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| Erdekun «Nell'occhio del ciclone»
Dovetti inghiottire l'ennesima sorsata di quella disgustosa bibita che è il fallimento. Sebbene il fumo posseduto dallo spirito avesse svolto il suo compito distraendo il mio nemico per qualche istante, mi resi conto di aver colpito quell'incudine con eccessiva blandizia. Non appena il mio incantesimo si era dissolto, infatti, il mio nemico aveva ripreso rapidamente le redini sulla sua coscienza e si era preparato a contrattaccare. Lo sentii presentarsi per poi caricare rapido come una frana che sfregia il fianco di una montagna. Ebbi paura, non lo nego. Un terrore sudaticcio si impadronì del mio corpo facendo accelerare i battiti del mio cuore fino a darmi l'impressione che stesse di li a poco per salirmi in gola. Un colpo, ne bastava uno per mettermi fuori gioco. Ero stato fortunato la prima volta, non potevo confidare nuovamente nella benevolenza del Fato. Svenire o più banalmente essere costretti alle ginocchia equivaleva in quell'arena a morire. Eravamo circondati da una carneficina senza sconti, galleggiavamo su un relitto pronto ad affrontare, assassini senza pietà sciamavano da ogni dove; qui e li le esplosioni di cannoni aprivano ferite nelle imbarcazioni vicine, grandinavano sull'inquieto corpo del mare ormai arrossato dal sangue di innumerevoli vittime. Non potevo subire l'ennesimo colpo, non potevo fallire ancora... Non si trattava di una questione di onore o d'orgoglio, evitare quel colpo era l'unico mezzo per sopravvivere. Giano, il composto, spassionato sacerdote del Sovrano non aveva le qualità per uscire dal quel budello che conduceva dritto alla morte. Era necessario che l'uomo oltre la maschera prevalesse, con il suo istinto, le sue scelte errate, il suo affidarsi alle volubili correnti del fato. In fondo non me l'aveva forse già detto Caino che erano le mie macerie ad avermi permesso di sopravvivere? E a quelle macerie decisi di affidarmi, a quelle passioni avvelenate e devastanti. Mi avevano salvato una volta, lo avrebbero fatto ancora... La maschera candida e perfetta cadde. Il volto dello Sciamano fu baciato dalla brezza odorosa di polvere da sparo e salsedine. Il mio viso stravolto dalla paura, affannato dalla fatica, contorto dal dolore accolse i segni di un'emozione con cui ormai aveva preso familiarità: la rabbia. Sapevo quanto rischioso fosse lasciarle spazio, avevo perso il conto delle volte in cui lei mi aveva fatto pagare un prezzo ben superiore al servizio reso, ma sapevo anche che tra tutte le emozioni era l'unica in grado di salvarmi la vita. E lo sapevo per esperienza... Sciolsi le sue briglie, la lasciai correre senza freni, pervadermi ogni muscolo, irrorare le mie vene, avvelenare il mio sangue, stringermi le viscere in una morsa d'acciaio, fondersi con la mia magia e dominarla, oscurare la mia coscienza fino ad annullarla. Sentii il vento intorno a me rispondere alla chiamata della magia contaminata da quel sentimento figlio di paura, disperazione e necessità. Le assi del ponte furono divelte, le vele stracciate, dal respiro di quel vento soggiogato dalla magia. Gomene, armi lasciate cadere, frammenti di ferro e legno, persino l'acqua salmastra che circondava furono sollevate, si mescolarono in una sorta di uragano di cui io ero epicentro. Fu contro quello scudo che si infranse, come flutti su uno scoglio, il poderoso colpo di maglio del nemico. Ero salvo, vivo, ma ormai preda di quei sentimenti che invano avevo trattenuto sotto la superficie linda della maschera da Corvo. Il turbine che lentamente si affievoliva la rapì tra le sue spire, lanciandola chissà dove nell'immensa distesa grigia dell'oceano. Il mio sguardo allucinato si posò sul mio nemico. L'ora delle strategie e delle complesse tattiche psicologiche aveva fatto il suo tempo. - «E così volevi uccidermi razza di bastardo? » - sbraitai ormai fuori controllo; i capelli spettinati dalle folate di vento si appiccicavano sulla fronte a causa del sudore. Dovevo apparire come una sorta di selvaggio, con il volto stravolto e l'espressione spiritata. Ero la negazione della razionalità allo stato puro, un uomo solo nell'aspetto, squassato dall'istinto. L'equivalente di una bestia braccata che ha eluso il laccio del cacciatore ed ha la sua opportunità di colpire - «Ed io che mi illudevo di poter concludere questa faccenda con la forza delle mie convinzioni... » O delle mie menzogne. Pensai. Ma non lo dissi. «... eppure mi era stato detto! Ero stato avvertito ! Ma io non avevo voluto crederci. Pensavo di essere superiore a certi compromessi! Mi sbagliavo! » Feci una pausa mentre mi preparavo ad infrangere l'ultima barriera che mi separava dalla totale e completa identificazione con l'ideale a cui mi ero recentemente votato. Un'ideale a suo modo distorto ed esasperato dalla condizione in cui mi trovavo. I miei occhi si velarono di una patina bianca, la mia voce assunse una tonalità distante e distorta mentre cadevo nello stato di trance in cui usualmente, noi sciamani, siamo abituati a rievocare le lezioni impartite - «Non siamo altro che pedine di guerra, gocce rosse nel mare di sangue che è la storia. Non importa come o quando tagli la gola al tuo nemico, è importante farlo, a qualunque costo e con qualunque mezzo - purché tu lo faccia! Conta solo il sangue, il dolore e lo scalpo del tuo nemico» Le parole di Caino, i ricordi di quel giorno che segnò la mia iniziazione ai suoi misteri, che mi convinsero a compromettere i miei ideali in favore di un non meglio specificato obbiettivo era decontestualizzate, private del loro significato originale, ma mi fornivano una giustificazione. Che importava che lui non le capisse, non parlavo a suo vantaggio ma per il mio. Avevo bisogno di una scusa, di un fine che giustificasse i mezzi. E questo perchè mi preparavo a compiere qualcosa che fino ad allora mi aveva profondamente ripugnato: uccidere e non per servire una causa, non per salvare il mio popolo ma per me stesso, per puro egoismo, solo e soltanto a causa del mio smodato ego che mi aveva portato ad iniziare un duello che già sapevo si sarebbe trasformato in un bagno di sangue. Mi detestavo, mi facevo orrore. Ma ormai non potevo tornare indietro. Avrei usato a mio modo le parole del mio mentore, avrei colpito senza pietà. Il vento era cessato. Persino la battaglia si era fatta meno intensa, le forze di tutti iniziavano a scemare e si duellava più per necessità che per desiderio di sopraffare il nemico. Mi preparai a scagliare la più poderosa tra le mie offensive: invocai il potere dell'elemento che è simbolo di purezza, incontaminazione e morte. Plasmai quei candidi cristalli di sale nella forma del simbolo del mio Regno.
«Il suo dorso è a lamine di scudi, saldate con stretto suggello; l'una con l'altra si toccano, sì che aria fra di esse non passa: ognuna aderisce alla vicina, sono compatte e non possono separarsi. Il suo starnuto irradia luce e i suoi occhi sono come le palpebre dell'aurora. Dalla sua bocca partono vampate, sprizzano scintille di fuoco. Dalle sue narici esce fumo come da caldaia, che bolle sul fuoco. Il suo fiato incendia carboni e dalla bocca gli escono fiamme. Nel suo collo risiede la forza e innanzi a lui corre la paura. Le giogaie della sua carne son ben compatte, sono ben salde su di lui, non si muovono. Il suo cuore è duro come pietra, duro come la pietra inferiore della macina. Quando si alza, si spaventano i forti e per il terrore restano smarriti. La spada che lo raggiunge non vi si infigge, né lancia, né freccia né giavellotto; stima il ferro come paglia, il bronzo come legno tarlato. Non lo mette in fuga la freccia, in pula si cambian per lui le pietre della fionda. Come stoppia stima una mazza e si fa beffe del vibrare dell'asta. Al disotto ha cocci acuti e striscia come erpice sul molle terreno. Fa ribollire come pentola il gorgo, fa del mare come un vaso da unguenti. Dietro a sé produce una bianca scia e l'abisso appare canuto. Nessuno sulla terra è pari a lui, fatto per non aver paura. Lo teme ogni essere più altero; egli è il re su tutte le fiere più superbe»
Quel simulacro di quella belva maestosa e superba, sfavillante nella luce impietosa di un sole ormai reso pallido dalle rade nubi evocate per partorire la folgore, era frutto di una mistificazione, di un inganno. Altro non era che sale manipolato ad'arte per sconvolgere il nemico, il trucco infame di un ciarlatano che distrae gli astanti con l'appariscenza dei suoi gesti, mentre raggiunge i suoi bassi scopi. Ma che importa? Il mio scopo era colpirlo e se tutto fosse andato bene, presto quell'immacolata materia bianca si sarebbe tinta del sangue del mio nemico. Gli ordinai di colpirlo alle braccia, di privarlo di ciò che lo rendeva pericoloso: la capacità di maneggiare la sua arma.
CITAZIONE Fisico: Medio alla gamba e un medio al torace conseguenti all'impatto e delle lesioni muscolari e dell'apparato scheletrico (80%) Mente: Fuori controllo. (100%) Energie rimanenti:: 55% Energie utilizzate: Alto (20%)
Armi ed Armature: Armatura Naturale; Diplomazia (pistola a pietra focaia 2/5); Prigione di Cera
Attive:
«Noi siamo il Leviatano!»
Un idea folle. Un'impeccabile esegesi del concetto di demagogia in sole quattro parole: Noi siamo il Leviatano! Chissà se Padre Lewing credeva davvero alle sue parole quando le pronunciava... Ma cosa importa? Ciò che conta è che, quando i bardi canteranno di quel giorno glorioso e nefasto, quell'omuncolo avvolto da stracci neri, quella misera, vecchia voce resa rauca dalla paura, dal calore impietoso del deserto saranno ricordati per quelle parole e per quelle che seguirono. Padre Lewing è stato al contempo l'esempio di come credere e ciononostante fallire e vincere fallendo. La sua determinazione piena di paura, la sua vuota retorica, il suo terrorizzato coraggio non lo salvarono dalla morte, ne salvarono noi. Eppure rimarranno impresse nella memoria comune, sillogisticamente associate alla frase ormai famosa e creeranno un mito. Il mito di un popolo che è il Leviatano. Ne avevamo bisogno: eravamo divisi, vilmente attaccati, privi di una guida. Certo avevamo tre Campioni, un Re e Caino...Ma cosa sono questi mortali in confronto del Vero Leviatano, del Re che Non Perde Mai? La sua fama, la sua leggenda era troppo grande, troppo lucente perchè qualcuno potesse rivaleggiare con essa. Cosa ne era stato del Leviatano che aveva succeduto Rainer al trono? Cos'era accaduto al suo Regno una volta caduto? Cos'era Basiledra dopo la sua scomparsa? Un ammasso di gloriose rovine vigilate da loschi figuri in maschera, una corte in cui ad ogni sorriso corrisponde una pugnalata alle spalle, feudatari bizzosi e inconsistenti facili da annichilire e dediti all'insubordinazione. Nemmeno il sangue del Profeta del Sovrano era stato capace di unirci sotto un unico vessillo. Divisi, attaccati, feriti, dispersi. Ecco cos'era il popolo del Leviatano. Ma c'era di peggio, un'ultima tessera andava aggiunta al mosaico per comprendere appieno l'agonia che rese necessaria quella grandiosa menzogna. Ad attaccarci, a vincere sul popolo che mai aveva conosciuto una sconfitta non era un semplice spettro era qualcosa di ben peggiore...Era l'immagine riflessa della invincibile potenza di cui ci facevamo vanto, era il simbolo della nostra grandezza, era il Leviatano! Guidato da una costola corrotta ed eretica dei Corvi, il Leviatano Rosso aveva seminato distruzione e morte oltre ogni nostra aspettativa. E in quell'abisso di incertezza giunsero le parole ormai leggenda di Lewing: Noi Siamo il Leviatano! Una menzogna? Certo. Ma era una menzogna espressa in risposta ad un'altra menzogna, quella del nemico che si professava Leviatano. Menzogna, questa, a sua volta figlia di un inganno e così via fino a giungere alla causa primigenia non generata delle menzogne e degli inganni. Ma anche questa affermazione ha poco valore, ciò che conta è quando Padre Lewing affermò che noi siamo il Leviantano chi lo udì ci credette, fu così convincente da ingannare se stesso o molto più probabilmente fu accuratamente manipolato affinchè ci credesse. Nella stessa identica maniera abbiamo creduto che il Leviatano Rosso fosse il nostro nemico, che il Popolo di Basiledra non avrebbe mai patito una sconfitta e che presto o tardi avremmo ricomposto quell'era di terrore e guerra che oggi tanto esaltiamo come il periodo d'oro del nostro Regno. Ma a che pro tutta questa riflessione contorta ed instabile? Per spiegare, per comprendere come un uomo, una delle molte, banali forme di vita di questa dimensione sia in grado di possedere un potere che si osa attribuire solo agli Dei, recte al Sovrano. Si anche io sono in grado di richiamare su questa terra il Leviatano! Dovreste vederlo! Si erge candido nell'alba, avvolto da tempesta di luce. Ciò che tocca insterilisce, la carne corrode, il ferro arrugginisce. Fa ribollire come pentola il gorgo, fa del mare come un vaso di unguenti. Nessuno sulla terra è pari a lui, fatto per non aver paura. Lo teme ogni essere più altero; egli è il re su tutte le bestie più superbe. Difficile a crederci non è così? Eppure ne sono in grado. Come posso? Semplice: mento. Quello che tu vedi ergersi come la più tremenda tra le bestie altro non è che sale abilmente manipolato dalla mia magia. Vedi e credi a ciò che vuoi vedere e credere o a ciò che temi... Questo mi ha insegnato Padre Lewing, questo mi ha insegnato il Leviatano Rosso. [Variabile offensiva di manipolazione elementale del sale a bersaglio. Consumo: Alto]
Bonus torneo Molto semplicemente si tratta di una difesa assoluta interpretata come un turbine di vento, oggetti e cianfrusaglie varie raccolte per l'arena che mi fa da scudo alla tua offensiva critica.
Passive:
Del servizio L'essenza dello spirito malvagio non si è esaurita: essa ha avuto il tempo di meditare sui suoi errori e si è ravveduta. Il suo castigo tuttavia non può essere sciolto, ed ora lo costringe a servire colui a cui è toccata in sorte la proprietà della Trappola di Cera. È esso che tiene perpetuamente la fiamma accesa, che ne farebbe sopravvivere la scintilla anche se l'oggetto venisse accidentalmente immerso in acqua. E non solo: esso avverte le variazioni di umore del portatore, avvolgendo l'intera candela in fiamme bluastre qualora la furia della battaglia si impossessi di lui. E sempre ricondurrà docilmente la sua prigione nelle mani del legittimo proprietario, sia essa scagliata via o lasciata cadere. [Passiva: La candela conterà come arma da lancio e godrà di un effetto boomerang; la tipologia dei suoi attacchi, da considerarsi sempre alla stregua di attacchi fisici non tecnica, è magica, e il danno inferto sarà da ustione.]
Inviolabile La Sete ha mutato il mio corpo, ha contaminato la mia anima. Ormai corpo e spirito sembrano reagire al pericolo in maniera autonoma. Il mio fisico è divenuto resistente alle comune offese esterne; la mia pelle, i miei muscoli, le mie ossa sono come bagnati nell'acciaio, divenendo incredibilmente coriacee (armatura naturale). Persino la mia anima è diventa uno strumento di offesa, un arma. Riesco infatti ad evocare una manifestazione materiale della mia energia spirituale, tramite le spoglie di una sorta di frusta spirituale (Arma Naturale). Quando è la magia ad essere usata contro di me la mente diviene iperstimolata, immediatamente più recettiva e pronta a rispondere all'offesa. Per ogni tecnica magica utilizzata dall'avversario il mio spirito ricorre alle conoscenze, ai saperi che per secoli il mio precedessore ha accumulato ( 2 CS in Intelligenza, che decadranno nel turno successivo). In più, l'abitudinario uso delle mie riserve energetiche ha reso mi ha reso più resistente allo sfinimento che naturalmente deriva dall'abuso delle proprie forze, quasi come la Sete giungesse a sostenermi in questo momento di estremo bisogno. Raggiunto il 10% delle energie il mago non sverrà pur non potendo ignorare la fatica che ne deriva. [ Pergamena Discendenza Arcana, il bonus CS va ad Intelligenza+ Passiva Razziale + Arma e Armatura Naturale]
Riassunto: Sfrutto il bonus tecnica del torneo per usare una difesa assoluta che mi protegge dal tuo attacco. Rispondo con un'offensiva magica a consumo critico del mio dominio elementale. Note: Wow. Comunque vada il duello sono felice di averlo combattuto con un avversario come te, mi sto rendendo conto dell'importanza di tanti consigli che ho ricevuto in tempi non sospetti e che non mi sono mai deciso a porre in essere. Mi sto divertendo ed è questo che conta. Piccola noticella di chiusura, non credo che ci sia bisogno di specificarlo con un avversario come te, ma ovviamente la supponenza e l'arroganza irritanti del mio PG sono pura interpretazione. Non volergli male è un PG problematico xD
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