Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Demon's Downfall ~ Veleno nel cuore

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Lenny.
view post Posted on 9/5/2014, 16:42




Demon's downfall ~ Veleno nel cuore


« Ti hanno detto cosa ti aspetta, siii? »

Non era raro che il piccolo, vecchio Gombau osservasse la nudità di una donna. I suoi compagni, ben più forti e feroci di lui, riuscivano sempre a portare qualche avvenente prigioniera giù nelle segrete di RottenHaz, per quanto male fossero ridotte. Epure, l'elfa che si ritrovava a contemplare quella notte era qualcosa di totalmente diverso, da far sfigurare ogni altro prigioniero avesse varcato i neri cancelli. Un'opera d'arte vivente, un capolavoro della natura, un magnifico regalo tutto per mastro Gombau, ecco cos'era. E questo nonostante le spalle esili, contuse in più punti, la pelle d'oca sulle braccia, e il viso scarno per il prolungato digiuno. Erano gli occhi, decise Gombau. C'era da perdersi in quei due pozzi smeraldini, fieri e orgogliosi come se appartenessero a una regina, e non a una prigioniera seminuda gettata a marcire nelle profondità della fortezza errante.
Era legata alle corde che pendevano dal soffitto, magra, con i seni appena accennati e le costole sporgenti, le gambe scheletriche agitate da tremiti convulsi. Doveva patire il freddo e l'umidità dei sotterranei della fortezza, l'aria rischiarata appena da torce prive di calore.

«Ci divertiremo tanto, sii? Tu e Gombau, sempre sempre insieme, sii? »

Si portò dietro di lei, stringendo un capo della corda. Il corpo della donna era così gracile che il carnefice riuscì a sollevarlo solo tirando la corda, senza l'aiuto di nessuno. Sapeva fare bene il suo lavoro, mastro Gombau, e gli era sempre piaciuto farlo. Lavorare su un soggetto del genere, poi, doveva essere addirittura un onore. La fune frusciò entro l'anello conficcato al centro della volta. Le braccia della prigioniera, legate dietro la schiena, scricchiolarono orribilmente. Il rumore di giunture tirate fino al loro limite per sollevarla a mezz'aria, mentre la mandava a scalciare a due braccia dal suolo. Altre gocce di umidità caddero dalla volta su quel corpo martoriato.

« Grida, grida! » urlò con furore selvaggio « Questo è solo un assaggio dei nostri futuri giochi, sii! »

« Basta, falla scendere. »

Gombau si voltò di scatto. Una manciata di secondi e obbedì all'ordine, e lasciò pian piano la corda. La donna cadde sulle ginocchia. La voce, dura e tagliente come una pugnalata, parve venire direttamente dall'oscurità. Sebbene le segrete fossero rischiarate dalle torce e non ci fosse nulla tra esse e l'uomo ammantato di nero, l'ombra gli si depositava addosso come olio denso. Il fuoco crepitava, ma nessun guizzo di luce gli si avvicinò. L'ombra si radunava più densa attorno alla testa, lasciando appena intravedere lunghi e scuri capelli grigi che incorniciavano un volto affilato e grinzoso. Naso simile al becco di un avvoltoio, lineamenti pesanti, occhi come due bulbi sanguigni. Avevano trascinato la prigioniera alcuni dei Korps partiti assieme a Montag..ma tornati senza Montag. Gombau non aveva compreso bene cosa fosse accaduto, ma percepiva nell'aria che qualcosa era andato storto. Altrimenti lui in persona non sarebbe giunto fin laggiù nelle segrete. Non lui. Non Viktor von Falkenberg.

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« Sono piuttosto sorpreso che tu sia ancora viva. Sfortunatamente, ciò è avvenuto al costo della vita di molti miei servitori. Be'...Meglio che siano morti servendomi, piuttosto che siano vivi e carichi della terribile responsabilità dell'indipendenza. »

Fece un gesto noncurante con la mano, mentre si portava alle spalle della prigioniera con passo lento, cadenzato. La mano sul suo viso, nella grottesca pantomima di una carezza. Fu comunque un tocco delicato, per quanto gelido. Dietro di lui, due Korps in armatura completa attendevano all'ingresso come ombre. Appena dietro di loro, una terza ombra: quella di Flint Tapster. Il suo sguardo preoccupato vagò da una parte all'altra della cella, per poi soffermarsi su Fanie. Un attimo, solo il frammento di un attimo, prima di essere distolto.

« Ma non credere che la carità mi sia ignota, Fanie Elberim.
Vedrai quanto posso essere generoso, davanti a un pentimento dettato dal cuore.
»

Rise. Una risata priva di alcuna allegria, gelida come le tenebre delle segrete di RottenHaz. Le parole del Beccaio erano permeate da un'aura oscura e corrotta. Una forza empatica che lentamente, inesorabilmente, avrebbe scardinato il libero arbitrio di Fanie Elberim. Era questo il destino dei prigionieri di RottenHaz. Prima o poi, anche lei sarebbe divenuta parte di quel castello. L'ennesima creatura forgiata a nuova vita tra i ranghi dei prodi Falkenberg Korps.

« Dimmi, non preferiresti semplicemente dimenticare tutto questo e..lasciarti tutto alle spalle? »


SCENA RISERVATA per il sottoscritto e Fanie.
La descrizione di RottenHaz e dei suoi influssi psionici è qui. Per adesso Fanie ne avverte solo una traccia, e non ne è in alcun modo condizionata.

Segnalo per quanto riguarda Viktor varie passive psioniche di timore (presenti in scheda) più Oppressione Oscura, dell'artefatto Klarthagg.
 
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Fanie Elberim
view post Posted on 10/5/2014, 00:34





Demon's Downfall~ Veleno nel cuore.


Gli eroi, dicono sempre, per sopravvivere nei momenti più bui ed oscuri fanno appello alla forza di volontà nel tornare a casa, nel perseguire l'amore della propria vita, nel trovare una piccola luce anche nell'adombrante nero che li circonda. Non è spiegabile né a parole e né con i ricordi ciò che mi passava per la testa in quei momenti, tra il dolore e l'umiliazione, con la consapevolezza che se mi trovavo in quel luogo, presto o tardi, avrei patito un destino peggiore della morte.
Se fosse stato solo per il dolore delle ossa, per le corde... forse sarei riuscita a sopravvivere. Ma non erano queste inezie, perché al confronto di ciò che mi distruggeva dentro questo erano, a tormentarmi... ma la fame.
In vita mia non avevo mai avuto fame.
Non ero mai stata così lontano dal sole e sentivo il mio corpo strillare per potersi rifocillare di un misero raggio luminoso che non venisse dalle luride torce della fortezza. A proteggere quello che restava della mia intimità non c'erano che pochi brandelli di tessuto, decisamente insufficienti a farmi sentire anche solo lontanamente al riparo dagli occhi di quel mio sporco carceriere. Ogni volta che provavo a chiudere gli occhi qualcosa mi costringeva a riaprirli, che fosse un dondolio delle corte, un crampo più forte degli altri, o la voce gracchiante e acida del mio torturatore. A costo di apparire debole, di non mostrare il coraggio che tanti sembravano volermi affidare, sarei volentieri voluta morire in quei momenti... pur di non soffrire a quella maniera, consapevole che il mio dolore sarebbe solo aumentato.

Quando quel mostro riprese a torturami dovetti fare appello a tutta la mia forza d'animo per non mettermi a urlare come una cagna bastonata. Non è possibile descrivere quel dolore, quella sensazione paragonabile solo ad un bruto che con forza ti disarticola lentamente una spalla. Mi conficcai le unghie nella poca carne che mi era rimasta sulle palme delle mani, gemendo e piangendo mentre continuavo a ripetere a me stessa di continuare a respirare. Se solo avessi smesso per un istante di ripetermelo in testa sarei semplicemente soffocata. L'unica traccia di calore di quel luogo proveniva dalle mie stesse lacrime che, scivolando verso il basso, trovavano solamente una pelle ingrigita e spenta, due guance incavate ed un corpo che non era altro che l'ombra di se stesso.
Avevo paura, molta paura, e piangendo più forte pregavo e spergiuravo che qualcuno dei miei amici venisse a salvarmi, sperando che da un momento all'altro avrei visto la sagoma di Raymond spuntare dalla porta per riportarmi a casa.
Tutto ciò che potevo fare era non urlare. Farlo sarebbe stato come dire a Viktor "eccomi, sono qui, aiutami"... e questo non sarebbe mai successo.
Ad un tratto mi resi conto che da lì a poco sarei svenuta per il dolore ma qualcuno ordinò al vecchio di lasciarmi andare. Persino il contatto con il pavimento fu doloroso, e mi accasciai ansimando con le guance ancora ricoperte di lacrime.
Era lui, era venuto per me.

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Ti prego, uccidimi.
Furono le uniche parole che mi sovvennero nel sentirlo avvicinarsi in tutto il suo "splendore".
E si che quella scena me l'ero immaginata in maniera completamente diversa: avevo sempre sognato di essere io, assieme a tutti i miei compagni, tutti i miei amici, a sfondare le porte di quel castello maledetto conquistandolo stanza per stanza, mondando col sangue dei Korps ogni singolo antro, ogni scalone, ogni guglia. E poi alla fine, nella sua sala del trono, fronteggiarlo tutti assieme per dimostrargli che anche un Dio, se messo al cospetto della volontà e della speranza, non ha possibilità di vincere. E sarebbe stato in quel momento, tra mille spade e mille scudi, che avrei cercato di dargli la morte.
Ed invece mi ritrovavo inginocchiata, troppo debole persino per alzare la schiena, a gemere e sbavare per il dolore, più vicina alla morte che alla vita, in uno spettacolo che più pietoso, anche volendo, non poteva essere. Mi sentivo annientata.
Il suo tocco, sulla mia pelle dolente, era come carta vetrata. Lo sentivo raschiare, insinuarsi sotto pelle come mille uncini alla ricerca del poco che c'era rimasto di vitale, decisi a strapparmi via ogni cosa. Di Fanie Elberim rimanevano solamente due occhi, verdissimi, pieni di lacrime che spuntavano sotto ai capelli appiccicati ed umidi, distrutti dalla fame e dalla sete. Trovai appena la forza di alzare un minimo la testa per incrociare lo sguardo di Tapster.
Non sapevo se essere felice per la sua salvezza oppure esserne triste, visto che probabilmente Viktor lo avrebbe fatto uccidere da me non appena mi avesse avuta in pugno. Non avevo nemmeno la forza di odiarlo.
Ansimai, aprendo appena le labbra per catturare l'aria fetida che attorniava il Beccaio.

« Il... mio nome è Fanie Elberim. » con la voce rotta dall'ansimare e dal dolore, parlai. « Scudiero di Sir Raymond Lancaster della Schiera del Drago Nero. »
« Non scendo a patti con i mostri. »
La paura? Era forse l'unica cosa a garantirmi abbastanza adrenalina da restare vigile dopo tante deprivazioni. Io avevo paura, l'avevo sempre avuta, era quella che mi spingeva a lottare ogni giorno, il desiderio di non averne più. Ed ancora davanti alla paura stessa quel sentimento non si era attenuato. Non avevo possibilità, non avrei potuto nemmeno alzare la testa abbastanza da reggere il suo sguardo, ma un briciolo d'elfico orgoglio in quel corpo martoriato mi impediva di lasciarmi andare. Non ancora, iniziai a ripetermi, non lasciarti ancora andare.

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« Un... gio-giorno pagherai per quello che hai fatto. » faticavo persino ad articolare le parole, ma sforzandomi riuscii a proseguire. « Non importa cosa mi farai... »
E la testa mi ciondolò da un lato, esausta.

Quello era solo l'inizio del mio personale pezzo d'inferno.

 
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Lenny.
view post Posted on 11/5/2014, 18:10




Demon's downfall ~ Veleno nel cuore


Viktor von Falkenberg scosse la testa, sconsolato. L'ottuso attaccamento che l'erede degli elfi dimostrava era a dir poco seccante. In un passato neanche troppo lontano, lui stesso si sarebbe incollerito di fronte a quelle parole di sfida, ma ormai si sentiva troppo potente, troppo grande per raccogliere ogni piccolo affronto che il mondo gli rivolgeva contro. Ecco perché aveva deciso di cambiarlo, plasmarlo a nuova vita...ma era un'idea troppo elevata perché la mente dell'elfa potesse arrivare a comprenderla. Le afferrò il mento tra il pollice e l'indice, studiandola come se fosse una specie di strano insetto. Incontrò i suoi occhi, carezzando la sua guancia. Un movimento lieve come vento d'autunno.
Niente altro. Non servì altro.
Non tra loro.


« Perché ti ostini a combattermi?
Tu meriti di più...il mondo andrà avanti senza il tuo inutile sacrificio.
»

Viktor sgranò gli occhi all'improvviso, per poi travolgere l'elfa con tutto il suo potere. Si confusero i colori, le immagini, gli odori, i suoni. Si distorse la realtà, al proferire delle sue ultime profetiche parole. Il mondo vorticò, le palpebre divennero sempre più pesanti, la stanza delle torture di RottenHaz svanì nella tenebra..

__ _ __


Il sole del mattino le cadde sul viso dai frontoni delle case dirimpetto, giallo e caldo. Erano le case di Basiledra, le strade colme di gente. Lei, il Fanie Elberim, si trovava in piedi, dinanzi alla Cattedrale, fiancheggiata da Vraal. E all'ingresso dell'imponente costruzione vi era una figura a lei familiare, eppure al contempo estranea. Ritto come un gigante, splendido a vedersi nella sua giubba nera inanellata, la placca pettorale istoriata d'argento, il lungo manto nero drappeggiato sulle spalle, mantenuto da un fermaglio a forma di teschio alato in oro massiccio, la attendeva a braccia conserte.
Gli occhi di Raymond Lancaster brillarono di sincera gioia alla vista di Fanie.

« Lieto di rivederti, Fanie. »

Il Drago Nero fece un breve inchino al cospetto del suo scudiero. Sorrise, denti candidi dietro baffi e pizzetto perfettamente curati.

« Ti trovo splendida come sempre, oso affermare. »





Edited by Lenny. - 11/5/2014, 21:22
 
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Fanie Elberim
view post Posted on 12/5/2014, 02:34





Demon's Downfall~ Veleno nel cuore.


Il mio inutile sacrificio sarebbe valso a qualcosa. Non era forse quella l'unica cosa che mi teneva ancora in vita in quell'agonia? Il pensiero che, forse, la mia morte non sarebbe stata così vana come Viktor la faceva sembrare? Io non potevo reggere quello sguardo, non potevo reggere quel potere e quella malignità ancora a lungo... sarei caduta, come Eruwayne prima di me.
Come tutti gli altri.
Sempre.

Attraverso la verità c'è sempre spazio per una sottile linea rossa chiamata inganno.
Non vacillare, Fanie Elberim.


[ ... ]

Strizzai gli occhi al sole, quasi infastidita, impiegando qualche secondo a mettere a fuoco quanto avevo davanti. Mi sembrava di aver appena vissuto un pessimo sogno ad occhi aperti, di quelli angoscianti e seriosi, frutto di una mancata digestione o una bevuta eccessiva... o forse un incubo, al più.
Raymond mi stava aspettando, non ricordavo quale fosse il motivo esatto di quell'incontro, ma non mi presi il disturbo di scoprirlo con una futile domanda: se il mio maestro mi stava aspettando sicuramente c'era un motivo più che valido per rispondere al suo appello.
Gli sorrisi, felice, sfoggiano la serenità più grande che mi fosse concesso di dimostrare.
« Buongiorno capitano! » feci un breve inchino anche io, rispettoso. « E grazie. Ti chiedo scusa se la mia espressione appare un pochino frastornata, ma ho passato una pessima notte, devo aver avuto un incubo... » tentennai, fissando i suoi profondi occhi. « E' piuttosto raro, ma gli incubi elfici sono un poco strazianti delle volte. »

Mi dondolai un poco sulle punte dei piedi, quasi come una fanciulla che aspetta di ricevere un complimento o una carezza per essersi sbucciata un dito giocando in giardino.
Fissando il volto di Raymond qualcosa, però, mi obbligò a focalizzare meglio ciò che stavo guardando. In un primo momento non mi ero accorta di niente, come se tutto fosse stato perfettamente normale, ma ora che gli ero così vicina iniziavo a notare qualcosa che mi inquietava, dei particolari fuori posto che non avrebbero dovuto esserci. Non era niente di specifico o di assurdo, erano piccole cose, quasi una sensazione oserei dire.

Apri i tuoi occhi.

Scrollai la testa dondolando i capelli. « L'hai sentito? » domandai incuriosita, girandomi attorno alla ricerca della fonte di quelle parole. Attorno a noi non passeggiavano altro che cittadini indaffarati e distratti, ben poco desiderosi di intrattenere una conversazione.
Dovevo apparire piuttosto ridicola con quella mia espressione confusa e fanciullesca stampata in volto e, per qualche istante, mi vergognai di essere al cospetto del mio cavaliere. Era la prima volta che mi sentivo tanto strana e non riuscivo a ricollegare alcune cose, come se mi mancassero svariate ore di vita...

Devi ricordare, Fanie. Devi aprire i tuoi occhi.

Un lieve dolore mi colpì all'altezza del lobo frontale, seguito da alcune gocce di sangue dal naso. « Oh... mi dispiace io non capisco cosa mi stia succedendo oggi. Forse ho preso qualche malanno durante le ronde, io... » una voce a me nota, femminile, rincarò la dose costringendomi a portare le mani alla testa tanto era forte il frastuono delle parole. Strizzai gli occhi cercando di sopportare il dolore.

FANIE
TU
DEVI
APRIRE
GLI
OCCHI.


Quando riaprì gli occhi sul mondo ero ancora in piazza, con lo sguardo indagatore di Raymond poggiato sul mio, ma alle mie spalle una figura traslucida ed eterea, simile a me per fattezze e lineamenti, si era materializzata alla luce del sole. Restava immobile, poggiandosi ad una lancia come un picchetto stanco, fissando con le orbite luminose la figura del Lancaster.

« Ti ricordi di me? » la voce della figura mi era stranamente familiare, come se l'avessi da sempre conosciuta ma in quell'istante mi sfuggisse la persona a cui apparteneva. Le sue parole, tuttavia, non erano rivolte al capitano. « Potrai avermi ingannata, distrutta, condannata a vivere un'esistenza che era solo un'ombra di quella che mi sarebbe spettata... » roteò la lancia in una maniera a me curiosamente nota, mettendosi in guardia. « ...ma lei mi ha salvata, e ho giurato di proteggerla per l'eternità, non la avrai tanto facilmente, Asshil'El Deloth. »
Poi abbassò i suoi occhi su di me e, seppure non ne riuscissi a distinguerne i contorni, avrei giurato che stesse piangendo.
Per me.
« Il mio nome è Eruwayne, ed il potere che cerchi mi ha mandato ad ostacolarti. »

Ero allibita. Scioccata. Terrorizzata. Tutto al medesimo istante. Frammenti di ricordi frazionati e sconnessi si accavallavano nella mia memoria al pari di secchi d'acqua rovesciati dentro un bacile già stracolmo: ogni cosa che entrava mondava via ciò che vi era già all'interno. Fissai di nuovo Raymond, lo sguardo disperato alla ricerca di un senso d'approvazione, di un cenno positivo. Non volevo deluderlo, non volevo mancare alla mia parola, io ero forte! Io potevo fare ciò che avevo promesso, dovevo solamente stringere i denti e sopportare il dolore. Io dovevo onorare la Schiera del Drago Nero!
Ma quando i miei occhi caddero sul fregio del di lui mantello il mondo mi si incrinò davanti agli occhi.
Era... tutto sbagliato. Dove era la corazza di cuoio bollito? La barba trascurata ed incolta, il medaglione con l'effige del drago nero... dove era Lindorm?
Dove diavolo era il mio maestro?

Indietreggiai quasi barcollando.
« Chi sei tu!? Dove è Raymond!? »
Mi portai le mani ai capelli, incredula.
La voce di Eruwayne, perentoria, mi arrivò alle orecchie.

« Apri i tuoi occhi, Fanie. »

Ed il mio mondo iniziò a tremare.

 
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Lenny.
view post Posted on 13/5/2014, 18:18




Demon's downfall ~ Veleno nel cuore


Raymond Lancaster sospirò. Abbassò leggermente le palpebre, facendo rilucere gli occhi scuri, colmi di una improvvisa tristezza.

« Reitermajor Fanie, la tua domanda mi sorprende. Non riconosci più neanche i tuoi amici? »

Mormorò, avvicinandosi all'elfa con aria benevola. Le cinse le spalle con un braccio, portando l'altro a fare un gesto ampio verso ciò che li circondava. Le strade della capitale erano dominate da un silenzio duro come granito, eppure assordante come una battaglia.

« Sei stata lontana dalla capitale troppo a lungo. Molte cose sono cambiate qui a Basiledra, ma adesso tutto è come dovrebbe essere. »

E all'improvviso, tutto fu così chiaro.
Nella mente di Fanie sfilarono una serie di immagini, che dovevano essere i suoi ricordi. Il giorno in cui era stata investita del titolo di reitermajor, giurando fedeltà al cospetto del generalissimo. Quel giorno sotto le finestre occidentali della cattedrale erano disposti gli armigeri del drago nero, imbellettati tali e quali a Raymond, il teschio alato che brillava sotto la luce delle torce. Sotto quelle orientali, quelli che dovevano essere i Corvi, le vesti nere che portavano l'emblema dei Falkenberg Korps. Sotto la galleria una fitta calca di lord grandi e piccoli che Fanie aveva conosciuto tempo prima.

E altre immagini, di altri ricordi. Di come Viktor avesse posto fine alla guerra nei Sette Regni, di come il suo esercito avesse portato ordine in quelle terre fino ad allora perdute, smarrite. Di come avesse creato un mondo nuovo, tutti i popoli radunati sotto un'unica bandiera, un unico dominatore. Di come interi eserciti si fossero inchinati sotto il suo cdominio, di come Re e Regine di ogni paese avessero fatto la fila per baciargli i piedi portando doni di ogni tipo.
E di come finalmente, dopo tutto questo, fosse giunta la pace.
Eppure qualcosa non andava. In un modo che mai avrebbe saputo spiegare. né ad altri né a se stessa, Fanie sentiva che quei ricordi non potevano appartenerle. Non erano suoi...anche se non sapeva dire perché, né con quali altri potesse sostituirli. Era semplicemente smarrita in un mondo a lei estraneo, ma allora cosa era vero? E cosa falso?

« Devi aprire gli occhi, o dormirai qui per sempre. »

Riecheggiò nella sua testa la voce di Eru. Una creatura che aveva conosciuto in un altro tempo, in un altro spazio, in un'altra vita..ma quale? E dov'era? Oltre lei e Raymond non vi era nessuno per le strade di Basiledra.

« Io ti conosco, Sorella.
Molti eroi sono spronati dall'amore. Tu dai il meglio di te quando sei alimentata dalla collera. Tutto il meglio di te brucia più intensamente quando vedi qualcosa che disprezzi, e quella collera ti spinge ad agire.
»

« Quindi chi odi così tanto da far risvegliare la tua mente? »

 
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Fanie Elberim
view post Posted on 14/5/2014, 03:15





Demon's Downfall~ Veleno nel cuore.


Qualcosa dentro di me si era inesorabilmente rotto. Guardavo quei volti imbellettati e sorridenti, quelle parrucche impomatate e quei baffi imperiali che svettavano da profondissime e linde gorgiere. Li conoscevo, li conoscevo tutti, e loro conoscevano me.
Ricordai quel giorno alle porte di Castelgretto, dove giurai fedeltà al generale supremo dopo aver sconfitto l'ultimo baluardo di resistenza che si era ancorato all'ancien régime oramai morente. Ricordai le medaglie, i lustrini, le parate trionfali sotto lo stendardo del signore dei falchi, quando il mondo si ritrovò a vivere una pace eterna e duratura sotto la guida di un nuovo uomo, di un Dio in carne ed ossa che aveva avuto il coraggio di fare la differenza.
Quel rango tanto importante per il mio onore, quella riconoscenza così grande che Caino non mi aveva mai concesso, era arrivata dall'uomo che ritenevo mio nemico e che avevo tanto a lungo combattuto. Lui, che tra tutti odiavo, mi aveva aperto gli occhi dandomi una realtà - e non solo una speranza - per cui lottare.
Mi guardai le mani, avvolte nei sottili guanti bianchi d'ordinanza, riscoprendomi vestita d'una divisa che mi calzava a pennello con tanti decori e is onori quanti i miei occhi potevano contarne.
Il Reitermajor Fanie Elberim, primo cavaliere dell'Oberkommandanten.

La spada da ufficiale che penzolava dolcemente al fianco, la spilla d'argento che reggeva il nero mantello, la pettorina scintillante... tutto era in ordine, tutto era maledettamente perfetto. Tranne per il fatto che Eruwayne non era scomparsa e, anzi, scavava con insistenza in quell'unico spiraglio di dubbio che ancora mi era rimasto a tormentare. Non ero io ad aver portato avanti intere legioni di Korps alla vittoria, non ero io ad aver sradicato e ucciso migliaia di sobillatori riportando la pace in tutti i regni nel nome del comandante supremo. Per cosa avevo combattuto tutto quel tempo? Cosa o chi era davvero Fanie Elberim alla luce di quei ricordi? Un'ombra, una pallida ombra alla ricerca di un'identità che non era riuscito a darle nessuno tranne il suo peggior nemico, ecco chi era. Una donna la cui assenza di ambizioni l'avevano portata a girare a vuoto tra un tranello e l'altro, marionetta ora dei Sussurri, ora dei Corvi, ora dei suoi amici. Incapace d'uccidere i buoni di cuore, impotente contro il tradimento e fiduciosa oltre ogni dire non avevo avuto la decenza di sconfiggere colui che mi avevano detto essere il più grande dei mali... finendo per farmi manipolare l'ultima, incredibile, volta. Gli stendardi dei Korps svettavano sulla cattedrale, con la stessa pigrizia e importanza che avevano avuto quelli dei Corvi, e per la prima volta una parte di me assaporò avidamente la pace.
A quale prezzo ciò era avvenuto, tuttavia, restava un mistero celato a doppia mandata dentro ai meandri della mia mente.

Alla fine dei giochi, davvero, era successo. Avevo sempre sospettato di essere in parte come Viktor, di condividerne l'anima e le speranze, solamente con un fine opposto. Eravamo ben più simili di quanto la storia non ci avrebbe voluto ricordare e, se le cose fossero andate diversamente, forse tra di noi sarebbe potuto nascere qualcosa di ben diverso dall'odio. In fondo cosa potevo biasimare ad un uomo che aveva lottato tutta la vita per essere migliore? Non era forse ciò che mi ero ripromessa di fare anche io, evolvere l'umanità ad un successivo livello di consapevolezza? Era per quel motivo che avevo giurato a lui fedeltà, che dall'odio ero arrivata alla devozione, dalla rabbia al rispetto, dalla repulsione all'ammirazione. Sebbene non sentissi alcuno di questi ricordi come mio, trovandoli quasi una forzatura tra i miei veri - e inaccessibili - ricordi, non potevo fare a meno di pensare a cosa sarebbe successo se davvero mi fossi alleata con lui.
Barcollai di qualche passo all'indietro, staccandomi da Raymond con un movimento dolce e delicato, lo sguardo perso nei suoi occhi.
Cosa mi faceva più paura, cosa odiavo di più, mi aveva chiesto Eruwayne. Anche lei era un flusso di ricordi lontani che si mescolavano alle giornate passate ad addestrare nuovi Korps, accavallandosi come onde del mare in tempesta. Cosa era successo davvero? Quale tra mille era la verità?

Io odiavo qualcosa abbastanza intensamente da fare breccia oltre la cortina di menzogne e di false speranze. Odiavo qualcosa con così tanto ardore che la maggior parte della mia gente si sarebbe rifiutata di vedermi come una di loro per quel singolo, deviato sentimento. Non potevo perdonare quella persona che mi aveva per tanto tempo fatto soffrire, che aveva ucciso tante persone in nome di un ideale forse sciocco, forse ipocrita, e forse arrogante.
Io sarei stata libera mediante quell'odio.

Afferrai con un gesto fluido della mano Eiserne Wache. Quella pistola aveva visto molte battaglie e molti morti, era il simbolo di una libertà conquistata palmo a palmo, di un terrore diffuso nel nome di un bene superiore. Ricordavo ancora il giorno in cui Viktor me l'aveva donata sotto le porte del cuore di marmo.
La spietatezza è un buon pregio.
Erano state le sue parole. Lui aveva visto più lontano di quanto avessi mai potuto fare io dal mio piccolo angolo di mondo. E seguendo le sue parole non avrei avuto pietà per ciò che mi montava d'odio l'anima.

« Io odio ciò che mi è stato fatto. » dissi a bassa voce, fissando il cane della pistola con un timore reverenziale. Ne avevo paura, ma la rabbia che saliva nel cuore l'adombrava completamente. « Non mi farò più mettere i piedi in testa da nessuno... non sono una marionetta di cani e di porci. » poi sbottai.
« Ho conquistato nel nome del nostro condottiero intere regioni di questo mondo, ho riportato la pace nel suo nome e per la sua grandezza! Ed ho ottenuto così tanto che a confronto ciò che mi poteva offrire Caino era spazzatura. Ed ora che la resistenza è schiacciata, che il mondo è in pace, rimane solo un mostro che devo sconfiggere. » serrai le dita attorno alla pistola puntandola verso Raymond.

Rimaneva solo quell'odiosa, vulnerabile e debole creatura che avrei potuto schiacciare con un singolo colpo di pistola.
Guardai Eruwayne, con uno sguardo a metà tra il perduto ed il furioso, ed infine innescai il cane dell'arma che puntavo sul mio vecchio maestro.
Era finalmente giunto il momento di essere libera da ogni cosa, passato, presente e futuro. Era giunto il momento di adempiere al mio unico - vero - comando che non avevo avuto il coraggio di compiere da donna retta.

Ti è stato ordinato di morire, Fanie.

« Tod dem Reitermajor. »
Puntai la Guardia di Ferro alla mia tempia destra e tirai il grilletto con tutta la forza che avevo.

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Addio debole, fragile e manipolabile Fanie Elberim.
Ho sempre odiato la tua incapacità di salvare gli altri.
E' questo che meritavi per il tuo sognare ad occhi aperti, è questo che meritavi per aver ucciso tanti amici nella tua crociata.
Non farai più male a nessuno, non sentirai più le voci a manipolare il tuo cuore, non sentirai più il calore del sole ed il garrire dei vessilli,
ma solo il tonfo sordo di mezzo pollice di piombo che si conficca nella tua dannatissima anima innocente.


Sorrisi nella morte. Avevo fatto la cosa giusta, per una volta, senza paura.

 
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Lenny.
view post Posted on 14/5/2014, 15:42




Demon's downfall ~ Veleno nel cuore


Clack
Forse il colpo in canna rimase inceppato, forse la pistola era scarica, o forse, a opera di chissà quale forza, il colpo non era semplicemente destinato a partire. Ma prima che Fanie potesse anche solo comprendere cosa fosse accaduto, Raymond spostò la canna della pistola di Fanie con il dorso della mano. Nessuna esitazione, nessuna incertezza.

« Stupida, stupida che non sei altro. Viktor ci ha offerto così tanto e tu glielo risputi in faccia.
Non puoi semplicemente essere soddisfatta della pace che ci ha donato?
»

C'era gelo, nella voce di Lancaster, mentre caricava il colpo. Fu un movimento troppo rapido per essere colto: il pugno guantato di Raymond la centrò in piena faccia, traiettoria ascendente obliqua. Il dolore le esplose nel cranio, quasi la accecò. L'impatto la spinse indietro, ma Fanie riuscì a non cadere.Adesso torreggiava su di lei, squadrandola dall'alto in basso con occhi venati di disprezzo.

« E sia. Sembra che solo guerra e morte ti soddisfino. Possano guerra e morte essere la tua fine. »

Sangue colava dalle labbra di Fanie, ma nonostante il dolore l'elfa riuscì con la coda dell'occhio a percepire altre figure avvicinarsi. Ombre. Molte ombre. Reiter la stavano aggirando alle spalle, pistole in pugno. Mezza compagnia di uomini appartenuti un tempo alla schiera del drago nero, appartenenti ora a quella dei Falkenberg Korps.

« Tu non sei un mostro, sai per quale mondo hai combattuto, e non è per questo.
Devi solo ricordarlo...o presto la vera Fanie Elberim sarà morta.
»

Proprio come lei. La voce di Eru riecheggiò ancora nella mente. La voce di un'elfa, di una sorella, di una vittima soggiogata dal nero dominio del Beccaio. Fanie stava soffrendo le stesse pene che aveva patito Eru, a suo tempo, riuscendo a liberarsene solo in punto di morte.

« Riflettici meglio, sorella. Vai più a fondo. »

A passo lento, inesorabile, Raymond Lancaster si fece più vicino.
Gli occhi che brillavano di una luce malevola. Un bagliore come una minaccia.

« Chi odi di più? »

 
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Fanie Elberim
view post Posted on 15/5/2014, 02:45





Demon's Downfall~ Veleno nel cuore.


Clack.

Quel suono maledetto.

Clack. Clack. Clack.

Quel ritornello di meccanismi rotti, quel proiettile liberatorio bloccato a mezz'asta dentro una canna damascata.
Perché la mia vita doveva obbligarmi a vivere quella storia? Perchè dovevo soffrire così tanto alla mia età, perchè non potevo semplicemente scegliere di andarmene dal mondo nel modo in cui piaceva a me? Col dito ancora teso sul grilletto non mi resi conto di niente, lo sguardo sbarrato rivolto al vuoto assoluto, e venni colpita con tanta forza da perdere la vista per alcuni istanti.
C'erano solo guerra e morte nella mia vita, non aveva torto. Avevo combattuto praticamente senza tregua da quando ero fuggita dalla mia casa nelle pendici dell'Erydlyss... e per cosa poi? Finire torturata a morte dentro una fortezza immonda? Vedere i miei amici morire uno dopo l'altro, sfuggirmi dalle dita come polvere e sabbia, incapace di porre rimedio ai miei stessi sbagli? Perché non potevo semplicemente farla finita in quel momento, così tutto sarebbe andato per il verso giusto? Urlai il mio dolore e la mia rabbia attraverso un ringhio quasi sommesso, mentre con la mano sinistra asciugavo il labbro spaccato dal sangue.
A che pro non lasciarmi suicidare se poi la mia fine sarebbe comunque arrivata in quel luogo?

Le parole di Eruwayne mi suonavano vuote, quasi inutili, come se non ci fosse stata per me altra risposta logica di quella che già le avevo dato. Se non mi era permesso morire per espiare le mie colpe, se non potevo sperare nella pace eterna per sottrarmi a quell'orribile intrico di ricordi e bugie, non mi restava null'altro per cui combattere. Forse aveva ragione, forse non ero io Fanie Elberim, ma solamente un'eco di quella ragazza innocente e coraggiosa che aveva voluto così tanto dare al mondo che, certe volte, aveva finito per farsi comandare al pari di una marionetta. Mi tirai in piedi, osservando con malcelato disprezzo il rosso cremisi che ricopriva il guanto bianco.
In quella apparente situazione di assoluta follia provai l'immenso desiderio di ridere. Era tutto assurdo: la mia vita, il mio obiettivo, il mio agire... come avevo potuto essere così sciocca da pensare di combattere contro i mulini a vento come una novella Don Chisciotte? Solamente una stolta si sarebbe alzata dal letto di foglie e frasche in cui aveva giaciuto alla sera convinta di poter cambiare il mondo a suon di buone intenzioni, affetto e sorrisi. No, quella storia meritava un'eroina vera, una che non si fosse mai sentita sull'orlo dell'abisso, che non avesse mai davvero vacillato. Nemmeno per un singolo, fatale, istante.

Eppure c'ero arrivata tanto vicina, al mio sogno, che quasi avevo creduto di poterlo toccare allungando la mano. Qualcosa mi tratteneva ancorata in basso, al pari di un'ancora troppo pesante per essere trascinata anche dalla più forte delle navi, e quel qualcosa meritava il mio odio, la mia rabbia.
Mi voltai verso Eruwayne, con ancora la pistola tra le mani, accerchiata dai Korps.
« Tu che parli di odio dimmi, chi diavolo è Fanie Elberim?! »
Stavo urlando con tanta furia da aumentare a dismisura il rivolo di sangue sulle labbra, che ora macchiava anche la divisa.
« Io non ho combattuto per questo mondo, non ho combattuto abbastanza per nessuno stramaledettissimo mondo di tutti gli universi visibili ed invisibili! »
« Io sono un giocattolo prezioso che ha avuto troppi infanti da compiacere, e sono sfiorita tra le mura di una città che odio e che amo alla follia ed in egual misura. Io ODIO quello che ne è stato della mia vita, io MI ODIO per quello che ho fatto alla mia vita. »
nel dire quelle parole mi indicai con rabbia il petto usando la canna della Guardia di Ferro.
« Ho provato a vivere una vita priva di rabbia, ho dovuto rinnegare le mie origini, la mia gente, la mia fede, ogni cosa! OGNI singola COSA! »

« Voglio indietro la mia innocenza, Eruwayne, voglio indietro i campi di fiori, le foreste con le foglie bagnate dalla rugiada. Voglio mia madre e mio padre ed il mio letto. Voglio indietro la mia vita. »
Un singulto di tristezza velò i miei occhi, mentre con i denti digrignati agitavo quell'arma al pari di una rudimentale clava. Il mio odio e la mia rabbia mi pulsavano come una tempesta nel cuore. Avrei voluto piangere, gridare ed esternare con un pianto interminabile quella sensazione di impotenza e di paura. Di inguaribile solitudine.

« Non può esserci alcun sogno senza sacrifici, Fanie. » esordì con sguardo caritatevole l'elfa. « Ma tu hai lottato per il tuo mondo con abbastanza forza da arrivare sino a qua. » si avvicinò di qualche passo, ma mi tirai indietro in un misto di timore e disprezzo. Non la sentivo parte di me, eppure ne ero attirata come una falena dall'ultimo fuoco. « Spesso l'odio più forte che proviamo non è per coloro che odiamo davvero... ma per coloro che ci hanno lasciato. »

Alzai l'indice della mancina verso l'elfa, lo sguardo tremolante e carico di rancore.
« Mi avete abbandonata tutti quanti. » tirai su col naso. « Se sono qui... in questo incubo infinito, incapace persino di togliermi la vita, è tutta colpa di chi non c'è più qui con me... » una smorfia rabbiosa prese il posto della rassegnazione e dello stupore. Profonde lacrime di dolore iniziarono a solcarmi le guance.
« Io vi odio per essere andati via. Odio te, odio Floki, odio Cashka, vi odio tutti! »
« DOVEVAMO COMBATTERE ASSIEME! DOVEVAMO COMBATTERE TUTTI ASSIEME! »
Singhiozzavo così forte che persino le ombre dei Korps sembravano avere difficoltà ad avvicinarsi a me, trattenute da qualcosa di incomprensibile.

« Fanie... »
« Ti odio. »
« ...ti perdono. »

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Di colpo quel sentimento si trasformò in rinnovata energia. I ricordi si rischiararono come nubi dopo una tempesta, i suoni, i colori, le armonie ed ogni singolo frammento della mia vita stava tornando delicatamente al suo posto, travolto da una forza e da un odio tali da mondare ogni incertezza.
Afferrai la spilla argentata, strappandola dal mantello che rovinò al suolo, gettandola a terra prima di schiacciarla con forza sotto il tacco lucido dei miei stivali.
Forse non mi era dato sapere chi fosse Fanie Elberim, forse non meritavo di avere quella consapevolezza nemmeno nel giorno della mia morte. E mi stava bene così.
Avevo lottato per mesi senza sosta e senza tregua, lasciando che il disprezzo per me stessa prevaricasse l'amore che provavo per gli altri, ignorando le parole di tutti ed ascoltando solamente quella voce denigratoria che continuava a strillare "Fanie sei una vergogna". Ma ora quella voce iniziava a scomparire, ogni secondo che passavo in vita con la visione chiara di cosa aveva tormentato sin a quel momento la mia anima, sbiadendola sempre di più. Io amavo Eruwayne, l'amavo come la più dolce delle sorelle, l'amavo a tal punto che mi sarei uccisa piuttosto che accettare il fatto che la sua perdita mi aveva ridotta all'ombra di me stessa.
Ed ora l'amavo abbastanza da poterla odiare, potendo infine perdonarla, e amarla ancora più di prima.

Il mio mondo mi aspettava, aspettava la mia furia ed il mio disprezzo, ma attendeva soprattutto la mia speranza.
Non le dissi niente, lasciando che fossero i miei occhi gonfi di lacrime a raccontarle la mia storia, e sfoderai la spada che pendeva dal fianco voltandomi a fronteggiare tutti i Korps in un plateale invito a colpirmi.

Quello non era il mio mondo, non lo sarebbe mai stato. Io avevo lottato - e avrei lottato per sempre - per dare una speranza a coloro che la desideravano. Io non potevo e non volevo essere l'angelo della morte in grado di portare la pace sedendosi sopra un trono fatto con le ossa dei miei nemici. Io ero diversa, io non ero come mi avrebbe voluta Viktor.
Perché non sono io l'eroina in scintillante armatura di questa storia, ma sono il legante di mille altri eroi di cui è costellato il mondo.

Ed il mio spirito avvampò con tanta rabbia da far paura al fuoco stesso.
« Non posso piangere per sempre. »
Puntai la pistola contro Raymond e feci fuoco.

Perché il mio mondo è un luogo imperfetto, un luogo per cui ho sofferto e soffrirò molte altre volte ancora.
Perché coloro che ho perso non torneranno indietro, tormentando il mio passato sin a quando non riceverò il di loro perdono.
Perché ogni mio gesto è come il battito d'ali di una farfalla: insignificante a monte, disastroso a valle.
Perché per ogni lacrima che ho versato, per ogni goccia di sangue che ha toccato il mio corpo martoriato dalle ferite e dalla disperazione, ho trovato la forza di credere in me stessa, in quello che faccio, in coloro che ho odiato ed amato.
Perché per tutto questo e molto, troppo altro ancora, Fanie Elberim continuerà a combattere.

 
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Lenny.
view post Posted on 17/5/2014, 17:39




Demon's downfall ~ Veleno nel cuore


Questa volta il colpo andò a segno.
Il proiettile schizzò dritto contro il falso Raymond Lancaster, sventrando la carne oscura. Strano, dato che solo poco prima quella stessa pistola si era inceppata. Ma ancora più strano fu che il colpo mortale parve aver colpito non solo il drago nero: all'improvviso lo spazio intorno a Fanie fu pieno delle urla dei Korps, le alte voci frantumate, emesse da corde vocali morenti. La loro carne era pergamena che si dissolveva, le loro ossa disseccate come legno imbevuto nel sego. Si contorsero, barcollarono e sussultarono, per poi svanire nel nulla. Basiledra, la cattedrale, l'intero mondo attorno a lei divenne un ruggente vortice di tenebra.

__ _ __

Risollevò di colpo la testa dal giaciglio di paglia in cui era stata gettata a marcire, occhi spalancati nel buio, orecchie tese. Nel movimento, Fanie tornò alla coscienza con uno spasmo. Era piena di immagini distorte, la tenebra della cella, piena di cose in movimento. Una di esse assunse la forma di un nano gobbo e bitorzoluto con un grembiule da macellaio ancora incrostato di sangue.

« ♩ Le ombre vengon per danzare mio signore, danza anche tu, danza anche tuuu
Le ombre vengon per restare mio signore, resta anche tu, resta anche tuuu ♪
»

Mastro Gombau passò canticchiando di fronte alla sua cella, stretta nella mancina portava una corda collegata a una serie di ganci metallici. Strumenti per la prossima tortura, probabilmente, destinati al prossimo prigioniero. Tutto a un tratto si fermò, accorgendosi solo allora che Fanie era sveglia. Un sorriso fatto di denti storti e marci si fece largo sul suo orrido muso.

« Eheh ma guarda, la nostra nuova amichetta si è svegliata.
Dormito bene, si? Fatto dolci sogni, si?
»



Edited by Lenny. - 18/5/2014, 09:59
 
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Fanie Elberim
view post Posted on 18/5/2014, 04:34





Demon's Downfall~ Veleno nel cuore.


Il buio attorno a me era denso, melmoso, quasi come una cortina che mi velava lo sguardo debole. Mi girai, sentendo il dolore delle ferite e delle torture tormentare il mio corpo; mi obbligai a non pensarci, a riprendere il controllo della mia mente prima che tutto tornasse ad essere un incubo allucinante e distruttivo.
Continuavo a vedere sagome dai contorni luminosi muoversi davanti a me nel buio assoluto, formando scene che non riuscivo a ricollegare a niente ed a nessuno. Era una sensazione strana, nemmeno dolorosa ma più che altro confusa, stordente, che ovattava il pensiero e la speranza.
L'influsso corrotto di RottenHaz.

Quanto potevo ancora resistere con quegli incubi, quelle visioni al limite della sopportazione, prima che tutto venisse risucchiato definitivamente da quelle tristi mura? Il ricordo del sogno appena finito ancora aleggiava dentro di me, alimentandomi con una forza tale da farmi quasi superare la debolezza estrema che il mio corpo aveva. Ero in quella frazione di tempo che intercorre tra la fine della vita e l'inizio della morte, non viva ma nemmeno morta. Un ramo secco gettato sulla catasta, in attesa di essere bruciato con gli altri. Questo ero per RottenHaz ed i miei carcerieri. Loro sapevano che prima o dopo avrei ceduto... che ci volessero giorni, mesi, anni non importava. Nessuno avrebbe mai avuto l'ardire di attaccare quella fortezza per salvarmi, sempre che ci fossero ancora persone che mi davano per viva dopo aver visto crollare sulla mia testa una montagna.
Ero da sola, per la prima volta dopo molto tempo, ad affrontare il mio destino.

Ad un tratto qualcosa di più tangibile dei refusi del sogno apparve canticchiando una macabra melodia oltre le sbarre della mia piccola cella. Era il mio torturatore, gobbo, con i denti marci ed il fisico martoriato da chissà quali malattie. Il sangue secco che macchiava le sue vesti era un chiaro segno di ciò che aveva fatto anche durante il mio sonno che, in quel mentre, mi resi conto non sapere quanto fosse durato. Stavo anche perdendo il conto dei giorni, delle ore.
Lo guardai da sotto i capelli ridotti a fili timidi e fragili, senza rispondere in principio.

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Dovevo fare qualcosa, prima che fosse troppo tardi, prima che anche quell'ultimo barlume di lucidità mi scivolasse semplicemente via dall'anima. Torture più dolorose di quelle che mi avevano già inflitto non avrebbero potuto farmele, o sarei semplicemente morta di crepacuore, ed in ogni caso avrei preferito mille volte morire che continuare ad essere prigioniera di quell'orrore. O schiava di Viktor.

« Quindici uomini sulla cassa del morto
yo-ho-ho, e una bottiglia di rum!
la bottiglia e il demonio han pensato al resto
yo-ho-ho, e una bottiglia di rum!
»

Sorrisi.
Avevo sentito quella canzone solo una volta in vita mia, quando aspettavo il Vespero ad Hohet...
ma mi era rimasta in testa così a lungo che ancora ne ricordavo quasi del tutto le parole.

« Il nostro compagno è stato impiccato dal nostromo,
ed il nostromo ucciso con una picca per Marlin.
La gola del vecchio Corky è segnata
da dieci dita robuste di una mano.
E stanno distesi, tutti uomini buoni,
come una giornata da ubriachi...
yo-ho-ho, e una bottiglia di rum!
»

Risi, leggermente, con una risatina quasi isterica.

« ...conosci questa canzone, storpio? »
sibilai a labbra strette.
« Quando sarò il braccio destro di Viktor mi ricorderò del tuo sdentato sorriso. »
Inclinai appena la testa, in una maniera non dissimile a quella di un lupo che fissa curioso una preda.
« E succederà presto, posso sentire l'oscurità di questo luogo rapirmi pezzo dopo pezzo, togliendomi il senno... l'unica certezza in questa stanza lo sai quale è? »
Strisciai a fatica vicina alle sbarre dondolando la testa con fare inquietante.
« I nostri ruoli si invertiranno presto, molto presto. E quando succederà scoprirai un mondo di dolore che solamente un'elfa riesce a comprendere! »
Gli scoppiai a ridere in faccia, sinceramente divertita da quella mia accurata messinscena.

« Ti strapperò la pelle millimetro per millimetro, sino a che Dio non dice basta. Ma Dio è muto, ed io sono sorda alle sue parole. »
Apri questa cella, bastardo, e ti renderai conto di cosa hai scatenato.
Bastava un solo secondo, mi bastava un singolo istante.
« Yo-ho-ho, e una bottiglia di rum! »

 
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Drag.
view post Posted on 18/5/2014, 12:01




Gli afferrò la spalla, trattenendolo.
« Tu mi devi un favore, Fortunello. »
« Sei pazzo, Vaairo. », rispose Gerth, squadrandolo con quei suoi occhi morti, e vecchi. « Non dopo quel che è successo alle Fosse Grigie. C'è una taglia sulla tua testa, ora. »
Lo sapeva, ovviamente: Taanach, ormai, era piena di nemici. Non poteva più restarvi: se anche la Chimera non l'avesse ucciso, ci avrebbero pensato gli agenti del Beccaio.
« Io ti ho salvato da Floki e da McKean quando credevano fossi tu l'assassino delle "ali di sangue", e non Ragnar. Tu mi devi un favore. » Il tono del mercenario divenne minaccioso, sottile; Gerth era una spia dei Korps, ma tra loro c'era un certo grado di collaborazione - perchè chiamarla amicizia sarebbe stato piuttosto iperbolico.
« Se dovessi essere visto con te, sarei morto anch'io. Rottenhaz non è delicata con i doppiogiochisti. »
Curioso che avesse scelto "delicata" e non "misericordiosa". Forse, la scelta lessicale era spaventosamente voluta.
Vaairo gli rispose con un sorriso tirato: Gerth non avrebbe dovuto correre quel rischio.
« Catturami. »
« ... Cosa? »
« Mettimi in catene e portami dai tuoi superiori. Portami lassù. »
Fortunello era diffidente, ed a ragione. « Ti è marcito il cervello? » Ora restituiva la presa con la mano ossuta. « Morirai, o peggio. »
« Devo. »
Fanie è prigioniera lassù, aggiunse - ma non lo disse. Non era necessario che Gerth sapesse.
Era certo che la sua morte non fosse realmente accaduta: in tutta la regione si raccontava del suo scontro contro l'Orso di Ferro - e della sua caduta. Ma lui sapeva che non era così: glielo diceva quella moneta, la monetina che l'elfa gli aveva regalato a Basiledra. Quel piccolo legame che li teneva l'un l'altro incatenati. Lei non era morta: era stata condotta nella fortezza volante di Viktor.
Si trattava di un azzardo piuttosto grande: venir catturati per una supposizione poteva significare la sua totale disfatta; Vaairo, tuttavia, non ragionava più razionalmente. L'avrebbe salvata - doveva salvarla.
Anche a costo di gettarsi dritto nelle fauci del diavolo.



( RottenHaz )

La fortezza del Beccaio è un nemico subdolo e strisciante.
I Korps erano stati ben felici di prendere in consegna il trofeo di Gerth "Fortunello", vecchia spia della milizia di Viktor in Taanach. Era stato ricompensato, persino: Vaairo era stato condotto nelle celle del castello malmenato e derelitto, come sofferente ed incapace di vivere. Si trattava di una recita - in parte - orchestrata per infiltrarsi nel cuore dell'impero del terrore, ma tutto il suo ingegno si era fermato lì. Il ragazzo del Bloodrunner era ingenuo ed ottimista per natura: non aveva il temperamento nè l'intelligenza per studiare un grande piano. La sua unica strategia terminava lì: in catene, nel cubicolo malsano delle viscere di Rottenhaz. La sua determinazione non era mai stata così salda: la fortuna e l'improvvisazione l'avrebbero aiutato a sopravvivere agli orrori degli aguzzini. Era assolutamente sicuro di trovarsi vicino a Fanie, abbastanza quantomeno da ignorare gli stenti e il dolore - riflettere su quanto stesse sbagliando non gli aveva neppure sfiorato la mente.
La sua semplicità, tuttavia, non aveva fatto i conti con la malevolenza della casa del Beccaio.
Benchè fossero trascorse solo poche ore dal suo isolamento, il suo cuore si fece sempre più oscuro. Come una tigre accucciata, pronta ad agguantare la preda ignara, Vaairo aspettava; man mano che le clessidre si consumavano, però, i suoi pensieri divennero sempre più cupi ed il desiderio nel suo animo più tetro e meschino. Perchè doveva sentirsi in dovere di salvare l'elfa? Era sua amica, ma quante volte i era spinto in battaglia per lei? Quante volte ancora doveva dimostrare il suo coraggio perchè venisse lasciato in pace? Viktor non era più un problema suo: che altri si preoccupassero dei Falkenberg Korps. Voleva essere lasciato in pace - anzi, voleva vendicarsi di chi si arrogava il diritto di mettergli in mano una spada e combattere i suoi nemici. I Korps offrivano un potere inimmaginabile: sarebbe stato così facile, così spontaneo allungare la mano ed afferrarlo...
Colorare il proprio cuore di nero, e immergere il cranio in una pozza oscura e torbida. Sarebbe stato come venir battezzati nel catrame e nel petrolio: accettare finalmente tutto l'odio e la violenza che sapeva albergassero dentro di lui, e darne libero sfogo. Non era forse questa l'essenza ultima della trasformazione di un reiter? Liberare la bestia incantenata nei recessi della consapevolezza.
Quello che diceva Reid dell'essere una merda e gli schiavi della storia, così si sentiva. Aveva voglia di distruggere tutte le cose belle che non avrebbe mai avuto. Bruciare le foreste e le montagne. Pompare clorofluoroidrocarburi in cielo a mangiarsi l'ozono. Aprire le valvole nei serbatoi delle superpetroliere e svitare i tappi sulle piattaforme petrolifere. Voleva uccidere tutti i pesci che non poteva permettersi di comprare e annerire le spiagge paradisiache che non avrebbe mai visto. Voleva infilare una pallottola tra gli occhi di tutti i panda che si rifiutano di fottere per salvare la loro specie. Voleva respirare fumo. Voleva che il mondo intero toccasse il fondo.
Poteva farlo: Vaairo era il sottoprodotto tossico della creazione di Dio.
Distruggeremo la civiltà per poter cavare qualcosa di meglio dal mondo.

« Non sono sicuro che l'elfa vorrebbe vederti in questo stato. »
Conosceva quella voce.
« No, infatti. »

Aveva la bocca impastata, lo sguardo basso e perso.
Senza volerlo, si era ritrovato in fondo ad un lungo pozzo scuro a guardare da lontano il piccolo cerchio di cielo azzurro sopra la sua testa.
« Sei stato ad un passo da diventare uno di loro. », disse Tapster. « Sì. »; « Sei te stesso, ora? », domandò al di là delle sbarre. « Sì. »

Noi non siamo speciali. Non siamo nemmeno merda o immondizia. Noi siamo. Noi siamo soltanto e quello che succede succede soltanto.
Taps lo liberò dalle catene e dalla cella; Vaairo non si era mai sentito così calmo in tutta la sua vita.
Non si domandò neppure come lo schiavo liberato alle Fosse Grigie potesse trovarsi a RottenHaz, nelle sue segrete, a liberare un uomo ormai prossimo a diventare un Korp egli stesso. Non gli importava. Il mercenario neppure immaginava il valzer di ruoli che Flint Tapster aveva vestito in quella lunga, squallida storia... Ma l'ignoranza gli diede forza e la fiducia cancellò ogni dubbio.
Taps gli spiegò la situazione; gli spiegò come ferire mortalmente il Beccaio, ed anche il prezzo necessario per questo sforzo. Vaairo, impassibile, annuì soltanto.
« Non è necessario che lo sappia. Non capirebbe. »
Anche Tapster assentì: non ci fu bisogno di molte parole, tra i due. Si trovavano "in missione per conto di Dio", per dirla come una vecchia, famosa pellicola.

« Cantate di merda entrambi. Piantatela. »
La sua voce ruppe lo sfogo di Fanie con il secco gancio destro che fece stramazzare a terra Mastro Gombau. Il viscido torturatore non si aspettava di venir attaccato alle spalle ed il colpo lo fece atterrare quasi un metro e mezzo indietro, dritto tra le fauci di Flint Tapster; anch'egli nascosto nell'ombra, l'ex schiavo non si fece scrupoli, finendo alla svelta l'inerme - e muto - aguzzino rompendogli l'osso del collo.
Vaairo concentrò i suoi occhi grigi in quelli di Fanie, catturati dalla stessa malìa che stava per prendere il suo cuore.
« Ci avevo visto giusto. », disse, mostrandole la moneta che lei gli aveva regalato mentre Taps apriva la cella con cautela.

Divisi cadiamo, uniti resistiamo.

 
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Fanie Elberim
view post Posted on 24/5/2014, 04:31





Demon's Downfall~ Veleno nel cuore.


La nostra storia è costellata da persone e personaggi. Le persone sono la parte più intima di chi incontriamo, quello che hanno di più importante, più intimo, e raramente ci è dato conoscerlo. I personaggi sono coloro che incrociamo per strada, gli uomini e le donne che ridono e scherzano ignorando il pericolo che incombe su di loro. Quando la faccia di Gombau impattò col terreno ne rimasi sorpresa, spezzando l'aria da falsa pazza che stava avendo quel mio, appunto, personaggio.
Forse le mie preghiere erano state esaudite? La faccia logora di Vaairo e Tapster apparì dall'oscurità come un raggio di sole luminoso, qualcosa che andava ben oltre il semplice "senso di felicità". Si trattava di speranza. Pura, semplice, immortale speranza.

Quando Tapster aprì la cella mi trascinai in piedi saltando al collo dell'unico amico che avessi lì dentro, stringendolo con quella poca forza che avevo quasi non volessi lasciarlo più. Senza spiccicare una parole continuai a strusciargli la testa contro il collo, tremando e restando in punta di piedi, senza curarmi della nudità, senza curarmi di nient'altro che quel contatto fisico che mi riscaldava il cuore come un fuoco tra i ghiacci.
« Sei venuto! » tirai su col naso. « Sei venuto per me! »
Dopo qualche istante lo lasciai andare, indietreggiando di qualche passo e cercando di coprire le mie vergogne con quei pochi stracci che mi erano rimasti addosso. Solo in quell'istante la mia testa realizzò, come colpita da una folgorante illuminazione, che Tapster, quel traditore bastardo di Tapster, era a portata di mano. Un miscuglio di rabbia e odio si formò nelle mie viscere: lo squadrai da capo a piedi con tanta violenza che, se il mio sguardo avesse potuto tagliare, lo avrebbe squartato.

« Tu ci hai traditi! » feci un passo in sua direzione, barcollando abbastanza da dovermi reggere a Vaairo con una mano. « Perchè? Dimmi solamente perchè hai lasciato che marcissi in questo posto per giorni, dimmi perchè non dovrei ucciderti adesso. » cercai di afferrarlo per il colletto della veste con un gesto abbastanza lento da essere schivato anche da un uomo addormentato. « E non dire "perchè ti ho salvato la vita"... perchè la morte era preferibile a ciò che ho passato. »

Dovevamo andarcene da lì, ma non avevo idea di cosa fare e nemmeno di dove fossimo precisamente. I miei ricordi erano ancora confusi, straniti, non riuscivo nemmeno a focalizzarmi bene su un singolo evento che subito veniva annichilito da quello seguente. Confusa, frastornata, con il solo desiderio di rivedere la luce del sole sopra ogni altra cosa. Guardai Vaairo con gli stessi occhi persi ed incerti con cui un condannato a morte aspetta la grazia.
« Dobbiamo uscire da qui... non possiamo restare, torneranno a prendermi e si accorgeranno che lui... » dissi indicando la sagoma lercia del torturatore. « ...è morto! Non ho idea di come uscire da qui... »

Indicai con l'indice scarno e affusolato il volto timido di Tapster.
« ...ma tu si! »

La nostra unica speranza era fidarci di un ratto di fogna che mi aveva spedita all'inferno.
Forse quella era la prova che la speranza, presto o tardi, arriva per tutti.




Post volutamente corto per non appesantire la parte di transizione. Chiedo scusa per il ritardo e il post corto.
 
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Lenny.
view post Posted on 24/5/2014, 13:06




Demon's downfall ~ Veleno nel cuore


« Non c'era altro modo, Fanie. Ci tengo alla tua vita...ma anche alla mia. »

L'espressione di Tapster si incupì. La sua voce era piena di tensione, e di qualcosa d'altro...dolore? Forse. Prima di tutti quei maledetti eventi, ricordava d'essere stato un uomo normale, d'aver vissuto una vita come tante, una che gli appartenesse. Un tempo che adesso sembrava troppo lontano, un tempo che non aveva ancora visto l'ombra di RottenHaz, né l'infamia dei Korps. Un sorriso amaro si fece largo sul suo volto, mentre ricacciava indietro le lacrime. Non avrebbe mai mostrato ad altri le proprie debolezze.

« Auri non aveva la tua stessa forza, è..è diventata una di loro. Si stanno preparando ad attaccare Castelgretto, durante la notte. »

Ammiccò verso un punto imprecisato, oltre la porta. L'elfa aveva ragione, dovevano muoversi a fuggire via di lì...ma non per scappare, non per tornare a casa con la coda fra le gambe. Ma per colpire Viktor von Falkenberg proprio quando meno se lo fosse aspettato, nel posto che lui riteneva più sicuro. Solo in quel momento Fanie e Vaairo parvero accorgersi che Tapster portava un voluminoso sacco di iuta gettato dietro la spalla.

« Ma forse posso ancora fare qualcosa di buono, prima che sia troppo tardi. »

Tapster si tolse il fardello dalla schiena, posandolo ai piedi dell'elfa con un clangore metallico. Aveva trafugato gli effetti di Fanie, l'intero equipaggiamento con cui era stata catturata, direttamente dall'armeria di RottenHaz, dov'era stata nascosta. Ma per uno come lui, non c'era serratura che potesse tenere. Passò lo sguardo sul porticato. Fondo cieco a nord, scale ricurve a sud, celle lungo la parete est, parapetto a ovest. Oltre il parapetto, circa quaranta piedi di baratro fino al lastrico di RottenHaz. Relitti, detriti, erbacce, e su tutto questo il cielo violaceo della sera. Tra tutto questo, vento umido e tenebra impenetrabile.

« So dove si trova il cuore del Beccaio. E so come raggiungerlo. »

 
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Fanie Elberim
view post Posted on 26/5/2014, 03:53





Demon's Downfall~ Veleno nel cuore.


Recuperai il mio equipaggiamento, dovendomi far aiutare per indossarlo. La sola sensazione di essere nuovamente protetta sotto quello strato di robusto metallo elfico mi riempiva di speranza, lasciando che il pudore e l'impotenza scomparissero definitivamente per lasciare spazio alla rabbia, alla voglia di rendere pan per focaccia a chi aveva fatto questo. No, non Tapster, lui era solamente una marionetta che non aveva possibilità di tagliare i fili che la legavano al suo padrone, ma che aveva trovato il coraggio di tenderli abbastanza da permettere a me di tagliarli. Permetterci di tagliarli.
La scelta più logica, se non l'unica, sarebbe stata quella di fuggire via, senza lasciare che niente e nessuno ci facesse cambiare idea, ma non poteva finire così quella storia, non doveva finire così. Dopo tanto dolore, tanta sofferenza, tanta morte non avrei lasciato RottenHaz sino a quando uno, tra noi e Lui, avessi spirato l'ultimo respiro. Quella era la nostra battaglia più grande, il nostro momento di gloria invisibile, il nostro personale Gran Finale.

Avrei potuto chiedere re e regine al mio fianco, cavalieri senza macchia e senza paura, paladini immortali di altre epoche ed altri tempi, ma non sarebbe stata la medesima cosa. Il mondo che volevo costruire, la storia che volevo scrivere, non aveva come protagonisti dei nobili impavidi e onorevoli, non raccontava di mistiche apparizioni o civiltà lontane, non voleva tramandare un messaggio solamente ai grandi del nostro tempo.
Erano parole di uomini umili, di gente semplice, persone che nella vita avevano trovato conforto in un piatto in compagnia degli amici, dell'amore della propria vita, riscaldati da un focolare che non si sarebbe mai estinto e che li avrebbe accolti giorno dopo giorno, anno dopo anno, ricordandogli che anche se il mondo all'esterno era un posto orribile, anche se la guerra imperava in ogni dove... c'era sempre un luogo in cui potevano tornare, stanchi per rifocillarsi. C'era sempre casa.
Quegli uomini e quelle donne combattevano ogni giorno più di quanto avessi mai potuto fare io in diecimila guerre. Cosa erano ferite dolenti, ossa spezzate, spalle lussate, fame, sete, sonno in confronto a ciò che avevano sofferto quelle persone per tutta la loro vita?

Barcollai tenendo una mano poggiata al muro mentre, passo dopo passo, seguivo Tapster in quello che probabilmente sarebbe stato il mio ultimo cammino. E d'improvviso, come per incanto e magia, qualcosa nel mio cuore mi disse che, nel mondo, non ci sarebbero potute essere persone migliori di quelle per porre fine a quell'incubo. Se dovevano essere i miei ultimi momenti di vita, se quelle poche energie rimaste dovevano essere abbastanza per uccidere Viktor... lo sarebbero state. Dovevano bastare.
« Tapster... io forse non riesco ancora a perdonarti per ciò che mi hai fatto... »
La voce era debole e stanca, seppure facessi di tutto per non darlo a vedere.
« Ma non voglio morire sapendo di non averti detto che ammiro il tuo coraggio. Forse non riuscirò a dirtelo ma nel momento in cui uccideremo il Beccaio io ti perdonerò... se dovessi morire nel tentativo sappi che ti ho perdonato. »
Gli sorrisi, forzatamente, prima di girarmi verso Vaairo.

« Solo gli Dei sanno cosa ti hanno fatto amico mio... e nessuna delle mie parole sarà mai abbastanza grande o importante per descrivere ciò che provo e quanto ti devo. » cercai di prendergli una mano, mentre continuavamo a muoverci. « Vendicheremo Floki oggi stesso... e p-poi porteremo via tutti i piccoli da Taanach, gli daremo una... » un colpo di tosse mi fermò lanciandomi un brutto sapore ferroso sulla lingua. « ...nuova casa. »

Era una marcia verso la morte quella che stavamo facendo, ma anche l'ultima speranza per un mondo libero dal grande male
Un ladro, un mercenario ed un'elfa vagano per una fortezza oscura... sembra l'inizio di una storia leggendaria.



Se non la smettete di farmi venire i lacrimoni a breve mi si staccano gli occhi.
 
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view post Posted on 10/6/2014, 22:02




La abbracciò; era una strana sensazione. Vaairo non diceva nulla, teneva lo sguardo fisso sulla parete buia della cella alle spalle dell'elfa. Lei singhiozzava sommessamente, sfregando il suo viso sul collo dell'uomo come se stesse tentando di cancellare dalla sua testa le orribili immagini della tortura.
Non voleva imbarazzarla, vedendola nuda. Avrebbe voluto coprirla il prima possibile, nascondere la sua pelle sofferente - non per pudore, ma per dignità. Scoprirla debole e inerme faceva male al cuore.
Ciononostante, il mercenario stentava a ricambiare la stretta. Le sue mani tremavano, ma non era per l'emozione. In un angolo lontano del suo animo, i suoi occhi scrutavan le tenebre vedendo un sorriso sottile - una malia insidiosa e crudele. Lui era giovane, forte, alto e potente; sarebbe stato così semplice spezzare Fanie, in quel preciso istante. Lei credeva in lui: aveva interamente affidato se stessa, senza veli nè maschere, al suo abbraccio. Fanie Elberim era lì e Vaairo avrebbe potuto distruggerla con una semplice torsione delle grosse braccia. Vedeva lontano l'austera approvazione del Beccaio, trapelata da un impercettibile cenno del volto. La sua mano si sarebbe tinta di nero, le sue dita sarebbero avvizzite e lui avrebbe scoperto poteri che mai avrebbe immaginato di possedere.

La sua mano destra si sollevò appena, come una mannaia.

E le accarezzò i capelli.
I suoi polpastrelli affondarono nella sua chioma scurita dalla scarsa luce, lisciandone delicatamente i rari riccioli appena accennati.

Vaairo non era un uomo intelligente. Era troppo stupido per rinnegare se stesso.
Gli artigli di RottenHaz si allontanarono nuovamente, aspettando momenti migliori per tentare di ghermirlo. Per ora, non l'avrebbero preso.
Era innegabile che, nel suo profondo, Vaairo celasse un inquietante crogiolo di oscurità. Si trattava di uno scrigno recondito, neppure tanto piccolo quanto gli avrebbe fatto piacere credere. Alla fine della storia, però, egli più di tutto era una persona normale - che, come tutti i normali, hanno alti e bassi. A volte basta davvero poco per cambiare l'animo di un uomo... Un piccolo gesto d'affetto come quello, per esempio. « Siamo qui. », disse, semplicemente.

Si separarono. Fanie doveva confrontarsi con Taps, che aveva una lunga storia da raccontare e della quale Vaairo conosceva ben poco. Ascoltò a malapena, cercando di racimolare più coraggio possibile; respirava piano, cercando di controllare ogni inspirazione. L'aria era stantìa e pesante, e il cadavere dell'aguzzino pareva già in grado di puzzare di corruzione. Capiva bene perchè Gerth avesse parlato di "delicatezza": quello era un luogo capace di strappare ogni singolo petalo da un bellissimo fiore con una precisione chirurgica, avvelenarne lo stelo per poi ricostruirne la corona con nere foglie d'acciaio. Era felice di aver salvato Fanie sufficientemente presto da poterle evitare quella catàbasi: lei era un'eroina che meritava ben altri di battaglia, ed aveva già dimostrato molto al mondo. Vaairo - e Tapster - erano soltanto pedine sacrificabili: i topi di Ragnar Takevada, per dirla con le sue parole.
Il mercenario camminò lungo il corridoio, lasciando che l'elfa riprendesse possesso dell'equipaggiamento che il ladro aveva coraggiosamente recuperato. Di tanto in tanto, però, chiudeva gli occhi: la sua mente non era davvero lì. Vedeva le sabbie dell'Akerat e le case popolari di Taanach; i volti della sua gente, le loro espressioni, i piccoli cenni taciuti. E poi ricordava il Bloodrunner, le sue tradizioni e la metropoli che li aveva cresciuti tutti. Era una sensazione rasserenante, comoda: Red era come dinanzi a lui, mandando a fare in culo il mondo di luci artificiali della città, in precario equilibrio sul cornicione del tetto piatto di un palazzo di periferia.
La mano di Fanie lo strappò dal fiume di pensieri, portandolo nuovamente alla realtà: non era luogo dove potesse perdersi in leggerezza. La fortezza di Viktor presto sarebbe tornata all'assalto - questa volta non solo metaforicamente. Il castello volante non si sarebbe limitato ad ammaliarli, per renderli Korps a loro volta: avrebbe rigurgitato soldati e mostri sulle loro tracce, impedendogli di raggiungere il cuore di quel tremendo gioco.

« Sì. », le rispose, sorridendo caldamente. C'era un pizzico di distanza nella sua voce.
Una nuova casa, per tutti. Era un'idea rassicurante. « Sì, mi piacerebbe. »

 
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