Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Erdkun ≈ Nessuno tocchi Caino

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view post Posted on 5/4/2014, 18:11
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Vento sferzante, che scendeva dai monti rocciosi.
Rapido, come una lama sottile che si abbatte lungo le guance; infiniti rasoi affilati, che lambivano i volti e le carni degli avventori come fossero carne nuda lasciata a morire. Avvizziti, invecchiati e fiaccati dalla prepotenza della natura, l'arsura lisciava i corpi e le vite senza lasciar scampo. Ovunque, invero, si adagiava un silente senso di imperitura sonnolenza: non c'erano piante o arbusti che dissimulassero una parvenza di vita; solo ardimenti e patimenti, rocce e montagne rossicce a costellare lo sfondo. Il panorama sembrava uniforme e squadrato, con costoni di roccia che scendevano verso il basso, in un dirupo profondo ed ancor più pericoloso dello sforzo che era costato guadagnarne la cima.
Aveva trascorso settimane per passare il valico ed altrettanto tempo era servito per giungere presso il primo cumulo di civiltà abbastanza grande da meritar il titolo di villaggio.
Il lungo peregrinare, se non altro, gli aveva indotto la convinzione di quanto profonda fosse la divisione tra quella regione ed il resto del mondo. Un valico interminabile, lento e pieno di insenature; invero, nulla che avrebbe concesso il passaggio di non più che poche persone per volta.
In un certo senso, la fatica con cui anche lui aveva conseguito quell'attraversamento, ben intendeva i margini di rigidità e difficoltà che impregnassero quei monti. Nessun esercito avrebbe potuto attraversarlo nei modi convenzionali: benché meno avrebbe potuto farlo qualsiasi cosa che anche soltanto fosse paragonabile ad un esercito.

E, mentre meditava quelle considerazioni, assaporava la ventata inebriante di eccitazione che riempiva le correnti di quelle terre.
Aveva udito dei recenti avvenimenti, delle ribellioni dei nani e delle premure delle città libere. Eppure, non ci aveva voluto credere fino a quando non ebbe modo di assaporarlo.
Locande, piazze e cantori innalzavano al cielo gli animi, assaporando la battaglia imminente sotto l'egida di uno spirito del tutto rinnovato rispetto al passato. O - quantomeno - così era a loro dire.
La schiavitù, infatti, aveva piegato i cuori dei nani che - adesso - si rialzavano fieri e speranzosi, quasi felici di poter combattere per quella loro libertà. E per poter farlo contro nemici potenti come le Città Libere o ignoti come il male più oscuro che si sollevava dall'Abisso.
E l'abisso era, in verità, il motivo principale per cui si era scomodato fino a quel punto.
Fino ad un piccolo villaggio nelle profondità dell'Akeran, arroccato ai margini di un colle.

« Vi lavoravano centinaia di nani fino a qualche tempo fa » disse il nano, parlando con l'uomo al suo fianco « ...ma poi sono successe quelle cose »
I due fissavano il cancello di ferro, chiuso con cardini ed assi inchiodate. Talvolta una di esse scricchiolava sonoramente, sollevando anche qualche fiotto di polvere. Ogni sussulto era accompagnato da un rumore sordo e profondo, quasi un rigurgito delle caverne, che si sollevava dalle cavità al di là del portone. E, benché i più tendessero ad ignorarlo, ogni volta il cuore di ognuno di loro pareva perdere un battito.
L'uomo aveva impiegato quasi un mese per raggiungere quell'angolo di mondo, non lontano dalla caotica Taanach. Il nano, invece, l'aveva accompagnato solo per gli ultimi giorni.
Eppure, pareva aver accusato il colpo molto più di lui.
« Alcuni sono scomparsi nelle profondità delle caverne; quindi hanno dovuto chiudere i portoni » aggiunse, ansimando poco « sigillandoli all'interno. »
Poi si accasciò piano, reggendosi a stento sul suo bastone di faggio scuro, intarsiato di fini ricami e costellato di talune sfarzose gemme in punta. L'oggetto aveva un fascino antico e sfarzoso; eppure, sferzava nel vento caldo dell'Akeran come un elemento del tutto inconsueto. Come se il suo portatore tenesse a reggere quell'ambiguo fascino nobiliare nel mezzo di uno spazio del tutto insolito per esso, fatto di selvaggia prominenza e secca arsura al limite dell'umana sopportazione. D'altronde, nemmeno il grosso turbante scuro o i numerosi bracciali che si adagiavano sulle braccia tozze sembravano adatte alla rozzezza delle circostanze. Per essere un viaggiatore, invero, non ne aveva per nulla l'aspetto.

« Kara-delik » disse il nano, indicando nuovamente il portone.
Il suo dito finiva dove iniziava l'immensa massa rossastra che distingueva il colle nel quale si insinuavano i cunicoli delle miniere. E fino a poco prima, ove adesso si ergeva un ammasso di ferraglia impenetrabile, passavano carrelli carichi di preziosi e nani affaticati, con picconi in spalla, infinite volte. Il villaggio, d'altronde, era cresciuto attorno all'attività mineraria; allo stesso modo, gli uomini che si erano serviti delle loro braccia, li avevano costretti a quella vita così tanto a lungo da fargliela quasi sembrare giusta. Si erano affezionati a quella condizione, al punto che - nemmeno ora che la miniera sembrava perduta - avevano voluto lasciarla. A differenza degli uomini che, invece, avevano cercato rifugio nelle grandi città.
« I nani di qui, adesso gli hanno dato questo nome bizzarro - ma rimane la loro casa» proseguì, abbozzando un sorriso stentato, mentre riprendeva fiato.
L'altro si stagliava immobile, come una statua di pietra; fissava lo sfondo come se cercasse qualcosa entro le travi di legno. Non dava segni di stanchezza, benché fosse difficile scrutare al di là dell'ammasso di stracci nel quale aveva avvolto il proprio viso. Era alto e slanciato, bardato di una lunga tunica biancastra, sporcata ormai dalla terra e dal vento. Le braccia e le gambe, però, erano bardate a loro volta in pesanti pelli di cuoio, per renderne più agevole il cammino. In risposta si limitò a fissarlo, accennando solo un segno di intesa col capo.
« Non siete un uomo di tante parole, vero? » proseguì il nano, sforzandosi di sorridere con ancor più vigore, quasi provasse in tutti i modi ad essergli simpatico.
L'altro, questa volta, non lo degnò nemmeno di uno sguardo; seguitò a fissare il panorama, più interessato a scrutare il villaggio, ora.
« Non avete proferito verbo per tutto il viaggio, a parte qualche mugolio di tanto in tanto » aggiunse, tenendosi ora il petto con la mano destra
« sono quasi imbarazzato a chiedervelo, ma... » disse ancora, scrutandolo con attenzione « ...sono tutti così taciturni i tipi come voi? »

L'altro fissò il nano con rinnovata curiosità. Solo in quel momento notava la sua cura per i dettagli. Benché facesse una vita faticosa teneva la lunga barba rossiccia curata e pettinata; l'aveva visto più volte specchiarsela in un pezzo di vetro che teneva nella bisaccia, poi poi aggiustarsela con un pettine da viaggio. Inoltre, curava orecchini e ciondoli, appesi sul viso e sulle vesti: nessuno di loro mancava di luccicare alle ultime luci del giorno, come se fossero stati ripuliti da poco.
Ora, però, notava un altro particolare. Non era uno stupido; qualunque cosa avesse capito di lui, invero, non era un dettaglio da trascurare.
« Come noi...? » disse l'uomo, con tono perplesso.
Il nano tossì vistosamente, riprendendo fiato. Poi, rispose a tono, sforzandosi di sorridere « Benim bayim, ho viaggiato a lungo tra Regno degli uomini e le Città libere »
« ho visto tante cose nel vostro mondo, che le persone come voi non mi sono del tutto sconosciute. »
Attese un istante, poi lo fissò stranito, quasi fosse perplesso dall'ovvietà del suo pensiero « ...i Corvi intendo »
« voi siete uno di loro: un Corvo, no? »

Il Corvo lo fissò ancor più incuriosito. Un uomo piccolo ma tanto arguto da aver scrutato la maschera al di là degli stracci, era quanto di più improbabile potesse sperare di trovare in quel posto.
« Molto arguto messer Özcan » disse poi, togliendosi le bende dal volto e rivelando la maschera bianca sotto di esse « siete molto perspicace »
Il nano tossì nuovamente, strozzando una risata sofferta « Ero sicuro di avere indovinato » disse, soddisfatto « d'altronde è normale che accorriate da queste parti »
Il Corvo lo fissò nuovamente, incuriosito dalla nuova affermazione. « Perché è normale? »
« Beh lordum » proseguì Özcan « si dice che in queste miniere vi fossero richiusi dei demoni; e, per qualche ragione, ora si sono risvegliati »
« i demoni sono un problema comune; potrebbero rivelarsi un pericolo tanto per noi nani, quanto per voi uomini » rispose con malcelato imbarazzo.
« Siete qui per fare qualcosa, giusto? »
Poi il nano fissò l'altro intensamente, augurandosi di non averlo offeso. Il Corvo rispose placidamente, annuendo: « Indubbiamente...per fare qualcosa »

L'uomo poi seguitò a fissare l'altro, schiarendosi la voce. « E' indubbio che il nostro venir da lontano si giustifichi nella necessità di avvederci personalmente dei problemi di questa terra »
« Questa regione è divenuta una cloaca di false speranze e discutibili virtù, che si sono mischiate tra loro confondendosi a vicenda » aggiunse, con un tono gelido e severo
« è un po' come scendere nella fogna di una grande città, per liberare l'immenso grumo putrefatto che ha otturato un canale di scolo e rischia di risalire in superficie con un puzzo insopportabile »
aggiunse, ancora « liberarsi del pattume è un lavoro importante; non possiamo non occuparcene personalmente »

Il nano rimase impietrito. Ci mise qualche secondo ad interpretare il senso di quelle parole, ma finì per comprenderlo solo dopo alcuni minuti - sorridendo ampiamente solo quando ebbe compreso di aver realizzato il senso profondo del discorso. « Pattume » disse, ansimando piano « quei demoni sono sicuramente pattume; e se vuoi una mano per sbarazzarti di loro, sarò felice di dartela! »
« Demoni? » sbottò il Corvo, con fare sorpreso « chi parlava dei demoni? »
Il nano tossì ancora, ancor più rumorosamente. Si fiaccò al punto da incurvare la testa verso il basso, facendo leva sul bastone di faggio. Poi potrò una mano alla bocca; si strofinò le labbra e, quando tornò a fissarla, la riscoprì piena di sangue. Sangue che gli cadeva dalla bocca. « Ma cosa diavolo mi succede? » parlò tra se e se, visibilmente nervoso
« ...vengo da queste parti in continuazione e mai mi è capitato di... »

« Come potete sperare di spezzare le catene della schiavitù, se non siete in grado nemmeno di marciare per un paio di giorni? »
Il Corvo parlava ormai con fare sprezzante, quasi arrogante. Poi, afferrò una delle travi che chiudevano il portone con entrambe le mani, staccandola di netto. Il nano fissò con orrore quel gesto, spalancando gli occhi. Eppure, il suo corpo non gli consentiva di fare altro che tossire: si divincolava nel dolore, piegando il capo verso il basso e vomitando altro sangue.
« Siete alti la metà di un uomo e non meritate che metà della libertà a questi concessa » commentò il Corvo, sferzante
« ed aspirate a creare un vostro Regno, quando non siete altro che una massa di contadini e zoticoni » asseriva nel mentre il Corvo, seguitando a staccare travi e rompere catene.
« Vi siete arrogati il diritto di dichiararvi liberi per principio, nonostante il Sovrano stesso vi abbia partorito visibilmente inadatti al comando ed alla civiltà » aggiunse, lacerando l'ennesima trave
« ...non si è mai visto dei vermi pretendere un loro Stato » aggiunse, sarcastico.
Poi, quando l'ultimo sigillo era stato rotto, si voltò nuovamente verso il nano. « In questo, i demoni sono molto più coerenti di voi: sono creature semplici, che uccidono qualunque cosa, senza distinzioni e senza asserire alcun principio che non sia la loro forza e la loro sete di sangue »
« Sono un interlocutore molto utile con cui parlare; oltre che un ottimo strumento di pulizia »

Il nano ormai non riusciva a smettere di tossire e non erano più infrequenti gli attacchi di asma.
Tirava su il fiato a più riprese, come se la bocca non riuscisse ad aspirare abbastanza aria. Quasi soffocava, a tratti, ma non mancò di abbozzare una risposta a tono.
« No-noi vogliamo solo essere liberi e vivere le nostre vite in pace...! »

Il Corvo si sfilò la maschera, piano, rivelando pelle chiara e capelli neri.
Il nano, di risposta, spalancò gli occhi, fissando qualcosa dietro di lui. Alle spalle del Corvo, infatti, il portone della miniera si era improvvisamente aperto: una coltre scura di occhi informi prese vita ed avanzò, come un'onda viva e vitale che bramava fame di carne, intenta a consumare qualunque cosa. Nel villaggio esplose il panico e tutti i nani che videro la scena, fuggirono via urlando per le vie del piccolo borgo. Nulla, però, sembrava fermare l'inarrestabile cavalcata dei demoni: chiunque desse loro le spalle, veniva sopraffatto dalla nera nebbia con cui si manifestavano e lacerato nelle carni, fino a divenire nient'altro che cenere.

« Questa vostra sete di libertà è un pericolo troppo concreto perché lo si ignori: si diffonderà come un morbo, oltre le montagne... »
aggiunse l'uomo, fissando il nano con i suoi occhi gialli pulsanti « ...a meno che noi non si trovi un modo per prevenirlo. »
Nel mentre, una grossa massa nera - con occhi rossi, deformi - si materializzò alle spalle dei due. Il Corvo si voltò a fissarlo, inarcando gli occhi e restituendogli uno sguardo altrettanto iroso.
« Uomo » disse l'essere nero, parlando a tono « comprendo la tua forza, ma soccomberai come tutti gli altri »
Il Corvo lo fissò qualche istante, poi si contrasse in un'espressione di pura ira.
« Io sono Caino » disse all'improvviso, afferrando il volto del demone con entrambe le mani « e nessuno può parlarci in questo modo »
Le mani di Caino emisero un leggero bagliore giallastro, mentre il volto del demone pareva consumarsi tra di esse. La bestia emise un ruggito acuto, che preso cambiò in un urlo di dolore. Infine, scomparve, piegandosi ai piedi del Priore e consumandosi nella terra, come se filtrasse nel terreno sotto di essa.

Altri demoni erano rimasti a fissare la scena. Benché ricolmi di ira, i loro occhi rimanevano a scrutare la scena, quasi con preoccupazione.
« Non soccomberemo a voi » disse il Priore, urlando in direzione delle bestie « sarete voi ad asservire la nostra causa comune »
« libereremo queste terre dal puzzo di libertà che l'hanno riempita » aggiunse, sorridendo « e vi promettiamo che ci sarà abbastanza gloria per tutti »

Gli occhi atterriti di Özcan non riuscirono più a chiudersi; rimasero fermi, sbarrati a fissare Caino divenire principe di quella follia, mentre l'ultimo fiato lasciava il suo corpo.
Caino vide il cadavere tozzo crollare sul bastone di faggio, spezzandolo. Poi, lasciò che venisse consumato dai demoni nelle vicinanze, come nulla fosse.
Qualunque cosa avesse generato quell'istinto di libertà che sollevava il popolo nanico, il suo viaggio in quelle terre aveva già avuto modo di confermarlo. E, in quest'ottica, i demoni avrebbero asservito alle sue necessità molto più di quanto non avrebbero potuto fare le Città Libere.

erdkun1

« Per il bene del Regno » sussurrò alla coltre nera informe, che prese a camminare al suo fianco
« è arrivato il momento di ripulire l'Akeran »



Scena con post singolo che giustifica l'affiliazione di Caino ai demoni.
 
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