vicenda.
Garrett si voltò per un istante, senza fermarsi, cercando di capire quello che stava accadendo. Era secondo, nessuno era alla portata di toccatine indiscrete, eppure anche lui sentiva quello che sentivano gli altri, quello di cui si accusavano i due più in fondo.

“Nessuno vi sta toccando!”


Bisbigliò. Il messaggio non era rivolto ai due mercenari alle sue spalle ma a se stesso, un ragionamento ad alta voce, un commento spontaneo nel tentativo di comprendere quel luogo.
Non ci fu il tempo di ragionare o comprendere, che la lite fra i due fu conclusa: una freccia aveva trapassato il cranio di uno dei due litiganti, spezzando la conversazione. Erano arrivati ad un punto morto.
Il primo della fila era immobile, terrorizzato a tal punto che non riusciva a mettere due parole di senso compiuto una dietro l’altra, consapevole di aver messo un piede in fallo.
Quando la situazione sembrava non poter peggiorare oltre, i muri iniziarono a muoversi, restringendo lo spazio vitale sempre più. Il panico sembrò diffondersi fra gli uomini e il tempo per ragionare si era assottigliato. Il rumore dell’attrito dei muri contro il pavimento e il soffitto, sembrava ricordare il rumore della sabbia che scivola giù per una clessidra, la fine era vicina.
Il ladro scattò immediatamente in avanti, sparando un rapino appena sopra la testa del capofila, senza apparentemente curarsi di ciò che aveva alle spalle, raggiungendo in un istante l’uomo terrorizzato.
Aggrappato saldamente al soffitto del cunicolo, accovacciato a testa in giù, si fermò sopra il mercenario cercando di rassicurarlo con poche parole:

“Sta calmo e fai un passo indietro, la trappola è già scattata”


Sotto di lui, come un grosso bottone rosso, era visibile il mattone che aveva messo in moto la macchina di morte. Dovevano essercene altri.
Iniziò ad osservare con attenzione la sezione del cunicolo davanti a lui, mentre metteva una mano nel sacchetto pieno di pietruzze bianche, lasciandone cadere una in quella posizione, segnando il mattone che l’incauto mercenario aveva toccato.
Aguzzando ancora la vista, la mano nel sacchetto pronta a far cadere un altro ciottolo al primo sentore di trappole, il ladro invitò i suoi compagni a seguirlo:

“Dobbiamo avanzare!
Evitate di toccare i ciottoli e forse salveremo la pellaccia”


Concluse mettendosi a capo della fila di uomini, iniziando a percorrere il tunnel sotto-spora, come il ratto qual era, sperando che nessuno avesse piazzato trappole anche sul soffitto.

CITAZIONE
Energia: 100%
Fisico: Illeso.
Psiche: Illesa. (Spaventato)
Abilità e Tecniche: Vista perfetta, Ratto.


Vista perfetta ~
La protesi meccanica che sostituisce l'occhio destro del ladro ne migliora la vista, amplificandola e rendendola simile a quella di un gatto. Grazie a questa caratteristica riesce a vedere bene anche in condizioni di visibilità non ottimali o con poca luce. La vista migliorata, inoltre, permette a Garrett di prendere la mira con precisione e di poter seguire il bersaglio anche se visibile solo in parte, riuscendo a calcolare con precisione le distanze.
(Passiva Razziale: Mezz'elfo + Passiva Talento: Tiratore I)

Ratto ~
La facilità con cui il ladro è sempre riuscito a superare gli ostacoli gli è valso il soprannome. Come per tutti i professionisti, però, un soprannome va mantenuto e per far questo Garrett ha migliorato le proprie capacità d'infiltrato, grazie ad alcuni gadget di sua invenzione: egli può scalare ogni muro e restare aggrappato ad ogni superficie, anche sfidando la legge di gravità, scivolare sull'acqua, sfruttando la tensione superficiale e, in casi estremi, planare. Passare inosservati significa soprattutto usare la porta sul retro.
Costo: Passiva
(Pergamena Ladro: Sostegno)


Note e Riassunto: Garrett si accorge (ovviamente) della trappola e la segnala.
Sfruttando le passive, evita la prima, camminando sul soffitto, cercando di scorgere le altre.
EDIT: aggiunto lo specchietto.


Edited by The Jedi Doctor Hobbit Who Lived - 8/2/2014, 12:49
 
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view post Posted on 8/2/2014, 19:06

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L’aria rarefatta, opprimente e stantia di quei cunicoli ricolmi di cloaca iniziò a farsi pesante. L’odor malsano di morte, di malattia, di chiuso, iniziò a penetrargli all’interno delle narici con insistenza sempre maggiore, come una presenza maligna.
Infine la sentì, la presenza.
Sbuffi di vento, brezze leggere come carezze, gli attraversavano il corpo, lo toccavano, lo sfioravano, poteva sentire il tocco gelido sulla sua nuda pelle, mani che oltrepassavano persino la sua spessa corazza di scaglie di drago. Per un attimo, uno soltanto – come un fugace lampo nella sua mente – dubitò degli umani che erano lì con lui. Ebbe una strana voglia inconscia, una specie di rabbia che crebbe dentro di lui, una rabbia pervasa dal dubbio e dalla diffidenza, gli venne quasi voglia di attaccarli, di ucciderli. Ma fu un attimo e uno soltanto, per quanto quella presenza fosse insistente, la lucidità del dragone ebbe la meglio. Nessun umano l’avrebbe potuto sfiorare in quel modo, con quella delicatezza, per di più sotto la corazza.
Le voci dei due uomini gli giunsero dritte nelle orecchie trasmettendo l’impulso al cervello, immediatamente capì che c’era qualcosa che non andava, qualcosa nell’aria che la rendeva elettrica. Attraverso la corazza, un brivido di freddo gli trapassò il corpo, i sensi si misero in ascolto, il pericolo di morte vibrava nell’aria come una minaccia concreta. Lui lo sapeva, sentì il pericolo ancor prima che si palesasse a tutti loro, come un sentore di inadeguatezza.
Un rantolo di dolore strozzato, il silenzio improvviso e il rumore d’un corpo pesante che s’abbatté a peso morto sul terreno. Morpheus si girò immediatamente, osservando uno dei mercenari trafitto al capo da una freccia. Il panico si dilagò lungo il tunnel, il respiro agitato dei presenti rimbombò sulla dura pietra. Il vicolo senza fine, buio e scuro, illuminato solo dalle luci delle fiaccole, iniziò a vibrare. Lentamente, inesorabilmente, la pietra, i muri iniziarono a stringersi intorno agli uomini, come una morsa rocciosa, fredda. Come degli stupidi erano caduti nelle più infide delle trappole.
E forse non tutti sarebbe usciti vivi da lì.

Ma lui si.

Sapeva con rassicurante certezza che non sarebbe morto lì, non tra quelle mura del cazzo ricoperte di cloaca.

Che fosse scritto nel destino, nel fato, nella fortuna.

Le cose non sarebbero cambiate.

Semplicemente lui non sarebbe morto quel giorno, non come un umano per lo meno.
Aspettò soltanto che l’istinto lo guidasse fuori da quella trappola mortale, sapeva che in terra c’erano altre trappole, altri mattoncini, altri meccanismi pronti ad azionarsi. Chi aveva costruito quei cunicoli non voleva che nessuno li attraversasse, il tutto dunque non poteva limitarsi a una freccia nel cranio di uomo.

L’altro uomo che c’era con lui, il non-mercenario, evidentemente sapeva il fatto suo. Analizzò il mattoncino di pietra sotto il piede del mercenario. Era lievemente diverso dagli altri, sporgente e forse di un colore diverso, non sapeva dirlo con quella luce, avvicinò la torcia per vederlo meglio, per analizzarlo.

Se ce ne fossero stati altri lo avrebbe riconosciuto.
Ma nel frattempo doveva fidarsi del suo istinto, e di quell’altro.

« Ascoltate quello che dice, fate molta attenzione o non usciremo vivi. »
Poi ordinò, perentorio:
« Ma soprattutto, non fatevi prendere dall’ansia. »
O morirete.

Questa ultima frase non la disse, non serviva agitarli più di quanto già non lo fossero. Probabilmente i soldati si sarebbero calmati e avrebbero riconosciuto in lui una guida, un generale da seguire e da ascoltare. Non sarebbe stato utile per salvarsi la vita, ma di certo non avrebbe peggiorato la situazione.
Lo avrebbero ascoltato, seguito come ombre, si sarebbero fidati di lui e delle sue doti.

« Seguitemi e vi salverete. »
Forse.

Il dragone seguì l’uomo sul soffitto in attesa del suo segnale, la torcia puntata verso il basso il più vicina possibile ai mattoncini di pietra, con il suo istinto e i suoi sensi all’erta.
Se ci fosse stato un pericolo se ne sarebbe accorto.




Morpheus Somniorum Illusio Caeli et Draconem

Forma Umana
4 cs Costituzione



Energia: 90%
Status Fisico: //
Status mentale: Paranoico
Armi: //

Abilità attive:

Bewitch ~ forma umana:
un'armatura a scaglie di drago è motivo di vanto e orgoglio per il possessore, perché sarà riconosciuto come un uomo dalle inconfondibili doti di battaglia, o parimenti di prestigio e ricchezza per un acquisto di così grande valore. La riverenza, l'ansia, la trepidazione è ciò che paralizza e soggioga gli istinti umani, ed è con un dispendio Medio di energie che esso potrà essere percepito con vividezza, concretezza quasi tangibile. Chi abbastanza vicino da lasciarsi influenzare dalla tecnica, oltre a subire danno Basso alla mente, non si mostrerà più ostile nei confronti del portatore, ma anzi sarà bendisposto ad aiutare un uomo all'apparenza distinto e brillante.



Abilità passive:

Blue Dragon: come tutti i draghi anche Morpheus possiede una forza fuori dal comune, forza che gli permette di utilizzare, anche in forma umana, le armi più grandi e mastodontiche in circolazione come se fossero leggerissimi, in grado di alzare e smuovere anche i più pesanti oggetti, non vi è quasi limite alla forza di un drago [Passiva personale]. Un drago può scegliere in qualsiasi momento quale delle due forme mantenere, infatti non sarà soggetto a nessuna restrizione dovuta alla luce al buio, ma potrà cambiare la sua forma in qualsiasi momento della giornata. In compagnia di altri umani, e nelle città, è abituale vederlo nella sua forma umana, ma in caso di attacco o di combattimento, laddove è possibile, sarà sempre nella sua forma più nobile e potente [Amuleto ombra]. Qualunque essere, al cospetto di un drago, impallidirebbe. Indipendentemente dall'allineamento, indipendentemente dall'essere o meno in forma draconica, le altre razze diffideranno dal fidarsi, e in ogni caso, ogni essere avvertirà un lieve timore, purché questo non sia un esemplare della propria razza o di un demone, creature per certi versi similari a loro, e che sia di energia pari o inferiore all'agente [Abilità raziale].

Dragon's Power: i draghi sono nati per combattere, ogni cosa di loro fa pensare a ciò, dalle fauci, dalle scaglie inscalfibili e dagli artigli poderosi, ogni cosa fa credere che si è dinanzi a creature particolari portate per la guerra, battaglieri e indomabili. È risaputo dunque che un buon drago deve disporre di difese adeguate, perchè solo attaccando, benché potrebbero benissimo farlo, non si può uscire illesi da uno scontro. Per questo la razza draconica, con i secoli e i millenni di trascorsi in guerra, ha sviluppato queste abilità che accrescono con gli anni e che sono già palpabili nei cuccioli di drago. In termini di gdr Morpheus potrà alzare barriere istantanee, senza nessun vincolo di tempo o concentrazione, altresì le sue difese potranno essere erette in maniera inconscia, difatti nessun attacco potrà mai coglierlo di sorpresa, come se le sue difese si animassero di volontà propria per difendere il dragone da futuri attacchi. Inoltre, la conoscenza di Morpheus si estende anche a tutte quelle difese che permettono di coprire per intero il proprio corpo, queste difese, che per i comuni mortali sarebbero molto dispendiose da erigere, per il drago ogni difesa di 360° avrà la stessa potenza del consumo speso per generarla [Abilità passive di I-II-III livello del talento guardiano]. Inoltre il corpo dei draghi è talmente pervaso dalla forza magica da trarne forza anche da quella circostanza, come se se ne cibasse per accrescere sempre di più, in sintesi, ogni qual volta che un avversario di Morpheus si trovi a utilizzare tecniche di origine magica le Cs di Morpheus, relative a capacità non fisiche (intelligenza, dominio della magia ecc.), cresceranno di ben due punti [Pergamena discendenza arcana].

L'errore di Nailat: un oggetto all'apparenza inanimato, un'armatura di pregio per un guerriero il cui passato ha il suono e l'odore del sacrificio. Ma se ad indossarla è un individuo nelle cui vene scorre l'antico e nobile sangue draconico, essa risveglierà i propri istinti, elargendo lui ciò che Nailat rifiutò con spregio. Il portatore, ogni qualvolta dovesse trovarsi in situazioni di pericolo, avvertirà una forma di inquietudine e nervosismo che lo indurrà ad essere più vigile e a temere per il peggio. L'abilità concede i propri benefici come un senso aggiuntivo, ma non starà ad indicare né la direzione e né l'entità di eventuali attacchi in arrivo, così come non chiarirà la natura effettiva del pericolo al quale il portatore va incontro. {Abilità passiva}


Note:
Allora, tutto è in mano a Garret, lui, sfruttando la passiva di vista migliorata cercherà di vedere i mattoncini in terra e sarà pochi passi dinanzi a noi. Tuttavia, Morpheus per sicurezza illumina il pavimento alla ricerca del mattoncino, grazie anche alla sua passiva che, pur non specificando un punto, fa avvertire a Morpheus un pericolo imminente, ergo, in presenza di una trappola (dunque pericolo) i sensi del dragone dovrebbero mettersi sull'attenti e quindi fare più attenzione per cercare di notare i mattoncini. Per il resto utilizzo l'abilità per far si che i miei compagni si fidino di me, sembrerà uno spreco di energie ma volevo innanzitutto calmarmi ponendomi come leader, in seguito accettandomi come leader si spera che seguiranno esattamente i miei passi limitando così attacchi d'ansia e movimenti improvvisi e bruschi.




 
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PARACCO TRAVESTITO ALOGENO
view post Posted on 8/2/2014, 22:01




Non era il momento adatto per parlare.
Chiusi in cunicoli sporchi e puzzolenti, circondati da sconosciuti, oltre che dai pericoli che quel luogo dimenticato dagli dei celava. Eppure parlarono, ed ognuno traeva conforto dalla presenza dell'altro, come avrebbero fatto degli amici in una situazione rischiosa. Aang non conosceva tutto del passato del Fantasma, ma sentirlo parlare a quel modo gli fece comprendere meglio le azioni che il suo amico aveva compiuto negli anni. E non si meravigliava se infine aveva voluto rischiare il tutto per tutto, per poi fuggire via quando il suo tentativo era stato sventato dai Corvi stessi che dovevano essere le sue vittime.
Ripensando a ciò che era successo, a ciò che avevano vissuto entrambi, Aang si sentiva fortunato in confronto a Shakan. Il monaco aveva avuto un'infanzia tranquilla, per quanto rigidamente condotta dagli insegnamenti del Monastero: si poteva persino dire che la sua vera vita fosse iniziata nel momento in cui aveva abbandonato Sōngshān. Aveva vissuto pessime e ottime esperienze, ma se l'era sempre cavata, sapendo di avere sempre un luogo a cui tornare. Tuttavia per Shakan non era stato lo stesso, condannato a fuggire dalla sua città natale e dai Quattro Regni. Per sua stessa colpa.
Ecco cosa lo aveva tormentato, rendendolo cieco e pazzo di fronte all'evidenza, eppure quella persona aveva avuto le forze di sacrificare se stesso per le persone che di quei luoghi erano ignari abitanti. "Non è un titolo che ti rende nobile, ma sono i sorrisi degli innocenti che ti rendono un eroe" - queste erano state le ultime parole che Shakan gli aveva rivolto prima di allontanarsi da Basiledra, e Aang le ricordò con un sorriso, nonostante la situazione non fosse delle migliori per abbandonarsi a fatti avvenuti oramai quasi un anno prima. Camminò per qualche altro minuto, ragionando su quelle parole e ascoltando quelle dello Spettro: con il senno di poi, non era stata colpa di Shakan se lui aveva dovuto prendere sulle spalle un peso come la salvezza dei Quattro Regni? Non era colpa di Shakan se lui aveva partecipato alla guerra del Sud, strappando l'anello dalle mani dei Corvi Rossi? Non era colpa di Shakan se ora era condannato a trasformarsi in una bambola priva di raziocinio al comando di un essere di cui non conosceva nulla?
Si, era tutta colpa sua se era finito in quella situazione, e si era aspettato come minimo delle scuse quando lo aveva visto. Invece cosa aveva fatto il Fantasma? "Sei cambiato, sei diventato un guerriero" gli aveva detto, come se lo avesse invitato lì per le sue capacità e non per la loro amicizia.

E dire che ho fatto tutta questa strada per lui... - si disse, voltandosi verso il Fantasma. Probabilmente avrebbe dato voce ai suoi pensieri, se il pericolo non fosse piombato su di loro a tutta velocità.

Il primo ad accorgersi di qualcosa fu Nadìr, forse perchè impegnato ad annoiarsi al posto di concentrarsi sulle parole che i due umani si scambiavano da qualche minuto. Si voltò, non trovando nessuno dei soldati che in teoria sarebbero dovuti essere dietro di loro. Il secondo fu Shakan, che si voltò interrompendo una frase a metà. L'ultimo fu Aang, che si vantava con se stesso di sapere sempre cosa succedeva attorno a lui, ma che quella volta si fece trovare impreparato. Uno sguardo dietro di loro bastò a fargli sbarrare gli occhi, scostando la torcia attorno a loro per vedere se qualcosa li stesse minacciando.

Ma era già tardi.

L'oscurità balzò su di loro, divorando le luci delle torce e gettando il cunicolo nel buio più totale.

« Shakan, tutto bene!? » - urlò, ascoltando con gli occhi sbarrati nell'oscurità la sua voce che rimbalzava sulle pareti.
« Shak-!? »

Piccoli rintocchi lo circondarono nel buio, come piccoli passi svelti sulla superficie di quella melma che un tempo era stata acqua. Ma l'ansia passò in secondo piano, perchè due mani si strinsero attorno al collo, e iniziarono a stringere. Mentre Aang cercava invano di respirare, qualcuno gli parlava, spiegandogli un punto di vista che non aveva mai considerato. Lentamente, come farebbe un adulto costretto a parlare ad un bambino. La voce veniva da un punto dell'oscurità e da mille altri attorno a lui, come se a parlare non fosse una persona, ma centinaia.

Menzogna.
Sei sicuro di poterti fidare di lui... ?


Cercò di rispondere a quella domanda ma scoprì di non riuscirci, il poco fiato rimasto che andava abbandonando il suo corpo soffocato da quelle mani sconosciute.

Sei sicuro di conoscerlo veramente?

Aang sgranò gli occhi nell'oscurità, mentre lampi bianchi apparivano e scomparivano al suo sguardo. Avvertì quelle mani sconosciute stringersi un pò di più, e il monaco sentì le forze scorrergli via come se fossero acqua. Mentre il suo corpo si rilassava sentì di conoscere la risposta a quella domanda, l'unica cosa che contasse in quel momento.

Si, lui si fidava di Shakan.
Si, io conosco Shakan.

E allora perchè gli faceva tutto ciò? Perchè le sue mani che un tempo lo avevano toccato con gentilezza ora lo avevano afferrato avide di strappare la sua vita? Sapeva che doveva chiederglielo, che doveva esserci un motivo. E se lui avesse capito, e avesse voluto svelargli il motivo, ne avrebbero potuto parlare. Avrebbero potuto risolvere quell'ennesimo problema. Perchè era quello il modo in cui gli amici si aiutavano, no? I suoi tatuaggi si illuminarono tenuemente nell'oscurità, e le mani si allontanarono dal suo collo con lentezza ma con decisione. Scoprì di riuscire a respirare, prendendo un lungo respiro tremante. L'aria fetida del cunicolo fu una benedizione in quel momento, e quasi non sentì il fetore delle fognature. Era troppo contento di essere riuscito a riprendere fiato per lamentarsi di un dettaglio come quello.

« Sh-akan? »

Parlò con voce rauca, voltandosi continuamente verso i piccoli passi che avvertiva attorno a sè. La paura di non sapere che fare gli crebbe come un nodo in gola che gli impediva di deglutire. Non riusciva a vedere niente, e a cosa gli servivano i suoi poteri se non sapeva su chi usarli? I passi continuavano: rapidi, numerosi, furtivi. Si stavano avvicinando, oppure era l'oscurità a giocargli un brutto scherzo?

D-devo difendermi!

Si voltò di colpo verso destra, scoprendo che in realtà i passi venivano da sinistra, e poi da dietro di lui. Non sapeva cosa fare, e dove rivolgersi. Se solo ci fosse stato qualcuno ad aiutarlo avrebbe potuto ragionare, ma da solo si sentiva come un bambino in una gabbia piena di tigri. Piccolo e indifeso, poteva solo soccombere a quell'oscurità famelica. Alzò le mani per difendersi, e solo in quel momento si rese conto di avere ancora la torcia spenta tra le mani. La toccò anche con l'altra mano, per accertarsi che fosse veramente reale, facendosi sfuggire un sospiro di sollievo dalle labbra. Mise una mano in tasca, prendendo l'acciarino che Shakan gli aveva dato qualche minuto prima e usando con mano tremante per riaccendere la torcia.

Ci avrebbe visto chiaro in quella faccenda, ma prima avrebbe dovuto vedere chi doveva affrontare, se Shakan o qualche altro nemico sconosciuto.
In qualunque caso, ora era veramente pronto.



Diario del Monaco
Comprensione





Cs totali: 5 (2 in Tenacia; 2 in Costituzione; 1 in Intuito)
Basso 5% ~ Medio 10% ~ Alto 20% ~ Critico 40% ~ Mortale 80%

Energia attuale: 75%
Consumi utilizzati: Basso (5%) + Alto (20%)

Condizioni fisiche: Illeso.
Condizioni mentali: Illeso.

Bastone del Manipolatore: mano sinistra.
Balestra: 15/15 - assicurata alla cinta.



Passive in uso:

CITAZIONE
Riassunto Passive
Studio: Passiva razziale umana, non sviene sotto il 10% di energie. + Passiva personale, resistenza alle condizioni ambientali e alla fatica. + Passiva personale, difese a 360° uguali al consumo + Amuleto dell'Auspex, percepisce le auree attorno a lui. + Discendenza arcana, guadagna 2 CS in Intuito ogni volta che un avversario usa una tecnica magica. + Prime due passive dominio Guaritore, guarigioni pari al consumo e possibilità di curare corpo e mente.
L'Immortale indica la via: Sopportazione di due mortali psionici + Immunità al dolore psionico.
Le braccia della mamma: Difese inconsce.
Il bacio della mamma: Guadagna 2 CS in Prudenza ogni volta che usa una tecnica di cura.

Attive in uso:

CITAZIONE
Apprendimento Risultati
Studiando la filosofia e i grandi pensatori del passato, i giovani monaci acquisiscono una certa elasticità mentale indispensabile per la futura manipolazione del Flux. Spesso gli stessi Maestri durante le loro lezioni mettono l'uno contro l'altro gli allievi, per cercare di sviluppare in loro un alto senso critico e buone qualità oratorie, utili in ogni situazioni. Tuttavia in certi casi è necessario arroccarsi nei propri pensieri e da lì far scorrere attorno a sè le idee altrui: i Maestri non vogliono creare allievi tutti uguali tra loro, ma vogliono metterli in condizione di saper pensare con la loro testa. Capacità di questo tipo si rivelano poi molto utili anche in combattimento contro i subdoli trucchi di avversari esperti: basterà un consumo Variabile delle energie del monaco per disperdere qualunque attacco alla sua mente, purchè si renda conto di essere attaccato in qualche modo. Una mente allenata a questo modo è capace di spingersi oltre i normali e labili confini umani, sforando in certi casi nel campo del divino: con un consumo Medio di energie sarà in grado - per esempio - di espandere le proprie percezioni per chilometri attorno a sè, per la durata di due turni. Nulla potrà più sfuggire ai suoi sensi: sarà sempre preparato in ogni situazione.

[Personale, natura magica, difesa psionica [5/10] + Pergamena Esplorazione.]

CITAZIONE
Manipolazione di base Discipline degli Allievi
I bambini che vengono portati al Monastero necessitano di un lungo periodo di adattamento e preparazione prima di essere iniziati alla Manipolazione del Flux. In genere ci vogliono dai 12 ai 36 mesi di addestramento, e non sempre i meno dotati riescono a tenere il passo con gli altri, venendo indirizzati dopo quel tempo in conoscenze utili alla sopravvivenza del Monastero, come lo studio dell'Agricoltura e dell'Erboristeria. I fortunati che riescono a giungere alla Manipolazione ricevono un educazione più completa, studiando Storia, Geografia, Filosofia e Matematica. Queste lezioni di base vengono abbinate ad altre sul controllo del corpo e sulla difesa. Dopo i primi sei mesi in genere gli allievi riescono a manipolare il Flux per difendersi, usando una porzione Variabile delle loro energie: scudi, barriere o protezioni di altro genere si formeranno di fronte a loro o tutto attorno, difendendoli da qualunque avversità. Alcuni allievi - coloro che risultano più curiosi, dotati o impulsivi - vengono addestrati anche ad usare altre branche del Flux: dalle tecniche più semplici, come un semplice accecamento del nemico con un consumo Basso di energie, fino alla creazione di vere e proprie armi di energia da scagliare contro il nemico. Queste ultime richiedono un grande sforzo di concentrazione, tanto da richiedere un consumo Alto di energie.

[Dominio difensivo, natura magica [1/10] + Pergamene Abbagliare e Schegge Spirituali.]

[QUOTE]

Azioni:

Aang si difende con una difesa Alta dall'offensiva, dopodichè usa un Basso della Variabile di difesa psionica per liberarsi dalla passiva di paranoia e dalla influenza Bassa. Infine accende la torcia usando l'acciarino.

Note:

A voi, gente! :v:

 
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view post Posted on 9/2/2014, 22:26
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Il tempo è la sostanza di cui sono fatto.
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Così come era cominciato il tunnel proseguiva dritto, senza minime svolte, e sembrava si perdesse nel cuore della terra. Man mano che il gruppo si addentrava nella montagna si faceva più forte l’odore di stantio e decomposizione, e la puzza ben presto divenne quasi insopportabile.
Nel canale risuonò un suono simile ad uno sbuffo, che rimbalzò sulle pareti e si disperse nell’oscurità. Montu si fermò e si voltò per guardare i mercenari che seguivano lui e Ainwen. La torcia illuminò i volti tesi e stanchi dalla lunga marcia degli uomini, ma sembrava che nessuno avesse aperto bocca.
La marcia riprese ma dopo qualche passo si udì di nuovo quello sbuffo, accompagnato però da alcune parole che sembravano provenire da ogni parte dello stretto canale:
-Guardate. Vi donerò i miei occhi, perché possiate vedere quello che vi viene celato. La verità origina in un peccato molto più remoto, latente e perverso…-

I mercenari indietreggiarono spaventati, e tutti muovevano veloci le torce per cercare di capire da chi, o da dove, provenisse quella voce.
Montu era riuscito a mantenere la calma fino a quel momento, ma ora era paralizzato dall’inaspettato messaggio, e cercava di capirne il significato.
Una violenta folata di vento percorse il tunnel e spense tutte le torce, dal gruppo di soldati si sollevarono urla di panico, e il Demone quasi cedette alla tentazione di trasformarsi per poter illuminare la zona, ma si rese conto che l’apparizione di un Demone del Fuoco in uno spazio così angusto, e con la paura e l’ansia che albergavano nei cuori dei mercenari, avrebbe causato solo altri problemi.
La melma nella quale avevano camminato fino a quel momento si alzò e raggiunse le ginocchia dei soldati, che scivolarono e trascinarono con sé i loro compagni. Il putrido torrente si ingrossò e divenne come un fiume in piena, che riempì tutto il tunnel. L’Eterno cercò Ainwen nell’oscurità un attimo prima di essere travolto dall’acqua e dai corpi dei mercenari, perdendo conoscenza…



23xoC




Quando Montu riaprì gli occhi venne accecato dalla luce del sole, e per qualche attimo non riuscì a distinguere nulla intorno a sé abituato com’era alla fioca luce delle torce che rischiaravano appena il canale di scolo. Si accorse ben presto di non trovarsi più in quell’ambiente claustrofobico, ma di avere il cielo azzurro sopra la testa. Il Sole illuminava vivacemente una Lithien che non sembrava toccata dalla guerra, ma anzi si mostrava in tutta la sua magnificenza.
Ma non era solo l’ambiente circostante ad essere cambiato, il Demone stesso non era più quello che era entrato nel tunnel insieme agli altri: vestiva una tunica bianca lunga fin sotto la vita, e portava dei candidi pantaloni di seta, ai piedi aveva delle scarpe di canapa e osservava, smarrito, Ainwen. Ora era più alta di lui e indossava una candida veste lunga fino alle caviglie, portava anelli d’oro alle dita, e i capelli lunghi e ramati incorniciavano un delicato volto. Quello che più colpì Montu, però, furono gli occhi, che scrutavano i particolari della città che li circondava… La ragazza poteva vedere.

Fece per rivolgerle la parola ma una donna, uscita da una via laterale, li chiamò:
-Veyia, Lukas! Sono felice che siate giunti così in fretta.- Aveva il volto nascosto da un cappuccio, dal quale spuntavano però due ciocche di capelli grigi. Si rivolse poi ad un ragazzo che la seguiva pochi passi indietro: -Il tempio ha preteso che solo i Prescelti accedano alla casa, quindi io e te rimarremo fuori.- Quando il ragazzo si fece da parte l’anziana donna tornò a rivolgersi ai due, facendosi immediatamente seria: -Vi prego di prestare molta attenzione, questa è la prima morte efferata che accade nella nostra comunità, da quando ci siamo stanziati in questa città, quindi state molto attenti a cosa riuscite a scoprire.-

Senza ulteriori cerimonie indicò una casa nobiliare più grande di quelle che la circondavano, ma non molto differente nella struttura. Fece segno ai due di entrare, poi richiuse alle loro spalle la porta, istoriata da un’effigie appartenente probabilmente alla nobile famiglia che la abitava, lasciando Ainwen e Montu ad osservare la scena che si presentava loro.
La casa era arredata con sfarzo, non mancavano i tappeti preziosi, o gli arazzi, o i mobili antichi, ma a colpire più di tutto era il corpo di una donna riversa a pancia in giù, circondata da una pozza di sangue scuro.

Finalmente, da quando si erano ritrovati in quella situazione, Montu riuscì a parlare con Ainwen: Ma… Cosa è successo?
La ragazza si strinse nelle spalle e rispose: -Se intendi a lei, temo sia stata uccisa- poi rivolse un sorriso sarcastico al Demone e aggiunse: -Se intendi a noi, non ne ho la minima idea. Ma sono sicura di una cosa: possiamo solo stare al gioco.-
Non una conversazione vera e propria… ma era un primo passo, specialmente conoscendo la fama della ragazza di porcellana.
Bene, e allora giochiamo… da dove vuoi cominciare?
-Penso che partirò dal corpo, chissà che non ci riveli qualche sorpresa.-
Allora darò un’occhiata in giro. Ci ritroviamo non appena troviamo qualcosa. Buona fortuna, e speriamo di capire cosa sta succedendo qui, e soprattutto come tornare da Shakan e gli altri.

Osservò la ragazza chinarsi sul corpo senza vita della donna, poi si guardò intorno in cerca di qualche indizio.
Al lato della stanza vide piatti e vasi rotti e si avvicinò per cercare fra i cocci qualcosa che potesse indicargli una pista da seguire… Si rialzò picchiando le nocche contro le pareti per verificare che non ci fossero passaggi nascosti, per poi notare una mensola piegata da cui probabilmente erano caduti i vasi e i piatti…
*Una colluttazione*
Ainwen gli bussò sulla spalla e disse al Demone che la donna presentava su tutto il corpo segni di lotta, che probabilmente era stata legata e che aveva una profonda ferita all’altezza del ventre, poi uscì per controllare se qualcuno lì intorno avesse visto o sentito qualcosa.

Montu continuò ad esaminare la stanza, spostandosi poi in una sala al piano superiore. Cominciò ad aprire le mensole e i cassetti di quella che sembrava una sala di ritrovo, con divani in pelle e mobili di legno pregiato, e trovò, in uno dei cassetti, un doppio fondo contenente decine e decine di lettere.
La donna era piena di amanti a quanto sembrava, ma il marito ne era consapevole, anzi sembrava quasi che sfruttasse la moglie per un ritorno economico, dato che in alcune lettere si parlava addirittura di prezzo.
Dal piano inferiore senti una voce chiamarlo, e dalla porta entrò Ainwen che gli spiegò cosa aveva scoperto:
-A quanto pare alla padrona piaceva divertirsi… E al maritino non è andata giù.-
Montu le mostrò le lettere e disse:
A quanto pare non era solo “divertimento”… Il marito ne era al corrente, e la donna si faceva pagare da molti dei suoi amanti. Andiamo a sentire cos’ha da dire il nostro uomo, così generoso con il corpo della donna?

Ainwen rimase nella stanza quando Montu uscì dalla casa avvicinandosi alla donna che li aveva accolti in quella tranquilla Lithien. Dama Mior, quello era il suo nome, informò il Demone che il marito della vittima era custodito nel Tempio, e che al momento non era possibile parlarci, ma poteva soddisfare lei ogni curiosità dato che l’uomo era già stato interrogato.
-È in evidente stato confusionale, dice di aver trovato così la moglie una volta tornato da un viaggio fuori città.-
*E se la moglie si fosse innamorata di uno di quei tanti amanti, magari deciso a liberarla dall’oppressione del marito?! Sembrerebbe un buon movente, devo informare Ainwen…*



-Voce nel tunnel-
-Parlato Dama Mior-
-Parlato Ainwen-
Parlato Montu
*Pensato Montu*

Energia: 95%
Status Fisico: Illeso
Status Psicologico: Illeso (Turbato dalla situazione)
CS Forma Umana: +1 Intelligenza

Armi:
Shokan: Riposta
Pistola: Riposta (5 colpi)

Oggetti:
Biglia Stordente: 1
Biglia Dissonante: 1
Biglia Deflagrante: 1
Rubino: Forma Umana: +1 Forza; +1 Velocità; +2 Maestria nell’uso delle Armi. Forma Demoniaca: +2 Forza; +1 Velocità; +1 Intelligenza.
Gemma della Trasformazione
Foglie Urticanti

Pergamene Utilizzate: //

Abilità Utilizzate: //

Note: Seguo il post costruito in confronto, e formulo la mia ipotesi: la donna potrebbe essersi innamorata di uno dei suoi amanti che si offriva di liberarla dall'oppressione del marito, che la sfruttava per un ritorno economico. I dialoghi fra Ainwen e Montu sono stati concordati in MP.
 
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view post Posted on 9/2/2014, 23:09
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Il tunnel era solamente oscurità. Non accennava a puntare in alto o in basso, ma proseguiva semplicemente dritto, noioso. Le mani avevano iniziato a sudarle quasi subito, le dita tremavano nel reggere la bambola. Una sensazione di disagio vaga e distante le premeva contro le tempie. Ma non provava paura, né rabbia, né inquietudine. Sapeva che gli altri ormai dovevano essere preda, ma su di lei scivolava come acqua, come tutte le altre emozioni che scuotevano gli esseri dotati di occhi per vedere, di sogni con cui immaginare. A capo chino si rese conto di essere prigioniera di un mondo in cui non c’era spazio per gli incubi. Di non avere nemmeno il diritto di condividere il terrore antico, che la possedeva da troppo tempo.
Era la prima della fila, con il riverbero delle torce che disegnava un’aureola dorata attorno al suo mantello candido. I margini del suo campo visivo rilucevano e davanti a lei c’era il vuoto. Fino a che non venne il sospiro, che parve riempirlo interamente. Doveva essere stato uno spiffero sottile, ma le parve di essere assordata come dopo un grande boato. Girò il capo, pur sapendo di non poter vedere. La bambola cercò disperatamente di guardare indietro, dove percepiva solamente quelle anime terrorizzate. La loro lucentezza era offuscata dal turbamento, si urtavano le une sulle altre come bestie impazzite durante un incendio. Non riuscivano a comprendere quella voce che non vedevano.



Vi donerò i miei occhi, perché possiate vedere quello che vi viene celato.



Le parole la fecero rabbrividire, ma non di paura. Quelle parole erano la voce della sua speranza, del sogno rimasto assopito nella sua anima dal giorno in cui tutto era cambiato. Quelle erano le parole che avrebbe voluto sua madre pronunciasse, che i medici le avevano negato scuotendo il capo. Erano la salvezza.
Improvvisamente sentì freddo. La consapevolezza che se avesse lasciato fuggire quel momento forse avrebbe perso la sua ultima possibilità. Si era ripromessa di arrivare in fondo, di parlare a Shakan, di raggiungere il proprio obiettivo. Ma tutto pareva sbiadire di fronte a quella promessa. Strinse il labbro inferiore tra i denti, dicendosi di imparare dai propri errori, di non essere più impulsiva. Il freddo le strinse lo stomaco, provocandole un crampo. Capì che la sua rivincita non era nulla di fronte a quello che aveva perduto.
M o s t r a m i.
Aveva mosso solamente le labbra, senza parlare. Sperava che la voce avrebbe capito comunque, perché una voce senza corpo non avrebbe dovuto stupirsi di una supplica senza suono. Ma non seppe mai se la sua richiesta fosse giunta al destinatario, perché un urlo ruppe il silenzio fragile che era sceso di nuovo tra di loro. E qualcosa di umido e viscido le urtò le ginocchia, rendendo la sua veste improvvisamente pesante.
La bambola chinò il capino verso il basso, ma la ragazza non credette subito a quello che vide. Era certa non ci fosse un fiume a terra fino a poco prima. Era certa di camminare quasi all’asciutto. Non fece in tempo ad ordinare agli altri di stare fermi, di tenersi la mano. Qualcosa di pesante la urtò ad una spalla, un corpo le scivolò addosso. Sopra di esso, attorno, da tutti i lati, c’erano uomini e acqua. E lei era solamente una ragazzina fragile come il cristallo. Non rimase in equilibrio nemmeno per un secondo.
Sentì l’acqua scivolarle nelle maniche, trasportarli con impeto. Sentì la manina di porcellana della bambola scivolarle tra le dita. Ma quando gridò la melma risciò di entrarle in bocca. L’ultima cosa che fece in tempo a pensare fu quanto sarebbe stato stupido e disonorevole morire in quella situazione, coperta dai corpi di tutti, nel disperato tentativo di guadagnare un respiro.

La bambola doveva aver aperto gli occhi, perché quando aprì i propri la luce la accecò. Era la luce di un cielo limpido, senza quasi una nuvola. Prometteva una giornata tiepida, carica di profumi. Lasciò che quel calore le scivolasse sulla pelle, cercando con una mano il proprio strumento. Ma non c’era, non era al suo fianco dove avrebbe dovuto essere. Si sentiva confusa, lievemente nauseata, come se si fosse svegliata da un lungo sonno. Sotto le dita poteva sentire la consistenza di una pietra liscia. Non ricordava di essere arrivata lì. L’ultimo suo ricordo era un tunnel scuro e viscido, i corpi sudati sopra il proprio, la melma che rischiava di affogarla. Non c’era sole là dentro, non c’era alcun tepore.
Si mi se a sedere. Doveva trovare la bambola, a tutti i costi. Probabilmente giaceva a terra da qualche parte vicino a lei. Ma quando sollevò il corpo anche il suo angolo di visuale cambiò. Ora davanti a lei c’erano una casa e più lontano le torri bianche.
Lithien, pensò quasi distrattamente.
Perché non era quel dettaglio ad essere importante. Era il sottinteso. Sollevò lentamente le mani tremanti, fermandosi a mezza altezza. Non era certa di volerlo fare. Avrebbe voluto illudersi ancora per un poco prima di verificare di essersi immaginata tutto quanto. Ma al tempo stesso non poteva aspettare, non mentre il panico le invadeva le dita formicolanti. Le portò davanti al viso: ed eccole apparire, quelle dita sottili, scosse da brividi violenti, calzate di anelli che non ricordava di possedere. Eccole proprio davanti al suo viso, eccole avanzare a sfiorare le guance morbide, a coprire gli occhi.
Mostrami.
Era questo che aveva chiesto. Che la sua preghiera fosse stata finalmente ascoltata? Le pareva impossibile, le pareva un sogno. Una brezza leggera le soffiò alle spalle. I capelli mossi, sciolti contro la nuca, fluttuarono in avanti strappandole un grido di sorpresa. Ne afferrò una ciocca, per guardarla più da vicino, per assicurarsi di aver visto bene. Ramata, come un fuoco ardente, come la rabbia che l’aveva consumata dentro per tanto tempo.
Lasciò scivolare le dita tra i capelli, spingendoli in avanti, facendoli ricadere davanti al viso. Il suo mondo divenne velato di fili rossi. Perché finalmente vedeva con i propri occhi. Perché era quella di prima. Rise, senza osare alzarsi. Rise e lacrime calde le scivolarono sulle guance.



« Veyia, Lukas! »



Guardò la donna senza riconoscerla. Ascoltò il nome con cui si rivolgeva a lei senza sapere come potesse appartenerle. Ci doveva essere stato un errore, ne era certa. Il privilegio che le era stato fatto doveva essere destinato ad un’altra. Ma non le importava. Finchè fosse durato potevano chiamarla con il nome che volevano. Finchè non si fossero accorti di nulla li avrebbe assecondati. Se aveva imparato qualcosa in quegli anni era di non forzare la mano al destino.
Rimase qualche passo indietro, ad ascoltare quanto la donna e il suo accompagnatore avevano da dire. Seguì il ragazzo nella casa. Si aspettava che l’avrebbero scoperta da un momento all’altro, che le avrebbero chiesto cose che solo Veyia, quella vera, avrebbe potuto sapere. E invece la portarono in una stanza dove una giovane giaceva a terra in un lago di sangue. Quei capelli neri, quel corpo immobile. Lei sapeva cosa volesse dire. Le si avvicinò, lasciandole scivolare una mano sulla veste. Il viso non si vedeva, ma per un secondo pensò che potesse essere la Dama d’Oriente, che rivoltandola avrebbe guardato in quegli occhi spalancati per il terrore, così come li aveva sognati durante la guerra.
Quando si trovò a fronteggiare un viso anonimo le sfuggì dalle labbra un sospiro sollevato. Era in ginocchio, intenta a esaminare una donna morta. Si sentiva strana, fuori posto. Tutto le sembrava più vivido, più colorato, così in contrasto con quella scena di disperazione.



"Ma... cosa è successo?!"



Alzò gli occhi verso il giovane che era entrato con lei. La sua voce aveva qualcosa di familiare, ma non riusciva ad identificarla. Immaginò dovesse sentirsi spaesato quanto lei per porre una domanda del genere. Socchiuse gli occhi, cercando di riconoscerlo.



"Se intendi a lei, temo sia stata uccisa"
Si strinse nelle spalle, rinunciando a dargli un nome.
"Se intendi a noi, non ne ho la minima idea. Ma sono sicura di una cosa: possiamo solo stare al gioco".



Sospirò. Avrebbe voluto quella donna potesse parlare, raccontarle la propria storia. Ma quel corpo era inespressivo. Se mai avesse avuto qualcosa da dire, le parole dovevano essergli state sottratte da tempo. Sapeva che avrebbe dovuto provare dispiacere, forse perfino dolore. Eppure ogni tanto le mani le correvano agli occhi, la mente alla consapevolezza di quella fortuna inaspettata. Si trovò a camminare piano, quasi con il timore che facendo troppo rumore l’avrebbero scoperta. Doveva trovare un assassino, ma aveva la sensazione che quella responsabilità non la appesantisse.
Almeno fino a quando non vide la vecchina alla finestra e non udì il suo racconto. Almeno fino a quando non seppe chi era l’uomo che viveva in quella casa. Un privilegiato, uno di quelli che aveva tentato disperatamente di scalzare. Uno di quelli a cui aveva voluto dimostrare di valere qualcosa.
Era in quei momenti che l’antico astio le aveva seccato di nuovo la bocca. Non bastava essere tornata quella di prima: le ferite lasciate da fortunati come lui parevano non essersi ancora rimarginate. L’esclusione, il rifiuto, la segnavano ancora allo stesso modo. E il corpo di quella donna, steso a terra, ricoperto di lividi, aveva iniziato ad apparirle sotto una nuova luce.
Guardava la porta chiusa della casa della vecchina e cercava di annullare il disagio di non essere la prescelta, di non essere la persona giusta per dare la soluzione. Il colpevole se la sarebbe cavata solo perché lei non era capace di prenderlo, perché aveva soltanto un vago sospetto. Chinò il capo, chiudendo gli occhi. Il buio la accolse, il buio di sempre, che la aspettava dietro l’angolo, che le sussurrava dolcemente di aspettarlo. Sapeva che sarebbe tornato, non riusciva ad illudersi. Sapeva che nessun premio le sarebbe mai venuto da dei silenziosi e lontani. Ma non voleva tornare la ragazzina spaesata, debole, prima di aver fatto giustizia.
Lo stai facendo per lei?
No. Non poteva ammetterlo a se stessa. Lo stava facendo per dimostrare di meritare la fortuna che aveva, di meritare quello sguardo, quei capelli color del tramonto. Lo stava facendo perché non le piaceva perdere.
Rientrò nella casa a passo deciso. Sulle labbra aleggiava un sorriso sarcastico che non rifletteva i suoi pensieri. Lo guardò per qualche istante, assaporando quella sensazione che ancora le pareva innaturale.



"A quanto pare alla padrona piaceva divertirsi".
La sua voce le suonò dura, falsa.
E al maritino non è andata giù”.



Dopo tutto era sempre così in quelle storie d’amore da quattro soldi che si raccontavano a palazzo la sera. Lei tradisce lui, lui scopre lei. E poi la brutta fine, la punizione. Solo che questa volta loro avrebbero portato la condanna, una ben peggiore di quella dei cantastorie.



"A quanto pare non era solo -divertimento-... Il marito ne era al corrente, e la donna si faceva pagare da molti dei suoi amanti".



Improvvisamente un meccanismo nascosto parve scattare nella sua mente. I lividi.
A quanto pare non era solo divertimento.
I lividi su tutto il corpo. Non solamente recenti. Intorno ai polsi, sulle gambe, sulla schiena. Dove non si possono vedere dall’esterno. Poteva quasi vedere la scena: un uomo capace di obbligare una donna a fare ciò che non vorrebbe, ciò che per lei è innaturale. Una donna che si piega, fino a quando riesce. Che si rende una merce.
Il marito ne era al corrente, e la donna si faceva pagare.
Impallidì d’improvviso, rimanendo inchiodata nella propria posizione. Quelle stanze avevano perso tutta la loro bellezza, i colori erano divenuti opachi, si sentiva fredda. Quella donna aveva amato? Aveva avuto ciò che a lei era stato negato? Quando la sua vita si era trasformata in un incubo?
Non poteva saperlo. Ma di certo ora sapeva quando tutto per lei era terminato: con l’arrivo di una figura ammantata di nero. Forse con una promessa di vita migliore, o forse semplicemente con un coltello ben affilato. Non che importasse davvero il momento. Forse lei, fino all’ultimo, aveva desiderato di potersi liberare, di poter cambiare le cose. Ma non aveva sperato abbastanza, la sua volontà non aveva gridato abbastanza forte perché il Mercante venisse a salvarla. E forse era meglio così.

Quando uscì dalla casa i suoi passi erano lenti, solenni, lo sguardo basso. Si fermò davanti alla donna che l’aveva portata fin lì e la guardò negli occhi a lungo, senza parlare. Si chiese se lei davvero non sapesse o se più probabilmente immaginasse già quella soluzione. Si chiese se stesse facendo la cosa giusta, o se forse sarebbe stato meglio cercare ancora un poco, approfondire i dati in loro possesso. Poi pensò a quei lividi, a quella storia tutta sbagliata che la sua mente le aveva raccontato. Si chiese quanti anni avessero di differenza, lei e quella donna il cui destino era stato reciso con tanto accanimento. C'era anche il suo compagno. Forse anche lui aveva parlato, ma lei era arrivata troppo tardi per udire le sue parole.



Potrebbe essere stato il marito. Vendeva la propria moglie per denaro, ma forse lei ad un certo punto si è ribellata”.
Strinse i pugni, la sua voce divenne ancora più gelida.
Non sono certa di come sia andata di preciso. Forse lui ha ingaggiato un sicario che è venuto durante la notte e poi ha solo simulato una lite. O forse l’ha uccisa di giorno, alla luce del sole.
Inspirò, cercando di controllare la voce che le tremava di rabbia.
Penso sarebbe meglio parlargli”.



Ma non era davvero questo che pensava. La sua idea era che sarebbe stato meglio posargli una mano in fronte e farlo pentire di essere nato. Aggrottò la fronte, assaporando la sensazione di comunicare con il proprio sguardo ciò che stava provando.



Perchance to Dream

Cs. 4.[Astuzia] 1.[Intuito]*
*Proviene da un Occhio
B.[4%] M.[8%] A.[16%] C.[32%]

Energia. 100%
Fisico. Illesa
Mente. Illesa

Armi. //



.Passive.


Stratega. Capacità di riconoscere le illusioni di cui è vittima, difesa psionica passiva e immunità al dolore psionico
Bambola. Visione attraverso gli occhi della bambola e auspex delle anime; possibilità di cambiare l'aspetto esteriore della bambola ad ogni giocata
Collana elfica. Possibilità di utilizzare la bambola in combattimento [la bambola gode di 3 CS]
Passiva razziale umana. Non sviene al di sotto dell 10% delle energie*


.Attive.


//

.Riassunto.



Niente di che. Mi limito a ignorare l'inquietudine derivante dal passaggio nel tunnel grazie alla passiva di resistenza psionica.

.Altro.



//

 
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view post Posted on 10/2/2014, 16:12
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« Il tempo della speranza »
Ainwen e Montu

Il tempio si ergeva come un immenso altare di gloria, sulla cima dell'acropoli di Lithien.
Le sue colonne si diceva solcassero il cielo come un mare eterno, e le sue guglie accarezzassero l'aurora del mattino, glorificando l'universo con la propria armonia.
Lithien conservava ancora i margini di un eterna speranza, conservata intatta ed illesa dalla natura che la circondava. Nessuna calamità pareva averla mai scalfita, nonostante i testi e gli arazzi parlassero di centinaia di anni di storia - almeno - trascorsa nell'abbandono più totale.

« Chi avrà costruito questa città? » disse il ragazzo, accompagnando i tre lungo la scala che conduceva al tempio.
Mior lo fissò a lungo, quasi infastidita dalla domanda, benché senza un'apparente ragione. « Gli uomini, no? »
Il ragazzo si arrestò, con uno sguardo stranito e perplesso. Fissava la donna, quasi avesse pronunciato una bestemmia. « Gli uomini, madre? » aggiunse, incredulo
« come potete dire una cosa simile - » la fissò intensamente, esterrefatto « sanno tutti che le tribù l'hanno trovata già così, sin dall'inizio »
« e voi - su tutti - dovreste saperlo, madre »

La donna sbuffò, infastidita ancor di più. « Oh, sono solo leggende, non dargli credito »
« come possono essere leggende fatti avvenuti soltanto pochi- »
« Ora basta! » Mior lo interruppe bruscamente, indicando a tutti l'immenso colonnato di fronte a loro
« siamo giunti al loro cospetto » disse, assumendo un tono calmo e compassato « quindi portate rispetto »

Il pesante portone in ottone e legno si aprì con agilità, scivolando quasi magicamente sui grossi cardini laterali.
L'interno era un'estasi di cultura e pace. Immense biblioteche scivolavano lungo le pareti, percorrendole fino alla sommità. Manoscritti, tomi, libri, documenti di ogni tipo erano ordinati lungo gli scaffali, disposti per temi e lettere, come se qualcuno si fosse preoccupato di catalogare quell'immensità. Per il resto, la stanza era addobbata con arazzi antichi che - ad uno sguardo rapido - parevano narrare anni di storia passata, tra guerre e lunghi periodi di gloria e pace. Nel centro c'erano decine di scranni in legno di frassino smaltato di bianco, con calami di inchiostro e piume d'oca che svettavano dai banchi. In lontananza, poi, erano adagiati dei divani in pelle chiara, con tavolini ed accessori di lettura. Tutto sembrava adibito allo studio ed al sapere, molto più di quanto il nome sembrasse intendere.
Più che un tempio, invero, sembrava una gigantesca biblioteca.

« I tomi sono nati con queste mura, la loro conoscenza è pressoché infinita » disse il ragazzo, indicando le grosse librerie.
« La speranza è nella conoscenza - solo la conoscenza può alimentare l'uomo » aggiunse, sfoderando un'ampio sorriso.
« Oh, non lasciatevi ingannare » disse ancora, tornando a fissare i tre « naturalmente non sono parole mie, sono loro che parlano così »
« Loro? » chiese Mior, visibilmente stranita. « I saggi, madre! » aggiunse l'uomo, senza scomporsi.
« Ah si, è vero... i saggi parlano così »

Non appena finì di parlare, un altro portone in lontananza si spalancò. Tre uomini uscirono da una sala laterale, avanzando con passo lento ed aggraziato. Avevano lunghe tuniche di un bianco perlaceo, con ricami in oro giallo e bianco. Ai piedi avevano sandali finemente intagliati in canapa, ed avanzavano tenendo tra le mani pesanti tomi e rotoli di pergamena.
Il primo aveva una grossa barba bianca, che gli pendeva fin quasi al ventre. Gli occhi erano socchiusi, quasi nascosti da grosse ciglia cespugliose ed un naso grande, paonazzo, che si accompagnava piuttosto bene a grosse guance, altrettanto colorite. « I miei omaggi, avventori del tempio: mi chiamo Artash e sono il saggio dell'Essere » disse, allungando un grande sorriso.
Al suo fianco fece un passo in avanti un altro dei tre. Era poco più alto del primo e sembrava anche poco più giovane. Aveva capelli dritti sopra la fronte ampia, di un nero tendente al grigio, ed un paio di occhiali fini, dietro i quali nascondeva due occhi verdi. Aggrottò le fini ciglia nere quando li vide, storpiando poco il piccolo naso adunco sul quale si reggevano gli occhiali di ottone. Poi abbozzò un inchino, molto meno pronunciato del primo. « Benvenuti; mi chiamo Volgos, il saggio della Verità »
Infine il terzo, assorto com'era nella lettura di un grosso tomo rosso che teneva tra le mani, si scosse quando si accorse che nessuno aveva parlato. E che, probabilmente, quello era il suo turno.
Aveva capelli di un castano scuro, quasi pettinati sul capo, ma che - ad un occhio accurato - sarebbero apparsi un tantino crespi e cespugliosi. Aveva un naso ingobbito e due occhi nocciola, sotto i quali si mostrava un mento affilato ed una folta barbetta che teneva pettinata a tipo un pizzetto.
« Uhm - scusate, stavo leggendo una cosa » disse, stranito « comunque io sono Borgan, saggio dell'Intelletto »

« Oh miei signori » disse Mior, apparentemente imbarazzata « non dovete presentarvi a noi... »
« Giusto » aggiunse il ragazzo, abbassandosi in un profondo inchino « tutti sanno chi sono i grandi saggi di Lithien, coloro che hanno guidato le tre tribù entro queste sacre mura! »
Mior si inchinò a sua volta, aggrottando le ciglia. Dopo poco, però, si rialzò, rivolgendosi ai tre: « Ora però dovrete perdonarci eccellenze, ma abbiamo un'indagine da risolvere - c'è un uomo che è tenuto in queste sale »
« E' il marito della donna, certo » disse Artash, indicando una porta al lato della sala « lo custodiamo in quella stanza, è scosso e riposa, cercando di riprendersi »
« A beneficio della vostra opera » aggiunse Volgos, parlando di fianco « abbiamo fatto bere all'uomo un distillato di Erba cronia, mantecato con sciroppo d'alga, cosa che lo spingerà a dire il vero »
« cercate, però, di non sollecitarlo troppo o di non rivolgergli domande che possano costringerlo a mentire » concluse Borgan, infine « oppure l'effetto del preparato potrebbe svanire »

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« Attento, che cadi »
Garrett e Morpheus

La tensione intimava ai presenti di non rimanere silenti. La rabbia e la paura, nonché l'arroganza per aver creduto che un gruppo folto non sarebbe stato rallentato da pochi, umidi, cunicoli, si scatenava come un lamento nei cuori atterriti dei mercenari. Mugugnavano, sussurravano parole di pietà; altri, invece, piangevano in silenzio.
Eppure, Morpheus e Garrett parvero mantenere un tono sicuro.
Garrett prese l'iniziativa, trovando una via rapida verso la salvezza. Morpheus, invece, tenne la stretta sui loro animi lambiti dalla paura. Mancava loro qualcuno che dicesse cosa fare: come una folla impazzita, mancava il raziocinio e la gloria di un comandante che sapesse destreggiare la barca in mezzo alla tempesta.
Il ladro aderì al soffitto, inondando di luce il tunnel con la torcia e rimarcando, con grazia ed attenzione, ogni passo in avanti. Ogni mano che congiungeva con il soffitto, aderiva ad esso con sicurezza e - al contempo - si preoccupava di rimarcare i confini entro i quali potersi spostare, prestando attenzione a non farla cadere in fallo e non calcare trappole o altri congegni.
Dal basso, invece, Morpheus acuiva i suoi sensi, integrando la visione di Garrett ed indicando la via ai soldati dietro di lui, nella speranza che nessuno di essi deviasse dal percorso prestabilito e si limitasse a seguire gli ordini del drago.
Invero, il terrore e la paura dei più non consentiva loro di fare altrimenti; molto peggio, probabilmente, sarebbe stato indurli in un libero arbitrio e lasciarli percorrere la via, aiutati solo dai loro sensi, corrotti dalle amenità del passaggio.
Quando il pericolo parve superato, invero, Garrett avvertì di non scorgere più alcun pulsante o mattone fuori posto.
I mercenari, anche, seguitarono a tirare un sospiro di sollievo, rinfrancati dal pericolo che, ormai, pareva esser rimasto dietro le loro spalle.
Forse. O forse, no.

D'improvviso, infatti, la grotta si scostò verso il basso.
Prima parve pendere di poco, smossa da una forza innaturale che - per la sua lievità - parve una conseguenza diretta di un lieve tremore del suolo. Poi, però, la pendenza si acuì e tutti avvertirono le pareti della grotta muoversi visibilmente, scostarsi e pendere ancor di più. Nel mentre, invero, il muro - oltre a pendere - iniziò a trasudare di una strana melma viscosa. Le pareti ben presto si riempirono di uno strato denso di sporco e muffa, che portò tutti a scivolare inevitabilmente.
Garrett si accorse troppo tardi della cosa. D'istinto, infatti, portò le mani ai lati della galleria, ricercando una stabilità che potesse garantirgli la presa sul muro e, quindi, di non perdere l'equilibrio raggiunto.
Quando, però, anche il soffitto si riempì del medesimo sudiciume, al ladro fu impossibile mantenere la presa. Prima la mano destra slittò in avanti; poi anche la sinistra perse attrito ed il mezz'elfo ricadde a peso morto verso il pavimento, con un tonfo sordo.
Poi, insieme a tutti gli altri, slittò verso il basso, risucchiato come in un lungo scivolo verso una meta sconosciuta.
I soldati si ammassarono gli uni sugli altri, riprendendo ad urlare ed inveire contro il loro destino infame. Poi, le urla di rabbia divennero sempre più atterrite, fino a scaturire in vere reazioni di panico.
Il tunnel scivolava verso il baratro, inarcandosi e pendendo sempre di più. Mentre proseguiva verso l'abisso, però, si curvava poco e dalle pareti spuntarono lame aguzze che si frapponevano lungo il percorso obbligato dei presenti.

Sorpreso dagli eventi, Morpheus perse la presa sulla torcia, la quale - scivolando rapida lungo tutto il canale - illuminava la strada dinanzi a loro.
Il tunnel, infatti, proseguiva dritto oltre una decina di lame aguzze e, infine, sfociava in una grossa stanza. La sala sembrava una specie di grosso bacino per la raccolta delle acque, nel quel confluivano decine di canali simili a quello da loro percorso. Il bacino era, però, appena bagnato da un sottile strato di acqua sporca. Il vero pericolo derivava dagli innumerevoli detriti posti sul suo fondo, che avrebbero frantumato le lievi speranze di sopravvivenza di chiunque non avesse trovato un modo per rallentare la dissennata corsa. I detriti sparsi ovunque, infatti, sarebbero parsi - al contatto di chiunque vi si fosse schiantato contro - al pari di aguzze punte di pietra.
Il bacino era posizionato al centro di un'immensa sala, la stessa circondata da un sottile percorso che ne lambiva il perimetro come un passatoio. All'estremità nord della sala, poi, c'era un'apertura di pietra bianca, che permetteva di sfociare in un'altra zona del sotterraneo.

La torcia scivolò lungo il canale, cadendo in direzione del bacino. Stranamente, però, rimbalzò contro una parete invisibile, nel centro esatto del grosso bacino, per poi scivolare di lato allo stesso e proseguire verso i detriti sul fondo, spegnendosi per via dell'acqua presente.

« I vostri destini si compiranno sulle pareti di queste fogne » disse una voce proveniente dall'apertura a nord.
« Solo uno di voi si salverà - questo io vi dico » proseguiva la voce, parlando con tono sommesso e gelido, che lambiva il cuore come una coltre di nebbia fredda.
« Diffidate dai vostri simili; portateli alla morte - ed avrete salva la vita »
« Solo uno di voi si salverà »

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« Sei solo al mondo »
Aang e Shakan

Fu la luce a rincuorare Aang.
Come riaccese la torcia, infatti, attorno a lui non c'era nessuno.
Le mani che l'avevano stretto non avevano avuto origine da nessuno - apparentemente; o, quantomeno, nessuno che potesse accusare o sul quale rivoltare tutta la propria paura. Invero, la torcia gocciolava di tetri zampilli; scintille di empietà che rimbalzavano sulla pietra fredda. Una di esse rimbalzò diverse volte sul terriccio, finendo per sfiorare un sottile strato oscuro, difficilmente riconoscibile. Il monaco posò gli occhi e vide lo strato nero ritrarsi al contatto con la fiamma, quasi come se avesse vita propria.
A ben guardare, infatti, lo strato nero si divincolava dal fuoco lieve come fosse un arto e, a riprova di quanto detto, c'erano due piccoli occhi rossi che si muovevano atterriti lungo un corpo sottile e scuro. Di fianco all'essere, Aang ne scorse un secondo; infine, un terzo poco lontano.
Non mancò molto per accorgersi che centinaia di esseri scuri, gretti, simili a piccoli gnomi, si divincolavano attorno a lui. Si contorcevano, ringhiando e digrignando denti scuri in direzione dell'uomo.
Lo circondavano, come una massa informe che attende il suo pasto e, per ogni passo in avanti, si ritraevano solo quando la fiamma si propagava nella loro direzione.
Il pavimento pareva bianco e marmoreo, come lo era sempre stato. Una sottile patina verdognola, però, ricopriva la zona che Aang poteva scrutare, ma - presumibilmente - questa si diffondeva ovunque nel punto in cui era. Qualunque esso fosse e in qualunque modo ci fosse arrivato.

In lontananza, poi, Aang scorse qualcuno.
Non occhi, bensì una una sagoma umanoide che si muoveva nell'oscurità. Non poteva scrutarla in nessun modo; questa, però, fissava inevitabilmente lui e - allo stesso modo - pareva irriderlo con un ghigno di scherno.

« Ti fidi così tanto di lui? » disse la figura.
Il tono sembrava una voce femminile, benché distorta e corrotta da una umanità poco chiara, evidentemente segnata da una qualche amena oscurità che ne aveva modificato i toni e le fattezze.
Le centinaia di creature attorno al monaco, invero, parevano aizzarsi al richiamo della voce, quasi come se rispondessero ai suoi comandi e covassero profonda emozione nel sentirla aizzarsi contro l'uomo.
« Non hai idea di dove sia stato fino ad oggi, né del perché vi abbia chiamato qui a raccolta »
« Chi ti dice che non voglia sacrificarvi nuovamente? » parlò ancora, passeggiando lungo un immaginario sentiero e scostandosi alla destra ed alla sinistra del suo interlocutore. « Non so se sai, che già una volta ha contribuito a fare il male del suo popolo; ha sacrificato la sua stessa città natale per il proprio tornaconto » proseguì, schernendo la voce con ghigni e sospiri afoni « non credi che non gli costerebbe nulla rifarlo con perfetti sconosciuti, carne da cannone che ha chiamato a raccolta con l'inganno? »

Poi fece pochi passi in avanti.
Aang non poté scorgerne molto di più, ma i tratti di un cappuccio scuro e due occhi vacui parvero intravedersi nella penombra causata dalla torcia.
« E se tutto quello che ha fatto al Regno è stato solo un'illusione » aggiunse, sogghignando « nient'altro che un modo per assecondare i vostri favori e la vostra fiducia? »
Sorrise ancora, rivelando una perfetta dentatura biancastra. « D'altronde ora lui non c'è; sei solo al mondo »
« Non verrà sempre lui a salvarti, Aang »

Al tuonare dell'ultima parola, gli occhi rossi delle creature si strinsero di rabbia sull'uomo.
Ben presto, lo avrebbero assalito.



littleqmpointwinterreisPer tutti. La "Paranoia" a questo giro cambia faccia, scatenando un effetto diverso su ciascuno di voi (vi specificherò nella parte dedicata di sotto). Al solito, agisce passivamente e dovete specificarmi difese psioniche passive con le quali vi difendete.

Ainwen/Montu. Su di voi l'effetto della "Paranoia" si mostrerà in modo diverso, più che voci e "presenze", sentirete un forte senso di soggezione rispetto ai tre saggi che avete incontrato, come se avvertiste che questi vi stiano giudicando e sentendovi "profondamente inadeguati" rispetto a loro. Come detto, una passiva di difesa psionica annulla l'effetto (nel caso, indicatemela nello specchietto). Il vostro scopo in questo turno è proseguire con l'indagine: dovrete sostanzialmente indagare sul marito, che è tenuto in custodia nel tempio. Immaginatevelo come un uomo magrolino, sulla cinquantina, con capelli grigi corti ed occhi scuri, ben vestito. I saggi gli hanno dato una pozione che lo porterà ad essere collaborativo, ma non potrete fargli domande che lo mettano troppo in difficoltà o l'effetto sparirà e lui rifiuterà di rispondere ad ulteriori domande. Le regole sono semplici: potete porgli 3 domande a testa, che mi direte in confronto. Le domande potranno anche essere lunghe, nel senso di piccoli argomenti di discussione (nel caso vi dirò io se sono troppo lunghe), ma non più di tre. Al termine delle domande, nella stanza di fianco troverete anche 3 strumenti che potrete utilizzare a sostegno della vostra indagine: il primo è un liquido che rivela la presenza di tracce di sangue (anche vecchie) su persone o cose; il secondo è un libro-registro che indica tutti i movimenti, partenze ed arrivi, di stranieri e/o cittadini di Lithien del quartiere in cui è avvenuta la morte; il terzo è un foglio di pergamena contenente tutte le risultanze di una sorta di "autopsia" fatta sul cadavere della donna. Ciascuno di voi potrà usare, sempre dopo le domande, solo 1 di questi strumenti. Circa gli strumenti, potrete anche decidere di non condividere l'informazione col vostro compagno. Alla fine, come ultima analisi, sempre in confronto dovrete dire ai tre saggi il risultato finale della vostra indagine, accusando qualcuno di omicidio o dicendo se è stato un suicidio/incidente. Questi vi diranno poi come comportarvi. Collaborate tra voi. Per dubbi o domande, in confronto.

Garrett/Morpheus. La paranoia agisce su di voi in modo diverso. Semplicemente, le parole che vi vengono dette dalla fonte sconosciuta, vi spingono a diffidare degli altri e pensare solo a voi stessi. Questo non significa che non dovrete aiutarvi, ovviamente. Semplicemente chiunque ha una passiva (o attiva, se volete) di difesa psionica potrà ignorare l'effetto (e citarmi l'abilità); gli altri dovranno giustificarmi in-game un loro "sforzo" per aiutare gli altri. La situazione, inoltre, è abbastanza chiara. Il tunnel si trasforma in uno scivolo che vi porta in direzione del suddetto bacino. Il bacino ha sul fondo detriti: l'altezza e la composizione dello stesso causerà un danno critico a chiunque non trovi un modo per "salvarsi". Inoltre, le lame spuntate sul tunnel, vi causeranno un danno complessivo medio se non vi difendete da loro. In aggiunta a questo, Garrett subisce un danno medio da caduta al corpo, che non può evitare in nessun modo (decidi tu i dettagli della lesione, cadi semplicemente come descritto). Fate attenzione al testo per carpire dettagli e/o elementi da sfruttare per salvarvi. Ciascuno di voi può lanciare due tecniche e - come sempre - il destino dei soldati è nelle vostre mani: non potete calcolare i danni che subiranno se non li aiuterete. Uno di loro è già morto (quello che ha subito la freccia nel post precedente), quindi ne contate 4 al momento.

Aang. La buona notizia è che la Paranoia su di te non agisce affatto in questo turno. Il problema è - però - che questa è l'unica buona notizia. Lo scopo di questo turno è uscire vivo da questa situazione. Prima che le ombre attorno a te ti attacchino, infatti, hai la possibilità di reagire. Parlando, usando tecniche, facendo qualunque cosa. Sappi, però, che se non farai qualcosa, le ombre di attaccheranno, causandoti un danno Mortale al corpo.
Nel post ti ho messo svariati indizi: ti posso dire che ci sono più modi per uscire dalla situazione, ovvero diversi metodi o elementi che puoi sfruttare. Oppure puoi crearne di altri.
Tu mi dirai in confronto cosa decidi di fare o come farlo; io ti scriverò cosa succede e come evolve la scena, così lo inserirai nel tuo prossimo post.

Ordine. Come prima, sarebbe il massimo se ogni coppia postasse vicina, mentre Paracco può postare quando vuole, prima o dopo le altre coppie. Non ve lo impongo come "dictat", però. Se riuscite a farlo, bene, se no fa nulla.
Tempi. Fino a venerdì 14 febbraio, ore 23.59. RamsesIII mi ha già chiesto una proroga, quindi potrà contare di altri 3-4 giorni successivi, ma comunque abbastanza flessibili viste le circostanze.
 
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PARACCO TRAVESTITO ALOGENO
view post Posted on 13/2/2014, 17:20




Il suo respiro affannato era l'unica cosa che sentiva in quel momento.
La luce flebile ma al contempo rassicurante della torcia aveva illuminato il cunicolo, rendendo il piccolo cerchio di luce una zona in cui Aang potè recuperare il suo autocontrollo. Aveva acceso la torcia e si era girato di scatto, ma non aveva colto in fragranza nessuno. Nè Shakan, nè i mercenari, nè altri. Era da solo, e la cosa diventava più inquietante di secondo in secondo, al ritmo con cui il suo cuore pompava il sangue. Un bum bum ritmico che andava di pari passo con il sollievo di non essere più in pericolo, ma con il presentimento che quello sarebbe stato solo l'inizio. Forse in quel momento era sì in salvo, ma dove si trovavano tutti? E chi lo aveva attaccato? Domande a cui Aang non sapeva dare una risposta, ma che in quel momento lo distraevano dal suo vero obiettivo. Il monaco guardò nella direzione in cui sarebbe dovuto andare: era sicuro che se avesse continuato e raggiunto la cima avrebbe incontrato gli altri e tutto sarebbe andato per il meglio. Il fatto che il cunicolo scendesse al posto di salire non lo tranquillizzava per niente, ed anzi per un attimo pensò di tornare indietro per prendere uno degli altri cunicoli. Guardò indietro, storcendo la bocca indeciso.

E se Shakan fosse più avanti, e avesse bisogno di aiuto?

Ecco, a quello non aveva pensato prima: non doveva pensare solo a se stesso, ma anche a Shakan. Se il Fantasma fosse stato in pericolo proprio in quel momento e lui fosse scappato, come si sarebbe sentito? Per un attimo rabbrividì, preferendo non saperlo. Storse ancora il naso per il puzzo penetrante di quei canali che un tempo erano stati utilizzati. Fece un passo avanti, e lo sguardo gli cadde ai suoi piedi, dove sembrò notare un movimento: era come un'ombra che sembrava fuggire dal cerchio di luce della sua torcia, ma si muoveva in modo innaturale. Aang si chinò per guardare più da vicino, e ci mancò poco che non cadesse all'indietro per lo spavento: un essere scuro e dagli occhi rossi ma piccolo e apparentemente innocuo cercava di sfuggire a un tizzone che era caduto dalla fiaccola che il monaco teneva in mano. E più Aang lo guardava, più notava - prima con stupore, e poi con preoccupazione crescente - che quel minuscolo esserino non era l'unico. Ne vide un altro accanto, più grassoccio e dagli occhi più distanti tra loro, poi ancora un altro magro e lungo come una freccia. Poi un altro, e un altro, e un altro ancora, finchè non perse il conto. Erano centinaia, e ora non apparivano più al monaco come innocui: poteva quasi sentire le loro piccole fauci schioccare, digrignando denti neri come la notte mentre attendevano il loro pasto. Che poteva essere solo il povero monaco.

Forse avrebbe potuto provare a camminare lentamente, spingendo via le ombre con la luce della sua torcia, ma un presentimento lo fermò: si sentiva osservato dall'oscurità dove non riusciva ad arrivare la luce della fiaccola. E quando la sentì parlare, seppe che aveva fatto bene ad attendere.

« Ti fidi così tanto di lui? »

Una voce femminile, distorta da qualcosa che Aang non riusciva a definire, ma che gli fece venire un lungo brivido gelido per la schiena. Paura per l'ignoto, o per qualche ricordo che non riusciva ad associare? Il monaco non riusciva a capirlo, ma a giudicare da come avevano iniziato a muoversi le ombre dopo aver sentito la voce della donna, capì che quella sconosciuta oltre che inquietante era anche molto pericolosa. Non poteva vederla, ma la sentì avanzare nel cunicolo, avvicinandosi a lui e continuando a insinuare accuse verso Shakan.

Le stesse cose che ho sentito mentre mi stavano strangolando - pensò il monaco toccandosi la gola con la mano libera, cercando di studiare un modo per evitare di dover combattere in una situazione così disperatamente svantaggiosa. Forse avrebbe potuto affrontarla alla pari se l'avesse affrontata da solo, ma con quell'esercito di ombre ai suoi comandi era solo un sacrificio pronto per andare all'altare: non aveva scampo.

« Non verrà sempre lui a salvarti, Aang »

Conosce il mio nome. - commentò mentalmente, deglutendo e passando il bastone dalla destra alla sinistra. Non era la prima volta che si trovava di fronte a persone che sapessero di lui molto più di quanto Aang sapesse di loro, ma non si era mai ritrovato in una tale schiacciante inferiorità numerica. Fuggire non gli sembrava un'opzione plausibile, considerato che quel posto probabilmente era conosciuto a menadito dalla donna e dalle sue ombre. Non sarebbe mai riuscito a scappare, l'unica possibilità forse era il dialogo.

« Sono qui per salvarlo, non per farmi salvare. »

Aang avanzò di un passo, come se fosse incurante del pericolo che lo circondava in quel momento. Voleva solo sembrare sicuro di ciò che diceva, perchè da quello dipendeva la sua vita. Tuttavia, nel momento in cui quelle parole lasciarono la sua bocca, si rese conto di non aver mentito. Si, non era giunto lì per chiedere l'aiuto dello Spettro, nè per essere il proverbiale bastone tra le ruote. Voleva aiutarlo, ed essere ancora una volta la sua spalla, per portarlo ad una destinazione che lo avrebbe finalmente soddisfatto senza fare del male a nessuno. E seppe anche con che parole continuare, come se le avesse imparate solo per quel momento.

« E se dovrò salvarlo da se stesso lo farò, ormai sono abbastanza forte per farlo. Permettimi di raggiungerlo e di scoprire cosa sta succedendo, e ti prometto che manterrò fede alle mie parole. »

Mise una mano sul petto, come per giurare sul suo onore. La donna rimase immobile e silenziosa, ma le ombre che fino a quel momento lo avevano circondato si aprirono leggermente, creando un passaggio tra il monaco e la sconosciuta. Aang si avvicinò, tenendo alta la torcia per non disturbare involontariamente i piccoli esseri d'oscurità. Da vicino riuscì a scorgere qualche dettaglio della sua interlocutrice: aveva il capo coperto da un cappuccio scuro che si confondeva nella penombra creata dalla fiaccola, e gli occhi erano vuoti come quelli di un morto. Aang deglutì, fermandosi di fronte a lei, chiedendosi per la prima volta chi fosse quella creatura e cosa l'avesse portata ad attaccarlo. Era una guardiana, o semplicemente aveva avuto la sfortuna di entrare nel suo territorio senza permesso?

« Non ti deluderò, lo giuro. »

Chinò il capo, rimanendo con tutti i sensi allerta. Le ombre sembrarono calmarsi un momento, ed Aang riuscì a trattenere con successo un sospiro di sollievo. Purtroppo però non fu altrettanto bravo a tenere a bada la sua curiosità, perchè la frase che abbandonò le sue labbra non era certo frutto della saggezza maturata in quegli anni.

« Tu... conosci il mio nome. Chi sei? »

Doveva sapere.
Come faceva quell'essere a conoscere il suo nome. Lo aveva saputo da Shakan o qualcun'altro? Possedeva il raro dono dell'onniscienza? Ad Aang non importava sapere il come, quanto il perchè. Tuttavia quello che accadde subito dopo lo fece pentire amaramente della sua curiosità. La donna infatti sorrise, scoprendo i denti bianchissimi, che risaltarono come perle nell'oscurità del condotto.

« Io... »
« ...io sono... »

« ...te. »

Le ombre ruggirono all'unisono, gli occhietti rossi lo puntarono, e tutte saltarono verso di lui come un'onda nera che avrebbe sommerso e divorato ogni cosa. Aang ebbe appena il tempo di guardarsi attorno, pensando al da farsi. Strinse con tanta forza il bastone da far diventare bianche le nocche che lo stringevano. Mentre il mondo che lo circondava diventava buio, la sua mente ragionava freneticamente sulla frase che aveva appena sentito, cercando una soluzione che sembrava più lontana per ogni attimo che passava.

Lei è me.

Lei è... me?

Allora...
Allora.


Il Flux inondò i suoi tatuaggi, e il cunicolo da ombra divenne luce, all'urlo di Aang.

« ALLORA FERMATEVI! VE LO ORDINO! »




Diario del Monaco
Comprensione





Cs totali: 5 (2 in Tenacia; 2 in Costituzione; 1 in Intuito)
Basso 5% ~ Medio 10% ~ Alto 20% ~ Critico 40% ~ Mortale 80%

Energia attuale: 65%
Consumi utilizzati: Basso x2 (10%)

Condizioni fisiche: Illeso.
Condizioni mentali: Illeso.

Bastone del Manipolatore: mano sinistra.
Balestra: 15/15 - assicurata alla cinta.



Passive in uso:

CITAZIONE
Riassunto Passive
Studio: Passiva razziale umana, non sviene sotto il 10% di energie. + Passiva personale, resistenza alle condizioni ambientali e alla fatica. + Passiva personale, difese ad area uguali al consumo + Amuleto dell'Auspex, percepisce le auree attorno a lui. + Discendenza arcana, guadagna 2 CS in Intuito ogni volta che un avversario usa una tecnica magica. + Prime due passive talento Guaritore, guarigioni pari al consumo e possibilità di curare corpo e mente.
L'Immortale indica la via: Sopportazione di due mortali psionici + Immunità al dolore psionico.
Le braccia della mamma: Difese inconsce.
Il bacio della mamma: Guadagna 2 CS in Prudenza ogni volta che usa una tecnica di cura.

Attive in uso:

CITAZIONE
~ Il sorriso della mamma ~
Era grave. Lo sapevamo, perché ogni volta che menzionavamo i fazzoletti rossi gli altri chinavano il capo e si lanciavano occhiate tristi. Le faceva tanto male. E sapevamo anche quello, perché quando lei non ci guardava ma noi guardavamo lei il suo volto era triste e addolorato; eppure inevitabilmente ogni volta che le chiedevamo se andasse tutto bene lei rispondeva di sì. Sì, piccoli miei -diceva- mamma ha solo avuto un pensiero brutto. I pensieri brutti fanno male a tutti, sapete? Per questo bisogna combatterli così. E sorrideva. Non riuscivamo a capirlo: come poteva sorridere nonostante la tosse le facesse tanto male? Eppure ogni volta che lei distendeva la piccola bocca e mostrava i denti bianchi, noi facevamo lo stesso. Forse la tosse era davvero solo un pensiero brutto, e sorridendo scacciava sia lei che le nostre paure. Ma allora perché di lei ci rimane solo questo medaglione?
[Bassa, consiste in un'influenza psionica amichevole sul bersaglio designato. Lascia danni bassi come impronta di affetto e non-ostilità che perdura per il resto della giocata. Affrontabile come una tecnica di natura psionica di potenza bassa.]

CITAZIONE
Manipolazione di base Discipline degli Allievi
I bambini che vengono portati al Monastero necessitano di un lungo periodo di adattamento e preparazione prima di essere iniziati alla Manipolazione del Flux. In genere ci vogliono dai 12 ai 36 mesi di addestramento, e non sempre i meno dotati riescono a tenere il passo con gli altri, venendo indirizzati dopo quel tempo in conoscenze utili alla sopravvivenza del Monastero, come lo studio dell'Agricoltura e dell'Erboristeria. I fortunati che riescono a giungere alla Manipolazione ricevono un educazione più completa, studiando Storia, Geografia, Filosofia e Matematica. Queste lezioni di base vengono abbinate ad altre sul controllo del corpo e sulla difesa. Dopo i primi sei mesi in genere gli allievi riescono a manipolare il Flux per difendersi, usando una porzione Variabile delle loro energie: scudi, barriere o protezioni di altro genere si formeranno di fronte a loro o tutto attorno, difendendoli da qualunque avversità. Alcuni allievi - coloro che risultano più curiosi, dotati o impulsivi - vengono addestrati anche ad usare altre branche del Flux: dalle tecniche più semplici, come un semplice accecamento del nemico con un consumo Basso di energie, fino alla creazione di vere e proprie armi di energia da scagliare contro il nemico. Queste ultime richiedono un grande sforzo di concentrazione, tanto da richiedere un consumo Alto di energie.

[Dominio difensivo, natura magica [1/10] + Pergamene Abbagliare e Schegge Spirituali.]

Azioni:

Come descritto in confronto, prima Aang utilizza Il Sorriso della Mamma per provare a parlare con la donna, ma poi quando la situazione degenera usa Abbagliare.

Note:

Speriamo vada bene, la situazione è abbastanza "calda". :v:

 
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view post Posted on 14/2/2014, 19:06

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“I vostri destini si compiranno sulle pareti di queste fogne.
Solo uno di voi si salverà - questo io vi dico -
Diffidate dai vostri simili; portateli alla morte - ed avrete salva la vita.
Solo uno di voi si salverà.”


Un sussurro, una voce lontana, proveniente da nord, sembrava penetrare nella testa di Garrett. Quel freddo suono si spandeva attraverso il cunicolo, toccando le gelide pareti, e portando sfiducia nell’animo di chi fosse all’ascolto. Più tempo il gruppetto passava in quella cloaca, più sembravano essere assoggettati ad uno strano gioco, di cui, i sei rimasti in vita, sembravano essere soltanto delle pedine sacrificabili.
Pensare a se stesso, invece che agli altri: non è solo una regola generale ma uno stile di vita, per un ladro. Quella voce, quel sussurro, il Ratto lo aveva ascoltato per una vita intera, lo aveva assecondato in ogni occasione, fin da quando era bambino. Vivere per strada, in una giungla fatta di pietra e mattoni grigi e tegole rosse, fra i vapori e i fumi nocivi di un’industria in evoluzione che, come un parassita, consuma qualunque risorsa, con la promessa di una vita migliore, porta a diffidare di chiunque; anche di se stessi, a volte.
Per quanto riguarda i mercenari, erano ottimi compagni di viaggio, questo è certo, ma non è gente di cui fidarsi e il ladro lo sapeva fin dall’inizio. Aveva viaggiato, dormito e mangiato con loro ma mai li aveva considerati più che semplici conoscenze con cui è piacevole scambiar due parole, un passatempo come un altro durante il cammino.
Riporre la propria fiducia nelle mani di qualcun altro, per il ragazzo, è da sempre stata qualcosa di sconveniente, un segno di debolezza: avrebbe provveduto da solo a se stesso, ne era capace; tra l’altro, quel guerriero spocchioso e arrogante alle sue spalle, capace solo di abbaiare ordini, non lo convinceva affatto.
Di cosa era capace? Aveva fatto veramente qualcosa?
L’unica speranza era che fosse capace di usare quella grossa arma che si trascinava dietro, in caso di necessità, altrimenti si sarebbe rivelato solo un peso, lui e il suo enorme pezzo di ferro.
Nessuno del gruppo, in realtà, sembrava sapere cosa fare o come agire, il ragazzo, invece, aveva un paio di assi nelle maniche, che lo avevano salvato in altre occasioni, adatte ad affrontare l’ignoto.
Poteva fidarsi ancora di se stesso.
La situazione, in ogni caso, appariva critica e senza via d’uscita, mentre Garrett scivolava giù per quel viscido condotto. La torcia illuminava poco ma erano ben visibili i riflessi metallici di alcune lame e, più in fondo, un’apertura che sembrava condurre ad un vuoto senza fine.
Un compagno aveva già messo un piede in fallo, uccidendo un uomo e mettendo a rischio tutto il gruppo; inoltre, quel luogo aveva colto alla sprovvista persino il giovane ladro, che si ritrovò atterrato da una sostanza melmosa che, tutt’a un tratto, aveva impregnato le pareti del cunicolo, facendogli perdere la presa. La situazione inaspettata non gli permise neanche di reagire per evitare la caduta; il dolore gli sarebbe servito come promemoria, non avrebbe più sottovalutato quel luogo o cercato soluzioni banali: un errore avrebbe potuto mettere a rischio tutto il gruppo, obliterando quel briciolo di fiducia che faceva proseguire gli uomini verso quella che appariva come morte certa.
Intrappolato in uno scivolo, pronto ad essere affettato come carne in una macelleria, quasi in caduta libera, senza alcun attrito, se non quello dell’aria, il ladro cercò immediatamente di rallentare la corsa, usando il proprio corpo e le proprie mani come timone, cercando di superare il primo ferro.
Ormai ad un passo dall’inevitabile, il Ratto si mosse il più rapidamente possibile, spostandosi da un lato all’altro del condotto, in uno scatto di agilità, cercando di evitare, in un colpo solo, due delle lame che gli si paravano difronte.
Il gesto, una prova di grande abilità, garantì al ladro una buona posizione, che gli permise di oltrepassare l’ultimo filo di rasoio, deviando leggermente la propria traiettoria nel senso opposto.
Il poco spazio, lo aveva costretto a passare ad un soffio dai tagli e, forse per la suggestione del posto, per un istante gli sembrò di aver sfiorato qualcosa.
Il tempo per pensare, purtroppo, scarseggiava e il ladro dimenticò velocemente il dubbio, rimandandolo ad un momento più adatto a pensare, mentre si avvicinava a forte velocità verso l’unica fine possibile.
Una torcia, ormai senza proprietario, scivolava come un fuoco fatuo davanti a Garrett, tuffandosi nel buco davanti a lui, illuminando per un istante una grande sala buia, spegnendosi pochi istanti dopo, facendo tornare il buio.

“Afferrate la corda!”


Gridò il Ratto, quando era ormai alla fine dello scivolo e davanti a se non c’era altro che buio, illuminato fiocamente dalla torcia. Non c’era una corda davanti a lui ma ci sarebbe stata presto e, forse, sarebbe riuscito a salvare qualcuno degli uomini alle sue spalle.
Non fidarsi di qualcuno non significa doversi macchiare della colpa della sua morte e, per quanto non fosse obbligato a salvarli, quegli uomini potevano essere la chiave per uscire da quel posto letale.
Il ragazzo mosse velocemente la mano libera verso la cintola, afferrando lo spara-rampini,
Non appena il sostegno venne a mancare sotto di lui, inarcò la schiena creando una gobbetta alle sue spalle, gambe in avanti e braccia aperte, da un lato la fiaccola dall’altro il peculiare arnese.
Dovette combattere il dolore della caduta precedente ma riuscì a voltarsi, in quella caduta rallentata dal mantello disteso e aperto come un aquilone, e sparare un rampino appena sopra la bocca della fogna da cui era uscito.
Sentì la corda srotolarsi e muoversi tutt’attorno la vita, attraverso i passanti, mentre vedeva il proiettile metallico allontanarsi e brillare, illuminato dalla torcia. Se tutto fosse andato come previsto, la discesa sarebbe stata rallentata e l’atterraggio sarebbe risultato morbido.
Il vento e il terrore della caduta avrebbero fatto chiudere gli occhi a chiunque ma Garrett cercò di tenerli ben aperti.
Aveva passato la vita a correre in cunicoli e fogne o a volare di tetto in tetto.
Se avesse fallito, sottovalutando la difficoltà dell’impresa, sarebbe stato meritato.
Morire in un sotterraneo per colpa di una banale caduta?
Non era contemplata nella lista delle cose da fare, quel giorno, e non sarebbe successo.
Stringeva forte quella pistola, percependo attorno a se nient’altro che il vuoto e l’eco delle sue stesse urla, durante la caduta.
Se il rischio di morte non fosse stato così grosso, di sicuro si sarebbe goduto di più il momento; il grido, infatti, non era di paura o rassegnazione alla morte, era qualcosa di diverso, qualcosa che le orecchie dei mercenari e del guerriero alle sue spalle, forse, mai avevano sentito. Quel grido era la dimostrazione che Garrett non si sarebbe fermato al primo ostacolo.
Nella Capitale, esiste un detto, una parola di potenza, saggezza e consolazione per l'anima nei momenti di bisogno ma, anche, di totale incoscienza e noncuranza del pericolo.
Il ladro la stava urlando a squarciagola:

“GERONIMO!”



CITAZIONE
Energia: 90%
Fisico: Danno medio alla schiena.
Psiche: Illesa.
Abilità e Tecniche: Vista perfetta, Ratto. (passive)
Inafferrabile (attiva)


Inafferrabile ~
Ciò che rende Garrett un ladro straordinario sono le sue capacità elusive e la destrezza al limite dell'impossibile: niente può trattenerlo, nessuna porta risulta chiusa, nessuno scrigno è inviolabile. Dotato di straordinaria agilità e destrezza, infatti, non esiste attacco che non possa evitare. Inizialmente addestrato a schivare qualunque tipo di proiettile, le sue capacità gli permettono, con il giusto impegno, di evitare anche attacchi lanciati da potenti maghi o guerrieri portentosi.
Inoltre quest'abilità, in virtù della destrezza e l'elusività in suo possesso, permette al giovane ladro di scassinare lucchetti e serrature senza troppa difficoltà se non protette da particolari vincoli magici, grazie all'utilizzo dei grimaldelli.
Costo: Variabile (abilità personale)

Vista perfetta ~
La protesi meccanica che sostituisce l'occhio destro del ladro ne migliora la vista, amplificandola e rendendola simile a quella di un gatto. Grazie a questa caratteristica riesce a vedere bene anche in condizioni di visibilità non ottimali o con poca luce. La vista migliorata, inoltre, permette a Garrett di prendere la mira con precisione e di poter seguire il bersaglio anche se visibile solo in parte, riuscendo a calcolare con precisione le distanze.
(Passiva Razziale: Mezz'elfo + Passiva Talento: Tiratore I)

Ratto ~
La facilità con cui il ladro è sempre riuscito a superare gli ostacoli gli è valso il soprannome. Come per tutti i professionisti, però, un soprannome va mantenuto e per far questo Garrett ha migliorato le proprie capacità d'infiltrato, grazie ad alcuni gadget di sua invenzione: egli può scalare ogni muro e restare aggrappato ad ogni superficie, anche sfidando la legge di gravità, scivolare sull'acqua, sfruttando la tensione superficiale e, in casi estremi, planare. Passare inosservati significa soprattutto usare la porta sul retro.
Costo: Passiva
(Pergamena Ladro: Sostegno)


Note e Riassunto:Garrett evita le prime due lame, usando l'abilità personale (medio), posizionandosi per superare anche l'ultima. Una volta finito il tunne, sfrutta la passiva di Ratto (Sostegno) per garantirsi una discesa meno rischiosa.
Dovendo decidere di non fidarsi, inoltre, il ladro concentra le proprie attenzioni su Morpheus.
 
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