| The Grim |
| |
Mwenye kula il Divoratore
In un remoto cantuccio del Plaakar stava un santuario, un edificio di pietra rozza, di palme e paglie intrecciate, tenuto assieme con lo sputo. Rozzo e spoglio di ogni ricchezza, era però mantenuto lindo e saldo da una piccola comunità di devoti, tutti intenti alla sua cura oltre che alla loro sopravvivenza; e ritenevano le cose strettamente collegate. Si preoccupavano di salmodiare preghiere ad esso al sorgere del sole, e fargli un'offerta ad ogni tramonto, a temere il suo inquilino ogni notte e curarne i resti ogni giorno. Perché Aslan-Arshan, incarnazione della Voracia, l'eterno Affamato, il sommo predatore, era un essere capriccioso, che al suo ritorno fra i vivi si sarebbe ricordato di ogni torto e sbranato coloro che lo l'avevano offeso. Così, nella speranza di compiacerlo, si curavano dei resti dell'essere, che nonostante i millenni, non sembravano esser stati scalfiti dal tempo: ungevano la fola criniera rossa, lucidavano la lunga pelliccia, smaltavano zanne e unghia, scacciavano anche il più minuto insetto; non sembrava nemmeno la carcassa di un demone morto. Eppure lo erano, e per secoli era stata riverita e temuta, bagnata col sangue di prede, vergini, e traditori, anatema e ossessione per generazioni e generazioni: era la fama stringente che attanagliava una comunità delle terre più selvagge, l'unico stile di vita per un popolo che conosceva solo la caccia, il terrore di ciò che era ignoto, del morbo e della morte. Loro seguivano l'unica maniera per scongiurare ogni pericolo e garantirsi un futuro.
Un giorno però giunse uno straniero al villaggio, un pugno di uomini al suo seguito, e punte d'acciaio splendente in mano. Forse lo spirito crudele aveva finalmente attirato qualcuno altrettanto vorace e sanguinario, forse erano state le antiche leggende a indicargli la via, forse storie di ricchezze o sirene di potere illimitato, per una ragione o per un'altra - che non si premurò mai di chiarire a nessuno, quell'uomo giunse al santuario di Aslan-Arshan e compì un massacro. Né marmocchio né vecchio lo impietosirono, né infermo o malato lo fermarono, ogni uomo fu fu torturato e ucciso, ogni donna stuprata e ammazzata, l'edificio e le poche capanne attorno a lui furono incendiate e rase al suolo, ogni traccia cancellata da un'insensata fame di distruzione, e perfino la carcassa leonina dell'antico predatore fatta a pezzi. Ma questi ultimi, a differenza di tutto il resto, furono conservati e poi fatti assemblare da fornaci infernali e incantesimi oscuri: sulla pelle furono istallate placche di metallo fuso con le ossa del mostro e temprato nel suo sangue, tendini e cartilagine usati per fare i lacci dell'armatura, gli artigli rivestivano le parti per le dita, e le zanne incorniciavano fameliche la visiera dell'elmo, dalla coda si ricavò una cintura e la rossa criniera stava arrotolata attorno al collo e raccolta in cima all'elmo in un rabbioso pennacchio. Incisioni leonine e scaglie dorate completavano quell'ammasso di acciaio brunito, dalle sfumature vermiglie, conferendole un ché di maestoso e regale, nascondendone l'indole feroce e superba.
'Ngozi, dalla scorza durissima
Aslan-Arshan cacciava quando ancora i mari erano pozzanghere e le montagne mucchietti di terra, e già allora aveva tantissimi nemici. Il suo spirito superbo l'obbligava ad affrontare ogni sfida, a non chinare mai il capo, a snudare le zanne prima di cambiare strada. I suoi artigli erano aguzzi e taglienti da affondare nella roccia come fosse aria, ma non erano quelli il cruccio dei suoi nemici, bensì la spessa pelliccia che nulla riusciva a scalfire, e le ossa forti che niente riusciva a spezzare o lussare: le lance rompevano la punta senza affondare nella carne, lo stesso destino toccava a bastoni e pietre. Il titano leonino non era immortale, e lo sapeva benissimo, molte volte era stato ferito e aveva visto il sangue vermiglio fuggire dalle sue vene, e in più usava certi trucchi perché la sua pelliccia paresse sempre intonsa e inscalfibile. Godeva della disperazione di chi vedeva ogni sforzo vano, rendeva il sapore della preda decisamente migliore.
Anche Andrej Malinowski era uno di quelli che di morire non ne aveva mai voglia. Già da giovane era finito sul patibolo - insubordinazione, aggressione di un superiore - e aveva dimostrato come la morte non lo volesse: il boia aveva rotto l'ascia al primo tentativo di decapitarlo, poi era stato giocato da un trucco dell'uomo e finito col culo per terra, e la terza volta che aveva provato le mani erano tanto sudate che l'arma gli scivolò dalle mani finendo ad un centimetro del condannato a morte; a quel punto Andrej venne graziato e reintegrato nell'esercito. Aveva la pellaccia dura, piena di cicatrici ed altri regalini di centinaia di campi di battaglia, ma in qualche maniera ce l'aveva sempre fatta. Però si era trovato a fissare la morte negli occhi una volta di troppo, ed alla fine s'era deciso a trovare una qualche assicurazione sulla vita, di quelle antiche ed affidabili. La corazza Mwenye kula era un capolavoro da questo punto di vista, impenetrabile, inscalfibile, tanto leale da non guastarsi mai, ma anche lei aveva la sua volontà, quella di rimanere integra. Ed era un desiderio tanto intenso che preferiva bere il sangue di chi doveva proteggere piuttosto che farsi distruggere; uno prezzo che Malinowski pagò più che volentieri. [Passiva, 3 utilizzi, Mwenye kula è infrangibile, se verrà minacciata da qualsiasi attacco non tecnica basterà consumare un utilizzo di questa passiva per vanificare il tentativo. Attiva Media, natura magica, consumando una quantità di salute fisica pari a Basso ed un quantitativo d'energia sempre Basso sarà possibile riparare l'armatura da un danno inflittole tramite una tecnica di distruzione dell'equipaggiamento. ]
Kiburi, dalla criniera maestosa
Aslan-Arshan era il flagello delle sue terre, ma il suo nome era noto al di fuori dal suo terreno di caccia, che nella sua testa era tutto il mondo, ma per sua comodità era un'area vasta quanto una nazione. I nomi però non sono scritti in fronte, così prede e sfidanti avevano preso a riferimento, non tanto la mole suprema del demone, che sfidava quella di una collina, ma ciò che cingeva il suo collo e coronava la sua testa. La sua rossa criniera che si agitava come un incendio, mai curata eppure sempre in ordine, non di un acceso arancione, ma di un cupo scarlatto come se il sangue dei suoi nemici fosse stato bevuto da quei peli, ed ostentato tanto per terrorizzare quanto come monito. Simboleggiava la sua imbattibilità, la forza dei nemici che aveva sconfitto, ma anche il suo orgoglio che lo costringeva a combattere sempre. Forse un giorno l'avrebbe condotto alla morte in battaglia, se vecchio e ferito o forse malato, fin'ora gli aveva portato soltanto vittorie, qualche volta a caro prezzo, ma sempre indiscusse.
Anche Andrej era uno che non si tirava indietro, si era fatto largo fra i ranghi dell'esercito Leviatano a spallate, e dal nulla era riuscito a farsi Tenente; non aveva conoscenze per aspirare a più di quello. Non era la perizia con la spada o qualche altra lama a farlo risaltare fra i molti, ma la sua spietatezza ed ambizione, oltre che la capacità di fare la mossa giusta al momento giusto. Perché essere un soldato era una bella cosa, diventare un capo era meglio; e da quando indossava Mwenye kula A. Malinowsk lo fu per davvero. Se qualcuno lo metteva in discussione, bastava uno sguardo torvo, un digrignare di denti, un gesto semplice e quello si faceva piccolo e scuro di fronte ad un portamento si regale. E la criniera raggiante al vento era meglio di mille stendardi, teneva alto il morale degli scagnozzi che lo seguivano, disperati che l'avrebbero tradito volentieri, ma lo temevano e sopratutto sapevano che con lui la vittoria era sicura. Così, se i ranghi si assottigliavano e gli uomini iniziavano a disertare, ad Andrej bastava liberarla da un laccio, e ricordare ai suo sgherri che lui li avrebbe ricompensati, o seguiti fino al Baathos se osavano fuggire. Quel portamento aveva un costo: quello di stare sempre in bella vista, facile bersaglio di ogni imboscata e sortita, ma dopotutto la fama d'invincibilità non la si ottiene certo stando nascosti da qualche parte. [Attiva Media, natura psionica, consumando un quantitativo d'energia Bassa ed una quantità di salute fisica Bassa, sarà possibile impressionare tutte le persone circostanti, facendole credere di essere superiore ed inarrivabile, si tratta di un'offensiva ad area diretta alla Mente, che causerà un danno Basso alla salute mentale delle vittime. Malus, l'indossatore di Mwenye kulanon potrà mai utilizzare abilità attive di occultamento o invisibilità di qualsiasi natura, o celarsi agli auspex con apposite passive. Potrà però nascondersi con azioni non tecnica, come ripararsi dietro un muro o simili. ]
Amri, dalla voce prorompente
Aslan-Arshan inseguiva tutto ciò che si muovesse e fosse scorto dai suoi occhi, che fosse gazzella o drago, a lui non importava, soltanto uno lasciava in pace, quel fuoco che ardeva alto nel cielo e bruciava i suoi occhi tanto era luminoso; un essere dal potere stupefacente ma troppo vigliacco per scendere a combattere con lui. Una notte che il titano leonino aveva deciso di restar veglio, si accorse della sorella del primo, la Luna alta nel cielo, circondata da migliaia di ancelle luccicanti, ma più bella di tutte, così liscia e pallida: doveva essere sua, ma quella stava in alto nel cielo, lontana dalle sue unghie, irraggiungibile per le sue zanne. Frustato urlò con tutta l'aria che aveva nei polmoni, ed allora crepe spaccarono la superficie, macchie visibili ancora oggi da chi la osserva attentamente. Quella spaventata prese a fuggire da un capo all'altro del cielo, sempre inseguita dal leone che non riusciva ad urlare e correre allo stesso tempo, sconvolto e inorgoglito dalla potenza della sua voce. Infine quella si nascose oltre l'orizzonte, e fece così dalla notte a seguire fino ad oggi, e anche per i tempi che saranno, Aslan-Arshan ha imparato a padroneggiare il suo dono, e con esso ha imparato a crepare tanto lo spirito che il corpo di chi si opponeva alla sua caccia.
Malinowski non cercava la gloria perpetua di mille battaglie, una caccia fine a sé stessa: voleva una vita, comoda e agiata. Forgiato il suo esercito, spietato e fedele come voleva, si conquistò un posto dove vivere: Jirian, un fazzoletto di terra in quelle che oggi si chiamano le Bekâr-şehir: una città, qualche villaggio, un fiume, e tanto bastava per chiamarlo regno. Altri avrebbero avuto la brama di far tutto proprio, dal sud al nord, dal cielo alla terra, prendendo anche l'oceano vasto e ognuno dei mille fiumi di Theras. Andrej era furbo, l'affanno di quella sfida titanica non faceva per lui, che già era giunto alla mezza età e aveva trovato tante fatiche ad attenderlo, ora che si faceva più debole preferiva non incorrere ad ulteriori problemi. Sfide e pericoli non mancavano, ma oltre alla brutalità il tiranno sapeva come usare la parola, e non semplicemente per dare ordini eseguiti da sottoposti leali. No, nella voce c'era la stessa durezza dei suoi muscoli, quella forza che vibrava come acciaio, ed allora una minaccia diventava come un macigno e schiacciava al suolo il suo nemico, senza un'alito di vigore nelle braccia o nel petto; si accasciava senza forze. Oppure ruggiva come un leone, sgretolando pietra e metallo come fosse legna marcia, sbriciolandole come una parola fa con il silenzio più assoluto, deridendo ardimentosi rivoluzionari e crociati zelanti pronti a sbarazzarsi del despota di Jirian che l'attaccavano con tanto fervore e poi si trovavano con meno di un pugno di mosche; e poi finivano nelle miniere di zolfo, ad ingrossare le fila di schiavi che morivano là dentro. [Attiva Alta, natura psionica, con un forte urlo e consumando un quantitativo Medio di energia e uno Medio di salute fisica il portatore vedrà la propria riserva di CS aumentare di 4 unità, 2 in Robustezza e 2 in Forza, mentre l'avversario si vedrà danneggiata la sua riserva di 4 unità a sua scelta, a meno che non si difenda con un'apposita tecnica difensiva. Attiva Media consumando una quantità Bassa della propria salute fisica, ed un Basso della riserva energetica, il portatore di Mwenye kula può, con un urlo di natura magica, distruggere un pezzo dell'equipaggiamento avversario e danneggiare di un basso la sua riserva energetica.]
Njaa, dalla fame insaziabile
Aslan-Arshan faceva molte cose, ma una sola era la sua preoccupazione. Non agguati né sconfitte, non lotte in cui poteva perdere, perché non vi era nulla ti potente e forte quanto lui, ma la morte poteva arrivare lo stesso. Né incidenti né malattie lo tormentavano, sarebbe stato capace di reagire a quelle inezie, ma il suo stesso ruolo lo condannava: era un cacciatore. La fame era lo spettro che lo seguiva ovunque, tanto nel brontolare del suo stomaco, quanto nell'oscurità dei suoi sogni, così come in quel barlume che poteva definirsi pensiero. I suoi muscoli titanici richiedevano grandi energie, così ogni caccia era potenzialmente l'ultima, perché per sfamare un gigante come lui non bastavano né una lepre né una gazzella, e cose tanto inferiori non venivano degnate né di uno sguardo né di un pensiero; gli uomini erano la preda preferita. Aslan era vorace e crudele, le sue razzie non colpivano il viandante, ma famiglie e carovane, villaggi se necessario, e di quella carne e di quel sangue si saziava. Un giorno sarebbe arrivato il momento nel quale attorno a lui non ci sarebbe stata preda adatta, o che lo sforzo non sarebbe stato ripagato con un pasto degno; e sfinito sarebbe morto. Quel giorno si sarebbe accasciato integro al suolo, con la sua pelle intonsa, gli artigli affilati, la criniera ruggente, il corpo immacolato; ma sarebbe morto comunque. Quello era il destino del più grande dei predatori, e nemmeno Aslan-Arshan ne poteva sfuggire, ma ad esso non si sarebbe mai arreso, e sempre avrebbe ringhiato e urlato contro tale ingiustizia, quella di cadere a causa della sua essenza: di essere il più grande fra i grandi.
Andrej Malinowski aveva un segreto imbarazzante, di quelli che nessuno sarebbe mai stato capace di accettare. La crudeltà ostentata, lo sprezzo per gli inferiori, la rabbia e violenza con cui tiranneggiava erano cose normali, che si vedevano in ogni parte del mondo, dal nord al sud, dal sorgere del sole al suo tramontare. Non riguardava la sua sessualità, uomini, bestie e bambini lo disgustavano alla stessa maniera in tal senso, le concubine del suo harem parlavano di come fosse interessato solo al proprio piacere e non a quello di chi giaceva con lui; ma nemmeno quella era una colpa grave, anzi forse la normalità. L'appetito innaturale che lo tormentava era un altro, e si trattava di vera e propria fame, un impulso vorace che fibrillava in lui dal primo momento in cui aveva indossato quell'armatura. Dapprima non se ne era reso conto, aveva scambiato quell'impulso per altro, la brama di conquista, la sete di battaglia, la rabbia mai soddisfatta, l'impossibilità di ghermire tutte le stelle nel suo pugno; poi si era accorto di una verità più banale. Non c'erano cibi e bevande capaci di saziarlo, né di ridurre il suo appetito o soddisfare il suo palato, si cibava del rancio per dovere e quello gli dava l'energia per combattere un altro giorno. Ma durante una battaglia, la più terribile fra quelle per conquistare il suo trono, la prima vera campale che affrontava, quella che avrebbe spezzato il suo esercito o soddisfatto il suo sogno, era quasi morto. Stava disteso in una trincea, circondato da soldati che combattevano, disperato nel vedersi ferito dopo che un intero battaglione di cavalleria gli era passato addosso, accanto a lui stava il suo scudiero, gli occhi ciechi e il viso pallido dal malore e dalla paura. In quell'istante Andrej capì: si gettò sul braccio del ragazzino che stava ad un palmo da lui e lo morse, tossendo via la manica della sua camicia e affondando i denti nel muscolo succoso; poco dopo una sensazione di benessere lo invase. Il guerriero si rialzò, rinnovato vigore a sostenere le braccia e gambe, le ferite sanate, la ferocia nelle vene e la fame scomparsa, al suo apparire gli uomini esultarono, e ringalluzziti dalla sua presenza lo portarono alla vittoria. L'uomo capì di essere un cannibale e solo quell'atto proibito poteva tenerlo in forze e renderlo lucido; era spaventato da quella parte di sé, che trovava disgustosa e inaccettabile. Malinowski non era un uomo dalla alta moralità, ma quel suo peccato lo faceva star male, continuò a cibarsi di uomini, con piacere perverso misto a disgusto indicibile, finché non ebbe superato la sessantina d'anni. Era ancora in forze, come un uomo di mezza età e tale appariva, il collo taurino e la salute ad arrossirgli il viso sebbene il fisico non fosse più prestante. Non fu la malattia ad ucciderlo, né un colpo di stato, ma la colpa e la disperazione: si fece scoprire, e davanti all'abominevole entità della sua perversione, nessuno osò difenderlo. La folle sputò su di lui, sebbene avesse sempre avuto paura di quell'uomo leggendario, e pure le sue guardie e i suoi commilitoni si unirono al suo linciaggio, e alla fitta sassaiola che lo uccise. Che fine fece il suo cadavere non si sa, ma nessuna tomba reca il suo nome; l'armatura invece fu trafugata e passata di mano in mano, di padrone in padrone, servendo e tentando tutti quanti. Affinché lo spirito di Aslan-Arshan sopravviva nei secoli dei secoli. [Attiva Media, tecnica di guarigione fisica al corpo sotto forma di rigenerazione dei tessuti, tramite un consumo Medio di salute mentale sarà possibile ripristinare una quantità Bassa di salute del corpo. Attiva Alta, natura fisica, mordendo un avversario il portatore potrà infliggere una ferita Media al corpo del suo avversario, guarendo la propria riserva di salute fisica di un quantitativo Basso. Per fare ciò dovrà usare una quantità Media di salute Mentale, e una quantità Media di energia. Passiva, 1 utilizzo, consumando l'unico utilizzo di questa passiva, il possessore di Mwenye kula potrà rendere le tecniche di guarigione di potenza pari al consumo per quel turno. Malus, Se durante una giocata si saranno sfruttati i poteri di Mwenye kula per un totale di consumi - divisi nel corso della stessa - pari o superiore ad un Critico, il portatore sarà ossessionato da un'ossessiva fame di carne umana; subirà una penalità alle CS pari a 8 finché non l'avrà saziata in qualche maniera. Qualora lo facesse però, anche di nascosto, il senso di colpa o qualche altro dettaglio lo tradiranno, rendendo il suo peccato evidente e manifesto a tutti coloro che lo incontrano; con le conseguenze del caso. Non è possibile schermare questo effetto tramite passive di alcun genere.]
CODICE <div align="center"> <table border="0" width="600"><p align="center">
[size=14]<i>[font=Times][color=black][size=28][/size]<b>Mwenye kula</b> [size=7][color=darkred]il Divoratore[/color][/size][/color][/font]</i>[/size]
<p align="center">[IMG=ArmaturaLEone2_zpsy60xwwjl]http://i856.photobucket.com/albums/ab121/Grimsworth1/ArmaturaLEone2_zpsy60xwwjl.jpg[/IMG]</p> <blockquote><p align= "justify">[size=4][font=Times]In un remoto cantuccio del Plaakar stava un santuario, un edificio di pietra rozza, di palme e paglie intrecciate, tenuto assieme con lo sputo. Rozzo e spoglio di ogni ricchezza, era però mantenuto lindo e saldo da una piccola comunità di devoti, tutti intenti alla sua cura oltre che alla loro sopravvivenza; e ritenevano le cose strettamente collegate. Si preoccupavano di salmodiare preghiere ad esso al sorgere del sole, e fargli un'offerta ad ogni tramonto, a temere il suo inquilino ogni notte e curarne i resti ogni giorno. Perché Aslan-Arshan, incarnazione della Voracia, l'eterno Affamato, il sommo predatore, era un essere capriccioso, che al suo ritorno fra i vivi si sarebbe ricordato di ogni torto e sbranato coloro che lo l'avevano offeso. Così, nella speranza di compiacerlo, si curavano dei resti dell'essere, che nonostante i millenni, non sembravano esser stati scalfiti dal tempo: ungevano la fola criniera rossa, lucidavano la lunga pelliccia, smaltavano zanne e unghia, scacciavano anche il più minuto insetto; non sembrava nemmeno la carcassa di un demone morto. Eppure lo erano, e per secoli era stata riverita e temuta, bagnata col sangue di prede, vergini, e traditori, anatema e ossessione per generazioni e generazioni: era la fama stringente che attanagliava una comunità delle terre più selvagge, l'unico stile di vita per un popolo che conosceva solo la caccia, il terrore di ciò che era ignoto, del morbo e della morte. Loro seguivano l'unica maniera per scongiurare ogni pericolo e garantirsi un futuro.
Un giorno però giunse uno straniero al villaggio, un pugno di uomini al suo seguito, e punte d'acciaio splendente in mano. Forse lo spirito crudele aveva finalmente attirato qualcuno altrettanto vorace e sanguinario, forse erano state le antiche leggende a indicargli la via, forse storie di ricchezze o sirene di potere illimitato, per una ragione o per un'altra - che non si premurò mai di chiarire a nessuno, quell'uomo giunse al santuario di Aslan-Arshan e compì un massacro. Né marmocchio né vecchio lo impietosirono, né infermo o malato lo fermarono, ogni uomo fu fu torturato e ucciso, ogni donna stuprata e ammazzata, l'edificio e le poche capanne attorno a lui furono incendiate e rase al suolo, ogni traccia cancellata da un'insensata fame di distruzione, e perfino la carcassa leonina dell'antico predatore fatta a pezzi. Ma questi ultimi, a differenza di tutto il resto, furono conservati e poi fatti assemblare da fornaci infernali e incantesimi oscuri: sulla pelle furono istallate placche di metallo fuso con le ossa del mostro e temprato nel suo sangue, tendini e cartilagine usati per fare i lacci dell'armatura, gli artigli rivestivano le parti per le dita, e le zanne incorniciavano fameliche la visiera dell'elmo, dalla coda si ricavò una cintura e la rossa criniera stava arrotolata attorno al collo e raccolta in cima all'elmo in un rabbioso pennacchio. Incisioni leonine e scaglie dorate completavano quell'ammasso di acciaio brunito, dalle sfumature vermiglie, conferendole un ché di maestoso e regale, nascondendone l'indole feroce e superba. [/font][/size]</p></blockquote>
<span align="justify" style="display:block"><span style="display:block;margin-right: 100px; margin-left: 100px; border-left: 3px solid #430404; padding-left: 8px">[size=7][color=#A68804][font=Times]'Ngozi,[/font][/color][/size][color=#430404][size=3] <i>dalla scorza durissima</i>[/size][/color]
[size=3]Aslan-Arshan cacciava quando ancora i mari erano pozzanghere e le montagne mucchietti di terra, e già allora aveva tantissimi nemici. Il suo spirito superbo l'obbligava ad affrontare ogni sfida, a non chinare mai il capo, a snudare le zanne prima di cambiare strada. I suoi artigli erano aguzzi e taglienti da affondare nella roccia come fosse aria, ma non erano quelli il cruccio dei suoi nemici, bensì la spessa pelliccia che nulla riusciva a scalfire, e le ossa forti che niente riusciva a spezzare o lussare: le lance rompevano la punta senza affondare nella carne, lo stesso destino toccava a bastoni e pietre. Il titano leonino non era immortale, e lo sapeva benissimo, molte volte era stato ferito e aveva visto il sangue vermiglio fuggire dalle sue vene, e in più usava certi trucchi perché la sua pelliccia paresse sempre intonsa e inscalfibile. Godeva della disperazione di chi vedeva ogni sforzo vano, rendeva il sapore della preda decisamente migliore.
Anche Andrej Malinowski era uno di quelli che di morire non ne aveva mai voglia. Già da giovane era finito sul patibolo - insubordinazione, aggressione di un superiore - e aveva dimostrato come la morte non lo volesse: il boia aveva rotto l'ascia al primo tentativo di decapitarlo, poi era stato giocato da un trucco dell'uomo e finito col culo per terra, e la terza volta che aveva provato le mani erano tanto sudate che l'arma gli scivolò dalle mani finendo ad un centimetro del condannato a morte; a quel punto Andrej venne graziato e reintegrato nell'esercito. Aveva la pellaccia dura, piena di cicatrici ed altri regalini di centinaia di campi di battaglia, ma in qualche maniera ce l'aveva sempre fatta. Però si era trovato a fissare la morte negli occhi una volta di troppo, ed alla fine s'era deciso a trovare una qualche assicurazione sulla vita, di quelle antiche ed affidabili. La corazza <i>Mwenye kula</i> era un capolavoro da questo punto di vista, impenetrabile, inscalfibile, tanto leale da non guastarsi mai, ma anche lei aveva la sua volontà, quella di rimanere integra. Ed era un desiderio tanto intenso che preferiva bere il sangue di chi doveva proteggere piuttosto che farsi distruggere; uno prezzo che Malinowski pagò più che volentieri. [[size=1]<i><u>Passiva, 3 utilizzi</u>, Mwenye kula è infrangibile, se verrà minacciata da qualsiasi attacco non tecnica basterà consumare un utilizzo di questa passiva per vanificare il tentativo. <u>Attiva <b>Media</b></u>, natura magica, consumando una quantità di salute fisica pari a <b>Basso</b> ed un quantitativo d'energia sempre <b>Basso</b> sarà possibile riparare l'armatura da un danno inflittole tramite una tecnica di distruzione dell'equipaggiamento. </i>[/size]] [/size]</span>
<span style="display:block;margin-right: 100px; margin-left: 100px; border-left: 3px solid #430404; padding-left: 8px">[size=7][color=#A68804][font=Times]Kiburi,[/font][/color][/size][color=#430404][size=3] <i>dalla criniera maestosa</i>[/size][/color]
[size=3]Aslan-Arshan era il flagello delle sue terre, ma il suo nome era noto al di fuori dal suo terreno di caccia, che nella sua testa era tutto il mondo, ma per sua comodità era un'area vasta quanto una nazione. I nomi però non sono scritti in fronte, così prede e sfidanti avevano preso a riferimento, non tanto la mole suprema del demone, che sfidava quella di una collina, ma ciò che cingeva il suo collo e coronava la sua testa. La sua rossa criniera che si agitava come un incendio, mai curata eppure sempre in ordine, non di un acceso arancione, ma di un cupo scarlatto come se il sangue dei suoi nemici fosse stato bevuto da quei peli, ed ostentato tanto per terrorizzare quanto come monito. Simboleggiava la sua imbattibilità, la forza dei nemici che aveva sconfitto, ma anche il suo orgoglio che lo costringeva a combattere sempre. Forse un giorno l'avrebbe condotto alla morte in battaglia, se vecchio e ferito o forse malato, fin'ora gli aveva portato soltanto vittorie, qualche volta a caro prezzo, ma sempre indiscusse.
Anche Andrej era uno che non si tirava indietro, si era fatto largo fra i ranghi dell'esercito Leviatano a spallate, e dal nulla era riuscito a farsi Tenente; non aveva conoscenze per aspirare a più di quello. Non era la perizia con la spada o qualche altra lama a farlo risaltare fra i molti, ma la sua spietatezza ed ambizione, oltre che la capacità di fare la mossa giusta al momento giusto. Perché essere un soldato era una bella cosa, diventare un capo era meglio; e da quando indossava Mwenye kula A. Malinowsk lo fu per davvero. Se qualcuno lo metteva in discussione, bastava uno sguardo torvo, un digrignare di denti, un gesto semplice e quello si faceva piccolo e scuro di fronte ad un portamento si regale. E la criniera raggiante al vento era meglio di mille stendardi, teneva alto il morale degli scagnozzi che lo seguivano, disperati che l'avrebbero tradito volentieri, ma lo temevano e sopratutto sapevano che con lui la vittoria era sicura. Così, se i ranghi si assottigliavano e gli uomini iniziavano a disertare, ad Andrej bastava liberarla da un laccio, e ricordare ai suo sgherri che lui li avrebbe ricompensati, o seguiti fino al Baathos se osavano fuggire. Quel portamento aveva un costo: quello di stare sempre in bella vista, facile bersaglio di ogni imboscata e sortita, ma dopotutto la fama d'invincibilità non la si ottiene certo stando nascosti da qualche parte. [[size=1]<i><u>Attiva Media</u>, natura psionica, consumando un quantitativo d'energia Bassa ed una quantità di salute fisica Bassa, sarà possibile impressionare tutte le persone circostanti, facendole credere di essere superiore ed inarrivabile, si tratta di un'offensiva ad area diretta alla Mente, che causerà un danno Basso alla salute mentale delle vittime. <u>Malus</u>, l'indossatore di Mwenye kulanon potrà mai utilizzare abilità attive di occultamento o invisibilità di qualsiasi natura, o celarsi agli auspex con apposite passive. Potrà però nascondersi con azioni non tecnica, come ripararsi dietro un muro o simili. </i>[/size]] [/size]</span>
<span style="display:block;margin-right: 100px; margin-left: 100px; border-left: 3px solid #430404; padding-left: 8px">[size=7][color=#A68804][font=Times]Amri,[/font][/color][/size][color=#430404][size=3] <i>dalla voce prorompente</i>[/size][/color]
[size=3]Aslan-Arshan inseguiva tutto ciò che si muovesse e fosse scorto dai suoi occhi, che fosse gazzella o drago, a lui non importava, soltanto uno lasciava in pace, quel fuoco che ardeva alto nel cielo e bruciava i suoi occhi tanto era luminoso; un essere dal potere stupefacente ma troppo vigliacco per scendere a combattere con lui. Una notte che il titano leonino aveva deciso di restar veglio, si accorse della sorella del primo, la Luna alta nel cielo, circondata da migliaia di ancelle luccicanti, ma più bella di tutte, così liscia e pallida: doveva essere sua, ma quella stava in alto nel cielo, lontana dalle sue unghie, irraggiungibile per le sue zanne. Frustato urlò con tutta l'aria che aveva nei polmoni, ed allora crepe spaccarono la superficie, macchie visibili ancora oggi da chi la osserva attentamente. Quella spaventata prese a fuggire da un capo all'altro del cielo, sempre inseguita dal leone che non riusciva ad urlare e correre allo stesso tempo, sconvolto e inorgoglito dalla potenza della sua voce. Infine quella si nascose oltre l'orizzonte, e fece così dalla notte a seguire fino ad oggi, e anche per i tempi che saranno, Aslan-Arshan ha imparato a padroneggiare il suo dono, e con esso ha imparato a crepare tanto lo spirito che il corpo di chi si opponeva alla sua caccia.
Malinowski non cercava la gloria perpetua di mille battaglie, una caccia fine a sé stessa: voleva una vita, comoda e agiata. Forgiato il suo esercito, spietato e fedele come voleva, si conquistò un posto dove vivere: Jirian, un fazzoletto di terra in quelle che oggi si chiamano le Bekâr-şehir: una città, qualche villaggio, un fiume, e tanto bastava per chiamarlo regno. Altri avrebbero avuto la brama di far tutto proprio, dal sud al nord, dal cielo alla terra, prendendo anche l'oceano vasto e ognuno dei mille fiumi di Theras. Andrej era furbo, l'affanno di quella sfida titanica non faceva per lui, che già era giunto alla mezza età e aveva trovato tante fatiche ad attenderlo, ora che si faceva più debole preferiva non incorrere ad ulteriori problemi. Sfide e pericoli non mancavano, ma oltre alla brutalità il tiranno sapeva come usare la parola, e non semplicemente per dare ordini eseguiti da sottoposti leali. No, nella voce c'era la stessa durezza dei suoi muscoli, quella forza che vibrava come acciaio, ed allora una minaccia diventava come un macigno e schiacciava al suolo il suo nemico, senza un'alito di vigore nelle braccia o nel petto; si accasciava senza forze. Oppure ruggiva come un leone, sgretolando pietra e metallo come fosse legna marcia, sbriciolandole come una parola fa con il silenzio più assoluto, deridendo ardimentosi rivoluzionari e crociati zelanti pronti a sbarazzarsi del despota di Jirian che l'attaccavano con tanto fervore e poi si trovavano con meno di un pugno di mosche; e poi finivano nelle miniere di zolfo, ad ingrossare le fila di schiavi che morivano là dentro. [[size=1]<i><u>Attiva Alta</u>, natura psionica, con un forte urlo e consumando un quantitativo Medio di energia e uno Medio di salute fisica il portatore vedrà la propria riserva di CS aumentare di 4 unità, 2 in Robustezza e 2 in Forza, mentre l'avversario si vedrà danneggiata la sua riserva di 4 unità a sua scelta, a meno che non si difenda con un'apposita tecnica difensiva. <u>Attiva Media</u> consumando una quantità Bassa della propria salute fisica, ed un Basso della riserva energetica, il portatore di Mwenye kula può, con un urlo di natura magica, distruggere un pezzo dell'equipaggiamento avversario e danneggiare di un basso la sua riserva energetica.</i>[/size]] [/size]</span>
<span style="display:block;margin-right: 100px; margin-left: 100px; border-left: 3px solid #430404; padding-left: 8px">[size=7][color=#A68804][font=Times]Njaa,[/font][/color][/size][color=#430404][size=3] <i>dalla fame insaziabile</i>[/size][/color]
[size=3]Aslan-Arshan faceva molte cose, ma una sola era la sua preoccupazione. Non agguati né sconfitte, non lotte in cui poteva perdere, perché non vi era nulla ti potente e forte quanto lui, ma la morte poteva arrivare lo stesso. Né incidenti né malattie lo tormentavano, sarebbe stato capace di reagire a quelle inezie, ma il suo stesso ruolo lo condannava: era un cacciatore. La fame era lo spettro che lo seguiva ovunque, tanto nel brontolare del suo stomaco, quanto nell'oscurità dei suoi sogni, così come in quel barlume che poteva definirsi pensiero. I suoi muscoli titanici richiedevano grandi energie, così ogni caccia era potenzialmente l'ultima, perché per sfamare un gigante come lui non bastavano né una lepre né una gazzella, e cose tanto inferiori non venivano degnate né di uno sguardo né di un pensiero; gli uomini erano la preda preferita. Aslan era vorace e crudele, le sue razzie non colpivano il viandante, ma famiglie e carovane, villaggi se necessario, e di quella carne e di quel sangue si saziava. Un giorno sarebbe arrivato il momento nel quale attorno a lui non ci sarebbe stata preda adatta, o che lo sforzo non sarebbe stato ripagato con un pasto degno; e sfinito sarebbe morto. Quel giorno si sarebbe accasciato integro al suolo, con la sua pelle intonsa, gli artigli affilati, la criniera ruggente, il corpo immacolato; ma sarebbe morto comunque. Quello era il destino del più grande dei predatori, e nemmeno Aslan-Arshan ne poteva sfuggire, ma ad esso non si sarebbe mai arreso, e sempre avrebbe ringhiato e urlato contro tale ingiustizia, quella di cadere a causa della sua essenza: di essere il più grande fra i grandi.
Andrej Malinowski aveva un segreto imbarazzante, di quelli che nessuno sarebbe mai stato capace di accettare. La crudeltà ostentata, lo sprezzo per gli inferiori, la rabbia e violenza con cui tiranneggiava erano cose normali, che si vedevano in ogni parte del mondo, dal nord al sud, dal sorgere del sole al suo tramontare. Non riguardava la sua sessualità, uomini, bestie e bambini lo disgustavano alla stessa maniera in tal senso, le concubine del suo harem parlavano di come fosse interessato solo al proprio piacere e non a quello di chi giaceva con lui; ma nemmeno quella era una colpa grave, anzi forse la normalità. L'appetito innaturale che lo tormentava era un altro, e si trattava di vera e propria fame, un impulso vorace che fibrillava in lui dal primo momento in cui aveva indossato quell'armatura. Dapprima non se ne era reso conto, aveva scambiato quell'impulso per altro, la brama di conquista, la sete di battaglia, la rabbia mai soddisfatta, l'impossibilità di ghermire tutte le stelle nel suo pugno; poi si era accorto di una verità più banale. Non c'erano cibi e bevande capaci di saziarlo, né di ridurre il suo appetito o soddisfare il suo palato, si cibava del rancio per dovere e quello gli dava l'energia per combattere un altro giorno. Ma durante una battaglia, la più terribile fra quelle per conquistare il suo trono, la prima vera campale che affrontava, quella che avrebbe spezzato il suo esercito o soddisfatto il suo sogno, era quasi morto. Stava disteso in una trincea, circondato da soldati che combattevano, disperato nel vedersi ferito dopo che un intero battaglione di cavalleria gli era passato addosso, accanto a lui stava il suo scudiero, gli occhi ciechi e il viso pallido dal malore e dalla paura. In quell'istante Andrej capì: si gettò sul braccio del ragazzino che stava ad un palmo da lui e lo morse, tossendo via la manica della sua camicia e affondando i denti nel muscolo succoso; poco dopo una sensazione di benessere lo invase. Il guerriero si rialzò, rinnovato vigore a sostenere le braccia e gambe, le ferite sanate, la ferocia nelle vene e la fame scomparsa, al suo apparire gli uomini esultarono, e ringalluzziti dalla sua presenza lo portarono alla vittoria. L'uomo capì di essere un cannibale e solo quell'atto proibito poteva tenerlo in forze e renderlo lucido; era spaventato da quella parte di sé, che trovava disgustosa e inaccettabile. Malinowski non era un uomo dalla alta moralità, ma quel suo peccato lo faceva star male, continuò a cibarsi di uomini, con piacere perverso misto a disgusto indicibile, finché non ebbe superato la sessantina d'anni. Era ancora in forze, come un uomo di mezza età e tale appariva, il collo taurino e la salute ad arrossirgli il viso sebbene il fisico non fosse più prestante. Non fu la malattia ad ucciderlo, né un colpo di stato, ma la colpa e la disperazione: si fece scoprire, e davanti all'abominevole entità della sua perversione, nessuno osò difenderlo. La folle sputò su di lui, sebbene avesse sempre avuto paura di quell'uomo leggendario, e pure le sue guardie e i suoi commilitoni si unirono al suo linciaggio, e alla fitta sassaiola che lo uccise. Che fine fece il suo cadavere non si sa, ma nessuna tomba reca il suo nome; l'armatura invece fu trafugata e passata di mano in mano, di padrone in padrone, servendo e tentando tutti quanti. Affinché lo spirito di Aslan-Arshan sopravviva nei secoli dei secoli. [[size=1]<i><u>Attiva Media</u>, tecnica di guarigione fisica al corpo sotto forma di rigenerazione dei tessuti, tramite un consumo Medio di salute mentale sarà possibile ripristinare una quantità Bassa di salute del corpo. <u>Attiva Alta</u>, natura fisica, mordendo un avversario il portatore potrà infliggere una ferita Media al corpo del suo avversario, guarendo la propria riserva di salute fisica di un quantitativo Basso. Per fare ciò dovrà usare una quantità Media di salute Mentale, e una quantità Media di energia. <u>Passiva, 1 utilizzo</u>, consumando l'unico utilizzo di questa passiva, il possessore di Mwenye kula potrà rendere le tecniche di guarigione di potenza pari al consumo per quel turno. <u>Malus</u>, Se durante una giocata si saranno sfruttati i poteri di Mwenye kula per un totale di consumi - divisi nel corso della stessa - pari o superiore ad un Critico, il portatore sarà ossessionato da un'ossessiva fame di carne umana; subirà una penalità alle CS pari a 8 finché non l'avrà saziata in qualche maniera. Qualora lo facesse però, anche di nascosto, il senso di colpa o qualche altro dettaglio lo tradiranno, rendendo il suo peccato evidente e manifesto a tutti coloro che lo incontrano; con le conseguenze del caso. Non è possibile schermare questo effetto tramite passive di alcun genere.</i>[/size]] [/size]</span></span> </p></td> </tr>
</table></div>
| | |
| |
|