Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Rapsódia

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view post Posted on 7/5/2014, 02:59
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- La Torre Nera -



Camminava con passo malfermo, tremante, desolato. Misero trascinarsi di un corpo le cui fattezze avrebbero potuto evocare tanto il più abinevole dei mostri quanto il più aggraziato degli angeli.
Cosa sei tu?
Gli sussurrò il vento turbinante, greve di polvere e cenere, colmo di sabbia e fuliggine.
Cosa sei tu?
Gli gridarono dall'alto i cieli neri di caligine, scuri di una pioggia solo annunciata.
Socchiuse le palpebre, una mano a poggiarsi sul volto stanco per poi ricadere al fianco, inerte, debole quanto la morte stessa.
Non lo so.
Ansimò.
Non ne ho idea.
Pensò avanzando ancora.
Poiché ciò non ha più davvero importanza ora che, ne sono certo,
lo sento.
Lei mi sta chiamando.
Lei.
Nel gemere del vento odo la sua voce, la sua angelica melodia parlarmi d'amore, di promesse, di verità. E ricordarmi la vera essenza di ciò che è potere, forza, bellezza.
Socchiuse ancora le palpebre, una stanchezza grande come una vita intera a piegargli le gambe malgrado il suo ostinarsi a resistere.
Quando alzò di nuovo lo sguardo, Velta torreggiava dinnanzi ai suoi occhi appannati.
Non bianca come la ricordava nei suoi sogni -o nei suoi ricordi, forse, difficile dirlo- ma nera più della notte. E sottile, come lama puntata a brecciare il cielo, incidendolo da parte a parte con feroce precisione infida.
Stupito ed intimorito al contempo, egli si ritrovò ad aspirare per un attimo la letale essenza di quel monolite, di quella svettante struttura senza accorgersi,
inebriante sensazione,
che nel farlo il suo corpo cedeva sotto il peso di un tremito incontrollabile, trascinandolo così a terra in un tonfo misero, desolante.
Gemette, suo malgrado.
La Melodia parve però gradire, poiché variò appena e modulò attorno a lui, come risatina argentina nelle sue orecchie ferite.
Mi deridi, Velta?
Si tirò faticosamente in piedi.
Ridi di colui che a te si appresta malgrado le avversità, malgrado le sofferenze?
Ma del resto non è mai stato il cuore la tua forza. Né la gentilezza.
Né la compassione.

Avvertì il gusto del proprio sangue in gola, ferruginosa sensazione al limite della coscienza ora sublimata all'incoscienza dal potere di Velta, Luce funesta per falene sperdute.
E' nella crudeltà che tu risplendi più fulgida che mai. Maledetta ingannatrice. Maledetta predatrice senz'anima.
Eppure ora, più che mai, è verso il tuo abbraccio letale che io mi precipito ansante, fremente, il cuore colmo di un amore che mai avrei pensato di poter provare per te.
Eppure lo so, lo avverto,
che è di morte il profumo che ora tanto bramo ghermire.


BvgwNve

Nera e ghignante, la nera Torre era oramai abbastanza vicina da occupare per intero la sua vista, rivelando la mostruosità della propria grandezza e magnificenza. Un titano d'Oscurità, tanto terrificante da gelare il sangue.
Eppure già so che è nel tuo fatale abbraccio che capirò, infine, che come tutti gli altri non è l'amore che a te mi spinge ma solo un macabro ritornello fatto di acuti inarrivabili e profondi abissi senza fine.
Si appoggiò all'ingresso, le gargantuesche porte della Torre che in un attimo presero allora a schiudersi con un gemito infernale, rimbombo cupo dell'oltretomba.
Sospirò, gemito confuso di sbigottimento e paura.
Mi ami, Velta?
Esalò
Mi ami, Eitinel?
Ruggito oscuro, il silenzio calò in quell'attimo in tutto l'Edhel, nera spire dello schiudersi di Velta, la Nera Torre dell'Oblio.

-O-

L'istante dopo, la nera caligine del cielo si brecciò di un milione di lacrime di pece.
Nulla più che acqua. Maledetta, stramaledettissima acqua.
Ghignò furiosa Alexandra ora lanciata al galoppo sulle distese erbose dell'Edhel. Dietro di lei marciava -a perdifiato in realtà- la schiera dei Leoni che in quell'oscuro viaggio l'aveva accompagnata e che ora, malridotti e macilenti tentavano a fatica di starle dietro nell'inseguimento del Risvegliato e dell'altro Artefatto con lui.
Densa e scura, la pioggia aggredì in un attimo l'intera compagnia con la forza di mille aghi appuntiti, imbrattando le loro vesti e impastando il terreno sul quale si affrettavano ad avanzare trasformandolo in un attimo in una nodosa poltiglia melensa.
"Avanti!"
Digrignò Alexandra voltandosi appena, la sua figura oblunga stagliata nell'ombra di una Velta sempre più vicina e sempre più minacciosa nel profilo cavernoso del cielo.
"Non abbiamo molto tempo!
Le porte si stanno aprendo e se non lo fermiamo, quel dannato Risvegliato andrà dritto dritto all'ultimo piano!"

Nello scroscio della pioggia le fu impossibile capire se gli altri alle sue spalle l'avessero effettivamente sentita o se, ancora peggio, avessero detto qualcosa in risposta alle sue parole, ma voltarsi per accertarsi di entrambe le eventualità avrebbe significato rallentare l'andatura forsennata alla quale ora Alexandra stava spronando la propria cavalcatura.
Cosa del tutto sconsigliabile, vista la fame di tempo di cui ora deficitava la sua missione.
Alzò una mano a pulirsi il viso dalla pioggia ora abbastanza fitta da impedirle quasi di vedere.
Quante probabilità avevano di arrivare in tempo?
Quante possibilità c'erano di evitare l'inevitabile?

Fu in quell'attimo che, letale e mortale come colpo di falce attorno a loro, un nuovo Silenzio calò su tutto l'Edhel, gelando perfino lo scroscio della pioggia stessa.
Socchiuse un attimo le palpebre, la presa sulle redini che in un attimo si faceva di ghiaccio per la tensione.
Stupide domande per stupide risposte.
La possibilità era una ed una soltanto.
Velta e tutto ciò che quella maledetta Torre rappresentava
doveva cadere.
O al suo posto, sarebbe stato l'Edhel medesimo a sprofondare nell'Oblio.




CITAZIONE
Al termine del Ciclo di Contrapunctus, Velta è ricomparsa sul territorio dell'Edhel in corrispondenza del territorio di Matkara, sua antica sede originaria. Le cause che hanno determinato la sua apparizione sono -come sempre- ignote, ma questa volta la spiegazione sembra essere più vicina del solito: due degli antichi artefatti Sorya sono stati scoperti e "risvegliati" dal loro sonno ed ora, spinti a ricongiungersi con l'antico potere che ne ha segnato l'origine, quello di Eitinel, si dirigono a proprio modo verso la torre. Decisa ed evitare tale ricongiungimento, Alexandra e la propria guarnigione di Leoni dell'Edhel si sono lanciati all'inseguimento dei due artefatti (il primo incarnatosi nel corpo di un Risvegliato, il secondo concretizzatosi in una forma eterea di civetta).
Di nuovo desta, Velta comincia come ad ogni sua comparsa a cantilenare il proprio richiamo ammaliante, capace con la propria voce di tacciare ogni altro suono in tutto l'Edhel. Il messaggio, come sempre, è chiaro, ma forse questa volta qualcosa di più si agita nelle note della Torre, qualcosa che più che una melodia pare un allarme, un segnale impossibile da ignorare.
 
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view post Posted on 7/5/2014, 23:24
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Ed infine eccola.
Eccola.
Maledetta quanto il nome stesso di colei che la creò per proprio gusto e semplice diletto.
Velta.
Dito al cielo ammonitore, puntato onde indicare -come sempre- qualcosa solo per alcuni percepibile, solo per pochi veramente osservabile. Che si trattasse dell'Infinito? Dell'Universo? O più semplicemente della grande burla che quella dannata struttura ogni volta sapeva giocare a chiunque fosse tanto sciocco da sfidarla?
Grondante di pioggia nera quanto e più della fuliggine, Alexandra tirò infine le redini del proprio destriero onde interromperne la strenua cavalcata che era riuscito a spingerla lì malgrado le intemperie, malgrado l'infuriare degli elementi, malgrado la repulsione che perfino il mondo pareva suggerirle rispetto alla sua decisione di raggiungere la Torre.
Livida abbandonò il proprio ghigno sardonico in ragione di una ben più palese espressione di rabbia e frustrazione nell'alzare ancora una volta lo sguardo
e ancora una volta
vederla lì,
Lei,
svettante e immortale, infida traditrice che ben più di una volta aveva saputo ghermirla e giocare con lei, misero scendiletto.
Ma non questa volta, mia odiosa amica.
Si ripromise finalmente gettando un'occhiata alle sue spalle e, vago sollievo, trovarvi lì riuniti i suoi compagni, sporchi e ansanti.
Inconsciamente la sua mano sinistra scese allora al ventre, saggiando con vaga preoccupazione il rigonfiamento caldo che lì soggiornava, quieto, malgrado i suoi turbamenti.
Malgrado il Risvegliato fosse già entrato entro le porte ora spalancante, imprendibile lungo la vertiginosa scalata alla vetta.
Non importava.
Si impose.
Questa volta
Socchiuse le palpebre
fosse l'ultima cosa che faccio in vita.
Giuro che ti distruggerò
Eitinel,
e con te quell'orribile casetta che ti sei costruita nell'Edhel.


OPzvfXM

Con un movimento misurato portò la mano destra alla spada al suo fianco, circondandone l'elsa in un brivido ovattato.
Possibile che facesse davvero così freddo?
Possibile che quella pioggia torrenziale stesse davvero ricoprendo di una nera e stopposa caligine ogni cosa attorno a loro?
Quanto grande può davvero essere, ancora, il tuo potere, Eitinel?
Pensò.
"Ricordo che vi fu un tempo dove il Sorya era un oscuro antro di tenebra ai confini del mondo"
gridò invece con tutto il fiato che aveva in gola. Nel medesimo istante estrasse la spada e la volse alta in cielo, stendardo improvvisato della sua persona.
"Dove l'Edhel riecheggiava dei sussurri di un mondo sotterraneo nero e desolato. Dove l'orrore dominava le menti infestando tanto le notti quanto i giorni di tutti.
E dove il Sogno fuggiva, ferocemente braccato dagli incubi più terrificanti."

Poco lontana, Velta mugghiò della propria titanica grandezza, vapori corvini a condensarsi tutt'attorno alla sua struttura come lividi respiri della pietra stessa.
"E ricordo una donna, una creatura la cui potenza era pari solo alla sua più genuina e inarrestabile pazzia. Chiamata dalle Ombre Madre. Acclamata dagli uomini Salvatrice"
con uno slancio, Alexandra puntò improvvisamente la propria spada alla volta della Torre
"Eitinel"
Sogghignò
"Forse un tempo è con il nome di Dama Bianca che voi la conosceste,
ma oggi è con il suo vero appellativo che io ve la presenterò per quello che sarà il suo ultimo atto, il suo canto del cigno.
Da questo momento in poi, lei è e sarà per sempre
il Passato"

Si erse ritta sulla propria cavalcatura, in un attimo non più madre, non più donna, non più guerriera ma solo e solamente
Regina,
una Regina senza forse un regno, ma certo colma di un coraggio ed una rabbia grandi come il Sorya intero, grandi come tutto quell'Edhel che forse troppo a lungo si erari trovato a sopportare il giogo di un angelo tanto fulgido, tanto lucente da divenire infine letale allo sguardo, infido e bruciante miraggio prossimo dal trasformarsi in incubo.
"Abbandonate le false credenze, i miti bugiardi."
gridò ancora una volta Alexandra, lo scrosciare della pioggia a ghermire le sue parole in un ringhio crudele.
"Quella"
indicò con rabbia Velta
"Non è affatto la culla di ogni vostro desiderio. Non è la scala per l'immortalità.
Quella è solo e solamente la nostra prossima battaglia"


Ma è davvero possibile muovere guerra ad una Torre?
Ha davvero senso dichiarare guerra ad una struttura di mattoni e sasso?

La domanda serpeggiò funesta in quella bufera di acqua e vento.
Dardeggiò velenosa in quel rivoltarsi di ogni tradizione, di ogni consuetudine che avrebbe visto Velta risplendere di mille soli e fulgori e non viceversa imbrunire ancora di più, manto nero di minaccia latente.

Poi, lento, il placarsi mesto del vento.
Il quietarsi della furiosa pioggia.
Il cupo scintillare, per un attimo, delle livide pareti della torre in un grigio ghigno ossidiana.
Certo che è possibile.
Ma voi,
voi che ora, spavaldi di collera, osate perfino dichiarare guerra alla Storia stessa,
siete davvero certi di volere
che la Storia dichiari guerra a voi?

Ed infine, cupo, il brecciarsi delle pareti della struttura mentre da essa, come il germogliare di radici gargantuesche, quattro figure nodose prendevano lentamente a fuoriuscirne una dopo l'altra, una di seguito alla prima.
Per un unico, mortale, attimo, il volto di Alexandra impallidì allora di una nuova forma di vero e schiacciante terrore.
Davvero, mia cara Regina senza casa,
mia cara Principessa senza castello,
sei sicura che il potere di Velta,
del Passato,
ora ti spaventi davvero così poco da osare perfino metterti contro di esso?


Colossali quanto il gelido ventre che le aveva generate, le quattro creature calcarono terra in un rimbombo di terra e cielo, mordendo nasciture il loro nuovo mondo con un greve gemito infernale, ribollire di gelo e pioggia ora nuovamente viva, pesante, insopportabile.



CITAZIONE
Nessuno riesce ad impedire l'ingresso del Risvegliato e del secondo artefatto all'interno della Torre. Giungendo a fatto compiuto, Alexandra però non si perde d'animo. Decisa a porre fine al regno del terrore imposto da Velta e dallo spauracchio del potere di Eitinel, ella dichiara una volta e per tutte guerra ad entrambe in nome dei Leoni dell'Eden e del Sorya stesso, preparandosi ad assaltarla con il proprio, improvvisato, esercito composto in prevalenza dai Leoni dell'Eden a lei fedeli. In risposta alle dichiarazioni di Alexandra, Velta evoca dalle proprie mura quattro creature colossali, immediatamente riconoscibili come dei veri e propri guardiani decisi a difendere in ogni modo la struttura da qualsiasi invasione esterna.
Per chiunque non si trovi nei territori più prossimi a Velta: la torre è abbastanza alta ed imponente da essere visibile anche da grandissime distanze. Non solo: la voce di Velta, il suo classico richiamo che spinge ogni creatura ad approssimarsi alla sua struttura come in risposta ad una vera e propria malia risuonerà più che mai potente in tutto il continente, richiamando da ogni dove chiunque sia così sfortunato da udirla. Tutti i partecipanti al torneo, ovviamente, udiranno non solo il richiamo ma vedranno Velta apparire all'orizzonte. Una volta giunti, tutti i personaggi partecipanti al torneo verranno richiamati alla guerra dal discorso di Alexandra. A loro la scelta se abbracciare o meno la causa, ma attenzione: qualunque sia la scelta, i Boss attaccheranno chiunque tenti di avvicinarsi alla Torre o si trovi anche solo casualmente nelle vicinanze.
La scena si svolge durante il giorno, ma la giornata si presenta nera e cupa, tormentata da una pioggia fitta, costante e implacabile, per qualche ragione capace di lasciare tracce nere su vestiti e corpi.
 
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view post Posted on 16/5/2014, 15:19
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Mille frecce dal cielo cupo, e quello non era nemmeno l'inizio. Sembrava che fosse la stessa Torre ad attaccarli con la pioggia, ordinando ad una schiera spettrale di arcieri di spargere disperazione fra i ranghi.

Era una visione delirante, ma - Jevanni pensava - quella che più si avvicinava alla realtà. O ciò che rimaneva della realtà: in fondo cosa era reale, in quella radura imbrattata da acqua nera come la pece? E cosa non era reale, era davvero solo illusione?

Il viso era già fradicio, nonostante il cappuccio gli ricoprisse il volto e le vesti appesantite ed umide gli sbattessero sui fianchi. Ogni goccia era una scudisciata, per quanto stava spronando il cavallo al galoppo - eppure tutto sembrava essere fin troppo lento, come un incubo che aveva intenzione di dipanarsi nella sua interezza prima di giungere alla conclusione. Eppure non aveva tempo, così come non ne aveva avuto nemmeno per chiedere chiarimenti: gli ordini erano perentori, con un'urgenza venata di un'ansia che mai avrebbe pensato di scorgere né nella Regina né nel suo braccio destro Donovan. Il fruscio di ali rimbombava ancora nelle sue orecchie, ed era stato in quel momento che la voce di Alexandra era squillata. Non fartela scappare. Donovan aveva fatto sgomberare il passaggio, e Jevanni era balzato in sella sfrecciando nella mischia.

Non era la prima volta che aveva lo spiacere di posare lo sguardo su uno spettacolo di quelle proporzioni: la prima volta, però, erano stati tutti colti alla sprovvista. La Regina invece era stata pronta stavolta, portando la sua armata in un vero e proprio assedio. La mano sinistra pulsava, come se qualcuno vi avesse calato una mazza sopra, eppure la sentiva gelida come un pezzo di ghiaccio. Se la portò istintivamente al petto, come se scaldarla potesse cambiare qualcosa - ma sapeva che non era affatto così. Come il marchio del padrone, scavato nella carne bruciata dello schiavo, il bacio di Velta non sarebbe svanito così facilmente.

I colossi avevano ammutolito Alexandra così come gli uomini al suo seguito, e Jevanni stesso non poté reprimere la morsa allo stomaco nel notare i lineamenti mostruosi di ciascuno dei guardiani mentre cavalcava sempre più vicino a loro; fortunatamente erano distratti, e probabilmente la Lady aveva sperato questo. Anche se gli uomini morivano attorno sotto il saettare delle serpi e sotto gli zoccoli dell'incubo, non poteva prestar loro aiuto o attenzioni: la presenza della civetta stava svanendo, e con essa la traccia che stava lasciando dietro di sé.

Giunto alla soglia della torre, una vera e propria sagoma fulgida nella penombra di quel giorno malato, un nitrito allarmato del cavallo strappò brutalmente il cavaliere dai suoi pensieri. Il mondo sembrò rovesciarsi vertiginosamente nell'attimo in cui si impennò, e i guanti inzuppati persero la presa sulle redini lasciando che il loro proprietario cadesse di schiena nel fango. La botta lasciò Jevanni senza fiato, incapace di muoversi o richiamare il destriero - per poco non perse i sensi, immaginando che quella fosse la fine di quell'incubo particolarmente orrendo. Poi ricordò: era tanto tempo che non sognava. E la causa era a pochi passi, lo stava irrorando di luce - come se lo stesse invogliando ad entrare. Ma lui era già entrato nella Torre, poiché in fondo ne era uscito. Solo che non sapeva come vi fosse entrato in primo luogo: era come se fosse stata Velta, in realtà, ad inghiottire tutti.

Si costrinse a risollevarsi, puntellandosi con la spada sul terreno malfermo per riprendere l'equilibrio. Ormai era completamente sporco, nero al punto da somigliare alle stesse Ombre che aveva combattuto e che piagavano l'Edhel; si strappò il mantello fradicio e infangato di dosso che cercava di trattenerlo, una camicia di forza che lo implorava di non commettere quella pazzia - ma non era solo una questione di ordini. Non aveva importanza che Alexandra gli avesse detto di seguire la civetta, né gli sarebbe servito davvero chiedere spiegazioni su cosa fosse, o perché fosse tanto importante. Il richiamo di Velta era forte, per alcuni più che per altri: era tanto - tantissimo - tempo che il Guerriero aspettava di ritornarvi.

Il desiderio latente si compì in quell'unico passo, e Jevanni si immerse nella luce della Torre nera.

 
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view post Posted on 25/5/2014, 12:01
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"Avanti! Non lasciatevi intimorire!"
Nella voce di Alexandra una nota roca, aspra, graffiante percezione di un dolore che ella pareva reprimere nell'infuriare della pioggia, nel divampare degli elementi.
Pochi la notarono, pochi se ne accorsero.
Eppure suo malgrado,
malgrado la rabbia ed il furore,
malgrado la passione che feroce la sospingeva avanti verso Velta ed i suoi incubi sibilanti,
Alexandra stava soffrendo.
Abbastanza da stringere i denti e gemere di tanto in tanto fra sé, debole appannarsi della vista.
Sufficientemente da chinarsi un attimo verso terra, una mano a serrarsi al ventre e l'altra a piantare la lama della spada a terra come bastone improvvisato.
Alexandra, la Regina senza Regno,
ora in guerra non solo con il mondo esterno ma anche con se medesima, donna come mai, madre più di altre.
"Non è il caso che stiate qui, mylady"
le fece eco un giovane alle sue spalle tentando -pur con timore-, di accostarlesi mettendole una mano sulla spalla. Lei lo scacciò con un gesto perentorio.
"Sto bene"
scosse la testa, lo sguardo che si alzava ancora una volta in direzione di Velta e della sua cima.
"E anche se non fosse non potrei certo andarmene proprio ora"
Non ora che, finalmente, si era giunti alla resa dei conti.
Non ora che, solo, Jevanni si stava inerpicando su quella maledetta struttura al posto suo, sfidando una potenza contro la quale pochi avrebbero osato schierarsi contro.
Che Regina sarebbe stata andandosene via proprio in quel momento?
Come avrebbe potuto lasciare i suoi uomini morire senza essere lì con loro, senza condividere attimo per attimo le loro sofferenze, i loro dolori?
Ma di nuovo,
a tradimento,
fu una fitta lancinante al costato a piegarla in due con un grido contrito.
Il giovane le si accostò di nuovo, ora la preoccupazione mutata in un ben più temibile senso del dovere
"Voi dovete riposare"
la nota perentoria nella voce di questi non piacque ad Alexandra, eppure le sue sofferenze erano tali da non consentirle di rimproverarlo come avrebbe voluto.
Viceversa boccheggiò, tremando convulsamente,
e prima di capire come o perchè,
Alexandra cadde bocconi nel fango, una valanga di pioggia a riversarsi su di lei con violenza inaudita.
"Dannazione..."
sibilò, ma la sua rabbia non le diede la forza sufficiente a sollevarsi e rimettersi in piedi nuovamente.
"Mylady..."
con una fitta -non solo di malumore- la Regina avvertì il paggio circondarle il petto con le braccia come cercando di sollevarla.
Mylady...
Quale ironica fine, questa, per una lady come lei.
Soccorsa da un ragazzino mentre come una vecchia se ne stava a terra bocconi, incapace perfino di pensare ad un modo per rendersi meno inutile e misera di quanto già non fosse.
Lei,
una Regina senza regno ed ora,
senza coraggio.
Senza la forza di guidare innanzi coloro che in nome della sua guerra, in nome di ciò che lei rappresentava stavano combattendo.
Socchiuse le palpebre, gocce nere ad appannarle la vista in grigie oscurità.
"Aiutami a rialzarmi"
sillabò con voce impastata
"Aiutami..."
Mentre tutto attorno a lei il mondo sbiadiva e con esso l'ultima, terribile, imago di Velta, Alexandra lasciò che le sue mani abbandonassero finalmente l'elsa della propria spada, ora piantata a terra quale ultimo baluardo della sua portatrice.

-O-

DPoaLue

Canta, piccola dolce Velta.
Canta, alto arpeggio di torpore e disperazione.
Cupo melodiare di malizia e perfidia.
Canta.
E grande sarà la virtù di cui io ti farò partecipe e manifesta creatura.
La grandezza,
che nel tuo nome io scolpirò sulla grigia lapide di questo mondo gretto e meschino.
Canta,
poiché io così ti comando,
così io ordino,
così io vorrò che di me tu sia araldo, monolite oscuro.


L'immagine del suo volto tremola, crepita e si distorce.
Poi, sibila, creste d'abisso a rizzarsi ovunque in quello specchio ricurvo, bacino di vitreo livore.
Che sia la sua nuova e rinnovata potenza?
Il suo ritrovato potere?
O solo il suo sollevare il volto, come predatore a fiutare l'aria, e poi abbandonarlo di lato, posa insieme elegante ed effimera?

"C'è qualcuno?"

Sospira con voce senza parole,
con sillabe senza consistenza.
Lieve esitazione.
Lieve intorbidirsi del pavimento ai suoi piedi.

"C'è qualcuno"

annuisce, di Velta l'improvviso brivido che scorre in quel suo constatare, in quel suo avvertire, ed al contempo allarmare,
che un intruso giunge con passi d'affanno all'ultimo piano,
della Torre vetta, della struttura appendice un tempo caduca.
Qualcuno che crede,
vago presentire,
che incubi e illusioni, di questo mondo i sommi sovrani,
altro non siano che semplici dubbi, incertezze,
facili da scostare come velo della ragione, come brina del pensiero.

"Ce n'è uno"

vibrano le scale,
sospirano le pareti

"Uno che della paura non teme l'oscura visione"

sorridono le colonne,
i muri portanti

"Che a perdifiato si appresta, della Paura la radice incontrare"

Ed è all'unisono che tutti insieme prendono allora a vibrare, orecchiale sensazione di salmodia,
nenia infernale.

"Ma suvvia, da bravi,
fatevi da parte,
buoni,
lasciatelo entrare.
Lasciatelo scalare.
Così che per davvero possano tutti capire,
una volta e per sempre,
che non è dal destino o dalla paura,
che si può sperare di poter fuggire."

 
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« Sono qui. »
Voleva essere una dichiarazione di guerra alla Torre, pari a quella di Alexandra, ma la voce uscì tanto sottile da quasi non riuscire a liberarsi dalle labbra. Anche così, Jevanni sapeva, Velta lo aveva sentito.

Ella gli rispondeva, la voce di una donna e il sussurro di diecimila altri a riempire quello che altrimenti sarebbe stato un cupo silenzio. Riuscì ad immaginarsi un sorriso compassionevole disegnato su quelle pareti gargantuesche, tetre e che nulla avevano a che vedere con il luccicare che lo aveva guidato sin lì; un sorriso del genere avrebbe circondato un castello, inghiottendolo proprio come un elefante avrebbe inghiottito una formica. La Torre, la stilettata nera che si levava dalla terra elevandosi verso il cielo, quell'obelisco al mistero del Sorya che le armate stavano assediando sotto la pioggia battente, non era nulla rispetto alla sala spoglia eppure gigantesca che ospitava l'uomo.

Non c'erano torce ad illuminarne i confini, anche se un tenue e soffuso bagliore lasciava intuire -forse sperare- il termine di quel nuovo mondo. Come altro poterlo definire? I rumori della battaglia infuriante erano spariti, il ticchettare della pioggia indemoniata si era spento: nessuno avrebbe mai saputo indovinare, lì dentro, cosa stesse accadendo oltre la soglia di luce. Non che a quel punto avesse più senso: era dentro, e la sua missione era di fermare la civetta. Certo, la civetta. Da qualche parte, nella sua testa, sentì una risata. Rabbrividì, riconoscendo in quel sarcasmo il proprio, ma posò ugualmente il piede sul primo gradino.

« Allora? Cosa hai trovato nella Torre? »
La voce di Alexandra era come al solito priva di cortesia, spiccia e diretta. Normalmente avrebbe replicato anche lui andando dritto al punto, ma la bocca non si aprì. Jevanni ruotò il capo alle spalle, nel buio infinito di Velta, intercettando lo sguardo penetrante della donna. Attendeva pazientemente, una mano poggiata al proprio fianco, senza battere ciglio dinanzi al mutismo del Guerriero. Una morsa gli strinse lo stomaco - non era l'assenza di curiosità, nemmeno l'assenza di disinteresse o l'assenza di una qualsiasi emozione palpabile all'interno di quelle iridi cristalline: era il modo in cui queste lo inchiodavano senza riposo a tenerlo fermo.

« Di cosa sta parlando? Sono ancora... »
L'aria gli si fermò in gola, troppo pesante per venir inspirata e densa per venir espirata. Lei non poteva essere già lì, davanti alla soglia che aveva varcato. Lei era distante miglia, non si poteva essere già lanciata nella mischia - non era in grado di farlo, per quel che Jevanni aveva visto nel pallore della donna. Posò le dita sull'elsa della spada, pronto ad estrarla e lanciarsi contro l'inganno, ma in un battito di ciglia della figura non era rimasta alcuna traccia. Le gambe gli diventarono molli per qualche istante, eppure non cedette alla tentazione di fermarsi.

Iniziò a salire la scala che si avvitava attorno a Velta in una spirale infinita, marmo bianco che pareva fluttuare nella penombra sino alla sommità, ascoltando con un misto di apprensione e rapimento, attrazione e paura ciò che la Torre cantava. Per lui? O lui era solo uno spettatore di qualcosa di fin troppo grande perché possa rispecchiarsi in esso?

« Da chi fuggi? »
Jevanni sussultò al sentire al suo fianco nuovamente la figura della Regina, la sua voce perfettamente in armonia con quella di Velta. Era la Torre a parlare tramite la sua bocca, si rese conto.
« Io non fuggo. »
Il fantasma con le sembianze della donna mantenne il passo accompagnandolo nella scalata, rimanendo in silenzio e non emettendo un singolo rumore o fruscio coi suoi passi. Non portava l'armatura che teneva in battaglia, ma un abito che sfiorava ciascuno dei gradini come una carezza benevola. Lui invece era armato e ricoperto da una corazza - forse aveva davvero paura. E se davvero aveva paura, stava fuggendo?

Scosse furiosamente il capo a quel pensiero.
« No, io sto venendo per te. »
Avvertì un sospiro al suo fianco, una nota morente del sottofondo - e fu nuovamente solo, unicamente il canto a seguirlo, mormorato nelle orecchie come la ninnananna di una madre. Non c'era però niente di tenero e caldo, nulla di materno nella sensazione che pervadeva le viscere dell'uomo - era qualcosa di più profondo. Estraneo. Magnetico.

La mano sinistra prudette improvvisamente, come se una piuma invisibile avesse preso a solleticarla - ma Jevanni, afferrandola, comprese. Era un bisogno impellente come la necessità di mangiare - no, di respirare - che albergava in lui pur non appartenendogli direttamente. Un canarino che vuole fuggire dalla gabbia. I lineamenti neri si agitarono sul dorso e sul palmo, intrecciandosi in un unico simbolo sinuoso che ricoprì l'intera mano, per poi dissolversi in un crepitare come di fiamme che inceneriscono un foglio di carta. La dama di luce scaturita gli fu davanti, sorpassandolo nella scalinata passandogli accanto come se gli fosse sempre stata dietro; si voltò verso il Guerriero quando lo vide non muoversi più, come aspettandosi che si desse una mossa, con il suo sguardo privo di occhi e il suo volto privo di lineamenti visibili - solo una sagoma fulgida risemblante una donna. Jevanni non si mosse.

« Non ho intenzione di giocare ai tuoi giochi. »
La voce rimbombò nel vuoto, l'eco si spense e si mischiò nel canto - ripetendo e scimmiottando le sue parole.
Alle sue spalle, Asmus Bergsonn si lasciò sfuggire un sogghigno.
« Certo, non ti è mai piaciuto particolarmente giocare in ogni caso. »

Il Generale, come lo spadaccino preferiva ricordare il suo mentore, era appoggiato alle mura gelide di Velta sulle quali si poggiava la scala - ormai tanto alta che a sporgersi di sotto sarebbe stato impossibile scorgerne il fondo. Il vecchio si massaggiò la barba, e ricambiò lo sguardo accigliato di Jevanni con un gesto di commiato.
« Ma se credi che questo sia un gioco, allora non so cosa sarebbe qualcosa di serio per te. »

Il Guerriero strinse il pugno.
« Questo non è niente. Tu non sei niente. Solo contrattempi, distrazioni. Scocciature. »
Fece per voltarsi e continuare la marcia, ma la gamba stava tremando.
« Cosa hai trovato nella Torre? »
La domanda lo colse alla sprovvista, paralizzandolo, anche se gli era già stata posta.
« Contrattempi. Distrazioni. »
Ripeté. Non credette a niente di ciò. La voce atona fu a malapena udibile, presto assorbita nella melodia di Velta. Bergsonn avanzò di un passo, sfiorandogli la spalla - ma Jevanni non sentì niente. Dietro di lui, Asmus aveva smesso di sorridere - come percependo lo smarrimento. L'assenza di risposte che suonassero vere.
« Trovi ciò che cerchi. Ma chi fugge sa da cosa fugge, non cosa cerca. »
Jevanni esalò un respiro profondo, trascinandosi meccanicamente sui gradini superiori della scala- lo sguardo vitreo della dama, la sagoma tremolante come una fiamma in procinto di spegnersi, lo seguì vigile tenendo d'occhio il fantasma di colui che era stata la figura più simile ad un padre del Guerriero.
« Io non sto fuggendo. »
Perché i Guerrieri non fuggono, avrebbe voluto aggiungere, ma le labbra si erano come seccate. E come poteva fuggire, in ogni caso, se non aveva idea di dove fuggire?

Quando raggiunse la dama crepitante, il Generale aveva lasciato nuovamente spazio al buio; ogni nuovo gradino costava uno sforzo ogni volta maggiore, un peso che gravava sulla schiena e lo schiacciava sempre più: era come se Jevanni all'intensificarsi della voce, la sorgente che ormai si approssimava, avvertisse le gambe sempre meno proprie. Appendici dotate di una volontà propria, intenzionate a portarlo in cima ad una Torre maledetta - la stessa che aveva cercato da tanto tempo. Riconoscendo l'agitazione dello spadaccino, la creatura di Ilthan aveva preso a far ondeggiare il pendaglio che portava legato alla mano, a destra e manca, oscillando come la prima volta che Velta l'aveva ingoiato dentro sé. Presto, aveva detto. Presto, prima che sia Tardi.

Ma era già tardi. Jevanni lo avvertiva, proprio come un vecchio avvertiva i dolori alle ossa, già sapendo che nel cielo si stava raccogliendo una tempesta brutale. Nelle ossa del Guerriero era scavato lo stesso presagio, ma lui più di così non poteva correre: i gradini erano denti bianchi di un sorriso crudele, e lui era la vittima di quella farsa che di divertente non aveva nulla.

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Arrivò ad una porta, il termine della scala e del cammino, e nell'attimo in cui posò le dita sulla superficie scura levigata - lucida come vetro, ma pesante e solida come granito - i toni di Velta crebbero d'improvviso, in un canto sottile come la corda di un violino. Anche la dama poggiò la mano, vedendo la difficoltà del Guerriero - ma le braccia di lui, più che troppo deboli per aprirsi la strada, erano paralizzate. Stavano tremando, esattamente come lo sguardo sgranato rivolto sull'unico spiraglio che dava dentro la cima della Torre.

Alle sue spalle, anche se non si era voltato per guardarla, vedeva lei. Anche se non aveva orecchie per altro che per le parole prive di significato dei mille mormorii della Torre, sentiva il suo respiro. Ogni battito del proprio cuore corrispondeva a quello di lei, e il suo profumo gli riempì le narici risvegliando in ogni fibra del corpo i sentimenti rimasti a lungo sopiti. Percepì un sospiro, una brezza di vento alle proprie spalle, e con la coda dell'occhio vide librarsi delle piccole onde rosse, filamenti infuocati che lambivano l'oscurità, un calore che lo asciugava delle lacrime nere del cielo. Ma gli bruciò l'aria che respirava, lasciandolo senza fiato, e gli asciugò la gola e arse il suo palato - un sasso di angoscia piantato all'altezza del petto.

Da chi fuggi?
La vista sfocata incontrò il proprio riflesso offuscato nella porta, specchio cupo, e il sasso divenne macigno. No, non poteva essere: non doveva essere così.
Come poteva fuggire, se non aveva idea di dove andare?
Ma le aveva promesso che sarebbe tornato. Che non sarebbe morto.
La porta si sarebbe aperta, se avesse spinto con più forza. Solo un po' di più.
« Non sto fuggendo. »
Un sussurro, Velta assorbì anche quello.
« Io sto venendo per te. »
Era non un mero canto, ma un duetto, e lui intonava il ritornello di quella canzone di disperazione.

Si voltò verso Visilne, verso l'amore perduto, verso il passato ormai sfuggito per sempre, verso una promessa infranta e una morte prematura, verso colei che aveva deciso di cercare. E il vuoto gli restituì lo sguardo.

Aprì le porte, il trono alla sommità della torre mutato in un mero scranno di legno morso da termiti e dal tempo - rovina delle rovine, eppure ancora impossibilmente nobile. Sapeva chi ci avrebbe trovato sopra, perché il suo nome era sulla bocca e nei cuori di tutti coloro che avevano toccato l'Eden più nero, le sue stranezze e i suoi orrori. Una volta l'avevano chiamata Bianca Inquisitrice.

Eppure la figura che sedeva sul trono era completamente nera, un pozzo di tenebre che si mesceva con la vasta sala tetra. Al suo fianco erano schierati, come una corte fedele, le stesse creature che avevano accompagnato Aleph e gli altri nelle caverne del Samarbethe - le Ombre, quelle che Alexandra avevano chiamato Primogeniti. Un altro essere giaceva riverso dinanzi alla figura seduta, ghirlande di foglie e rami legnosi spuntanti dalla schiena; orecchie d'elfo erano l'unico accenno su ciò che una volta quell'essere era stato.

Il famiglio di Ilthan tremò, e intimamente anche Jevanni, quando sulle ginocchia dell'uomo -se uomo era- intravide la civetta che avrebbe dovuto fermare. Una carezza, uno svolazzare di piume evanescenti, e un nuovo pulsare squassò la stanza - un risucchio muto e invisibile, che Jevanni poteva eppure riuscire ad avvertire istintivamente. Prima che sia Tardi.

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« Sei Eitinel? »

La figura sorrise, scorrendo l'indice sul dorso del pennuto come l'indice di un libro.
« No, non direi. »
Ilthan si fece più piccolo, arretrando di un passo.
« Non ancora. »

 
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view post Posted on 2/6/2014, 14:44
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Sei Eitinel?

Sorrise piano. Lungamente. Labbra di tenebra a schiudersi su un volto appena visibile, appena accennato.
Sorrise d'un fiato, in un sussurro, il silenzio che tutt'attorno sghignazzava all'unisono, diabolica commistione di mobile ed immobile, di vivo e di consunto.
Poi scosse il capo, una volta, nere ragnatele a cadergli sulle spalle come capelli altrimenti alabastro, altrimenti candidi come neve.

« No, non direi. »

Rispose allora Chimerès, demone senza volto. Anima senza cuore.

« Non ancora. »

Aggiunse il servo della Dama Bianca, Araldo della sua volontà e del suo desiderio.
Perchè se davvero lo fossi, ora, né io né te saremmo qui a parlare.
Perchè se veramente io fossi lei,
Dama Eitinel,
ora non ci sarebbe tempo né per chiedere né per domandare.
E nemmeno per rispondere.
Ma solo per guardare, immobile demenza, il sopraggiungere infine di quel Giudizio che tanto i profeti di sventura si affannano a declamare, paventando,
la fine del tempo e dello spazio.
Il torcersi della vita su se medesima, onde strizzarne il sangue dell'esistenza e lasciare, infine, null'altro che il guscio vuoto della realtà
a gocciolare, desolante,
la propria ultima ora.

Non ancora,
docile Jevanni,
io pavento il suo nome senza in realtà possederlo, mimando la sua forza, scimmiottando il suo potere quel tanto che basti per lasciare che tutti nell'Edhel chiudano gli occhi e si precipitino nel terrore del tempo che fu,
memento,
di quelle notti senza fine, prigioniere di paura e sogni infranti,
ghermite dal resuscitare degli incubi quali morti dalle tombe della ragione
e catapultati nell'odierno sopravvivere degli animi.

Non ancora,
gentile Alexandra,
che nel nome di una Bestia Rara, tanto coraggiosa quanto lontana dalle nevi perenni di queste terre, ha tentato di far rivivere il colore
della forza e della passione
nel nero e bianco del Nord.
Pur non sapendo che era con il suo sangue che dipingeva le tinte sgargianti della sua visione, della sua preziosa utopia.
Con il suo calore che discioglieva le paure di questi popoli freddi ed impassibili alle nuove speranze e virtù.
Era con il suo sacrificio che lottava ogni giorno per un mondo che ahimè,
povera Alexandra,
credevi davvero potesse esistere?

Qui.
Nell'Edhel.
Dove tutto è ghiaccio e oscurità?


« Immagino di darti una grande delusione, Jevanni Glacendrangh.
So che non era me che tu e tutti i Leoni vi aspettavate esattamente di incontrare »


Sorrise ancora, con calma, il corpo d'oscurità a tremare appena nel vibrare di Velta tutt'attorno.

« Ma non temere. Non è affatto mia intenzione farvi dispiacere dopo che tutti quanti voi avete fatto così tanto per me -e per lei.»
Una pausa
« Eitinel sta arrivando. »

Gli occhi della civetta mandarono allora uno scintillio sinistro, rapido e fugace come il mostrarsi e subito fuggire di una presenza dietro di essi. Scrutavano Ihltan, spirito di luce che silente sostava a poca distanza dalla figura di Chimerès senza osare avvicinarlesi.

« Ma prima di ciò intendo ringraziarvi di persona, poiché nulla sarebbe stato possibile senza la follia di Hocrag ed il suo prestarsi quale chiave di tutti i sigilli che impedivano ai Pilastri dei Predatori di rilasciare le loro preziose anime.
Senza il tuo contributo nel liberare i Primogeniti dal loro inutile padrone che altro non stava facendo se non sprecare il loro potenziale nei labirinti infernali di Samarbethe.
E, come dimentichiamo, senza il prezioso aiuto di Alexandra, che cercando altro potere ha finito per perdere il proprio consegnandolo a me, a lei, la sua legittima proprietaria.

Grazie.
Che altri oltre me possano avere nemici gentili e servizievoli come io ho avuto voi »


Detto ciò, senza un fruscio, Chimerès si alzò in piedi, lasciando che le sue vesti fluttuanti increspassero il velo di tenebra che stagnava sul pavimento quale nero specchio d'ossidiana. Sotto di lui, il riflesso della sua persona si mosse all'unisono nella perfetta riproduzione speculare di quella stanza all'apparenza sterminata, all'apparenza tanto cupa quanto imponente.
Una o due sale?
Parevano copie. Eppure un occhio attento avrebbe notato alcune differenze renderle pur poco dissimili l'una dall'altra. Niente più che particolari, eppure in quantità sufficiente da definire, senza ombra di dubbio, la divergenza di quelli che erano non solo riflessi ma due interi mondi, divisi fra di loro da un velo sottile come acqua.
Chimerès sorrise

« Quello è Oneiron »

Esalò nel brivido di un respiro. Nel fremito del suo portarsi una mano al volto e li tracciare con le dita il gesto di sollevare una maschera dal viso rivelando, dietro di essa, occhi neri come pece, capelli corvini lisci e setosi al pari di ragnatele, pelle sottile e vellutata, opaco velo a fasciare lineamenti morbidi e armoniosi.
Sorrisero di nuovo quelle labbra. Sogghignarono ancora quei tratti mai troppo aggraziati, mai troppo angelici per celare per davvero il velo di crudeltà, malvagio presentimento di corruzione, che in essi dimorava.
Può la memoria fugare ciò che di vero racchiude il tempo?
Può l'oblio dimenticare ciò che in esso si nasconde?
Dita leggere andarono allora a sfiorare la civetta ora posatasi sulla spalla di Chimerès, un secondo prima volatile di pura luce e l'attimo dopo nero pugnale posto fra le mani di quella che pochi avrebbero faticato a riconoscere come
Eitinel,
o la sua copia vivente.

KlcGoBj

« E Questo »
riprese la creatura dalle umane sembianze
« E' il volto di colei che più di tutti temete, che più di ogni altra cosa vi siete affannati a tenere lontano illudendovi che non vi avrebbe infine trovato, che non vi avrebbe prima o poi scovato in quel pavido guscio di belle speranze che vi siete costruiti tutt'attorno.
Sciocchi.
Solo chi teme se stesso fugge dai propri incubi. »

Solo chi non ha sogni crede nelle proprie ossessioni

Mentre con un unico gesto Chimerès alzava sopra al proprio capo il pugnale d'Ombra, fu con un nuovo contrarsi della realtà che il silenzio calò allora tutt'attorno a Velta, mano d'oscurità a ghermire l'Edhel in una morsa di ferro.
Molti udirono quell'attimo.
Quell'istante sospeso fra passato e presente,
fra ciò che un tempo fu e ciò che molti si illusero non sarebbe più stato
ma che inevitabilmente eccolo lì, indice puntato al cielo, lama d'argento a fendere nuovamente occhio e cuore di un mondo da troppo poco desto per tollerare ancora una volta di cedere al sonno senza almeno lottare, senza almeno provare a resistere.

Che Alexandra si fosse per davvero sbagliata?
Che fosse davvero impossibile credere che gli uomini, semplici creature della terra, potessero sfidare gli Dei?


Chimerès, i neri occhi della Dama a scintillare di mortale grazia, sospirò.
« Guardala bene, Jevanni. Guardala prima che la sua luce diventi tanto fulgida da abbagliarti.
Voi l'avete chiamata,
voi ed il vostro continuo Ricordare
e credere -pur senza mai rassegnarvi ad ammetterlo, a dichiararlo ad alta voce- che un giorno ella sarebbe -inesorabilmente- tornata
e nel gelo, e nell'oscurità,
vi avrebbe dato la morte, quella stessa morte che un tempo vi promise,
ma che infine fu lei che a tradimento prese"

E non osare fuggire, questa volta. Non osare voltare lo sguardo e fingere di non vedere, di non comprendere,
la grossolana miserevolezza del vostro errare,
Leoni.
Vostro è il nome, vostro il sentiero,
che dall'Oblio l'ha condotta qui, Eitinel, Cantrice di Sogni, Latrice d'oscurità.


E detto ciò fu con un ultimo sogghigno che Chimerès piantò il pugnale d'Ombra dritto nel proprio cuore, squarciando di luce cristallina il suo petto d'oscurità.

-O-

"Al riparo!!"
Nel silenzio assoluto, un grido squarciò l'aria. Gemito stonato, urlo a mezza voce, intrappolato nel freddo gelare di quegli ultimi attimi d'attesa.
Troppo tardi.
Suo malgrado.
Troppo lento. -come sempre, del resto- per precedere veramente l'inevitabile concretizzarsi dell'Incubo.
Del sospendersi di quei movimenti flessuosi e avviluppanti quali erano stati quelli delle gigantesche creature scaturite dal massiccio fianco di Velta. Anch'esse in attesa. In principio. E poi improvvisamente caotiche, furiose, sconcerte nel proprio mutare al pari della realtà che le circondava.
"Allontanatevi, presto! Allontanatevi!"
Mentre una bianca falce di luce squarciava Velta da parte a parte. Mentre tutt'attorno la terra prendeva a tremare fin dalle proprie fondamenta, ribollendo come mare in tempesta
ed improvvisamente l'Edhel veniva infestato di milioni di figure in nero, silenti, comparse dal nulla e dal nulla sibilanti la tormentosa litania che di Velta era la più crudele effige.

Ricordi, Velta?
Vibrò l'aria, creste di gelo a formarsi nell'aere come creparsi della realtà medesima.
Ricordi la tua voce, un tempo melodiosa, a sospirare nelle terre del Nord, sussurrando Sogni meravigliosi, Fantasie inimmaginabili?
Mugghiò il cielo, greve scheggiarsi di nuvole e volte mentre per un attimo i quattro titani si sporgevano verso di esso all'unisono, in contemporanea, gigantesche figure ad inerpicarsi verso la vastità dell'infinito
Ricordi, prima che ogni cosa divenisse rovina e desolazione, e dolore, quali erano le note della tua canzone?
La tua,
dolce,
armonia?

prima che, infine, lo sfaldarsi del mondo intero carpisse anche loro, nero squarciarsi di carni e membra in una marea nera che dall'alto, pioggia miserevole, si abbattè allora ai piedi della torre travolgendo senza scampo tutti coloro che sotto di essa si affrettavano a fuggire.

No.
E poi fu di nuovo silenzio.
Assoluto.
Mortale.
Io non ricordo nulla.

Nulla


 
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view post Posted on 23/6/2014, 11:28
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Gli occhi di Eitinel incontrarono i suoi.

Alexandra gliel'aveva descritta, e la sua voce piena di mistero gli rimbombava nelle orecchie in echi infiniti - tanto forti da quasi soffocare la voce della creatura che si mascherava da Inquisitrice, tanto da far ammutolire il Guerriero.

Il volto di colei che più di tutti temete.

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Eppure colei che aveva affrontato il Re mai sconfitto era svanita, quello narravano le storie che tutti avevano raccontato a loro stessi.
La Torre era stata assediata per lei, per il potere ch'ella esercitava. Avrebbe avuto senso che Eitinel fosse ancora lì?
Qualcosa gli disse di sì. Forse la Regina stessa se lo aspettava, e si era armata di conseguenza.
Ma alla fine, in cima alla torre, Jevanni aveva trovato qualcosa di profondamente diverso.

Sotto di lui, nell'Oneiron -così l'aveva chiamato- una sagoma cupa seguiva i suoi movimenti. Un brivido e la visione fugace di due occhi smeraldini, e tutto ciò che rimase per qualche attimo fu l'orrenda sensazione di familiarità - di deja-vu - che il tutto gli imprimeva. Si costrinse a distogliere lo sguardo, seguendo invece con non meno apprensione il gesto dell'ombra: la mano si librò sopra la sua testa, e con essa lo spadaccino avvertì il proprio intero corpo venir sollevato di peso. Gli ricordò incomprensibilmente la mano del boia che regge l'ascia, pronto a calarla sulla nuca del condannato in un gesto secco; eppure lui sapeva che quel pugnale non era destinato a lui. (Solo chi teme se stesso fugge dai propri incubi.) In realtà il gesto era completamente diverso da quello che un uomo avrebbe compiuto per uccidere un altro, e questo più di tutto lo confuse. Non era la prima volta che qualcosa di simile, sempre nel ventre di Velta peraltro, accadeva dinanzi ai propri occhi.

« I tatuaggi non servono a nulla. »

La voce di colui che non aveva mai avuto un nome - le viscere gli dicevano Hocrag, il nome sconosciuto pronunciato dalla creatura mutata in Eitinel - rimbombava come il clangore di campane suonate a mezzanotte, di un momento che si sarebbe inevitabilmente ripetuto: l'eco del presente, quando nel passato aveva creduto di aver raggiunto il mistero di Velta. Anche quella volta era convinto di aver assecondato la volontà della Torre.

« Soffrire, »
aveva detto nel piantarsi la spada nel petto.
Ma lei -lui, esso- aveva sorriso maligna nel pugnalarsi il petto.
« il solo modo d'acquisire la sensazione d'esistere. »
Ed era sgorgato un fiume di sangue dall'acciaio piantato nel petto, infine era crollato nell'acqua paludosa e nera come le tenebre della Torre.
La sua ferita invece risplendeva di una luce abbagliante, fulgida come solo quella delle porte di Velta prima di inghiottirlo,
come se invece di squarciare il petto avesse squarciato quella stessa soglia.

« No »
era sicuro di aver detto; forse urlato, sussurrato, implorato, ripetuto più e più volte.
Multiple voci che si miscelavano nel limbo fra realtà e sogno, l'Oneiron e l'Eden battuto dalla pioggia, mai trovando la via al di fuori delle proprie labbra leggermente schiuse.

Smettila.
Ma nessuno replicò, e il passato si ripeteva come una ruota distorta e malata, il suo cigolare sinistro a cantare nelle sue orecchie.
La luce, l'ombra, la pioggia, niente di tutto quello cessò: lui era solo dinanzi ad una folla di incubi, completamente disarmato e impreparato.

Avvertì un movimento al proprio fianco, e solo allora si ricordò della presenza luminescente che aveva accompagnato i suoi ultimi passi nella scalata. Un moto di gratitudine gli salì nel petto, un unico palpito di muto incoraggiamento - ma quel breve momento di sollievo si tramutò nuovamente in angoscia quando -riparandosi con il braccio dalla luce, la stessa che aveva desiderato ardentemente nelle penombre di quelle scale infinite- vide il nuovo volto di Ilthan.

Orecchie lunghe e sottili, un viso più affilato e smunto - qui e lì macchiato da scaglie, sormontato da un paio di corna, un viso che aveva sempre meno di umano ogni istante che Jevanni cercava di distinguere le nuove fattezze di quello che già prima era stato un mistero. E tutta la sua attenzione era rivolta ad Eitinel, non più un timore spropositato riflesso di quello del Guerriero, ma una sorta di solenne adorazione. La vide compiere un passo deciso e tentò di afferrarle il polso, ma gli sembrò di muoversi tremendamente lento: presto si rese conto di aver paura di toccarla, di invogliarla a voltarsi verso di lui e incontrare i suoi occhi tinti d'ambra.

I tatuaggi non servono a nulla.
Il marchio di Velta era svanito dal dorso della mano, e con esso anche l'ultima parvenza di realtà che quella situazione avrebbe potuto ispirare.
Leanne diceva la voce nella sua testa, il canto ora mormorato -quasi per adeguarsi alla tensione dell'istante, soggiogato all'Inquisitrice- che si dipanava nell'aria. Jevanni guardava Ilthan, ma la voce diceva Leanne.

Ma quando Jevanni guardava sotto di sé, nello specchio dell'Oneiron, la figura ricambiante uno sguardo ostile, tutto ciò che Jevanni sentiva era il suo nome.

« E come posso ricordare qualcosa che non so? »
La voce ribolliva di rabbia - confusione - paura. E l'essere divorato dalla luce che aveva sprigionato sicuramente lo sapeva.

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Nonostante quello, non riuscì a frenare la propria lingua.
« Usi un plurale che non mi appartiene, parli di una storia che io non ho vissuto - »
La mano estrasse Orizzonte con un sibilo secco, ma contemporaneamente
le ombre che sino a quel momento avevano circondato il trono di Eitinel gli si pararono di fronte.
« - e ti aspetti che io ti comprenda, magicamente? »

Alexandra gli aveva sì parlato di Eitinel, ma non aveva mai detto tutto.
Le aveva chiesto delle visioni che il bacio di Velta gli aveva inflitto, le illusioni che scorgeva durante il calare della notte, i sogni di coloro che ancora avevano il privilegio di poter chiudere gli occhi e non incontrare lo sguardo terrificante della Torre. E lei non le aveva mai risposto.

Impugnò la spada e inspirò profondamente, ma anche se non riuscì a riprendere la calma tutto attorno a sé divenne improvvisamente gelato: il pavimento venne ricoperto di cristalli attorno a sé, la Volontà prese forma con il preciso intento di congelare gli ostacoli che si frapponevano fra sé e l'Inquisitrice. Alcuni dei Primogeniti arretrarono, altri emisero sibili irritati.

Avrebbe dissolto le ombre e spento quella maledetta luce, pur di metter fine a quell'assurdità.
Non per una regina che probabilmente lo stava solo usando,
né per porre fine alla minaccia che l'essere con le sembianze di Eitinel presagiva.

Forse per far annientare la follia che danzava nella sua mente e nei suoi occhi come sagome attorno ad un fuoco.
Forse per ammutolire quel maledettissimo canto.
O forse per assecondarlo.

« Che cosa hai fatto? »

 
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view post Posted on 25/7/2014, 00:02
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Cosa hai fatto?

Fuori, il calare di un silenzio inesorabile, grave e insostenibile al pari della baraonda che prima aveva distorto e contorno l'intreccio di Oneiron e Theras.
Dentro, il tralucere di mille e più specchi infranti, dall'oscurità risaliti ed ora in parodia disposti tutt'attorno alla figura al centro della stanza come auri cerchi angelici di spine.
Fuori, il dileguarsi di vita e vitalità, ombre e presenze a farsi improvvisamente da parte come per timore del nuovo sacrilego profilarsi di Velta.
Dentro, lo sgorgare di bianca luce su nere vesti, su nere chiome, su neri pensieri, fulgido tramutarsi infine di spettro in Dama in carne ed ossa, in Eitinel ancora,
sempre ad un passo,
sempre ad un soffio dall'essere più vera di quanto ci si potesse immaginare, in realtà.
Sbattè gli occhi una volta.
Eitinel.
Come chi si risvegli da un sonno profondo e fatichi ancora a mettere a fuoco le cose del mondo.
Del resto,
quanto tempo era che dormiva?
A stento avrebbe saputo ricordarlo. Laggiù dove ogni cosa è vento e oscurità, non vi è davvero tempo per rammentare. Non vi è tempo da pensare. Solo una lunga e melodiosa vacuità di cui circondarsi e con mani leggeri sfiorare a lungo, come sabbia fra le dita.
In realtà,
era come se non fosse passato neanche un giorno per lei, Dama di Luce vestita.
Occhi di giada, mani di pesca. Fredda come ghiaccio eppure bella, ritratto dell'Eternità che mai può temere vecchiaia e dolore.
E di nuovo, cautamente,
ella sbattè le palpebre,
sciogliendo quel suo esitare in un sospiro delicato, prima nota di una melodia sottile e vitrea, grazia preziosa.

Cosa ho fatto?

"In realtà,
non ne ho davvero idea."

O forse,
non vi è alcun motivo perchè io debba ricordare ciò che mi ha infine portato qui.

Rispose piano.
E sorrisero allora gli occhi, forse trovando ancora una volta le sfumature della malizia in un fragile schiudersi di labbra e lì ridere appena come una bambina,
come una donna,
mai troppo grande, in realtà, per comprendere la vastità della vita alla quale ella, abbracciando la notte, si sottrasse un giorno -luna calante-.

"Tutto ciò che avevo, tutto ciò che possedevo, ho dovuto cederlo per giungere qui.
Ed ora a stento ricordo il mio stesso nome"

sbattè le palpebre
"Che il suo valore fosse tanto infimo da non necessitare di conservarlo?"
Probabilmente si
Meditò.
Eppure eccola, malgrado tutto, tentare per un secondo di rammentare, di riesumare qualcosa abbastanza vicino da essere presagito eppure troppo lontano da essere davvero...
Scrollò appena le spalle. Gesto noncurante, debole e rinunciatario, che in un attimo vibrò nell'intera Velta come terremoto silenzioso, presagio funesto di disfatta.
Come se la torre medesima sapesse, o forse solo temesse, che in quella vuota ammissione, muto esitare, potesse anche nascondersi la ben più imperdonabile possibilità che insieme ad Eitinel, insieme alla sua voce, al suo canto, alla sua virtù, anche l'ultimo ricordo del Sorya se ne fosse dipartito per sempre dalla Dama Bianca, mera illusione di una vita perduta.

Ricordi,
Eitinel?
Oppure nulla di tutto ciò è mai stato davvero così importante per te?


Ma, lentamente, la Dama volse allora i propri occhi al giovane che da lei poco distava, uno sguardo lungo e vacuo, di nuovo simile ad un osservare senza realmente comprendere, realmente intendere.
Ricordava quel volto?
Esitò.
O meglio...avrebbe dovuto ricordarlo?
Serpeggiare di dubbio e incertezza, vaga consapevolezza del fuggire -ancora una volta- di ricordi forse importanti, forse vitali.
E poi la realizzazione. L'illuminarsi del volto in un imprevisto sorriso dolce e gentile, come ciel sereno al dipanarsi delle nubi. Improvvisamente ancora bella. Improvvisamente ancora Eitinel come pochi ebbero mai la possibilità di conoscerla.

"Sei...Venatrix?"
esalò cauta.
A metà fra domanda e affermazione. Fra speranza e illusione.
Poiché, forse, il tempo non era stato in grado di cambiare lei...ma che dire di lui? Che dire di capelli un tempo rosso accesi, di occhi tanto limpidi da rispecchiare l'eternità della vita medesima?

Sei...Venatrix?

Poi, il ripensamento.
Poi, tuttavia, ritrarsi di sguardo, ammutolire di sospiro.

bMsOrbk

"No"
gelido calare di tenebre su neve ancora fresca
"Tu non sei Venatrix.
Ma dunque chi sei?"

E fu allora, come unica mano a chiudersi a pugno, che i Primogeniti furono improvvisamente tutt'attorno alla loro padrona, schierati. Una barriera di pura fuliggine in cui, più che mai, Eitinel brillò del proprio maligno fulgore. Potente e terribile poiché allarmata. Bella e irraggiungibile poiché, in realtà, debole come stelo di fiore appena sbocciato e ben lungi dall'appassire.





Ed eccoci qui alle ultime battute di questo Extirpanda. Chiedo scusa per le tempistiche, ma Luglio si sta rivelando un mese inaspettatamente pesante ed intenso per me. Farò il possibile per accelerare i tempi.
Dunque. La scena continua.
Trascinato via dal corso degli eventi, Jace si ritrova finalmente dinnanzi alla struttura dove tutto ha avuto inizio: Velta. La Torre ora risplende nera e imponente, ma le sue fondamenta affondano nel silenzio più assoluto, quasi che nessuno -perfino le ombre- abbia il coraggio di avvicinarsi o permanere nella sua ombra. All'ultimo piano, però, risplende una luce bianca e vivida, un faro nell'oscurità che, incalzante, sembra avvolgere l'Edhel/Oneiron. Per quanto assurdo, è ancora una volta la figura enigmatica del "Servo della Volontà" a fare la propria comparsa quale guida/spettatore dell'intera faccenda. Silenzioso, esso attende immobile alle porte della Torre, quasi invitando Jace a varcarle ed intraprendere la lunga salita fino all'ultimo piano.
Qualunque sia la scelta di Jace (salire/non salire/voltarsi etc), chiedo a Grim di inviarmi la sua risposta via Mp per un rapido botta e risposta a cui seguirà il suo post - e quello di Coldest-.
Buona conclusione a tutti!
 
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The Grim
view post Posted on 30/7/2014, 09:56





Ad Extirpanda ~
Mirando al cielo più scuro





Le stelle erano sparite là in alto, ma il cielo restava plumbeo, cupo tanto quella giornata di guerra. Nulla del nuovo scenario pareva essere più gioioso o sereno, come se ad ogni vittoria si accompagnasse una punizione più che una qualche forma di gratificazione. Aveva battuto il primo orrore solo per trovarsi in una folta tenebra, che avvolgeva la sua stessa memoria; ricordava solo di esserne uscito stanco, ferito e frastornato. Ancora una volta si trovava di fronte ad un alto pinnacolo, che si stagliava alto senza comunicare alcunché di rassicurante, e parendo in tutto e per tutto un avversario da fronteggiare; l'ennesimo ostacolo da superare. Nessuno si frapponeva fra il cartomante e la scalata, o così era parso al primo sguardo dell'uomo, poi avvicinandosi notò una figura poco umana, che aspettava immersa nel silenzio più religioso. Non aveva occhi o orecchie, né naso, eppure comunicava allo stregone un ché di familiare nella sua vaghezza, e si ricordò di averla vista nella caverna di luce, e che era stato quell'essere a portarlo via da là. All'inizio non riusciva a distinguerne i tratti, ma più si avvicinava, più l'ombra cambiava, prendeva tratti antropomorfi, nei quali Jace riuscì a scorgere un viso, lucido e atono, privo di qualsiasi espressione; un volto che per lui era stato amico e di cui non conservava memoria. Perso com'era si appigliò con forza a quel briciolo di fraternità, sperando nella solidarietà della creatura, sperando di trarre dalle sue parole un barlume capace di dissipare le dense nebbie che appesantivano i suoi pensieri. Non sapeva dove si trovava, né che stava facendo o cosa avrebbe dovuto fare; non sapeva dove fossero i suoi amici né cosa fossero i suoi nemici. L'ombra avrebbe potuto mentirgli, e lui non avrebbe avuto i mezzi per distinguere il vero dalle bugie, ma preferiva appigliarsi anche a un fuscello piuttosto che farsi trasportare da maree ignote. Aveva troppe domande da porgli, ma scelse quella da cui sperava trarre più chiarezza.

" Io non so chi tu sia, né m'interessa per davvero, ma ho capito qualcosa di te. Sei un messo, una specie di traghettatore, e mi hai portato davanti a quest'alta torre dall'aspetto tanto spaventoso.

Perché l'hai fatto?
Perché mi hai portato qui?
"

Trascorsero secondi così immobili da sembrare minuti interi, in cui il silenzio era così denso che solo il battere del proprio cuore faceva capire al cartomante che il tempo stesse realmente trascorrendo.

" Qui.

Non è in nessun luogo ed in nessun dove.
Limbo, lo chiamereste voi, dove tutto può attendere e mai avanzare.
Oppure Soglia, dove tutto può dipartirsi ma mai sostare.
"

La creatura aveva ignorato la sua domanda, come se non ne conoscesse la risposta o forse gli era proibito darne una. Non gli aveva però mentito, né l'aveva scacciato, non gli era stato ostile in alcuna maniera nella sua elusività. Anzi nelle parole di quell'essere il cartomante riuscì a leggere un monito e anche un consiglio, quello di non perdere tempo, o di attardarsi, di muoversi il più rapidamente per non restarne intrappolato per sempre. O così gli era parso di intuire, non erano di certo stato le spiegazioni più esaustive a cui aveva assistito. Il suo istinto gli suggeriva di agire, di far qualcosa, qualsiasi essa fosse, e le due alternative erano fin troppo chiare. Fuggire o salire, questa era la scelta che gli toccava prendere, nessuna delle due pareva priva di rischi ed entrambe significavano guai. Si voltò, pronto a fare il primo passo distante da quella trappola mortale che non celava in alcuna maniera la sua essenza ed anzi faceva di tutto per dire che fra le sue stanze la morte ballava più di una danza, ed aveva fatto dimora in pianta stabile. Voltarsi ed eluderla era la scelta più saggia, vagando fra quelle terre avrebbe trovato una via verso casa, si sarebbe lasciato alle spalle quegli orrori e avrebbe potuto iniziare la sua vita tranquilla assieme ad Afrah. Rivolgere a lei il suo pensiero fu l'errore tragico e fatale, quello che il suo lato più codardo e incline alla sopravvivenza avrebbe usato per pungolarlo quando le cose si sarebbero fatte cupe e infelici, e il sangue sarebbe schizzato copioso dalle sue ferite. Si rigirò e prese a salire la torre, ben conscio di quanto se ne sarebbe pentito. L'amore - che fosse per una donna oppure per un'idea - aveva un potere assurdo sugli uomini, capace di renderli ciechi, folli, assurdo e di portarli a fare cose contrarie alla propria indole, cose assolutamente sgradevoli e per cui si sarebbero torturati nel silenzio delle proprie riflessioni. La beduina era una figura meno angelicata di quanto l'immaginava lo stregone, che pure la conosceva bene, eppure qualcosa in lui diceva che lei avrebbe apprezzato più Jacechescalavalatorre piuttosto che Jacecheseneandavaviadallatorre, perché in qualche modo sentiva che lassù in cima si sarebbe compiuto qualcosa di importante, il destino di tante vite, e perdere l'occasione di partecipare sarebbe stato un peccato tremendo agli occhi della Banshee. Lei non era di certo una santa, ma nemmeno un essere dall'insensibile cuore di pietra. E mentre faceva quelle riflessioni, e tante altre molto simili, aveva già percorso tanti gradini, superato innumerevoli piani, oltrepassato stanze ricolme di strane figure a volta semplicemente strane, altre totalmente assurde; e ogni qual volta si perdeva c'era l'ombra a guidarlo. Niente sembrava volerlo fermare, ma questo non rendeva l'atmosfera più piacevole o anche solo meno inquietante; anzi ad ogni angolo il terrore si faceva più grande. Dopo un lasso tanto grande di tempo che sarebbe potuto essere un giorno o forse un anno, i gradini terminarono e un grande salone si aprì davanti a Jace, la stanza più grande di quel luogo. Un denso corte di figure alloggiava là, diafane come la sua guida, e a lui sconosciute. Fra loro stavano anche due persone dall'aspetto più concreto, una dama bianca a lui ignota, ed una vecchia conoscenza, Giapeto dei Titani. Il Cartomante tremò a vedere finalmente un volto amico, o perlomeno qualcuno di cui fidarsi. Si voltò verso quella che fino a quel momento era stata la sua guida, e gli rivolse poche parole a tono molto basso.

" Che cosa sta succedendo qui? Che c'entro io? "
E attese una risposta, temendo il compito che gli sarebbe stato affidato.


specchietto

CS: 5 | Intelligenza 2 Prontezza 2 Maestria con le armi 1
Critico 40 | Alto 20 | Medio 10 | Basso 5

Stato Fisico: Illeso,
Stato Psicologico: Illeso,
Energia: 100%
Passive in Uso:
° Nessuno svenimento al 10% di energie,
° Auspex passivo delle auree,
° Le tecniche illusorie non bisogno di gesti per essere castate,
° Jace può alterare la sua voce ed è un ventriloquo,
° Jace può modificare il suo aspetto a piacimento se un illusione è attiva,
° L'aura di Jace non è individuabile da Auspex Magici,
° Ogni volta che un avversario usa una tecnica magica guadagna 2 CS in Intuito per quel turno,
° Le tecniche offensive ad area di Jace hanno potenza pari al consumo,
° Una volta che il cartomante avrà accumulato un danno Critico al fisico, guadagnerà 2 CS in Istinto,
° Estraendo la Vena, Jace è riconosciuto come un grande cacciatore di nemici del Sorya,
° Non soffre di stenti/intemperie all'interno delle terre dell'Eden,
° Due possessori delle vene si capiscono anche senza parlare;


Riassunto Post:Jace prima chiede al SdV perché l'abbia portato lì, e interpreta la sua risposta come un monito a sbrigarsi. Vorrebbe fuggire da Velta, ma il senso di responsabilità che ha maturato dalla scena finale di Cronos, lo spinge a salire i gradini. Arrivato in cima riconosce soltanto Jevanni, proprio per i tanti incontri avvenuti in Cronos, ma prima di intromettersi nella discussione chiede ancora una volta all'ombra il suo ruolo in quella vicenda, non credendo alla casualità della sua presenza in quella torre.


 
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view post Posted on 1/8/2014, 14:08
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All Heavens sent to dust
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Lo stomaco si ribellò, la sensazione di aver appena compiuto un passo nell'aria gelida insita in ciascun muscolo.

L'apice della Torre avrebbe dovuto avere un soffitto, un limite, un confine; non riusciva a scorgere stelle o nuvole o astri sopra di sé, solo un profondo nero che inghiottiva tutto. Pensieri, sussurri, speranze, paure. Lui stesso.

Sapeva di non avere di fronte Eitinel, sapeva che non poteva essere, ma - se non lei, a chi poteva appartenere l'incommensurabile tenebra, l'essenza di quella stanza tanto distaccata da quel mondo?

A chi, se non a lei, poteva sfuggire l'entità della calamità portata al di fuori di quel costrutto irreale? Con un candore tale, come quello di un bambino che inciampava per poi rialzarsi con un sorriso? Come se quello fosse niente.

Il peso della spada crebbe fra le dita, minacciando di trascinare a terra la mano che tentava di reggerla. La brina si infranse e si dissolse, scintille di un coraggio improvviso che - proprio come un fuoco di paglia - si erano spente al primo vento. Un'unica brezza, non bufera maligna ma un semplice sospiro, il risvegliarsi di qualcosa che andava oltre la logica. E il suo alzar le spalle al non ricordare il proprio nome - tanto naturale, aggraziato, umano...grottesco. Perché Lei a farlo, perché Lì, perché Allora.

mhigrCa

La Dama si mosse, fissò il suo sguardo penetrante sullo spadaccino e lo fermò lì sul posto - e nel curvarsi felice delle labbra della fanciulla in un sorriso quanto mai fuori posto, Jevanni avvertì due sentimenti contrastanti: uno tiepido, che gli scaldò il cuore e per un brevissimo attimo gli fece dono del sollievo. Gli fece credere che quella donna non fosse la tremenda Inquisitrice che aveva agitato l'Eden come una pietra lanciata in uno stagno. Ma il secondo sentimento, quello che soppiantò il primo prontamente, lo raggelò nell'attimo in cui lei parlò ancora.

Lui batté le palpebre, come instupidito, ma tentò di riprendersi solamente quando fu troppo tardi: lei aveva capito, o leggendogli lo sguardo vacuo o comprendendo da sé. Non ci fu bisogno di risponderle che no, non era Venatrix. No, non il drago che aveva devastato ciò che una volta era stato il Sorya dell'inquisitrice, né quello che l'aveva attaccata probabilmente in quella stessa stanza. Non la Torre -quella di scaglie cremisi, non il costrutto di Velta- bensì un mero umano. Che solo per coincidenza, forse per beffa del destino, si trovava dinanzi a colei che a lungo era stata considerata una divinità.

La gioia si cancellò lentamente, la traccia di una delusione a lanciarle un'ombra sul viso.

Ma dunque chi sei?
E dietro il gelo, l'uomo intuì il suo sospetto - il suo furore per essersi lasciata andare dinanzi ad uno sconosciuto.

Un Guerriero.
Un alfiere della Regina senza regno.
Un Guitto.
Ilthan.
Un umano.
Uno sciocco.

« Sono colui che ha seguito l'ordine di Alexandra e il richiamo di Velta. »
Una pedina nelle mani del fato, di due nomi che forse avrebbero risvegliato altro nei suoi ricordi - o forse sarebbero caduti anche loro nell'oblio.
« Qualcuno che né cerchi né vuoi. »
Ma che, contro ogni previsione, aveva assistito al suo ritorno.

Mosse un passo verso di lei, ma la schiera dei Primogeniti le si strinse attorno.
« Qualcuno che ti teme. »
Tese la mano e con un gesto della mano strappò come una tela l'aria dinanzi a sé, eppure niente accadde. Nessun formicolìo del dorso, nessuna sensazione di disagio - e soprattutto, nessun segno del marchio che gli era stato lasciato dalla Torre. Lo sguardo corse al famiglio di Ilthan, la fanciulla che ora era al fianco di Eitinel e che l'aveva abbandonato, e si morse il labbro. I poteri di Velta gli erano preclusi perché si trovava nella stessa Velta - o perché era contro di Lei che tentava di ritorcerli?

Allora sollevò la spada, pronto a fendere le ombre che facevano da egida alla loro signora e strapparla di quell'ultima sicurezza, l'ultimo velo che la divideva.

Ma una fra loro si distaccò, ergendosi con un corpo translucido che di umano aveva solamente l'aspetto - gli si poteva vedere attraverso e luccicava, riflettendo la luce della padrona che l'aveva generata, distorcendola in folgori sulla stanza nera con l'essenza liquida che la componeva - un sole che faceva capolino dall'orizzonte occupato da un lago.

« Non fare un altro passo, mendicante della Regina. »

WuOrGBi

Gli occhi erano vortici, due tempeste nelle orbite.
Era il Gorgo.
« Se sei saggio ti allontanerai da questa luce, senza che io debba ricordarti chi sono. »

Ma lo spadaccino lo sapeva, come tutti i fratelli e le sorelle che erano giunti lì dove il Sorya era cominciato. Lì dove sarebbe, in fondo, finito. Il pavimento di sotto era rimasto crepato dal destarsi di Eitinel, e la figura che aveva scorto al di sotto si dibatteva come se volesse infrangere una prigione di cristalli.

« Fatti da parte, Maelstrom. »
Cercò di intercettare lo sguardo di Eitinel, ma il bagliore a malapena gli permetteva di tenere gli occhi aperti.
« Il tuo lavoro è compiuto. Non ci saranno più malcapitati attratti da questa melodia di menzogne. »

Il fu Guardiano non sembrò dargli ascolto, continuando ad avvicinarsi fino a passar oltre e dargli le spalle. Non seppe dire se fu più il suo servire la padrona sbagliata o il suo atteggiamento di sfida a testare la pazienza; si limitò ad assottigliare lo sguardo già socchiuso per la luminescenza di Eitinel. Fra martello ed incudine, quanto poco sarebbe bastato perché il suo corpo rimanesse per sempre in cima alla Torre che a lungo aveva cercato?

« Ma forse non è Velta a...mentire.
Bensì, la stessa donna che ti ha comandato di arrivare qui.
»
Forse entrambe.

Il Guerriero non seppe rispondere.


Né il mio personaggio né Maelstrom hanno ancora avuto modo di percepirti, la loro attenzione ovviamente rivolta alla loro situazione; ciononostante, tu riesci a vedere/sentire ciò che succede.
 
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view post Posted on 4/8/2014, 16:44
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And...bla..Bla..BLA
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La spada nelle mani dello straniero brillò fulgida, accecante, radiosa come lama di luce nell'oscurità, come squarcio di sole in tenebrosa notte. Un riverbero che Eitinel non potè fare a meno di ammirare, suo malgrado, e apprezzare nello stesso inconcepibile modo con cui il condannato a morte rimiri l'affilatezza dell'ascia che presto lo decapiterà.
Trovandola graziosa, a suo modo. Ed estremamente bella, malgrado il suo compito ora non fosse altro se non quello di trapassarla da parte a parte.

Che giovane gentile.
Pur temendola.
Temendo lei, la Dama Bianca, Lucifera nel suo Luce portare insieme ad incubi ed aberrazioni,
ora la affrontava con argento e cristallo, intagliati di perfezione per la sua pelle candida, per il suo morbido petto.

Che giovane gentile.
Il primo,
dopo Lui,
a venire a trovarla in quel suo antro di tenebra, ad accoglierla, dopo il suo lungo dormire,
ed anch'egli portando, come il suo Fu Amore, come il suo Fu Oberon, il nettare dell'eterno Oblio,
la lacrima di luce volta a suggellare per sempre le sue palpebre in un sogno d'amore.

Anch'egli qui,
nella stanza più alta del Castello,
non per liberare la principessa,
ma per ucciderla.
Poiché, Dama di Luce, forse non vi è sangue blu nelle tue vene, ma solo spiriti e demoni che del mondo fanno la rovina.

"Posa le tue armi, Cavaliere di Alexandra"
disse quindi dopo un attimo Eitinel, lasciando che il suo volto si addolcisse di un sorriso effimero, delicato nel notare in quella il marchio che sulla pelle del giovane faceva bella mostra di sé.
"O forse dovrei chiamarti...Cavaliere di Velta"
Aggiunse poco dopo in un tono delicato e lusinghiero, come stillare di goccia.
Alzò così la mano, e nell'intrecciarsi delle dita della Dama, fu come se anche il simbolo impresso sul corpo di lui si torcesse, mutando di forma come volgere di nuvole in tempesta, come incresparsi di onde al vento.
Ilthan
si chiamava quell'intreccio mirabile.
E così avrebbe chiamato anche quel ragazzo che ora, di luce avvolto, si parava innanzi a lei pretendendo, pur imbevuto del suo stesso sangue, pur dipinto delle sue medesime parole, di sfidarla, di fronteggiarla.
Lei, dal cui spirito ogni cosa si era originata.
"Posa le armi, poiché nelle tue vene scorre la fedeltà verso il Clan che rappresenti, verso le terre che difendi.
Una devozione che mai ti concederà di uccidere me, che di tutto ciò sono la più oscura essenza"

E fu come vedere Ilthan risplendere al fianco della Dama, pallida sembiante di creatura ad un passo dal proprio atto creante, dal proprio inequivocabile Inizio.
"Io Sono il Sorya,
e l'unico uomo capace di distruggermi fu della mia anima la più struggente resa, mortale ricordo che mai mi abbandona"


Fuori, laddove le grandi arcate della torre permettevano di vedere il mondo esterno, l'oscurità avanzava fitta, inesorabile, nera premonizione di un nulla che pochi avrebbero faticato a riconoscere.
I saggi l'avrebbero chiamata Oblio, mirabile compagna di Sogno, suo fatale gemello, unica e possibile conseguenza del confondersi di Mondo e Volontà, unico ed assoluto capolinea di quell'intrecciarsi di Oneiron e Therasin un'unica duplice entità, a tratti unica ed a tratti duplice.
Ultima Fine, o più semplice Inizio?
Oscurità prima dell'Alba o più desolante calare dell'ultima, eterna, notte?
Difficile intuirlo, ad un passo dal rintocco della mezzanotte, ad un istante dal risolversi di quell'attimo sospeso ed incerto fra svanire o rifiorire.

Ciò che tutti videro, fu il protendersi del riflesso di Eitinel dall'altra parte dello specchio, mani diafane a cercare quelle della Dama irta nel centro della Torre come angelo diabolico. Fu il corpo di lei ammantarsi di luce e oscurità assieme, fatale attesa dell'ultimo suo frammento di potere ancora segregato dall'altra parte, ancora avvinto dalla mortale magia di Oneiron.
E fu lo schiudersi all'unisono delle invisibili labbra dei Primogeniti nell'intonarsi ancora una volta di quella lamentosa melodia, suggestiva nenia di richiamo, di invito alle anime a passare dall'altra parte.

Che giunga il tempo,
che giunga il giorno,
ove le due metà spezzate tornino a comporre l'intero.
Che Velta torni a vivere.
E la sua Dama faccia ritorno
di luce ammantata.

Le parole risalivano altere al cielo, vibrando nella Torre come tuonare di mille tempeste, come sradicarsi di mille cieli.
Ed Eitinel cadde allora in ginocchio, mai come allora bella, eppure mai fragile come in quell'attimo, eterna solo nella fragile sussistenza di quelle voci e del potere che da esse si librava.
Da sola, la sua voce non avrebbe potuto che vibrare di una nota. Non avrebbe potuto risuonare che muta.
Eppure in quel richiamo unanime, lo spettro della Dama pareva trovare la sua meta ultima, protendendosi nel velo fra i due mondi come petalo a fior d'acqua.
Ancora un poco.
Solo un poco di più.
Solo...

wDBSYWE

E poi, inaspettato,
imprevisto,
tradimento e traditore,
fu Silenzio.
Fu quiete.
E pace.
Fu il sollevarsi di scatto del volto di Eitinel in direzione dei Primogeniti, e li trovarli tutti all'unisono a schiudere gli occhi ciechi, ad esitare, e poi serrare le labbra come nell'atto non più di cantare bensì di ascoltare.
Richiamo lontano?
Rumore antico?
O forse null'altro che il Fato, vile servo del Destino, intento a richiamare all'ordine non per l'ultima volta il fluire degli Eventi?
Prima che Eitinel potesse fare alcunché, prima che la sua voce potesse tremare in un flebile

"No...
Voi non...potete...
Loro sono...miei"


I Primogeniti abbandonarono la loro creatrice senza un sussurro. Senza un saluto. Con la medesima ed acre insensibilità d creature selvatiche che si ricongiungano alla vita selvaggia senza uno sguardo al loro fu Padrone, a colui che per un attimo, fugace speranza, avrebbe creduto che esse si sarebbero infine girate e scelto Lui, simbolo di affetto e amore incondizionato.
In un attimo, un volere ben più alto di Eitinel stessa strappò alla Dama la sua Voce, lasciandola più splendida che mai sola, cristallo di neve posatosi sul velo oscuro di uno stagno ad un passo dallo sciogliersi o permanere.
Esitò un attimo, la Dama, occhi di giada a fissare il vuoto per un lungo istante per poi volgersi appena in direzione di una figura rimasta fino ad allora in silenzio ad un passo dall'intera scena.
Nulla parve inizialmente cambiare nel suo sguardo.
Poi però un lampo di comprensione scintillò improvvisamente nei suoi occhi, una nota tanto sorpresa quanto astiosa all'unisono che, mortale, ravvivò di nuova e oscura forza il suo viso di fanciulla.
Si tirò in piedi, Eitinel, per un attimo abbandonando il quasi contatto che il suo riflesso oltre lo specchio pareva prossimo a raggiungere.
E sorrise debolmente, ghigno lacerante nel suo muto sospirare.

"Dunque questo è il dono che i Daimon fanno a colei che nulla chiede se non di avere ciò che le spetta.
Come Rainier.
Mai abbastanza Eterni per vincere, eppure sempre sufficientemente Nobili per sacrificare la propria vita in nome di
cosa?"

Mai più potrò vedere i suoi occhi.
Mai più avvertire il tepore della sua pelle.
Mai più lasciare che il suo abbraccio circondi il mio, dolce confine di un mondo intero.
Dunque perchè preoccuparsi?
Perchè resistere?

Perchè continuare a lottare per una vita il cui senso oramai non persiste più?

Così, dopo lungo sospiro, Eitinel lasciò che il proprio sguardo incontrasse diretto quello dello straniero presente nella sala. Sorridendogli, ed al contempo sfidandolo.

"Pare che i Daimon abbiano infine trovato il loro Campione, dunque."
vi era gelo nella sua voce.
Acuto.
Mortale.
"Nelle tue vene non scorre sangue Sorya. Nei tuoi occhi non serbi il ricordo di queste terre.
Quindi rispondi,
giovane che solo potresti porre fine alla mia ora fragile vita,
sei giunto qui per uccidermi
o per salvarmi?"


2Q3NJHg

Ancora una volta uno straniero.
Ancora una volta il calore del Sud a fronteggiare le nevi perenni del Nord.




La scena continua.
Gli intenti di Jevanni di ferire o anche solo colpire Eitinel vanno a monte a causa di Ilthan, l'Artefatto del precedente Extirpanda che egli ha ricevuto in dono. L'artefatto infatti gli rende impossibile colpire la "forza creatrice" da cui essi traggono il loro potere, ossia la Dama Bianca. In aggiunta, Malestorm si para a difesa della propria padrona, pronto ad attaccare chiunque osi avvicinarsi mentre questa, in comunione con i Primogeniti, inizia l'ultima parte del rito di passaggio da una dimensione all'altra.
Ad un passo dal compiersi di ogni cosa, qualcosa va storto: i Primogeniti si zittiscono inaspettatamente, passando dal cantare all'ascoltare un apparente richiamo che, per qualche ragione, sovrasta la malia di Eitinel. In un attimo la abbandonano, lasciando così la dama -inerme- dinnanzi a Jace e Jevanni con solo Maelstorm (e Ilthan) a difenderla ora.
Quello che si terrà ora è l'ultimo turno di Extirpanda, dal quale dipende chiaramente l'esito del Torneo. Come in quello precedente, chiederei a Grim di svolgere una ulteriore fase di Confronto via mp con me da aggiungersi ad un eventuale Confronto con Coldest, essendo Jace e Jevanni presenti contemporaneamente nella stanza.

In ultimo, vorrei esplicitare il riferimento ai Daimon: si tratta di una ulteriore nota di Ambientazione che a breve verrà meglio esplicitata sul forum.



Edited by Eitinel - 4/8/2014, 18:21
 
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The Grim
view post Posted on 14/8/2014, 18:55





Ad Extirpanda ~
Mirando al cielo più scuro



Il cartomante stava sulla soglia come un intruso - cosa che forse era sul serio - od un ospite sgradito, estraneo spettatore di quelle trame di dame e cavalieri, fra canti ed ombre che si intrecciavano da chissà quanto tempo. Conosceva poco e niente delle storie dell'Eden e del Sorya, racconti raccolti nei suoi pellegrinaggi e poche parole sfuggite alle labbra serrate di Afrah, come se una pesante cappa di misteri opprimesse tutte quelle vicende. Pure la sua guida era stata avara di spiegazioni, tacendo più di quel che spiegasse, ed ora non si vedeva da nessuna parte, svanita chissà dove come si era divertita a fare per il lungo tragitto fino alla sommità di quella torre e l'immenso salone ricolmo di figure importanti a pochi passi da lui. I discorsi e le scene che si svolgevano là dentro non erano destinati a lui che di Eitiniel ed Alexandra conosceva a malapena i nomi, e delle altre figure che stavano lì era completamente all'oscuro; tranne che per una. Era stato al fianco di Jevanni, aveva visto la sua spada spargere morte, e grazie a lui era sopravvissuto alle macchinazioni di Crono; non un amico, ma di certo un alleato. Di tutti i discorsi nella stanza ne riuscì a capire solo uno:

che lo spadaccino voleva uccidere la dama bianca; e glielo si impediva. E non era solo quella creatura - Malestrom - né le parole della bellissima donna a fermarlo, c'era molto di più, qualcosa di più profondo come un'incantesimo ma di natura ignota allo stregone. Che rimaneva immobile mentre il rituale si compiva come impietrito di fronte a qualcosa di superiore a lui e alla sua stessa volontà. Il mondo stava tremando, e forse sarebbe presto crollato, e lui lasciò che tutto ciò si compisse senza dire una parola, ma non perché volesse, semplicemente pensava di essere impotente e si rassegnò al volere altrui. La sua ignavia avrebbe condannato il mondo, ma furono altri al salvarlo: il copioso corteo di ombre che stava alle sue spalle. Fu un tradimento muto, compiuto senza parole o gesti eclatanti, perpetuato per motivi alieni. E per un attimo vi fu ancora speranza.

ɲ Ɏ ɳ

" Pare che i Daimon abbiano infine trovato il loro Campione, dunque."

Gli occhi gelidi di lei si posarono su Jace, che fu come frastornato da quelle parole. Un gelido livore trasudava dalla sua voce, e ciò la rendeva ancora più splendida, di una magnificenza sublime, propria di una creatura che non aveva posto in terra e sembrava destinata a galleggiare leggiadra al di sopra di ogni cosa materiale; eterea ed inafferrabile.

" Nelle tue vene non scorre sangue Sorya. Nei tuoi occhi non serbi il ricordo di queste terre.
Quindi rispondi,
giovane che solo potresti porre fine alla mia ora fragile vita,
sei giunto qui per uccidermi o per salvarmi?
"

Il suo cuore sussultò, e se non fosse stato pieno di un'altra in quell'istante avrebbe ceduto e non si sarebbe sentito gelare all'ipotesi di uccidere quell'angelo ultraterreno. Invece sentì come una vampata di calore, forse vergogna davanti a pensieri simili, e questo lo portò ad abbassare gli occhi cerueli, a cercare qualcos'altro da guardare. Ed in quel momento si ricordò del suo salvatore, di Jevanni. La prima volta che si erano incontrati, all'ombra della torre dell'orologio nel deserto del Plakard, Jace aveva tentato di ucciderlo, ammaliato da chissà quale richiamo. Aveva stretto la sua frusta al collo dell'uomo e quello si era ribellato e con forza l'aveva respinto; subito dopo si era sacrificato per tutti loro. Mentre loro sprofondavano nell'oscurità, lui rimase a proteggere la loro fuga, nonostante quello che avevano provato a fare. Era un uomo saggio, risoluto, brillante; ed era venuta l'ora di rendergli il servigio. Non rispose alla bianca dama, si limitò ad un cenno del capo verso il cavaliere, un segno di rispetto o forse un ultimo saluto; perché di fronte a tanta potenza era certo di cadere. Forse avrebbe dovuto affidargli delle parole da dire ad Afrah, ma sapeva che sarebbe risultato patetico e sciocco come solo i romantici sanno fare. Perciò si erse ritto con fierezza, e slacciò dalla schiena la Carreg o Wythïen, l'arma più adatta a quel momento: la lancia forgiata per scacciare le bestie immonde dall'Edhel e rendere anche i suoi anfratti più bui sicuri. C'era una certa poesia in tutto quello, ma sopratutto una grande dose d'idiozia visto che stava per gettarsi a capofitto fra le fauci della morte. Senza nessun urlo o parola si gettò su di lei con tutta la forza che aveva nelle braccia, lanciandosi con tutto l'impeto e la disperazione che aveva in corpo.

Vide un'ombra stagliarsi al suo fianco, cercando di gettarsi su di lui, e poi un'altra mettersi in mezzo ed ostacolarla; Jace fu salvato ancora una volta da quel guerriero gentile per via della propria sconsideratezza. I suoi occhi non seguirono la scena, fissi com'erano su di lei, il suo bersaglio, che non pareva intenzionata a reagire; forse poiché senza più forze. Nel suo sguardo c'era un interrogativo che il suo assalitore non voleva dare, come gli avevano insegnato fin da ragazzo.

La cosa più stupida che puoi fare quando devi uccidere qualcuno - disse la voce del suo mentore da qualche parte nella sua testa - è farglielo sapere.

Il rostro d'osso si conficcò nella carne senza incontrare resistenza, affondando nel corpo di Eitiniel fino a trapassarla da parte a parte, lasciandosi alle spalle un rivolo vermiglio che s'ingrossava sempre più. Era quasi ridicolo che fosse una persona così estranea a quei fatti a porvi termine, o forse vi riuscì proprio perché non aveva nulla di che spartire con quelle vicende, meno che l'amore per una delle pedine di quella così affollata scacchiera. Un sospiro lieve, e mondo sembrò fermarsi per un attimo, poi grosse crepe spaccano il pavimento, che assetate di sangue sembrano chiederne sempre più. Dalle sue labbra esili proruppe un ultimo suono, Leanne, un nome forse che lo stregone non capì, e poi la donna si accasciò mentre lo specchio ai suoi piedi si infrangeva in mille e più schegge. Ed insieme ad esso l'intera Torre, in un forte lamento di qualcosa di molto antico che moriva, in un'oceano di luce che però somigliava ad un vuoto nulla.

Z18bS

Privo di un qualsiasi appiglio Jace precipitò.
Cadeva a gran velocità immerso in quell'inconsistente luce, una distorta esplosione che gli pareva privo di confini o del concetto stesso di fine. Non vi era nulla a cui aggrapparsi, nessuno a poterlo salvare, solo una fine orribile quando il suo avesse urtato qualcosa, qualsiasi essa fosse; sempre che il suo destino non fosse di perseverare in quello stato tremendo. Urlò senza alcuna inibizione, dando fondo a tutta l'aria contenuta nei suoi polmoni senza risparmiarsi: vide spalancarsi sotto di lui un profondo abisso pronto ad inghiottirlo; per lui non pareva esservi speranza. Fu proprio in quel momento, quando nulla più sembrava possibile, che sentì qualcosa strattonarlo, un tocco lieve ed allo stesso tempo forte, che arrestò il suo volare. Un lieve tentacolo d'ombra serpeggiava attorno a lui, e quando il cartomante allungò lo sguardo vide il volto - o meglio la forma del suo salvatore: la sua guida, il Servo della Volontà che l'aveva accompagnato in quel viaggio. Lo portò a terra, fra le macerie che restavano di quella grande torre.

Tu? Perché?
Perché mi hai salvato alla fine di tutto questo, dopo la distruzione che ho portato?
"

" Velta non prende per sé la vita, offre semplicemente la possibilità di rinunciarvi. "
il suo sguardo si posò sull'arma di Jace, ancora sporca di sangue
" Ma la tua scelta è stata diversa."

E lui?
L'altro uomo, lo spadaccino, che stava su con me, che fine ha fatto?
È vivo?
"

Per un attimo parve guardarsi attorno in cerca di qualcosa, poi tornò di nuovo sul ragazzo
" Il guerriero sta bene. Ilthan l'ha portato in salvo. "

L'ombra si allontanò di un passo, e poi rivolse un mezzo inchino allo stregone, troppo confuso per capire il significato di quei gesti.

" Il mio nome è Vergilius
e da oggi sarò lieto di accompagnarti ovunque nessun altro oserà farlo.
"


E con questo, da quel che ho capito, si conclude la giocata. Mi dispiace averci messo così tanto a scrivere quest'ultimo post, ma questo periodo estivo è sempre difficile per me; il mare ammazza il tempo per scrivere. Sono felice di aver partecipato a questa giocata, e di aver inciso in maniera così inaspettata alle sorti dell'Edhel. Uccidere Eitiniel, ma come se lo doveva immaginare Jace? :asd:

Complimenti a chi ha organizzato il torneo!


 
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view post Posted on 22/8/2014, 17:36
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All Heavens sent to dust
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Cavaliere di Velta.
Non sono una tua marionetta. Ma le spire che gli stritolavano mano e braccio, quelle invisibili fila che lo tiravano a comando dell'Inquisitrice, non davano cenno di volersi allentare o spezzare. Non sono un tuo cavaliere. Allora perché non riusciva a disobbedirle, reggendo in alto l'arma che avrebbe potuto salvare lui e condannare lei?

Una devozione che mai gli avrebbe conceduto di ucciderla.
Non voglio. Non era una devozione che gli apparteneva. Che Alexandra avesse commesso un errore, credendo di essere la sola vulnerabile a questo incanto - che se lei fosse stata lontana da Eitinel, tutto sarebbe andato secondo i piani? Si era dimenticata del sigillo posto sulla sua mano? Forse non è Velta a mentire.

I cori dei Primogeniti risuonavano come una sinfonia funebre, requiem destinato ad un mondo morituro - anche se non lo sapeva. Inebriato come era dalla voce, si era lasciato condurre in un sonno fatale che presto avrebbe avviluppato anche lui. Un riposo forse meritato, forse non meritato, ma che difficilmente avrebbe visto un risveglio. Una fine indolore, ma una fine in ogni caso.

Lasciami. Ribollì di collera e paura, come una bestia condotta in un angolo dal cacciatore; lo sguardo ricadde sulla mano toccata - no, gli occhi la fissavano come fosse stata infettata - da Velta, e per un folle attimo il Guerriero credette di sapere cosa andava fatto. Tentò di calmare il cuore martellante, di ignorare lo strisciare infinito della goccia di sudore lungo la tempia: ma mentre rivolgeva la lama via dalla Dama, chiudeva gli occhi inspirando e con un guizzo la calava sul proprio polso, mentre già avvertiva il morso gelido dell'acciaio, un pensiero improvviso e lucido lo fulminò.

Un rigagnolo di sangue si formò sul taglio superficiale lasciato da Orizzonte, colando sul braccio per poi colare a terra e confondersi nel nero ai suoi piedi. Era troppo tardi per quello. Si portò le mani alle orecchie, tentando di soffocare le voci cantilenanti, ma non riuscendoci ebbe la conferma. Volle rassegnarsi, anche se sapeva che quella non poteva essere un'opzione. Se la mano era il cancro, ormai aveva già raggiunto la sua mente.

Non ho mai avuto una possibilità, vero?
Scorse il sorriso di Maelstrom, in parte di vittoria e in parte di compassione, un'increspatura nelle acque che turbinavano rilucenti all'altezza di dove si sarebbe dovuta trovare la bocca della creatura, e fu quello il colpo di grazia. Le dita persero la presa sull'elsa, e la spada cadde con un clangore al suolo. Nessuno lo udì: la cantilena era assoluta.

Finché, dopo quelli che meno di eoni non potevano essere, non lo fu più.

Credette ad un attimo di tregua, un riprender fiato prima dell'ultimo verso - l'ultima strofa gravida di trepidanza - ma il canto non riprese. Lo sguardo incollato a terra si sollevò prima timoroso, poi curioso, infine confuso. Le orecchie riuscirono a catturare a malapena le parole di Eitinel, come in un sogno ad occhi aperti, deliranti ma dette con un volto per nulla febbricitante. E soprattutto gelide, furibonde, ma la furia non era rivolta a lui. Parlava da sola, aspettandosi che la sconfinata cima della Torre le rispondesse. Gli parve di seguire la faccenda da spettatore, guardando il proprio corpo reagire esternamente a sé. Pensò che doveva essere l'effetto del canto, ma il canto era finito.

I Primogeniti erano svaniti, lasciando spazio solo al candore della sua luce e quello distorto di Maelstrom. Erano soli, in un momento di esitazione - come il funanbolo che improvvisamente si ferma, la sua concentrazione infranta e il piede viene colto in fallo. In momento fatale, al termine del quale Eitinel lo guardò e disse: sei giunto qui per uccidermi - o per salvarmi?

Nessuna delle due.

Che morte giusta ci sarebbe dovuta essere per colei che ne aveva portata così tanta? E che salvezza ci sarebbe potuta essere per una Dama prigioniera di una Torre che imprigionava tutti? Era giunto per cercare delle risposte. E invece aveva ricevuto domande.
Dimmi,
chiese con labbra incapaci di aprirsi e gola serrata,
non puoi darmi un'altra scelta?

La stasi si infranse. L'uomo si scoprì ad annuire, raccogliendo appena il fiato, come a voler rassicurare qualcuno, probabilmente sé stesso:
tutto andrà bene. Questa volta.

Il silenzio venne violato solo dai passi, tocco debole e ridicolo di una terra che non apparteneva a questo mondo né a quello di Eitinel, né luce o ombra. No, non erano meri passi: si era lanciato in una corsa folle contro la donna, l'intento cristallino come l'acqua, la lama puntata all'addome che si avvicinava vertiginosamente.

Ma non era Orizzonte, perché Orizzonte giaceva ancora ai suoi piedi, troppo corta per colmare quella distanza infinita.
Non era nemmeno lui a starsi muovendo, perché le radici di Velta lo trattenevano ancora come un cappio, e le mani che reggevano la lancia non sanguinavano.
E l'oggetto del suo scrutinio non era nemmeno lui, bensì una sagoma umanoide
-un uomo-
che man mano riusciva a strappare alla luce, sempre più mettendolo a fuoco.

Il Guerriero riprese a respirare, finalmente comprendendo. Finalmente dando un significato a ciò che aveva visto, anche se il volto rimaneva ammantato dalla luce.

Perché lo straniero aveva annuito? Perché aveva avvertito nella propria mente qualcosa stiracchiarsi, come se un ricordo si fosse appena smosso nel sonno? Forse in un'altra vita lo aveva conosciuto, si disse. Doveva aver senso che lui lo ricordasse. Eppure, per quanto si sforzasse, ogni cosa rimaneva nebulosa - una coltre dietro la quale giaceva una storia già raccontata, ma mai ascoltata. Pensò che una volta lo aveva chiamato Fratello, ma non seppe dirsi perché. No, straniero, tu devi rimanere uno straniero ora.

Proprio perché Eitinel non lo aveva riconosciuto, proprio perché nemmeno Alexandra poteva averlo calcolato.
Perché il ritornello non si ripetesse, perché l'ultima strofa rimanesse l'ultima.

In quel fulgore sconfinato,
colse en passant l'ironia,
erano loro due le Ombre.

Il Guardiano aveva stretto convulsamente le dita, il suo sorriso mutato in un misto fra incredulità e tensione, per poi diventare un digrignare allarmato.
Jevanni se ne accorse, registrando i suoi movimenti con un battito di ciglia. Vide le acque ingrossarsi e diventare cupe, inghiottire la luce e rivomitare nei suoi flutti dei bagliori sinistri e minacciosi - il suo vero aspetto, quello che mostrava ai trasgressori di Velta, il Gorgo nella sua mole gigantesca.

« Non fare un altro passo! »

No,
se un uomo era riuscito a sfidare la Torre e giungere in cima senza che essa lo attirasse a sé,
allora così sarebbe dovuto essere.

Aveva fallito, ma non avrebbe permesso che il suo successore subisse il suo fato.
Aiutami a farla finita.
Tese la mano verso Maelstrom, soffi boreali animarono l'aria e investirono il demone. La pelle fluida venne ricoperta di scaglie di cristallo fino a metà busto, bloccandolo sul posto in un tintinnare di vetro che veniva tenuemente percosso.
Ebbe il tempo di finire la parola passo, prima di rendersi conto di ciò e dunque voltarsi adirata verso lo spadaccino.

Lui restituì placidamente lo sguardo, stringendo le dita rosse di sangue in un pugno, ghiacciando per sempre il Gorgo.
Poi la luce inghiottì tutto.

_____

Una lacrima sulla guancia, poi una seconda sotto l'occhio. La terza lo colpì in fronte, strappandolo all'incoscienza.
Perché piango?
Sfiorò con la punta delle dita il viso, tastando il bagnato e poi esaminandosi i polpastrelli. Neri come l'inchiostro.

Alzò lo sguardo al cielo plumbeo, la pioggia che prima aveva flagellato il campo di battaglia stava cessando.
Battaglia. Stavano combattendo Velta - no, Eitinel stessa. Lo straniero nella luce le si era scagliato contro in cima alla Torre, trafiggendola.
Abbiamo vinto?

Se sì, nessuno attorno a lui stava festeggiando. Migliaia di corpi giacevano distesi nel fango, proprio come lui poco prima. Alcuni di loro respiravano, dando flebili cenni di vita, alcuni sporadici si stavano destando. Nessuno dei giganti di tenebra in vista, un buon segno - fermare Maelstrom lo aveva prosciugato di tutte le energie, lasciandolo dolorante e affaticato. E inerme.

Combatté le vertigini nel sollevarsi, e gli occhi scrutarono il terreno fangoso alla ricerca della spada - la stessa che non era riuscito a muovere per spezzare le catene dell'Inquisitrice. La mano non formicolava più, e il gelo propagato in essa si era attenuato. L'atmosfera che aveva permeato l'ultimo piano (Allora? Cosa hai trovato nella Torre?) era svanita, lasciando spazio al silenzio che solo la fine di una tempesta poteva donare. Le macerie di Velta erano sparse qui e lì, massi di un monumento all'incubo, stelle in un firmamento di pozzanghere nere, punti su una mappa di terra che aveva bevuto più sangue di quanto avrebbe dovuto. Sotto di uno di essi spuntava una mano ricoperta di brina, indubbiamente appartenuta a colei che a lungo aveva schermato le viscere del Sorya a coloro che non erano stati richiamati.

E poi, ancora, vi era lei. La scorse con un tonfo al cuore, un brivido che gli attanagliò le viscere, come chi aveva appena scampato la morte e la reincontrava a Samarcanda.

Io non sto fuggendo.
Anche se voleva farlo.

Gli ordini di Alexandra non si udivano più, i Leoni -ciò che ne rimaneva- erano stati sbaragliati e solo uno era penetrato nella Torre incolume. L'ardore con cui avevano caricato contro l'obelisco dell'Edhel si era spento con il gelo sferzante del diluvio, e ora rimanevano solo le ceneri puzzolenti. Cosa era stato di quel folle gesto? Nessun segno di ritirata, nessun segno di vittoria, niente di niente - nemmeno una sconfitta di entrambe le parti. Lei giaceva in una pozza, la ferita mortale al ventre e i capelli candidi sparsi a ventaglio - lo sguardo perso nel vuoto del cielo, ma non morta. No, lei respirava ancora, un fievolo sospiro dietro l'altro.

Ogni suo tenue rigonfiarsi del petto, pensò lo spadaccino, è il respiro del Sorya che conoscevo.
Quel poco che conoscevo.

Non gli venne nemmeno in mente di calare la lama un'ultima volta, e completare il lavoro ansioso e spaventato dello straniero.
Riuscì solo a fissare la dama, parzialmente affascinato e parzialmente costernato.
Forse era davvero un Cavaliere di Velta.

« Finisce così? »
Il tono esitante, come un figlio che chiedeva timoroso il permesso alla madre.



Jevanni non riconosce immediatamente Grim perché per lui gli eventi di Cronos, al termine dell'evento, sono rimasti nebulosi e incomprensibili - man mano ricorderà, ma ci vorrà tempo.
 
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view post Posted on 26/8/2014, 22:10
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Ricordo, di stagioni rubate,
il rintocco del tempo, cantico armonioso di terra e cielo,
che come amanti,
soleano danzare stretti una melodia di stagioni
ed eternità.


"Ricordo..."
la voce le si era spezzata debolmente, rotta nel trasalire, mentre nel scintillante fratturarsi di Oneiron e Theras, la sua figura era caduta giù a precipizio nel vuoto. Sagoma accesa ed irridescente, tralucente scheggia di cristallo a piroettare in una discesa infinita. Ed infine schiantarsi al suolo, goccia solitaria, in un lago nero come le lacrime che ella, pelle e guance di latte, mai aveva potuto versare.
Aveva avvertito il gelo. Il freddo. Il nudo risalire dell'acqua fra le sue vesti di ragnatela, fra le dita di porcellana e suo malgrado non aveva fatto nulla per evitarlo, per impedire che, attimo dopo attimo, la gravità la trascinasse giù nel Cocito che Velta stessa aveva scavato mentre a forza affermava il proprio posto nel Mondo.
Ricordo...
Solo per un istante, ansimando piano, aveva comunque tentato di tendere il collo un poco più in alto, oltre la superficie che già si inerpicava lungo le sue guance rigate, fra i suoi capelli sparsi nel miasma piceo. Un ultimo respiro, aveva pensato, prima dell'Oblio. Prima di tornare laddove tutto ebbe inizio e tutto avrebbe dunque avuto fine, oscuro e nero come il primo sguardo dell'infante ancora estraneo alla luce.
Ed invece eccole, ad un passo dalla mezzanotte - come nelle più dolci fiabe- e dal fatale spezzarsi di ogni incantesimo, il sopraggiungere delle stelle. Chiarore sommesso, vitreo e cristallino come l'incresparsi di mille e più fibre in una. Intreccio multicolore a cui Eitinel si era suo malgrado aggrappata con dita malferme, stremate su quella superficie lamellare, tanto conosciuta quanto aliena ad ogni altro al di fuori di lei.

Non era forse giunta la sua ora?
Certo.
Certo...

Giusto il tempo di dire Addio.

3N9BDCD

Ricordo...
aveva così sussurrato lasciandosi sollevare dolcemente, piccola risalita dall'abisso fino ad appoggiare il capo sulla rettilifea parentesi di un addome tutto squame e scaglie, tutto riflessi e bagliori.
Aspirò piano il suo profumo. Ghiaccio e Vento. Il sapore del Nord.
E malgrado non fosse quello che lei ricordava, il volto della Dama si strinse comunque in un mezzo sorriso, candida gioia nel sapere che Lui l'avrebbe trovata così, nel cristallino abbraccio di un Drago senza ombra e voce, limpido come brina, grandi ali pallide a chiudersi in un sipario di nebbia attorno alla sua figura di donna.
Eitinel.
La Dama Bianca.
Ora nulla più che una fanciulla prossima dallo spezzare il proprio sortilegio,
o forse restia dal farlo,
poichè in fondo ella sapeva che non l'incantesimo, ma lei medesima si sarebbe dovuta infine spezzare per consentirle, paradossalmente, di trovare una Fine.
Una qualunque, non importava quale.
O forse solo di morire.

Finisce così?

Le disse allora Lui con un moto di rabbia, delusione e preoccupazione più infantile che adulta. Più rabbiosa che realmente incuriosita. Come se, malgrado tutto, egli si fosse aspettato qualcosa in più da lei, di più dalla morte di una come Eitinel.
Forse un altro Crepuscolo,
tanto celebrativo quanto teatrale.
Ma la Dama volse piano il capo, lacrime nere a disegnare un apostrofo solitario sulle guance.
E sospirò, stanca.

Così, come?
esalò con voce velata -eppure quasi divertita malgrado tutto.
Con la Morte?
(la semplice e banale Morte?)
Eppure è questa la fine che spetta ad ogni cosa del mondo.

Come l'amore di Dante, dell'Edhel il più oscuro melodiare ed ora null'altro che una nota sbiadita nel vento. Come l'odio di Ray, irriducibile crudeltà di destini da sempre incrociati, eppure mai per una volta simili. Come l'umiltà di Goth nel seguirla ben oltre il proprio amor proprio, atto di ultima e fatale fedeltà che mai avrebbe più potuto essere riscattata. Come l'ardore di Alexandra nel perseguire il dubbio piuttosto che la cieca abnegazione. Nel temerla, nello sfidarla.
avrebbe voluto ricordare,
ma, senza pensiero alcuno a cui potersi aggrappare, Eitinel si limitò dopo un attimo a sorridere lievemente, come chi avverta la presenza di un pensiero eppure suo malgrado non riesca in alcun modo ad afferrarlo.

E per quanto io mi sia illusa del contrario, è al mondo che il mio corpo appartiene.
E deve ritornare.

Socchiuse piano gli occhi, una nota gentile a fare allora capolino in quel volto di neve.

Finisce così.
Ripetè dunque. E nel farlo, parve quasi di intravedere il sollievo nei suoi occhi ora puntati al cielo, ora alti in quell'immensità che forse troppo a lungo ella aveva mancato di notare.
Poiché così era giusto che finisse ora che Oneiron ha terminato di fare sua la mia anima in nome di...
breve esitazione

Del Sorya
di Venatrix
di Leanne
di...

di ciò che è stato e mai più sarà.
Concluse sospirando.

E le sarebbe davvero piaciuto dire
mi dispiace
oppure
non ho nessun rimpianto
ma la verità era che ora la sua mente pareva bianca, linda e candida come la pagina di un libro su cui nessuno avesse mai avuto la volontà di scrivere senza poi cancellare parola dopo parola. La Vita, uno scrittore mai soddisfatto della propria opera. La sua Esistenza, un enigma al confine fra favola e realtà, zoppicante parodia di una quasi felicità, quasi disperazione, quasi menzogna, quasi verità. Dama solo sulla parola. Bianca solo per vanità. Eppure ora, ad un passo dal precipizio, nulla di tutto ciò pareva realmente importante se non l'esistenza -ancora per poco- di una donna fragile e debole, una intera vita ad appassirle fra le mani come i petali di un fiore.

Non ho mai creduto possibile per me altro finale se non questo.
Socchiudendo gli occhi, ella allungò allora una mano a sfiorare il muso del Drago chino su di lei. Ne carezzò piano le scaglie iridescenti, il collo flessuoso, le ali tese, per poi abbandonare il palmo all'altezza del cuore in modo da avvertirne sotto i polpastrelli il battito lento e regolare.
Ed ora che sono qui, non sono nemmeno certa che dimenticare me stessa sarà il passo più difficile.
Strinse improvvisamente il pugno.

zxiBmj0

Lo stagno attorno a lei parve allora tendersi appena, come seta al vento mentre lei schiudeva un'ultima volta gli occhi color tramonto, ora crepuscolari nel suo tenace, pur quieto, lottare contro una forza simile al sonno.
Si umettò piano le labbra, lacrime di brina a renderle quasi bianche sul volto cinereo.

Conosci la favola de "La Bella Addormentata nel bosco", Jevanni?
sogghignò infine alla volta del ragazzo. Mentre reclinava il capo, alcuni ciuffi alabastro le scivolarono a ventaglio sul viso.
Sai per caso come finisce?




Il Drago è Ilthan, mutato per volere di Eitinel. La mancanza di virgolette indica che Eitinel parla, ma in realtà è più una forma di pensiero diffuso.
 
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view post Posted on 25/10/2014, 22:06
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E nel vederlo esitare per un attimo, nel vederlo schiudere le labbra e poi inaspettatamente interrompersi, vaga presunzione di inganno celato dietro a parole tanto candide -quanto effimere-, Eitinel non potè che sorridere. Piano. Cauta.
Forse non per la prima volta consapevole dell'effetto che il suo parlare, che il suo alludere sornione e poi divagare era in grado di scatenare nelle persone.
Ora solo Jevanni. Eppure in molti altri prima di lui.
Molti avevano decantato di lei queste e altre malfide qualità, vezzeggiandola di epiteti e allusioni senza però osare mai apertamente oltraggiarla, senza mai completamente denigrandola e sfidandola a reagire ad ognuna - e molte altre- contorte oscenità.
Socchiuse le palpebre ancora.
"Ed ella era come la più dolce delle melodie, un nenia tanto soave quanto infida, tocco gentile che ammalia, che invita, che cattura, ed infine distrugge senza pietà alcuna."
Si umettò le labbra.
"Ed ella era più fredda del ghiaccio, più pura del cristallo. Di una bellezza capace di ferire al solo tocco l'animo di chiunque osasse guardarla. Di una crudeltà tanto inaccettabile poichè celata dal velo della più fulgida compitezza"
Quanti nomi. Quanti sapori e sfumature. Quanti contrari e ripetizioni.
Per un attimo, fu come se l'ombra di un turbamento, di un dolore, le attraversasse il volto, storcendo con lei ogni cosa del mondo che ancora la circondava. Onda riflessa. Fremito dell'aere.
O forse solo l'incredulo rabbrividire di Jevanni ora impietrito negli occhi di lei, esangue rifrazione di capacità oramai non più abile di altro se non di attesa.
E commozione.
"Non"
Crepitò per un attimo la voce del ragazzo.
Improvviso screpolarsi di labbra.
Ci riprovò
"Temo di non saperlo....Mia Signora"
esalò infine.
Senza sapere perchè quella riverenza. Perchè quell'improvviso riconoscerle un titolo che fino ad allora egli non aveva voluto altro se non strapparglielo a fil di spada - alla bella Eitinel-, scucirlo pezza dopo pezza dal corpo di quella donna insieme a quel suo sorriso, tanto avulso quanto abusato agli occhi di Theras intera.
Eppure.
Tremò un attimo, nel profondo.
Eppure odiarla sembrava davvero cosa strana, ora. Provare risentimento verso quella creatura più aliena che viva, fatta di tempera e pastello più che di carne e ossa ed ora dipinta lì, nel bacino di una morte lenta quanto silenziosa. Ricalco misterioso di una minaccia che ora pareva lontana anni luce dall'avversarsi.
"Ma se per lei può andare bene, se così facendo potessi farle cosa gradita"
esitò nelle sue medesime parole
"Credo di ricordare abbastanza della storia da poterla inventare"
fa lo stesso?

A volte, sono gli atti più semplici, più irrilevanti, a decidere della clemenza o meno di un mondo.

qgfKGdF

Quando Jevanni finì la propria fiaba, non la migliore Bella Addormentata che la Storia avesse mai udito, certo, eppure a suo modo gradevole, un mite rossore indugiava ancora sulle labbra di Eitinel. Pallida, la dama pareva essersi addormentata ad un certo punto, semplicemente reclinando la testa di lato come chi, troppo stanco, non abbia di che abbandonarla di lato e rilassare infine il collo in un sospiro.
Lei, sempre suono e mai interruzione.
Sempre voce e mai astensione.
Canto che ovunque riverbera e nulla accoglie se non l'ostentazione di sé, il folle perdurare del macabro assolo dell'Io.

Eppure, Eitinel, fu mai in grado di raggiungerti in vita anche una sola vibrazione?
O davvero, quella di Jevanni fu la prima e l'ultima Favola che ti fu possibile udire?

Ma prima che il ragazzo avesse di chiedersi se fosse il caso di piangere, o meglio compiangere il silente ammutolirsi di quella voce che eterna aveva assordato il destino di Theras, fu una presenza alle sue spalle a sorprenderlo.
"Forse non la Bella Addormentata che tutti noi ricordiamo, ma di sicuro la più gentile che io abbia mai sentito"
il tono di Aris parve leggero come l'aria mentre senza un rumore ella passava accanto a Jevanni posandogli, piano, una mano sulla spalla.
Difficile capire quanti significati si celassero in quelle semplici parole. Al contempo esse parevano essere leggere come vento -prossime dallo sparire, forse- eppure abbastanza pungenti da risvegliare qualcosa nella sua gola.
"Forse non la fine che tutti quanti avrebbero voluto" convenne però dopo un attimo in un bisbiglio a mezza voce "Ma probabilmente quella che Eitinel avrebbe più gradito".
Poiché, forse per la prima volta, le era stata data la possibilità di scegliere.
Il sogghigno di Aris gli giunse in un frullio lapidario.
"Credi?"
fu la sua rapida domanda, eppure, in quel sottile e strano modo che forse accomunava tutto dell'Edhel e di quel mondo a metà fra il sogno e la realtà, a Jevanni parve di scorgere una vaga accondiscendenza. Fu con una seconda pressione delle dita che lei lo invitò ad alzarsi - si era inginocchiato? Davvero?- e scrollarsi di dosso il misto di sangue e compassione di cui era ora insozzata la sua armatura. Si morse piano un labbro.
No.
Si scoprì suo malgrado a scuotere piano il capo.
Vorrei rimanere ancora un po' qui.
Ancora un istante a vegliare sul luogo ove, non per l'ultima ma per lui la prima volta, il mattino sfiorava il tiepido svanire di un sogno pallido come neve, freddo come ghiaccio.
Sfiorava Eitinel, e nel farlo attimo dopo attimo la consumava costringendola a divenire nulla più che "una delle tante", "una delle molte", solo e solamente il ricordo sommesso di un fu mai più pronunciabile.
"Eppure mi meraviglio di te, Jevanni"
lo riscosse tuttavia, impietosa, l'ancora una volta voce di Aris.
"Non c'è persona al mondo, vecchio o bambino, che non sappia come finisca la favola della Bella Addormentata nel Bosco"
piegò piano la testa abbozzando un sospiro buffo, quasi lo stesse rimproverano per una marachella imprecisata che il ragazzo, suo malgrado, faticò ad indovinare.
Sbattè ancora una volta le palpebre.
Ma cosa...
E poi Aris deviò i propri occhi dai suoi, costringendo con quel gesto anche Jevanni a scostare il proprio sguardo e posarlo su una figura che, come oramai cominciava a comprendere essere una costante, non aveva notato fino ad allora.

Nell'avvicinarsi, Leanne parve muoversi come foglia trasportata dal vento, una lembo di seta cremisi sospinto da onde invisibili e lì costretto ad indugiare, ad avanzare, passo dopo passo sempre più vicina alla pallida sembiante della Dama Dormiente.
Ed infine posarsi al suo fianco, chiome fulve a spargersi fra quelle nivee di lei come il sangue che mai Eitinel avrebbe mai potuto versare in vita.
Fu con il tocco di due dita che Leanne scostò allora alcune ciocche candide dal volto della Dama, avendo cura di riporle laddove il loro curvarsi avrebbe dato vita ad un ovale perfetto e delicato.
Sospirò.
Negli occhi uno sguardo velato di parole, trafitto dal silenzio di un sentimento ancora ben lungi dal nascere, dal fiorire.
Poi, cautamente, si chinò, e sulla fronte pallida della donna, la fanciulla abbandonò un bacio a fior di labbra.

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furono le ultime parole di Aris.

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le fece eco la voce di Leanne, ora fioca mentre, cauta, ella si sporgeva per un attimo a sfiorare il collo luminoso del Drago che ancora avvolgeva nelle proprie spira il corpo della Dama.


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E se il Sogno avesse nome, se vi fosse davvero un suono che potesse esprimere la più pura essenza dell'onirico abbandonarsi alla vita, alla morta, ed infine galleggiare nello spazio profondo della propria incoscienza,
ecco,
per un attimo Jevanni pensò che quella parola ne fosse il più degno rappresentante.
Il più calzante sostituto nell'improvviso irradiarsi del Drago di mille e più sfumature scintillanti. Del suo flettere il capo e poi ruggire, tonante, di una voce profonda come il ricordo stesso, ali di rugiada a spalancarsi, poi chiudersi, e di nuovo aprirsi nel preludio del volo.
Nel brivido di un capogiro, il ragazzo osservò l'immensa creatura alzarsi sulle quattro zampe, ergersi per un attimo fiera al di sopra del loro sguardo ed infine balzare nel vuoto in quello che avrebbe ricordato per sempre essere il volo più mirabile che avesse mai visto e sognato.

"Ricorda, Jevanni"
una voce lo raggiunse alle spalle, costringendolo ad abbassare lo sguardo su una Eitinel oramai svanita, al suo posto il rubineo profilo di una bimba ancora accucciata a terra, lunghi capelli a contornarle il volto d'alabastro. Negli occhi una scintilla morente, umanità ancora in fasce e pur sempre latente. Sguardo di bambola, non potè che pensare in un attimo prima di sbattere le palpebre, prima di piegare il capo e lì soffermarsi sulla figura di Aris al suo fianco, pallida e docile in quel suo costante sogghignare e abbozzare.
Ricorda?
Le chiese con un'occhiata, la medesima di chi realizzi solo in quell'attimo di non sapere - e nemmeno capire, in realtà- perchè tutto ciò che era appena successo, fosse davvero successo.
Perchè quella fanciulla si fosse recata al capezzale di Eitinel. Perchè le avesse dato il proprio Addio quando, al contempo, tutto il resto del mondo sembrava indifferente dal farlo.
E perchè, osservando più a lungo, più attentamente, qualcosa nel suo viso gli ricordasse tanto fortemente quello della donna ora scomparsa.
Si accigliò.
E fu in quella che gli occhi di Aris si pararono nei suoi, due grande pozze oscure che per un attimo invasero completamente il suo campo visivo mentre ella, docile predatrice, si sporgeva a baciargli piano le labbra.

"Tutte le storie che si rispettino si concludono con un bacio. Il bacio del vero amore"
Vacillando, il ragazzo fece qualche passo indietro. Sbattè le palpebre, una vaga sensazione di smarrimento a pesargli improvvisamente dietro gli occhi.
Il suo corpo ricordava quell'impressione. Si umettò rapido le labbra, i piedi che facevano di propria sponte un altro passo indietro.
Più una suggestione, in realtà.
Ansimò.
O viceversa un presentimento, il medesimo che si avverte nel'istante in cui il Sogno si divincola dalla finzione e si presenta per ciò che è realmente.

Sto dormendo?

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boccheggiò mentre ancora una volta, il sogghigno di Aris lo sfidava a comprendere, ad indovinare l'impossibile indovinello celato al di là delle sue vaghe sensazioni, presentimenti, impressioni.

"Ricordarlo la prossima volta, Cantastorie"

L'attimo dopo, in un sospiro ovattato, Jevanni crollò sulle ginocchia a terra, una vecchia canzone che a poco a poco svaniva assieme ai ricordi dalla sua mente.
Aris ne studiò per qualche attimo il volto corrucciato, l'espressione perplessa ad accompagnarlo anche ora nel limbo di un sonno che, probabilmente, lo avrebbe avvinto per giorni interi.
Poi socchiuse le palpebre.
"Andiamocene, Leanne"
pur tranquilla, lei stessa percepì la tensione della propria voce. Nota bassa, monocorde, eppure abbastanza desueta da attirare l'attenzione della piccola poco distante.
L'altra non si mosse di un millimetro, il volto ancora rivolto in alto nel punto ove il Drago -ed il suo prezioso carico- era scomparso, eppure ad Aris fu chiaro che ora Leanne fosse come in ascolto, silente attesa di un suo nuovo esitare.
"Nel mio sogno, ha detto di chiamarsi Ricamatrice"
esalò poi trasognata.
"Ha detto di volere qualcuno che le dicesse Addio prima di andarsene."
Aris sospirò piano, incapace di comprendere se il loro essere giunte un attimo dopo, esattamente un secondo oltre lo spiro della Dama fosse stato il semplice frutto del caso o qualcosa di ben più diabolico e premeditato.
E se si fossero per davvero incontrate? E se si fossero realmente viste un attimo prima della fine?
Talvolta, sono proprio le coincidenze mancate a decretare l'andamento della Storia ed il suo snodarsi nei secoli.
Talvolta, è proprio nell'inganno dell'ineluttabile che si cela il perverso piano dell'alterabile.
"Chiunque fosse, ora non credo tornerà"
Si costrinse a concludere suo malgrado.
Leanne abbassò allora lentamente lo sguardo su di lei, una virgola d'ombra a disegnarsi sul suo volto alabastro.
"Tornano sempre tutti"
bisbigliò poi con tranquillità
"Anche lei lo farà"
E dopo un attimo, sommessamente
"Me lo ha promesso"
Per Aris fu impossibile nascondere il brivido che le attraversò improvvisamente il corpo da parte a parte, come lama invisibile ad infiltrarsi nelle carni.
Sarebbe stata cosa così sgradevole sperare che il destino fallisse una seconda volta nell'unire ciò che la Vita aveva diviso?
Nel suo ultimo sorriso, ultimo sorridere, la donna tese allora una mano alla piccola, invitandola senza pretese, senza fretta ad afferrarla.

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A presto. Arrivederci.
E che così sia,
allora.




Con questo post si conclude non solo l'Extirpanda, ma anche le vicende di Eitinel. Ho scelto di chiudere un po' in sordina, con una semplice scena, perchè così ho pensato fosse il modo migliore di lasciarla, senza azioni memorabili o gesta eroiche ma semplicemente facendola svanire come i sogni (ed incubi) di cui lei è sempre stata rappresentante.
Prima di scrivere questa ultima parte, non avevo davvero idea di cosa volessi per lei, se una happy ending o una chiusura tragica e desolante. Ora che giungo alle ultime righe, mi rendo conto di averle dato un po' tutte e due queste cose, con la possibilità di addormentarsi felice ma senza riuscire a rivedere le uniche persone che alla fine contassero davvero per lei. Ma forse è meglio così.
Ringrazio tutti i partecipanti al torneo per il loro magnifico contributo. Ringrazio lo Staff dell'Edhel per la puntualità e la precisione nel gestire il tutto. Ringrazio i vincitori e Grim nel particolare per la loro collaborazione e creatività. Ringrazio chiunque abbia commentato, spammato ed in generale seguito le fasi dell'Extirpanda. Ringrazio in ultimo Coldest per la magnifica scena che ha costruito con me e per l'impegno dimostrato fino all'ultimo.
Alla prossima.
 
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14 replies since 7/5/2014, 02:59   959 views
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