Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Leoni Rossi ~ Born from the ashes, Atto I

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 25/2/2014, 15:14

1L 50GN0 3R3T1C0
········

Group:
Member
Posts:
13,732

Status:



~ Born from the ashes

Quella notte, il buio squarciava l’atmosfera con fare sinistro.
La luna piena brillava nel cielo cercando di farsi largo tra l’oscurità, di rischiarare quella tetra notte. Un lupo, in lontananza, ululò fiero, perpetuo il rumore si espanse tra le collinette del deserto, tra le montagnole di rena e tra la sterpaglia secca. Infine si spense, riecheggiando per decine e decine di metri, debole, sempre più debole, fino a scomparire nel buio. Un’ombra guizzò nel silenzio, rapida, il sol rumor udibile era quello del vento che si spostava al suo passaggio, dell’aria che fremeva e vibrava. Le fiaccole delle strade si spensero all’istante, investite come da una brezza gelida e invernale, da far accapponare la pelle. Il buio, in quella notte senza stelle e dalla luna piena, invase le stradine di quel piccolo villaggio contadino. Quell’ombra, così veloce, così rapida, si portò dietro di sé il freddo della morte. Ci furono urla, grida, ma tutte morirono perse nel silenzio di quella bolla di morte.


_________ ____________________________ _________



Arcae, qualche ora prima


Era una giornata come un'altra di quella primavera insolitamente calda. Il sole batteva alto nel cielo, i contadini osservavano fieri il grano crescere lentamente, che sarebbe stato pronto per il periodo della raccolta. In autunno il piccolo gruppo di contadini aveva arato il campo con difficoltà, visti gli scarsi mezzi a loro disposizione, tuttavia erano riusciti a preparare il terreno in tempo per il raccolto. Era stato un inverno fruttuoso, le piogge e le intemperie non avevano danneggiato il terreno, e ora i contadini si godevano quel momentaneo periodo di relax godendosi il frutto del loro duro lavoro e del loro sudore. In quel periodo, in cui gli odori erano più forti nell’aria, nei paesani di Arcae riviveva una sorta di giovinezza, uomini spezzati dalla fatica d’una vita precaria ritrovavano il sorriso sul loro volto, altresì i bambini tornavano a giocare all’aria aperta, li si sentiva ridere e correre per le stradine, importunare i vecchietti con i loro scherzi infantili. Infine le giovani coppiette trovavano l’amore, l’ebrezza di una corsa tra le collinette di grano, dei baci sotto gli alberi di frutta. In Arcae v’era la vita primaverile, v’era la gioia di un luogo povero ma felice, che viveva da secoli in tranquillità. Loro erano distanti da tutti gli accadimenti del mondo, loro erano lontani dalla malvagità.
Era un villaggio pacifico, dimenticato dalle mappe e dai viaggiatori, poco battuto dagli stranieri.

Un giovane di vent’anni circa, sedeva su una collinetta guardando il frutto del suo lavoro.
Era un contadino come tanti, la pelle bronzea e scalfita dal sole, la frangia nera che gli copriva la fronte, gli occhi color oro, le spalle dure e possenti. Alice era accanto a lui, una ragazza diversa, una ragazza dai lineamenti dolci, dalle mani delicate di chi non hai mai dovuto lavorare, i capelli fluenti e puliti che sapevano di fragola. Seduti l’uno accanto all’altro con le ginocchia piegate raccolte tra le braccia, erano distanti quel tanto che bastava per non far parlare le persone. Quelle ore, passate in sua compagnia, erano tremende e bellissime al contempo. Lei era la figlia del signore feudale di quel luogo, promessa sposa al giovane rampollo, e speranza della città, Zanroar Songstell, figlio del capo delle guardie cittadine e futuro assicurato nell’esercito del meridione. Per la prima volta, dall’inizio della storia di quel villaggio, Arcae aveva un giovane di belle speranze che avrebbe potuto lasciare quelle terre per sempre, diventare qualcuno al di fuori di quel villaggio, e Alice l’avrebbe dovuto seguire, essere la sua donna, accompagnarlo nelle sue avventure. Ma lei non lo amava, e probabilmente non lo avrebbe mai amato. Non perché amasse già quel giovane contadino, ma semplicemente perché in lui non trovava null’altro che un uomo ambizioso, un ricco che voleva altra ricchezza, che disprezzava Arcae nel profondo, e difatti non vedeva l’ora di andarsene da lì. Alice non era così, lei amava ed era amata da Arcae, aveva a cura tutta la popolazione e sarebbe stata, un giorno, un’ottima amministratrice del villaggio. Mentre lui, quel giovane contadino, nelle fantasie di Alice, sarebbe stato il suo marito, il suo compagno d’una vita. Fantasticava nella sua utopia, viaggiava con la mente al giorno del loro matrimonio e della loro vita insieme. Ma lui sapeva che mai sarebbe potuto accadere, mai sarebbero potuto convolare a nozze. Il padre l’avrebbe obbligata a sposare Zanroar, e lui non avrebbe potuto fare niente per cambiare il corso degli eventi.
Odiava quella vita, odiava essere nato contadino, odiava non poter stare con Alice se non la notte, quando tutti dormivano, quando nessun occhio poteva guardare.

Il sole ormai stava calando oltre l’orizzonte, il cielo si tinse d’arancio, le nuvole si pittavano di riflessi violacei e il vento non era altro che una brezza leggera che scomponeva flebilmente le piccole spighe di grano.
Alice si alzò e il ragazzo fece lo stesso. Per un attimo si guardarono negli occhi, lottando contro il desiderio di baciarsi, di abbracciarsi, di darsi semplicemente affetto. Si salutarono silenziosamente con gli occhi, con uno sguardò che raccontò più di mille parole. Un sorriso, semplicemente.

« Ci vediamo dopo. »
Sussurrò lei candidamente, con un pizzico di malizia nella voce.
« Fai attenzione. »

Poi lo lasciò lì, abbandonandolo ai suoi pensieri e alle sue preoccupazioni, alle sue false speranze.



Era notte fonda, l’aria era stranamente fredda, nel cielo le stelle erano assenti, solo la luna piena cercava di rischiarare quella notte altresì buia. Alice camminava tra i campi, ammantata con una cappa di spessa lana. Con le mani si stringeva l’indumento intorno al collo, cercando di non far entrare quel freddo che gli avrebbe fatto gelare il sangue. Camminava come ogni notte lasciandosi alle spalle le stradine del villaggio, le piccole casette e le stalle che le componevano. Come ogni notte avrebbe raggiunto il suo amato e, sotto la luce della luna, si sarebbero amati e amati ancora fino all’indomani, quando ognuno sarebbe tornato alla propria vita. Camminava calpestando il terreno, i piedi affondavano di poco nella terra umidiccia sporcandogli lievemente le scarpe. Una brezza gelida le attraversò il corpo, rabbrividì per un momento stringendosi ancor di più nella cappa. In lontananza riusciva a scorgere l’albero in cui lei e il suo amato si sarebbero dovuti incontrare. Il vento e i lupi ululavano nel buio, donando un ché di tetro alla notte, le fronde degli alberi sbattevano l’uno con l’altro e i rami generavano un rumore come d’ossa spezzate. Tremò ancora, questa volta per la paura. Odiava le notti come quella, notti in cui pareva che tutti i mostri dell’Akerat si risvegliassero dal torpore del sonno. In lontananza sentì dei passi, lievi e quasi inudibili, pareva più lo strisciare di un serpente che i passi d’un uomo.

« Lamrael sei tu? »

La sua voce si perse nella notte, sovrastata dai rumori, sovrastata dal vento.
Alice non ebbe risposta, si strinse ancor di più nella cappa spaventata, come a volersi proteggere, un gesto inconscio, istintivo.

« Smettila Lamrael, lo sai che odio gli scherzi. »

Ancora il silenzio della notte, ancora nessuna risposta.
Nuovamente il gelo le traversò il corpo, nuovamente trasalì per un’istante.
Si fermò, cercando di scrutare nel buio, nelle ombre, nell’oscurità.
Infine urlò, eppure nessuno l’avrebbe mai sentito quell’urlo.
L'urlo della disperazione, l'urlo della paura, l'urlo della morte.

_________ ____________________________ _________

Erano tutti visibilmente scossi, sui volti si poteva leggere la paura più pura e letale. Gli occhi dei pochi rimasti erano scavati in una maschera inespressiva e parevano aver viaggiato nell’oblio più oscuro e malvagio. Molti erano testimoni di quell’orrore, molti avevano visto i propri familiari, le proprie mogli, i propri figli, i propri mariti, venire brutalmente uccisi da quel mostro. Nessuno era riuscito a vederlo, in molti raccontavano d’un ombra dalle fattezze demoniache che strisciava nel buio, molti narravano di occhi fiammeggianti e letali, iniettati di sangue. Lamrael era in silenzio intorno al fuoco, ancora lordo del sangue di Alice. Era per lo più incosciente, fissava senza volontà il vuoto dinanzi a lui. Alice, come molti altri, quella notte era morta per mano di una creatura di cui ignorava l’esistenza. Lamrael, come molti dei sopravvissuti, non faceva altro che chiedersi perché quella sorte era toccata a loro, quale Dio avevano recato offesa. Erano un popolo buono, un villaggio come tanti, fuori dal mondo e fuori da tutto. Il fuoco dinanzi a loro scoppiettava, ma non c’era la gioia intorno a quel fuoco. Molti piangevano i morti, altri restavano semplicemente in silenzio. Non erano rimasti che una ventina di persone, molti anziani, molte donne, due bambini, pochissimi giovani.

« Io so chi è stato. »

Un vecchio ruppe il silenzio, era Angus, il vecchio pazzo della città, quello a cui nessuno dava credito, quello che tutti vessavano, dalle storie fantastiche e prive di fondamento, storie partorite dalla sua mente malata d’una malattia inguaribile. Tuttavia, per la prima volta, la gente volle ascoltarlo, poiché nelle notti buie anche la più piccola fiammella di speranza non può far altro che confortare le persone.

« Da mesi ormai si narra d’un mostro che le notti di luna piena attacchi piccoli villaggi come il nostro. »
I suoi occhi, ciechi, parevano fissare il buio di un’altra dimensione, persi in una realtà diversa.

« Si fa chiamare Aundara, mangia le persone e stupra le donne prima di ucciderle. »

A queste parole alcuni singhiozzarono, altri scoppiarono in un pianto, alcuni non gli credettero. Ma tutti pendevano dalle sue labbra, e nessuno si azzardò a interromperlo.

« I primi avvistamenti sono avvenuti a sud dell’Akerat, e con quelli i primi villaggi bruciati. »
« Si dice che li vicino abbia la sua tana. »

Il silenzio piombò tra le persone, ognuno soppesava in cuor suo il peso di quelle parole e decideva silenziosamente il da farsi. Lamrael fu il primo che si risvegliò dal torpore, fu il primo ad agire.
In cuor suo vibrava la rabbia, l’odio, la sete di vendetta, e le sue parole non sarebbero state null’altro che macigni. Tutti conoscevano Lamrael, come tutti si conoscevano tra di loro, d’altronde in quel villaggio erano poche centinaia di anime, erano tutti fratelli e amici, come una grande famiglia allargata. Il ragazzo dai capelli corvino si avvicinò al falò, scrutando le persone, scrutando i suoi compaesani.
Lesse in ognuno di loro il dolore, la paura, la rabbia.

« Per secoli siamo stati un villaggio pacifico, che spesso s’è nascosto dalle guerre. »

La voce del ragazzo tremava di rabbia, scossa ancora da ciò che aveva visto.
Era sconvolto e c’erano poche parole per descrivere cosa provava.
Aveva perso la donna che più amava, guardò Zanroar negli occhi, maledicendolo perché lui era ancora vivo mentre lei era stata uccisa da quel mostro.

« Non abbiamo fatto nulla per meritarci tutto questo. »

Lamrael strinse i pugni, le vene si gonfiarono e muscoli si contrassero.

« Io andrò a prendere quel figlio di puttana e lo ammazzerò con le mie stesse mani. »

Nessuno parlò, tutti sapevano, tutti si potevano immaginare cosa provava Lamrael, e sapevano che lui avrebbe fatto di tutto per trovare la pace nel suo cuore. Per molti era un’idea stupida, probabilmente sarebbe semplicemente morto. Ma nessuno osò dire nulla, non avrebbero potuto fermarlo in ogni caso.
Nessuno avrebbe potuto dire nulla per calmarlo.

« Se qualcuno vuole venire con me si faccia avanti ora, altrimenti all’alba partirò da solo. »

Lamrael non era un guerriero, e non lo sarebbe mai stato.
Eppure qualcuno doveva pagare con il sangue per quello che era successo quella notte.
Lamrael non avrebbe trovato pace fintanto che quella creatura fosse rimasta in vita.





Benvenuti a questa quest. :8D:
Spero vivamente di potervi far divertire. Scusate innanzitutto il post corposo ma giuro che ho cercato di essere il più sintetico possibile. Passiamo alle spiegazioni, come avrete capito qualcosa di non precisato ha attaccato il villaggio di Arcae, ha ucciso praticamente tutti e i sopravvissuti si contano su quattro mani. Vecchi, donne e pochi bambini, uomini quasi nessuno. Voi siete tra i sopravvissuti. La vostra sopravvivenza non è dovuta alla vostra forza, bensì alla mera fortuna. Vi siete nascosti, non vi ha trovato, vi ha ignorato o qualunque altra cosa vi viene in mente. Molti di voi hanno visto i vostri familiari morire.
Passiamo ai pg che utilizzerete per la giocata:

Zanroar Songstell: figlio del capo della guardia cittadina, 18 anni circa, alto 1.80 biondo, promesso sposo di Alice. Ha visto morire il padre, la madre e il fratello.
Paneak Loyalar: 15 anni, ragazzo capelli scuri, occhi azzurri, ha visto morire i genitori. Figlio di contadini, molto magro per la sua età.
Shaian Gellinton: Il fabbro del paese, 48 anni, barba bianca lunga e pelato. Ha visto morire figlia e moglie.
Seagon Tigersoul: Quasi una leggenda ad Arcae, 35 anni straniero del meridione del mondo umano, guerriero esperto che 10 anni fa è venuto ad Arcae per trovare la pace. Qui ha trovato una moglie e un figlio di 5 anni. Entrambi morti
Daries Rieella: Donna 20 anni, guardia cittadina, capelli corti e scuri. Ha visto morire la madre, il padre era già morto quando lei era piccola.

Su questi pg avete sostanzialmente una grande libertà. Potete in ogni modo creare un bg (tutto ciò che hanno fatto prima di questo giorno), una psiche, a loro, potete creare questo pg come volete, l'unica direttiva è la coerenza. Difatti, a parte Seagon, tutti sono originari di Arcae, non hanno mai viaggiato, quindi non background astratti, erano persone normali fino a oggi. La creazione del bg, della loro psiche, sarà ovviamente fonte di valutazione. Dico già da ora che questi pg non sono destinati a scomparire, ma saranno importanti nella storia del mio pg e del ciclo che con questa quest apro. Voi sarete i primi a plasmare questi personaggi. Quindi vi chiedo serietà e coerenza. Le armi le sceglierete voi il prossimo post e verranno messe a disposizione del fabbro. Quindi da chi utilizzerà Shaian. Avete cinque giorni di tempo per narrare questa notte, o anche fare un po' di bg, sostanzialmente avete visto tutti la morte dei propri familiari, ma nessuno di voi ha potuto fare nulla per fermare l'ombra, anzi, se qualcuno si fosse avvicinato sarebbe con molta probabilità morto. Nel gruppo c'è una donna, ho dovuto aggiungerla in quanto doveva essere un png che muovevo io, ma visto che siamo uno in più a qualcuno tocca, inutile dire che chi prima arriva meglio alloggia. Se avete dubbi chiedete pure in confronto. 5 giorni da ora.


Edited by Lud† - 26/2/2014, 09:36
 
Top
Ydins
view post Posted on 27/2/2014, 21:02




Leoni Rossi - L'ultimo affetto.



Quella era stata una giornata davvero stancante, il turno di guardia era durato più del dovuto e trovare quella capra del signor Tristell non era stato facile. In teoria ritrovare gli animali scomparsi non era di certo il compito di una guardia cittadina, ma che cosa poteva mai succedere in un paesello senza nemici ne minacce? Daries in effetti era felice di condurre quel tipo di vita, tranquilla e senza grossi problemi. L'aria era buona e la gente simpatica, inoltre da quando il padre era spirato, lasciandola solo alle cure della madre a causa di quella malattia. Aveva sofferto per giorni e sua moglie ce ne mise di tempo prima di accettare la dura e triste realtà. In segno di ringraziamento, il proprietario dell'ovino smarrito aveva ringraziato la ragazza con un pollo ruspante e, a giudicare dai continui movimenti per cercare di liberarsi dallo stretto nodo alle zampe, poco intenzionato a farsi cucinare.

La casa dove le due donne vivevano era piccola, ma sufficiente per farci stare tre persone, c'era la cucina, dove si trovava anche il tavolo, la credenza ed il lavello, la stanza di sua madre, dove si trovava ormai da venticinque anni un letto costruito dal padre in solido legno di acacia nera, un materiale molto resistente ed adatto a sopportare il peso di due persone assopite. Il materasso era composto da paglia, accuratamente impilate ed ordinate, avvolte da un lungo panno cucito a regola d'arte dalla donna di casa. Mai una volta un punto si era strappato, solo di tanto in tanto la massaia rinforzava il filo oppure lo sostituiva, dopotutto la prevenzione è essenziale.
Poi c'era la camera di Daries, sufficientemente grande da poter ospitare il letto ed un guardaroba, oltre ad una sedia ed un comodino per riporre i libri che molto raramente si impegnava a leggere.

La ventenne bussò una volta sola, nessuno bussava prima di entrare in casa propria, ma aveva spaventato decine di volte la madre apparendo alle spalle senza alcun preavviso, quindi aveva concordato con la genitrice di battere sempre un colpo secco prima di varcare l'uscio. Dopodiché afferrò la maniglia e sentì le parole della madre in tono di rimprovero, seduta ed intenta a tagliare i peperoni ed i pomodori e mettere i cubetti di verdura dentro una ciotola in legno appoggiata su quel tavolo che si trovava al centro della stanza.

Daries! Dovevi tornare almeno mezz'ora fa! Ti avevo preparato il bagno, adesso l'acqua sarà gelida!



La ragazza la guardò e con un sorriso le fece capire che aveva una sorpresa, un secondo dopo alzò il pollo per farle vedere che cosa avrebbero mangiato quella sera.

La capra del signor Tristell si era infilata nella foresta, ci ho messo un bel po' a trovarla. Gli ho detto almeno duecento volte di riparare quella steccata, il legno era così marcio che pure uno scoiattolo rabbioso l'avrebbe sfondata! Per farsi perdonare ci ha dato in regalo questo pennuto.



[…]



La cena era deliziosa, il pollo con le erbe accompagnato da cipolle, pomodori e peperoni si era dimostrato una vera leccornia. Le due donne si augurarono la buona notte a vicenda controllò se le porte erano state chiuse. La guardia cittadina finalmente si coricò dopo aver spento la candela che illuminava la sua stanza.

Daries non seppe dire esattamente quanto tempo fosse trascorso fra il buio e quel rumore. Ore? Minuti? Non ne aveva la più pallida idea. Aveva avuto a che fare con un paio di rubagalline in passato e sapeva come trattarli, non bisognava fare rumore, sorprenderli alle spalle avrebbe risolto il problema, era per questo che la ragazza evitò di chiamare la madre, avrebbe messo in guardia il malvivente e messo in pericolo la genitrice. Cercando di rimanere in silenzio e produrre la minor quantità di rumore possibile con i suoi passi Rieella arrivò finalmente in cucina. Faceva freddo e si pentì di essere uscita da quelle coperte calde, ma doveva verificare se si trattava solo del vento facendo sbattere qualche ramo contro il tetto, oppure si trattava di qualcosa che rappresentasse un pericolo maggiore. Arrivò a tentoni fino al tavolo, si guardò attorno e notò che la sua vista si stava abituando al buio, non pareva esserci nessuno, avanzava la stanza della madre. Iniziò a muoversi in direzione del letto materno, ma un'ombra si mosse uscendo proprio da quella direzione. Il cuore parve comprimersi eccessivamente, sentì un dolore al petto come se il muscolo avesse saltato un battito, il tempo parve dilatarsi, oppure fu la sua impressione. L'impressione fu quella che quell'istante non passasse mai. Vide una mano mostruosa, ripensandoci meglio era un artiglio, trapassare da lato a lato quell'ombra. Un urlo si propagò attraverso l'aria e riconobbe istantaneamente quella voce. Era sua madre. Il proprietario dell'artiglio si avvicinò al corpo sanguinante, era enorme, se la sarebbe mangiata in un sol boccone. Tutto il coraggio le venne a mancare e con esso ogni tipo di forza nelle gambe. Cadde a terra e non poté fare altro se non assistere a quella scena. Le fauci di quella creatura si aprivano, si avvicinavano a colei che l'aveva introdotta al mondo per poi chiudersi e portarsi dietro un pezzo di carne. Macchie di sangue si sparsero per la stanza ed alcune andarono ad toccarle il volto. Con la mano tremolante cercò di togliersele con un fare disperato, non riusciva a sopportare l'idea che sua madre venisse mangiata e lei non avesse la forza di intervenire. Le lacrime scendevano copiose e le labbra non riuscivano a stare ferme, sembravano essere in preda a degli spasmi. Provò a chiudere gli occhi, ma era peggio. Nel buio i suoi sembravano più macabri e l'immaginazione galoppava, riaprì le palpebre immediatamente e continuò ad osservare la scena, impotente. Neppure un suono uscì dalla sua bocca, non perché la cosa non la toccasse, ma perché sembrava che la gola fosse stata provata delle corde vocali, per quanto si sforzasse non riusciva ad emettere neppure un suono. La paura l'aveva paralizzata e sua madre ne aveva pagato il fio.

Quando il cuore e la mente non riuscirono ad accettare più quella scena, Daries semplicemente perse i senti.

[…]



Fra quella moltitudine di facce inespressive e terrorizzate, quella della guardia cittadina sembrava concorrere per il premio “apatica dell'anno”. Da quando aveva ripreso i sensi non era più riuscita a starsene in casa, aveva sentito il bisogno pressante di aria fresca ed aveva seguito la folla. Aveva sentito gente parlare di un mostro che veniva chiamato Aundara che mangiava la gente e stuprava le donne, ma a lei non interessava. Non era riuscita a difendere l'ultimo componente della sua famiglia. Si diceva che la sua tana fosse a sud dell'Akerat, vicino a dei villaggi bruciati. Si colpevolizzava per essere stata impotente. Aveva avuto a che fare con un mostro, e tutto quello che era riuscita a fare era stare in silenzio e svenire. Non se lo sarebbe mai perdonato.

Una voce di protesta e ribellione si distinse dalla folla, ricolma di rabbia e di verità. Quel villaggio non si era mai procurato dei nemici, ne assunto atteggiamenti per averne, era rimasto sempre neutrale alle guerre e gli abitanti erano gentili e facevano parte di una comunità unita. Il contadino aveva ragione, dovevano reagire oppure quello che le aveva portato via l'ultimo componente della sua famiglia sarebbe potuto tornare e questa volta banchettare con la sua carne, oppure con altre madri, lasciando altre persone nel suo stato. Quando il giovane disse di voler partire all'alba si alzò e radunando tutto il coraggio che le restava disse ad alta voce, in modo che tutti la potessero udire:

Non sarai da solo, ti aiuterò! Non voglio che quel bastardo torni per finire gli avanzi. Lo uccideremo prima che possa ritornare!



La paura era ancora presente nel suo cuore, ma il senso di colpa e la rabbia stavano recuperando terreno lentamente, aveva un debito morale con la madre e non si sarebbe arresa fino ad aver rimosso i denti dalla bocca di quel mostro ed averci fatto una collana.

CITAZIONE
Energia residua: 100%
Fisico: Illesa.
Psiche: Intatta.
Stato d'animo: Terrorizzata, arrabbiata, delusa, depressa, insomma, un pozzo di emozioni negative.
Frequenza cardiaca: Impossibile da determinare.
Armi usate: Non possedute.
Azioni: Niente di interessante
Abilità in uso: Nessuna..
Note: Direi che mi sto immedesimando bene nel personaggio.
 
Top
.Azazel
view post Posted on 28/2/2014, 13:25




I Leoni Rossi
Born from the ashes, Atto I
___ _ ___


~


Aveva abbandonato da anni la vita da guerriero e viaggiatore ma nonostante tutto se qualcuno gli avesse posto il quesito: "cambieresti qualcosa del tuo passato?", lui avrebbe risposto con un secco "no".
Il motivo?
Fu grazie al suo passato che conobbe Rynelia, luce dei suoi occhi e anima gemella. Una fanciulla meravigliosa della quale si innamorò non appena posò lo sguardo sulla delicata pelle ambrata e sui lunghi capelli corvini che le ricadevano lungo le spalle e, infine, un paio di occhi color del grano in grado di far sciogliere qualsiasi uomo.
L'amava più della sua stessa vita e più i giorni passavano più tale sentimento cresceva e fioriva fino a quando il mattino di cinque anni fa diedero alla luce Jansen, una piccola creatura frutto del loro amore e della loro calda passione.
Costruirono la loro casa ad Arcae, un bellissimo paesino abbastanza isolato dove tutti si conoscevano l'un l'altro, un piccolo spicchio di paradiso caduto sulla terra. I lauti compensi del suo vecchio lavoro gli permisero di mettersi in proprio e lavorare la terra senza preoccuparsi più di tanto del relativo guadagno, tutti gli anni spesi a combattere guerre e a lottare, alla fin dei conti, diedero i loro frutti. Non l'aveva mai fatto prima e non poteva lontanamente immaginare che potesse esistere un mestiere così duro e spossante come fare il contadino e che addirittura superasse quello di mercenario ma anche quella presa di coscienza rientrava nella sua sfera di felicità e tranquillità.
Gli anni passavano e il piccolo Jansen cresceva sano e forte, forse un po' troppo pestifero, ma ogni danno che arrecava veniva preso con una risata dal padre e una lieve sgridata dalla madre. Tutto andava per il meglio fino a quando non giunse quella da lui nominata la notte senza stelle.
Una notte maledetta fatta di sangue e urla.

« Aiutami Seagon!! Nooo! »

Venne sbalzato fuori dal letto con violenza e batté la schiena contro la parete lignea. Non riuscì a mettere a fuoco l'intera situazione sin da subito, credette di essere il protagonista di un incubo, di una manifestazione onirica talmente violenta e scellerata che nemmeno la peggior mente malata era in grado di partorire.
Era impossibilitato a muoversi, a reagire allo scempio che avveniva davanti ai suoi occhi: sangue schizzava sulle coperte e imbrattava le pareti, le urla di dolore e terrore di Rynelia gli laceravano il cuore con violenza inaudita e lui, Seagon Tigersoul, era a terra, stordito ma cosciente del maledetto fenomeno diabolico che aveva di fronte. Un'ombra maligna sovrastava il corpo dell'amata - completamente ricoperto di tagli ed escoriazioni - un lungo sorriso cremisi da un orecchio all'altro fu la ferita finale, quella che spruzzò la maggior quantità di sangue un po' ovunque e che decretò in maniera orrenda e terrificante la dipartita della donna che amava più della sua stessa vita.
Il dolore era talmente lancinante e imponente che nemmeno si era reso conto di stare urlando anch'egli da diversi istanti e che la gola oramai era riarsa e la voce se n'era quasi andata: avrebbe sofferto di meno se gli avessero strappato il cuore dall'incavo del petto.
L'ombra se ne andò come fosse stata assorbita dall'esterno della finestra e una soffiata di vento gelido, totalmente inusuale per la stagione e le notti abbastanza calde, irruppe nella stanza completamente avvolta in un silenzio surreale.
Il tempo parve fermarsi e lo sguardo era cristallizzato in direzione del corpo di Rynelia; non seppe quantificare quanto tempo gli ci volle per rialzarsi ma poi si avvicinarsi al letto col volto rigato dalle lacrime.

« Rynelia? Rynelia?! Ti prego rispondimi. »
Prese il suo viso fra le mani e iniziò ad accarezzarle la fronte e lisciarle i profumati capelli corvini con dolcezza.
Sapeva bene che non c'era nulla da fare ma l'afflizione era tale che si sarebbe aggrappato a qualsiasi infimo barlume di speranza nel vedere la propria metà scampata alla demoniaca aggressione. Depose lentamente il capo della donna sul cuscino e scese dal letto.
Un fulmine invisibile sembrò colpirlo e attraversarlo.
Jansen!
La disperazione lasciò spazio all'angoscia e al puro terrore: si lanciò di corsa fuori dalla porta e attraverso il corridoio per raggiungere la stanza in fondo, sulla destra. La camera di suo figlio.
Magari non gli è successo nulla, quella cosa voleva solo Rynelia.
Spinse la porta e le poche e fioche speranze s'infransero come un vetro colpito da un masso.
Il corpicino di Jansen era completamente squartato e nella stanza vi era tanto di quel sangue che una persona normale si sarebbe sentita male. Fu il colpo definitivo, quello dell'apoteosi della disperazione. Smise di piangere, le ginocchia cedettero e crollò in avanti su quest'ultime, il volto affondò fra le mani. Avvertiva solo il suo fiato passare negli spazi fra le dita e il cuore battere come un tamburo da guerra con così tanta veemenza che sembrava voler evadere spaccando quella gabbia di ossa e carne. Per la seconda volta non riuscì a calcolare quanto tempo stette a terra, terrorizzato, affranto, infuriato con sé stesso, con l'ignota entità e con il mondo intero.
Si rimise in piedi e s'asciugò le ultime lacrime che solcavano il volto di una persona distrutta fisicamente e nell'anima.
Come il fantasma della persona che era uscì dalla porta e scese le scale: il corpo sembrava muoversi da solo mentre la mente cercava riparo dal dolore in qualche antico anfratto di ricordi piacevoli e che, forse, avrebbero schermato parte dell'angoscia che gli attanagliava il cuore e lo spirito. Riprese coscienza di sé e si ritrovò dinanzi al baule dove al suo interno, anni e anni or sono, aveva deposto il suo passato: le sue armi e la sua armatura, simboli di un tempo che fu e che scelse di scambiare di buon grado a favore di un futuro roseo con una famiglia.
Ma quella notte il futuro che scelse non era più roseo.
Ma rosso sangue.
Aprì il baule e tirò fuori una vecchia e impolverata armatura leggera in cuoio bollito dipinta di nero. Se la mise: nonostante i tanti anni che abbandonò le vesti da guerriero, il suo fisico non perse nulla del vecchio splendore, appariva sempre alto, slanciato e dalla muscolatura ben definita.
Per ultime, nel fondo, brillavano alla luce della torcia - posta sulla trave portante ai quali piedi era posto il baule -, due daghe grigiastre completamente identiche l'una all'altra. Ne impugnò una per mano e le osservò alla luce del fuoco.
Le Lune Gemelle erano in condizioni a dir poco eccezionali, pareva che nemmeno lo scorrere del tempo fosse in grado di intaccarne la qualità e smussare l'affilato filo delle lame. Rinfoderò le Gemelle e afferrò la torcia. Osservò le fiamme crepitare e danzare sinuosamente mentre nel suo cuore dilagava la brama di sangue e di vendetta. Aveva perso tutto, tutto quello per il quale viveva; era ritornato sui propri passi riaprendo una porta sbarrata dove al suo interno vi era il passato e aveva definitivamente scelto di immergersi nuovamente nella lotta, nel sudore e nel sangue.
Giurò soltanto una cosa a sé stesso.
Non avrebbe mai più abbandonato la vita da guerriero: sarebbe morto sul campo di battaglia e non fra le braccia di una donna e circondato da figli amorevoli, oramai quella vita gli era stata falciata via di netto e non fu in grado di opporsi a tale carneficina.
Percorse qualche metro lungo la strada e si voltò.
Non aveva il coraggio di rientrare in casa, salire le scale ed entrare nelle camere devastate e lorde del sangue della sua famiglia, non avrebbe retto ad una seconda dose di dolore tanto intensa e crudele, ci avrebbero pensato gli incubi a far rivivere quei tremendi istanti.
Lanciò la torcia sul tetto, senza esitare.
Ci vollero diversi minuti ma la fiamma che bruciava e alimentava la torcia diventò un vero e proprio famelico incendio che inglobò l'intera casa. Un'ultima lacrima rigò il volto di Seagon, la sua mente ebbe la cattiva idea di fargli rivivere tutti i momenti di felicità che aveva passato con la sua famiglia dentro quella modesta casa di campagna, un nido d'amore trasformatosi nel covo dell'Inferno.
Girò i tacchi e se ne andò mentre un forte trambusto alle sue spalle gli fece capire che la casa era crollata su se stessa e con essa tutti i ricordi e i corpi martoriati di Rynelia e del piccolo Jansen.
Le uniche fiamme che ardevano era rimaste quelle impresse nei suoi occhi.
Fiamme di vendetta.


_________ ____________________________ _________


« Io so chi è stato. Da mesi ormai si narra d’un mostro che le notti di luna piena attacchi piccoli villaggi come il nostro. Si fa chiamare Aundara, mangia le persone e stupra le donne prima di ucciderle. »

I pochi superstiti si erano riuniti attorno al fuoco.
Molti avevano perso e visto i loro famigliari morire sotto le grinfie di quella maledetta manifestazione e tale spettacolo aveva cambiato i loro volti e le espressioni erano tramutate in vere e proprie maschere di terrore miscelate a rabbia.
Il vecchio Angus, da molti considerato un povero pazzo, parlava di questo Aundara. Soltanto il poter dare un ipotetico nome alla cosa che aveva strappato tante innocenti vittime riusciva ad affievolire un poco il dolore insito nel profondo della sua anima.

« I primi avvistamenti sono avvenuti a sud dell’Akerat, e con quelli i primi villaggi bruciati. Si dice che li vicino abbia la sua tana. »
Se solo quel vecchio diavolo non avesse avuto la nomea di pazzo ciarlatano avrebbe accolto immediatamente le sue parole e le avrebbe impiegate e sfruttate nella sua missione vendicatrice. Altri sembrarono provare i medesimi sentimenti di Seagon, primo fra tutti Lamrael.

« Per secoli siamo stati un villaggio pacifico, che spesso s’è nascosto dalle guerre. Non abbiamo fatto nulla per meritarci tutto questo. Io andrò a prendere quel figlio di puttana e lo ammazzerò con le mie stesse mani. Se qualcuno vuole venire con me si faccia avanti ora, altrimenti all’alba partirò da solo. »
Un accenno di sorriso s'intravide sul volto ambrato di Seagon.
Si sentì rincuorato nel constatare che non era l'unico a voler ripagare la presenza demoniaca con la stessa moneta. Strinse con veemenza i pugni cercando di immaginare il gusto della vendetta concretizzarsi nel sangue e nella morte della creatura malefica che irradiò tanta sofferenza in un'unica notte a tanti abitanti di Arcae.
Sarebbe partito con tutti coloro che necessitavano di risanare la propria anima dopo la tremenda notte, con sguardo severo e passo deciso superò la gente che gli era davanti e guardò dritto negli occhi il giovane ragazzo dai capelli corvini.

« Conta su di me. »
Esclamò celando con difficoltà la rabbia e il fervore che lo attanagliavano in una morsa forsennata e dalla quale era pressoché impossibile sfuggire.
« Quel dannato bastardo assaggerà il bacio mortale delle mie lame! »
Urlò ferocemente incapace di trattenere e contenere l'enorme mole di collera e rancore che gli attraversavano le membra e l'animo in maniera adrenalinica.
Lo spirito guerriero di Seagon Tigersoul era rinato ed era più feroce e implacabile che mai.



Edited by .Azazel - 28/2/2014, 15:10
 
Top
view post Posted on 1/3/2014, 00:00

Competitore
·····

Group:
Member
Posts:
1,644

Status:


Leoni Rossi

« Faber est suae quisque fortunae »




«Stupido ragazzo!» urlò il sergente, scatenando gli schiamazzi ilari delle altre reclute «Quello è un dannato fantoccio d'addestramento, non la tua stramaledettisima incudine!!!»
Avevo appena lanciato un martello da fabbro, uno di quelli che sono solito portarmi in giro attaccato alla cintura...perchè non sai mai quale guaio ha partorito la Madre dei Guai la notte precedente!
La mia "arma" aveva mancato di un soffio, giusto un tantino il fantoccio solo per colpirne un altro! Quell'idiota bellimbusto del figlio dell'allora Capo delle Guardie Cittadine, chissà perchè ( perchè era un grosso pallone gonfiato ecco, perchè!) si era messo in quella brutta testaccia bacata l'idea di essere migliore degli altri; e per dimostrarlo aveva deciso di guardarci dall'altro in basso scegliendo come posizione proprio lo spazio vicino quel maledetto manichino.
Da li, l'idiota, poteva ridere a crepapelle quando una di noi reclute sbagliava un fendente o un affondo. Tutto bene, fino a due attimi prima, con noi nella polvere dopo aver miseramente fallito e lui a stringersi la pancia e a sganasciarsi come davanti uno spettacolo di marionette.
Quello che il "grande condottiero" non aveva considerato era il mio caratteraccio.
Avevo preso le misure, avevo soppesato la spada saggiandone bilanciamento, peso, resistenza opposta al vento. Avevo persino calcolato come la parabola del mio assalto avrebbe reciso come un melone maturo la testa di paglia.
In teoria il mio fendente mi avrebbe fatto guadagnare il rispetto dei compagni, un posto nella milizia cittadina e la soddisfazione di veder sfiorire quel sorriso ebete dalla faccia di quell'idiota!
In teoria...In pratica dovevo fare i conti con la mia gamba. Niente di irreparabile o eccessivamente invalidante, era semplicemente qualche centimetro più corta dell'altra. Da ragazzino avevo pianto come un vitello per gli insulti dei miei compagni di giochi. Zoppicavo solo quando ero molto stanco o quando ci sfinivamo nelle interminabili corse giù per i campi e su per i boschi. Ma in quei momenti il mio fisico iniziava a cedere, il mio passo si faceva irregolare e finivo puntualmente con l'orgoglio sotto i piedi e i piedi su per aria. Perchè? Perchè ero un ragazzino idiota e non sapevo controllare i miei limiti. Mi stancavo fino allo stremo e finivo per il cadere o inciampare, privo com'ero del sostegno necessario fornito da due gambe salde e sane.
Crescendo non solo mi ero abituato al mio difetto fisico, ma avevo avuto anche la presunzione di poterlo domare. Il fabbro è un mestiere fatto di sudore e fatica ma ha un pregio: sviluppa forza fisica e di spirito, rende resistenti alla fatica, al dolore, ai crampi e in pochi anni ti trasforma da un moccioso mingherlino in un armadio a due ante.
Ed ero li, dinnanzi il fantoccio d'addestramento, la spada sollevata sulla testa, le vene del collo pulsanti per l'urlo guerriero con cui avevo intenzione di accompagnare l'assalto. Corsi così, fiero della mia possanza guerriera e totalmente ignaro della zolla di terra fangosa in cui il manichino era piantato.
Finii, come al solito, di culo all'aria. Il mio trionfo si era scatenato in una ennesima scenetta comica. Ma quella volta non avevo intenzione di ingoiare.
Avevo la prestanza fisica, la gioventù e la rabbia e mi bastava. Mi rialzai, feci pochi passi fingendo di tornare in riga e poi, così, all'improvviso afferrai il martello e lo scagliai con tutta la forza che avevo in corpo!
Quell'imbecille di Guth lo vide arrivare dritto verso la sua fronte, si abbasso urlò come una femminuccia mentre il mio maglio gli portava via l'elmo.
La giornata finì con i miei compagni di addestramento che mi davano pacche sulle spalla, mezzo villaggio a conoscenza delle mie "prodezze" e io cacciato fuori dalla milizia cittadina per sempre.
«Non ho potuto fare altro...» - si era giustificato il sergente mentre mi annunciava la cattiva nuova - -«Guth è un ragazzino viziato e il padre è un buon comandante ma una frana totale come addestratore! Crede che il figlio sia un fottuto Dio della Guerra e avrebbe pure potuto perdonare il fattaccio se solo..» tossì trattenendo a stento una risata «Se solo la cosa non fosse stata così dannatamente umiliante e insieme ridicola. Guth dovrà sopportare le risatine del villaggio per un bel po', ha fatto la figura dello scemo...E' niente ma spero che ti possa consolare..» -

Tornai a casa. Mio padre, come al solito, lavorava.
Accolse la notizia senza troppo stupore. Mi passò gli strumenti da lavoro e mi chiese di aiutarlo. Aveva una consegna il giorno successivo e se avessimo lavorato in due, forse sarebbe riuscito a dormire un paio d'ore quella notte.
Mi persi nel rassicurante clangore della fucina, mi feci accecare dalla vampa rossa del fuoco, sfogai la mia rabbia sull'incudine immaginando che ogni colpo fosse diretto sulla faccia di Guth.
Non mi resi conto, nella frenesia del lavoro, che stavamo forgiando spade, cotte di maglia, elmi e corazze. Tutte provviste destinate alle reclute che poche settimane più tardi sarebbero state cooptate nella Guardia Cittadina.
Era mio padre a fare il "lavoro di lima", suo il compito di apporre il marchio distintivo della nostra fucina, di decorare e apporre il sigillo della milizia.
Quando me ne accorsi, i nostri sguardi si incrociarono. Gli occhi di mio padre si contrassero appena mentre i miei si inumidirono. Nessuno dei due voleva vedermi piangere, per questo mi tuffai ancora nell'arte di battere il ferro. E lo feci con tanta violenza da rovinare una corazza che aveva richiesto dieci monete di buon acciaio temprato e ore di fatica.
Sentii solo sollevarmi da terra, mio padre mi aveva afferrato per le spalle e mi aveva sbattuto al muro. Il suo sguardo bruciava di un'emozione che, sulle prime, identificai come ira ma poi compresi essere compassione «Ascoltami figliolo!» mi disse -« E' inutile piangere sulle ingiustizie subite! La vita è ingiusta e Guth e suo padre provvedono abbondantemente anche a questo. Ma prima di ogni cosa, provvedono a fornirci un lavoro! Con questa commissione guadagneremo abbastanza per vivere un inverno sontuoso e per comprare altro metallo ed utensili per lavorare di più e meglio... Non scegliamo se nascere guardia cittadina o contadino, re o sarto, cavaliere o menestrello. Ma tu sei nato fabbro, una professione rispettabile con un ottimi profitti. La vita p ingrata e distrugge i nostri sogni, ma tu ...» - concluse sorridendo - -«...sei nato fabbro, come ti ho detto. E noi fabbri siamo abbastanza bravi a riparare le cose rotte. »

La notte passò, la delusione pure. Lavorammo duramente, guadagnammo abbastanza da poterci permettere di comprarmi un abito per il Ballo del Raccolto.
Ero follemente innamorato di una ragazza, i capelli color del grano, le labbra dolci e rosse come il frutto del melograno. Profumava di fiori campestri ed aveva la grazia di una cerbiatta che si abbevera in una pozza di limpida acqua sorgiva.
Ah la mia Brandine! Bella come un fulgido tramonto di estate...
Il Ballo del Raccolto era l'evento più importante dell'anno. Le reclute della milizia cittadina venivano presentati al pubblico, i padri sfoggiavano i loro figli come un pavone fa con la sua coda. L'obbiettivo, ovviamente, era coltivare rapporti sociali, creare alleanze familiari, procacciarsi il lavoro e farsi sacrosante bevute.
Per noi giovani era soprattutto l'occasione per corteggiare la dama che ci aveva rubato il sogno!
Quella sera Brandine era semplicemente favolosa. Il suo vestito color giacinto, la sua innata grazia la facevano sembrare un fiore notturno che sbocciava solo per la gioia di chi l'amava. Io ero più modesto nel mio abito della festa, il mio onnipresente maglio tirato a lucido alla cintura e l'espressione imbarazzata di chi si avvicina per la prima volta al salterello dell'amore.
Loro, invece, le nuove leve della milizia risplendevano nella marziale luminescenza dell'acciaio con cui erano vestiti e nella morbida eleganza dei loro mantelli.
Brandine li guardava mentre danzava con me, ma non perchè fosse una di quelle lascive cagnette che sbavavano ai piedi di quei bellimbusti...No per l'amor del cielo! Lei ammirava la fattura del mio lavoro, sussurrandomi all'orecchio di come loro fossero "belli" e "fieri" solo per merito mio.
Quello era un balsamo per il mio orgoglio ferito, un balsamo con una punta di veleno perchè mi ricordava come apparissero loro e di come apparissi io.
Ma non m'importavo, mi sentivo un principe e al mio braccio avevo la Regina del Raccolto bella come l'alba, dolce come la primavera...
L'idillio durò poco, mi allontanai un istante per riempire i nostri piatti con l'ottima pancetta arrostita e il formaggio e il pane profumato dei nostri campi.
Guth aveva ben pensato di vendicarsi dell'umiliazione subita usando Brandine.
Le si era avvicinato e aveva iniziato a corteggiarla sfoggiando il suo sorrido immacolato, pavoneggiandosi in maniera davvero vergognosa.
Lei l'aveva subito respinto, mentre io colmavo lo spazio che ci separava correndo a rotta di collo e buttando all'aria le buone maniere e il cibo.
Guth impallidì vedendomi, fece due passi indietro, fece scoppiare un boato di risate e scappò a nascondersi in qualche buco con la coda tra le gambe.
Ero un fabbro, un umile lavoratore ma ero il doppio di lui e il mio martello luccicava dalla mia cinta con troppa evidenza.
Ridemmo spensieratamente e ballammo fino a quando il cielo non mutò il suo volto ancora una volta.
Decisi di accompagnare Brandine a casa con la benedizione dei reciproci genitori.
Brandine era figlia del maniscalco, un buon'uomo amico di mio padre. I due avevano spesso lavorato insieme e il matrimonio della loro rispettiva prole rappresentava al contempo un lieto evento e un'ottima opportunità di unire le reciproche attività.
Mentre percorrevamo il tragitto verso casa fui colpito a tradimento alla testa.
Caddi a terra, il sangue mi oscurava la vista cadendo copiosamente sul volto.
Le urla di Brandine mi fecero balzare in piedi come una molla. Vidi Guth afferrarla per i capelli e urlarle oscenità di ogni tipo mentre la minacciava con la spada.
Non ragionai, feci solo riemergere tutto l'odio che provavo verso quel giovane.
Presi il mio martello e lo scagliai.
Da quella mattina Guth ebbe ben poco di cui sorridere. Gli avevo rotto la mascella e per buona misura gli avevo spezzato tutti i denti dell'arcata superiore.
Il padre mi condannò a due giorni di gogna e trenta frustate, perchè Guth era una guardia ed era mio dovere dimostrargli rispetto.

La notte dopo il primo giorno di gogna e le trenta frustate tornai a casa rotto nel fisico ma intatto nell'onore.
Non una singola patata era stata lanciata contro di me, i cavoli marci erano stati dati in pasto ai maiali, le uova erano servite per le torte e l'unica cosa che raccolsi furono applausi. Seguiti dalle frustate, ovvio.
La gente non amava Guth e dopo quello che aveva combinato lo amava ancor meno. Per quanto suo padre si sforzasse di difenderlo e di far comprendere quanto grave fosse stato il mio gesto, la gente rimaneva dalle mia parte.
Per loro i fatti erano chiari e incontrovertibili: Guth era un idiota tronfio e violento, io una sorta di eroe degli umili.
Sapevo che quella gratificante approvazione sarebbe durata poco, ma mi crogiolavo nella calda sensazione di auto realizzazione che mi infondeva nel cuore.
Mi misi a dormire, contento e pronto a ricevere l'indomani nuovi applausi e nuove dimostrazioni di affetto.
Mi sbagliavo.
Guth usò l'unica arma a sua disposizione: il denaro. Comprò coloro che non si erano lasciati intimorire e intimorì quelli che non si erano lasciati corrompere.
Inutile dire che gli applausi si erano trasformati in palle di fango puzzolente, le acclamazioni in ceste di ortaggi andati a male. Le uova rimasero nei panieri, ma solo perchè costavano più di quanto Guth aveva pagato i loro proprietari.
Per sovrammercato ricevetti altre trenta frustate. Il messaggio doveva penetrare a fondo nella coscienza di tutti: io ero solo un miserabile che aveva alzato troppo la testa.
Infranto nell'orgoglio e ancor di più nel fisico quella notte mi rigirai nel letto senza trovare pace. Non era il dolore residuo delle frustate, ne la bruciante sensazione di rabbia che mi attanagliava la gola a tenermi desto...Era come se attendessi qualcosa o qualcuno...

Arrivò.
Un clangore metallico, lo strepitare di centinaia di stalloni, l'urlo feroce del guerriero. Vidi un esercito fluire come un onda di marea nel mio campo visivo.
Il sudore freddo inzuppò le mie lenzuola, mentre tremavo per quella portentosa visione.
Vidi uno scudo assorbire il colpo di maglio di quella banda di uomini armati ed urlanti. Vidi emergere un Campione in armatura rosso cupo. Sul pettorale della corazza il simbolo di un occhio aperto, con una pupilla blu intenso. L'occhio era inscritto in un guanto d'arme.
Fiero, severo, ieratico.
Capii di non stare sognando. Capii di essere parte di un evento mirabile.
«Il tuo comportamento è stato mirabile, giovane scudiero.» - mi disse con voce roboante -«La ricompensa ingiusta.»
Guardavo quella figura, tremendamente concreta a bocca aperta.
Ciò che osservavo era compatibile solo con le visioni dei sogni. Eppure quello, ne ero certo, non era un sogno.
«Io sono l'Avatar del Custode, di Colui che Vigila e difende coloro che ne hanno bisogno. Io sono lo Scudo contro cui si infrangono gli Eserciti. Sono il Pugno di Acciaio che infrange l'Aggressore. Io sono qui per offrirti ciò che hai desiderato essere. Sono qui per chiederti di essermi fedele nel cuore e di unirti a me nella mia sempieterna battaglia»
Immobilizzato dalla paura accennai un segno di assenso con il capo.
Rise.
«Ti spavento? Ne hai ben donde! Rallegrati! Da devoto, da mio fedele servitore anche tu incuterai lo stesso timore. Ma lo farai per proteggere, mai per aggredire questo è il tuo giuramento.»
«Fanno un simile giuramento anche Guth e i suoi. Ma poi le loro azioni non corrispondono alle loro parole»
Parlai quasi senza accorgermene. Le parole sfuggirono dalla mia bocca di insolente ragazzotto di campagna. Lui sorrise, o almeno così mi parve da dietro l'elmo. «Tu giurerai fedeltà a me. Fidati, non correrai il rischio di disobbedirmi figliolo. Non ammetto mancanza di disciplina.»
«Quando posso incominciare?»
«Subito. Mettiti a lavoro. Forgia una corazza come la mia. Forgia guanti d'arme e uno scudo. Benedicili con il mio simbolo e attendi.... Prima o poi qualcuno chiamerà aiuto nella notte e tu brillerai come fuoco mentre distruggerai il suo aggressore...»
«E che farò nel frattempo?»
«Prega! Quella notte sarà un amara notte. Il battesimo di noi Guardiani avviene nel sangue. Che sia il nostro o quello del nostro nemico poco conta...Prega giovanotto, chiedi sopratutto che quel giorno giunga quando i tuoi capelli saranno canuti e i tuoi denti traballanti.»
«Spero di no mio Lord o non avrò la forza di fare quanto richiesto. Sarò rotto e vecchio. Sarò inutile...»
Rise ancora. Riempiendo la mia stanza dell'eco della sua cristallina risata.
«La forza di un Campione sta nella sua fede. E dopotutto tu sei un Fabbro. Il tuo lavoro è provvedere di mantenere le armi affilate anche se molto vecchie. Se si rompono il tuo mestiere è di ripararle....Rinforza le armi. Vigila sempre...»
E mentre ancora pronunciava quelle parole la sua immagine prese a danzare come una fiammella su cui soffi il vento. Poi...
...scomparve.

Lavorai duramente quella notte. E la notte successiva. E così per un anno.
Quando finalmente il mio equipaggiamento fu pronto attesi.
Attesi per lunghi anni...I miei capelli incanutirono e caddero. I denti si fecero traballanti nelle gengive.
Poi una notte, mentre il mio vecchio corpo si affannava caparbio nel lavoro della fucina udii quel grido.
Il mio sangue si raggelò. Non pensai, mi fiondai nella mia armatura e corsi in strada cercando di capire da dove provenisse l'urlo.
Mi resi conto che non era uno ma molti. Si moltiplicavano nel silenzio notturno come i luccichii di uno sciame di lucciole in amore.
Uno mi colpì al cuore. Un secondo me lo infranse.
Mia moglie. Mia figlia.
Corsi in casa. Non trovai di loro traccia. Caddi solo in ginocchio, li dove il loro sangue aveva formato una macabra pozza.
Non era il mio sangue a segnare la mia investitura. Non quello del mio nemico.
Avevo perso ogni cosa, salvo una...
...la mia fede. A dire il vero, scavando, ne trovai un altra. Il desiderio di vendetta.
Quella notte è stata ieri notte.
Ora le parole di quel giovane portano la morte nel mio cuore, di nuovo. Uccidono la speranza di trovare le uniche donne che abbia mai amato, insieme al nemico che desidero abbattere. Ma quelle stesse parole mi danno oggi una ragione per vivere...Per muovere questo mio vecchio corpo...
«Io e la mia fucina siamo con te ragazzo! E con coloro che si uniranno a noi! Giuro che non avrò pace finchè non avrò sfondato quell'empio cranio con il mio martello! Che gli dei mi portino se mento!»
<b>Note:

 
Top
Masterbpi
view post Posted on 1/3/2014, 13:01






CITAZIONE
Narrato
"parlato padre di Zanroar"
"parlato Zanroar"
"pensato Zanroar"



“Sull’attenti soldato! Il sole è sorto e tu dovresti già essere vestito ed aver rifatto la branda!”

La voce squillante del Capitano si fece strada dal piano inferiore, risalì in un lampo le scale, sfondò con un calcio la porta ed esplose nelle mie orecchie facendomi quasi rotolare giù dal letto.

La testa mi girava ed era pesante. Complice forse la notte brava passata a bere birra e gozzovigliare con quei quattro ruffiani che mi porto spesso dietro non ero riuscito a svegliarmi all’alba come lui esigeva ogni mattina, si ostinava a ripetere da ormai più di dieci anni che, come un contadino segue i ritmi della terra, un soldato segue quelli che sono gli ordini di un superiore, i ritmi del suo lavoro che, se possibile, non ha orari stabiliti ma anzi nelle emergenze bisogna essere sempre pronti, in qualsiasi istante.

Inutile dire che tutto quel rigore, tutta quella disciplina, non faceva per me la mattina all’alba, specialmente dopo una sbronza colossale come quella della sera prima: la testa mi girava più di prima e un sapore amaro e sabbioso sulla lingua mi stava tormentando, nauseandomi con il rischio di poter vomitare da un momento all’altro la cena. Decisi che seduto sul letto non avrei combinato un bel niente, così mi vestii, indossando abiti puliti che fortunatamente mia madre aveva appoggiato a terra accanto agli stivali, poi scesi le scale tenendomi saldamente al corrimano per evitare di cadere e mi avviai verso la cucina per vedere se fosse rimasto qualcosa con cui fare colazione.

In piedi sulla soglia della stanza il Capitano mi aspettava con la solita espressione di severa disapprovazione, gli occhi ridotti a fessure e le labbra serrate che, unite alla cicatrice sul lato sinistro della bocca formavano una specie di sorriso storto che tante volte mi faceva ridere. In armatura scintillante e con la spada che ricadeva pigra sul fianco, mio padre scosse la testa alla mia ennesima dimostrazione di immaturità. Eppure ero un promettente combattente, ma per lui non bastava, la disciplina veniva prima per il capo delle guardie di Arcae.

“ E dai Pa’, dammi un po’ di tregua, dieci minuti e sarò alla caserma come ogni mattina”

Quella risposta al tacito rimprovero parve soddisfare mio padre, perché abbandonò la soglia della cucina e, senza nemmeno fiatare, uscì sbattendo la porta, che vibrò alzando una discreta quantità di polvere turbinante nei raggi di sole che filtravano dalle finestre.

Dopo una veloce colazione a base di uova, pane e qualcosa che poteva essere pancetta mi diressi con una leggera corsa verso la caserma, il luogo dove avevo passato più tempo nella mia vita, che aveva assorbito ogni mio sogno e me lo aveva restituito con gran forza sotto forma di brama di una carriera militare nell’esercito del regno. Fin da quando mi era stato messo il primo pugnale fra le mani avevo capito che il combattimento sarebbe stato il mio pane quotidiano, che sarei diventato qualcuno, che me ne sarei andato da questo posto.

Proprio così, il mio destino mi stava attendendo oltre i confini di Arcae, nelle sterminate piane dell’Akerat o in qualsiasi altro regno mi avessero mandato, ovunque ma non qui, non sarei marcito in questo posto.

Come può il primogenito di una delle più importanti e rispettate famiglie della città voler lasciare una confortante e sicura vita di discreta agiatezza per seguire l’ignoto? È presto detto, per ottenere prestigio, gloria e ricchezze ancor maggiori, ma soprattutto per il desiderio che tutto questo venisse riconosciuto ben più che da una massa di contadini e artigiani del borgo, volevo che la mia fama di guerriero si conoscesse in tutto il continente, che il mio nome fosse sinonimo di terrore per i miei nemici e trionfo per gli amici. Che ognuno cercasse i miei servigi e narrasse le mie imprese.

Mentre varcavo l’ingresso dell’armeria della caserma ricordai la prima volta che vi entrai, mentre mio padre mi portava a far visita al luogo di addestramento cui ero destinato, quanto mi sembrarono grandi allora le spade d’ordinanza delle guardie, e le lance poi, così lunghe che non riuscivo nemmeno a sollevarle senza abbattere un fantoccio da allenamento o una rastrelliera di qualche tipo, e come mi divertivo a prendere dei pugnali da lancio, agitarli in ogni direzione fingendo di combattere numerosi nemici per poi lanciarli contro il muro e vedere, con delusione, che nessuno si era conficcato ma erano tutti rimbalzati cadendo.

Da quel giorno la compagnia che bramavo più di tutte era quella delle armi, dei soldati in allenamento nella caserma, divenendo da allora l’orgoglio di mio padre.

Inutile negarlo però, nonostante le mie abilità con le armi si sviluppassero molto bene, man mano che andavo avanti con l’età mio padre diventava sempre più esigente, iniziò a correggere ogni minimo colpo, ogni minima mossa, attacco o difesa che eseguivo, passando poi anche ai comportamenti che tenevo fuori dalla caserma, la sera con i miei amici nella taverna oppure a gozzovigliare fino a tardi per i vicoli bui e deserti della città. In quei momenti mi sembrava di essere uno dei tanti soldati suoi sottoposti, non più suo figlio Zanroar.

L’adolescenza per me fu univocamente dedicata all’addestramento, e quello fu il periodo in cui, con mio padre, andavo più d’accordo, mentre mia madre e mio fratello, allora piccolo, riuscivo a vederli solo la sera quando, stanco morto, mi trascinavo con la forza a tavola per cenare e dopo, morto di stanchezza, salivo in camera a dormire, il che mi riusciva quasi subito stanco com’ero.

Eppure ero felice e non rimpiangevo il tempo passato in caserma imparando la tecnica di una grande varietà di armi, dalla semplice spada alla lancia e l’ascia, ma quello che più mi entusiasmava erano sicuramente le armi a distanza, e poco importa che fosse l’arco, la balestra o i coltelli da lancio, tutte quante mi appassionavano e investii più tempo nell’allenamento in quella specialità che in tutte le altre, procurandomi così crescenti dolori ai muscoli delle braccia che però alla fine si risolsero in una accresciuta precisione e forza che mi aiutò a maneggiare meglio anche le altre armi

In tutto questo tempo le mie uscite erano ridotte all’osso, soprattutto per la stanchezza che mi accompagnava in ogni luogo che non fosse la caserma, e sarebbe stato difficile per chiunque affermare il contrario: tra corsa, esercizi ginnici e potenziamento fisico, addestramento teorico e pratico con le armi alla fine della giornata restavo un morto vivente per il resto, pur se poco, del tempo che mi separava dal letto. Fu in quella fase della mia giovinezza che venni a contatto con qualcosa che prima non avevo mai visto, per cui non ero mai stato addestrato: gli intrecci della classe benestante.

Fu un giorno, una domenica frizzante e soleggiata che mio padre, vedendomi pronto ad uscire come tutti gli altri giorni di buon mattino per uscire e proseguire l’attività alla quale ero stato destinato, mi chiamò a sé con aria strana, il viso stranamente disteso, forzatamente tranquillo, l’armatura tirata a lucido così come la spada e il suo migliore elmo piumato sotto il braccio sinistro, quello delle grandi occasioni.

“Oggi non andiamo in caserma Zanroar, oggi ti voglio riposato, pulito e profumato. Va’ a farti un bagno e vedi di ripulirti come si deve, ti farò preparare da tua madre la divisa militare più nuova che hai, voglio che la indossi.” Seguì una pausa breve nella quale la sua testa si avvicinò alla mia, lasciando il posto della sua espressione seria ad un sorrisetto beffardo e ammiccante, come se la cosa che stava per dire fosse un dono dal cielo per me. “Ti porto a conoscere la tua promessa sposa.”

Un’ora più tardi, quando il Capitano mi ebbe esaminato da capo a piedi più volte e mia madre nel contempo aveva cercato di eliminare ogni minima piega dalla divisa e disciplinare la mia chioma bionda scapestrata e lunga, mi trovavo di fronte all’entrata di un piccolo castello che mi fu detto appartenere al signore di quelle terre, a cui apparteneva anche Arcae. L’idea di venire legato ad un futuro con una ragazza non mi piaceva per niente; non tanto per lei o la sua famiglia, quanto per il fatto che ancora, a quell’età, vedevo le donne come una distrazione e l’unico mio obbiettivo era andarmene per diventare un combattente abile e temuto.

Così quando vidi per la prima volta Alice fui effettivamente colpito dalla sua bellezza: il corpo sinuoso ed esile, i capelli lunghi ordinati e lisci, al contrario dei miei mossi e indisciplinati, un paio d’occhi fiammeggianti d’odio verso la condizione di “promessa” ovviamente imposta e mal digerita, sentimento che traspariva anche dalle mani, così strette che le nocche erano diventate bianche. Ne fui colpito, eppure all’epoca non ero felice.

Dopo una sommaria presentazione mi venne imposto di presentarmi e io, impacciato cercando di risultare educato, resi omaggio come mio padre pochi minuti prima mi aveva spiegato, sentendomi nudo senza portare al fianco neanche una misera spada. Parlammo per l’ora più lunga che ricordo in tutta la mia vita, io evidentemente a disagio non abituato alle ragazze e lei che non aveva intenzione di aprirsi con un futuro marito che a quanto pareva disprezzò ancor di più quando seppe che avrebbe dovuto andarsene da Arcae per seguirlo. Non mi interessai più di tanto a quell’aspetto, le ragazze non erano tra i miei pensieri.

La vita continuò e, ultimamente, avevo scoperto con grande sorpresa di mio padre l’attrazione per le armi corte e il combattimento d’astuzia, che preferivo rispetto a quello composto solo da forza bruta. Il Capitano non riteneva che fosse una scelta degna di un leader, ma ebbe il buon senso di lasciarmi fare a modo mio, per evitare una delle ennesime liti che erano sopraggiunte con la mia maggiore età e la nuova testardaggine che mi contraddistingueva.

Negli ultimi tempi, da sei mesi a questa parte diciamo, avevo iniziato a uscire la sera dopo aver lasciato la caserma di addestramento, creandomi una schiera di amici che probabilmente mi seguivano solamente per il fatto che potessi offrire loro da bere grazie al mio status ed alla mia posizione sociale, ma a me andava bene così. Nella mia vita le aspettative non erano cambiate, ma volevo sperimentare anche la compagnia di coetanei non dediti alla guerra una volta tanto. Inutile dire che l’approvazione di mio padre per queste iniziative era sotto zero.

Quando arrivai in caserma quel giorno gli sguardi divertiti dei ragazzi mi si attaccarono addosso come resina sul fusto di un albero. I novellini amavano farneticare e fantasticare sui presunti tradimenti di Alice, i presunti incontri con un contadino, Lamrael si chiamava, che culminavano sempre a detta loro con incontri segreti. A loro piaceva pensare che la favola della principessa che si innamora di un povero uomo comune potesse diventare realtà. Era chiaro che si sbagliavano.

Sapevo per certo che quei due erano solo amici, per di più la metà degli incontri che la gente attribuiva loro erano frutto della fantasia di qualcuno che si divertiva a mettere in giro voci del genere per il puro piacere di farlo. Sapevo che non poteva esistere nella mente della figlia del feudatario l’ipotesi di avere incontri amorosi con un lavoratore poco al di sopra di un servo e molto meno abbiente di me e della mia famiglia, anche se avrebbe sicuramente preferito non lasciare la sua città come logicamente ci si aspetta da una donna abituata al lusso, non avrebbe obbiettato e mi avrebbe seguito.

L’addestramento di quel giorno fu lo stesso di tanti altri, mi allenai coi coltelli da lancio e combattei con diversi altri cadetti della caserma usando una coppia di daghe che ormai avevo imparato a conoscere come le mie tasche, tutto questo fino alla sera quando arrivò l’ora di tornare a casa: avevo promesso a mia madre che non avrei fatto tardi e intendevo mantenere questa promessa. Mia madre sapeva farsi ascoltare senza impartire nessun ordine, con la sua aria dolce e affabile riusciva a placare ogni istinto ribelle in me, forse perché l’unico genitore che si comportava in quel modo era lei.

Dopo aver cenato a tavola con un’aria lievemente più serena grazie alla mia ben accetta intenzione di passare a casa la serata io, mio padre e mio fratello sedemmo attorno al tavolo con una bottiglia di liquore, una di quelle che il vecchio apriva quando intendeva fare il “padre” e non il Capitano.

“In periodi oscuri c’è bisogno di persone forti e determinate, persone che possano difendere l’unità di un regno o di una città. Tutto questo non ha niente a che vedere con l’abilità in combattimento, è necessario che le persone restino unite, le famiglie non devono dividersi per ripicche o incomprensioni.”

Fece una pausa. Non capii il senso del suo discorso né dove voleva arrivare, pensai semplicemente che avesse bevuto troppo e, forse, avevo ragione.

“Lodroar, anche se sei più giovane di tuo fratello risulti essere più saggio, il tuo discernimento potrà essere utile al mondo, o perché no a Arcae stessa; sei uno studioso nato e talentuoso e il tuo futuro sarà grandioso. Zanroar sei un abile guerriero, il primo in città in grado di lasciare la guardia per girare il mondo ed accrescere le tue abilità, ma ricorda che la famiglia è un punto fisso, un rifugio in cui trovare consiglio nelle notti difficili.. come questa.”

Guardò fuori dalla finestra, un’oscurità innaturale sembrava aver divorato le case vicine e perfino il cortile, così che non si riusciva a vedere nulla all’esterno ed anche il fuoco nel camino parve tremolare ad una sferzata di vento che si abbatté per un secondo sulla casa. Quando tornai a guardare mio padre si era addormentato con la mano che stringeva la bottiglia e un forte rischio che la facesse cadere.

“Ah papà, mi piacciono i tuoi discorsi, peccato che tu debba sempre essere sbronzo per trasformarti in una persona normale. Andiamo Lodroar, aiutami a portare nostro padre a letto.”

Prendemmo l’uomo sotto le braccia e lo scortammo di peso su per le scale e quindi in camera, venendo ripagati con zaffate di alito alcolico, era ubriaco fradicio. Decisi di scendere e aiutare mia madre a rigovernare, pareva che fossi rimasto solo io sveglio.

Senza conoscerne la ragione non presi la via più breve per la cucina, passando dall’ingresso. Forse per la sincera mancanza di voglia che avevo di rigovernare o un presentimento, fatto sta che sentii dei movimenti, piatti che finivano nel catino per essere lavati, mia madre che sembrava canticchiare una canzone piuttosto sguaiata a labbra serrate e mi chiesi dove l’avesse imparata, e quale significato avesse produrre suoni così poco aggraziati. Terminato ogni suono proveniente dalla cucina ripresi a dirigermi in quella stanza passando da un corridoio secondario che percorrevamo raramente, quello che portava alla latrina all’esterno e si ricongiungeva con soggiorno e cucina dopo un angolo retto. Sentii dei passi svelti e felpati. Pensando che mio fratello fosse sceso dopo di me e poi risalito di corsa affrettai il passo ed entrai nella stanza.

Una pozza di sangue invadeva il pavimento, spandendosi sotto il tavolo e la credenza in una macchia uniforme e scarlatta. Al centro stava mia madre, o quello che ne restava, la riconobbi solo dal viso, risparmiato dalla belva che l’aveva aggredita e divorata nel corpo, segni di zanne e di artigli su braccia e gambe, il volto segnato da un’espressione di bieco terrore era come stato pietrificato a monito per gli altri presenti.

Mia madre era morta.

Disperato, con le lacrime che scendevano dai miei occhi azzurri, chiamai mia madre più volte, scuotendo i suoi resti come per risvegliarla pur sapendo che era inutile, che non l’avrei più rivista e le sue attenzioni mi sarebbero mancate come l’aria.

Un lampo di lucidità all’improvviso: i passi potevano essere della bestia che l’aveva aggredita. E si era diretta verso mio padre e mio fratello, dovevo salvarli.
Chiamai a gran voce i loro nomi, salii le scale a balzi frenetici, saltando a due a due i gradini ogni volta, spalancai la porta della camera di mio padre e vidi l’ombra che con un artiglio trapassava da parte a parte Lodroar, squarciandogli il ventre, mentre con l’altra mano sorreggeva senza sforzi mio padre che, urlante, minacciava il mostro di morte per aver ucciso il figlio. Mi paralizzai quando quegli occhi, ammesso che ce li avesse, si fissarono su di me.

Pensavo che sarebbe venuto verso di me, mi avrebbe divorato e infine se ne sarebbe andato, invece fece qualcosa di inaspettato, lanciò mio padre addosso a me con una potenza tale che non potei evitare che mi colpisse. Fui sbalzato all’indietro e sollevato da terra, colpendo prima con la testa il muro di legno, poi con la schiena qualcosa che non resse all’impatto.

La finestra andò in frantumi sotto la potenza che mi aveva travolto, io che avevo sbattuto la testa nella parete stavo per perdere i sensi, ma poco importava perché sarei morto di li a poco per la caduta. Mentre la vista si annebbiava vidi il corpo senza vita di mio padre che penzolava dalla finestra, dandomi la schiena, ma con il collo in una posizione innaturale così che i suoi occhi mi stavano guardando. Proprio mentre la mano d’ombra artigliata afferrava il collo rotto di mio padre e lo riportava in casa la vista mi abbandonò, così come la mia mente lasciò il corpo.




Adesso in quella piazza ero circondato da un manipolo di sopravvissuti all’ultima notte, alcuni arrabbiati, molti altri spaventati ed incapaci di reagire. Provai un po’ entrambe le sensazioni mentre ripensavo a cosa avevo visto: la mia famiglia spazzata via nel giro di un paio di minuti da un’ombra assassina ed io, unico sopravvissuto, ero ancora qui soltanto grazie ad una fortuna sfacciata che aveva fatto credere al mostro che fossi morto mentre invece ero solo svenuto. Come me tantissime altre persone, forse tutti in quel luogo, erano li per la loro fortuna.

Qualcuno potrebbe obbiettare che chiamare questa “fortuna” non sia esattamente corretto, perdere i propri cari e sopravvivere all’evento da alcuni venne infatti considerato peggio della morte. Pensai anche a Alice, la donna che non avrei mai sposato. l’avevano trovata in una radura desolata in mezzo ai campi la mattina durante la ricerca di superstiti, non l’avrei più avuta con me, a condividere i miei successi in battaglia. Non sapevo nemmeno se avrei continuato con la carriera che fin da bambino avevo fissato come obbiettivo, niente adesso aveva più senso, la vita era finita se un demone qualsiasi poteva aggirarsi indisturbato per le città del mondo e uccidere senza venie fermato.

Il giovane Lamrael, quello per cui tutti guardavano me divertiti il giorno prima, oppure un secolo fa non ricordo, se ne uscì con frasi al veleno, determinato alla vendetta su un essere spregevole e abominevole come quello che aveva distrutto il nostro villaggio e che probabilmente non si sarebbe fermato. Si parlava di un’ombra divoratrice di uomini e donne, tutte storie che avrebbero terrorizzato un uomo qualunque.

Già, ma oramai di ordinario non esisteva più niente in me, gli affetti, le aspirazioni, gli amori. Tutto finito nel giro di una notte. Non mi ci volle il coraggio per alzarmi e dire quello che avevo da dire, chi mi aveva tolto tutto l’avrebbe pagata oppure sarei morto nel tentativo. Guardai negli occhi quel contadino, che ricambiarono lo sguardo con astio, ma non mostrai di aver colto tale sentimento.

“Sono anch’io con voi, quel mostro ha tolto tutto anche a me, la mia famiglia merita vendetta quanto le vostre e non avrò pace finché non la avrò.”





non ho ritenuto necessario inserire lo specchietto per ovvie ragioni :8D:




 
Top
Endymyon
view post Posted on 1/3/2014, 16:50




Leoni Rossi~ Born from the ashes


Un brivido freddo gli percorse la schiena sebbene fosse al caldo. Paneak scosse le coperte di dosso e si avviò verso la porta della sua camera, doveva uscire a urinare. La casa era molto piccola, composta da sole due stanze, la sua e quella dei genitori. Dalla porta di entrata si arrivava nella camera dove mangiavano assieme e dove la sera i suoi genitori dormivano, mentre lui aveva una piccola stanza attigua, divisa da fragili pareti e una porta fatta alla ben e meglio. Capitava alcune notti che i genitori parlassero tra di loro bisbigliando, ma quella sera riusciva ad udire solo suo padre russare.
Cauto aprì la porta provando a farla scricchiolare il meno possibile. Nemmeno il tempo di fare un passo nella stanza dei genitori che la porta dell'entrata si spalancò. Per un solo istante lo sguardo del padre incrociò quello del figlio. Gli occhi azzurri si riflessero gli uni negli altri. Entrambi videro reciprocamente la scintilla della paura accendersi. La bestia, più scura della notte, si avventò sul padre tanto rapida da non dargli nemmeno il tempo di alzarsi. Un singolo morso e nella piccola casa il rumore delle ossa spezzate risuonarono come le campane dei monasteri. Stessa sorte toccò alla madre, che neppure ebbe il tempo di girarsi per vedere il mostro.
La gola del ragazzo bruciava e il suo stomaco era in subbuglio. Il lieve accenno di paura divampò nel più cupo terrore e corse nella sua stanza sbattendo la porta dietro di sé.

“Non basta” questi sarebbero stati i suoi pensieri, se avesse potuto metterli in ordine razionalmente.
Spalancò la finestra e saltò nell'orto e cominciò a correre. Saltò i cavoli e pestò i pomodori. Non avevano comunque più alcuna importanza. Scavalcò la staccionata e continuò per le vie del paese. Ansimava ma non smetteva di correre, non poteva mollare, doveva scappare. Ogni qual volta gli sembrava di star rallentando il terrore lo spronava e la sua velocità aumentava. Uscì dal villaggio senza nemmeno accorgersene e si infilò in un campo di grano. Corse senza ritegno finché non cadde rovinosamente a terra.
Rimase fermo tra le spighe di grano dorate che gli ricordavano i capelli biondi del padre. Brevi singhiozzi incominciarono a susseguirsi velocemente ma silenziosi. Un groppo in gola lo bloccava dal gridare, e l'azzurro degli occhi si trasformò come un fiume, le cui placide acque lasciarono spazio a torrenti rapidi che solcarono le guance di Paneak. Rannicchiato in quel campo, con le gambe al petto, si addormentò stremato.

Il mattino seguente non sentì il canto di alcun gallo, solo il timido sole lo fece destare. Piano, con i piedi dolenti dai tagli che si era provocato correndo ritornò verso il paese. Le strade del villaggio erano deserte, silenziose, morte. Corse verso casa con le ali ai piedi, speranzoso di trovare qualcuno. Doveva trovare qualcuno. Era sicuro di trovare la madre già all'opera, di sicuro preparava il pane mentre suo padre preparava le mucche perché lui le portasse al pascolo. D'altronde l'inverno era finito, ora toccava a lui andare a pascolare le capre.
Aprì l'uscio di casa con un sorriso, ma solo un gelido color vermiglio e una confusione assoluta lo accolsero. Scodelle, cocci e legno erano le uniche cose rimaste degli oggetti che lui conosceva.
Altre lacrime incominciarono a sgorgare.
Scappò all'orribile vista della sua casa, e quasi come se fosse un richiamo, andò a rifugiarsi dove altri si erano raccolti con il dolore per piangere i morti.

Di vista conosceva tutti quelli nella stanza, e riconosceva alcuni morti. Nessuno però faceva parte della sua famiglia, né di quella della madre o del padre. Era solo tra quella gente dal cuore spezzato.
Una nuova ondata di dolore lo attraversò, rivoltandogli lo stomaco e rigandogli le guance con lacrime amare. Cadde in ginocchio singhiozzando di nuovo. Si mise a carponi, e con i pugni chiusi percosse tre volte il terreno.

«Ci sono anche io» disse risoluto alzando gli occhi arrossati dal terreno per puntarli verso Lamrael quando questo disse di voler andare a cacciare il mostro.
«Vengo anche io con voi.» disse con fermezza, questa volta asciugandosi le lacrime con le maniche della maglia.

CITAZIONE
Stato fisico: Illeso
Stato mentale: Illeso
Energie: 100%
CS: //

Armi/Armature: //

Passive://

Attive utilizzate: //

Riassunto: Paneak scappa quando la bestia aggredisce i genitori e corre fin fuori dal villaggio in preda alla paura. Al suo ritorno, ritrovati i superstiti decide di aiutare Lamrael nella caccia al mostro. Il ragazzo è sia addolorato per la morte dei genitori, in nome dei quali vuole vendetta, sia con se stesso per non aver fatto nulla se non scappare.


 
Top
view post Posted on 3/3/2014, 21:18

1L 50GN0 3R3T1C0
········

Group:
Member
Posts:
13,732

Status:



Non si aspettava che tante persone erano pronte a seguirlo.
Evidentemente quello che era successo quella notte ad Arcae aveva sconvolto i loro animi più di quanto Lamrael potesse ammettere. Forse, o quasi sicuramente, non sarebbero tornati vivi da quella spedizione, forse avrebbero trovato la morte cercando vendetta, ma per Lamrael qualsiasi cosa era meglio di quello. Non riusciva più a vedere Arcae con lo stesso sguardo di prima, non riusciva a guardarla e non notare come fosse diventata null’altro che un’enorme cimitero pregno di ricordi dolorosi. Guardava le collinette ricolme di grano e vedeva Alice correre spensierata, libera da ogni costrizione.

« Padre, io devo andare. »

Mise una mano sul vecchio, guardandolo negli occhi, lui non disse niente, come non disse niente quando gli altri sei figli lo abbandonarono per cercare fortuna fuori da Arcae, non disse niente, ma con la morte nel cuore auguro silenziosamente un buon viaggio al figlio. In fin dei conti s’aspettava che non sarebbe mai più tornato. Il padre di Lamrael era sempre stato un uomo di poche parole, un uomo più adatto a fare il contadino che il padre e, quando 16 anni prima perse la moglie, si chiuse definitivamente in se stesso. Lamrael era il suo ultimo figlio e, come macchiato dal destino, anche lui lo stava abbandonando, lasciandolo solo ad Arcae. Lo guardò con un pizzico di rammarico, tutti i suoi figli assomigliavano tremendamente a sua moglie, tutti avevano preso da lei, tutti avevano la necessità di lasciare Arcae, di andare a visitare il mondo e non sarebbe stato lui a impedirglielo.

« Vai figliolo, fai quello che devi fare. »

Molti lo avrebbero considerato un debole, in fin dei conti stava dando il permesso al figlio di andare a farsi divorare, eppure mai uomo era più coraggioso di lui. Sapeva che impedendogli di andare lo avrebbe comunque ucciso, Lamrael sarebbe lentamente impazzito, dentro di lui il seme della vendetta sarebbe cresciuto come un parassita che si sarebbe cibato del suo cuore, fino a strapparglielo definitivamente.

« Grazie. »

Disse laconico, con la voce spezzata, infondo era molto più simile al padre, lui non avrebbe mai lasciato Arcae, lui amava Arcae, amava fare il contadino, arare i campi e lavorare silenziosamente per giorni.

Avere un giorno una famiglia, dei bambini da crescere.
Una vita semplice e onesta, Lamrael non desiderava altro.
Ma non poteva più restare lì, non dopo la morte di Alice.

I sopravvissuti si unirono in una specie di cordoglio funebre per salutare chi tra loro stava partendo, tutti avevano il volto rigato, quasi consapevoli che altri cinque sarebbero morti per colpa di quella tragedia di cui non si vedeva la fine. Il sole stava ormai comparendo oltre i picchi dell’Akerat e facendo capolinea nel cielo blu. Il popolo fu generoso con coloro che improvvisamente divennero gli eroi del villaggio. Gli diedero cibo e acqua sufficienti a sopravvivere per giorni e, come anticipato, il fabbro mise la fucina a disposizione di chiunque necessitasse di un’arma. Il corteo venne scorato fino alla fucina del fabbro, in quel luogo v’era ancora il puzzo della morte e del sangue, alcuni avevano cominciato a seppellire i morti e, per fortuna, quelli del fabbro, personalità conosciuta lì ad Arcae, furono tra i primi. Lamrael vide, accozzata in mezzo ad altre vecchie spade, uno spadone di dimensioni sproporzionate, una spada a due mani con la guardia crociata e un pesante pomo di metallo, Lamrael non se ne intendeva molto di spade, né sapeva se quella spada facesse al caso suo, eppure aveva come la sensazione che tutte quelle spade non facevano proprio al caso suo. Si fidò del suo istinto da contadino.

« Io prendo questa. »

Afferrò la spada dall’impugnatura di cuoio, era una spada grezza, poco maneggevole, ma nelle mani di Lamrael parve fin troppo leggera, lui era uno abituato alla zappa incastrata nel terreno, a un aratro trascinato a fatica, a ore di fatica sotto il sole.
Una spada era fin troppo leggera.

« Sei sicuro? » Gli chiese il padre, « ci sono armi molto più adatte a te. »
Lamrael non sapeva quali erano queste armi adatte a lui, non ne aveva mai avuto bisogno né ne aveva mai impugnata una.

« Voglio questa. »

Se la girò tra le mani, cercando il modo migliore per impugnarla, si sentiva strano, eppure quella sensazione non gli era del tutto estranea come se, infondo, fosse una cosa familiare, come se nelle sue vene scorresse da sempre l’anima d’un guerriero dentro di lui. Ma erano tutte stronzate, lui era un contadino e, l’unica cosa che lo muoveva era la vendetta.

« Quando siete pronti andiamo. »

Lamrael non aveva molta voglia di perdere tempo, se morte doveva essere perlomeno arrivasse in fretta.
_________ ____________________________ _________

Camminarono per ore sotto il sole cocente dell’Akerat, inizialmente il paesaggio era immutabile e sempre uguale, il terreno spoglio reso infernale dai raggi del sole che battevano contro il terreno rendendo la radura spoglia un impervio camminamento di fuoco. Ben presto si ritrovarono a consumare più riserve d’acqua di quanto avessero previsto in partenza. Lamrael aveva la gola secca e la bocca impastata dalla sabbia, le discussioni tra di loro erano ridotte all’osso un po’ per non sprecare energia un po’ perché nessuno di loro pareva aver troppa voglia di parlare, soprattutto Lamrael non era dell’umore giusto per fare conversazione. Il sole lentamente cominciò la propria calata e le temperature, con il calar del sole, tornarono accessibili donando al gruppo un po’ di aria, un po’ di tregua da quell’arsura. Abbandonarono la radura sterminata e deserta quando il sole ormai iniziava essere un pallido ricordo di quella giornata di viaggio. Le ombre striate s’allungavano accompagnando il gruppo attraverso una foresta di alberi scheletrici, come se fossero fatti di dura pietra. Nonostante la primavera nessuna foglia adornava il manto spoglio degli alberi. Un groviglio di rami s’articolava l’uno sull’altro coprendo la volta celeste, oscurando il sentiero dinanzi a loro che d’un tratto si fece buio. In quella foresta precipitò il buio e l’oscurità, le sole fiaccole degli uomini illuminavano il sentiero. Uno spiffero d’aria gelida attraversò il corpo di Lamrael, il contadino rabbrividì per un secondo, il gelo gli traversò le ossa. In quell’istante capì cosa provarono gli abitanti del villaggio quella notte; tutti avevano raccontato di una brezza gelida invadergli la pelle fino a penetrargli l’interno delle ossa. D’improvviso la nebbia crebbe dal terreno come se la terra stessa esalasse vapori, velocemente tutto venne ricoperto dal candore della bruma. La vista del gruppo venne obnubilata rapidamente, ormai vedevano poco oltre il loro naso.

« Che cazzo sta succedendo? »



Disse Lamrael istintivamente, intanto dinanzi a lui orde di scheletri s’alzarono dal terreno, presero vita in quella foresta fantasma. Guerrieri che risorgevano dal mondo dei morti, che si alzavano lentamente raddrizzando la schiena. Avevano armi vecchie e logore, lance e spade arrugginite. Ma di numero li sovrastavano nettamente.

A quel punto una figura s’alzò nella nebbia, non era molto alto, né all’apparenza molto forte.

Ma era umano.

« Voi non siete sopravvissuti perché più fortunati rispetto gli altri. »
Quella voce, una voce che Lamrael già conosceva.
« Siete sopravvissuti perché nel vostro destino c’è un fato ben peggiore della morte. »
La figura umana sorrise nella nebbia, camminando verso il gruppo di uomini.
« Verrete risucchiati anche voi dall’oscurità. »
Rise, squarciando la nebbia.

« A…A…Angus? » Balbettò, incredulo « Se-sei tu il mostro? »




QM - POINT

OMG!!! ANGUS è il mostro? Ammettetelo, non se lo aspettava nessuno!
Anyway, post facile dovete solo prendere le armi e decidere cosa fare ma in game, niente giro in confronto. In confronto, se volete, potete fare qualche discorso durante il viaggio.
Comunque la situazione è quella descritta, una 60 ina di scheletri guerrieri più Angus sono di fronte a voi.
4 giorni di tempo.


Edited by Lud† - 4/3/2014, 00:31
 
Top
view post Posted on 6/3/2014, 17:05

Competitore
·····

Group:
Member
Posts:
1,644

Status:


Leoni Rossi

« Sorprese »





[...] Ognuno sceglie la sua arma, secondo le sue inclinazioni. C'è chi predilige un arco forse lo fa per esorcizzare la paura, la morte, lo sconvolgimento che circondano utilizzando un strumento familiare, quasi domestico.
Siamo un villaggio di gente semplice. Per noi arco vuol dire andare a caccia di lepri e di anitre. Non certo vuol dire "crociata contro un mostro".
Ho imparato da mio suocero a lavorare il legno per creare lo scheletro centrale, il corno per il ventre, tendini e lino per rinforzarlo. Ne risulta un'arma leggera, versatile, minuta ma estremamente efficace. Ho visto uomini fulminare cinghiali con un solo tiro preciso, disgraziatamente non è il caso dello scricciolo a cui ho affidato una delle miei creazioni...
La scelta che più incuriosisce è quella Lamrael. Ha raccolto quel solido bastione di metallo affilato dal ciarpame coperto di ruggine e polvere dei miei esperimenti.
Sono un uomo curioso e adoro sperimentare nuovi bilanciamenti, fogge, affilature per le mie spade. Quello era il mio primo spadone, qualche libbra di buon acciaio del nord temprate nel fuoco della mia fucina e nell'acqua gelida del ruscello.
E' una spada da cavalieri e paladini, una spada da nobili ma non avendo a chi venderla mi ero totalmente dimenticato di adornarla.
Grezza, antica, pesante, rude come il destino di quel giovane l'arma l'aveva chiamato. Non mi stupii affatto del suo incaparbimento.
L'osservai per un attimo, concedendomi il primo sorriso in quella giornata di pianto.
«Se credi che sia quella giusta, che sia così.» - sentenziai con una pacca su quelle ossa di contadino che celavano un cuore di leone.
Provavo affetto per quel ragazzo, forse perchè i suoi sogni non erano poi tanto diversi dai miei.
Mentre gli altri proseguivano la loro scelta io mi appartai in un cantuccio. Io non avevo bisogno di scegliere. Io sapevo perfettamente come armarmi.
Nascosta, ben unta con grasso di montone per evitare le offese della ruggine e del tempo, mi aspettava la mia armatura e lo scudo-torre entrambi marchiati con il simbolo della Divinità. Alla cintura il mio fedele maglio, i e una mazza ferrata che faceva il paio con gli armamenti militari che avevo pronti nel retrobottega.
Decisi di andare a "prepararmi" quando gli altri finirono.
Quando usci il Fabbro non esisteva più, dinnanzi i miei inusuali compagni di viaggio e di sventura ora si presentava un Campione del Custode, di Colui che Vigila.
L'armatura completa splendeva dei riverberi rossastri con cui era stata decorata.
Lo scudo sembrava poter reggere gli assalti di un esercito, la mazza sembrava poter schiantare il frontone di una montagna con un solo colpo...Ma nulla poteva proteggermi dal dolore sordo e bruciante che mi percuoteva l'anima. Nessuno scudo poteva proteggermi dai fendenti del mio lutto. Nessuna mazza ferrata o maglio colpiva più forte dell'assillante sete di vendetta che mi incendiava le vene. [...]

[...] Il viaggio fu tetro e silenzioso. Sembravamo una compagnia di penitenti, muti, avvolti nel loro cordoglio come in una cappa nera.
Il sole che riardeva l'Akerat non sembrava sorto per risplendere e guidare il nostro cammino, quanto più per infliggersi l'arsura della sete. La notte calava solo per riemembrarci, con i suoi canti di upupe e civette, la dipartita violente dei nostri cari. Quegli uccelli malauguranti sembrano ululare a quel cielo denso di oscurità il dolore subito negli ultimi istanti di agonia dei nostri figli, fratelli, mogli, padri e madri. Con quei lugubri presagi ci addentravamo sempre di più in una selva che sembrava portare su di se i segni di un'inverno sempieterno e maledetto.
Giunse una brezza gelida e una nebbia, capaci di farci rabbrividire fino al midollo.
Non vedevamo nulla. Tutto era inghiottito nel candore immondo di quella bruma innaturale.
Dal terreno, improvvisamente, iniziarono a sorgere crani biancastri, tibie e peroni, costole e armi consunte dalla ruggine e dal verderame.
La morte camminava dinnanzi a noi...
Poi qualcosa di vivo, di indubbiamente umano...Non riconobbi all'inizio quella pelle incartepecorita e cadente, quelle guance molli e tremule sugli zigomi scarni, quegli occhi vuoti e malefici da vecchio cieco ...
L'avevo detto io! L'avevo detto che quel vecchio pazzo non mi era mai piaciuto!
Quelle sue storie orrorifiche, così dense di dettagli raccapriccianti! Quel tono lascivo nel raccontarle...Altro che pazzo ! Altro che scemo del villaggio!
Quello era il demonio!
Ah che rabbia! Ribolliva nel sangue come una pentolaccia dimenticata sul fuoco.
Mi faceva digrignare i denti, tremare le ossa, rombare la testa.
«VIENI QUI RAZZA DI SCHIFOSO BASTARDO! FATTI AVANTI CODARDO ASSASSINO! » - gli sbraitai contro, agitando la mazza minacciosamente. «RISUCCHIATI DALL'OSCURITA' EH? E CHI LO FARA' TU?! CON QUESTO GRUPPO DI QUATTROSSA QUI? VIENI CODARDO, CHE TI APRO QUELLA FETIDA ZUCCA COME UN MELONE! »
Non capivo più nulla ero ormai preda della mia collera. Era come se un telo rosso mi fosse calato dinnanzi agli occhi. «AH MA TI ACCHIAPPO! DOVESSI FAR FUORI OGNUNO DI QUESTI ABOMINI! PREGA, PREGA PER TE CHE LE MIE VECCHIE OSSA NON REGGANO!»
Vaneggiavo. Le mie minacce erano quelle dei disperati, di coloro che di fronte ad una sconfitta evidente non hanno altra arma che rimbrottii e rammarico.
Noi eravano in cinque, male addestrati, distrutti da una camminata interminabile, da una notte trascorsa a piangere i nostri morti. Loro erano pressappoco sei decine. Niente carne da ferire, nessuna paura della morte.
La consapevolezza della nostra impotenza non faceva che aumentare la mia ira.
Quando provai a slanciarmi contro uno di quei "cosi" sentii il mio fisico cedere sotto l'ingombro di quella corazza che quasi avevo dimenticato di avere indosso.
E li rinvenni alla ragione. Era una ragione oscurata dalla collera, qualcosa di più simile all'istinto che al raziocinio...
Ricordai il perchè indossavo quell'armatura..e pregai.
«In tutti questi anni ho atteso, senza mai dubitare un istante. Ho pregato con pazienza ogni giorno che giungesse il momento promesso. Ho fatto una vita dura, onesta, umile. Sono stato un buon'uomo...Mi hanno portato via tutto. Non mi è rimasto niente eccetto la vendetta...Non tradirmi oggi, non proprio ora che la mia fede vacilla. Dammi un segno. Dammi sostegno. Schiaccia il mio nemico!»
Fu come una cataratta di luce...Lampi violenti fendettero il cielo notturno, piovvero sul campo di battaglia, colpendo i non morti rischiarando la volta celeste come l'alba.
Il mio spirito, la mia fede, il mio coraggio divamparono. «Fatevi avanti! Gli Dei sono con noi! Voi non prevarrete schifosi parti dell'inferno!»
E così dicendo, scagliai il mio maglio in direzione di uno di quegli orripilanti crani scarnificati, avventandomi poi contro un secondo scheletro brandendo la mia mazza ferrata.

CITAZIONE
Fisico: //
Mente: Alterato, visibilmente fuori controllo.
Energie rimanenti:: 70%
Energie utilizzate: Alto(20%), Medio (10%)

Armi ed Armature:

Armatura completa
Scudo Torre
Maglio da Fabbro
Mazza Ferrata

Attive:

«Blocco Magico»
La tecnica ha natura Psionica. Il mago lancia la tecnica dal nemico in un modo a propria scelta (guardandolo negli occhi, indicandolo o toccandolo sono solo alcuni esempi). L'avversario riceve un danno psionico pari ad Alto e si trova immobilizzato al proprio posto o grandemente rallentato nei movimenti, che diventano incredibilmente difficoltosi. L'effetto della tecnica è istantaneo, anche se nella mente del nemico può durare più a lungo; se castata ad area infliggerà danni medi ad ogni nemico colpito.
Consumo di energia: Alto

«Accolito degli Elementi»
La tecnica ha natura Magica. Al momento dell'acquisto della pergamena l'utente dovrà scegliere l'elemento che decide di utilizzare (fuoco, ghiaccio e elettricità sono solamente degli esempi dato che è possibile scegliere qualsiasi tipologia di elemento). La tecnica infliggerà quindi un danno pari a Medio all'avversario, compatibile con l'elemento scelto. La manifestazione scelta può essere di volta in volta personalizzata (raggi, sfere, getti o altro) ma i suoi effetti devono essere comunque dipendenti dal consumo impiegato; se utilizzata ad area, la tecnica causerà danno basso ad ogni nemico colpito.
Consumo di energia: Medio


Passive:

[ Pergamena Discendenza Arcana+ Passiva Razziale ]



Riassunto Casto due tecniche "ad area" rispettivamente Accolito degli Elementi (elemento fulmine, reinterpretato come una sorta di intervento divino) e Blocco Magico (reinterpretato come "urlo di battaglia")
Note:Per ora mi limito a castare le mie due tecniche ad area e a lanciare il mio maglio da fabbro contro uno degli scheletri ( l'atto di buttarmi nella mischia è a scopo puramente descrittivo ed è un preludio ad azioni future). Dopotutto sono un caster con un solo CS in Intelligenza. In un combattimento corpo a corpo sarei inutile. Se necessario, in ogni caso, mi riservo azioni ulteriori in turni successivi.


 
Top
Ydins
view post Posted on 6/3/2014, 18:51




Leoni Rossi - Primi ostacoli.



Dopo essersi offerta di aiutare Lamrael per ammazzare il mostro Daries tornò a casa e fece l'unica cosa che avrebbe dovuto fare in quel momento. Riempì il secchio che si trovava nello scompartimento inferiore della credenza ed andò al fiume per riempirlo d'acqua. Quando tornò nel soggiorno afferrò uno straccio ed iniziò a passarlo sul pavimento. Non poteva lasciare la casa dei suoi genitori sporca di sangue materno. Quel panno si tinse velocemente di rosso, ma più passava le mani su quelle assi di legno, più il sangue sembrava attaccarsi e si rifiutava di sparire. La ventenne continuò fino a quando non ebbe più forza nelle braccia e si rialzò, come in preda ad una terribile atarassia Si sedette sulla sedia che era abituata ad occupare durante i pranzi, molte immagini passarono nella sua mente, ma la più forte era quella della sera precedente, sua mamma stava preparando il pollo del signor Tristell. Con le lacrime al volto per via dell'enorme tristezza dovette desistere dal proposito di rimuovere il sangue dal soggiorno, era tardi e doveva unirsi agli altri per prendere le proprie armi dal fabbro.

La gente fu molto generosa. Ricevette viveri che sarebbero bastati per giorni, ma era chiaro, anzi, cristallino che la popolazione non si aspettava che il gruppo non sarebbe tornato. In effetti avevano ragione, la stessa Daries che vantava un lavoro presso la guardia cittadina non poteva certo affermare di aver partecipato a grandi scontri. Il massimo del rischio che quell'impiego le offriva era dover correre dietro ad un ruba galline di dodici anni con un coltello da due dita di lunghezza.

Da Shaian vide diverse armi contenute in diversi barili e contenitori affini, insomma, non mancava l'imbarazzo della scelta. Le toccava, erano tutte fredde al tatto, ma di certo non si poteva aspettare il calore di un gattino di due mesi da un'ascia. Alla fine decise di optare per una combinazione tanto antica, quanto efficace. Appoggiato a terra vide uno scudo dal diametro di circa trenta centimetri, lo sollevò e soppesò, sembrava robusto ed il peso non era eccessivo, avrebbe potuto usarlo in battaglia senza esservi troppo affaticata. C'erano delle cinghie di cuoio che permettevano di fissarlo al braccio in modo da permettere alla mano una certa libertà di movimento, utile per afferrare le biglie di ordinanza, degli oggettini piuttosto utili che venivano dati in dotazione alle guardie cittadine, l'ideale per catturare i malviventi senza dover ricorrere alla forza letale.

Dopo la protezione, la seconda scelta ricadde su un'accetta, era abbastanza lunga da poter raggiungere il suo ginocchio se appoggiata a terra, e questo le garantiva un certo vantaggio negli scontri. L'impugnatura era in legno, ma sembrava robusto ed in più si adattava molto bene alla presa, la donna la considerò perfetta se usata in combinazione con lo scudo. Infine scelse per ultimo un guanto d'arme, le forniva una protezione adeguata per la mano destra, quella che avrebbe impugnato l'ascia; c'era perfino un sottile strato di pelle per evitare di ferirsi durante i movimenti.

Si, direi che così può andar bene.



Disse malinconica. Per evitare ingombri legò lo scudo allo zaino, tenne il guanto in modo da farsi l'abitudine in fretta e l'ascia venne assicurata alla cintura, in modo da non intralciare troppo durante il combattimento.

Lanciò un ultimo sguardo in direzione della casa dove aveva vissuto tutta la vita, purtroppo l'abitazione degli Higgins bloccava la vista, ma si accontentò del pensiero per evitare di rallentare troppo gli altri.

[…]



Camminarono per quante ore? Daries non lo sapeva dire, il paesaggio inoltre non rendeva il viaggio più piacevole e la compagnia... beh, non si poteva pretendere molto da un gruppo che aveva visto i propri cari morire poche ore prima. Finalmente il sole iniziò a tramontare, rendendo quell'aria calda ed irrespirabile un po' più fresca, permettendo alla guardia di inspirare con più facilità. In quintetto si addentrò in una foresta spoglia, ma dai rami sufficientemente abbondanti da impedendo agli occhi di poter scorgere le stelle. Il freddo nel deserto era una cosa comune, ma quella sensazione di gelo non era naturale, era stata troppo veloce e la nebbia che si alzò con una velocità sorprendente non fece altro se non confermare quella teoria. Stava succedendo qualcosa, ed i protagonisti di quell'originale benvenuto erano loro. Del sudore freddo iniziò a solcare la fronte dell'ultima Rieella, aveva paura, ma non aveva la forza di dirlo.

Orde di cadaveri ed una voce occuparono i momenti successivi all'apparizione del fenomeno naturale, ma la voce e l'apparenza del burattinaio erano fin troppo conosciute. Era Angus, il vecchio pazzo.

Facciamo quadrato, dobbiamo liberarci degli scheletri!

Gridò la donna mentre con la sinistra afferrava lo scudo, per poi sistemarselo tanto rapidamente da farle male alla pelle. Poi con un gesto secco liberò l'accetta dalla cintura e la impugnò saldamente con la mano. Doveva difendere la sua vita e quella dei suoi compagni. Si sarebbe impegnata ad eliminare ciò che aveva di fronte perché sapeva che in qualche modo la sua schiena sarebbe stata protetta dai compagni.

Era la sua prima battaglia, ma conosceva le basi del combattimento, era stato un prerequisito per poter entrare a far parte della guardia cittadina, il solo problema era che non aveva mai combattuto contro tanti avversari allo stesso tempo.

Il primo scheletro provò a colpire Daries con un fendente eseguito dall'alto verso il basso, ma la guardia era pronta, pose lo scudo a difesa del suo corpo, che bloccò interamente il colpo senza provocarle danni. Con un secco colpo di accette provò a mozzare il braccio che impugnava la spada, seguito da un calcio a dove doveva trovarsi lo sterno, sperava con tutte le sue forze che il non morto non avesse la forza di opporsi a quei due colpi, oppure sarebbero stati davvero nei guai.

Nel frattempo ne arrivarono altri due, sembravano essere tutto tranne che amichevoli, entrambi presero l'iniziativa cercando di colpire la donna con due affondi, il primo, effettuato con una lancia venne parato dall'egida, mentre il secondo trovò la carne della guardia, ferendola al braccio sinistro, pochi centimetri sotto la spalla. Prima che l'improvvisata guerriera potesse provare a contrattaccare identificò la voce del fabbro. Sembrava davvero alterato, in quel momento non voleva neppure provare calmarlo perché più o meno era come si stava sentendo in quel momento. In qualche modo caddero fulmini a terra, che la ignorarono, nonostante indossasse abbastanza ferro da poter funzionare da parafulmine. Non sapeva se la furia degli elementi fosse dalla sua parte, ma decise di approfittarne. Lanciò a terra una biglia dissonante, ma prima avvisò i suoi compagni.

TAPPATEVI LE ORECCHIE, ALTRIMENTI SARANNO DOLORI!



La biglia si fracassò a terra e sperò con tutto il suo cuore che quella schiera di morti che camminavano avessero ancora le orecchie ed un cervello per poter rimanere storditi. Poi raccolse due pietre da terra con la mano destra libera e le scagliò una alla volta in direzione della testa dei due nemici che l'avevano attaccata prima con la speranza di farli definitivamente fuori.

CITAZIONE
Energia residua: 90%
Fisico: Ferita di entità bassa al braccio sinistro.
Psiche: Intatta.
Stato d'animo: Triste.
Armi usate: Scudo, accetta e biglia dissonante x1.
Azioni:

1) Scheletro prova a colpire Daries con un colpo dall'alto verso il basso di spada, viene bloccato dallo scudo.
2) Daries replica cercando di mettere a segno un colpo di accetta al braccio che impugna la spada ed un altro allo sterno tramite un calcio.
3) Ne arrivano altri due, che provano a colpire la donna con un doppio affondo, uno sferrato da una lancia, mentre l'altro eseguito con uno stocco. Il primo viene
parato sempre con lo scudo, mentre l'altro provoca una ferita al braccio sinistro.
3) La guardia cittadina avvisa il gruppo di tapparsi le orecchie prima di poter lanciare a terra una biglia dissonante.
4) Poi raccoglie da terra due pietre e le scaglia in direzione degli scheletri con la speranza di farli fuori (uso dell'abilità personale "lancio dell'ascia" x2)


Abilità usate:

Lancio dell'ascia :. La tecnica ha natura fisica. Il caster diviene in grado di compiere scatti molto rapidi, al fine di difendersi da attacchi del proprio avversario. La tecnica, a scelta, permette di compiere o un singolo scatto, oppure due brevi scatti; in ogni caso, il potenziale difensivo della tecnica rimane, nel complesso, pari ad alto, ed ogni abuso di tale circostanza potrà essere punito come "antisportivo". La tecnica non è da considerarsi un power-up, bensì un effetto fisico a scopo difensivo. Può essere personalizzata con effetti particolari legati alle gambe del caster, o trasformazioni specifiche che giustifichino i salti o le capacità così come descritte, benché l'effetto non si discosti da questo. Non è un teletrasporto, ma uno spostamento molto rapido.

Abilità personale - Consumo di energia: Basso.



Biglia dissonante :. Il più grande problema di Ydins è quello di non riuscire a combattere a distanza. Non è abile nella magia, anzi, è praticamente incapace nei suoi utilizzi e per questo motivo deve ricorrere ad altri stratagemmi per avere la meglio in battaglia. Creare un'occasione per poter portare a segno un colpo decisivo è fondamentale in battaglia, così il nano ha deciso di fare uso di oggetti la cui funzione sia quella di creare il diversivo necessario per poter vincere. Uno di questi oggetti è la biglia dissonante. Quando rotto l'involucro di vetro a forma sferica; si genererà uno stridio fortissimo che si propagherà in tutte le direzioni. Le vittime di questo gingillo che non saranno in grado di difendersi saranno costrette ad affrontare un senso di disorientamento, dolore ai timpani e tempie oltre ad un forte stordimento. Ydins possiede questo oggetto in dose doppia. (Daries ne usa una in questo post)
 
Top
Masterbpi
view post Posted on 6/3/2014, 21:45






CITAZIONE
Narrato
"parlato Zanroar"
"pensato Zanroar"



Pochi furono coloro che si levarono di fronte alla prospettiva di partire verso l’ignoto, pochi e senza speranza. Lo sapevo eppure non avevo nessuna intenzione di abbandonare l’intento o fuggire, la rabbia che mi aveva preso, insieme al dolore per le perdite subite, aveva fatto scattare dentro di me qualcosa, come una sorta di consapevolezza inconscia alla quale non avrei potuto dare una spiegazione.

Dentro di me infatti prese piede l’idea che noi sei, decisi fra tutti gli altri del villaggio a partire, in fin dei conti eravamo anche gli unici ad avere una benché minima speranza di sopravvivere ad un viaggio che si preannunciava lungo e faticoso, per non parlare poi del pericolo che avremmo corso nell’incontrare l’oggetto della nostra vendetta, gli unici a poter sopravvivere abbastanza da raggiungerlo per lo meno. Questo pensiero mi accompagnò per tutta la strada che ci separava dalla fucina di Shaian, fabbro conosciuto da tutti, che aveva messo a disposizione le armi frutto del suo lavoro per noi che avevamo scelto di partire: possibile che fosse un caso? Che noi, proprio noi sei avessimo avuto una tale fortuna che invece era mancata a tutti gli altri uomini e ragazzi del villaggio? Tutti quelli che avrebbero potuto combattere erano stati uccisi e noi no, doveva esserci qualcosa sotto.

A causa di questo pensiero mi accorsi di esser giunto alla bottega solamente quando gli altri vi entrarono per scegliere le loro armi, distratto com’ero non ricordavo di aver percorso la strada e dovevo essermi fatto guidare dalla mandria di gente che ci seguiva dandoci già per morti come un corteo funebre. Entrai nella fucina per disfarmi di quegli sguardi iettatori: sapevo che la morte era un’opzione più che probabile, ma non serviva certo ricordarlo ogni secondo, come potevano non capirlo gli altri presenti?. Mio padre avrebbe capito.. già, mio padre.

Scacciai con forza quel pensiero schiaffeggiandomi la faccia non molto forte a dire il vero ma funzionò, per distrarmi portai l’attenzione sul contenuto della fucina, cercando di scegliere le armi più adatte a me sperando che ve ne fossero, cosa di cui inizialmente dubitai. Il laboratorio del fabbro, una grande stanza con un imponente focolare spento al centro affiancato da un mantice e un paio di incudini ai lati, straripava di grandi spade e armi enormi, adatte più a guerrieri bruti come mio padre che a gente come me, decisa a combattere d’astuzia più che di forza: spade a due mani dalla grezza impugnatura, asce bipenni con le lame nere e l’impugnatura in cuoio, spade lunghe di ogni fattura e forma, niente che andasse bene per me fino a quel momento.

Sconsolato feci un altro giro per le rastrelliere disseminate in ogni dove la dentro, cercando bene in ogni anfratto, baule o forziere che riuscivo a vedere, quando infine le trovai. Doveva essere un set composto appositamente per qualcuno con uno stile di combattimento dannatamente simile al mio, ma erano molto impolverate e non riuscii in un primo momento ad accorgermi della particolarità di quelle armi. Il destino ancora una volta giocava dei tiri mancini.

Sotto una leggera coltre di sabbia e polvere spiccavano due lame corte e ricurve, volutamente opache grazie alla certosina operazione di sabbiatura che il fabbro aveva eseguito a regola d’arte, di due dimensioni diverse pur se entrambe non assimilabili ad una spada lunga, l’impugnatura sottile e metallica sembrava seguire la curva e gettarsi poi improvvisamente dalla parte opposta divenendone così la naturale continuazione; presi in mano una delle due armi, la più lunga, ed una consistente quantità di pulviscolo si alzò da essa pur non lasciandola completamente pulita, ma quando la brandii impugnandola con la mano forte, la destra, questa sembrò adattarsi perfettamente ad essa ed al mio stile di combattimento leggera e dinamica com’era. Una leggera gemma turchese riempiva il pomolo di quella lama.

Osservai il resto dell’attrezzatura vedendo che restavano ancora una spada più corta, simile a una Daga, ed un set di coltelli dalla lama piatta e larga che decisi di osservare in seguito, mentre passavo il dito sul piatto dell’arma che impugnavo. Ad un certo punto avvertii un’irregolarità nella lama simile a una spaccatura e rimasi leggermente deluso: come poteva l’unica arma che sembrava perfetta per me essere rotta? Ero destinato ad una volgare spada lunga o un’ascia di stile nanico? Decisi di esaminare a fondo la spaccatura per valutarne il danno e rimasi paralizzato da ciò che vi trovai.
Analizzando attentamente la scanalatura scoprii che era troppo sottile per essere un difetto di fabbricazione, e troppo precisa, un’incisione forse oppure un disegno sulla lama avrebbe spiegato il tutto, soffiai per ripulire la polvere e sgranai gli occhi, quello era un simbolo.

IL simbolo.

Il Mio Simbolo.

ZS.

Mi mancò il respiro e dovetti appoggiarmi un attimo al bancone per evitare di cadere a terra, colpito dalla consapevolezza che questa volta il mio destino non poteva essere solo frutto del caso, c’era un disegno più grande in tutto questo, qualcosa che prevedeva anche la mia presenza. D’un tratto ricordai tutto: due spade, una delle dimensioni di una spada corta, con la lama lievemente ricurva e l’impugnatura sottile, metallica senza nessuna guardia così da poter invertire la presa in qualsiasi momento con una gemma o una pietra alla fine per equilibrare il peso, l’altra più corta come una daga, con le stesse caratteristiche dell’altra ridotte alle giuste dimensioni ma senza la gemma, inoltre un set di piccoli coltelli dalla lama piatta e larga in stile foglia da poter lanciare, con impugnatura sottile e pesante abbastanza da favorire il volo rettilineo con la punta verso il nemico ed eseguire meno rotazioni possibile.

Una singola, solitaria lacrima scese dal mio azzurro occhio destro mentre realizzavo che quello doveva essere il regalo da parte di mio padre per la fine del mio addestramento, delle armi che aveva fatto forgiare appositamente per me, adatte al mio stile di combattimento proprio perché costruite secondo le mie istruzioni che lui, il Capitano, doveva aver commissionato in gran segreto e vi aveva fatto imprimere il marchio di famiglia con le iniziali del nome e del cognome del proprietario con quel carattere così particolare, sinuoso come un serpente.

Osservai le tre cinture di cuoio appese ad un gancio li vicino e le indossai, una alla vita e due incrociate sul petto passando dalle spalle e agganciate a due fibbie poste sulla cintura ai fianchi, costruite appositamente per poter portare i venti coltelli da lancio di cui cinque davanti, cinque dietro e dieci attorno alla vita, più la spada corta a sinistra e la daga a destra.

“Grazie padre..”

Avrei potuto giurare di aver visto illuminarsi la gemma sulla spada in quel momento.


Ci incamminammo nelle brulle lande desolate dell’Akerat, una compagnia di sei individui distrutti dalla vita e in collera con essa, pronti a vendicarsi e vendicare un’intera città, pronti a morire per i loro cari massacrati diretti verso l’ignoto. Durante tutto il viaggio non vi furono discorsi lunghi, è anzi il caso di dire che non vi furono proprio scambi di parole causa il caldo e la fatica che il paesaggio sembrava riversare su di noi come monito a desistere dalla nostra crociata. Inutile dire che tutto questo non ci scalfì minimamente.

Guidati dai sentimenti violenti e dolorosi scaturiti dagli eventi della notte scorsa, alla cui origine casuale non credevo più da molto tempo ormai, abbandonammo infine i paesaggi monotoni e angoscianti delle pianure e ci addentrammo in un intrigo di rovi e alberi così spogli e secchi da dubitare della loro stessa vitalità, pensai infatti che più che una foresta quella che stavamo attraversando fosse una scultura o una creazione artificiale realizzata da un esperto artigiano. Non un animale, non una sola foglia morta o viva apparivano sugli alberi o a terra, niente acqua né cenno di vita alcuna, solamente il gruppo dei viandanti, noi, che continuammo imperterriti ad avanzare.

Non aprii bocca, continuando a tenere le mani poggiate cautamente sulle due else ai miei fianchi e chiedendomi se anche gli altri stessero notando le stranezze di quel posto oppure solo io mi preoccupassi, ma non riuscii a capirlo in nessun modo dai miei compagni coi quali non avevo più neanche scambi di gesti o di occhiate, nemmeno quelle astiose di Lamrael che ogni tanto mi lanciava incolpandomi di chissà che cosa. In ogni caso era strano, quel posto. Abbassai lo sguardo cercando forme di vita di taglia piccola o minuscola per lo meno sul suolo di quel sentiero poco battuto e mal tenuto, vermi insetti o qualsiasi cosa possa essere considerata viva, eppure non ne trovai. Giurai a me stesso di aver sentito il frullare d’ali di un qualche tipo di uccello ma quando alzai svogliatamente lo sguardo non notai alcun movimento. Decisi di abbandonare la ricerca ma proprio in quel momento una densa nebbia apparve dal suolo come per magia, portatrice di sventure.

Una folata di gelido vento spazzò i rami secchi della foresta non intaccando minimamente la densità e l’ingombrante presenza di quella coltre bianca che mi impediva la vista rischiando pericolosamente di farci perdere la strada e del tempo prezioso, ma gelò il sangue nelle mie vene istantaneamente. Cercai con l’udito i compagni, riuscivo in qualche modo a distinguerne le sagome anche se con grande difficoltà e mi resi conto che eravamo ancora tutti insieme fermi, senza che nessuno osasse muoversi, mentre qualcuno prima di me vide ciò che stava accadendo.

Scheletri morti che si issavano sul loro corpo morto e brandivano vecchie armi arrugginite stavano via via riempiendo la radura in cui ci trovavamo, alcuni integri anche se un po’ ammaccati, altri a cui mancavano parecchie costole, eppure tutti parevano essere li per noi, pronti ad assaltarci. Guardando nelle profondità delle loro cavità oculari vuote da secoli mi persi per un attimo nell’oscurità che esse ospitavano, carica di malvagità e magia; quando mi ripresi poco dopo estrassi le mie due armi, spaventato come se potessi perdermi in quel vuoto per sempre, incapace di reagire.

E in mezzo a tutta questa morte c’era qualcuno, una sagoma che spuntava tra le fila degli scheletri immobile e in attesa, qualcuno che non si stava nascondendo, non più, e si era manifestato per attaccarci. Rimasi paralizzato quando Lamrael lo riconobbe come Angus, il vecchio che ad Arcae aveva affermato di conoscere chi fosse l’autore della strrage, e che adesso si era rivelato lui stesso il colpevole. Con ira cercai parole, parole per descrivere i sentimenti che si erano risvegliati in me a questa nuova scoperta, parole per offendere colui che mi aveva privato della mia famiglia, per torturare chi aveva distrutto la mia vita e la mia promessa sposa, parole per uccidere un demone crudele che non avrebbe dovuto più compiere gesti simili in nessun altro villaggio, città o metropoli del continente.
Non appena Angus si rivelò urla e imprecazioni partirono un po’ da ognuno di noi, il fabbro decise infine di pregare la sua divinità, invocando un segno che in effetti arrivò manifestandosi come un fulmine che si spanse fra la moltitudine di ossa di fronte a noi. Inquieto abbassai lo sguardo e mi tappai le orecchie quando sentii Daries urlare l’ordine e scagliare una piccola sfera che riconobbi come quelle d’ordinanza della guardia, dopodiché gli eventi in quella foresta divennero caotici. Isolato dal mondo, in quel momento non vedevo più niente, la memoria era tornata alla notte precedente.

A mia madre, che avevo trovato in una pozza di sangue, divorata dalla fame insaziabile di un’ombra assassina, che mi era stata portata via dal destino, anzi no da un demone malvagio, per uno scopo insignificante..

“perché l’hai fatto?”

A mio fratello, trafitto da un artiglio solo per il fatto di essersi trovato in camera di mio padre ubriaco, il mio fratellino che avrei dovuto proteggere e difendere da ogni male e che adesso non viveva più.

“perché l’hai fatto, Angus?”

A mio padre che era morto con il collo spezzato, scagliato con forza bruta contro il muro, e contro di me, e quindi divorato anch’egli come un qualunque animale braccato da un cacciatore.

“perché..?”

Immaginai di trafiggere il corpo del vecchio con le spade che proprio mio padre aveva fatto forgiare per me, il segno di affetto più grande che avessi mai ricevuto da lui e per il quale non avrei mai potuto ringraziarlo di persona e tutto per colpa di Angus, ma non era abbastanza.

“perché?.. perché?”

Immaginai quindi di legarlo in uno scantinato buoi, illuminato soltanto da una piccola grata due metri più in alto di qualsiasi altra cosa si trovasse la dentro, in mezzo al letame e ai topi che gli avrebbero divorato lentamente le gambe, pensai o addirittura desiderai di recidergli ogni tendine, muscolo e organo potessi raggiungere con le mie armi e sentirlo urlare di dolore e supplicare la morte, allora si che sarebbe stato abbastanza.

“perché?.. perché?..”

Un lieve bagliore scaturito dal piccolo zaffiro incastonato nel pomolo della mia spada mi riportò a cosa stava accadendo realmente in quella foresta, dove il fulmine ancora impazzava e Angus stava li di fronte a noi carico di malvagità e pronto a ucciderci tutti, eppure non dimenticai la visione che avevo avuto pochi istanti prima. Sentii in quel momento una strana forza montare dentro di me come un vulcano in eruzione, sentii che proveniva dal mio braccio destro, intuendo che la luminescenza della pietra c’entrasse qualcosa, cosa che fece acuire ancor di più la rabbia che era in me e che rapidamente si trasformò in odio e in collera.

Quando sentii di non poter più reprimere tutto questo presi un grande respiro e riversai tutta la cattiveria che possedevo nella visione di tortura che avevo, cacciandola dalla mia mente e sparandola con grande violenza addosso all’oggetto delle mie fantasie omicide. Quasi non mi accorsi di stare gridando e lo capii solo quando ormai la luminescenza della spada, così come la mia rabbia esplosiva andarono scemando.

“PERCHE’?”

Con il fiatone a causa del mio sfogo adesso stavo cercando di capire cosa mi era successo e, mentre una creatura colossale che avrei pensato di vedere solamente nei libri di leggende antiche appariva accanto a noi, mi sentivo diverso. Pensando che tutto era iniziato dalla spada donatami da mio padre provai un sentimento a metà fra l’impotenza e lo stupore, non capii cosa avessi fatto o cosa fosse scaturito dalla pietra incastonata nella spada che stavo portando, immaginai che lo spirito della mia famiglia fosse racchiuso la dentro e mi fosse venuto in aiuto dopo la morte, ma non ebbi modo di ragionare meglio in questo senso per via degli eventi che infuriavano attorno a me, riportandomi alla realtà.

Decisi di avventarmi sullo scheletro più vicino, puntare con la Daga la mano che impugnava l’arma e provare a mozzargliela, quindi con un fendente da sinistra a destra provare a staccare il teschio dal resto delle ossa. Non ne avrei lasciato nessuno in piedi.










Capacità Straordinarie: 1 (Ingegno)
Energia:Gialla100-20=80%
Equipaggiamento:Spada corta:impugnata (mano destra)i; Daga: impugnata(mano sinistra); coltelli da lancio: nelle fondine 20/20.
Consumi: 20%
Basso=5%; Medio=10%; Alto=20%; Critico=40%

Pericolosità:G
Danni subiti:Fisico: Illeso Psicologico: illeso(scosso, adirato)
Diritto fisso[Passive in uso]:Grande grossa e..
L’esperienza insegna: le apparenze ingannano. Così come non si giudica un libro dalla copertina, negli anni di lavoro ho imparato a non giudicare mai un lavoro dall’esterno, una cassaforte all’apparenza impenetrabile potrebbe essere la preda più facile di questo mondo, come potrebbe essere vero il contrario. Così affinando le sensazioni, e studiando i vari modelli, lentamente ho creato uno schema che raramente mi conduce a giudicare le cose per quello che non sono, aiutato dall’udito allenato e dall’inventiva che recentemente ho scoperto in me posso svelare l’inganno.
[abilità razziale del mezz’elfo: uno dei cinque sensi più sviluppato del normale (udito), passiva energia Bianca del Talento Stratega (riconoscere le illusioni senza tuttavia disfarle), CS donata dal dominio assegnata all'Ingegno]
Materiale utilizzato[Abilità e Pergamene utilizzate]:

Pergamena “Torturare la mente”. Natura psionica, potenza Alta, consumo Alto: lanciando un’onda psichica utilizzando il potere del cristallo nel pomolo della spada il caster provoca una visione nel suo avversario, che se non difesa adeguatamente reagirà danneggiandosi di un medio alla mente e di un medio anche al corpo con ferite auto inflitte

Operazioni svolte [Descrizione post]:Per quanto riguarda la fase di combattimento Zanroar travolto dalle emozioni immagina le torture che infliggerebbe a Angus quindi glie le riversa addosso sotto forma di attacco psionico, che lancia quasi inconsapevolmente del tutto accecato dall'ira, quindi si lancia all'assalto di uno scheletro provando a decapitarlo e a tagliargli la mano armata.
 
Top
Endymyon
view post Posted on 7/3/2014, 00:09




Leoni Rossi


Il grigio paesaggio ora sembrava ancora più avverso di quanto non lo fosse prima. Gli alberi intricati fra di loro coprirono il cielo con la loro oscurità, tanto che dovettero accendere le torce. Già, le torce, ma dove aveva messo la sua? Frugò in una tasca, poi ne rivoltò un'altra, e alla terza finalmente trovò lo stoppino e l'acciarino. Anche lui si unì dunque ad alimentare con la luce quella maledetta ombra.

~~

Ancora una volta osservò i guanti che indossava e strinse la mano destra attorno alla torcia. Era diverso da ciò che di solito provava, come del resto anche camminare gli sembrava diverso. Alla bottega del fabbro aveva scelto troppe cose e senza pensarci molto, ma voleva essere sicuro di non morire alla prima occasione. Prese un corpetto nero con alcune rifiniture verdi, un bel giubbotto che non si sarebbe mai potuto permettere nella sua intera vita, molto probabilmente, ma ora, ora poteva finalmente provarne uno e dire che fosse suo. I frivoli pensieri lo abbandonarono poi in un attimo, se lo poteva permettere solo dopo che il sangue di tutta la città si era riversato a terra. Assieme al giubbotto rinforzato prese anche due guanti marroni e due stivali del medesimo colore. Erano studiati appositamente per mimetizzarsi, ma chissà dove sarebbe andato e che luoghi avrebbe visto. Appunto epr quello l'armatura, sebbene un po' insolita, era ottima secondo lui, parecchie tasche, ci poteva mettere qualsiasi cosa di utile, senza doversi portare chissà che borsone appresso.
I suoi occhi poi andarono a Lamrael, che aveva preso un grosso spadone, e muovendolo senza grandi problemi, aveva reso Paneak un poco geloso. Erano entrambi contadini, ma lui era gracile, a differenza di tutti gli altri, era magro, quasi come se non lavorasse anche lui i campi con la zappa. Provò anche lui a prendere uno spadone, ma non riuscendo a tenerlo alzato per più di qualche secondo lo ripose al suo posto e andò a vedere le altre armi. Con sé aveva già portato il suo arco, per essere più sicuro, e tra le frecce ne aveva prese solo cinque con la punta verticale. Altresì aveva deciso di portare con sé molte a punta orizzontale, giusto per essere sicuro che i suoi dardi si conficcassero meglio tra le costole e arrivassero più in profondità. Era una piccola lezione che aveva appreso da qualche parte che neppure lui ricordava, ma sapeva che la persona dalla quale aveva appreso l'utilizzo delle diverse frecce fosse esperta. Frecce con punta verticale per gli animali, così si sarebbero conficcate bene tra le costole, andando a ferire più in profondità, e la stessa cosa valeva per quelle con la freccia orizzontale, che nella cassa toracica umana entravano meglio. In fondo la differenza tra gli uomini e gli animali era anche la postura, gli uni stavano su due zampe, gli altri su tutte e quattro le zampe.
Passò vicino alle spade crociate e a quelle bastarde, ma non si sentì di prenderle nemmeno in mano. Erano ridicolmente troppo pesanti per lui, che al massimo poteva svignarsela in battaglia. Con amarezza aveva subito capito che la forza non era ciò che lo avrebbe fatto vincere, così si avvicinò verso i coltelli. Ne prese vari tra le mani, finché, quasi a caso, non trovò quello che sentì gli si addicesse. La lama ricurva e l'impugnatura con la testa di un rapace lo rassicurava quasi sul valore effettivo della lama. Come se l'uccello fosse il patrono dell'arma, la lama si era dimostrata leggera, e le sue mani erano veloci mentre la maneggiava. Poteva però andare in giro solo con arco e pugnale? Era vero che se andava a caccia quello era il necessario per le grosse prede, ma questa non era solo una caccia. Quosto sarebbe stato un massacro vero e proprio della creatura, il coltello non sarebbe mai arrivato in profondità. Decise allora di prendere una piccola spada, una delle poche che avesse anche una guardia e il cui pomolo, simile ad un artiglio ricurvo, potesse essere usato per reggerla a due mani, se la forza di una sola non fosse stata abbastanza.

«Se non ti dispiace, signor fabbro, prendo queste, sono le uniche che riesco ad usare meglio.» disse, quasi scusandosi di essere tanto esile da non poter brandire altre armi.

Infine se ne andarono abbandonando il villaggio. Come il padre di Lamrael aveva dato il suo consenso, Paneak sapeva che anche il suo vecchio avrebbe approvato nonostante la madre sarebbe stata contraria per qualche motivo. Il ricordo dei genitori infiammò ancora una volta il suo cuore, e con le provviste che il villaggio gli aveva fornito, ora marciava con sicurezza assieme al gruppo.
La comodità delle scarpe e la protezione dei vestiti però durò poco, anche quelle cose divennero scomode nell'arido deserto dell'Akerat. Ore ininterrotte di camminata sotto quel sole che non smetteva di infierire su di lui, quasi lo volesse cuocere come un pollo. Una volta arrivato sotto quel intricato corridoio di rami aveva quasi gioito, avendo quasi finito l'acqua, ma non poteva di certo dirsi soddisfatto, non sarebbe potuto tornare indietro a casa nemmeno volendolo, ora.

~~~

Tutti i peli gli si rizzarono sotto l'armatura quando un gelido vento sembrò trapassarlo da parte a parte come una spada. La stessa sensazione che lo aveva svegliato quella sera era ritornata. Con uno sguardo veloce capì di non essere l'unico a sentire quel brivido, e di sicuro non era il sudore che si raffreddava. Dalla nebbiolina che si era formata orde di scheletri si alzarono.
Svelto prese l'arco in mano e incoccò una freccia e ne teneva già una di riserva in mano.

Strabuzzò gli occhi mentre Angus si levava tra la nebbia, in mezzo agli scheletri, parlando quasi in modo altezzoso. Cosa ne poteva sapere lui?

«Al diavolo il fato, peggio di ciò che ho già visto non c'è nulla!» dopo aver aspettato che l'effetto della biglia passasse, prese e scagliò la prima freccia contro il cranio dello scheletro più vicino e non aspettò nemmeno una risposta alla domanda di Lamrael per scoccare la seconda freccia verso il bacino dello scheletro più vicino alla sua destra. Tutte quelle ossa deambulanti lo mettevano in soggezione, ma il suo sguardo andò verso il vecchio cialtrone che li aveva mandati. Quasi come se il fu cieco potesse vedere, Paneak gli guardò gli occhi, ma non solo, anche le mani e la figura in toto. Voleva capire perché lo aveva fatto, o se fosse stato sincero nel parlare. Che collegamento, se vi era, c'era tra lui e la bestia?
Quasi sentì la stanchezza che gli recava tutta quella attenzione sul vecchio.

~

Un piccolo ricordo affiorò dal mare di memorie, e venne a galla. Era un giorno di maggio, quando il sole splendeva e assieme ai suoi amici giocava a nascondino. Essendo stato lui bravo a non farsi trovare, esultava vittorioso, ma alcuni ragazzi, forse per invidia o per scherzo, gli dissero di averlo trovato per primo. Paneak non fece altro che puntare i suoi occhi sul gradasso che aveva parlato e, quasi fosse sempre stato lì tra le ombre a guardarlo, capì che non era vero. Non solo aveva scoperto la bugia, ma aveva quasi intravisto il percorso che il ragazzo aveva fatto nel cercare i compagni di giochi. Deluso non disse nulla, sputò la bile amara e disse solo: «Stai mentendo»


CITAZIONE
Stato fisico: Illeso
Stato mentale: Illeso
Energie: 100%- 5%= 95%
CS:

Armi/Armature:
-Coltello
-Sciabola
-Armatura di cuoio
-Arco piccolo 15 munizioni (3 utilizzate)

Passive:


Attive utilizzate:

CITAZIONE
Spiare: Il ladro si insinua nella mente del proprio nemico, venendo a conoscenza di determinate informazioni.
La tecnica ha natura psionica. Per essere castata vi è necessità che l'utilizzatore possa percepire il bersaglio in qualche modo, anche solo visivamente. Dopo aver colpito la vittima con successo, l'utilizzatore della tecnica verrà immediatamente a conoscenza di parte della storia del suo bersaglio, di qualche suo segreto, o delle sue paure e passioni. La tecnica in caso di successo provoca danni bassi alla mente della vittima, fornendo al caster informazioni di sorta sulla vittima, e va affrontata come una psionica di potenza bassa.
Consumo di energia: Basso

Riassunto: Paneak si copre le orecchie e poi scaglia 3 frecce verso 3 scheletri, i più vicini, e usa Spiare. Tale pergamena Viene spiegata come una sua "dote" nel capire i segreti che le persone non dicono. Sebbene sembri molto un modo per intercettare le bugie, il ragazzo inconsciamente scava nella mente delle persone, pur non rendendosene conto.

Note: Ho omesso di specificare i CS e le passive, essendo Paneak un "ragazzo comune" per adesso. Tramite il piccolo racconto finale si possono spiegare sia la passiva del silenzio, sia quella dei mezzodemoni sia l'uso di spiare come "forte empatia" volendo. Detto ciò non me la sono ancora sentita di definire il contadino come qualcos'altro (sebbene elencherò qui sotto ciò che ho omesso prima)
Anche il CS in destrezza si potrebbe spiegare attribuendo al Paneak abilità derivanti da esperienze passate. Non potendo contare sulla forza bruta come gli altri contadini, Paneak potrebbe aver sviluppato modi per muoversi e destreggiarsi nelle varie faccende che richiedano più agilità che forza.

Passive:
-Movimenti silenziosi e non emissione di odori
-Difesa psionica passiva

CS: 1 in Destrezza

Ultima nota: Non ho aggiunto la passiva di immortalità data dal ciondolo di Hiryu (artefatto) poiché il ragazzo non potrebbe possedere l'oggetto (e perché essendo un artefatto viene vincolato alla discrezione del QM il suo possibile utilizzo in role)


P.S. Affinché non venga contata come qualche errore (ce ne sono di sicuro altri nel mio testo!) la frase che Paneak rivolge al fabbro è appositamente strutturata con un "tu" e poi "signore", e ciò indica che il ragazzo non ha avuto una scolarizzazione che lo renda "abbastanza colto" dal dare sempre del Lei


 
Top
.Azazel
view post Posted on 7/3/2014, 12:29




I Leoni Rossi
Born from the ashes, Atto II
___ _ ___


~


I tempi del dolore e degli addii erano oramai passati lasciando enormi cicatrici nei cuori delle persone di Arcae. Il corteo silenzioso si diresse verso la fucina del fabbro nella quale ogni volontario poté scegliere ciò che preferiva senza dover pagare una moneta. C'era chi prese un'armatura, chi un'arma o entrambe e poi c'era chi come Lamrael scelse di portarsi appresso quello che assomigliava più ad un dente di drago che a una vera arma. Era talmente grande che pure Seagon dubitò di poterla maneggiare in maniera decente in combattimento: una spada formata da un unico blocco di metallo, talmente grezza e dura alla vista che al sol pensiero di vederla roteare e spaccare ossa in duello avrebbe messo timore a chiunque.

« Prendo questa. »
Definitiva fu la scelta del ragazzo, Tigersoul sperò solo che sapesse usarla adeguatamente altrimenti sarebbero stati guai per lui e per tutti gli altri.
La Vipera delle Sabbie - appellativo datogli dai beduini del deserto durante la marcia verso Tumkali, città d'oro delle Lande del Sole - prese una piccola balestra munita di cinque dardi e tramite un piccolo gancetto la arpionò saldamente alla cintura. Aveva già le Lune Gemelle e la sua armatura in cuoio, non necessitava di rifornimenti ulteriori, l'avrebbero soltanto appesantito e la balestra a una mano era l'unica cosa utile ai suoi occhi.
Quando tutti si sentirono pronti e ben armati, partirono definitivamente verso la meta prefissata: la vendetta.

La camminata fu lunga ed estenuante persino per Seagon che, negli anni passati, considerava quotidiani ritmi di marce come quelli e che quindi riusciva a sopportare tranquillamente senza affaticarsi nemmeno troppo. Ma l'Akerat non perdonava nessuno e il Sole ancora meno e l'unione dei due fattori generava un ambiente assai ostile a molte forme di vita, animali e vegetali, per via della troppa calura generata dal suolo e proveniente dal cielo e che come una morsa attanagliava quei pochi avventurieri che osavano pascolare su quei desolati e aridi territori. Nessuno aveva voglia di parlare, muovere la lingua ed espellere ulteriore aria dai polmoni nel dialogare era soltanto un'inutile perdita di tempo ed energie, tutti erano concentrati sulla marcia e soprattutto speranzosi che le riserve d'acqua che si portavano appresso durassero abbastanza per fare rifornimento.
I raggi solari iniziarono a diminuire d'intensità e produrre meno calore man mano che il sole andava a nascondendosi dietro l'orizzonte e l'aria diveniva sempre più respirabile e piacevole.
Penetrarono in una foresta composta da alberi spogli e desolanti nonostante la primavera: i lunghi e affusolati rami parevano dita scheletriche propense ad artigliare i viaggiatori che si addentravano nella foresta. Ben presto furono obbligati a munirsi di torce per proseguire in quel fitto intreccio tetro ma naturale di alberi e arbusti rinsecchiti. All'improvviso la terra sembrò esalare un soffio di morte mentre della nebbia saliva dal terreno e inglobò interamente la zona rendendo il luogo ancor più tetro di quanto già non fosse prima.

« Che cazzo sta succedendo? »

102tj13

Dal terreno fuoriuscì una legione di scheletri, tutti armati e protetti dalle loro antiche corazze oramai logore ed erose dall'azione del tempo. Quando tutti i servitori non-morti si destarono dal sonno eterno, una figura si stagliò nell'aleggiante bruma.
Non era un demone o una creatura mitica.
Era un uomo, proprio come loro.

« Voi non siete sopravvissuti perché più fortunati rispetto gli altri. Siete sopravvissuti perché nel vostro destino c’è un fato ben peggiore della morte. Verrete risucchiati anche voi dall’oscurità. »
La voce suonava famigliare e Lamrael diede identità a tale suono.
Che fosse veramente Angus?
Seagon non poté crederci e rimase impietrito per diversi istanti, infine riprese il controllo di sé.
Proprio nel momento in cui posò le mani lungo i fianchi, pronto ad estrarre le Lune, giunse un ordine imperativo che suonava vagamente come un forte consiglio.
Tappatevi le orecchie!
Vide una biglia di vetro venir lanciata e istintivamente, prima che questa potesse infrangersi sul terreno, portò entrambi i palmi delle mani sulle orecchie e premette forte socchiudendo gli occhi.
Erano partiti all'attacco.
Terminato l'effetto della biglia guardò l'armata di scheletri farsi avanti lentamente, pronta a travolgerli come una marea che odorava di morte e vecchiume. Era un'arte legata alla magia delle evocazioni, non fu certo difficile intuirlo, anch'egli in passato aveva studiato diversi tipi di magie e ne aveva una in particolare, alquanto utile per quel genere di situazione.
La Vipera delle Sabbie socchiuse gli occhi e allargò le braccia, si chiese se fosse ancora in grado di utilizzare la magia dopo gli anni passati ad Arcae, in pace e lontano dai conflitti, ma a quanto pare il risultato fu soddisfacente e non fu in grado di trattenere un sorriso compiaciuto nel vedere dinanzi a lui stagliarsi alta e imperiosa la figura di un drago dalle scaglie nere come la notte.
La creatura draconica proruppe nel campo di battaglia con un sonoro ruggito e immediatamente si scagliò sull'orda nemica, pronta a devastare con colpi di coda e fiammate di fuoco quel mare di scheletri richiamati alla vita.
Ciò che era morto doveva rimanere tale.
E ben presto quei servitori avvizziti richiamati dall'oltretomba sarebbero andati incontro ad una seconda morte.




Seagon Tigersoul
la Vipera delle Sabbie

CS 4 ~ Destrezza 2 - Intelligenza 2

~ Basso 5% ~ Medio 10% ~ Alto 20% ~ Critico 40% ~

Energia: 100% - 20% = 80%
Status Fisico: Indenne.
Status Psicologico: Indenne.

Equipaggiamento in uso

Lune Gemelle__Inutilizzate.
Balestra__Inutilizzata. [º º º º º]


Abilità in uso

arcanus__L'anima corrotta di Kel, scissa in due tra spada e corpo, ha fatto sì che Neracciaio acquisisse un potere in grado di distinguerla dal resto delle armi comuni: il potere della sua anima racchiusa in questa spada è in grado bruciare e ustionare. L'arma infliggerà danno come il riflesso della propria anima tant'è che oltre al danno fisico arrecherà un danno legato all'elemento Fuoco, non pregiudicherà in alcun modo la regolamentazione sugli attacchi fisici e le Capacità Straordinarie; il danno totale inflitto dagli attacchi fisici non cambierà in alcun modo, ne verrà solo caratterizzata l'entità aggiungendovi proprietà elementali. L’arma, come una creatura viva e senziente, si plasmerà sulla figura del possessore assecondando la sua indole, vettore della sua anima. Da questo momento in poi essa vibrerà di energia propria, liberando una malia psionica di tipo passivo, sottoforma di terrore e paura, che influenzerà chiunque sarà abbastanza vicino da percepirla. Inoltre Kel, raggiunto il 10% delle energie, non sverrà, come invece potrebbe succedere a qualsiasi altro membro di un'altra razza. Ciò però non significa che non sarà stanco raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%.
{Passiva Lvl.1 e 2 Artigiano + Razziale Umana}

tutum iter__La tecnica ha natura magica. L'abilità non ha potenza e concede i propri benefici passivamente, sempre funzionanti nel corso di una giocata. Il personaggio diviene in grado di camminare e reggersi su qualsiasi superficie, sia essa avversa a lui e alla gravità (come una parete o un soffitto), sia essa liquida (acqua, ad esempio) o aeriforme (camminare sull'aria). Non sarà affetto in alcuna maniera da correnti d'aria o sbilanciato da onde nell'acqua, e potrà camminare tanto agilmente nell'aria quanto lo farebbe sulla terraferma, il tutto non alterando in alcuna maniera la sua agilità o la velocità con la quale si muove normalmente - rendendolo di fatto né più veloce né più lento del solito. {Pergamena Sostegno - Ladro}

mysticus__Il prescelto dei guerrieri stregoni di Kolozar Dum è stato dotato inconsapevolmente, da quest'ultimi, del dono della magia, ma non magia comune bensì qualcosa di molto più potente e in grado di far impallidire i migliori maghi esistenti. Poter contare ogniqualvolta su una fonte di potere sempre maggiore rispetto a chi si ha di fronte è una capacità che molti vorrebbero e che Kel possiede dopo essere tornato alla vita. In termini di gioco la tecnica ha natura Magica e avrà sempre effetto. Ogni volta che il proprio avversario utilizza una tecnica di natura magica, per la durata di quel turno Kel guadagna 2 CS in Intelligenza.
{Pergamena Discendenza Arcana - Mago}

Attive Utilizzate

draco__ La tecnica ha natura di Evocazione, consumo Alto. Lo stregone evoca un drago, delle dimensioni massime di un elefante, totalmente asservito a lui, dalle scaglie nere come la notte e profondi occhi rossi, fiammeggianti. La creatura sarà dotato di artigli, zanne e soffio infuocato con cui compiere attacchi fisici e potrà volare. Andrà considerata come un'evocazione di potenza Media e potrà incassare un totale di danno pari ad Medio, prima di scomparire. Se non distrutta resterà sul campo di battaglia per due turni, compresa l'attivazione, se non sconfitto prima. L'evocazione sarà di potenza pari a 4 CS.
{Pergamena Draco - Mago}

Note: come detto in Confronto sono stato molto vago sulle azioni del drago evidenziando solamente il suo lanciarsi in mezzo agli scheletri nel tentativo di colpirne e mandarne al tappeto il maggior numero tra fiammate e colpi fisici.


 
Top
view post Posted on 11/3/2014, 14:34

1L 50GN0 3R3T1C0
········

Group:
Member
Posts:
13,732

Status:




Angus osservò la scena.
Li guardò con i suoi occhi spenti, morti, che apparentemente fissavano il buio, eppure li vedeva benissimo.
Poteva leggere le loro debolezze, poteva vedere la loro paura e il loro timore. Nessun attacco rivolto a lui aveva avuto successo, erano in fin dei conti troppo deboli per lui. Nient’altro che mosche. Lui aveva abbracciato l’oscurità, aveva gettato la sua anima in pasto a forze molto più forti di lui e in cambio aveva ricevuto la speranza, la vista, la forza.

« Perché?! » Rise Angus, visibilmente divertito, « per anni sono stato il vostro zimbello. Apparivo debole ai vostri occhi. »
Li guardò tutti, in tutti loro vide le risa di scherno che per anni gli avevano rivolto.
« Ora guardatemi, sono molto più forte di voi. »

Il braccio scheletrico e debole di Angus si alzò a indicarli, il suo cuore batteva vigoroso, con forza, tutti potevano quasi sentire quel ticchettio frenetico. Li vedeva mentre cercavano di abbattere quegli scheletri che lui stesso aveva richiamato dall’oltretomba, uomini che molti secoli prima erano guerrieri morti in una battaglia campale combattuta proprio in quella foresta.

« Prima o poi diventerete come me, abbraccerete anche voi l’oscurità. »
La sua voce crebbe di un tono, rimbombò tra il legno ormai scheletrico degli alberi.
« Arriverà il momento in cui perderete la speranza, in cui capirete che non è possibile sottrarsi al destino. »
Il suono delle parole assunse un'inflessione profetica, il vento gelido s’alzò nuovamente, attraversando le ossa dei presenti.
« La vostra debolezza diventerà forza, le vostre paure diventeranno il vostro coraggio. »
« Puttanate. »

Lamrael lo interruppe violentemente. Il contadino non credeva nemmeno a una parola detta dal vecchio.
Lui non sarebbe mai diventato un demone, mai avrebbe abbracciato quella forza. Voleva vendetta, ma non si sarebbe mai piegato a tanto.

Lui non era come Angus.

« Tu! » Lo indicò il vecchio, guardandolo sorridendo, « posso vedere il momento in cui diventerai uno di noi. »
« Sarai il più forte tra loro, ti verrà dato un potere talmente grande da realizzare ogni tuo sogno. »

Lamrael scosse la testa, il suo sogno s’era perso con la morte di Alice, nessuno lo avrebbe più riportato in vita. Ora voleva solo vendetta, e unirsi a lui in nessun modo l’avrebbe saziata.

« Non diventerò mai come te, Angus. »

Disse infine, con un pizzico d’orgoglio nella voce.

« Credi che la morte della tua amata sia una coincidenza? AHAHAH
Era tutto già programmato, ogni tassello andrà l e n t a m e n t e al proprio posto. Lei non era null’altro che una costrizione per ciò che sei destinato a diventare.
»

Lo disse con strana calma, come se per lui fosse tutto normale, poi il suo sguardo trovò una nuova preda.

« Invece tu Zanroar, Alice non ti amava, né ti avrebbe mai amato. » Guardò il guerriero, la speranza di Arcae, futuro luminoso del Sud. Null'altro che un debole, un farlocco. « Lei amava Lamrael, nessuno osava parlare ma tutti sapevano, compreso tu. »

Rise ancora, come se si stesse divertendo a manovrare le loro vite, si sentiva un po’ come un’abile burattinaio che li manovrava attraverso dei fili invisibili.

« E sai perché non ti amava? »
Sospirò, prendendo un attimo di teatrale e angosciosa pausa. Come a voler far intendere già il finale della frase. Un attimo d’attesa prima che il macigno della consapevolezza s’abbattesse su Zanroar.
« Perché tu sei come me. »


« BASTA! »

Tuonò Lamrael sguainando la spada. Senza pensarci ancora il contadino partì in una carica furiosa, rabbiosa. La spada a due mani era trascinata a pochi centimetri dal terreno, come se fosse un peso morto. Oltrepassò le orde di scheletri, evitò quei guerrieri d’ossa. Era la prima volta che Lamrael attaccava qualcuno, la prima volta che si lasciò dominare dall’ira. La sua mente s’offuscò, ma qualcosa nel suo corpo brillò come una scintilla. Improvvisamente si sentì più forte, molto più forte di prima, come se qualcosa dentro di lui si risvegliasse, un potere arcano, nascosto, forse oscuro. Come se fosse nato per essere un guerriero, d’un tratto la spada divenne familiare, prosecuzione naturale del suo braccio. Non si sentì più un contadino, anche se quella sensazione gli diede terribilmente fastidio.
Si stava abbandonando all’ebrezza del sangue.

Guardò Angus, lo vide sogghignare sotto le rughe di quella pelle decrepita e cadente, vide nei suo occhi un lampo di luce malefica.

« Verrai corroso dal richiamo della vendetta, Lamrael. »

La spada grezza affondò nel corpo del vecchio, eppure non incontrò la resistenza della carne, scivolò dentro come se fosse inconsistente, come se avesse colpito nient’altro che aria. Lo guardò sorridere per un un’ultima volta e, quell’espressione dipinta sul suo volto, gli rimase impressa scolpita nella mente. Promise a se stesso che gliel’avrebbe scarnificata via dal volto una volta per tutte. Lentamente l’immagine di Angus scomparì come una nebbia che d’improvviso si dirada. Intorno a Lamrael soltanto scheletri. Il suo grido di rabbia rimbombò per tutta la foresta mentre si abbandonò all’ira e alla furia.





QM - POINT

Perdonate il ritado e il post poco ispirato, ho avuto e continuo ad avere un periodo difficile, ma visto che queste cose non vi riguardano andiamo avanti. Come previsto, mica davvero vi aspettavate che vi facessi uccidere il boss al primo turno, gli attacchi rivolti ad Angus non fanno effetto. Altresì riuscite ad abbattere alcuni scheletri. Il drago rimane sul campo di battaglia, tuttavia, dopo il discorso di Angus, Lamrael prova ad attaccarlo ma lui scompare. Nel frattempo i vostri poteri, per chi non li avesse ancora, vengono risvegliati, sentite come una forza che vi entra dentro, una forza oscura, difatti perché siete entrati a contatto con le forze del male. A questo proposito si apre per voi un nuovo problema: oltre allo status fisico e mentale, avrete un nuovo status, ovvero lo status ANIMA . Questo status, come gli altri, vi mette a disposizione un Mortale, tuttavia, raggiunto il Mortale, il pg non morirà, bensì rinascerà come demone e proseguirà la quest, non che il ciclo di giocate, sotto forma di demone, cambiando dunque schieramento. Dal prossimo turno, quindi questo escluso, ogni danno portato dai demoni porterà, oltre al danno normale, un danno Anima equivalente. L'anima, al contrario del fisico o della mente, non può essere curata, inoltre ci saranno situazioni e momenti di gioco in cui vi sarà chiesto se volete o meno danneggiare la vostra anima per proseguire, avere bonus o altro. Anyway, in questo turno affronterete 10 scheletri a testa pericolosità G, per questo turno i Danni all'Anima li gestirete voi, quindi non è detto che andranno pari passo con i danni del fisico, tuttavia la quantità di danni sarà oggetto di valutazione nel campo sportività.

Ps: Ydins AVEVO detto di non essere autoconclusivi con gli scheletri, cosa che ovviamente tu non hai fatto. Questo ti comporta, visto che hai subito una ferita, un danno basso all'anima.

6 giorni di tempo per tutti.


Edited by Lud† - 14/3/2014, 10:05
 
Top
view post Posted on 15/3/2014, 21:26

Competitore
·····

Group:
Member
Posts:
1,644

Status:


La notte delle Sirene

« Dimostrazioni. »




Le parole di quel vecchio, pazzo demoniaco fecero tremare anche me.
La mia povera fede era ancora troppo fragile in confronto all'odio e al rancore che quel mostro aveva piantato dentro di noi. In fondo perchè non cedere alle lusinghe di quella sensazione intossicante? Perchè non rispedire quel bastardo all'inferno, anche a costo di accompagnarcelo personalmente? Cosa avevamo, cosa avevo da perdere?
Chi era quel dio a cui avevo segretamente rivolto le mie preghiere in lunghi anni?
Cosa aveva fatto per me, se non lasciarmi macerare nell'attesa? E quando quell'attesa era stata soddisfatta, quale prezzo avevo pagato?
Sentii una sensazione di malessere invadermi il cuore. No, non era il sordo dolore del lutto e nemmeno il corrosivo vetriolo del rancore. Era qualcosa di più sottile, affilato, subdolo...
Il male iniziava ad espandere i suoi tentacoli, come le minuscole radici dentellate di certi rampicanti, su tutto ciò che era buono in me. Mi sentii perduto, mi sentii un'anima destinata a cadere un passo più avanti.
Quella sfolgorante armatura non mi avrebbe protetto dall'oscurità, così come non era stata in grado di proteggere le uniche cose che contassero nella mia vita.

Poi, mentre stringevo gli occhi cercando nell'orrore dei ricordi di quella notte la forza per abbracciare l'immonda promessa di Angus, un ricordo...
Rividi il sorriso della mia Brandine la sera del ballo. Mi amava perchè io ero diverso dai bellimbusti impacchettati, perchè mi riteneva un uomo onorevole, un ragazzo per bene. Un po' impulsivo, forse, ma leale e retto.
Il lampo di orgoglio nei suoi occhi, quando la difesi da quella patetica mammoletta, mi risvegliò dentro una forza che non pensavo di possedere.
A coronare il tutto il ricordo, vago come il profumo dei fiori di mandorlo in primavera, di mia figlia che mi osservava taciturna nelle mie lunghe notti di fatica.
Le lasciavo tenere uno dei miei martelli in mano mentre lei "faceva la guardia al suo papà, perchè i brutti mostri cattivi non lo disturbassero mentre lavorava".
Avrei infangato la purezza del loro ricordo cedendo. Le avrei tradite.
Non ho visto i loro corpi, se non dopo che la misericordia di qualche donna li aveva ricomposti e vestiti, ma mi hanno detto che entrambe avevano combattuto.
Non avevano esitato, non avevano tremato. Erano state fedeli al loro modo di vedere il mondo fino alla fine.

La fede si mescolò al ricordo. Si mutarono in una roccia a cui aggrapparmi, in uno scudo con cui difendere me stesso... con cui difendere gli altri!

-«Non dategli ascolto!» -urlai cercando di sovrastare le sue parole piene di veleno...e verità...Perchè sebbene finalizzate al suo immondo scopo di piegare le nostre coscienze al suo oscuro fine, non mentiva..
«Siate saldi! Non lasciate che rovini il ricordo dei nostri cari! Non permettetegli di vincere ancora! »

Il mio tentativo di condividere la "mia forza" con i miei compagni, fu' vano. Lamrael balzò avanti, trafisse quel corpo di vecchio. Posso giurare di aver visto il suo viso contorcersi in un espressione di perfidia ed estasi, Angus non poteva sperare di sopravvivere a quel colpo eppure rideva... Quando il suo corpo di dissolse in volute di bruma, risvegliando altri scheletri capi.. ...e rabbrividii...Per un istante ebbi una fugace visione di quell'anima, ormai ineluttabilmente insozzata da un sentimento oscuro e divorante. Per un istante vidi quel giovane come abbozzolato in un aura malefica e compresi che Angus aveva vinto la sua battaglia...almeno per ora.
Non ci rimaneva null'altro da fare che spazzare via quegli immondi esseri. Ormai il mostro che ci aveva privato delle nostre famiglie era andato, lasciandosi preda di un incubo ancor più terrificante di quello che ci eravamo lasciati alle spalle.
Cosa avremmo raccontato ai nostri concittadini? Come avremmo potuto spiegare ciò che era successo? Se le parole del vecchio pazzo erano vere, tutta quella gente, la nostra gente era morta per colpa nostra, per risvegliare il noi il male..
«Lamrael fai attenzione!» - gridai scagliando il maglio ancora una volta e mandando in frantumi il cranio di uno scheletro che stava per affondare una spada nella spalla del giovane contadino.
Mi fiondai nella mischia, colpii uno di quegli esseri tutt'ossa con il mio scudo mandandolo al tappeto e schiantandogli il teschio come una noce con la mia mazza ferrata. Ancora una volta eravamo in inferiorità numerica e desiderai ardentemente di poter richiamare ancora una volta lo spettacolo di fulmini e lampi che avevo evocato poco prima.
Lasciai che quel desiderio aleggiasse un istante di troppo nel mio cuore ancora infettato dall'oscurità paventata da Angus. Ebbi l'assoluta certezza che, cedendo per un istante a quella perversa malvagità, avrei potuto evocare poter ben peggiori. Poteri con cui fare vendetta definitiva, con cui elargire sofferenza e morte a chi ne aveva data a noi. Mi resi conto di quanto forti fossero i lacci che Angus ci aveva lanciato addosso.
«Se davvero esisti, se non sei solo l'ennesimo fantasma evocato da quel mostro, ti supplico, ti prego dammi la forza di non cedere, di non tradire la loro memoria!» - supplicai in un'ennesima preghiera muta.
Istintivamente alzai la mano al cielo facendo piovere una nuova tempesta di lampi e fulmini che incenerirono in un istante un paio di scheletri e ne ridussero almeno altri due sulle ginocchia. Li finii con un colpo secco del mio maglio, schiacciando le loro ossa imputridite sotto gli stivali ricoperti di solido acciaio.
Sentii un calore rassicurante pervadermi nuovamente l'anima, scacciare il gelo mortifero della maledizione che sembrava inevitabile.
Con uno slancio balzai accanto al contadino, che ormai pareva uno dei tanti guerrieri erranti, tenebrosi e corrucciati a causa di chissà quale doloroso fato.
«Non lasciare che le ombre ti seducano ragazzo! Tu sei diverso da lui..Tu conosci l'amore! Tu conosci l'onore! Brandisci quella spada, spazza via le ombre dal tuo cuore ! E per tutti gli dei schiaccia un po' di questi vermi dell'oltretomba con me!»
Con un urlo feroce mossi il mio braccio destro spazzando l'aria intorno a me, colpendo alla cieca come un folle, combattendo come se non esistesse un domani.
Bruciavo, ardevo e non era l'ira o il rancore ad incendiarmi ma la speranza!
La speranza di poter usare il mio dolore e la mia rabbia per non permettere alle ombre di avanzare.
Sentivo, da qualche parte una ferita pulsare. La ignorai preso com'ero dalla battaglia.
Uno scheletro dinnanzi a me sembrava ridere perversamente. Caricai colpendolo nelle costole. Vidi le sue ossa esplodere, mentre la parte superiore del suo corpo non più connessa al bacino cadeva indietro, sollevano una polvere immonda e maleodorante.
«Nel nome dei nostri cari! Per i morti di Arcae e per coloro che ancora vivono, voi non prevarrete!»
Come se sapessi esattamente come e cosa fare picchiati con la mia mazza sullo scudo. L'eco di quel suono metallico e graffiato si riprodusse nell'aria, moltiplicato, sinistro...
Vidi alcuni non morti fermarsi, sentii lo scricchiolio delle loro ossa percosse dall'onda d'urto. Vidi le loro ossa sgretolarsi come una galletta di frumento sotto la pressione di una macina. Presi un attimo di respiro, la battaglia inizia a sfiancarmi..
CITAZIONE
Fisico: Un totale basso diffuso sul corpo.
Mente: Affaticato.
Energie rimanenti:: 50%
Energie utilizzate: 2 x Medio (10%)

Armi ed Armature:

Armatura completa
Scudo Torre
Maglio da Fabbro
Mazza Ferrata

Attive:

«Sussurro»
Il bersaglio viene circondato da suoni fantasma, la cui insistenza logora la sua salute mentale.
La tecnica ha natura Psionica. Il mago proietta attorno al bersaglio una serie di suoni in realtà inesistenti, che può personalizzare a proprio piacimento (sussurri, voci dall'oltretomba, canti di ninfe sono solo alcuni esempi). Questi ossessionano l'avversario fino a procurargli un danno pari a Medio alla psiche. Se castata ad area, la tecnica infliggerà danni bassi ad ogni nemico colpito.
Consumo di energia:Medio
Consumo di energia: Medio

«Accolito degli Elementi»
La tecnica ha natura Magica. Al momento dell'acquisto della pergamena l'utente dovrà scegliere l'elemento che decide di utilizzare (fuoco, ghiaccio e elettricità sono solamente degli esempi dato che è possibile scegliere qualsiasi tipologia di elemento). La tecnica infliggerà quindi un danno pari a Medio all'avversario, compatibile con l'elemento scelto. La manifestazione scelta può essere di volta in volta personalizzata (raggi, sfere, getti o altro) ma i suoi effetti devono essere comunque dipendenti dal consumo impiegato; se utilizzata ad area, la tecnica causerà danno basso ad ogni nemico colpito.
Consumo di energia: Medio


Passive:

[ Pergamena Discendenza Arcana+ Passiva Razziale ]



Riassunto Casto due tecniche "ad area" rispettivamente Accolito degli Elementi (elemento fulmine, reinterpretato come una sorta di intervento divino) e Sussurro (reinterpretato come il riverbero del "suono" del mio scudo colpito dalla mazza ferrata.)
Note://.


 
Top
Ydins
view post Posted on 16/3/2014, 18:25




Leoni Rossi - Nuove emozioni.




Pietà? Compassione? Comprensione? Per Daries quelle parole erano tanto vuote quanto prive di significato. Dapprima nel cuore aveva la certezza di chiedere ad Angus le ragioni di quell'aggressione, che cosa lo spingesse a provocare dolore ed alimentare la rabbia, ma poi quando vide il proprio corpo ferito e degli scheletri circondarla non ebbe il minimo dubbio. Quell'individuo doveva morire, i motivi non erano più importanti. Non le importava affatto diventare come lui, specialmente se questo significava pareggiare i conti per il sangue della madre che si trovava in soggiorno.

Muori. Anzi, non spirare fino a quando non sarà la mia mano ad ucciderti.



Disse a bassa voce, in realtà quel tono era tutto quello che le corde vocali potevano esprimere in quel momento. La guardia cittadina aumentò la presa sull'ascia che impugnava e strinse i denti, voleva staccare la testa ad ogni scheletro che si trovava li in quel momento.

Lamrael scattò, evidentemente alterato dalle parole del malvagio e provò a colpirlo, ma la spada che teneva saldamente fra le mani incontrò solamente aria nel suo cammino. Il vecchio pazzo era sparito ed adesso erano circondati da troppi scheletri, erano in netta inferiorità numerica, ma di certo quel mucchio di ossa non sarebbe riuscito ad impedirle di scaricare tutto il rancore che covava nel cuore.





L'avventuriera percepì chiaramente qualcosa cambiare nel suo corpo, ebbe la sensazione che qualcosa stesse sorgendo, facendosi spazio fra le sue membra, la sua mente e la sua anima. Era come un'energia che la faceva sentire forte, pronta e vendicativa. La donna avrebbe dovuto affrontare almeno una decina di scheletri, in altri casi sarebbe rimasta sulla difensiva, cercando di limitare i danni e tenendo una condotta prudente, ma quello stile di combattimento non l'avrebbe soddisfatta. Non avrebbe placato quella voglia di distruggere che permeava ogni sua cellula. Doveva sfogarsi e quei manichini a base di calcio sarebbero stati un buon inizio.

Rieella scattò mantenendo un baricentro basso, così si gettò in scivolata e colpì con l'ascia una rotula, la sinistra, del nemico più vicino, la mancanza di muscoli permise all'arma di abbattersi con tutta la potenza sull'osso frantumandolo, facendo cadere lo scheletro. Un secondo colpo di accetta fu sufficiente per straccare il cranio dalla colonna vertebrale.

Mossa da un'impeto mai provato fino a quel momento, la donna si rialzò e mulinò con forza l'arma decapitandone altri due. Il quarto invece non si fece cogliere impreparato, infatti cercò di colpire la guardia cittadina con un fendente di spada diretto al collo, ma questi venne parato prontamente dallo scudo. Istintivamente Daries sentì il bisogno incontenibile di calciare il terreno, per poi spostare il piede in direzione del nemico più lontano. Il movimento diede origina ad una “pinna di squalo” composta da terra che si diresse contro il bersaglio distruggendolo.

Gli occhi rabbiosi della Rieella si mossero in direzione della minaccia che aveva provato a colpirla prima con un affondo. Dapprima lo colpì con un calcio ai piedi così destabilizzandolo, per poi finirlo con un pestone in pieno cranio. Nella foga della battaglia non ebbe il tempo di rendersene conto, ma in realtà le piaceva uccidere, la cosa le veniva naturale ed era delusa perché gli avversari erano scheletri, quindi non c'era sangue da spargere a terra.

Si gettò come un vero berserker verso il quinto, il sesto? Non se lo ricordava, aveva già perso il conto. Il nemico la ferì con un fendente al braccio, provocandole una ferita a qualche centrimetro dalla ferita di prima. Sentì ancora una volta l'oscurità crescerle dentro, voleva più sangue e non aveva impotanza procurarsi un paio di cicatrici come contrappasso. Con un colpo secco di accetta dall'alto verso il basso colpì il nemico alla sua sinistra eliminandolo dai giochi. Ancora una volta sentì una la pelle bruciarle, una lama era riuscita a violare la sua carne, ma una cattiveria crescente la spinse a punire il torto subito con un fendente orizzontale, perfettamente parallelo al terreno, decapitando la minaccia.

Dalla sua destra partì un affondo con l'intenzione di trafiggerle il cuore, non c'era il tempo necessario di porre l'egida a difesa del muscolo, così cercò di limitare il danno mettendo fra la traiettoria dell'acciaio e dell'organo vitale il braccio con l'intenzione di evitare una ferita mortale, ma sembrava che i suoi nuovi poteri le permettessero di indurire l'arto, poiché esso ne uscì completamente illeso.

La donna si stupì delle sue nuove potenzialità mentre osservava il braccio, poi colpì l'avversario più vicino con un colpo d'ascia alla colonna vertebrale, mandandolo in frantumi. Non era un fendente, ne un ridoppio dritto, ne uno sgualembro rovescio, era un colpo senza alcuna grazia ne tecnica, ma non per questo meno efficace.

Ehi, non riuscite a fare di meglio?



Disse Daries in tono di scherno ed in cerca di un brivido maggiore. Ne avanzavano due da abbattere. Erano abbastanza vicini da poterli finire con un colpo solo. Si gettò senza pensarci ulteriormente verso i due sopravvissuti, i due replicarono con un fendente dalla sospetta sincronia, il primo venne parato dallo scudo, mentre il secondo incontrò la spalla destra, ma senza provocare troppi danni. Trattendo una smorfia per il dolore, Rieella menò un colpo orizzontale con tutta la forza che aveva a disposizione, distruggendo gli ultimi due nemici.

Sputando poi a terra disse:

Quel vecchio scemo lo ammazzo. Con quest'ascia.



Non si sarebbe data pace fino a quando non avesse rispettato quel giuramento.



CITAZIONE
Energia residua: 70%
Fisico: Ferita bassa al braccio sinistro x2. Ferita bassa alla spalla sinistra.
Psiche: Illesa.
Anima: Complessivamente un medio + basso.
Armi usate: Accetta e scudo.
Azioni:

1) Daries scatta e mozza un ginocchio ad uno scheletro. Poi lo finisce con un colpo per decapitarlo.
2) La guardia cittadina mulina l'ascia decapitando altri due scheletri.
3) Uno scheletro prova a colpire Daries con un affondo, ma esso viene parato mediante lo scudo.
4) Usando "braccio liberatore", la donna distrugge il quarto scheletro (consumo medio).
5) Il quinto viene sbilanciato con un calcio ai piedi, per poi finirlo con un pestone.
6) Daries viene ferita al braccio sinistro da uno scheletro.
7) Il sesto invece viene eliminato tramite un colpo di accetta dall'alto verso il basso.
8) Il settimo perde la testa con un colpo orizzontale.
9) L'ottavo prova a colpire la donna con un affondo dritto al cuore, ma viene bloccato con l'uso della pergamena "braccia di pietra" (consumo medio)
10) Con un colpo sgraziato, la guardia cittadina elimina l'ottavo.
11) Daries scatta in direzione degli ultimi due rimasti, gli scheletri reagiscono con un fendente all'unisono, uno viene parato, mentre l'altro provoca una ferita alla spalla destra. Con un colpo solo, la guardia cittadina elimina gli scheletri con un colpo solo.


Abilità in uso:

Braccio liberatore :. La tecnica ha natura fisica. L'utilizzatore scaglia un pugno o un calcio a terra. Poi, muoverà l'arto che ha "danneggiato" il suolo in direzione del bersaglio da colpire. L'energia trasmessa dal colpo creerà un'effetto "pinna di squalo" che si dirigerà in direzione dell'obiettivo con lo scopo di infliggere danni variabili da impatto. Durante la sua esecuzione, dietro la pinna si alzerà un polverone dalla brevissima durata (gli istanti che separano l'inizio dalla fine della tecnica) che non riuscirà ad ostacolare la vista dei presenti. Molto utile a causa della sua potenza regolabile a seconda delle necessità..

Abilità personale - Consumo di energia:Variabile.

.

(usato a consumo medio)



Braccia di pietra :. La tecnica ha natura fisica. Può essere utilizzata come difesa contro attacchi di potenza Media o inferiore. Il caster può attuarla senza particolari tempi di concentrazione, irrobustendo le proprie braccia fino a renderle solide come la pietra. La tecnica può essere usata prevalentemente a scopo difensivo: in questo stato, infatti, le braccia possono essere utilizzate come scudi da opporre ad offensive di qualunque tipo; sarà possibile estendere il potenziale difensivo dello scudo a 360° con lo stesso dispendio energetico. La potenza difensiva sarà comunque media nel complesso, potendo annullare attacchi di potenza media o inferiore, oppure ridurre l'offensività di tecniche di potenza superiore. Gli effetti sulle braccia potranno essere personalizzati in qualunque modo, benché se ne intenda la solida consistenza.

Consumo di energia: Medio.

 
Top
42 replies since 25/2/2014, 15:14   1228 views
  Share