Ad Extirpanda ~ Mirando al cielo più scuro
Le stelle erano sparite là in alto, ma il cielo restava plumbeo, cupo tanto quella giornata di guerra. Nulla del nuovo scenario pareva essere più gioioso o sereno, come se ad ogni vittoria si accompagnasse una punizione più che una qualche forma di gratificazione. Aveva battuto il primo orrore solo per trovarsi in una folta tenebra, che avvolgeva la sua stessa memoria; ricordava solo di esserne uscito stanco, ferito e frastornato. Ancora una volta si trovava di fronte ad un alto pinnacolo, che si stagliava alto senza comunicare alcunché di rassicurante, e parendo in tutto e per tutto un avversario da fronteggiare; l'ennesimo ostacolo da superare. Nessuno si frapponeva fra il cartomante e la scalata, o così era parso al primo sguardo dell'uomo, poi avvicinandosi notò una figura poco umana, che aspettava immersa nel silenzio più religioso. Non aveva occhi o orecchie, né naso, eppure comunicava allo stregone un ché di familiare nella sua vaghezza, e si ricordò di averla vista nella caverna di luce, e che era stato quell'essere a portarlo via da là. All'inizio non riusciva a distinguerne i tratti, ma più si avvicinava, più l'ombra cambiava, prendeva tratti antropomorfi, nei quali Jace riuscì a scorgere un viso, lucido e atono, privo di qualsiasi espressione; un volto che per lui era stato amico e di cui non conservava memoria. Perso com'era si appigliò con forza a quel briciolo di fraternità, sperando nella solidarietà della creatura, sperando di trarre dalle sue parole un barlume capace di dissipare le dense nebbie che appesantivano i suoi pensieri. Non sapeva dove si trovava, né che stava facendo o cosa avrebbe dovuto fare; non sapeva dove fossero i suoi amici né cosa fossero i suoi nemici. L'ombra avrebbe potuto mentirgli, e lui non avrebbe avuto i mezzi per distinguere il vero dalle bugie, ma preferiva appigliarsi anche a un fuscello piuttosto che farsi trasportare da maree ignote. Aveva troppe domande da porgli, ma scelse quella da cui sperava trarre più chiarezza. " Io non so chi tu sia, né m'interessa per davvero, ma ho capito qualcosa di te. Sei un messo, una specie di traghettatore, e mi hai portato davanti a quest'alta torre dall'aspetto tanto spaventoso.
Perché l'hai fatto? Perché mi hai portato qui? "
Trascorsero secondi così immobili da sembrare minuti interi, in cui il silenzio era così denso che solo il battere del proprio cuore faceva capire al cartomante che il tempo stesse realmente trascorrendo.
" Qui.
Non è in nessun luogo ed in nessun dove. Limbo, lo chiamereste voi, dove tutto può attendere e mai avanzare. Oppure Soglia, dove tutto può dipartirsi ma mai sostare. " La creatura aveva ignorato la sua domanda, come se non ne conoscesse la risposta o forse gli era proibito darne una. Non gli aveva però mentito, né l'aveva scacciato, non gli era stato ostile in alcuna maniera nella sua elusività. Anzi nelle parole di quell'essere il cartomante riuscì a leggere un monito e anche un consiglio, quello di non perdere tempo, o di attardarsi, di muoversi il più rapidamente per non restarne intrappolato per sempre. O così gli era parso di intuire, non erano di certo stato le spiegazioni più esaustive a cui aveva assistito. Il suo istinto gli suggeriva di agire, di far qualcosa, qualsiasi essa fosse, e le due alternative erano fin troppo chiare. Fuggire o salire, questa era la scelta che gli toccava prendere, nessuna delle due pareva priva di rischi ed entrambe significavano guai. Si voltò, pronto a fare il primo passo distante da quella trappola mortale che non celava in alcuna maniera la sua essenza ed anzi faceva di tutto per dire che fra le sue stanze la morte ballava più di una danza, ed aveva fatto dimora in pianta stabile. Voltarsi ed eluderla era la scelta più saggia, vagando fra quelle terre avrebbe trovato una via verso casa, si sarebbe lasciato alle spalle quegli orrori e avrebbe potuto iniziare la sua vita tranquilla assieme ad Afrah. Rivolgere a lei il suo pensiero fu l'errore tragico e fatale, quello che il suo lato più codardo e incline alla sopravvivenza avrebbe usato per pungolarlo quando le cose si sarebbero fatte cupe e infelici, e il sangue sarebbe schizzato copioso dalle sue ferite. Si rigirò e prese a salire la torre, ben conscio di quanto se ne sarebbe pentito. L'amore - che fosse per una donna oppure per un'idea - aveva un potere assurdo sugli uomini, capace di renderli ciechi, folli, assurdo e di portarli a fare cose contrarie alla propria indole, cose assolutamente sgradevoli e per cui si sarebbero torturati nel silenzio delle proprie riflessioni. La beduina era una figura meno angelicata di quanto l'immaginava lo stregone, che pure la conosceva bene, eppure qualcosa in lui diceva che lei avrebbe apprezzato più Jacechescalavalatorre piuttosto che Jacecheseneandavaviadallatorre, perché in qualche modo sentiva che lassù in cima si sarebbe compiuto qualcosa di importante, il destino di tante vite, e perdere l'occasione di partecipare sarebbe stato un peccato tremendo agli occhi della Banshee. Lei non era di certo una santa, ma nemmeno un essere dall'insensibile cuore di pietra. E mentre faceva quelle riflessioni, e tante altre molto simili, aveva già percorso tanti gradini, superato innumerevoli piani, oltrepassato stanze ricolme di strane figure a volta semplicemente strane, altre totalmente assurde; e ogni qual volta si perdeva c'era l'ombra a guidarlo. Niente sembrava volerlo fermare, ma questo non rendeva l'atmosfera più piacevole o anche solo meno inquietante; anzi ad ogni angolo il terrore si faceva più grande. Dopo un lasso tanto grande di tempo che sarebbe potuto essere un giorno o forse un anno, i gradini terminarono e un grande salone si aprì davanti a Jace, la stanza più grande di quel luogo. Un denso corte di figure alloggiava là, diafane come la sua guida, e a lui sconosciute. Fra loro stavano anche due persone dall'aspetto più concreto, una dama bianca a lui ignota, ed una vecchia conoscenza, Giapeto dei Titani. Il Cartomante tremò a vedere finalmente un volto amico, o perlomeno qualcuno di cui fidarsi. Si voltò verso quella che fino a quel momento era stata la sua guida, e gli rivolse poche parole a tono molto basso. " Che cosa sta succedendo qui? Che c'entro io? " E attese una risposta, temendo il compito che gli sarebbe stato affidato.
CS: 5 | Intelligenza 2 Prontezza 2 Maestria con le armi 1 Critico 40 | Alto 20 | Medio 10 | Basso 5 Stato Fisico: Illeso, Stato Psicologico: Illeso, Energia: 100% Passive in Uso: ° Nessuno svenimento al 10% di energie, ° Auspex passivo delle auree, ° Le tecniche illusorie non bisogno di gesti per essere castate, ° Jace può alterare la sua voce ed è un ventriloquo, ° Jace può modificare il suo aspetto a piacimento se un illusione è attiva, ° L'aura di Jace non è individuabile da Auspex Magici, ° Ogni volta che un avversario usa una tecnica magica guadagna 2 CS in Intuito per quel turno, ° Le tecniche offensive ad area di Jace hanno potenza pari al consumo, ° Una volta che il cartomante avrà accumulato un danno Critico al fisico, guadagnerà 2 CS in Istinto, ° Estraendo la Vena, Jace è riconosciuto come un grande cacciatore di nemici del Sorya, ° Non soffre di stenti/intemperie all'interno delle terre dell'Eden, ° Due possessori delle vene si capiscono anche senza parlare;
Riassunto Post:Jace prima chiede al SdV perché l'abbia portato lì, e interpreta la sua risposta come un monito a sbrigarsi. Vorrebbe fuggire da Velta, ma il senso di responsabilità che ha maturato dalla scena finale di Cronos, lo spinge a salire i gradini. Arrivato in cima riconosce soltanto Jevanni, proprio per i tanti incontri avvenuti in Cronos, ma prima di intromettersi nella discussione chiede ancora una volta all'ombra il suo ruolo in quella vicenda, non credendo alla casualità della sua presenza in quella torre. |