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Erdkun ≈ La speranza divampa

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view post Posted on 22/3/2014, 16:16

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E r d k u n
« la speranza divampa »



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{ catena montuosa delle zanne, perwaine; tramonto; pov: jahrir }

Il vento ululava tra le vette innevate, un rumore simile al lamento straziato di una bestia in agonia,
e sollevava mulinelli di candidi fiocchi che offuscavano l'orizzonte incendiato dal tramonto.
A tratti Jahrir era quasi convinto di udire, oltre la furia della tempesta - o forse insieme ad essa, come amanti avvinghiati in una stretta inscindibile - i versi e i latrati dell'orda demoniaca cui erano scampati solo pochi giorni prima. Il suo sguardo scivolò verso valle, in cerca dei resti diroccati dell'antica fortezza, ma trovò soltanto una coltre immacolata come un bianco mantello appena intessuto. Non essere stupido, si disse. Le creature erano rimaste sepolte sotto il crollo e non sarebbero riemerse mai più dalle viscere della montagna. Come Enkidu. Il pensiero lo colpì ancora una volta in tutta la sua dolorosa inoppugnabilità e il suo cuore perse un battito mentre un gelo troppo acuto per essere naturale lo invadeva.
Enkidu, sua guida, suo maestro. Suo amico. Ormai non era più.

Ma la sua eredità sopravvive.

La sua voce, sofferente ma orgogliosa, gli risuonava ancora nelle orecchie, sovrastando gli schianti dei crolli e le grida rabbiose dei demoni, mentre gli rammentava il passato glorioso dei nani e il presente avvilente, gli faceva promettere di raccogliere il suo lascito e non rendere vano il suo sacrificio, di continuare la missione per la quale aveva deciso di immolarsi: radunare il loro popolo, riscattarlo dai troppi soprusi e riportarlo all'antica grandezza.

« Ho fatto un giuramento, e intendo rispettarlo. »

Ringhiò fra i denti, avanzando lungo l'ultimo tratto dell'erta innevata che lo separava dalla cima della montagna. Il sole moriva lontano a ovest, trafitto dalle vette acuminate delle Zanne, e la luce cremisi che inondava la distesa di ghiaccio pareva quasi sangue che grondava dalle ferite. Un giorno si spegneva, un altro era pronto a sorgere: l'alba di una nuova era per i nani. E a sanguinare saranno i nostri nemici.
Finalmente raggiunse la sua meta; lì dove il pendio si spianava in un pianoro di modeste dimensioni si ergeva un imponente struttura di legno alta diversi passi. L'intreccio di travi, puntelli e pioli era completamente ghiacciato, ricoperto da una patina bluastra percorsa da venature celesti. Jahrir si avvolse le mani in svariati strati di tessuto e iniziò la scalata della grande pira, issandosi grazie ai numerosi appigli e incavi; giunto in cima estrasse una fiaccola impeciata da sotto la pelliccia che lo ricopriva e si adoperò con la pietra focaia fino ad appiccare fuoco all'esca. Si soffermò pochi attimi a contemplare il largo piatto metallico disposto sul torrione di legno, colmo di un minerale grigio e granuloso che non conosceva. La fiamma crepitava all'estremità della torcia, protendendosi verso i grani incendiari con sottili dita ardenti, come richiamata da un bisogno primordiale. « Accendi gli antichi fuochi sulle montagne, » gli aveva fatto promettere Enkidu, prima di lanciarsi contro la sua morte.

« E così sia, amico mio. »

Scagliò la fiaccola al centro del braciere, che subito avvampò di un bagliore verde e accecante. Le fiamme ruggirono e guizzarono verso di lui, ma proprio quando stava per lanciarsi giù dalla pira per sfuggire all'incendio realizzò che l'insolita sfumatura del rogo non era la sua sola particolarità: il fuoco non bruciava, anzi era freddo al tatto come la neve circostante. Meravigliato, allungò la mano verso il centro del falò, mentre fiammelle danzanti si increspavano sulla sua pelle, poi sollevò gli occhi spaziando con lo sguardo lungo il susseguirsi frastagliato delle Zanne. Lo individuò dopo pochi istanti: un secondo luccichio smeraldino in prossimità della vetta di uno dei monti circostanti. Shaelan. Doveva essere il fuoco acceso dalla sua amata e il suo gruppo. Non passarono che pochi secondi prima che un'altra fiaccola di giada risplendesse sul picco successivo, e poi un'altra ancora e ancora. I suoi compagni non l'avevano deluso.

I fuochi erano accesi.


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{ miniere di dol godûr, perwaine; pomeriggio; pov: elrik }

Il caldo, laggiù nelle viscere della terra, era asfissiante. Gravava sui minatori come la mano di un gigante che li schiacciava al suolo mentre si trascinavano nel loro inferno quotidiano, scavando sempre più in profondità nella miniera d'oro, là dove perfino l'ultimo sprazzo di luce si perdeva nell'oblio ed era solo tenebre e silenzio. Ogni giorno si uccidevano di fatica per guadagnarsi un tozzo di pane e un sorso d'acqua torbida: non erano schiavi, certo che no, almeno non ufficialmente; ma la fame che li attanagliava e le catene serrate ai polsi per evitare che si ribellassero alle guardie in superficie raccontavano un'altra storia, una storia scritta col sangue e le lacrime, una storia di soprusi e violenze. Lavoravano senza dire una parola, di solito, per risparmiare il fiato e ridurre al minimo le esalazioni velenose che erano costretti a respirare, ma non questa volta. Questa volta era diverso. Elrik lo avvertiva chiaramente, come una tensione in agguato che serpeggiava fra i suoi compagni nani, una scintilla pronta a infiammarsi e divenire incendio.

« Avete sentito la storia dei fuochi, a nord? Roba grossa. »
« Sono solo favole per bambini. Zitto e lavora. »
« Ti sbagli. Il mio vecchio se li ricorda, anche se non li ha mai visti accesi, e mi ha detto che- »
« E tu Elrik, che ne pensi? »

Elrik rispose con un grugnito, troppo concentrato per esprimersi: a colpi di piccone stava scolpendo e modellando un corrugamento del muro di pietra, fino a fargli assumere la forma di uno spuntone acuminato.

« Ehi Elrik, che diavolo stai facen- »

« Io penso, » rispose finalmente il nano, interrompendo l'ultima domanda, « che troppo a lungo abbiamo sopportato l'arroganza di questi uomini. »
Studiò gli anelli di ferro che gli ferivano le mani: erano vecchi e rugginosi, corrosi dal tempo. Nella loro sicumera le guardie si erano convinte che prima ancora della carne, erano le anime dei nani a essere in catene, che erano esseri inferiori incapaci di rivoltarsi persino con un'occasione propizia, che erano troppo deboli per arrecare pericolo. Presto si sarebbero pentite di non aver controllato più spesso i ceppi dei minatori.

« Io penso che si sentono al sicuro, all'ombra delle loro tende, rinfrescandosi con vino ghiacciato, mentre noi sgobbiamo qui sotto. »

Allargò le braccia più che poteva, tendendo la catena al massimo, poi le calò con violenza in modo che gli anelli di ferro centrali si schiantassero sulla punte di roccia. Vide che uno si era incrinato.

« Io penso che è giunto il momento di fargli capire che non è così che vanno le cose. »

Ripetè il gesto ancora e ancora, fracassando le manette sulla pietra e facendo schizzare tutto attorno una cascata di frammenti, fino a quando uno degli anelli cedette e saltò via. Si perse nel buio, mentre la cava rimandava indietro i tintinnii della sua corsa, sempre più flebili, sempre più lontani.

« Io penso: MAI PIÙ IN CATENE! »

Sollevò le braccia, finalmente libere, e fissò gli altri minatori. Nella grotta era calato il silenzio più assoluto, tutti lo guardavano. Per un attimo si chiese se non avesse osato troppo, se i tempi non fossero ancora maturi, ma poi scorse nei loro occhi lo stesso scintillio d'oro e d'argento che screziava le pareti di roccia attorno a loro: era la luce della rabbia, la luce della ribellione, e seppe di avercela fatta.

« ALLORA, CHI E' CON ME? »

Un boato gli rispose.
L'incendio era scoppiato.

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{ città di ishmar, perwaine; alba; pov: nonno }

Una cacofonia di grida e clangori proveniva dalla strada, rumori che il fragile muro della catapecchia non poteva smorzare, così come la finestra non smorzava i dardi obliqui del sole nascente, nella cui luce dorata danzavano granelli di polvere. La bambina si strinse più forte al petto dell'anziano, scrutandolo con occhi dilatati dalla paura.

« Dov'è papà, nonno? »

Chiese con voce tremante. Il vecchio nano le rispose con una carezza e un sorriso che increspò ancora di più la già fitta ragnatela di rughe che gli solcavano il volto.

« E' la fuori a combattere per noi, piccola. Non preoccuparti. »

La bambina annuì, convinta, ma un attimo dopo il suo sguardo si fece un'altra volta dubbioso e titubante:

« Sì, ma perchè? »

« Vuoi sapere perchè? Va bene, ti racconterò una storia, una storia antica, addirittura più vecchia di me - il che non è poco. Hai visto quei puntini verdi sulle montagne, a nord? » Si fermò solo un secondo mentre la piccola rispondeva con un cenno affermativo, poi proseguì: « Sono dei fuochi magici, alimentati da un minerale speciale che il nostro popolo scoprì secoli fa, al centro della terra. Un tempo, devi sapere, i nani abitavano in maestose fortezze scavate nella roccia e i loro domini si estendevano per migliaia di miglia. Erano tutti molto amici, ma era difficile comunicare tra una roccaforte e l'altra, per via delle grandi distanze. Così escogitarono uno stratagemma: eressero una serie di grandi bracieri sulle vette dei monti più alti, alimentati dal quel minerale. Quando una fortezza era in pericolo, minacciata da qualche nemico, o aveva bisogno di aiuto, non doveva far altro che accendere il proprio falò. Dalla montagna più vicina lo vedevano e accendevano il loro, e la montagna dopo anche e così via, fino a quando tutte le fortezze avevano illuminato i rispettivi bracieri e l'intero orizzonte risplendeva di smeraldo. Così tutti i nani sapevano che alcuni di loro erano in difficoltà, e che dovevano riunirsi come una sola nazione. »

« Ho capito, nonno! I nostri amici hanno acceso i bracieri e ci stanno chiedendo aiuto, come tanto tempo fa! »

« Esatto, piccola. Come tanto tempo fa. »


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{ catena montuosa delle zanne, perwaine; crepuscolo; pov: jahrir }

Jahrir affondò l'ascia bipenne nel cranio della creatura, spaccandolo in due.
Quando rialzò lo sguardo realizzò che lo scontro era finito: le carcasse deformi di una dozzina di demoni giacevano sul terreno, impregnando la neve con la fiele nera colata fuori dalle loro ferite. I suoi amici stavano già procedendo a radunare le carogne per bruciarle e soccorrere i feriti. Come aveva temuto, non tutti gli esseri erano periti nel crollo della fortezza, giorni addietro: alcuni, soprattutto fra quelli schierati sulle mura per rispondere all'attacco dei Clan delle montagne, erano scampati alla distruzione, disperdendosi poi per i monti. Li avevano avvistati il giorno successivo all'accensione dei primi fuochi: la caccia era durata poco più di una giornata, prima che li raggiungessero e sterminassero.

« Jahrir! »

« Shaelan! » Corse ad abbracciare l'amata, prima di chiederle: « La conta? »

« Quattordici demoni morti, cinque feriti fra i nostri, nessun caduto. Erano gli ultimi, non dobbiamo più preoccuparcene ora! »

« Non erano loro a preoccuparmi, purtroppo. Ho un pessimo presentimento, come se qualcosa di potente e malvagio fosse in atto, e... »

Si interruppe quando si accorse del cipiglio di preoccupazione dipintosi sul volto della compagna, scrollando le spalle:

« Non farci caso, è solo la stanchezza. Quali notizie dal nostro popolo? »

« A sud un gruppo di nani schiavizzati come minatori si è ribellato, spezzando le catene e sopraffacendo le guardie. A est, in una cittadina di nome Ishmar, la comunità locale è insorta: erano stati relegati in un ghetto lurido e fatiscente, ma ora controllano il villaggio. Ci giungono voci di ribellioni anche da altri luoghi, persino dal Plakard, e i fuochi aumentano ogni giorno! »

Jahrir respirò a fondo l'aria fredda della sera, contemplando il cielo percorso dalle ultime striature ramate del crepuscolo. Nella penombra cristallizzata delle Zanne si accendevano le prime stelle sulla volta celeste, ma non erano loro a risplendere con maggior fulgore. Lungo tutto l'orizzonte scintillavano fiamme verdi, simili a gemme di smeraldo incastonate nelle montagne. Molte si erano accese solo da poche ore, e non per opera loro. Si rincorrevano da una cresta all'altra, da una vetta alla successiva, superando forre e crepacci, oltrepassando gole e valichi profondi, scavalcando i fianchi scoscesi dei monti e i burroni più oscuri. Formavano una lunga processione che si snodava attraverso tutta la regione, e ovunque si illuminasse un braciere c'era un nano che insorgeva, che combatteva e viveva o moriva. Ma più importante di tutto, che non era solo.
Che sapeva di appartenere a qualcosa di più vasto.
Che, dopo tanto tempo, aveva una speranza.

Jahrir sorrise, mentre nei suoi occhi riverberava il riflesso danzante delle fiamme.
Assaporò quella parola.


« La speranza... DIVAMPA! »


CITAZIONE
Continua da qui.

CITAZIONE
Per comprendere meglio il post e vari riferimenti, dovreste leggere almeno lo specchietto riassuntivo dell'ultimo post al link qui sopra. Ad ogni modo, la storia molto in breve: secoli fa i nani costituivano una civiltà avanzata e fiorente, almeno finchè la loro stessa brama di potere e ricchezza non li portò alla rovina quando risvegliarono le antiche forze demoniache che quasi li annientarono. Da allora vivono in esilio, sparsi per tutto l'Akerat, spesso discriminati e soggiogati. Ma adesso, dopo gli eventi della quest Sangue Ribelle, le cose stanno per cambiare. Jahrir ha mantenuto la prima parte della promessa fatta al suo mentore e amico, Enkidu: accendere i fuochi di segnalazione che in passato servivano per radunare il popolo nanico. La loro vista ha rappresentato l'ultima spinta necessaria per molti, già giunti al punto di rottura: ovunque si registrano rivolte e insurrezioni. Erdkun è appena cominciata.


Edited by Shivian - 22/3/2014, 19:12
 
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