Demon's Downfall~ Veleno nel cuore.
Clack.
Quel suono maledetto.
Clack. Clack. Clack.
Quel ritornello di meccanismi rotti, quel proiettile liberatorio bloccato a mezz'asta dentro una canna damascata.
Perché la mia vita doveva obbligarmi a vivere quella storia? Perchè dovevo soffrire così tanto alla mia età, perchè non potevo semplicemente scegliere di andarmene dal mondo nel modo in cui piaceva a me? Col dito ancora teso sul grilletto non mi resi conto di niente, lo sguardo sbarrato rivolto al vuoto assoluto, e venni colpita con tanta forza da perdere la vista per alcuni istanti.
C'erano solo guerra e morte nella mia vita, non aveva torto. Avevo combattuto praticamente senza tregua da quando ero fuggita dalla mia casa nelle pendici dell'Erydlyss... e per cosa poi? Finire torturata a morte dentro una fortezza immonda? Vedere i miei amici morire uno dopo l'altro, sfuggirmi dalle dita come polvere e sabbia, incapace di porre rimedio ai miei stessi sbagli? Perché non potevo semplicemente farla finita in quel momento, così tutto sarebbe andato per il verso giusto? Urlai il mio dolore e la mia rabbia attraverso un ringhio quasi sommesso, mentre con la mano sinistra asciugavo il labbro spaccato dal sangue.
A che pro non lasciarmi suicidare se poi la mia fine sarebbe comunque arrivata in quel luogo?
Le parole di Eruwayne mi suonavano vuote, quasi inutili, come se non ci fosse stata per me altra risposta logica di quella che già le avevo dato. Se non mi era permesso morire per espiare le mie colpe, se non potevo sperare nella pace eterna per sottrarmi a quell'orribile intrico di ricordi e bugie, non mi restava null'altro per cui combattere. Forse aveva ragione, forse non ero io Fanie Elberim, ma solamente un'eco di quella ragazza innocente e coraggiosa che aveva voluto così tanto dare al mondo che, certe volte, aveva finito per farsi comandare al pari di una marionetta. Mi tirai in piedi, osservando con malcelato disprezzo il rosso cremisi che ricopriva il guanto bianco.
In quella apparente situazione di assoluta follia provai l'immenso desiderio di ridere. Era tutto assurdo: la mia vita, il mio obiettivo, il mio agire... come avevo potuto essere così sciocca da pensare di combattere contro i mulini a vento come una novella Don Chisciotte? Solamente una stolta si sarebbe alzata dal letto di foglie e frasche in cui aveva giaciuto alla sera convinta di poter cambiare il mondo a suon di buone intenzioni, affetto e sorrisi. No, quella storia meritava un'eroina vera, una che non si fosse mai sentita sull'orlo dell'abisso, che non avesse mai davvero vacillato. Nemmeno per un singolo, fatale, istante.
Eppure c'ero arrivata tanto vicina, al mio sogno, che quasi avevo creduto di poterlo toccare allungando la mano. Qualcosa mi tratteneva ancorata in basso, al pari di un'ancora troppo pesante per essere trascinata anche dalla più forte delle navi, e quel qualcosa meritava il mio odio, la mia rabbia.
Mi voltai verso Eruwayne, con ancora la pistola tra le mani, accerchiata dai Korps.
« Tu che parli di odio dimmi, chi diavolo è Fanie Elberim?! »
Stavo urlando con tanta furia da aumentare a dismisura il rivolo di sangue sulle labbra, che ora macchiava anche la divisa.
« Io non ho combattuto per questo mondo, non ho combattuto abbastanza per nessuno stramaledettissimo mondo di tutti gli universi visibili ed invisibili! »
« Io sono un giocattolo prezioso che ha avuto troppi infanti da compiacere, e sono sfiorita tra le mura di una città che odio e che amo alla follia ed in egual misura. Io ODIO quello che ne è stato della mia vita, io MI ODIO per quello che ho fatto alla mia vita. »
nel dire quelle parole mi indicai con rabbia il petto usando la canna della Guardia di Ferro.
« Ho provato a vivere una vita priva di rabbia, ho dovuto rinnegare le mie origini, la mia gente, la mia fede, ogni cosa! OGNI singola COSA! »
« Voglio indietro la mia innocenza, Eruwayne, voglio indietro i campi di fiori, le foreste con le foglie bagnate dalla rugiada. Voglio mia madre e mio padre ed il mio letto. Voglio indietro la mia vita. »
Un singulto di tristezza velò i miei occhi, mentre con i denti digrignati agitavo quell'arma al pari di una rudimentale clava. Il mio odio e la mia rabbia mi pulsavano come una tempesta nel cuore. Avrei voluto piangere, gridare ed esternare con un pianto interminabile quella sensazione di impotenza e di paura. Di inguaribile solitudine.
« Non può esserci alcun sogno senza sacrifici, Fanie. » esordì con sguardo caritatevole l'elfa. « Ma tu hai lottato per il tuo mondo con abbastanza forza da arrivare sino a qua. » si avvicinò di qualche passo, ma mi tirai indietro in un misto di timore e disprezzo. Non la sentivo parte di me, eppure ne ero attirata come una falena dall'ultimo fuoco. « Spesso l'odio più forte che proviamo non è per coloro che odiamo davvero... ma per coloro che ci hanno lasciato. »
Alzai l'indice della mancina verso l'elfa, lo sguardo tremolante e carico di rancore.
« Mi avete abbandonata tutti quanti. » tirai su col naso. « Se sono qui... in questo incubo infinito, incapace persino di togliermi la vita, è tutta colpa di chi non c'è più qui con me... » una smorfia rabbiosa prese il posto della rassegnazione e dello stupore. Profonde lacrime di dolore iniziarono a solcarmi le guance.
« Io vi odio per essere andati via. Odio te, odio Floki, odio Cashka, vi odio tutti! »
« DOVEVAMO COMBATTERE ASSIEME! DOVEVAMO COMBATTERE TUTTI ASSIEME! »
Singhiozzavo così forte che persino le ombre dei Korps sembravano avere difficoltà ad avvicinarsi a me, trattenute da qualcosa di incomprensibile.
« Fanie... »
« Ti odio. »
« ...ti perdono. »
Di colpo quel sentimento si trasformò in rinnovata energia. I ricordi si rischiararono come nubi dopo una tempesta, i suoni, i colori, le armonie ed ogni singolo frammento della mia vita stava tornando delicatamente al suo posto, travolto da una forza e da un odio tali da mondare ogni incertezza.
Afferrai la spilla argentata, strappandola dal mantello che rovinò al suolo, gettandola a terra prima di schiacciarla con forza sotto il tacco lucido dei miei stivali.
Forse non mi era dato sapere chi fosse Fanie Elberim, forse non meritavo di avere quella consapevolezza nemmeno nel giorno della mia morte. E mi stava bene così.
Avevo lottato per mesi senza sosta e senza tregua, lasciando che il disprezzo per me stessa prevaricasse l'amore che provavo per gli altri, ignorando le parole di tutti ed ascoltando solamente quella voce denigratoria che continuava a strillare "Fanie sei una vergogna". Ma ora quella voce iniziava a scomparire, ogni secondo che passavo in vita con la visione chiara di cosa aveva tormentato sin a quel momento la mia anima, sbiadendola sempre di più. Io amavo Eruwayne, l'amavo come la più dolce delle sorelle, l'amavo a tal punto che mi sarei uccisa piuttosto che accettare il fatto che la sua perdita mi aveva ridotta all'ombra di me stessa.
Ed ora l'amavo abbastanza da poterla odiare, potendo infine perdonarla, e amarla ancora più di prima.
Il mio mondo mi aspettava, aspettava la mia furia ed il mio disprezzo, ma attendeva soprattutto la mia speranza.
Non le dissi niente, lasciando che fossero i miei occhi gonfi di lacrime a raccontarle la mia storia, e sfoderai la spada che pendeva dal fianco voltandomi a fronteggiare tutti i Korps in un plateale invito a colpirmi.
Quello non era il mio mondo, non lo sarebbe mai stato. Io avevo lottato - e avrei lottato per sempre - per dare una speranza a coloro che la desideravano. Io non potevo e non volevo essere l'angelo della morte in grado di portare la pace sedendosi sopra un trono fatto con le ossa dei miei nemici. Io ero diversa, io non ero come mi avrebbe voluta Viktor.
Perché non sono io l'eroina in scintillante armatura di questa storia, ma sono il legante di mille altri eroi di cui è costellato il mondo.
Ed il mio spirito avvampò con tanta rabbia da far paura al fuoco stesso.
« Non posso piangere per sempre. »
Puntai la pistola contro Raymond e feci fuoco.
Perché il mio mondo è un luogo imperfetto, un luogo per cui ho sofferto e soffrirò molte altre volte ancora.
Perché coloro che ho perso non torneranno indietro, tormentando il mio passato sin a quando non riceverò il di loro perdono.
Perché ogni mio gesto è come il battito d'ali di una farfalla: insignificante a monte, disastroso a valle.
Perché per ogni lacrima che ho versato, per ogni goccia di sangue che ha toccato il mio corpo martoriato dalle ferite e dalla disperazione, ho trovato la forza di credere in me stessa, in quello che faccio, in coloro che ho odiato ed amato.
Perché per tutto questo e molto, troppo altro ancora, Fanie Elberim continuerà a combattere.