Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Winterreise ~ Die Nebensonnen, Capitolo IX: I Soli Fantasma

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view post Posted on 11/5/2014, 20:37
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Il cielo si riempiva di nubi scure, tediando la luce del mattino con una sottile foschia tinta di grigio.
Ben presto il sole scompariva dietro una coltre di nuvole sempre più spessa, mentre la leggera calura del mattino lasciava il posto a sottili gocce di pioggia.
Scendevano lacrime dal cielo; lacrime fini, gelide e penetranti come spilli di metallo. Poi, le gocce divennero più grosse, pesanti e dure. Rimbombavano, frantumandosi sulle scaglie di metallo delle armature, sugli scudi e sui foderi delle spade, con un continuo frastuono che faceva eco a se stesso, fino ad intonare una ritmica melodia di marcia.
I passi scorrevano lenti e perentori sul selciato, oltre la collina. Il sentiero che si dipanava da un corridoio sotterraneo dell'Acropoli, infatti, sviscerava le montagne, fino a condursi entro la pancia di pietra del monte più alto. Poi, risaliva la china oltre l'orizzonte e sfociava in un sentiero esterno, che filtrava tra gli ultimi monti fino a raggiungere una vallata nascosta, al di là della città.
Era una grossa valle, rintanata in una depressione di terra che scendeva per diversi metri. Shakan fissava quei luoghi con perplessità; non avrebbe saputo dire se fossero parte o meno dei suoi ricordi, se potesse vantare di averli davvero vissuti, in passato. Eppure, era come se qualcosa gli avesse sempre parlato di quel posto.
I cantori più vecchi, infatti, avevano da sempre narrato della valle al di là dei monti, ove le leggende tramandavano che si stagliava la parte più antica della città. Quella parte di Lithien che era sorta e cresciuta fuori dalle sue mura, conducendo in un avamposto lontano che i saggi avevano eretto anticamente come loro dimora ed ultima fortezza.

Il mito si perdeva nella fantasia, in quei luoghi.
Si diceva che i quartieri più alti, ricchi e sapienti della città un tempo dimorassero li, lungo la via della sapienza che conduceva alla Torre imperitura.
Si tramandava di una valle ricolma di fiori e profumi, adorna di cielo sempre sereno e del vociare armonico dei cantori che riempivano la strada. Infine, si tramandava della scalata trionfale che conduceva alla torre, ricoperta di una distesa di tappeti rossi e dorati che ammorbidivano il passo delle numerose delegazioni che ogni giorno si recavano dai Saggi.
Questo, almeno, fino a quando la Prima Guerra di Lithien non aveva devastato il quartiere, messo al rogo le case, sradicato i prati ed esiliato la Torre Imperitura al ruolo di rovina lontana, nascosta dalla civiltà e relegata unicamente ai racconti che la mitizzavano.
Una verità celata, dimenticata; obliata, come i suoi signori, dall'attenzione dei più. Abbandonata come fosse falsa, oscura o poco importante per essere ricordata.
Per esser rimembrata alle generazioni a venire come reale.

Anche per questo si dubitava della sua esistenza.
Se ne parlava da sempre, ma quasi nessuno si era mai preso il disturbo di controllare od indagare quel luogo così carico di significato.
Era come un tumore, una malvagia esistenza recondita che si faticava a voler disturbare. Si temeva quasi di risvegliarne il buio significato, di risvegliare una consapevolezza del proprio passato che era molto più facile - o conveniente - lasciar che fosse tale. Solo passato; solo un mito lontano.
Dunque, quando la vide apparire all'orizzonte, ebbe un tuffo al cuore. Il pianto gli si strozzò in gola e gli occhi tremarono tra lo stupore e la paura, vendendo quell'impersonificazione della leggenda prender forma in un rudere ancora troppo intatto per esser definito decaduto. La torre, invero, era più una fortezza tozza e poco armoniosa. Sembrava quasi un piccolo castello nascosto, con tre piani eretti su di una base più larga e circondati da un breve colonnato. Non v'era realmente traccia dell'imperiosa vetta bianca di cui narravano le storie, quasi come se il ricordo di essa fosse molto più fulgido ed imponente di quanto non fosse la sua realtà.
Invero, la torre era più un rifugio remoto, circondato da erbacce, aridità ed abbandono.
E, a vederlo in quel modo, faceva ben poca paura.

« Irwing è davvero in quel posto? »
Shakan si fermò, perplesso. Parlò quasi d'istinto, narrando a se - più che agli altri - le proprie emozioni. Kreisler fermò il passo di fianco a lui, sospirando con un sottile ghigno ironico. « Non ti aspettavi fosse così- » disse di risposta, quasi divertito « -non pensavi che tutto sarebbe finito in un luogo così banale? »
Non lo pensava, no. Non pensava che la Guerra potesse essere più volte scoppiata per una costruzione così tozza ed insignificante. Non pensava che i tre Saggi potessero aver ordito trame, trasceso la mortalità e radunato un esercito in una piccola vallata e dietro quattro colonne decadenti. Quando pure quella costruzione fosse stata nel pieno della propria integrità, invero, non avrebbe potuto spaventare o metter soggezione ad alcuno.
Rimaneva comunque una costruzione piccola ed osannata dai cantori, più che dalla propria magnificenza.
Chiunque ne avesse parlato in senso imponente, aveva evidentemente più interesse a costruire un mito, più che raccontare una storia.
« Non importa » aggiunse poi lo spettro, scuotendo il capo. « Non importa davvero »
« finirà qui in ogni caso »

Si voltò, fissando gli occhi spaesati di coloro che aveva trascinato in quel cammino.
A parte Kreisler, infatti, c'erano il fedele Aang e la giovane donna cieca, che avevano già accompagnato il suo passo nelle profondità di Lithien. Poi aveva voluto anche due guerrieri che si erano distinti nella presa della città, ovvero un nano coraggioso chiamato Lothar ed un'elfa dal nome Fanie, di cui aveva sentito parlare sin da Basiledra. Sin dalla città che a lungo aveva chiamato casa e che aveva contribuito a ricostruire.
Ora, però, fissava la vetta della tozza torre con lo stesso sguardo con cui aveva guardato a lungo le cime infrante del Bianco Maniero.
Era ora di chiudere un altro capitolo: quello della sua città. L'unica che aveva il diritto di chiamare casa e l'unica verso la quale aveva il dovere di ottemperare un giuramento.
Un giuramento di vita, di fedeltà e di onore che aveva stretto il giorno stesso in cui vi era nato. E che più volte aveva infranto, in quegli anni.
Tante, troppe volte.

« Andiamo » disse soltanto, accompagnando un gesto della mano.
Kreisler non aggiunse altro. Fece solo un cenno col capo ed anticipò il suo passo, seguito da tutti gli altri.

_____________________________________

Brividi di gelo trascendevano la schiena dei presenti.
La struttura pareva in rovina. La base era un blocco di marmo unico, sporcato e rovinato dal vento e dal tempo. I colonnati circondavano tutto il perimetro laterale, reggendo il sottile porticato d'ingresso e la volta alta diversi metri. La maggior parte erano ancora integre, benché frastagliate e rovinate in più punti. Su quasi tutte le pareti si era avvinghiata un'edera sottile, che aveva messo radici un pò ovunque entro le fessure ricavate dalle crepe nel marmo. L'edera, però, era antica e vecchia almeno quasi quanto le fratture della pietra: era infatti avvizzita, rovinata e non rimaneva nient'altro che un lembo morto di vegetazione che penzolava dal soffitto in più punti.
Per il resto, la torre si sviluppava per tre piani circa, senza finestre, né fessure. Non v'era vita apparentemente in quella fortezza della solitudine; la civiltà sembrava essere rimasta morta ed abbandonata ben lontano da quel luogo. Nessun suono si sviluppava dal di fuori e perfino le guglie basse che riempivano la sommità dell'ultimo piano, erano rotte a metà, spuntate e lasciate all'abbandono più totale, non dissimulando altro che l'empio sconforto in cui tutto quello sfondo era sprofondato.
Il portone d'ingresso un tempo doveva essere rappresentato da un legno massiccio, bardato con travi e venature di ferro atte a reggerne l'imponenza dinanzi agli indesiderati avventori.
Ora, però, di quel regno non rimaneva altro che un ricordo sbiadito. Un'anta era stata totalmente scardinata dai suoi assi e si reggeva a stento solo per mezzo di un paio di assi di ferro, ancora miracolosamente ancorate agli stipiti del portone. L'altra, invece, benché ancora salda alle cerniere di acciaio, era arrugginita a tal punto da risultare inutilizzabile al suo scopo. Era rimasta immobile, sbilanciata verso l'interno e, quindi, leggermente aperta verso il salone centrale. Non sarebbe scivolata in nessun modo introno al suo binario; eppure, la fessura che lasciava scoperta avrebbe consentito a chiunque di superare l'ostacolo indisturbato.
Invero, nulla impediva ai presenti di entrare nella fortezza; anzi, da quanto visto, nulla avrebbe potuto realmente volerlo fare.
L'ingresso era praticamente libero e chiunque si fosse stabilito all'interno della torre, non si era minimamente preoccupato di ostacolarlo.

« Credi sia una trappola? »
Kresiler diede fiato alla bocca, oltre che hai pensieri di Shakan. Lo spettro lo fissò, come avesse pensato lo stesso. Rimase immobile, incerto su cosa replicare. Era evidente che tutto avrebbe lasciato credere ad una trappola, ma altrettanto vero che un uomo solo, per giunta ferito ed in fuga, avrebbe avuto serie difficoltà ad organizzare un'imboscata in quelle circostanze.
« Non ne ho idea » rispose semplicemente il fantasma, alzando le spalle. Invero era assai improbabile anche che Irwing fosse intenzionato ad accoglierli indisturbati. Questo, a meno che il loro obiettivo non fosse ormai solo, disperato e finanche confuso al punto da dimenticarsi di murare l'ingresso del suo ultimo rifugio.
Tutte ipotesi improbabili, ma cui nessuno di loro avrebbe potuto rispondere semplicemente fissando la parete. « Lo scopriremo presto » tagliò corto lo spettro, entrando.

Il salone centrale era immenso.
Un ennesimo colonnato si sviluppava al suo interno, rovinato e decadente come quello esterno. Tutt'intorno, però, erano ancora visibili i segni inequivocabili di antichi arazzi e di un intonaco color giallo paglierino, scrostato in più punti, ma ancor sufficientemente intatto da riflettere i fiochi raggi di sole che filtravano dal portone.
Tanto bastava, invero, ad illuminare la stanza. Il colore dell'intonaco, infatti, dispiegava la luce ovunque, con un effetto particolare ed affascinante. Attraverso ciò, i loro occhi potevano mirare frammenti di mobilia e soprammobili vari, sparsi in giro e divorati dal tempo, dalle tarme e dalle intemperie filtrate attraverso le crepe delle pareti.
Dinanzi a loro, poi, si sviluppava una lunga scalinata, composta di sottili gradini. La stessa prendeva forma più o meno dal centro del salone, salendo verso l'alto per diversi metri, fino a condurre ad un piano ammezzato: una sorta di ballatoio superiore che si sviluppava tutto intorno al perimetro della torre, di fatto circondando il piano inferiore come fosse un balcone. Uno spalto dal quale fissare verso il basso.
Invero, sulla cima delle scale uno spettatore c'era. Ovvero, l'ultimo spettatore che si sarebbero mai immaginati di trovare.
Irwing Ravelon.

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« Sei giunto, dunque - Lucian »
Shakan emise un gemito leggero, quasi spaventato dalla visione. L'uomo era magro, apparentemente smunto. Si vestiva di pantaloni scuri, scarpe eleganti ed una camicia ricamata che fuoriusciva abbondante dalle maniche. La giacca, invero, era di un cuoio scuro, molto spesso e molto caldo. Tutto, però, era adombrato da una trascuratezza antica e remota, come una patina di vecchiume che nessuno si era preoccupato nemmeno di scacciare approssimativamente. Polvere e storia, che si dispiegavano nelle forme di un abito da cerimonia antico, anzi remoto. Il volto, però, era parzialmente adombrato alla vista, in quanto coperto dalla lunga proiezione della volta superiore che ricopriva l'intero ballatoio.
Eppure, la sua identità non era ugualmente in discussione. Quell'uomo era il loro obiettivo, nonché l'unico essere vivente che - oltre a loro - riempiva quella torre.
Perché gli accogliesse in quel modo, però, era tutt'altro che chiaro.

« I-Irwing?! »
Shakan sbatté le palpebre nervosamente e più volte, mentre una goccia di sudore gli scivolava dalla fronte e lungo il viso. Poi ne seguì una seconda; infine, una terza.
« Pronunci il mio nome, ma sei sicuro di ricordarti di me? » disse l'uomo, con tono irriverente. Tenne lo sguardo fisso su di lui, quasi ignorando gli altri: « Mi hai cercato; mi hai rincorso »
« ma sono convinto che tu non sappia fino in fondo chi io sia o perché la tua ossessione per me sfoci in quest'ira repressa che ti porti dietro. »
Sorrise ancora, digrignando poco i denti. Aveva un volto rovinato dal tempo e dalla fatica; tutto quello che aveva passato gli si leggeva in faccia, con venature di stanchezza e ferite in più punti.
Aveva il viso di un uomo che aveva pianto, che aveva patito la fame e che era vissuto di stenti da tempo immemore. Però sembrava felice: felice, per qualche motivo, di esser sopravvissuto fino a quel momento.
« Rispondimi Lucian: chi sono io? »

« Maledetto » Shakan urlò, quasi ruggendo « tu sei il motivo per cui tutto questo è accaduto. »
« Sei la vergogna e la ragione del patimento di un'intera regione » lo fissò con sguardo colmo d'ira. « Tu sei il Conte Nero! »

Irwing rimase immobile, tornando serio.
Attese qualche istante, freddo e glaciale come la pietra che lo circondava. Poi, però, sbottò in una breve risata isterica.
Sollevò le sopracciglia, come a voler forzare quell'istinto incomprensibile che gli aveva causato quella finta risata. Parve voler sfogare rabbia, o frustrazione, in quella risata.
Quasi non accettasse più di sentirsi ripetere o accusare di qualcosa. « Sai, Lucian, questa Torre nasconde molti saperi. »
« Si dice che sia stata costruita dai Saggi per custodire i saperi più oscuri di cui erano venuti a conoscenza; si dice che se la città è precedente finanche agli uomini che l'hanno abitata- »
« -bé, questa torre sia successiva ad essi, ma custodisca i saperi più antichi che delle biblioteche di Lithien. »

Si arrestò un secondo, mentre un pesante tomo grigio compariva tra le sue mani.
« Era come se i Saggi avessero voluto proteggere il popolo da certi incantesimi. »
Aprì poi il tomo, sfogliandolo nervosamente. I suoi occhi tremavano piano, mentre scandivano in silenzio le parole in esso iscritte.
« Eppure, io vi ho trovato diversi incanti interessanti; utili, finanche... » la mano destra afferrò un lembo di una pagina, girandolo con forza. Poi si avvinghiò ad un gruppo folto di pagine e le fece scivolare dall'altra parte, con disprezzo. Ripetette il gesto altre volte, fino a quando lo sguardo non gli si illuminò.
« C'erano modi di richiamare i ricordi; di dare forma e sostanza alla memoria o alle storie apprese attraverso di essa »
parlò piano, concentrandosi su ciò che leggeva « conoscevano un modo per vivere le vite del passato, attraverso i frammenti della memoria. »

Shakan scosse la testa, facendo pochi passi in direzione delle scale.
« E' un altro trucco, Irwing? » disse, furioso. « La tua strega Mior ha già provato a scavare nella mia memoria, ma vi ha trovato soltanto la morte. »
Mentre parlava, il suo pungo si stringeva sul manico di Cupiditas, lasciando che la lama scivolasse lenta fuori dal suo fodero. « Vuoi provarci anche tu, quindi? »
« Come al solito, sei protagonista ed attore di qualunque tua realtà » disse Irwing, di tutta risposta « credi che il mondo giri sempre e solo intorno a te. »
« Non parlavo dei tuoi ricordi, Lucian » aggiunse, schernendolo con una voce sottile
« ma dei miei »

Shakan non si trattenne più. Emise un gemito di rabbia, appena comprensibile.
Poi levò la katana dal fodero, facendola scintillare sullo sfondo giallo della sala. Caricò a testa bassa, correndo lungo i gradini della scalinata. Il tacco del suo stivale intonò un unica melodia acuta, accompagnata dal sibilo dell'acciaio che correva nel vento in direzione del nemico. Irwing rimase immobile, per nulla spaventato. I suoi occhi adesso fissavano nuovamente il fantasma, senza più tremare.
Sembrava quasi divertito. Per certo sicuro di se. Troppo sicuro.

« Lucian, aspetta! » Kreisler parlò troppo tardi. Invero, quando le sue parole finirono di intonarsi, Shakan era già alla fine della scalinata.
Aveva visto la luce del sole spargersi in sottili raggi e risplendere lungo le pareti. Aveva visto la luce illuminare arazzi antichi, legni marci e colonne rotte. L'aveva vista filtrare nelle zone d'ombra ed illuminarle a giorno, com'era normale che fosse. L'aveva vista, però, anche filtrare attraverso l'immagine di Irwing, ma non illuminare nulla. Perdersi, come ovattata da un'illusione.
Come se Irwing fosse falso. O la sua immagine, nient'altro che una bieca proiezione di essa.
Shakan volteggiò la spada in direzione del collo di Irwing, ma sventolò nient'altro che l'aria. L'immagine si perse in una nuvola di fumo, rivelando la realtà di quell'inganno. Poi, Irwing - quello vero - apparve da una zona d'ombra alle sue spalle. Era esattamente come la sua immagine lo mostrava, soltanto più furbo di come aveva dato vedere.
Diede un calcio secco alla gamba destra di Shakan, che si piegò per il dolore. Poi, gli strappò la lama dalle mani e - tenendolo per il torso - la rivolse in direzione del collo dello spettro.
« Ora mi seguirai Lucian » disse, sussurrandogli nell'orecchio « scopriremo insieme la verità. »

Solo in quel momento alle spalle dei due si rivelò una porta.
Nascosta dall'ombra, la porta era aperta alle spalle di Irwing e l'uomo vi entrò, trascinandovi dentro Shakan.
Poi, la chiuse dietro di se, lasciando nient'altro che domande.

Immediatamente dopo, una tenue luce fioca illuminò tutto il ballatoio circostante.
Insieme alla porta dalla quale erano usciti Shakan ed Irwing, apparvero altre cinque porte. Erano tutte di legno di faggio, dipinto di un bianco smaltato. Su di esse, però, erano disegnate delle immagini differenti. Ciascuna immagine sembrava ricondurre ad un diverso scenario, in un ordine non definito.
Da sinistra verso destra, le immagini rappresentavano diversi paesaggi.

La prima porta rappresentava un paesino di campagna, immerso nei campi di granturco ed in uno sfondo di vita rurale.
La seconda porta rappresentava una grossa magione, anch'essa di campagna, rappresentata in uno sfondo notturno e baciata dalla luce di una luna piena.
La terza porta rappresentava una grossa città al tramonto, eretta tra i picchi delle montagne e dai casolari bianchi e le alte vette.
La quarta porta rappresentava una tetra prigione, nelle profondità di un sotterraneo umido ed angusto.
La quinta porta, infine, rappresentava una stanza circolare, con un grosso tavolo e delle figure sedute attorno ad esso.


Mentre tutti scrutavano i disegni sulle porte, la voce di Irwing fece nuovamente eco nella stanza.
« Non ucciderò Lucian » disse, divertito « non ancora, almeno »
« Prima, infatti, lui - come tutti voi - dovrà capire; comprendere l'unica verità per la quale siete giunti qui e che è giusto che tramandiate al mondo »
Le parole tremavano, si trascinavano quasi rotte da un pianto che l'uomo tratteneva a stento. Sembrava quasi riporre in esse fiducia e confidenza.
« Benché tutti pensiate di poter rispondere a questo interrogativo, potrete trovarvi autentica risposta solo tra le pieghe dei ricordi che ho custodito in queste stanza »
« invero, solo così potrete capire e comprendere, finalmente... »

Fece una pausa, lenta
« Chi sono io? »
Chi è Irwing Ravelon?
Attese qualche altro istante. Poi, concluse: « Solo quando avrete capito, potrete raggiungerci. »
Disse, lasciando i cinque in un profondo silenzio.



littleqmpointwinterreis

Dunque, benvenuti all'ultima quest di Winterraise.
Preliminarmente vi faccio presente che non ho intenzione di addurre troppi fronzoli o contrattempi alla quest, quindi andrò subito al sodo. La quest, pertanto, non sarà lunghissima, ma molto intensa in quanto ad eventi ed è per questo che gradirei che la vostra attenzione sia quanto più alta possibile. A tal scopo vi annuncio che il vostro primo post è puramente introduttivo, funzionale allo spezzare la narrazione e giustificare la scelta che farete. Per questo fatelo anche breve se ritenete: insomma, risparmiate l'impegno per i successivi.
Passo a spiegare meglio. Non avete idea di chi sia effettivamente Irwing Ravelon. Ciò che sapete di lui vi è stato raccontato da altri, o da quello che anche Shakan sa. Alla fine, però, lui stesso non sa molto di quest'uomo. Sa che ha collaborato con lui in passato durante i fatti che portarono all'infezione di Lithien; sa, per un ragionamento fatto da lui, che il Conte Nero responsabile di avere sparso il morbo e tentato di risvegliare la Triade degli Obliati è Irwing Ravelon. Di più, però, non sa (o meglio, non ricorda). Non sa perché l'abbia fatto, né perché attenda Shakan in quel posto diroccato che voi credevate di trovare come una fortezza da assediare, ma che si è rivelata nient'altro che un piccolo forte diroccato, più remoto in quanto a posizione che altro. Alla fine, potete apprendere tutte queste informazione (ed altre) dal primo post del topic in confronto. Nessun riassunto, però, vi dirà esattamente "chi sia" Irwing Ravelon. Invero, ho riempito di molti indizi le passate giocate su chi o cosa sia Irwing Ravelon o cosa lo leghi a Shakan, ma nessuno di essi avrà un senso per voi senza aver vissuto gli eventi che vi descriverò qui. Questo vi fa capire l'importanza di seguire tutta la quest (comprese le parti dedicate agli altri, che i vostri personaggi conosceranno indirettamente).
La domanda che vi pone Irwing, però, è proprio quella. Sapete chi è? La risposta è ovviamente no. Lo scoprirete nella quest. La domanda, però, è più profonda di una semplice cognizione anagrafica: è, più che altro, richiesto che voi rispondiate all'interrogativo che recita "chi è e cosa rappresenta Irwing Ravelon? Perché ha fatto tutto quello che ha fatto?".
Per qualche ragione, infatti, Irwing ci tiene a farvi sapere la sua storia e non trova modo migliore per farla conoscere che costringervi a "vivere" i suoi ricordi, che lui ha chiuso in quattro stanze della torre (le quattro porte citate nel post; la quinta porta - l'ultima - è riservata a Kreisler, e l'ho messa solo per motivi di trama). Non vi è chiaro se sono ricordi direttamente suoi o cose che lui ha saputo indirettamente: vi dico subito che non tutti i ricordi sono direttamente a lui riconducibili. Ma sono cose che lui conosce: punti di vista di una storia già raccontata da molti angoli, ma nessuno dei quali rispecchia quello che scoprirete qui.
Ciascuno di voi, quindi, entrerà in una porta. Ogni porta può contenere uno solo di voi (si chiuderà dietro colui che entra, così come è successo per la porta di Irwing). Come detto Kreisler entrerà nella sua e vivrete la sua parte in post separati. Ciascuno di voi, però, vivrà una sua parte di vita: rimarrete voi stessi in questi ricordi, con tutte le vostre capacità, ma investigherete per scoprire chi effettivamente sia Irwing Ravelon. Da un certo punto in poi della quest vi darò la possibilità di rispondere alla domanda: chi risponde correttamente, accederà subito all'ultima zona. Gli altri, invece, saranno rimandati nel ricordo. E così via.
L'ultima parte, concluderà la quest.

Per domande o altre perplessità, ci sentiamo nel topic di confronto.
Per il resto avete fino a giovedì 15 maggio, ore 23.59 per rispondere a questo turno.
Turni liberi.



Edited by janz - 16/5/2014, 08:10
 
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Fanie Elberim
view post Posted on 13/5/2014, 03:53





Winterreise ~ Die Nebensonnen


L'aria di quel luogo non era pulita. Non si trattava della semplice pesantezza causata dalle nubi, quel sentore umido ed appiccicoso, era come un'eco di una storia lontana intrappolata tra le rocce della valle, che gridava e scalciava per farsi ascoltare un'ultima, triste, volta. Tra mille leggende e mille canzoni, la nostra meta avrebbe presto trovato forma all'orizzonte. Le storie, le leggende, finanche i semplici ricordi tramandati da bocca in bocca avevano ingigantito la realtà dei fatti, eppure il mio cuore vibrava incerto su quale sarebbe stato il nostro futuro, il futuro di tutti noi.
La presa di Lithien aveva avuto uno scotto molto alto in termini di vite e di sofferenza, io stessa portavo con me i segni di quell'esperienza terribile attraverso numerose fasciature e qualche livido, ma più che altro era il peso di ciò che avevo visto a non darmi pace. Per quello, per coloro che avevo visto morire, e più semplice perché era giusto farlo, avrei seguito Kreisler sino in capo al mondo... ed anche oltre.
Non avevo voglia di parlare, continuavo a fissare il cielo e le montagne, la terra arida e la torre sempre più vicina, con la stessa espressione persa che una bambina ha davanti a qualcosa di troppo complesso per esserle d'immediata assimilazione. Mi sentivo piccola davanti a tutto quello.
Cosa era un retaggio millenario, una sapienza che sfuggiva al controllo del tempo e degli dei, paragonato a ciò che era successo a Lithien? Perché lottare strenuamente, giorno e notte, per Basiledra e per tutto il mondo se il risultato ultimo sarebbe stato non differente dall'assoluta rovina? Chiusi gli occhi un breve istante pensierosa poi, riaprendoli e fissando il fantasma alla ricerca di una risposta nelle pieghe delle sue vesti, mi resi conto che non avevo solamente io quel pensiero in testa. Chiamatela empatia, chiamatelo semplicemente intuito, giusto o sbagliato, ma percepivo qualcosa di oscuro sopra di noi e, per ovvio che fosse, non si trattava di quello che sarebbe stato necessario affrontare dentro la torre.
Ma ciò che ci avrebbe atteso dopo, alla fine di tutto.

Avrei voluto domandare alla dama cieca qualcosa, forse presa da una curiosità puerile che per nulla si abbinava con la situazione tesa e drammatica, ma limitai il mio interesse ad uno sguardo innocente e sbrigativo, passando al secondo dei miei compagni. Lothar... tanta arroganza in appena metà dell'altezza necessaria per montare agilmente un purosangue da guerra, un nano che nel bel mezzo del conflitto aveva trovato tempo di ridire sul mio agire... ma che alla fine non si era tirato indietro né col corpo né con lo spirito da ciò che lo attendeva. E poi c'era Aang.
Mi avvicinai a lui nel camminare, in silenzio, cercando quasi involontariamente di chiedergli qualcosa con gli occhi e col cuore, qualcosa che andava oltre il mero bisogno di usare le parole per spiegarsi, che superava la necessità di interagire. Prima che compagni, prima che fedeli sostenitori della stessa causa e paladini di un'idea utopica, eravamo semplicemente amici. Ed in quel luogo, lontano dal mondo e dalla civiltà, dove il tempo sembrava aver chiesto un dazio troppo alto persino per la vita di un elfo, avere un amico pronto a morire per te al tuo fianco faceva impallidire la forza di diecimila eserciti.
Gli sorrisi, cercando di farmi forza con quel simbolico gesto d'affetto.

La torre era tutt'altro che il degno mausoleo di un potere perduto, anzi, pareva ridotta a meno dell'ombra di se stessa, estirpata dalla vita e dalla grazia, lanciata con forza in un abisso a senso unico da cui nemmeno in mille anni avrebbe potuto riprendersi. Rimasi vicino a una delle colonne a fissare l'edera secca, carezzandone i fusti che oscillavano appena sospinti dall'aria. Era una sensazione strana, quella, perché nemmeno il contatto con quelle piante sembrava provocare in me la giusta reazione. Era quasi come se ogni traccia di vita avesse abbandonato la torre fuggendo altrove, nemmeno la pietra aveva conservato l'anima al suo interno e giaceva muta e stoica in attesa che il tempo la erodesse sino a farla scomparire. Un brivido freddo mi si insinuò sotto la corazza, carezzando fugace le bende che avvolgevano le ferite: era il momento di andare in fondo a quella storia.
Attesi di entrare per ultima, convinta di dover tenere sotto controllo qualcosa o qualcuno, e mi offrii di aiutare la donna a superare la porta anche se temevo avrebbe risposto in maniera negativa. Mi sentivo moralmente obbligata a offrirgli il mio aiuto.

All'interno la situazione era quasi peggiore che all'esterno, non perché i danni del tempo fossero maggiori, anzi, ma semplicemente perché ciò che restava dei fasti antichi ruggiva e crepitava con ancor più vigore il ricordo di ciò che era stato. Mi immaginai quella stanza adorna di arazzi colorati e sgargianti, con festoni variopinti che pendevano da colonna a colonna trasmettendo un senso di pace ed armonia. Figurai mobilio pregiato tirato a lucido, quadri raffiguranti eventi importanti di un passato andato perduto, ed un via vai di persone che si scambiavano il sapere e la saggezza al pari di come gli ubriachi si scambiano battute e storie. Un mondo utopico, un'illusione degna della più infantile e sognatrice delle menti. La mia.
Ma qualcuno, sulla cima delle scale per il piano superiore della torre, c'era. Non l'avevo mai visto in vita mia e, sospettavo, un tempo avrebbe potuto anche apparire come una figura distinta ed affascinante, ma ciò che i miei occhi potevano vedere altro non era che un uomo emaciato, malato, che si confondeva con l'oscurità delle ombre rifuggendo i raggi del sole che s'infrangevano sulle pareti.
Ma era lui, era Irwing Ravelon, l'uomo da cui tutto aveva avuto inizio ed in cui tutto avrebbe trovato la fine.
Lucian provava odio, serbando un profondo rancore per quell'uomo che pur nell'ora della sua sconfitta finale si ergeva con tanta arroganza al di sopra di tutti, ma io cercavo di andare oltre, di capire il perché di tanta crudeltà, di tanti morti. Al pari di Viktor, di Caino e di tutti coloro che lottavano come cani per avere un brandello di questo mondo, anche Irwing aveva sicuramente i suoi perché, le sue motivazioni, il suo personalissimo io. Forse la consapevolezza del perché aveva scatenato l'epidemia su Lithien mi avrebbe solamente distrutta ancor di più di quanto il ricordo di quel che avevo visto stesse facendo, ma l'idea di serbare quel trauma senza conoscerne il principio mi avrebbe tormentata. Ma il fantasma non poteva tollerare quegli affronti verbali, quella sfrontatezza, e prima che riuscissi a portare la mano sulla spada già aveva preso a correre con la katana sguainata per le scale, ringhiando per prendersi la sua vendetta.
A nulla valsero le parole del nostro generale, o il mio sguardo atterrito, perché quando la trappola scattò per Lucien era già troppo tardi.

Forse per Irwing tutto quello era un gioco, una specie di Grand Finale per le sue malefatte, ma c'era un fondamento di verità in ciò che diceva. Lamentava il bisogno di reclamare giustizia tra le parti, come se per la prima volta un malvagio chiedesse al buono di mettersi nei suoi panni, di vedere il mondo filtrato attraverso gli occhi di chi, per "bene" ha sempre visto il lato sbagliato delle cose. E con la spada sguainata e lo sguardo perso a fissare la balconata, mi resi conto che stavo per scoprire qualcosa che mi avrebbe cambiato la vita. Non si trattava di un segreto da poco, di una pigra costatazione che chiunque con un minimo di logica e deduttiva intuizione riesce a fare seduto davanti al fuoco, no, per la prima volta avrei potuto vedere, provare, sentire ciò che era stato.
A passo svelto macinai le scale arrivando all'altezza del ballatoio, incantandomi a fissare quelle candide porte spuntate fuori dalla più assoluta delle oscurità.
Un luogo dove i pensieri permangono al pari di libri e fascicoli, fruibili a tutti ed allo stesso tempo a nessuno. Un potere come quello avrebbe avuto così tante implicazioni nel nostro mondo che la sola idea che un incantesimo del genere potesse finire nelle mani sbagliate mi raggelava il sangue e, allo stesso tempo, spingeva la mia parte di sangue elfico a saperne di più, a sperimentare sulla pelle ciò che quel potere poteva offrire. Rimasi immobile, ammaliata dall'immagine di un paese di campagna immerso in uno sfondo di vita rurale e campi di grano. La voce di Irwing ritornò, apostrofandoci con tono di sfida a capire il suo passato, il suo scopo. E non avevamo altra scelta che accettare impotenti quel gioco e sperare che tutto andasse bene, che alla fine ogni cosa trovasse un posto.

Kreisler doveva essere furente per l'accaduto e scelse la porta che raffigurava ciò che, ad una prima occhiata, mi parve una riunione di qualche tipo. Non trovai la forza di dirgli niente, ogni parola sarebbe semplicemente stata superflua, ed urlare il mio disprezzo per ciò che era stato fatto a Lithien avrebbe solo leso il mio morale e la mia integrità. Le altre porte avevano immagini diverse: una prigione, una villa in campagna, una città al tramonto. Eppure io mi sentivo attratta da quel piccolo villaggio apparentemente privo d'importanza, convinta che in un luogo che ispirava tanta pace e tanta armonia potesse celarsi una storia incredibile, l'inizio di una leggenda.

« Io... credo che prenderò questa. » dissi a bassa voce, rinfoderando la spada e preparandomi ad entrare. « ... » tentennai, guardando gli altri.
« Forse ciò che scopriremo qui cambierà le nostre vite... e se questo dovesse succedere sappiate che è stato un onore ed un privilegio combattere con voi. »
mi impegnai a mostrare il migliore dei miei sorrisi.
Avrei tanto voluto enunciare qualche frase carica di coraggio, carica di morale, un discorso degno dei grandi condottieri, ma tutto ciò che mi sovveniva era una grande commozione, misto di paura, incertezza e consapevolezza di essere davanti a qualcosa che superava di gran lunga l'importanza della mia miserabile vita.
E forse con questo pensiero fisso in testa mi avvicinai ad Aang a passo svelto, come se il compiere quel gesto di corsa potesse in qualche modo alleggerire il dubbio che mi tormentava, cercando di abbracciarlo con una certa foga, quasi fossi convinta che sarebbe stata l'ultima occasione di farlo prima di un cambiamento importante, prima che qualcosa tra di noi cambiasse. E ne avevo un'immensa, assoluta, paura.

« Non c'è nessuna malattia, nessun cavaliere in armatura e nessun incantesimo abbastanza forte da vincere contro ciò che abbiamo nel cuore. » lo guardai con gli occhi di un'amica affettuosa, lievemente lucidi. « Qualsiasi cosa dovesse aspettarci lì dentro non dimenticare mai che io e Raymond saremo sempre al tuo fianco, in ogni scelta ed in ogni decisione. » gli sorrisi un'ultima volta. « E non esiste nessuna stanza magica in una torre dimenticata dal tempo abbastanza importante per farmi dimenticare chi sei. »
Poi indietreggiai, eliminando con un dito una lacrima di troppo che mi scendeva sulla guancia, fissando per ancora qualche istante il monaco.

« Buona... buona fortuna a tutti. Ci vediamo dall'altra parte. »
Ho paura che il mondo possa cambiare quando varcherò quella porta. Ho paura che non ritroverò più Aang quando tornerà.
Perché alla soglia del finale di tutto, ho così tanta paura?

E con un passo entrai oltre la soglia.


Se ci fosse un luogo, in questo mondo, dove tutto il sapere e la forza dell'universo fossero rese disponibili sotto forma di libri, lo scaffale dell'amore non sarebbe presente. Perché l'affetto è quel sentimento che prescinde la conoscenza, che va oltre il ricordo, che si sofferma su ciò che è stato solo quanto basta per immaginare ciò che sarà. E' mutevole, ingannevole, doloroso.
Ma è l'unica cosa che ci separa dalla follia.


Ecco il primo post. Sono molto emozionata di partecipare a questa quest, e devo ammettere che questo, unito al fatto che Fanie sta passando un momento molto delicato a livello sentimentale, mi hanno fatto immergere appieno nell'atmosfera di Winterreise.
Non ho messo lo specchietto per evitare di appesantire lo spoiler, le cose importanti sono solamente il fatto che Fanie cerca di abbracciare Aang, dicendogli qualcosa che si ricollega a eventi precedenti, temendo di perderlo in qualche modo... ed il fatto che Fanie alla fine scelga la porta che da sul villaggio con i campi di grano.
Spero che possa essere di vostro gradimento ^^
 
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view post Posted on 13/5/2014, 15:45

Lamer
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In una desolazione tale da ricordare solo il Midgard il gruppo di sei persone camminava a passo svelto puntando dritto verso la fine di una storia che ormai durava da troppo tempo. La mitica resa dei conti tra il capo della loro compagnia, Shakan, e il famigerato Irwing o conte nero stava per iniziare e lui era tra i pochi che avrebbero potuto assistere in prima persona a un capitolo di storia che forse, un giorno, sarebbe stata ripresa da molteplici libri.

Il gruppo con cui Lhotar camminava era alquanto bizzarro, un insieme di individui in cui lui stonava come una nota dissonante in mezzo a una melodia armoniosa e stupenda. Cosa ci faceva lui insieme a loro? Guardava avanti scrutando gli individui che lo precedevano e di cui sapeva i nomi o le gesta. Shakan, un uomo che si era opposto anche al fu re che non perde mai, Kreisler che era riuscito con un unico colpo ad abbattere l'imponente Korgon, Ang, il monaco che aveva messo la parola fine alla guerra del Leviatano, L'oracolo di Basiledra che già in passato, davanti ai suoi occhi, aveva avuto la forza di fermare sia lui che Medoro in pochi istanti e Fanie, l'unica elfa della schiere del drago nero che nella battaglia appena finita si era distinta più di lui come coraggio e forza.

Lui allora cosa ci faceva con dei veterani del genere? Un nano uscito da poco dalla sua casa che cercava solo di far valere l'uguaglianza tra la sua stirpe e le altre. Tutti quelli che gli camminavano davanti avevano un nome e diverse storie di cui andare fieri, mentre lui aveva soltanto le sue piccole scaramucce avute con qualche soldato della Guardia Insonne.

La sua mente tornò a poco prima, quando finita la battaglia a Lithien era ancora intento a riprendersi dalla fatica mentale della battaglia e a farsi bendare l'intera schiena e la spalla sinistra per via del combattimento con Korgon. Si ricordava ancora troppo bene il dolore che aveva visto negli occhi degli infetti e dei soldati che erano costretti a uccidersi in un circolo vizioso che portava sempre e comunque alla morte, eppure un messaggero lo aveva raggiunto per dirgli di unirsi all'ultima spedizione di Shakan per fermare il vero nemico, ma guardando con chi stava marciando sapeva che il fantasma aveva fatto un errore; lui non era adatto, non era la persona giusta, ma non si era opposto alla richiesta aveva semplicemente annuito e si era unito agli altri.

Il gruppo continuò a camminare ancora per qualche minuto prima che la torre, l'ultimo rifugio del loro nemico, apparisse all'orizzonte inquietante e lugubre, avvolta in un senso di eterna misticità che da lontano sembrava scoraggiare gli avventurieri. Fu in quel momento che un goccia cadde sulla guancia di Lhotar, una piccola avvertenza dell'arrivo di una nuvola carica di pioggia.

Il nano guardò verso il cielo che ormai non faceva più passare neanche un raggio di sole rendendo ancora quella zona ancora più triste di quanto già non fosse, ma il gruppo non indugiò, continuando a camminare verso la meta. Nulla avrebbe fermato la volontà di Shakan che con il volto cupo accelerò il passo.

Pian piano che il gruppo si avvicinava alla loro meta la roccaforte che si era aspettato mutò completamente. L'intera struttura era diroccata e le porte arrugginite o rotte. Quel luogo sembrava tutto tranne che un rifugio di un nemico potente come Irwing. Solo a quel punto Shakan e Kreisler parlarono iniziando a discutere di qualcosa che Lhotar non riuscì ad udire.

Dopo poco il gruppo entrò nell'edificio che sembrava essere la casa di un contadino, ma subito lo sguardo del nano venne attirato dalla figura che da sopra le scale scrutava i suoi nuovi ospiti. Finalmente dopo tanto tempo Lucian aveva trovato la ragione delle sue pene e ora sembrava guardarlo con disprezzo e ira, ma quando il conte nero iniziò a parlare l'attenzione del Doppielame scemò verso una sorta di distrazione inspiegabile.

I discorsi che fecero scivolarono come l'acqua sul granito nel suo cervello lasciando soltanto sporadici elementi che da soli non significavano niente; l'effetto della pipa che aveva utilizzato a Lithien non era ancora passato del tutto e gli ci vollero alcuni secondi per riprendersi quanto bastava per ascoltare la conversazione in modo decente.

Passarono altri attimi inesorabili mentre i due nemici mortali si scambiavano frasi che all'apparenza non avevano il minimo senso, ma che per Irwing sembravano significare la differenza tra la vita e la morte e proprio quando meno se lo aspettò, Shakan partì all'assalto venendo sconfitto con troppa facilità.

Un sussulto al cuore svegliò completamente il nano che velocemente strinse l'impugnatura delle due spade, ma prima di poterle estrarre il conte nero sparì dalla stanza con Shakan lasciando i presenti attoniti, o almeno fu questa l'impressione che Lhotar lesse sul volto dei suoi compagni.

Dovettero passare altri secondi prima che la voce del nemico ritornasse chiarendo le sue intenzioni e in quel momento cinque porte comparvero davanti ai presenti. La voce pronunciò frasi troppo chiare per essere fraintese, ma al tempo stesso senza il minimo significato; chi era lui? Chi era Irwing?

Come si poteva rispondere a una simile domanda, lui poteva essere qualunque cosa; un assassino, un guerriero o un nobile, ma per qualche ragione Irwing voleva una risposta racchiusa, a quanto diceva, nelle porte che erano comparse poco prima.
Subito Kreisler si diresse verso l'ultima da sinistra senza dire una parola mentre l'elfa iniziò ad avvicinarsi alla prima. Lhotar a quel punto guardò il grazioso volto di Fanie che sembrava non essere turbata dai fatti che erano successi. In quel momento un senso di stima profondo si insinuò nel cuore del nano che iniziò a parlare rivolta verso di lei.

"Elfa hai dimostrato che le mie affermazione erano sbagliate. Sei forte e valorosa, ma non tradire la stima che ti sei guadagnata, dimostrami ancora una volta che quello che ti ho detto è la cosa più lontana dalla verità. Buona fortuna elfa."

Poi la sua attenzione si spostò sulle porte. Nessuna gli diceva nulla in particolare e ciò che era disegnato sopra non faceva altro che confonderlo, ma una, quella centrale, gli ispirava un senso di nostalgia. La città che vi era raffigurata gli sembrava ricordare vagamente Lithien, ma furono le vette dietro che lo attirarono verso di essa.

Quelle montagne gli ricordarono casa e Bolg. Aveva lasciato il drago nella città per non rischiare di soffrire come era successo a Kreisler. Lhotar poteva solo immaginare il dolore del veterano nell'aver perso il suo compagno e ciò lo aveva portato a lasciare il drago al sicuro, lontano dai pericoli di quella missione.

Quella sensazione di voglia di casa però gli diede forza. Guardò il monaco e l'oracolo per qualche secondo dopo di che si accese la pipa facendo attenzione a non svegliare i poteri di quell'oggetto utile quanto pericoloso. Quando il fumo uscì di nuovo dalla bocca del nano cominciò ad avanzare verso la porta centrale, l'unica che lo aveva attratto suscitandogli quel sentimento che aveva provato non poche volte, poi, appena a pochi centimetri dalla porta si girò e si rivolse verso le due persone ancora ferme:

"Buona fortuna compagni, che il Sovrano sia con noi."

Si trattene dal menzionare il dio della terra, ma sperava che anche lui potesse dargli la forza per affrontare quella sfida che si prognosticava la più difficile che mai avesse dovuto affrontare. Poi con fermezza attraversò la porta sperando, in fondo a la suo cuore, che passandoci attraverso potesse tornare alla Montagna, nella sua patria.



Grazie per avermi scelto, spero di non deluderti. Cmq questo su questo post c'è poco da dire se non che Lhotar risente ancora un pò delle ferite ricevute a Lithien. Per il resto mi sembra chiaro XD
 
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view post Posted on 13/5/2014, 23:37
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Like a paper airplane


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Aveva cercato di parlargli per ore, forse per giorni. Per incontrarlo, per sfiorare un lembo del suo mantello, aveva attraversato l’oscurità e fronteggiato i propri incubi. Eppure, quando finalmente si erano riposati, quando avevano prendere fiato, non aveva osato neppure avvicinarsi. Era rimasta immobile, in piedi davanti alla sua tenda, la pioggia fine che le cadeva sugli occhi e sulle labbra. Era una pioggia acre, aspra, come la sua delusione. Più di una volta aveva accennato un passo, aveva allungato la mano. Gli occhi della bambola si erano offuscati come se fossero velati di lacrime e il tempo era trascorso ticchettando sulla porcellana incrinata. Si era ripetuta più volte le parole che avrebbe dovuto dirgli, il discorso breve e disperato che avrebbe dovuto concludersi con una supplica.
Aiutami.
Sperando in un suo sguardo di comprensione, capace di alleviare un poco la sua angoscia.
Solo tu puoi farlo.
Non sarebbero servite parole, non per forza. Anche solo un gesto, una mano sulla spalla, un mezzo sorriso di quel volto affaticato. Qualcosa che la facesse sentire meno sola nella sua lotta contro il mondo. Nella sua battaglia per sconfiggere la propria parte debole, impotente.
Ad un certo punto aveva perfino iniziato a parlare da sola, a mezza voce, per convincersi. O forse sperando che lui la sentisse e le venisse incontro. Non era nemmeno certa lui fosse dentro, ma lo aveva atteso comunque, fino a quando non aveva sentito girarle la testa e brividi di freddo scuoterla. Solo allora si era ritirata, rattrappendosi sul letto improvvisato, le ginocchia abbracciate e il volto premuto sul lenzuolo ruvido.
Non era degna, questo si era detto mentre il buio la avvolgeva, come se ci fosse bisogno di ripeterlo per convincersene, come se già non lo sapesse. Gli odori di quella città malata erano simili al puzzo della sua anima corrotta da un unico errore. Finchè non fosse stata all’altezza della leggenda che lui rappresentava, lo sapeva, non avrebbe osato pendergli la mano nella propria e vomitargli addosso tutta la verità.
Per questo lo aveva seguito fino alla fortezza diroccata tra le montagne, per questo aveva seguito il suo dialogo folle con la sagoma di un nemico. Le avevano dato un nuovo mantello, questa volta di un grigio così scuro da sembrare nero, troppo ampio per una della sua stazza. La faceva sembrare un’ombra dimenticata in un angolo.

Per questo aveva colto l’occasione al volo. Quando aveva visto il suo comandante scomparire tra le braccia del nemico, prigioniero di colui che erano venuti a uccidere. Lo aveva saputo senza bisogno di pensarci troppo: se lo avesse salvato, se fosse riuscita riportarlo indietro e lui le avesse dovuto anche solo un briciolo di gratitudine, allora e solo allora avrebbe potuto parlargli. Forte della propria impresa, avrebbe potuto inchinarsi davanti a ciò che lui rappresentava e cedergli parte della propria verità troppo pesante.
Sollevò le braccia, mettendosi a correre con le forze che aveva ritrovato in quella notte tormentata. Non sentiva nemmeno i muscoli indolenziti mentre saliva i gradini umidi e bui. Il mantello nero le vorticava attorno come le ali scomposte di un corvo, il cappuccio le scivolava su una guancia nascondendole il viso pallido per la tensione.
Non le importava veramente chi fosse quello sconosciuto Irwing o come accidenti si chiamasse. Non che si fosse mai interessata troppo del suo prossimo e dei turbamenti dell’animo altrui. Quell’uomo avrebbe potuto risolvere il proprio problema da solo, fronteggiando il proprio passato come lei era costretta a fare ogni giorno. Eppure se conoscere lui era l’unico modo per arrivare a Shakan, era disposta a scavare ogni singolo, piccolo, sordido segreto del suo animo. Dopo avergli fato tutto il male necessario per fargli sputare la verità velocemente.
Decisa, il coltello già sfoderato in una mano, lasciò scivolare un piede sul ballatoio, cercando la stabilità per sferrare un colpo. Probabilmente si sarebbe lanciata in avanti alla cieca, ma ciò che vide la costrinse ad immobilizzarsi. Irwing Ravelon non era uno sciocco e, se ancora ne avesse avuto bisogno, quella era la prova definitiva. E non era neppure un debole. Perché era riuscito a svanire nel nulla con la propria preda.
Con la nostra preda.
E a lasciarli prigionieri di una scelta obbligata, quella che lui voleva facessero.
Digrignò i denti, le nocche che si facevano pallide per l’ira. Inspirò lentamente, cercando di fare la scelta giusta. Non le importava di essere l’ultima a passare, ormai si era abituata. Quelle come lei raramente venivano per prime. Raramente qualcuno cedeva il passo a una ragazza cieca, troppo magra per poter essere definita una donna, troppo fragile per potersi difendere.
L’importante sarebbe stato fare la scelta giusta, quella che l’avrebbe portata prima alla soluzione.
Chi sei Irwing?
Rinfoderò la lama, cercando una risposta nella voce che ancora le rimbombava attorno, nella stanza vuota e piena di ricordi ormai scoloriti e divenuti polvere. Un uomo capace di odiare al punto da attendere la fine in quel luogo per tanto, troppo tempo. Un uomo che non aveva voluto, o forse non aveva potuto fuggire, nero quanto la notte di cui era preda.
Sapeva di avere già scelto, ma rimase per un attimo a guardare le porte, alcune delle quali erano già state aperte. Ignorò quelli che l’avevano accompagnata, il loro perbenismo e la loro innocenza. Ignorò le loro motivazioni. Si chiese soltanto se fosse pronta a cercare la verità di lui nel luogo che più avrebbe potuto spaventarla, là dove la solitudine sarebbe stata più fitta e dove avrebbe dovuto essere nuovamente schiava dell’oscurità.
Si bagnò le labbra secche, cercando un poco di saliva per farsi coraggio. Dopo tutto non era mai stata davvero coraggiosa.
Ricordati che vuoi parlargi.
Annuì a se stessa. Non avrebbe fallito di nuovo, non dopo aver passato tutto quel tempo sotto la pioggia con la sensazione di non essere degna nemmeno di restare in sua presenza. Lentamente, molto lentamente, sperando che da un momento all’altro qualcosa la fermasse, si avvicinò alla porta con la segreta disegnata sul battente. Sapeva che non sarebbe accaduto nulla, che solo nelle favole magiche creature scintillanti salvano le principesse un attimo prima della fine. E lei non era neppure una principessa. Uno spiffero d’aria scivolò attraverso l’ingresso sconosciuto, attirando verso di sé la stoffa nera che la proteggeva. Per un istante le sembrò di essere diventata uno spettro e la bambola vide quelle ali scure carezzarla. Ma fu solo un secondo, prima che varcasse la soglia chiudendo gli occhi, tutti quelli a sua disposizione, e trattenendo il fiato. Uno schiocco secco le annunciò che non sarebbe potuta tornare indietro.




Perchance to Dream

Cs. 4.[Astuzia] 1.[Intuito]*
*Proviene da un Occhio
B.[4%] M.[8%] A.[16%] C.[32%]

Energia. 100%
Fisico. Illesa
Mente. Illesa

Armi. Coltello



.Passive.


Stratega. Capacità di riconoscere le illusioni di cui è vittima, difesa psionica passiva e immunità al dolore psionico
Bambola. Visione attraverso gli occhi della bambola e auspex delle anime; possibilità di cambiare l'aspetto esteriore della bambola ad ogni giocata
Collana elfica. Possibilità di utilizzare la bambola in combattimento [la bambola gode di 3 CS]
Passiva razziale umana. Non sviene al di sotto dell 10% delle energie*


.Attive.


//

.Riassunto.



Mi limito a scegliere la porta con la segreta rappresentata, e attendo sviluppi *_* Mega hype for me ~

.Altro.



Posso solo fare degli occhioni luccicanti *_____*!

 
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PARACCO TRAVESTITO ALOGENO
view post Posted on 15/5/2014, 20:53




Erano rimasti al Tempio della Speranza il tempo necessario per riposare corpi e cuori stanchi.
Aang si era chiuso in un silenzio ostinato, interrotto soltanto dal saluto scambiato con Fanie, quando l'aveva vista arrivare. Si era alzato sentendosi ancora stanco, non ancora pronto a partire, ma non aveva molta scelta. La valle alle spalle del Tempio era spoglia e triste sotto la pioggia leggera che continuava a cadere, lacrime che dal cielo giungevano fino alla terra in un pianto disperato. Provò ad immaginarsi quella terra durante il periodo in cui Lithien era ancora una città forte e viva: un prato di un verde abbagliante puntellato da una miriade di fiori dai colori sgargianti. E poi il sentiero, curato e modellato secondo la volontà degli abitanti, che attraversava sinuoso quella collina come una preziosa collana che solca il collo di una bella donna. Aang si voltò verso Lithien, continuando a camminare nel silenzio forzato della marcia: la vide con gli occhi del passato, bianca e luminosa come una fonte di acqua cristallina tra le montagne. Un gioiello che sarebbe dovuto essere conservato gelosamente e che invece si era infranto, caduto da quelle stesse mani che lo avevano sorretto.

Camminarono per minuti che sembravano correre lentamente, e quello che vide alla fine di quel sentiero non appagò per niente i suoi occhi affamati. La Torre che avrebbero dovuto raggiungere non era ciò che si era aspettato, non era alta e slanciata come una ballerina sul palco, nè sinuosa come una donna che balla per il proprio uomo. Non credeva possibile che la fine di quella storia, comunque andasse, dovesse concludersi in quell'edificio, che definire Torre sarebbe stato lontano dalla verità. Più che una torre era un castello, scuro e che ben si trovava a suo agio in quelle terre spoglie. Non estasiante alla vista, ma con una sua importanza nascosta. Aang ne colse il valore come un esperto in pietre preziose che guarda con occhio critico un diamante grezzo. E sorrise appena, non per letizia, ma perchè sapeva che lì sarebbe finita.
Cosa però, ancora non sapeva.

Se all'inizio l'aveva immaginata diversa, camminarvi dentro lo aveva riportato rapidamente con i piedi per terra. Le colonne rovinate, le pietre scheggiate e la sporcizia portata dal vento erano veri e testimoniavano il passare del tempo persino in quel luogo che per Shakan, per Lithien, era stato così importante. Il monaco si chiese per quanto avrebbero dovuto cercare ancora in quel silenzio estenuante, prima di trovare colui che stavano cercando, quell'Irving che avrebbe messo fine a quella storia. E per una volta non dovettero attendere a lungo.

« Sei giunto, dunque - Lucian » - parlò Irving Ravelon, anticipando tutti loro.
Parlò dalla cima delle scale, che come un palco propagavano il suono delle sue parole nel salone dove si trovavano. Sembrava avere la situazione sotto controllo, nonostante tutti loro assieme avessero il potere per radere al suolo quel posto. Dalla penombra continuò a parlare a Shakan, appellandolo con quel nome, quel Lucian che da quando era arrivato a Lithien aveva sentito troppe volte. Una parola che iniziava a pesare sul suo cuore come un macigno, una menzogna infima diventata più pesante di un macigno.

Tutto ciò che avvenne dopo fu troppo veloce perchè potesse fare qualcosa. Shakan caricò Irving, stanco e ferito dalla calma compassata di quell'altro, ma cadde diritto nella sua trappola. Venne attaccato vigliaccamente alle spalle e trascinato dietro una porta nascosta fino a quel momento. Aang non riuscì nemmeno a balbettare il nome del suo amico che questi era già sparito dietro quell'uscio, impossibilitato a reagire a quell'affronto. Tuttavia la voce del loro infido nemico risuonò ancora nel salone, mentre cinque porte apparivano di fronte ai loro occhi.

« Non ucciderò Lucian » disse con voce divertita « non ancora, almeno »
« Prima, infatti, lui - come tutti voi - dovrà capire; comprendere l'unica verità per la quale siete giunti qui e che è giusto che tramandiate al mondo »

E per farlo avrebbe dovuto varcare una di quelle porte. Lo sapeva già, prima ancora che quell'Irving, che non conosceva ma iniziava a innervosirlo, lo dicesse. Pensò di avanzare per imboccare una delle porte, ma qualcosa lo fermò. La vide correre per un attimo, prima che l'elfa lo abbracciasse con trasporto. Rimase per un attimo interdetto a quel gesto, come se avesse perso con il tempo e con la solitudine il significato del termine amicizia. Quel calore che non sentiva da tempo non gli permise di ricambiare quel gesto d'affetto come voleva, ma i suoi occhi spalancati e velati di sorpresa parlarono per lui. Fanie gli sussurrò parole che lo colpirono al cuore, facendolo vacillare e scuotendolo dall'apaticità in cui rischiava di cadere. Incapace di risponderle annuì con un breve sorriso, vedendola allontanarsi ed imboccare una delle porte.

Prese un profondo respiro, guardando la porta che rappresentava una magione in piena notte, sapendo che probabilmente ciò che avrebbe dovuto affrontare dall'altra parte non sarebbe stato facile. Eppure non vacillò, e le sue mani si strinsero sulla maniglia. Rimaneva una sola cosa da fare.

Scoprire la verità su Irving Ravelon.
E salvare Shakan.




CITAZIONE
Post rapido, non ho voluto aggiungere molto per non risultare pesante. :v:
Go, Janz! :asd:
 
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view post Posted on 17/5/2014, 11:14
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• Fanie •Gefahrdorf
Infanzia di Lucian Alastor

Il sole alto gemeva ansante, pregno di calore, sul cielo del villaggio di campagna.
Le cicale intonavano un canto lento, accompagnando di brevi cenni il silenzio che regnava nella via principale. Come spesso accadeva, infatti, la terra battuta risplendeva di null'altro che della propria nudità, restituendo agli angoli delle strade un borgo vuoto, spoglio ed inanimato. Eppure, il villaggio era pregno di vita nelle case ai lati della strada. Le porte erano chiuse, ma le finestre aperte, con tende svolazzanti che accarezzavano l'aria e - con essa - provavano a rubare un poco di frescura. Non era abbastanza caldo, però, perché a Gefahrdorf si tenessero le porte aperte.
Ciascuna casa pareva custodire un segreto. Ciascun abitante pareva rimbombare una verità che voleva urlare tra le proprie mura, senza che nessun'altro udisse.
Ogni parola, verbo o pettegolezzo, invero, era più pericoloso e fastidioso di qualunque calura, sudore o estiva arsura.

Tutto era più importante dell'onore, in un villaggio di campagna come Gefahrdorf.
Ed anche per questo la vita pullulava solo nel mercato del mattino, oltre che nelle feste di paese o nel ritrovo conviviale che si teneva, tra gli uomini del paese, poco prima dell'ora di cena.
Per il resto, quel borgo era un rintocco di silenzi e campane a morto. Di tanto in tanto c'era un funerale: una vita si spegneva ed un'altra, remota - molto remota - si accendeva, dalla forza urlante di qualche donna che partoriva tra le mura strette della propria magione.
Chi fosse, di chi fosse o quale fosse il nome del nascituro, però, si sapeva solo molto dopo. Quando il pettegolezzo si era fermato, o semplicemente non fosse più appetibile.
Il pomeriggio - un pomeriggio come quello - il villaggio era silenzioso. Silenzioso come fosse abitato da fantasmi.

« YAAAWWWN!!! »
Uno sbadiglio proruppe nel silenzio. Invero, l'unico vociare che si udiva erano quello di due uomini.
Erano seduti ai bordi di un grosso portone, sul sagrato di una piccola chiesetta affacciata sulla piazza. Avevano lunghi cappelli di cuoio, che scendevano sul viso, oltre che sottili giacche di stoffa e camiciotti bianchi, rammendati. Allacciate alla cintola, c'erano sottili coltelli. Erano guardie; erano più simili a dei briganti, però.
« Hitch » disse l'altro, in risposta allo sbadiglio « fai almeno finta di lavorare, cazzo. »
Hitch lo fisso con uno sguardo a metà tra il perplesso e l'arrabbiato. « Cazzo vuoi, oh? » sbottò.
« Lord Gustav ci ha pagato fiori di quattrini per fare da guardie del corpo a quei due; quindi vorrei fossi professionale, tutto qua » gli disse, con tono serio.
L'altro strabuzzò gli occhi, fissando la piazza deserta. « Lord sono-il-boss-del-cazzo-di-paesino-dimenticato-dagli-dei Gustav ci paga anche per non sbadigliare? » argomentò scontroso, dondolando sulla sedia « ci avrà pure pagato, ma questo lavoro è di una noia infinita; quindi sbadiglio quanto cazzo mi pare. »
L'altro distolse lo sguardo, decidendo di non proseguire oltre. Fissò anch'egli la strada completamente vuota e prestò orecchio all'assordante silenzio del pomeriggio. Invero, non poteva dargli torto.
« Ricordamelo Jess, te ne prego » disse Hitch, rivolgendosi di nuovo al compagno « chi cazzo sono i due qua dentro? »
« Sono gli eredi del Casato Alastor, uno dei principali Casati di Lithien » aggiunse l'altro, con tono severo « e stanno prestando omaggio alla tomba della madre, quindi... »
« Quindi...? » replicò, con aria interrogativa. « Quindi abbi un pò di rispetto, ecco. » rispose a tono Jess.
« Due pezzi grossi della grande città che visitano la tomba della loro mammina... » tagliò corto, irriverente « trattengo a stento le lacrime. »
« Io ho perso la mia vecchia tipo quando avevo dodici anni » aggiunse il primo, sorridendo a trentadue denti « ed è stato tipo il giorno più bello della mia vita. »
Rimase a fissare il cielo, temendo di vedere un tuono solcare il cielo limpido da un momento all'altro. « Spero tu stia soffrendo all'inferno, vecchia stronza! »
Poi si scosse, fissando l'altro con aria preoccupata. Comprese forse di aver esagerato e archiviò la battuta con una fragorosa risata.
« Ok, magari la loro madre non era stronza come la mia » aggiunse, divertito « ma non ho capito perché non li accompagna il padre alla tomba. »
« Perché dobbiamo fare noi le badanti ai due marmocchi? »

Jess sospirò, aggrottando le ciglia. « Dicono sia depresso; dicono non sia uscito di casa dalla nascita del secondogenito. »
« Ma la madre com'è morta? » chiese l'altro, con aria più seria. « Dandolo alla luce, pare » rispose Jess, ancora, con tono più serio.
Dunque, rimasero in silenzio per alcuni minuti. Poi Hitch si voltò verso l'interno, fissando la scena entro la stanza buia.
All'interno della piccola chiesa erano evidenti taluni arazzi di basso valore che ricoprivano le pareti.
Poco sotto l'altare, si ergeva un basso colonnato, con un pesante sarcofago in pietra al centro. Su di esso, un quadro di una donna bionda, molto bella, con fiori rossi e gialli posti sotto di esso.
Ai piedi del sarcofago, due figure fissavano la scena, col capo chino. Una giovane donna, poco più alta di un metro e trenta; nella mano destra reggeva la paffuta manina di un bimbo dai capelli scuri, a caschetto. Aveva un età tra i tre ed i quattro anni, circa.
« Che c'è? » chiese Jess, voltandosi verso l'interno. « Niente » rispose l'altro, più serio « controllavo solo che fossero ancora viv- »
STUCK

Non fece in tempo a finire la frase che una freccia gli si piantò in mezzo agli occhi, fissandolo al muro della chiesa.
Jess fece appena in tempo a sfoderare il coltello, che un uomo bardato di fasce di cuoio scuro gli era già addosso, facendolo cadere dalla sedia.
Altri due, invece, compreso quello che aveva lanciato la freccia, entrarono di violenza nella chiesetta, in direzione dei due bambini.
Insieme, argomentavano con sottili risate e frasi a mezza bocca il loro piano.
« Prendiamoli! » diceva uno all'altro, indicando i due.

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• Aang •Villa Nuova Luna
Adolescenza di Lucian Alastor


Il chiarore della Luna Piena illuminava la notte a giorno.
Una grossa magione, imponente e costruita nella pienezza di un campo di granturco, si stagliava nel centro di una grande vallata. Ai lati del grosso portone d'ingresso si ergevano due grosse colonne, con capitelli sporgenti ed intagliati con cura. Ovunque, nella magione, era possibile intravedere finestre con tende di seta, persiane finemente lavorate e sculture che dimoravano sulle pareti esterne, adornando la struttura con un fascino quasi antico.
Eppure, tutto sembrava immerso nel buio più totale. Non una luce, una voce o uno sguardo trapelava dall'interno, lasciando intendere quanto la stessa fosse disabitata od assopita nel sonno profondo della notte. D'altronde, non poteva che essere notte fonda.

Aang si ergeva entro il campo, dinanzi all'entrata. Immobile, fissava il sentiero che conduceva alla magione, incerto sul da farsi.
Passato, presente e futuro si incrociavano sullo sfondo di quell'oscura visione, divenendo un tutt'uno di ricordi e verità. D'un tratto, il portone si apre, lasciando intravedere sprazzi del suo interno.
La villa sembrava immersa in un buio ancor più tetro dell'esterno. Nonostante ciò, era possibile scrutare la finitura della mobilia, i grandi tappeti e gli innumerevoli quadri presenti nel salone principale. Lo stesso poi, si diramava in più direzioni, rivelando stanze che conducevano ad altri spazi del piano centrale, ma anche una scala che proseguiva verso l'alto, fino al piano superiore, ed una che scendeva a chiocciola fino ad un piano inferiore.

Dal portone di ingresso fece capolino un uomo. Uscì di soppiatto, con aria affannata. Indossava un cappuccio ed una grossa tunica che gli copriva il corpo ed il volto.
Non era visibile, ma non sembrava scappare o fuggire da alcunché. Sembrava volersi prendere una pausa da qualcosa.
Sospirò. Poi, tirò fuori un pezzo di carta dalla tasca. Vi arrotolò un ciuffo d'erba e gli diede fuoco con un fiammifero.
Inizio a dare ampie boccate, rasserenandosi - apparentemente.
L'uomo fumava e fissava l'orizzonte. Ad un tratto, poi, scrutò nella direzione di Aang e gli parve di veder qualcosa.

Nello stesso istante una forza misteriosa tirò giù il monaco.
Qualcuno, o qualcosa, lo atterrò, nascondendolo tra gli alti steli di granturco che adornavano il prato.
« Sei impazzito? » disse una voce alle sue spalle « stai giù! »
Accanto al monaco era apparsa una figura. Sembrava un uomo di una trentina d'anni. Aveva capelli neri lunghi, arruffati sulla fronte in un grosso ciuffo. Aveva grosse occhiaie che gli segnavano il volto profondamente, manifestando una stanchezza profonda.
« Chi sei, tu? » chiese, con aria visibilmente preoccupata. « Sei del Consiglio? Oppure un uomo del tempio? »
« Invero, credevo che nessuno - a parte me - avrebbe mai scoperto questo posto. »

Lasciò che il vento riempisse quelle risposte, senza riceverle.
D'altronde non sembrava avere molto tempo, e la sua attenzione pareva catalizzata più dagli sguardi dell'uomo sull'uscio, che dalle risposte del monaco.
« Ad ogni modo, se sei qui ci sarà un motivo - e me lo dirai dopo » aggiunse, sussurrando « aiutami a stordire quel tipo »
« Uno di noi lo distrae, l'altro lo tramortisce » aggiunse, sicuro.
« Tutto chiaro? »

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• Lothar •Lithien
Maturità di Lucian Alastor


Lithien.
La bella città che risplendeva ancora alle luci del tramonto. Il cielo si incastrava in un giallo scuro, quasi arancione, brillando di intensità calda sulle mura perlacee della città.
I viali erano adorni di fiori e profumi, mentre le vette delle montagne baciavano ancora i risvolti candidi e rasserenanti dell'acropoli, in un tempo in cui le sue mura svettavano trionfanti come immensa bellezza tra le cime del nord.
Era un tardo pomeriggio fresco, di primavera. Nel mentre gli occhi si posavano su quella città ancora nella sua fausta felicità e beltà, le orecchie udivano un suonar di campana.
Un rintocco sordo, poi un altro. Infine, un altro ancora. Un ritmico richiamo arcuato, che si ripeteva ad intervalli regolari e richiamava l'attenzione dei presenti su di un evento importante, ma infausto.
Un lutto; una morte.

Il Tempio della Speranza era addobbato per le grandi occasioni.
Un pesante tappeto di seta rosso era sparso sul pavimento, conducendo dalla via principale fino al grande altare in marmo bianco. Tutt'intorno c'erano fiori, cesti di frutti ed altri omaggi che accompagnassero il defunto verso il suo viaggio nell'al di là. C'erano, inoltre, quadri e simboli della casata che rappresentava. C'erano, sopratutto, centinaia di invitati, di qualunque ceto sociale.
Erano visibili nobili abbelliti in abiti sontuosi, ma rigorosamente scuri e trascinati in un buio mortale che ne raffigurasse tutta la propria costernazione. C'erano anche cariche rappresentanti del Tempio e delle istituzioni della città, disseminate un pò ovunque. C'erano, sopratutto, uomini e donne comuni, anche contadini e sguatteri, che piangevano la morte del defunto molto più di quanto non facessero i nobili o coloro che sedevano più avanti.
La folla era imperiosa e ricopriva tutto il Tempio uniformemente, senza possibilità che nessuno spazio rimanesse vuoto o non coperto da grosse spalle, pesanti tuniche o paramenti preziosi.
Il nano, in quest'ottica, non veniva agevolato. Chiunque fosse più alto di un metro e mezzo lo sovrastava e gli passava avanti, togliendogli fiato e sguardo.
Non era possibile capire o comprendere. Non era possibile valutare chi fosse morto o chi fosse ancora vivo a piangerlo.
Non da quella posizione, almeno. C'era una scalinata laterale che consentiva di scivolare al di là della folla principale, avvicinandosi ad un abside laterale.
Da li avrebbe potuto capire meglio. Da li, spingendo via qualche passante, avrebbe potuto sentir qualcosa in più.

Poi, d'un tratto Lothar udì una voce dal fianco.
« Dov'è? » disse un uomo robusto, alto circa un metro e ottanta e con una pesante barba. « Credo sia da quelle parti; si è nascosto » disse un altro più smilzo, con una grossa cicatrice che gli copriva l'occhio destro, indicando verso il lato sinistro del Tempio. I due rimasero a fissare la zona qualche istante. Poi, quasi come se sapessero che sarebbe avvenuto, videro una figura scura che sgusciava via dalla folla proprio nella zona in chi stavano guardando. Aveva un cappuccio nero che gli copriva il volto e pesanti stivali marroni, sporchi, che condusse fuori dal Tempio rapidamente.
Si allontanò con aria furtiva, richiamando - però - l'attenzione dei due.
« Eccolo, eccolo! » disse lo smilzo, tirando una gomitata al compare. « Aye, l'ho visto - cretino! » aggiunse l'altro, tossendo piano « avvisa Patt. »
Lo smilzo fece un sibilo, quasi impercettibile. Il fischio, però, fu colto da un terzo uomo, bassino, che attendeva vicino all'ingresso. Aveva una grossa sciabola legata alla cinta e lunghi baffi che si teneva tra le mani. Quando colse il sibilo, fissò la figura incappucciata allontanarsi e lo seguì, imboccando un vicolo laterale.
I due si affrettarono ad allontanarsi dalla folla a loro volta. « Sapevo che sarebbe venuto al funerale » aggiunse lo smilzo, sogghignando « non poteva mancare! »
« Aye » commentò l'altro, tossendo ancora « quindi, lo facciamo fuori? »
« Questi sono gli ordini » concluse lo smilzo « ucciderlo durante il funerale. »
Trattenne una risata. « Che ironia! » tagliò corto l'altro.
Infine, imboccarono a loro volta il vicolo, lontani dal tempio.

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• Ainwen •Sotterranei
Maturità di Lucian Alastor


Buio ed umidità.
Una grossa sala immersa in un buio fatiscente, illuminato solo da tenui raggi di luna che filtravano attraverso delle finestre in alto, coperte da pesanti sbarre. Il cielo scuro rappresentava la crudeltà della visione nelle profondità. Un lamento sommesso riempiva l'aria, mentre dalla stanza, circondata da pesanti pietre scure, sporche di muffe e polvere, si diramavano due corridoi, uno a nord e l'altro a sud.
Verso sud si levavano dei lamenti sommessi. Sprazzi di pianto, singhiozzi e tenui richiami all'attenzione, di prigionieri apparentemente affamati o sofferenti, che scrutavano nell'oscurità una qualunque loro salvezza. Le celle visibili erano tre, invero. Una era abitata da un vecchio disteso al suolo. Rantolava, con una mano rivolta verso l'entrate della cella e l'altra riversa sul proprio stomaco. Dalla bocca gocciolava un liquido verdastro; probabilmente aveva rimesso. Probabilmente era stato male.
Con gli occhi fissava il vuoto, implorando cibo ed acqua. Intonava il richiamo come una melodia ininterrotta, quasi come se ripeterla gli giovasse in qualche modo. Quasi come se il senno perduto gi suggerisse di continuare a ripeterla, senza sosta.
La cella di mezzo, invece, era abitata da una donna. Era giovane ed aveva capelli biondi ramati, ormai sporchi di sangue e polvere. Stava seduta in un angolo, coperta solo da uno straccio bianco sporco di sangue. Piangeva; singhiozzava ripetutamente. Era stata attinta da chissà quali nefandezze che, nonostante la durezza, non le avevano sottratto la voglia di piangere, di ribellarsi e di sperare che - prima o poi - qualcuno l'avrebbe salvata.
La terza cella, invece, era abitata da un qualcuno di misterioso. Stava rannicchiato in un angolo, nascosto dalla luce. Solo piedi nudi e sporchi erano illuminati dalla tenue luce della sera, mentre volto e braccia erano tenuti stretti in grembo, nascosti. Non parlava, non diceva nulla. Tremava poco, forse per il freddo. Ma quello era l'unico elemento che confermava che fosse vivo.

Una guardia, bardata di una corazza di cuoio ed uno spadino, stava seduta in un angolo.
Di tanto in tanto si alzava per calciare la cella di mezzo, intimando alla donna di piantarla di piangere. Questa si interrompeva per poco, salvo poi ricominciare.
E la guardia pativa, nuovamente, il suo pianto. Ricominciando a lamentarsene.
Non sembrava essersi accorta di Ainwen, per fortuna.

Dall'altro lato della stanza, invece, si udiva un canto sottile, leggero.
Niente di chiaro, niente di vero. Ma semplicemente più voci accorate che suggerivano qualcosa alle sue orecchie.
Qualunque cosa che, comunque, avrebbe potuto interessarle. Benché l'ignoto rappresentasse il pericolo, anche.



littleqmpointwinterreis

Ecco a voi. Per comodità ho diviso le scene e messo i vostri nomi a ciascuna parte riservata, così non ci confondiamo.
Sappiate che ciascuno di voi interpreta la propria parte come se stesso. Non siete altri personaggi. Siete voi stessi che vivete "storie del passato", legate - in qualche modo - alla memoria di Irwing. Non sempre sono ricordi suoi diretti, ma sono comunque circostanze che solo lui ricorda/conosce. O, comunque, i suoi "punti di vista" (che siano vissuti, raccontati o solo conosciuti). Non vivrete tali ricordi come "ombre" o "fantasmi". Sarete persone visibili, agirete direttamente e qualcuno potrebbe finanche chiedervi chi siate. Quindi, potete anche morire in questi ricordi (in astratto, il Pk è On solo per abbandoni / errori grossolani). Vi dirò io quando, ad un certo punto, potrete comunicarmi la "risposta" (vi dirò anche come comunicarmela). Non state, quindi, vivendo il passato: non potete cambiare il passato, né le vostre azioni potranno modificarlo. Semplicemente vivete come reali delle memorie passate, al solo scopo di indagare su tali eventi. Per il resto, alcuni di voi proseguiranno in confronto, ma - nonostante ciò - mi limiterò a darvi solo brevi indicazioni in quella sede. Vorrei che chiunque di voi, anche se riceverà indicazioni in confronto, scriva nel proprio specchietto un riassunto conciso e chiaro di ciò che il proprio pg compie, senza robe tipo "come concordato in confronto". Chi leggerà la quest, infatti, dovrà capire tutto da questo thread, senza rimandare alla parte in confronto che della quest stessa non fa parte, ma è solo una comodità per noi.
Inoltre vi anticipo che, come la precedente quest, avrete dei vantaggi particolari. Prima di tutto, avrete tutti questa passiva attiva per tutto il tempo in cui vivrete le scene del passato.

CITAZIONE
Fantasmi del passato. I quattro eroi, baciati al potere di Ecatherine, manterranno tra loro un legame empatico. Ciascun personaggio, infatti, soltanto concentrandosi per qualche istante, potrà "memorizzare", ovvero far affiorare nei propri ricordi, le informazioni vissute da un proprio compagno a scelta. Una condivisione di informazioni globale che avrà luogo come un ricordo perpetuo, che si formerà da se nella memoria, semplicemente volendolo. In termini di gioco, ciascun questante sarà in collegamento empatico con gli altri pg, potendo conoscere cosa loro abbiano "scoperto" nelle altre memorie (negli altri quadri), soltanto concentrandosi qualche istante. L'uso di tale passiva sarà comunque valutato in termini di sportività.

Oltre a questo, avete una piccola boccetta che vi è stata donata da Ecatherine. La boccetta si consuma dopo due sorsi ed ogni sorso di utilizzo consuma uno slot. Per complicarvi le cose, però, la boccetta ha tre utilizzi. Di seguito elenco quali sono.

CITAZIONE
Essenza di spirito. Una piccola boccetta trasparente, con un liquido perlaceo che risplende di tenue luci scintillanti. La sua funzione cambia a seconda di come lo si utilizza. Il primo utilizzo consiste nel spargerlo su una zona a scelta del proprio corpo: l'essenza di spirito renderà, in questo modo, il corpo del prescelto totalmente invisibile, come fosse affetto da un'invisibilità di potenza media. L'effetto durerà un turno e nulla potrà scogliere l'invisibilità per quel turno, nemmeno l'uso di una tecnica (benché gli effetti della tecnica rimarranno ovviamente visibili). Il secondo utilizzo è versando il liquido su di una parete. In questo modo, il prescelto creerà una "frattura" nella memoria, ovvero un portale che gli consentirà di invadere le memorie di un altro questante a scelta, consentendo ai due di "gestire" il post successivo insieme. Il questante "invasore" ritornerà nel suo mondo durante il successivo post del QM e gli eventi del suo mondo "d'origine" saranno andati avanti senza di lui. Un ottimo modo per aiutare un compagno e/o far avanzare eventi considerati inutili. Il terzo utilizzo è bevendola. Ingerendo l'essenza, infatti, il prescelto apprenderà cognizioni altrimenti irraggiungibili. Egli potrà infatti porsi un singolo interrogativo sugli eventi che sta vivendo, potendo ricevere un chiarimento diretto. Eppure, egli non potrà porsi domande che non siano direttamente collegabili agli eventi che sono in corso dinanzi a se; ove, infatti, la domanda trascendesse eccessivamente ciò che gli si pone dinanzi agli occhi, l'effetto dell'essenza sarebbe nullo ed - anzi - dannoso, causandogli un danno psionico Alto.

Per chiarezza: il primo effetto è una semplice invisibilità. Il secondo è la possibilità di "collaborare" per un singolo turno (turno che inizierà col vostro post - in cui agirete già come se foste insieme al vostro compagno scelto - e finirà col mio successivo post da QM (nel mentre, il vostro turno che avrete abbandonato semplicemente andrà avanti senza di voi, come se voi non aveste agito affatto). Il terzo effetto è la possibilità di avere chiarimenti su una circostanza specifica degli eventi che state vedendo. Non potrete ovviamente farmi la domanda "Chi è Irwing?" o cose così, perché non vale - pena un danno Alto. Però potrete chiedermi chiarimenti specifici su qualche circostanza e, in merito ad essi, io sarò assolutamente riservato, dandovi la risposta via mp. Deciderete voi, poi, se condividere la risposta con tutti o meno.
Detto questo, passo alle singole indicazioni.

Fanie. Appari al lato della chiesetta, nella quale puoi entrare da un ingresso laterale che scopri soltanto tu. Ascolti tutta la scena e, di fatto, vedi tutto. Eppure, non puoi salvare sia la guardia, che i due bambini all'interno. Quindi decidi cosa fare. Hai due slot azione, come un normale duello. La città è evidentemente Gefahrdorf, ovvero il villaggio in cui sono ambientate le prime due quest di Winterraise. Non ti darò altri indizi sugli eventi, però. Sappi solo che, come per tutti quanti, di indizi e riferimenti ce ne sono a iosa. Non agire autoconclusivamente: come fossi in un normale duello, agisci usando i tuoi slot senza essere autoconclusiva. Se hai bisogno di informazioni varie, dimmi in confronto.

Aang. Sei dinanzi alla magione. Un uomo sembra di guardia, o comunque sulla porta. Qualcuno ti "salva" dall'essere scoperto; non sai chi sia, benché non sia difficile intuirlo. Tu proseguirai in confronto, accennandomi come hai intenzione di comportarti. Io ti dirò cosa accade, fino ad un certo punto. Le indicazioni su dove tu sia e cosa stia accadendo, anche a te, sono facilmente intuibili dagli indizi presenti nei riassunti. Quindi puoi, anche tu, trarre già conclusioni plausibili. Puoi anche dialogare col tizio, benché non avete molto tempo.

Lothar. Ci avevi preso, sei proprio a Lithien (non era difficile). Per la precisione, sei nella Lithien del passato, quando non era ancora stata devastata dal morbo. Comunque, la situazione è chiara. Sei ad un funerale, ma non sai di chi. Non sai nemmeno perché sia così sontuoso e perché ci sia praticamente tutta la Lithien che conta. Dalla tua posizione, non puoi capire nient'altro che quel poco che hai visto. Le campane suonano a morto e c'è una folla oceanica tra te e la bara. Anzi, manco la vedi la bara - manco sai se è una o più bare. Però, vedi una scena curiosa: un uomo si allontana rapidamente e tre tizi lo seguono, con intenzioni tutt'altro che buone. Qui, decidi tu. Nel tuo post potrai o trovare un modo per guadagnare la scalinata laterale (che ti può far vedere qualcosa in più), oppure seguire il gruppo dietro al vicolo. Una scelta esclude l'altra: se seguirai gli uomini dietro al vicolo, non potrai più tornare al funerale. Se rimarrai al funerale, perderai di vista i tizi dietro al vicolo. Comunicami in confronto la tua scelta e ti dico cosa scrivere nel post.

Ainwen. Hai la possibilità di andare a sud, dove ci sono le celle, o a Nord, da dove viene il canto. Le celle le ho descritte per bene; a nord, invece, non vedi cosa ci sia. In confronto dovresti dirmi almeno dove ti dirigi. Va da se che se vai verso le celle, la guardia ti vedrà e - verosimilmente - darà l'allarme. Decidi come comportarti, nel caso. Se vai a nord, invece, ti dirò io cosa vedi e ti comporterai di conseguenza.

Per domande o altre perplessità, ci sentiamo nel topic di confronto.
Per il resto avete fino a giovedì 22 maggio, ore 23.59 per rispondere a questo turno.
Turni liberi.

 
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Fanie Elberim
view post Posted on 20/5/2014, 00:56





Winterreise ~ Die Nebensonnen


Quel paese mi ricordava casa. Non aveva un aspetto familiare, si trattava pur sempre di un agglomerato estremamente rurale e silenzioso rispetto alle foresto dove ero nata, però potevo sentire la medesima aria spirare tra le spighe di grano. Il sole, caldo ed alto nel cielo, fece sbocciare qualche fiorellino di iris tra le ciocche dei miei capelli che, subito, cadde a terra decorando la spoglia strada che stavo percorrendo.
Carezzai, in quell'istante, il grano quasi maturo mentre mi avvicinavo tranquillamente alla piccola chiesa che mi era apparsa davanti dopo aver superato la porta: si trattava di una costruzione modesta, un luogo di culto dove svolgere le basilari funzioni religiose, adatto a contadini e lavoratori privi dell'ambizione - e della voglia - di costruire un monumento di maggiore pretenziosità. Decisi di concedermi qualche secondo per ammirare un paesaggio che il tempo e la storia avevano cancellato, dimenticato. I miei occhi assistevano forse per l'ultima volta a ciò che era stato Gefahrdorf e le sue silenziose anime. Un singulto di tristezza mi avvinghiò l'anima in quei brevissimi istanti di pace, dopo tanto combattere, perchè iniziavo a capire - seppure a stento - ciò che poteva tormentare Lucian ed Irwing. Una simile perdita io, forse, non sarei riuscita a sopportarla.

[ ... ]

A portata d'orecchio si trovavano due uomini dall'aria tutt'altro che amichevole, intenti a piantonare la scalinata d'ingresso dell'edificio, con lo sguardo rivolta alla piazza di quel silenzioso paese. Sembravano terribilmente annoiati dal doversene restare lì impalati, quasi avessero desiderio di menare le mani da un momento all'altro. La calura, il silenzio e quei brevi aliti di vento che sferzavano l'aria scendendo dai monti, erano gli unici argomenti di cui un uomo annoiato poteva occuparsi. Ma non quei due. Mi avvicinai lateralmente, costeggiando la fiancata della chiesa, sino ad arrivare in una zona d'ombra poco dietro la scala, rimanendo a fissarli in silenzio, curiosa.
Sapevo che si trattava di una visione, di un qualcosa già avvenuto, che fosse un ricordo o anche solo una storiella inventata di Irwing per farci conoscere la sua verità, eppure tutto era così reale che persino con quella consapevolezza mi sentivo a disagio. Rimasi lì, immobile, qualche minuto a interiorizzare tutti i loro discorsi, molti dei quali per me avevano poco senso o non ne avevano affatto. L'unica cosa che mi era chiara, ovviamente, era che stessi vivendo un pezzo del passato remoto di Irwing o dei suoi ricordi, perché di Lithien parlavano al pari di un luogo ancora vivo e vegeto, non di una città spettrale e corrotta. Sospirai debolmente, immaginando quale avesse potuto mai essere il mio ruolo in quella specie di colossale déjà vu che stavo vivendo.
Mi era stato concesso il privilegio di aprire uno squarcio nel velo tra spazio e tempo, un qualcosa che raramente viene concesso ai comuni mortali, e quel "dono" mi era stato fatto per comprendere appieno il perchè di tutto ciò che era successo, dal principio, come se a tutta la storia fossero saltati dei pezzi e spettasse a noi ricomporli, come tasselli di un grande e complicato puzzle.
Il signore di Lithien depresso per la morte della madre, fratello e sorella in visita alla tomba di quest'ultima in un villaggio sperduto, qualcosa non mi quadrava appieno. Forse era proprio a questo che voleva alludere Ravelon quando ci aveva detto che dovevamo scoprire la verità sugli eventi, su di lui. Dovevo saperne di più, ma era anche palese che tutto ciò che era in mio possesso per persuaderli a lasciarmi parlare con i bambini era la mia appartenenza alla Schiera del Drago... che, se avevo fatto bene i calcoli, sarebbe stata fondata solamente vent'anni più tardi.
E mentre tentennavo tra questi pensieri, piuttosto incerta su cosa fare, un evento del fato scelse al mio posto.

Fu un istante, una frazione di secondo, ed un dardo piantò Hitch contro la parete della struttura spezzando la sua frase a metà.
Portai la mano alla spada ed imbracciai lo scudo il più rapidamente possibile, ma un secondo aggressore si era già portato contro la guardia sopravvissuta buttandola al suolo. Mi resi conto solo in quel momento che, dalla mia posizione, non avrei potuto neanche lontanamente pensare di salvare Jess e proteggere i due ragazzi dentro la chiesa. Nonostante l'ovvio fatto che fosse tutto un qualcosa di già scritto dove io, come una brava attrice, recitavo al pari di una comparsa, non potevo assolutamente lasciare quelle due anime innocenti in balia di chissà quale mostro.

Con un calcio sfondai la piccola porta laterale che dava su una sagrestia spoglia e umile, per sbucare subito dopo nella navata principale.
Scudo e spada in posizione di guardia intercettai i due malviventi facendo un discreto baccano dentro la mia robusta corazza.
« Non vi azzardate a toccarli! » tuonai dentro la chiesa. « Ragazzi tenetevi lontani dallo scontro penserò io a proteggervi! »
Avevo timore che la paura si impossessasse di loro facendoli scappare via, dritti nelle grinfie di chiunque fosse quella gente. Avevo una mezza idea su quali individui potessero avere interesse nel rapire due giovani ereditieri, e non si trattava solo di denaro, ma prima di pormi qualsiasi domanda dovevo necessariamente metterli al sicuro. Alzai la spada verso i due marrani mentre una nube grigia oscurava rapidamente il sole. Due fulmini blu elettrico si sprigionarono con un possente fragore dal cielo, dirigendosi all'ingresso della chiesa nel tentativo di carbonizzare i due assassini.

Uno di quei due mi serviva vivo. Se volevo sapere che diavolo era successo in quel tempo non avrei potuto combattere a testa bassa ogni nemico che mi si parava davanti, per quanto il mio spirito ed il mio cuore mi dicessero di farlo. Dovevo mettermi nell'ordine d'idee che qualsiasi cosa stesse succedendo non era reale, ma il frutto di una visione, di una storia già scritta, e ciò che stavo facendo non l'avrebbe comunque cambiata. Ero solo una piccola interferenza, una macchia d'inchiostro sbaffata sul canovaccio di Irwing. Null'altro che una misera spettatrice.

Scattai in avanti, arrivando vicino ad uno dei due, prima di puntare i piedi provando un affondo tra le pieghe del collo di quella bizzarra corazza. Senza soluzione di continuità cercai anche di rifilargli un colpo di scudo in pieno petto, ad apertura, sperando che fosse sufficiente a buttarlo a terra e spezzargli il fiato. Non ero certa di chi stessi affrontando, ma di sicuro non erano briganti da quattro soldi vista la mira eccellente che avevano dimostrato e la rapidità d'azione. No, dovevano essere un qualche gruppo armato e specializzato in ciò che facevano, gente importante, che aveva avuto l'ardire di prendersela con la nobiltà di Lithien. Per arrivare a tanto dovevano essere o sciocchi... o estremamente pericolosi. E, nel caso fossero stati entrambe le cose, la situazione si sarebbe messa molto male per me.
A quel punto non mi restava che provare a mettere fuori gioco il secondo brigante senza ucciderlo: mi girai di scatto dopo aver dato il colpo di scudo al primo cercando di colpire, con un calcio frontale, il ginocchio dell'altro. Immaginavo che ritrovarsi uno sperone d'acciaio dentro la rotula avrebbe potuto gravare in maniera importante sulla sua mobilità... e sulla sua parlantina.

« Loro sono sotto la mia protezione, assassini! »

Magari ci fossi stata, davvero, a quel tempo. Magari le cose sarebbero state diverse per tutti quanti.


Ci sono storie che sono fatte per essere scritte e tramandate, altre che vivono solamente nei ricordi di chi le ha vissute, altre ancora sono semplicemente dimenticate, come vecchi ricordi spiacevoli mondati dal tempo.
E poi ci sono storie che non voglio essere dimenticate e, per quanto le si allontani, torneranno sempre a tormentare i nostri sogni.



Riassunto e Note.


Riassuntino_zps02cf0e98
CS forma umana: 2 Robustezza 2 Tenacia 1 Tattica
CS forma driade 2 Agilità 2 Prontezza 1 Intuito
Basso - 5% | Medio - 10% | Alto - 20% | Critico - 40%


Classe: Sciamana
Razza: Driade (Avatar Angelico)
Talento: Guarigione III

Stato Fisico: Illesa.
Stato Psicologico: Illesa.
Stato Emotivo: Decisa.
Energia: 100% - 10& (Medio) - 5% (Basso) = 85%

Equipaggiamenti:
~ Heater-shaped Shield. Scudo con capo a punta composto di legno e metallo. [Impugnato]
~ Chivalry Sword. "Le tre forme del Drago Nero" Spada lunga da fanteria (Artefatto)[Impugnata]
~ Elven Spear. Lancia elfica ad una mano [Riposta]
~ Claws. Guanti con unghie taglienti - Nekote - [Indossati]
~ Aicheamhail. Corazza di fattura elfica, pesante, completa. (artefatto)[Indossata]

Passive in uso:
~ Heritage. Passiva di timore reverenziale da avatar angelico. Effetto psion passivo.
~ Attitude. Passive del talento di guarigione I e II, ammontare delle cure uguale al consumo speso per castarle e possibilità di curare danni fisici o psionici a scelta al momento del lancio di incantesimi curativi.
~ Vraal. La pantera di Fanie a cui è legata la sua vita. Passiva di immortalità del talento guarigione III
~ La via del Drago Nero. Passiva di immunità alla fatica fisica dovuta a sforzi eccessivi/prolungati e non sviene sotto il 10% di energie quando una delle tre forme del Drago Nero è attiva.
~ Memento Vitae. Auspex passivo di individuazione forme di vita.

Attive in uso:
» ~ Kewo'l Rumu, Lightning through the Soul.
Sangue e acciaio sono strumenti di inimmaginabile potenza, se posti nelle mani delle persone giuste. Eppure Fanie non si è lasciata corrompere dalla semplicità del potere materiale ed è rimasta essenzialmente collegata con la sua parte naturale. I poteri taumaturgici e la grande maestria nel modellare le energie positive non sono l'unica cosa che la magia naturale le ha permesso di sviluppare, anzi, sono solo la punta appena visibile di ciò che scorre nel suo sangue misto. Già in grado di manipolare agevolmente tutti gli elementi della natura, Fanie ha raggiunto un livello di consapevolezza tale da fondere assieme il potere divino e quello naturale, governando forse la più potente energia del creato: i fulmini.
Portando le mani al cielo, o anche una spada o una qualsiasi arma che faccia da catalizzatore per le sue energie, Fanie è in grado di scatenare una vera e propria tempesta di fulmini sui suoi nemici. Il tutto si svolgerà nel giro di pochi istanti, mentre dense nuvole blu scuro sovrasteranno il campo di battaglia, lasciando che i fulmini cadano seguendo la volontà della loro evocatrice.
Ma non è solo per distruggere che il cielo può essere modellato: Fanie può chiedere al sole di rivelarsi o alle nuvole di oscurare la luce, alle stelle di brillare in cielo o alla pioggia leggera di rinvigorire gli animi stanchi senza spendere alcuna energia o risorsa, ma solo concentrando la sua mente alla volta celeste. [Pergamena dello sciamano: Dominio dei cieli. Varibile Medio offensiva ad area e consumo Nullo in grado di creare effetti scenici nel cielo.]

» ~ Opening Impact.
Fanie è una guaritrice, una driade, un'idea ma, prima di tutto, è un soldato di fanteria pesante. Inutile girare a lungo attorno a ciò che deve fare un combattente delle prime linee: sfondare il nemico ad ogni costo e avanzare. Questo spinge i soldati non solo ad apprendere tecniche di spada sopraffine e capacità di parata notevoli, ma li spinge anche a sviluppare doti tattiche non indifferenti. Per vincere contro un nemico molto più forte, difatti, non serve sempre e solo la mera forza ma anche astuzia ed intelligenza. Fanie, avendo combattuto a lungo in fanteria, ha sviluppato una naturale inclinazione a far perdere l'equilibrio ai propri avversari mediate un colpo contundente ben piazzato. Che sia portato con una gamba, un braccio, o anche con un colpo di scudo, questo attacco serve per minare l'equilibrio del nemico e farlo cadere a terra, dove subirà un danno da impatto di modeste proporzioni. [Personale fisica, consumo Basso]

Note:
Eccomi qui! Fanie appare nel villaggio e la prima parte del post è un misto di ragionamenti sul dove si trova e sul perchè è stata mandata lì, penso sia tutto abbastanza chiaro. Quando è obbligata a scegliere, per forza di cose, sceglie i ragazzi ed irrompe da una porta laterale dentro la chiesa, cercando di proteggere i ragazzi intercettando gli aggressori e sbarrandogli la strada. A questo punto usa la variabile del dominio dei cieli per far abbattere due fulmini sull'ingresso dove si trovano i manigoldi (un Basso a testa) cercando di fulminarli.
Poi scatta avanti e con un semplice colpo fisico prova a farsi strada con un affondo nella gola di uno dei due, colpendolo successivamente con la tecnica personale (Opening Impact) a Basso, cercando di stordirlo/buttarlo a terra.
Infine si gira verso il secondo e con un secondo ed ultimo colpo fisico - un calcio frontale nella rotula - prova a renderlo meno combattivo, senza ucciderlo per poterlo eventualmente interrogare.
Spero che il post piaccia!

 
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view post Posted on 20/5/2014, 18:20

Lamer
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Attraversata la porta tutto cambio. Una luce intensa investì la faccia del nano e un ammasso di voci percosse i suoi timpani come un musicista fa con un tamburo. Il vento era quasi assente e la schiera di persone che si ritrovò davanti sembrava un mare infinito e dalla sua posizione non riusciva a capire cosa stesse succedendo, ma guardando le vette che si stagliavano sopra la città e gli edifici che affioravano come isole dall'oceano che formava la folla riuscì in poco tempo a capire dove si trovava; Lithien.

La città sembrava ergersi in tutta la sua antica magnificenza davanti agli occhi di Lhotar che dal suo punto di vista poteva vedere soltanto gli edifici più alti e sontuosi di quella che un tempo era detta "la bella". Una fragranza di vaniglia coprì l'odore della pipa che ancora fumava e un suono di una pesante campana rintoccò per tutta la zona richiamando ancora più persone.

In quel luogo non ancora corrotto dal morbo si stava svolgendo un funerale. Tutte le persone presenti sembravano portare doni alla salma che da qualche parte, più avanti, era poggiata vicino al tempio che svettava sopra la folla. Il nano a quel punto si riprese abbastanza dallo shock e si ricordò cosa era successo. Irwing e Shakan che sparivano, lui e i suoi compagni che imboccavano varie porte e infine la luce che lo aveva investito appena ne aveva attraversato l'entrata .

Un sorriso si dipinse sulle labbra secche del Doppielame che abbassò lo sguardo verso la sua pipa. Gli effetti di quel malefico strumento non erano ancora svaniti e il ritornare nel luogo dove l'aveva usata probabilmente non faceva altro che ricordare al suo fisico e alla sua mente che non era ancora guarito del tutto.

A quel punto guardò verso il cielo. Il tramonto si apprestava a lasciare spazio alla penombra della sera e a dipingere di rosso le rare nuvole che si stagliavano in cielo dipingendo un paesaggio mozzafiato. Un altro cupo rintocco della campana però riportò Lhotar nel mondo reale, o in qualunque mondo si trovasse.

Il nano iniziò a pensare a che punto della sua vita lo avesse spedito il conte nero in cerca della domanda più ovvia e più complicata che gli era stata mai fatta. In quel momento cercò di concentrarsi sull'unica certezza che aveva, ovvero il funerale e a cercare dei collegamenti tra quel fatto e la nemesi di Shakan.

Guardando la gente che gli toglieva sempre più spazio, notando che sia nobili che contadini si erano radunati in quel luogo a piangere la perdita del defunto e ciò significava che la persona passata a miglior vita doveva essere o un nobile o qualcuno con un rango ancora più alto. Fondandosi su ciò Lhotar iniziò a estrarre lentamente frammenti di discorsi sentiti la notte prima dell'assalto a Lithien.

Si ricordava distintamente le parole di un veterano che aveva raccontato, aggiungendo svariate sfumature personali, che tempo prima, quando la città non era ancora stata tramutata in un ritrovo per infetti, un funerale aveva sconvolto la città segnando l'avvento della setta di Lucian e facendo comparire nella storia di quel posto il nome di Irwing Ravelon. La morte di un reggente aveva scatenato per vie indirette l'avvento del conte nero al potere e forse il funerale era il suo.

In quel ragionamento tutto sembrava quadrare; Irwing e Shakan a quel tempo erano entrambi in città e forse con un pò di fortuna avrebbe trovato uno dei due, ma qualcosa nel suo campo visivo gli fece smorzare tutti i ragionamenti facendolo concentrare su quella particolare scena.

Era stato prima di tutto la voce di uno dei due ad attirarlo, ma non potevano non notarsi due personaggi opposti messi così vicino. Il primo che aveva parlato era un uomo robusto mentre il secondo che si trovava al suo fianco era più smilzo e con una cicatrice che gli correva sull'occhio destro. I due sembravano cercare una persona e a quanto stavano dicendo l'avevano trovata.

All'iniziò Lhotar ascoltò la conversazione solo per vedere se le sue teorie erano corrette, ma poco dopo i due si mossero con intenzioni tutt'altro che piacevoli. Nel loro discorso la parola uccidere era risuonata fin troppo chiara e cristallina e lui ne era stato attratto come una zanzara da una fonte luminosa.

A quel punto il nano si mobilitò seguendo i due tizzi che si addentravano in un vicolo allontanandosi dal tempio. Fu abbastanza difficile farsi largo tra la folla, ma alla fine uscì dal mare di persone che lo avevano circondato e prima di tornare a camminare verso i due individui pensò a come sarebbe diventata quella città molti anni più tardi.

I due individui si erano fermati qualche decina di metri più avanti insieme a un terzo personaggio che non era riuscito a vedere nella folla di gente. I tre stavano tenendo fermo un tizio incappucciato e lo smilzo che aveva notato prima teneva in mano una spada corta poggiata sul collo dello sconosciuto.

A quel punto Lhotar si ritrasse quanto bastava per non farsi vedere e iniziò a pensare cosa fare. Lui era in un ricordo, quindi tutto ciò che succedeva non poteva modificare la realtà, ma lasciare morire un innocente gli sembrava comunque una cosa disdicevole. A quel punto estrasse l'arco e incoccò la freccia, ma qualcosa lo fermò. Nessuno gli dava la certezza che l'incappucciato fosse il buono in quel quadro e ciò poteva ribaltare i suoi ragionamenti.

Il nano a quel punto cercò una scappatoia da quel dilemma mortale e solo un idea alquanto bizzarra uscì dalla sua mente. La pipa stava ancora fumando nella sua mano, quello stesso oggetto che lo aveva reso quasi un ameba neanche un giorno prima gli serviva un'altra volta, ma usarla nel modo giusto poteva forse scogliere la situazione che aveva davanti senza danneggiarlo.
A quel punto aspirò il tabacco speziato che aveva messo dentro il suo artefatto e fece uscire la sostanza grigiastra che velocemente si distese in modo equo tra lui e gli aggressori posandosi sul lastricato bianco e creando un atmosfera mistica. Poi un altro fiato e il contenuto uscito dalla sua bocca si distese sul suo corpo assumendo la forma di un'armatura eterea.

La combinazione non era certo una delle migliori, ma sperava che il fumo sulla piccola strada potesse rallentare l'azione dei tre e che la sostanza volatile presente sul suo corpo potesse intimorire i suoi avversari. Solo dopo qualche attimo usato per spegnere la pipa Lhotar uscì allo scoperto con la freccia puntata verso gli aggressori. Sperava in qualche modo di sorprenderli e di stupirli, minacciandoli con una freccia dalla distanza modesta che gli distanziava e solo a quel punto la sua voce si udì per la prima volta in quel ricordo:

"Ditemi chi siete, chi è l'uomo incappucciato e vi assicuro che nessuno si ritroverà questa freccia conficcata nel suo corpo, o, in caso contrario, preparativi a conoscere il vero dolore."

La freccia era stata riposizionata puntando verso il tizio con la spada in mano che in quel momento era il più pericoloso, ma ovviamente la freccia sarebbe scatta contro chiunque si fosse mosso troppo per i suoi gusti. Lui non avrebbe fatto male a nessuno in caso i quattro avessero risposto, alla fine lui voleva solo informazioni, ma se qualcosa fosse andato storto non avrebbe esitato a colpire, non avrebbe avuto rimorso ad uccidere persone probabilmente già morte e non avrebbe avuto paura a fare ciò che andava fatto perchè in quel momento l'unica cosa importante era avere risposte e una in particolare lo avrebbe fatto tornare al mondo reale.



Corpo :-sano
Tot: (0\16)
Mente : - sana
Tot (0\16)
Energia rimanente: 100%

CS : Maestria nell'uso delle armi= 1
Costi: Basso = 5% | Medio = 10% | Alto = 20% | Critico = 40%

Armi:
spade (x2), arco e frecce (x15)

Passive : il possessore del talento ha sviluppato una capacità innata di sfruttare ogni oggetto riesca ad impugnare come una letale arma. Non solo, quindi, l'arma cui è legato e con la quale ha vissuto gran parte della propria vita, o della propria esperienza. Qualunque mezzo, per strano, informe o artificioso che sia, potrà asservire allo scopo designato di ledere il proprio nemico, sempre che la logica e la razionalità lo consentano. Pertanto, potrà sfruttare bottiglie, funi, cinte, sedie, semplici assi di legno o pezzi di metallo, come armi letali che, nelle proprie mani, taglieranno il nemico al pari di una lama affilata o di una poderosa ascia.
Raziale nanica: La razza dei nani gode da sempre di una particolare predisposizione alla vita dura, cosa che li ha resi nei secoli famosi per la loro tenacia senza pari; abituati a vivere nelle condizioni più abiette (sotto terra, dove la roccia viva non offre occasione di coltivare o allevare grandi quantità di vegetali e animali), i nani sono col tempo divenuti meno sensibili delle altre razze alla fatica fisica. Ciò si traduce, all'atto pratico, in una resistenza alla fame, alla sete, all'affaticamento del corpo dovuto a lunghi viaggi o combattimenti estenuanti. In termini di gioco un nano non sentirà i morsi della fame, non avrà bisogno di bere se non quando gli aggrada e non risentirà della fatica durante il combattimento, anche qualora questo dovesse protrarsi a lungo; ciononostante sverrà al 10% delle energie come qualsiasi altro.



Attive:

Nulla; aspirando dalla propria Pipa, il possessore dell'artefatto è in grado di creare oggetti e figure di qualsiasi dimensione - sempre nei limiti del buon senso - e forma. Tali manifestazioni saranno plasmati dal fumo, ma non potranno essere utilizzati per attaccare o per difendersi, bensì il loro utilizzo sarà relativo ad un uso scenico o narrativo.


Attive dal turno precedente:-



Riassunto:
Mi sembra inutile descrivere ciò che non centra con la parte tecnica. Comunque sia il mio pg casta due volte la nulla sopracitata cercando di intimorire e rallentare i suoi avversari creando uno strato di fumo sul pavimento stradale e un armatura eterea di fumo sul suo corpo, ma ovviamente essendo una nulla non dovranno difendersi ne subiranno malie di alcun tipo, sarà solo per distrarli (o almeno ci spero), infine tendo sull'arco un freccia preparandomi a scoccarla in caso di necessità.

Note: ho voluto optare per usare due volte la nulla perchè Lhotar non ha la minima idea di chi sia il buono (problema esistenziale), di conseguenza non sa chi attaccare, e quindi nell'indecisione spera che la sua entrata scenica e la sua domanda gli chiariscano le idee ( non ho neanche pscioniche che mi permettano di scoprire chi sia il buono, quindi provo così XD).

 
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PARACCO TRAVESTITO ALOGENO
view post Posted on 22/5/2014, 22:56




Il pomolo della porta era freddo quando le sue dita vi si strinsero attorno.
Tuttavia non ebbe il tempo nemmeno per un sospiro: si trovò sprofondare in un ricordo come in una pozza di acqua gelata, e seppe di essere vero in quella finzione tanto quanto sapeva di essere in grado di respirare. Di fronte a lui, una magione avvolta nell'oscurità sembrava essere disabitata da tempo. La luna la illuminava come se fosse giorno, donando riflessi perlacei al granturco che oscillava lentamente nella brezza notturna. Aang era teso: si aspettava problemi da un momento all'altro, tuttavia quel luogo così tranquillo accese nel suo cuore la nostalgia per la casa che non aveva mai avuto. Gli steli scricchiolarono sotto il suo peso quando provò a scostarli, ma si fermò subito dopo: un uomo era uscito dalla casa. Lo sconosciuto si accese quella che sembrava una sigaretta rudimentale, rimanendo per un attimo a guardare l'orizzonte, come se pensieri pressanti richiedessero la sua totale attenzione. Tuttavia non ci mise molto a notare che c'era qualcun altro oltre lui: mosse la testa di lato, come per vedere qualcosa che non era riuscito a cogliere nell'oscurità.

Spostati, dannazione!

Era coperto dagli steli di granturco, ma la luna era piena quella sera e non sarebbe sfuggito allo sguardo di quell'uomo a lungo. Pensò a cosa fare, ma fu qualcos'altro di non calcolato ad intervenire al posto suo. Una mano gli artigliò il mantello e lo trascinò verso il basso: l'urto con il terreno lo fece rimanere senza fiato e momentaneamente disorientato. Quando si voltò di scatto per vedere in volto il proprio avversario, si ritrovò davanti un uomo accucciato, che guardava con attenzione in direzione della magione. Aveva lunghi capelli scuri e occhiaie marcate, come se non dormisse da giorni. Gli parlò a bassa voce, approfittando del lieve sussurro del vento.

« Chi sei, tu? » chiese, con voce preoccupata. « Sei del Consiglio? Oppure un uomo del tempio? »

Aang non rispose, rimanendo in uno stoico silenzio e sperando che lo sconosciuto scambiasse il suo mutismo per prudenza.
Per sua fortuna dovette attendere solo pochi secondi.

« Ad ogni modo, se sei qui ci sarà un motivo - e me lo dirai dopo » aggiunse, facendo sospirare Aang di sollievo « aiutami a stordire quel tipo »
« Uno di noi lo distrae, l'altro lo tramortisce »
« Tutto chiaro? »

Aang annuì, sfuggendo alla sua stretta e sparendo rapidamente tra il granturco. Camminò piegato per non farsi vedere, sperando che lo sconosciuto fosse tornato ai suoi pensieri. Tuttavia il monaco pensò bene di raggiungerlo lateralmente, sfruttando il fatto che l'altro avesse un cappuccio calcato sopra il capo. Quando fu alla sua portata, Aang prese un profondo sospiro, raccogliendo una piccola parte delle sue energie e mandandole contro il suo bersaglio. Il fumatore si guardò attorno, spaesato da ciò che la sua mente gli suggeriva in quel momento: il monaco rimase per un attimo in tensione quando lo vide aprire la bocca per urlare, ma il suo alleato fu rapido a reagire. Un raggio luminoso tagliò l'oscurità, colpendo l'incappucciato in pieno e mandandolo a terra disteso.

« Ben fatto. » lo lodò, tornando poi a guardare la magione.
Tuttavia la sua curiosità non era ancora sazia: « Poco fa non mi hai detto per conto di chi agisci. »

Ad Aang non sembrò sospettoso, ma semplicemente voleva sapere chi sarebbe stato il suo alleato in quell'incursione. Aang pensò per un paio di secondi alla bugia da dire, ma poi ripensò all'illusione creata da Mior, e le parole uscirono dalla sua bocca con sicurezza.

« Agisco per conto del Consiglio. Voglio cercare di capire cosa sta accadendo qui dentro. »

Lo sconosciuto sembrò contento di quelle parole, e rispose con un mezzo sorriso.

« Finalmente si sono decisi ad indagare! »

Aang annuì con foga, facendogli capire che anche lui la pensava a quel modo. Tuttavia il silenzio cadde di nuovo pesantemente tra di loro: la magione al suo interno era buia, ma la luce della luna era più che bastevole per mostrare un corridoio che si inoltrava nel piano terra, affiancato da una scala che portava alla parte superiore dell'edificio. I due si guardarono come per un pensiero comune, e lo sconosciuto fece un cenno con la mano.

Decidi tu - voleva dire quel gesto, ed Aang non se lo fece ripetere due volte. Imboccò le scale con sicurezza, deciso a scoprire i misteri nascosti in quel luogo.
E chissà, forse avrebbe trovato davvero degli indizi sulla vera identità di Irving.



Diario del Monaco
Comprensione





Cs totali: 5 (2 in Tenacia; 2 in Costituzione; 1 in Intuito)
Basso 5% ~ Medio 10% ~ Alto 20% ~ Critico 40% ~ Mortale 80%

Energia attuale: 95%
Consumi utilizzati: Basso (5%)

Condizioni fisiche: Illeso.
Condizioni mentali: Illeso.

Bastone del Manipolatore: mano sinistra.
Balestra: 15/15 - assicurata alla cinta.



Passive in uso:

CITAZIONE
Riassunto Passive
Studio: Passiva razziale umana, non sviene sotto il 10% di energie. + Passiva personale, resistenza alle condizioni ambientali e alla fatica. + Passiva personale, difese a 360° uguali al consumo + Amuleto dell'Auspex, percepisce le auree attorno a lui. + Discendenza arcana, guadagna 2 CS in Intuito ogni volta che un avversario usa una tecnica magica. + Prime due passive dominio Guaritore, guarigioni pari al consumo e possibilità di curare corpo e mente.
L'Immortale indica la via: Sopportazione di due mortali psionici + Immunità al dolore psionico.
Le braccia della mamma: Difese inconsce.
Il bacio della mamma: Guadagna 2 CS in Prudenza ogni volta che usa una tecnica di cura.

Attive in uso:

CITAZIONE
Manipolazione Qi Discipline dei Maestri
Una volta superati tutti gli esami e le prove fisiche, ogni Esperto viene insignito del titolo di Manipolatore e gli viene consegnato il suo bastone, simbolo del superamento dell'addestramento e del suo rango all'interno del Monastero. A questo punto, ogni manipolatore ha davanti a sè due strade da imboccare: quella del monaco errante, girovagando per Asgradel per affinare e migliorare le proprie capacità con l'ausilio di esperienze impossibili da ottenere al monastero, e quella di provare l'ingresso nei Qi Jia, i veri Maestri di Sōngshān e gli unici che possano insegnare agli allievi. Inutile aggiungere che sono pochissimi coloro che possono fregiarsi di questo titolo: in genere da una classe di una decina di Esperti solo uno o due elementi avrà le doti per continuare la sua strada come Qi Jia mentre gli altri - perchè così hanno scelto o perchè non ne hanno le capacità - scelgono di diventare monaci erranti. Lo status di Maestro non deve però trarre in inganno: ognuno degli insegnanti continua il suo percorso di miglioramento personale, discostandosi ancora di più l'uno dall'altro e diventando vere e proprie fortezze isolate nel cammino del Flux. Solo una disciplina li mette tutti in comune: la Manipolazione Qi. Essa potrebbe essere vista da un profano come la creazione di nuovo Flux in un punto, causandone la saturazione e l'esplosione, ma la realtà è molto più complessa: il monaco usa la sua manipolazione per attirare tutto il Flux vicino in un dato luogo fino a causarne il punto di rottura e la detonazione. Ogni Qi Jia con un minimo di esperienza è in grado di farlo: gli basta spendere un consumo Variabile di energie per causare danni da ustione a tutto ciò che viene colpito dall'esplosione. Ma la manipolazione Qi non si ferma qui: dopotutto è l'arte padroneggiata da chi ha raggiunto il rango di Maestro. Con un consumo Basso, per esempio, si potrà ridurre l'esplosione ad una piccolissima area, ideale per spezzare la concentrazione del nemico e confonderlo; con un consumo Medio invece si potrà concentrare il Flux in una mano o in singolo dito, dirigendone l'onda d'urto verso il nemico per sbalzarlo indietro con violenza; infine, con un consumo Alto i più esperti tra i Maestri potranno concentrare il Flux in un unico punto, ad una minima quantità dal punto di deflagrazione: nella zona scelta si formerà una piccola sfera luminosa, che apparirà quasi innocua a chi ne ignora la potenza, cioè finchè il Qi Jia non deciderà di farla esplodere, con gravi conseguenze per il nemico.

[Pergamene Dominio delle esplosioni, Sordo, Lampo spirituale e Trappola Temporale.]

Azioni:

Aang giunge nel ricordo e si ritrova la situazione descritta nel post di Janz. Decide inizialmente di non rispondere al suo alleato, e per aiutarlo distrae l'uomo incappucciato scagliando Sordo. Dopodichè - dopo aver detto di essere lì per conto del Consiglio - i due scelgono di dividersi: Aang salirà le scale per il primo piano, mentre l'altro continuerà al piano terra.

Note:

Ecco il mio post in scivolata! XD

 
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view post Posted on 23/5/2014, 00:20
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Like a paper airplane


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Il buio, l’odore di chiuso e il rumore sommesso del pianto. Le ricordava il suo passato, i primi istanti dopo la Visione e il buio. Le sue lacrime che scorrevano tra le dita mentre attorno a lei c’erano solitudine e silenzio. Inspirò, sentendo l’umidità scivolarle dentro. Forse qualcuno avrebbe potuto rabbrividire, o avere paura, ma per lei era come tornare a casa. Un sorriso acido, mentre volgeva il capo da un lato e dall’altro. Il pianto era alla sua destra, un pianto di donna. Se la poteva quasi immaginare, dietro le sbarre, magari con le mani aggrappate disperatamente al ferro nel tentativo di ottenere un gesto di clemenza. I suoi occhi opachi, spalancati, leggevano in quel destino sconosciuto solamente la promessa di una morte sterile. Non le interessava quello che uomini del passato avevano legato. Lei voleva rimescolare, sciogliere, sapere.
Di scatto, come la bambola, volse il capo all’altro corridoio. I suoi passi scivolarono silenziosi, le falde del mantello a carezzarle le gambe. Poteva udire un canto, malinconico e solenne. Poteva sentire molte voci levarsi sebbene non ne distinguesse le parole. E infine la luce sorse davanti agli occhi di porcellana, abbacinandola per un attimo, facendole apparire ancora più maestoso lo spettacolo che le si parò davanti. Un rito, una cerimonia, qualcosa di proibito nelle profondità della terra. Quelli che stava cercando, ne fu certa. E lei a fissarli, a guardare dove agli altri era proibito.
Fissò quei corpi informi, senza nome, e la figura in rosso. Il volto di lei non mutò espressione, mentre cercava di dare un nome a quella scena e a quell’uomo che le pareva più importante degli altri. I suoi pensieri si accavallavano frenetici. Aveva poco tempo per salvare Shakan e scoprire l’identità del suo rapitore.
Una figura entrò nel suo campo visivo. Forse una guardia, forse un curioso. Avrebbe potuto combatterlo, c’erano pochi esseri umani che non avrebbe potuto costringere sulle ginocchia, ma non era quello il luogo. Era come se fossero in piedi sulle uova, dove solo un passo falso avrebbe rovinato tutto. L’atmosfera pareva quasi quella dei riti nelle terre del nord, quando la neve scendeva a coprire tutto quanto e dava agli uomini l’impressione di essere a un passo dagli dei. Di essere a un soffio dal farli fuggire di nuovo.
Estrasse il dono della Strega, senza nemmeno chiedersi se fosse la cosa migliore. Sapeva che il prezzo della sua avventatezza avrebbe potuto essere molto alto, lo pensò mentre lasciava scivolare il liquido sui polpastrelli. Eppure ugualmente gli scomparve davanti, come avrebbe potuto fare un sogno. Il suo mantello rotolò a terra, improvvisamente svuotato, e rimase solamente il nulla sospeso sopra la scena.
Scivolò verso di loro, ancora più anonima del solito, assaporando la sensazione di essere invisibile, di poterli fissare uno per uno, rendendoli vittime della propria curiosità. E intanto il loro canto la cullava, rendendo i suoi passi un poco più ritmici, facendole scivolare le dita a tempo sulla guancia di porcellana. Aveva iniziato a dondolare la testa, quando si accorse che le si stavano socchiudendo le labbra.
Che sciocchezza.

Cercò di trattenersi, ma percepì la sensazione terribile di non potersi fermare. Di essere nel corpo di un’altra, consapevole di essere controllata. Le labbra che si aprivano sempre di più, consentendole di sentire ogni piccolo muscolo contrarsi. La sua voce che scivolava lungo la gola, rompendo il silenzio a cui si era costretta. Rabbrividì, sentendosi improvvisamente raggelare. In mezzo a loro, una voce tra le voci, parte del tutto. Una molecola di niente. Non l’avrebbero notata, eppure la stavano dominando.
Lei, che aveva tanto odiato la massa, che era diventata un’emarginata nel fallimentare tentativo di sfuggire alla vita di quelli come loro, si trovava incuneata a forza tra due corpi. Sentiva l’odore di sudore sotto il mantello dell’uno, il tremito di eccitazione di quello dall’altro lato. Poteva quasi assaporare la loro aspettativa e se avesse allungato una mano avrebbe potuto prendere la loro tra le proprie. Avrebbero potuto intonare quel canto come una vera comunità.
Contrasse improvvisamente la mano, sentendo il desiderio delle dita di allungarsi. Fece forza con tutta se stessa. Il canto le era dentro, era il battito del suo cuore, il ritmo del suo respiro, il filo rosso che la legava ai presenti. Anche se la bambola si guardava disperatamente attorno cercando di memorizzarne le facce, sapeva che non sarebbe servito riconoscerli. Non se l’avessero scoperta. Non se erano solamente ombre prigioniere.
Qualcuno la spinse senza rendersene conto, facendola barcollare e interrompendo per qualche secondo la sua trance. Si mettevano in fila, scoprendo il braccio e tendendolo in avanti come dei burattini. Il loro sangue, il loro rito. Sentì un conato di vomito insieme alla consapevolezza che lei, vestita di bianco, straniera, sarebbe stata immediatamente individuata. Eppure ancora una volta le sue gambe si stavano muovendo, e il suo corpo si levava in piedi con sicurezza. Era certa di cosa sarebbe successo, tanto che non si stupì quando vide il suo braccio destro levarsi come quello di tutti gli altri.
No.
Era una sua impressione o aveva rallentato di un poco l’andatura? Si aggrappò al grido di disperazione che le suonava da dentro, da quella piccola bolla di consapevolezza che ancora le restava.
Ferma!
Il braccio si abbassò di scatto, come un congegno meccanico, ancora impossibile da piegare. Era solo un piccolo vantaggio, ma forse aveva imparato come fare. Dopo tutto si era sempre costretta ad agire, anche quando le era parso di non avere alcuna speranza. Anche quando attorno a lei tutti avevano decretato la sua fine. Ricordava il suono delle loro voci, aveva imparato a memorizzarlo e ad odiarlo, a ripetersi che non avevano ragione. Sedeva in quello stesso punto dell’anima, distante da tutto il resto, a cercare di maneggiare il bozzolo in cui era stata imprigionata.
NO.

Sbattè le palpebre. Le mani aggrappate alla bambola, improvvisamente libera. Per quanto? Non avrebbe saputo dirlo. Sentiva già le gambe tornare più pesanti, il desiderio di raggiungere gli altri oranti, quasi il bisogno di donare il proprio sangue. Avrebbe voluto chiamare aiuto, e invece continuava a ripetere quell’unica parola. No. No. No. Gli occhi, quelli liberi, scorsero l’unica salvezza che le restava. L’unica follia che avrebbe potuto tentare.
Valeva davvero la pena di riflettere ancora?
Si lanciò in avanti, verso i mantelli macchiati di sangue, come se ne andasse della sua vita. Affondò tra di essi, i gesti diventati maldestri a causa del richiamo del rito. Le gambe che cercavano di distendersi, la cantilena monotona nella testa, le mani che si opponevano agli ordini e le avvolgevano attorno un mantello abbastanza ampio da coprirla completamente. Si rialzò, e con un sospiro di sollievo abbandonò il controllo.
Si sentiva stanca, come dopo una lunga corsa, e invece stava semplicemente muovendosi verso il proprio destino. Il braccio teso in avanti, la testa china perché non si accorgessero della sua estraneità, la bambola nascosta sotto le falde brune. La volontà, non appena tutto fosse finito, di infilarsi nel corridoio che aveva scorto .
L’uomo rosso incombeva sopra di lei, con il suo viso mascherato e le domande che lo accompagnavano. Era importante, pensò, e irraggiungibile. Le donne in un angolo parevano un monito distante. Forse avrebbe dovuto muoversi a compassione anziché fissare lo sguardo sullo sconosciuto. Forse avrebbe dovuto aiutarle invece che cercare di nascondersi. Cercò di sorridere, ma il suo corpo fuori controllo glielo impedì. La malinconia che l’aveva invasa rimase prigioniera, come tutto quanto il resto, in attesa di scivolare fuori attraverso la pelle.




Perchance to Dream

Cs. 4.[Astuzia] 1.[Intuito]*
*Proviene da un Occhio
B.[4%] M.[8%] A.[16%] C.[32%]

Energia. 100%
Fisico. Illesa
Mente. Danni Medio da controllo

Armi. Coltello



.Passive.


Stratega. Capacità di riconoscere le illusioni di cui è vittima, difesa psionica passiva e immunità al dolore psionico
Bambola. Visione attraverso gli occhi della bambola e auspex delle anime; possibilità di cambiare l'aspetto esteriore della bambola ad ogni giocata
Collana elfica. Possibilità di utilizzare la bambola in combattimento [la bambola gode di 3 CS]
Passiva razziale umana. Non sviene al di sotto dell 10% delle energie*


.Attive.


Utilizzo l'attiva dell'ampolla che consente di diventare invisibile per un turno. [Ampolla o o ]

.Riassunto.



Scelgo di percorrere il corridoio a nord, di diventare invisibile e avvicinarmi al gruppo degli oranti. A questo punto il loro canto mi influenza ad unirmi a loro e non resisto. Solo quando il canto induce Awinen a compiere il sacrificio che la farebbe tornare visibile, la ragazza cerca di opporsi. Tutti i suoi tentativi sono vani fino all'ultimo, quando ritrova qualche secondo di consapevolezza. Lo usa per coprirsi con un mantello uguale a quello degli oranti, ritrovato poco distante da loro, e si accoda alla procesisone, pronta a donare il proprio sangue.
Lo scopo sarebbe di riunirsi al gruppo e raggiungere il corridoio che ha visto lateralmente. Nel frattempo lancia una bella occhiata al celebrante in rosso, tentando di scorgere qualche dettaglio significativo.

.Altro.



Come vorrei poter tirare intuizione xD E sorry per il ritardo ç_ç

 
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view post Posted on 23/5/2014, 16:38
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• Fanie •Gefahrdorf
Infanzia di Lucian Alastor


Tutto avvenne rapidamente.
I fulmini colpirono i due malcapitati. Il primo fu preso in pieno petto; parve sussultare, rimbalzando sul posto ed accasciandosi piano, reggendosi allo stipite della porta.
Si teneva la mano con il petto, quasi nel tentativo di capire se il suo cuore ci fosse ancora, insieme alla sua vita. L'altro, invece, scattò istintivamente di lato, prendendo il fulmine sul fianco.
Emise un verso leggero, un sottile grido effeminato. Alla fine, però, soltanto parte della sua corazza di cuoio si bruciò.

« Per tutti gli dei » aggiunse poi, perplesso « ...e tu chi cazzo saresti? »
Eppure, non si perse troppo in chiacchiere. Dopo l'iniziale stupore, caricò a testa bassa in direzione del bambino più piccolo.
Questo teneva gli occhi scuri, grandi, piantati in direzione dell'uomo. Tremavano, ricolmi di lacrime, mentre si nascondevano a stento dietro il grosso ciuffo di capelli castani che si adagiava sul capo, acconciato in un taglio a caschetto che riprendeva il suo stile pregiato. Indossava, invero, una giacca corta di tessuto nera, in tono con l'occasione funebre che andava a celebrare. Al suo fianco, invero, la sorella maggiore gli teneva una mano. Anch'ella era spaventata, ma pareva imporsi di mantenere il controllo. Indossava una gonna di raso scura, con una camicia bianca di pizzo ad addolcirne le forme già generose, per la sua età. Capelli biondi scivolavano lungo un viso magro, agghindati di un grosso fiocco scuro che svettava oltre la sua fronte, sul capo.
Tra le mani pallide e curate teneva la mano tremula del fratello, che ripiegava più volte nel suo palmo quasi a trarne e trarre conforto.

« Lucian, stai tranquillo » diceva, rivolto al bambino « vedrai che ce la caveremo »
Al piccolo parve non servire altro che il conforto della sorella. Stoicamente, non pianse: fissava la scena atterrito, ma silente.

Quando il guerriero giunse in prossimità dei due, lo scudo di Fanie si infranse contro il suo volto e lo stesso si sbilanciò, scivolando poco all'indietro.
Infine, crollò sul ginocchio colpito, finendo quasi di muso contro il pavimento.
Nel mentre, l'altro guerriero - quello colpito dal fulmine - si rialzava, riprendendosi lentamente dal colpo subito.
Afferrò in fretta la spada corta e fissò con furia i due ragazzini, spostando poi lo sguardo verso l'elfa, colpevole di averlo quasi fritto.
« Troie » ruggì, in direzione delle due fanciulle « sarà un piacere sentirvi urlare pietà! »
Eppure, non fece in tempo a fare un passo. Alle sue spalle fece capolino Jess.
Il mercenario aveva il volto coperto di sangue ed il coltello, sporco allo stesso modo, saldo in pugno. Gli occhi piangenti, rossi, tremuli, sembravano affrontare malamente il dolore per l'amico appena morto. Prese il guerriero alle spalle, afferrandogli la testa e passandogli il collo a fil di lama.
« Questo è per Hitch, grandissimo figlio di puttana. »

Quando ebbe finito, il corpo della guardia ricadde sul pavimento di legno su un lato. La testa, invece, ricadde sul lato opposto.
L'ultima guardia rimasta gettò d'istinto le armi lontano da se, ponendosi in stato fetale. « V-vi prego n-non uccidetemi...! »
Balbettava come un marmocchio, frignando e singhiozzando a più riprese. Jess gli si avvicinò, sfiorandogli la pelle col coltello ancora sporco di sangue.
Indugiò sul suo collo, all'altezza della carotide, prima di prepararsi a sferrare l'ultimo colpo.

« Jess, fermo! »
Fu interrotto da un secco richiamo. Un altro uomo fece capolino sul portone. Aveva un grosso mantello scuro che gli copriva il corpo, ma dal quale si intravedevano vesti nobili. Una giacca di raso rosso, stivali di cuoio pregiato e lunghi pantaloni in tessuto marrone. Il volto, invero, vedeva capelli grigi corti, adagiati in maniera confusa sulla testa, spettinati. Aveva occhi rossi e barba incolta, oltre che un generale senso di trascuratezza cui sembrava voler porre rimedio con abiti preziosi ed abbondanti dosi di profumo.
Vedendolo apparire, Jess lasciò il coltello, commentando il tutto con un sono sbuffo di disappunto.

« Padre! » sbottò la giovane, lanciandosi tra le sue braccia.
Il bambino, invece, fece pochi passi cauti in direzione dell'uomo, quasi lo temesse o non fosse troppo confortato dalla sua presenza. L'uomo gli lanciò un'occhiata torva, poi si limitò ad ignorarlo.
« Jess, sono costernato per la tua perdita - manderò alla famiglia di Hitch il suo compenso » disse poi, avvinandosi al guerriero.
Infine, pose lo sguardo su Fanie. « Dama, non so chi voi siate - ma vi ringrazio per aver salvato la vita dei miei figli »
« Tutto il mio oro non basterebbe a ricompensarvi del gesto, ma permettetemi comunque di ripagare la vostra gentilezza » asserì, inchinando il capo in direzione dell'elfa.
« Inoltre, avrei proprio bisogno di qualcuno come voi, nel viaggio che ci aspetta »
A sentire quelle parole, la giovane fanciulla alzò gli occhi verso il padre: « Vuoi dire che...? »
« Si, certo » commentò l'uomo, fermo « è evidente che venire qui ha solo peggiorato le cose »
« ...quindi torneremo a Lithien. »


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• Aang •Villa Nuova Luna
Adolescenza di Lucian Alastor


Il piano superiore era immerso nell'ombra. Ovunque svettavano quadri ed arazzi, raffiguranti immagini di guerra, eroiche imprese o mezzi busti più o meno ingioiellati ed agghindati a festa.
La magione, invero, sembrava rappresentare un punto focale di un qualche casato, in quanto la mobilia e le immagini sulle pareti parlavano di un passato molto lungo e lontano, di storie di popoli, di civiltà e generazioni che avevano riempito quelle sale con le loro vite e le loro virtù.
Ovunque, troneggiava quello che sembrava un simbolo araldico piuttosto importante.

Su di uno sfondo blu notte, infatti, svettava una torre bianca, circondata da tre lune nere poste a triangolo intorno ad esse.

Per il resto, comunque, la villa sembrava attinta da una vetusta patina di vecchiume. I mobili erano sporchi e coperti da un sottile strato di polvere, piuttosto spesso, che era possibile scrutare finanche ad occhio nudo. I mobili erano mangiati dalle tarme in più punti, oltre che rovinati dall'umidità che filtrava tra le crepe dei muri, evidentemente mai riparate.
Le scale risalivano a chiocciola fino ad un salone superiore. La stanza era un grosso ambiente unico, arredato come il resto della casa, ma interessato da uno spesso tappeto che ne attutiva, in qualche modo, i passi. Lo stesso, a discapito del resto, sembrava pulito o - comunque - consumato da un uso recente, al punto da risaltare in netto distacco col resto della mobilia.
Invero, il salone conduceva ad un numero infinito di stanze laterali, le più delle quali chiuse a chiave o totalmente spoglie.
Infine, una porta in lontananza risultava aperta e contraddistinta da un sottile vocio che rimandava a delle presenze dietro di esse.

La porta, infatti, rimandava ad un corridoio retrostante, più sottile ed angusto del resto.
Alla fine del corridoio v'era una stanza chiusa da una spessa porta di legno scuro, sotto la quale filtrava chiaramente la luce intensa di alcune candele.
Aang si trascinò silenzioso fino ad essa, potendo finanche osservare oltre spiando dal buco della serratura.

« E' la giovane nipote del mugnaio, signore »
Un uomo vestito con una tunica scura, era al centro di quella che sembrava una grossa stanza da letto.
Aveva capelli rossicci, stopposi e radi, adagiati su di un viso tondo e scuro. Corpulento e non troppo alto, risaltava una barbetta ispida sotto il mento ed un grosso naso paonazzo, probabilmente attinto da certa allegria alcolica. Reggeva, invero, un grosso calice di vino e - mentre parlava - fissava qualcosa dall'altro lato della stanza.
In lontananza, infatti, non era difficile scorgere un grosso tavolo in mogano. Su di esso si dimenava una giovane donna. Aveva capelli castani, lunghi ed ondulati e la pelle bianca come il latte. Mani e piedi erano incatenati ai bordi del tavolo ed ella era distesa su di esso completamente nuda. Sulla bocca era stretto un fazzoletto bianco che le impediva di parlare, ma non di emettere sonori mugolii di terrore.
« Spero sia di vostro gradimento » aggiunse l'uomo, rivolgendosi a qualcuno sullo sfondo « è come l'avevate chiesta voi. »
Dal lato nascosto della stanza fece capolino un giovane. Poteva avere sui vent'anni; vestiva abiti classici, scuri da nobiluomo. Portava capelli castano chiaro, adagiati sul capo con una riga nel centro. Un naso sottile e labbra rossicce si stagliavano sotto due occhi color nocciola ed uno sguardo libidinoso, divertito. Fissava le grazie della donna con estrema soddisfazione, adagiando - di tanto in tanto - una mano in direzione del cavallo dei propri pantaloni.
« Davvero bella » disse il ragazzo « ho sempre desiderato farmela. »
L'uomo con la berbetta quasi sussultò a quelle parole. « Fa-farvela...? » disse, visibilmente scosso. « M-ma il sa-sacrificio? »
« Gli altri sono ormai pronti, verranno a prenderla a momenti » aggiunse, passandosi una mano sul mento, nervosamente « non possiamo rimandare... »
« Possiamo, se io lo voglio » commentò il ragazzo, non togliendo gli occhi dalla donna.
« D'altronde sarebbe uno spreco uccidere questo gioiello senza essersi divertiti un pò prima, no...? »
Poi sogghignò, schernendolo poco. « Qual'è il problema, Lord Maghnus... » asserì, divertito
« ...ritieni moralmente tollerabile sacrificare questa donna alla Triade, ma non scoparcela, prima? »
« Prenda la cosa come un atto di clemenza, prima che il suo destino si compia » aggiunse, infine, chiudendo la questione.
L'uomo con la barba rimase in silenzio, sudando copiosamente.

Nel mentre, passi giungevano in direzione di Aang, dall'altro lato del corridoio.
Accompagnati da una candela, due uomini vestiti con tuniche nere e maschere bianche, raggiungevano la sua posizione, apparentemente ignari della sua presenza.
« Sta-stanno arrivando » disse l'uomo con la barbetta, allo stesso tempo « sarà meglio che dica loro di aspettare »
Commentò, laconico, avvicinandosi alla porta, mentre l'altro saliva a cavalcioni sulla donna, abbassandosi le braghe.
« Si, sarà meglio » commentò l'altro, soltanto.

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• Lothar •Lithien
Maturità di Lucian Alastor


Mentre la campane riecheggiavano nel borgo attorno al Tempio, il vicolo alle sue spalle si riempiva di fumo e di vociare.
L'armatura eterea e la coltre di nebbia che seguivano di pari passo al coraggio di Lothar, sferzarono nell'aria assumendo - in combinazione col frastuono delle campane - un curioso effetto illusorio. Le parole del guerriero, infatti, parvero rimbombare con forza ed i tre manigoldi non poterono far altro che fermarsi immobili, perplessi.
Dopo poco, udirono le minacce di Lothar emergere dalla coltre di fumo, accompagnate dalla sua figura che si delineava nell'ombra generata dai muri dei casolari circostanti.
Quando tutto fu più tranquillo, i tre sgranarono gli occhi in direzione del loro avversario, strozzando a mala pena una risata.

« Ehi Patt, cosa credi che sia quel coso? »
Lo smilzo lo schernì, indicandolo come se Lothar non udisse. « Non saprei » rispose Patt, arricciandosi il baffo sinistro con la mano « sembra un uomo molto basso »
« Più basso di te, addirittura » commentò il tizio robusto, scoppiando in una grossa risata. I tre, poi, stettero qualche istante a fissarsi, indecisi sul da farsi.
Presero a parlottare a denti stretti, borbottando frasi incomprensibili. Nel mentre, Lothar tendeva l'arco e scrutava dietro gli sguardi a mezzi occhi dei tre manigoldi, per concentrarsi su quello atterrito dell'uomo alle loro spalle. Il fuggitivo era rovinato su alcune casse, interrompendo la sua corsa contro del pattume lasciato a marcire nel vicolo. I suoi capelli erano unti e stopposi, incolti, e si adagiavano oltre uno sguardo stanco, con pesanti occhiaie a corredare un volto affaticato e poco curato.
Eppure, nonostante il suo stato, Lothar poté riconoscere uno sguardo noto. Era più giovane, più malandato, ma comunque era sempre lui.
Con un viso a metà tra l'arrogante ed il perplesso. Era Irwing Ravelon, solo con alcuni anni in meno.

Infine, lo smilzo sbottò ancora, a denti stretti: « Ma chi cazzo sei tu, eh? »
« Si può sapere perché vuoi aiutare questa merda...? » chiese, laconico. « Hai sentito cos'ha fatto! Probabilmente è colpa sua se Lord Alastor ha tirato le cuoia! »
L'uomo robusto prese a fissare Lothar intensamente, quasi ricercasse una qualche verità al di là del suo sguardo. Infine, parlò a sua volta. « Ehi, Ravelon... ora cerchi di corrompere anche i fenomeni da baraccone? » argomentò, rivolgendosi all'uomo alle sue spalle. Non ricevendo risposta, però, si voltò a fissarlo. « Ehi, mi senti Ravelon - ehi, Rav- »

Irwing, nel mentre, si era rialzato ed aveva proseguito la sua corsa oltre il vicolo.
« Quel figlio di troia se la batte! » Disse l'uomo robusto, rivolto agli altri due. « Andate » rispose Patt, immediatamente « mi occupo io di questo coso. »
Lo smilzo ed il robusto non se lo fecero ripetere due volte, inseguendo Ravelon nelle profondità del vicolo. Intanto, Patt sfoderò la sciabola, agitandola dinanzi a se. « Fammi divertire, nanerottolo. » Poi, sventolò nuovamente la sciabola, sferzandola in direzione di Lothar con una carica ed un attacco in salto.

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• Ainwen •Sotterranei
Maturità di Lucian Alastor


Quando la funzione terminò, la folla prese a sacrificare il proprio polso.
Ainwen poté godere di alcuni secondi di libertà, per uniformarsi a loro. Indossò un manto, di quelli abbandonati nel mucchio, e nessuno parte notare la sua presenza. Invero, nessuno era comunque interessato a lei. Di fatti, il canto proseguiva e con esso la malia infinita che portava i più a sacrificare il proprio sangue per una causa. In coda, uno alla volta, ciascuno di loro si procurava un taglio al polso con il coltello cerimoniale.
Allo stesso modo fu indotta a fare lei, portandosi la lama gelida sul braccio e marcando un colpo secco.
Il dolore partì lento, come non le appartenesse. Poi trascese le membra e la scosse finanche nelle ossa, come se centinaia di spilli le avessero cinto la mano nuda. Ainwen chiuse gli occhi e, dopo poco, si accorse che quel dolore intenso l'aveva liberata dall'incanto. Nel mentre, il suo sangue scivolava sull'altare di pietra, riempiendo un grosso recipiente di ottone. Un altro nobile, alle sue spalle, la afferrò per le braccia, facendola sussultare.

« Mi perdoni, consorella » disse, laconico « ma permetta anche agli altri di omaggiare la Triade. »
Ainwen, quindi, si scostò di lato, perplessa. L'uomo, come se niente fosse, fece un passo ed adagiò il braccio sulla lama, sacrificando il sangue a sua volta.
Quando tutti ebbero compiuto il rito, l'uomo con la maschera fece un cenno a due fedeli e questi si allontanarono. Risalendo la scala che portava al ballatoio, scomparvero oltre il corridoio che conduceva alla prigione.
Dopo poco, riapparvero con uno dei prigionieri sotto braccio. Aveva il volto coperto da un sacco marrone, ed il corpo nudo sferzato da catene e frustrate.
Era un uomo, ma - a parte quello - si poteva comprendere ben poco.

Lo condussero dinanzi all'altare, mentre tutti i fedeli si ammassavano verso di lui, chiudendolo a cerchio ed impedendo ad Ainwen di vedere nient'altro che sprazzi di ciò che avveniva.
Scorse distintamente il sacco che scivolava via dal viso, ma senza poter comprendere altro. Tre uomini gli tolsero le catene e lo tenevano fermo, mentre il prigioniero stentava qualche accenno di ribellione. Eppure, stremato dalla prigionia, desisteva poco dopo.

La folla inveiva ad ogni sua apparente ribellione, insultandolo e sputandogli addosso.
Infine, l'uomo in rosso si allontanò, afferrando un calice di vino rosso e sedendosi su di un trono poco lontano. Era levigato in pietra bianca, con incavi e decorazioni che dissimulavano un seggio interamente fatto in teschi umani. Eppure, era solo una finzione creata con la pietra - un artificio d'effetto, col solo scopo di creare un impatto emotivo nei presenti. Su di esso, era disteso un drappo di stoffa rossa. L'uomo in maschera si sedette, agitando il vino nel calice. Udendo le urla dei fedeli, però, parve irritarsi e - di tutta risposta - infranse il calice nelle sue mani.
I fedeli nei suoi pressi colsero la sua irritazione e sbottarono, verso gli altri. « Silenzio » intimò uno di essi « il Conte Nero vuole parlare! »

La stanza ricadde nel silenzio e l'uomo con la maschera tirò fuori un foglio di pergamena dalla tasca.
Lo aprì e prese a leggervi il contenuto, con la voce alterata dalla rabbia ed ovattata dalla maschera.

La cecità che mi ha portato a guidare una rivolta contro un abisso di nulla; mi ha reso schiavo della mia ambizione e mi ha impedito di guardare in quale rovina stavo guidando persone che un tempo consideravo amiche o innocenti che consideravo schiavi, ma che mai avrei voluto sacrificare. Il tempo è giunto ad un limite, io non posso più sguazzare nella mia vomitevole inettitudine. Un piano diabolico è stato ordito da chi mi ha sostituito alla guida. Un veleno immondo e senza cura presto infetterà le acque azzurre di Lithien, la bella. A voi, che un tempo mi foste vicino nel dolore della perdita del mio genitore, impongo il peso di questa verità e il dovere di un intervento, prima che sia tardi...

Le parole scivolarono lente, lentissime. Impetuose come tempesta e pesanti come macigni.
L'uomo prigioniero si divincolava ad ogni parola, emettendo sbuffi di rabbia. Nel mentre, la folla fissava attonita la scena, rapita dal testo della lettera come da un ennesimo canto ammaliante. Eppure, questa volta non c'era nulla di magico, se non l'attenzione e la rabbia insita al suo significato.
Nel frattempo Aiwen, dietro di tutti, si riscoprì improvvisamente ignorata - sola e potenzialmente capace di agire indisturbata.



littleqmpointwinterreis

Proseguiamo con le vostre scene. Vi dico subito che fioccheranno informazioni di qui in avanti che siete liberi di argomentare tra di voi o di non farlo, per non avvantaggiarvi a vicenda. Decidete liberamente. Vi informo, inoltre, che dal prossimo giro potrete già tentare qualche risposta, con modalità che vi renderò note più avanti. Nel mentre, iniziate a rifletterci.

Fanie. La tua incursione ha successo ed è tanto efficace che Lord Alastor in persona ti chiede di unirti a lui, in quanto ha deciso di tornare a Lithien. Lascio intendere a te ciò che queste parole significhino. Comunque sia, la cosa si svolge così. La partenza è prevista per l'alba del giorno dopo. Nel frattempo, vieni condotta nella magione degli Alastor a Gefahrdorf, un grosso casolare nel villaggio, in stile classico. Descrivilo come meglio preferisci. Contando il tempo per riposare (certo, è un ricordo, ma - come detto - il vostro corpo si stanca comunque), possiamo dire che hai a disposizione circa 8 ore per "indagare" nella magione. Qui, sostanzialmente, ti viene data la possibilità di interrogare chi vuoi: puoi parlare con Lord Alastor, con la figlia Agata o col figlio Lucian (hai capito chi è, si?), con la guardia Jess o perfino col prigioniero che tu stessa hai catturato. Hai un totale di 8 domande, ovvero 8 argomenti di conversazione, da usare massimo con tre di queste persone. Non puoi quindi interrogare tutti (non ne hai il tempo). Decidi tu cosa ed a chi chiedere. Puoi anche non usarle tutte le domande, l'importante è usare un pò di buon senso, in quanto mi riservo il diritto di non risponderti a domande troppo assurde, fuori contesto o che potrebbero suscitare reazioni non collaborative. Comunque, ponimi le domande in Confronto ed io ti risponderò. Alla fine del "turno", ti darò disposizioni sul prossimo post.

Aang. La casa è immersa nel buio e pressappoco quello che noti è quello che leggi nel post. Assisti, poi, a questo dialogo attraverso la porta, non potendo far altro che constatare i particolari avvenimenti che si celano dietro di essa. In buona sostanza, il ragazzo violenta la donna incatenata, mentre l'uomo con la barbetta (Lord Maghnus) sta per avvicinarsi alla porta dove sei tu, un pò imbarazzato dalla situazione, per fermare gli altri due tizi vestiti di nero che - apparentemente - stanno venendo a prendersi la donna per un fantomatico "sacrificio". Dimmi in confronto cosa fai: hai piena libertà. Puoi usare quanti slot vuoi e fare quello che ti pare. Puoi anche chiedermi dettagli della casa che non ho citato, in quanto potrei aver dimenticato cose che tu ritenga - magari - fondamentali per il prossimo turno. Pensa attentamente a ciò che ho scritto, perché ci sono molti particolari interessanti in questa parte.

Lothar. Il fumo fa spaventare un pò i tre tizi, concedendo qualche istante di vita in più al fuggitivo. Nel mentre, riconosci nello sguardo del fuggitivo quello noto di Irwing Ravelon: ha solo un aspetto più giovane, ma ancor più trascurato, di quello che ricordi. Non è chiaro perché vogliano ucciderlo, ma - a prima vista - nemmeno a loro è molto chiaro chi tu sia. Sopratutto cosa tu sia; i tre tizi, in verità, paiono non aver mai visto un nano. Ad ogni modo, la tua incursione consente a Ravelon di fuggire ancora. Mentre due dei tre partono all'inseguimento, il terzo (Patt, quello basso e baffuto) rimane ad affrontarti. Il prossimo turno è un turno di duello, ma con una particolarità. Ti consento di utilizzare la freccia incoccata come una tecnica di potenza Media in aggiunta ai normali due slot consentiti in un duello. Quindi è come se potessi usare tre slot nel prossimo turno. Il tizio baffuto ti investe con un una sciabolata in salto che conta come una tecnica a potenza Media. Decidi tu come affrontarlo, come se foste in duello. Conta, però, che più tempo perdi con questo, più gli altri si allontaneranno da te.

Ainwen. Hai avuto gli indizi maggiori. Ti dico questo e taccio per il resto. Mentre il tizio mascherato recita la lettera, tutti sembrano inebetiti dalle sue parole e finisce che scopri che nessuno ti sta considerando per quel momento. Puoi fare, quindi, quello che vuoi. Non hai molto tempo, quindi non ci muoveremo in confronto. Mi puoi chiedere tutte le informazioni che vuoi, ma alla fine agirai direttamente in quest senza essere autoconclusiva e coi canonici due slot simil duello. Non riesci a vedere bene il prigioniero, né l'altare o il trono - perché sei dietro a tutti. In compenso senti distintamente tutte le parole.

Per domande o altre perplessità, ci sentiamo nel topic di confronto.
Per il resto avete fino a giovedì 29 maggio, ore 23.59 per rispondere a questo turno.
Turni liberi.

 
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Fanie Elberim
view post Posted on 29/5/2014, 04:02





Winterreise ~ Die Nebensonnen


Gefahrdorf era un villaggio tranquillo alla luce del sole caldo. Dopo che l'emergenza era rientrata e Lord Alastor era apparso a riportare l'ordine, le cose avevano iniziato a prendere una piega decisamente inaspettata. Inizialmente non mi ero resa conto di chi avevo appena salvato, complice il fatto che i miei pensieri erano concentrati sul combattimento e non in mistiche riflessioni, ma quando ragionai attentamente - osservando soprattutto il piccolo Lucian - mi apparve tutto clamorosamente chiaro. Era diverso, molto diverso, aveva un incarnato decisamente più sano, distante da quello colmo di privazioni e agonie che doveva aver patito nella sua intera esistenza, eppure i suoi occhi erano tali e quali a quelli che avevo visto a Lithien.
Quel ragazzino dall'aspetto innocente e dolce, sarebbe diventato uno tra gli uomini più importanti dei Regni.

Mentre camminavamo per raggiungere la magione degli Alastor, tappa per la notte, mi resi conto di poter assistere ad un qualcosa per cui la stragrande maggioranza degli elfi avrebbe donato volentieri la propria anima: assistere al passato. Conoscenza, potere, informazioni e pura e semplice curiosità avrebbero spinto molti tra la mia gente a rischiare qualsiasi cosa per trovare un luogo come quello, dove ottenere il sapere degli antichi e riportare alla luce forze sopite da millenni. Eppure io ero diversa. Sebbene la mia natura mi spingesse a ricercare il sapere, per curiosità o necessità, non riuscivo a concepirne l'uso per scopi puramente egoistici o personali. Io non vedevo in quel ricordo la possibilità di scoprire tutto su Irwing Ravelon, io vedevo l'infanzia di uno dei più grandi del mio tempo e ne ero entusiasta. Avrei potuto raccontare, un giorno, di ciò che avevo visto a tutti quanti, ricordando con affetto quegli eventi e quei volti che il tempo aveva semplicemente cancellato o messo in secondo piano rispetto alle cose... importanti. Forse ero solo una stupida a pensare di vedere qualcosa di magnifico nei ricordi di Irwing, probabilmente non era altro che un trucco e non mi sarei dovuta lasciare ingannare da meravigliosi paesaggi e volti amichevoli.
Ma, in fondo, il mio cuore iniziava a bramare la pace dopo tante guerre e tanta morte. Fermarsi un attimo, un istante dentro ad un sogno, per far si che un caldo sole al tramonto mi ricordasse quale era il motivo per cui combattevo tanto assiduamente... non era sbagliato.

La magione degli Alastor era elegante, pur fondendosi con il resto della cittadina in maniera armoniosa. Era una struttura con base in pietra che proseguiva per due piani in legno lavorato, per dar poi vita ad un tetto molto ripido dal colore scuro. Finestre eleganti - seppur non sfarzose - decoravano i lati della struttura, lasciando intravedere tende pulite e mobilio di qualità eccelsa. Alla soglia un servitore accolse la famiglia ed il seguito indicando a Jess dove "accomodare" il prigioniero sopravvissuto alla colluttazione. Inutile dire che all'interno la casa aveva un decoro ed un ordine pressappoco esemplari e, sebbene non fossi proprio estranea agli usi dei nobili, dovevo ammettere che gli Alastor avevano un gusto estremamente valido per l'arredamento.
Mi riposai qualche minuto esplorando casa, in maniera discreta e senza turbare, più per curiosità e per noia che per un motivo vero e proprio, attendendo che ci fosse offerta la cena.
Il pasto non fu niente di eclatante: silenzioso, calmo, senza che nessuno dicesse niente di particolare a parte qualche apprezzamento sul cibo e sul vino - non certo di prima qualità - fornito alla scorta. C'era qualcosa di strano nell'aria, era tutto calmo e tranquillo, talmente pacifico da sembrare quasi surreale per certi versi. La gente di Gefahrdorf era serena, o almeno lo era in apparenza, e trasmetteva quel senso di rilassatezza tipico delle zone rurali anche a persone che, come me, da mesi e mesi non conoscevano il significato della parola riposo. Sapevo di dover fare ciò per cui Irwing mi aveva inviata lì dentro, scoprire la sua identità ed il suo scopo, ma non riuscivo a fare a meno di immaginare come sarebbe stato bello vivere in un posto del genere per il resto della mia vita. Mi sedetti sul balconcino di una delle finestre al primo piano, penzolando le gambe all'esterno mentre fissavo le stelle e la luna sorgere lentamente in cielo. Qualcuno mi chiese più volte perché lo stessi facendo e cosa ci fosse, di bello, in quel panorama monotono e pieno di punti luminosi indistinguibili. Mi limitai a stringere le spalle, sospirando.
In quelle stelle di un passato remoto io vedevo la speranza di cambiare le cose.

[ ... ]

Per vivere quel ricordo, popolato da personaggi e comparse, come un teatrino, avrei dovuto interpretare anche io un ruolo. Come un gioco delle parti dove mi sarei prefissa di comportarmi in una certa maniera, per risultare credibile agli occhi di una eco lontana. A giudicare dall'età di Lucian - che stimavo sui non più di trentacinque, quaranta anni a dir tanto nonostante l'aspetto logoro - al tempo della sua infanzia l'Edhel doveva ancora essere un luogo vivo e rigoglioso, dove la mia gente viveva in pace ed armonia. Si... mi sarei comportata come un cavaliere errante del nord preoccupata da qualche misteriosa oscurità che sussurrava il suo nome tra gli alberi. Era una bugia, ma mentire ad un ricordo poteva davvero considerarsi un peccato?

Chiesi udienza a Lord Alastor in persona e, dopo aver ricevuto possibilità di parlare ed averlo omaggiato con un inchino della testa, mi prodigai nella mia presentazione prima di porre le mie domande, ben consapevole di dover recitare la parte in modo eccelso. Non potevo semplicemente arrivare a dirgli "chi è Irwing Ravelon", altrimenti si sarebbe chiuso a riccio o, peggio ancora, qualcosa in quel sogno si sarebbe inceppato brutalmente, rischiando di farmi molto, molto male. Dovevo essere attenta.
« ...la mia gente ha sentito qualcosa. Tempi oscuri ci aspettano, tutti quanti, posso chiederti quali nemici abbia Lithien per vedere minacciata la sicurezza dei suoi eredi? Non erano sicuramente briganti da quattro soldi, nessuno privo dell'addestramento adeguato riuscirebbe a uccidere un uomo in quella maniera. » ovviamente mi riferivo al dardo che aveva ucciso Hitch. « Domando scusa e mi rammarico per la tua perdita. »
Come sospettavo la famiglia Alastor aveva molti nemici e detrattori, quello che mi interessava scoprire era se, tra questi, ci fosse qualcuno o qualcosa di ricollegabile a Irwing in qualche maniera. Nella mia mente si stava iniziando a formare il collaudato sospetto che tra Lucian e Irwing ci fosse un collegamento molto più stretto di quanto non avevano dato a vedere, quasi come se le loro strade fossero sempre state sovrapposte l'una all'altra... ma ad un tratto qualcosa, un evento scatenante, le avesse divise scindendo la loro unione. Il risultato aveva portato a quello cui tutti noi avevamo assistito a Lithien.
« La foresta sussurra in questi tempi. Lithien è in grande pericolo e, anche se è giusto e normale che tu dubiti delle mie parole, posso garantirti che non nascondo niente e che i miei interessi sono quelli del bene del Nord. Non avete davvero alcun sospetto, nessun accadimento che ha turbato la quiete della vostra città in questi mesi? Se non mi fossi incuriosita vedendo i vostri uomini alla chiesa temo che i vostri figli avrebbero sofferto un destino molto crudo... qualcosa deve esserci. »
Incalzai con questo discorso, provando a capire quali fossero esattamente i nemici che si era fatto all'interno delle mura cittadine. Non potevo pretendere sapesse per filo e per segno i nomi e cognomi, ma mi sarebbe bastato anche un solo accenno alla persona che stavo cercando per creare un filo quantomeno logico tra i miei pensieri e la realtà dei fatti. E quei nomi, in effetti, attirarono non poco la mia attenzione. Si trattava perlopiù di poche cose, sentite in taverne o poco altro, ma ero certa che almeno uno di quei tre nominati avesse avuto a che fare con la diffusione della piaga e, ovviamente, con la fine disastrosa di quello stesso villaggio.
Solamente non ero a conoscenza di chi fossero, in realtà quelle persone, erano soltanto nomi che mi accendevano un campanello in testa, non spiegazioni vere e proprie. Non ero mai stata un genio assoluto nel districarmi in trame politiche e quant'altro, anche per quello probabilmente non stavo simpatica ai Sussurri, però non ero una sprovveduta e mi sovvenne l'idea di andare a chiedere ad Agata ciò che mi sembrava inopportuno domandare a Lord Alastor.

Si, poteva essere un comportamento un poco meschino, ma ritenevo altamente probabile che la piccola avesse sentito e visto qualcosa di molto importante per me ma che, ai suoi occhi, appariva come semplice routine quotidiana del padre.
Avvisai della mia presenza, facendo dono alla ragazza di uno dei fiori sbocciati tra i miei capelli nel pomeriggio.
« L'Iris simboleggia la saggezza e la speranza, tienilo come ricordo. Se ti va, risponderesti ad una domanda? Hai mai sentito qualcosa in merito ad un certo Anther ... il reggente del tempio, ecco. Magari hai sentito tuo padre parlarne, o qualche altro della nobiltà. »
Lei parve assecondarmi e, con fare fanciullesco e stufato dalla vita dell'alta società, arrivò a fare quel nome che tanto attendevo: Irwing. Mi pareva davvero strano che fosse la stessa persona, invero, anche perchè non mi sembrava affatto un uomo di sessanta anni da quanto avevo visto, eppure per essere amico della famiglia Alastor - a quel tempo - almeno la maggiore età avrebbe dovuto averla. Qualcosa non mi quadrava, anzi, direi che c'erano molte più incognite che segreti svelati nella trama di quella storia. Ogni scoperta che facevo portava a galla il triplo delle domande e questo non era assolutamente un bene per le mie indagini, tanto più se il rischio era davvero quello di continuare a girare attorno al problema senza trovarne mai la soluzione.

Preso congedo da Agata tornai da Alastor, sperando di far luce su Irwing.
« Lord Alastor so che è molto tardi, ti ruberò pochi momenti. Ho sentito un nome da vostra figlia che mi ha messo preoccupazione. Irwing. Lei non sa se questa persona sia davvero un amico, immagino sia un sostenitore politico o qualcosa del genere. Il nome non è nuovo alle mie orecchie e ho una brutta sensazione a riguardo... ma magari è solo la stanchezza. »
Ma per tutta risposta le parole del lord furono l'esatto opposto di quello che mi aspettavo. Si, c'era malinconia negli occhi dell'uomo, ma non si trattava di dubbio o incertezza per quanto riguardava il suo "tesoriere", quanto più per ciò che avevano detto Jess e Hitch quando avevo origliato le loro parole alla chiesa. Un uomo distrutto dalla perdita della moglie, forse un grande riformista, ma pur sempre demotivato dalla mancanza dell'amata e dal dover crescere i figli in totale solitudine. Immaginavo che nemmeno il più grande dei politici, il più bravo dei filologi e il migliore tra i mercanti potesse competere con il dolore della dipartita di una persona. Anche se quello che avevo davanti era un misero ricordo sbiadito della realtà, un tremito di dispiacere si impadronì della mia anima.
Prima di prendere congedo, definitivamente, aggiunsi poche parole.
« Mi dispiace per tua moglie, anche se da quanto ho capito queste condoglianze arrivano con anni di ritardo. Buon riposo. »
Abbozzai mezzo sorriso, tenendo gli occhi bassi, incapace anche solo d'affrontare lo sguardo di quell'uomo. Si, si lo sapevo che si trattava di un falso, che il suo corpo era diventato già polvere nei decenni trascorsi, ma per me lui era lì, vivo e vegeto, e continuava a soffrire per la sua perdita nei ricordi di chi lo aveva conosciuto. Forse, quando tutto avesse trovato conclusione, anche il tormento che lo sbiadiva si sarebbe finalmente dileguato.

[ ... ]

Nei sotterranei della magione, piuttosto puliti rispetto a quelli presenti nelle case capitoline, marciva l'assassino catturato. Con un gesto della mano, in un turbinio di piccole foglie rosse, materializzai la mia lancia, iniziando a stuzzicare il prigioniero con fare tutt'altro che amichevole.
« Ti ricordi di me, feccia? » volevo scoprire chi l'aveva spedito a uccidere - o rapire - i bambini e, stavolta, il fatto che fosse solamente un ricordo mi dava la giusta cattiveria per non temere di fargli male. Se fosse stato necessario gli avrei strappato un braccio senza alcun rimorso: solamente una bestia poteva osare alzare un dito contro dei ragazzi e, di conseguenza, al pari di una bestia doveva essere trattato.
« Ora ti farò una domanda e tu mi risponderai, se lo farai ed io sarò soddisfatta potrei chiedere a Lord Alastor di non infilare la tua testa su una picca. Ora che conosci le regole di questa conversazione, ecco il tuo biglietto per non diventare un trofeo impagliato: chi ti ha dato l'ordine di fare del male ai ragazzi? »
Quando chiese la sua libertà in cambio afferrai con uno scatto le sbarre della cella, lasciando che il potere della spada liberasse la mia parte draconica sopita: corna verde smeraldo ed ali traslucide apparvero su di me, rischiarando appena l'ambiente circostante. Non gli avrei mai concesso il privilegio di tornare un uomo libero dopo ciò che aveva fatto, il suo posto sarebbe stato tra quattro mura per tutta la vita o impiccato sulla forca. Altrove, per lui e la gente del suo calibro, non c'era spazio alcuno.
Ringhiai, quasi furente, vomitandogli addosso tutto il disgusto che provavo.
« Hai ucciso un uomo, cercato di uccidere due innocenti per denaro, tu sei uno relitto della società, non meriti la libertà! Ma puoi ancora redimerti, non ai miei occhi, ma a quelli di un potere superiore, se mi dirai chi è il tuo mandante. »
« Se ti volto le spalle senza averlo saputo, nessun altro ascolterà le tue parole. »
In ogni caso dubitavo fortemente di poter cambiare il corso degli eventi, quindi la sua morte era inevitabile. In un certo senso mi sentivo piuttosto vittima in tutto quel teatrino, dato che le mie azioni avrebbero influito solamente sul ricordo del passato e non sul passato stesso. Era come cambiare le parole di un libro per alterare il corso della sua storia: anche se il racconto nel libro risultava diverso, la realtà non avrebbe subito alcun mutamento.
Tuttavia le mie parole fecero presa e, quando compresi quanto era diffusa la corruzione nella società di Lithien, iniziai anche a rivalutare la possibilità di vedere un futuro roseo per i regni. Erano anni, se non secoli, che l'uomo viveva accoltellandosi alle spalle senza la minima decenza e, per ogni uomo che nasceva retto, duecento venivano alla luce briganti... non ero più certa che il futuro fosse così luminoso.

Ma di una cosa potevo essere certa: l'indomani Gustav avrebbe dovuto rispondere delle sue azioni.

[ ... ]

Una stanza era stata preparata per me, essendo una donna i servitori si erano prodigati per non farmi dormire assieme al resto della scorta - come era ovvio - e mentre mi dirigevo a letto dai sotterranei passai davanti alla camera dove dormivano Lucian e Agata. La porta era socchiusa e l'interno silenzioso. Buttai lo sguardo nell'oscurità, vedendo solamente le sagome dei due pargoli dormire pacificamente. Sorrisi, senza nemmeno sapere perchè, quasi come un incontrollato sentimento materno mi dicesse che quello a cui stavo assistendo era una meraviglia incredibile.
Al contempo, però, mi sentivo anche triste e addolorata all'idea che quella famiglia già travagliata da un lutto e tanti nemici, fosse arrivata al punto tale da disgregarsi completamente, perdendo ogni cosa, a partire dalla stessa Lithien. Allungai una mano chiudendo la porta senza fare rumore.
Per quella notte, seppur in un sogno, Agata e Lucian sarebbero stati ancora assieme.

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[ ... ]

All'alba tutto era pronto per la partenza ma io, rapida e silenziosa, raggiunsi Lord Alastor per metterlo al corrente di quanto avevo scoperto nottetempo.
« Scusami se ti disturbo, ma ieri sera ho scoperto dal prigioniero che dietro alle aggressioni non ci sono i tuoi nemici politici, ma Lord Gustav, il signore di questo paese. Voleva... rapire i tuoi figli e scoprirò perché. » badai bene che fossimo abbastanza isolati prima di fare tale rivelazione e, ovviamente, feci in modo di avere il tono di voce più morigerato possibile.
« Non posso fidarmi della parola di un assassino, ma voglio controllare di persona, se scopro qualcosa verrò personalmente a Lithien ad informarti. »
Dette queste parole mi lasciai baciare dall'aria del nuovo giorno, uscendo nella strada antistante la magione.




Riassunto e Note.


Riassuntino_zps02cf0e98
CS forma umana: 2 Robustezza 2 Tenacia 1 Tattica
CS forma driade 2 Agilità 2 Prontezza 1 Intuito
Basso - 5% | Medio - 10% | Alto - 20% | Critico - 40%


Classe: Sciamana
Razza: Driade (Avatar Angelico)
Talento: Guarigione III

Stato Fisico: Illesa.
Stato Psicologico: Illesa.
Stato Emotivo: Normale.
Energia: 85% - 20% (Alto) = 65%

Equipaggiamenti:
~ Heater-shaped Shield. Scudo con capo a punta composto di legno e metallo. [Impugnato]
~ Chivalry Sword. "Le tre forme del Drago Nero" Spada lunga da fanteria (Artefatto)[Impugnata]
~ Elven Spear. Lancia elfica ad una mano [Riposta]
~ Claws. Guanti con unghie taglienti - Nekote - [Indossati]
~ Aicheamhail. Corazza di fattura elfica, pesante, completa. (artefatto)[Indossata]

Passive in uso:
~ Heritage. Passiva di timore reverenziale da avatar angelico. Effetto psion passivo.
~ Attitude. Passive del talento di guarigione I e II, ammontare delle cure uguale al consumo speso per castarle e possibilità di curare danni fisici o psionici a scelta al momento del lancio di incantesimi curativi.
~ Vraal. La pantera di Fanie a cui è legata la sua vita. Passiva di immortalità del talento guarigione III
~ La via del Drago Nero. Passiva di immunità alla fatica fisica dovuta a sforzi eccessivi/prolungati e non sviene sotto il 10% di energie quando una delle tre forme del Drago Nero è attiva.
~ Memento Vitae. Auspex passivo di individuazione forme di vita.

Attive in uso:
» Prima Forma: la Legge
Il primo desiderio di Raymond Lancaster nei confronti di Fanie è che lei cresca in modo da divenire la futura figura di ispirazione per l'intera Schiera del Drago Nero. Una guida per gli inesperti, un'autorità per gli indecisi e una speranza per i disillusi: un simbolo in grado di incarnare tutte le virtù che era sua intenzione trasmettere all'intera compagnia. Fanie è in grado di raggiungere ed imporre temporaneamente questo status facendo leva sul potere grezzo contenuto nella sua spada e ricordando gli insegnamenti del suo maestro. In termini tecnici questa tecnica di natura psionica ha consumo Alto e dura due turni. Durante ciascuno dei due turni d'attivazione, la sola presenza di Fanie lancerà un attacco psionico di potenza e danno Bassi sul suo interlocutore principale che, qualora li subisse, si vedrà costretto a comportarsi in maniera sincera ed onesta, a non mentire e a rivelare e scusarsi di tutti i propri peccati. Nel corso dei due turni d'attivazione Fanie godrà anche di una difesa psionica passiva e la sua figura emanerà un'aura di ispirazione e di fiducia valida per chiunque posi gli occhi su di lei, da considerarsi come un ammaliamento psionico passivo. A livello scenico la tecnica può essere interpretata come un'improvviso cambiamento nell'aspetto, nel tono e nel portamento di Fanie, tale da convincere gli altri a credere in lei e a trasformarli in propri alleati [tecnica di potenza Alta].

Note:
Riportato come da confronto, tagliando il più possibile per evitare ciclopicotitanpost. Alla fine Fanie sceglie di dire ad Alastor del possibile tradimento di Gustav e lo mettere al corrente del fatto che lei stessa indagherà, quindi non può accompagnarlo a Lithien.
Mi... sono presa una libertà che spero tu possa apprezza, in caso me ne scuso, di voler descrivere Agata e Lucian che dormono assieme. Si è un'inezia magari, ma quando ci ho pensato l'ho trovata una cosa estremamente toccante e ho detto "perchè no?" L'immaginina che ho messo è puramente ideologica... non ho trovato niente di più appropriato mannaggia a me.
Spero piaccia!

 
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view post Posted on 29/5/2014, 16:21

Lamer
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Lhotar stentava ancora a credere che la sua messa in scena avesse funzionato. Il fumo si era delineato sul lastricato creando l'atmosfera desiderata e lo aveva ricoperto alla perfezione, ma sopratutto i tre tizzi davanti a lui si erano fermati dal compiere qualsiasi gesto fissandolo intensamente.

In quei pochi attimi di silenzio però Lhotar concentrò i suoi pensieri sullo sventurato accasciato come un sacco di patate sopra dei rifiuti. L'uomo che stava scrutando con perizia era assai malandato, ma il suo sguardo non poté che rivelargli chi era quell'essere così malconcio. Davanti a lui, a pochi metri dalla sua posizione, Irwing Ravelon era disteso a terra.

Una risata silenziosa a quel punto uscì dalla sua bocca, ma in poco tempo il Doppielame riprese la faccia seria che aveva tenuto fino a quel momento per via delle parole pronunciate dai tre individui. A quanto poteva capire, nessuno dei tre si aspettava un entrata di quel tipo e specialmente sembrava che fosse la prima volta che un nano incontrava la loro strada.

Intanto che i tizzi parlavano Lhotar udì le campane riecheggiare nel vicolo e per qualche secondo distolse la mente dagli insulti che nel frattempo i tre gli stavano attribuendo. L'aria di quel luogo era decisamente diversa dall'ultima volta che era passato tra quelle pietre perlacee, eppure gli sembrava troppo strano pensare che quel luogo nella realtà era stato totalmente distrutto dagli stessi abitanti che ci vivevano.

Furono le parole dell'uomo più massiccio a riportarlo al presente. Infatti nel frattempo che il gruppo lo insultava e lui pensava a tutt'altro Irwing se l'era svignata approfittando della distrazione dei suoi inseguitori. A quel punto il baffuto ordinò agli altri due di inseguirlo mentre lui iniziò ad estrarre la sciabola.

Solo le sue parole di scherno precedettero la carica dell'uomo. La sua strategia però sembrava alquanto stupida. Infatti arrivato abbastanza vicino l'umano saltò per poi eseguire il suo attacco, un colpo fin troppo prevedibile e facile da parare per un nano abituato ad affrontare attacchi partiti dall'alto.

Lhotar, appena la sciabola iniziò a calare, alzò l'arco e con perizia appoggiò la punta metallica della freccia sulla parte liscia della lama spingendo verso il lato sinistro. L'attrito tra i metalli emise uno stridulo agghiacciante, ma il colpo deviato mancò il bersaglio passando a poco più di una decina di centimetri dalla spalla dal nano.

A quel punto il suo sguardo divenne duro e deciso. Sapeva che non poteva perdere tempo e stare a giocare con un uomo baffuto era l'ultima cosa che voleva, quindi velocemente si spostò di un metro allontanandosi dal suo avversario e scoccò la freccia in direzione del costato dell'avversario cercando di mirare tra le costole, a quel punto, intanto che metteva l'arco a posto ed estraeva velocemente le spade, parlò:

"Mi insulti senza sapere neanche chi sono. Vediamo se dopo la batosta che ti darò ti ricorderai chi sono i nani ed imparerai un pò di buone maniere"

Il frase fu pronunciata con una mistura perfetta tra un tono aspro e uno ironico. Sapeva che gli sarebbe piaciuto sfotterlo per quei baffi inguardabili, ma era cosciente che il tempo gli era padrone e per ciò non si lasciò andare alle fantasie che di solito lo prendevano quando combatteva contro avversari stupidi e incapaci come quello che aveva davanti.

Appena finì di parlare Lhotar si lanciò all'attacco. Le sue due spade brillavano alla luce del crepuscolo di Lithien mentre il suo cuore pompava il sangue ai muscoli delle braccia che si preparavano a manovrare le sue due compagne in modo perfetto ed elegante come un marionettista comanda le sue bambole.

Il primo attacco fu rapido; la lama cercò la spalla del braccio con cui teneva la sua insignificante arma mentre il secondo più complesso si diresse verso il fianco sinistro del suo avversario, ma sapeva che attacchi come quello sarebbero stati inutili.

A quel punto Lhotar si prese una piccola pausa indietreggiando velocemente e pensando con rapidità a un modo per concludere velocemente quella battaglie e inseguire il suo vero obbiettivo; Irwing. All'inizio non gli venne in mente nulla di speciale, ma dopo pochi secondi un idea balenò nella testa del nano che non riuscì a trattenere un sorriso che esplose sulla sua faccia.

Il Doppielame scattò avanti con passi rapidi e corti abbassandosi all'ultimo e creando un primo fendente alla coscia destra continuando poi ripetendo il medesimo gesto diretto allo stesso punto dell'altro arto del baffuto. A quel punto una scarica di adrenalina scaturì dalle viscere del suo corpo e altri sei fendenti si crearono diretti alle gambe del suo avversario.

Finito l'impeto Lhotar si allontanò con un balzo dal suo avversario guardando dritto nei suoi occhi. Probabilmente l'uomo se avesse ricambiato lo sguardo avrebbe visto un misto di rabbia, scaturita dagli insulti ricevuti prima, e di tenacia sempre presente durante i combattimenti negli occhi azzurri caratteristici del clan a cui apparteneva.
A quel punto il nano cercò di capire cosa fare. Sperava che i suoi attacchi fossero andati a buon fine e cercava di intuire se quello fosse il momento opportuno per inseguire Irwing e gli altri due uomini, ma il dubbio lo logorava e ciò lo blocco in un limbo da cui si sarebbe liberato solo vedendo la reazione del suo avversario.



Corpo :-sano
Tot: (0\16)
Mente : - sana
Tot (0\16)
Energia rimanente: 70%

CS : Maestria nell'uso delle armi= 1
Costi: Basso = 5% | Medio = 10% | Alto = 20% | Critico = 40%

Armi:
spade (x2), arco e frecce (x14)

Passive : il possessore del talento ha sviluppato una capacità innata di sfruttare ogni oggetto riesca ad impugnare come una letale arma. Non solo, quindi, l'arma cui è legato e con la quale ha vissuto gran parte della propria vita, o della propria esperienza. Qualunque mezzo, per strano, informe o artificioso che sia, potrà asservire allo scopo designato di ledere il proprio nemico, sempre che la logica e la razionalità lo consentano. Pertanto, potrà sfruttare bottiglie, funi, cinte, sedie, semplici assi di legno o pezzi di metallo, come armi letali che, nelle proprie mani, taglieranno il nemico al pari di una lama affilata o di una poderosa ascia.
Raziale nanica: La razza dei nani gode da sempre di una particolare predisposizione alla vita dura, cosa che li ha resi nei secoli famosi per la loro tenacia senza pari; abituati a vivere nelle condizioni più abiette (sotto terra, dove la roccia viva non offre occasione di coltivare o allevare grandi quantità di vegetali e animali), i nani sono col tempo divenuti meno sensibili delle altre razze alla fatica fisica. Ciò si traduce, all'atto pratico, in una resistenza alla fame, alla sete, all'affaticamento del corpo dovuto a lunghi viaggi o combattimenti estenuanti. In termini di gioco un nano non sentirà i morsi della fame, non avrà bisogno di bere se non quando gli aggrada e non risentirà della fatica durante il combattimento, anche qualora questo dovesse protrarsi a lungo; ciononostante sverrà al 10% delle energie come qualsiasi altro.



Attive:

Freccia: potenza media
Lhotar può scagliare la freccia a potenza media

Parata: il guerriero, muovendo abilmente la propria arma o scudo davanti a sé, può proteggersi da un attacco nemico.
La tecnica ha natura fisica. Il guerriero potrà mulinare la propria arma, o sollevare il proprio scudo dinanzi a sé per bloccare, deflettere o intercettare un'offensiva fisica volta a danneggiarlo. La tecnica consiste in una difesa ampiamente personalizzabile, e può essere attuata anche a mani nude purché nei limiti di buonsenso e sportività. In nessun caso l'attacco parato potrà essere ritorto contro l'avversario. Può bloccare offensive di portata Media o inferiore.
Consumo di energia: Medio

Furia: il guerriero riesce a scagliare fino ad otto fendenti in successione con la propria arma.
La tecnica ha natura fisica. Il guerriero riesce a scagliare fino ad otto attacchi in rapida successione a mani nude, o con la propria arma. La posizione delle varie offensive cambierà in base al movimento compiuto dal guerriero. Questa tecnica può essere utilizzata anche con le armi da lancio. Non aumenta la velocità di movimento del guerriero, ma solo quella con cui compie gli attacchi. La tecnica va contrastata come un'unica offensiva di portata complessiva Alta, avente natura fisica.
Consumo di energia: Alto


Attive dal turno precedente:-



Riassunto:
Paro il colpo con Parata di potenza media tramite la punta metallica della freccia deviando l'attacco e subito dopo uso la freccia a potenza media concessa dal qm. Dopo qualche secondo attacco con un affondo alla spalla del braccio dove tiene la sciabola e con un secondo affondo al fianco sinistro. Infine uso furia di potenza alta, eseguendo otto attacchi diretti alle gambe dell'avversario e poi indietreggio.

Note: Nulla da dire.

 
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PARACCO TRAVESTITO ALOGENO
view post Posted on 29/5/2014, 22:37




Scivolò nell'oscurità come un'ombra, esplorando quel piano che aveva il sapore polveroso dei ricordi.
Il monaco sgusciò accanto a mobili e quadri, senza fermarsi se non per delle sporadiche occhiate, i passi attutiti da tappeti spessi e consumati. Aprì alcune porte, sempre con il cuore in mano, ma senza trovare niente di utile, se non la solitudine di stanze lasciate a marcire da chi un tempo aveva abitato quei luoghi. Scoprì l'unica stanza abitata di quella zona con un sussulto e un'imprecazione strozzata, avvicinandosi a quella mezzaluna di luce come un ladro pronto a far razzia del proprio bottino. Arrivò a toccare la porta, trattenendo il fiato e sporgendosi appena per scoprire chi abitava quella stanza: la scena che gli si presentò davanti non era qualcosa che si aspettava.

Chiuse e riaprì i pugni, ben sapendo che non era ancora tempo per intervenire. Accolse il primo gemito di terrore della ragazza con un grugnito silenzioso, muovendo di scatto la testa verso il corridoio da cui era arrivato. Da quello che era riuscito a capire, quella donna era riservata ad un sacrificio, che era tutto fuorchè lontano a quanto pareva. E i passi leggeri che sentiva provenire dall'oscurità dietro di lui appartenevano probabilmente a coloro che avrebbero dovuto condurre la donna al luogo del rito. Aang guardò verso la porta, poi dietro di sè: i rumori si facevano sempre più vicini, e non aveva vie di fuga. Stretto tra due fuochi, come al solito si vide costretto ad improvvisare: per sua fortuna quella era una dote che non gli era mai mancata.

Assistette allo scambio di parole fra i tre appiattito contro il soffitto, salvato ancora una volta per un soffio dalla sua presenza di spirito. Cercò di non fiatare mentre l'uomo corpulento che aveva ascoltato poco prima - Lord Maghnus, da quello che aveva sentito - blaterava delle scuse con gli altri due, dicendo che la ragazza non era ancora pronta per il sacrificio, nonostante i rumori che provenivano dalla stanza accanto non fossero per niente attutiti dalla porta. Tuttavia parvero credere a quelle parole, o comunque preferirono non indagare oltre, visto che si voltarono e si allontanarono nel corridoio. Lord Maghnus invece parve estremamente preoccupato, perchè si passò una mano sul volto arrossato, come per pensare ad un modo per sistemare quel pasticcio. Subito dopo alzò lo sguardo, e vide Aang.

Dannazione!

Il monaco fissò lo sguardo negli occhi ansiosi del grassone, digrignando i denti per la frustrazione: flettè i muscoli contro il soffitto e fu nel vuoto.
Si gettò su Lord Maghnus il più velocemente possibile: avvolse il suo volto nel mantello mentre il bastone impattava contro la sua tempia, mandandolo a terra privo di sensi.

E sono due per ora...

Tuttavia non aveva ancora finito in quel luogo: finalmente libero di muoversi spalancò la porta, trovandosi di fronte lo stupro di cui quei gemiti erano stati orribili anticipazioni. Un'onda di rabbia rossa gli annebbiò lo sguardo, annegando ogni altra emozione in un vortice di potere. Mosse il palmo avanti, scagliando un dardo di Flux all'indirizzo dello stupratore. L'uomo cadde sul tavolo di mogano, spezzandolo e rotolando per terra. La donna cercò di urlare, ma per fortuna il suo grido venne attutito dal fazzoletto premuto sulla bocca. L'uomo si riprese rapidamente dallo stupore, facendo qualche passo verso Aang ed apostrofandolo con parole dure:

« E tu chi cazzo sei? »

Aang fece per rispondere, ma un dettaglio che prima non aveva notato lo lasciò di sasso. Quel giovane poteva avere la sua età, ma senza i capelli e gli occhi bianchi non l'aveva riconosciuto. E come poteva, adesso, non farlo? Aveva di fronte gli occhi uno Shakan anter Deius ancora ventenne e nel pieno delle sue forze. Tuttavia per quell'esitazione per poco non si prese un buco in pancia: il pugnale brandito dal futuro fantasma gli lasciò una ferita dolorosa sul fianco, schivato appena in tempo dai riflessi del monaco. Tuttavia il dolore lo riportò con violenza alla realtà di quegli attimi, e non esitò a colpire il suo futuro mentore con la durezza che meritava.

Il Flux avvolse il monaco per poi esplodere in un lampo celeste che avvolse l'intera stanza, nascondendo la sua mano chiusa a pugno che si muoveva rapida verso il costato di Lucian. Quella che sembrava più una scazzottata tra ubriachi era invece la punizione più adatta per un uomo perso sulla strada della corruzione che tra qualche anno sarebbe riuscito a trovare qualcosa per cui lottare. Tuttavia in quegli occhi Aang vide così poco di Shakan da sconvolgerlo profondamente: che vita aveva vissuto il fantasma per diventare un uomo dedito al sacrificio, dal giovane nobile pervertito che era stato?

« Solo un vecchio amico, Lucian Alastor. » ringhiò Aang massaggiandosi una mano.
« Venuto a farti qualche domanda. »



Diario del Monaco
Comprensione





Cs totali: 5 (2 in Tenacia; 2 in Costituzione; 1 in Intuito)
Basso 5% ~ Medio 10% ~ Alto 20% ~ Critico 40% ~ Mortale 80%

Energia attuale: 70%
Consumi utilizzati: Basso x3 (15%) + Medio (10%)

Condizioni fisiche: Danno Basso da taglio al fianco sx. Danno Basso da contusione alla mano sinistra.
Condizioni mentali: Illeso.

Bastone del Manipolatore: mano destra.
Balestra: 15/15 - assicurata alla cinta.



Passive in uso:

CITAZIONE
Riassunto Passive
Studio: Passiva razziale umana, non sviene sotto il 10% di energie. + Passiva personale, resistenza alle condizioni ambientali e alla fatica. + Passiva personale, difese a 360° uguali al consumo + Amuleto dell'Auspex, percepisce le auree attorno a lui. + Discendenza arcana, guadagna 2 CS in Intuito ogni volta che un avversario usa una tecnica magica. + Prime due passive dominio Guaritore, guarigioni pari al consumo e possibilità di curare corpo e mente.
L'Immortale indica la via: Sopportazione di due mortali psionici + Immunità al dolore psionico.
Le braccia della mamma: Difese inconsce.
Il bacio della mamma: Guadagna 2 CS in Prudenza ogni volta che usa una tecnica di cura.

Attive in uso:

CITAZIONE
Manipolazione Shen Discipline dei Gran Maestri
Sono in pochi coloro che possono ambire al titolo di Gran Maestri, o Shen Jia. Spesso viene insignito di questo titolo solo chi viene messo a capo di uno dei Monasteri sparsi per il continente. Le loro creazioni con il Flux rimangono spesso nei libri che studiano gli allievi: sono uomini e donne che hanno superato il semplice concetto di Manipolatore, arrivando ad usare il proprio potere per fare qualunque cosa. Chiunque può conoscere gli usi che questi autentici geni della Manipolazione fanno del loro Flux, ma solo un incredibile concentrazione ed un'applicazione allo studio fuori dal comune possono permetterne la realizzazione. Nei libri di Sōngshān ci sono molti libri sui poteri dei Gran Maestri; per esempio, lo Shen Jia del Monastero di Waijia riusciva a rendere il suo corpo talmente affine al Flux da renderlo quasi etereo: per quattro turni e con un consumo Medio di energie qualunque tecnica di natura fisica lo avesse bersagliato sarebbe contata di un livello inferiore. Ma il Gran Maestro usava questa tecnica con saggezza e solo quando necessario: infatti, allo stesso modo ogni tecnica di natura psionica che veniva lanciata contro di lui in quel tempo risultava di un livello superiore, vista la sua minore affinità con il mondo materiale.
Nei libri della biblioteca di Sōngshān si parla anche dello Shen Jia del Monastero di Yijinjing, a cui nulla sfuggiva: si dice che fosse in grado di creare un composto di Flux capace di condividere con lui ogni cosa con cui veniva a contatto, quasi come un'estensione dei suoi sensi. Per farlo gli bastava spendere un consumo Basso affinchè questa utile capacità durasse la bellezza di due turni. A volte però questo espediente non bastava ad esaurire la sua curiosità, costringendolo quindi a prendere lui stesso l'iniziativa: allora con un consumo Basso di energie ricopriva il suo corpo di Flux, dandogli la capacità di volare nell'aria per due turni. La storia dei Monasteri è costruita e puntellata da questi individui straordinari, che hanno contribuito a far sopravvivere la scuola del Flux per centinaia di anni.

[Personale, natura Magica: per 4 turni subisce tecniche fisiche inferiori ma subisce tecniche psioniche superiori [2/10] + Pergamene Sentinella e Ali Spirituali.]

CITAZIONE
Forza Kalarippayattu
Quest'antica arte marziale è sempre stata insegnata nei Monasteri del Flux, e pare sia nata ancora prima che la Scuola Celeste venisse fondata. È una disciplina che mira ad acquisire il completo controllo del proprio corpo attraverso la meditazione e l'uso di particolari oli medici che tonificano e irrobustiscono i muscoli. Quello che ne risulta è un corpo tonico e ben allenato, il contenitore ideale per una mente forte come quella di un Manipolatore provetto. Una delle prime lezioni di questa antica arte marziale è la tenacia: i futuri monaci vengono costretti a colpire tavole di legno finchè le loro mani non sanguinano e il dolore diventa insopportabile, solo allora le ferite vengono medicate e viene imposta la meditazione, addestrando le loro menti a sopportare e superare il dolore. La tecnica che ne risulta in battaglia è pericolosa sia per il nemico che per l'utilizzatore stesso: in genere un pugno mirato a danneggiare l'avversario, ma dato con una tale forza da richiedere un consumo Basso di energie, e con un contraccolpo anche per il braccio utilizzato. Una ferita di livello Basso per la potenza impiegata nel colpo, ma che per l'avversario si trasformerà in una tecnica di livello Medio.

[Pergamena Martirio.]

Azioni:

Aang percorre il corridoio, assistendo al dialogo e accorgendosi troppo tardi delle due persone che stanno arrivando alla stessa stanza. Per evitare di farsi vedere e sfruttando il buio usa Ali Spirituali (consumo Basso) e si appiattisce contro il tetto, assistendo al breve scambio tra i tre. Vede i due allontanarsi e, scoperto da Lord Maghnus, si lancia su di lui stendendolo con una attacco fisico. Spalanca poi la porta della stanza, usando Lampo Spirituale (consumo Medio) contro Shakan per interrompere lo stupro in atto. Riconosciuto il fantasma, rimane per un attimo stupito e per poco non si prende la coltellata in pancia, deviata al fianco all'ultimo momento. Infine, il monaco usa Abbagliare (consumo Basso) e Martirio (consumo Basso e autodanno Basso, potenza Media) per colpirlo al costato e fargli capire di stare al suo posto. :v:

Note:

Dat giovane Shakan, che birbantello! 8D

 
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Gli uomini e le donne avevano bevuto le parole della lettera una dopo l’altra. La bambola guardava le loro schiene raddrizzarsi e le loro mani stringersi a pugno per il desiderio di quella che chiamavano giustizia. Era la loro rabbia a nutrire l’uomo rosso seduto sul trono, era il loro sangue ad essere scivolato più rovente del fuoco. Le pareva di avere ancora quel coltello sul braccio, di provare il brivido della lama sulla pelle. Non importava quale rito stessero compiendo, ciò che contava era solamente il peso del loro odio sotto i cappucci scuri. Ainwen sapeva quanto un odio come quello potesse essere pericoloso, ma non aveva perso tempo a riflettere. La bambola fissava il mondo da sotto il mantello, velata da quella coltre scura, e la sua padrona aveva reclinato leggermente la testa all’indietro, come se fosse stata folgorata da un’improvvisa visione.
Ironico, in realtà, perché nessuna visione avrebbe mai potuto liberarla dalla propria condanna. Lo sapeva anche prima di gettarsi in quell’esperienza terribile, sapeva cosa le sarebbe costato: quando le verità di altri le apparvero davanti le parve di essere ricaduta nella Visione, nel giorno in cui il suo desiderio era stato esaudito e tutto quanto era finito. Così tante immagini, così tanti suoni, così tante parole che si accumulavano nella sua mente come se volessero infrangerla. La sensazione di precipitare, di sfiorare la realtà senza potervi partecipare. Una fitta di nostalgia le strinse la gola, facendole socchiudere leggermente le labbra. Le pareva quasi di poter vedere normalmente, di poter essere come tutti gli altri.
Probabilmente nessuno si accorse di quello che stava facendo, delle lacrime che le rotolarono salate sulle guance. Quando abbassò nuovamente il capo, dopo poco più di un paio di secondi, la folla era ancora completamente assorta nella propria disgustosa occupazione. Sentì di detestarli profondamente, provò il desiderio bollente di stritolare le loro piccole menti ottuse fino a quando non avessero capito di essere solo delle pedine.
Lo sguardo della bambola si spostò scricchiolando verso l’uomo incappucciato. Il suo genitore era morto. Un nemico e degli amici lo avevano chiamato Lucian. Persone che aveva amato e odiato. E lui ora era celato e costretto in ceppi davanti a una folla inferocita. Era stato uno dei primi ed ora era solamente il più infimo degli schiavi. Non sapeva se fosse realmente lui, ma pensava di averlo intuito. Ancora una volta così vicino eppure così lontano. Forse era lì che Irwing lo aveva nascosto, forse non si trattava di capire, forse si trattava semplicemente di agire in tempo.
Si morse il labbro inferiore, sentendo ancora un brivido al pensiero del proprio sangue versato e al possibile destino di quell’uomo in ceppi.
Eccoti, Shakan. So che ci sei.
Ora restava solo da trovare l’altro. E avrebbe dovuto tentare il tutto per tutto, lo sapeva, nonostante al solo pensiero le tremassero le gambe. Lei, sola, contro tutta quella gente che il suo nemico avrebbe potuto muovere come se fosse costituita da un uomo solo. Guardò con desiderio verso il corridoio, ripromettendosi di fuggire se le cose si fossero messe al peggio. Ripromettendosi di non essere sciocca.
L’uomo incatenato, l’uomo che era stato il suo punto di riferimento e il suo obiettivo, si divincolava senza neppure avere la forza di parlare. Un uomo senza volto come lei era una fanciulla senza sguardo. Dubitava che l’avrebbe riconosciuta se lo avesse chiamato. Quanto era più piccolo, più banale, senza il potere a circondarlo. Quanto erano più vicini. Se solo lo avesse saputo quella notte, fuori dalla sua tenda, non avrebbe atteso a parlargli. Ora era lei la sua sola, sciocca, flebile speranza.
Una mano, pallida, scivolò fuori dal mantello scuro, poggiandosi delicatamente sul braccio dell’uomo che le stava al fianco. Non lo guardò in volto, preferì mantenere il viso leggermente in ombra. La voce le scivolò dalle labbra come un pigolio stentoreo.



Dimmi, confratello, che ne sarà di quell’uomo? Non è forse…



Rischiando di essere scoperta, alzando la posta mentre giocava senza poter conoscere le carte. Non sapeva neppure se quello fosse un vero processo o semplicemente una dimostrazione di forza. Sperò solamente di non essersi sbagliata troppo. Si ingobbì, temendo che l’altro l’avrebbe colpita, che avrebbe avvertito tutti della presenza dell’intrusa.



« Il suo destino è nelle mani del Conte Nero; il traditore è responsabile di un terribile crimine, probabilmente il Conte nero affiderà la sua vita alla Triade »



Trattenne il fiato, per il disappunto e per la carezza gelida del terrore.
Avresti dovuto saperlo.
Dove c’è l’amico ci dovrebbe essere anche il nemico, eppure se le pareva tutto troppo facile, tutto troppo vicino, troppo semplice da afferrare. La sua mano si era fatta forse un poco troppo pesante, il suo respiro troppo affaticato? Era il borbottare della folla quello che sentiva attorno a sé o era semplicemente il suono del proprio cuore che le rimbombava nelle orecchie? Avrebbe voluto essere forte, più forte di tutti loro, essere un eroe. Avrebbe voluto saltare su quel palco improvvisato e dichiarare che stavano sbagliando. Ma lei era Ainwen, gli eroi erano da qualche altra parte, ad assistere a qualche altro evento.
Dovrai accontentarti, Shakan.
Pensò a cosa sarebbe successo se avesse fallito, se la Triade si fosse portata via Lucian Alastor, detto per qualche motivo Shakan lo stregone. Un sorriso ironico e carico di disperazione le affiorò alle labbra. Forse una persona più forte di lei, più sicura, non avrebbe avuto paura. Non sarebbe stata fremente di panico e di rabbia.
Con un gesto fluido aprì il mantello, liberando la vista della perla che portava incastonata nel petto, segno di quello che era diventata, della corruzione che aveva accettato di controllare. Mentre la stoffa ricadeva morbida la sua mano rimase levata, le dita appena schiuse, quasi stesse invitando un cavaliere a ballare. E invece da suo palmo scivolò, densa, una nebbia impenetrabile quanto il mistero che stava cercando di svelare.
Solo gli eroi combattono alla luce del sole. Quelli come lei potevano contare solamente sull’effetto sorpresa. Si sarebbe lasciata scivolare tra la gente, per una volta a parti invertite, evitando di sfiorarli mentre loro non avrebbero saputo distinguere la destra dalla sinistra. Avrebbe comodamente salito il palco per una seconda volta, senza nessuno a metterle fretta, e si sarebbe fermata davanti al prigioniero, ignorando completamente i suoi carcerieri. Non aveva la decisione per sfidarli, non se non fosse stato assolutamente necessario.
Lo avrebbe guardato in volto, dritto negli occhi di lui, in quegli occhi che per un istante sarebbero stati più ciechi dei suoi. E se veramente fosse stato quello che immaginava, quello che sperava con tutte le proprie forze, gli avrebbe poggiato una mano sulla guancia e poi sulle labbra, attirando il suo viso verso il proprio e impedendo alle parole di lui di spandersi attorno, per sussurrargli nell’orecchio una domanda apparentemente del tutto fuori contesto.



Lucian Alastor…Cosa ha fatto Irwing Ravelon?



Solo il tempo di farsi dare una risposta, solo qualche secondo perché dicesse la verità, prima di porre una nuova domanda, forse ancora peggiore della prima. Una domanda da creatura vile e insensibile.



Dove si nasconde la verità?



E nei suoi occhi vuoti sarebbe trascorso un lampo di crudeltà sopita, di quella stessa cattiveria che tante volte le era stata riservata.




Perchance to Dream

Cs. 4.[Astuzia] 1.[Intuito]*
*Proviene da un Occhio
B.[4%] M.[8%] A.[16%] C.[32%]

Energia. 100% - (Medio x1) = 92%
Fisico. Illesa
Mente. Danno Medio

Armi. Coltello



.Passive.


Stratega. Capacità di riconoscere le illusioni di cui è vittima, difesa psionica passiva e immunità al dolore psionico
Bambola. Visione attraverso gli occhi della bambola e auspex delle anime; possibilità di cambiare l'aspetto esteriore della bambola ad ogni giocata
Collana elfica. Possibilità di utilizzare la bambola in combattimento [la bambola gode di 3 CS]
Passiva razziale umana. Non sviene al di sotto dell 10% delle energie*


.Attive.


Invero, potrà anche nascondersi nell'ombra, indebolendo il fisico dell'avversario, strappando pezzi della sua carne e bivaccando con la sua sofferenza, con la crudeltà che contraddistingue solo coloro che apprezzano ciò che hanno, dopo aver perso troppo per ricominciare a vivere serenamente. {Ainwen può evocare una coltre di occhi fittissima, all'interno della quale potrà vedere solo lei; gli occhi permangono come nebbia per due turni e l'Oracolo potrà utilizzarli per emettere dei piccoli fasci di luce che possono bruciare il corpo dell'avversario - contano come attacchi fisici - (Consumo Medio + Autodanno Medio Psionico, natura magica).

.Riassunto.



Ok, è una totale pazzia ma cerco di giustificarmi. Ainwen ascolta la lettura della lettera e usa la passiva a sua disposizione per richiamare i ricordi di Lothar. Da questi deriva le seguenti conclusioni:
1. Si parla di un certo lord Alastor, il quale è morto
2. Anche Shakan, che Irwing chiama Lucian, era un Alastor (come ainwen ha saputosia dai ricordi di Lothar che dalle quest precedenti)
3. Appare anche la figura di Irwing, che però nel ricordo di Lothar è in pericolo: qualcuno lo vuole morto
4. Nel ricordo di Ainwen, invece, è in ceppi un uomo che parla della morte del suo genitore, del suo potere e di qualcuno che gli è succeduto. Presumibilmente, se non è tutto un caso, l'uomo in ceppi potrebbe essere Lucian Alastor, e quindi Shakan.
5. Inoltre si parla della triade ed essa è sicuramente ricollegabile a Shakan e anche ad Irwing.
6. L'uomo che chiamano il Conte Nero potrebbe quindi essere Irwing (?). Ainwen ha qualche sospetto derivante dai ricordi di Lothar (ciò che gli ha detto il veterano) ma non è sicura.

Decide quindi di agire: diffonde grazie all'artefatto dell'occhio una nebbia densa su tutta la stanza, e muovendosi raggiunge il palco e vi sale. Probabilmente nessuno degli altri presenti riesce a vedere e lei non intende comunque combatterli. Si limiterebbe ad avvicinare il viso di Shakan al proprio (ammesso e non concesso sia lui. Ainwen ne è praticamente certa, Anna un po' meno xD) e gli porrebbe le due domande che ho scritte. Infatti, sebbene salvare Shakan le prema particolarmente, e sebbene potrebbe essere il vero Shakan quello che si trova davanti, pensa sia più importante soddisfare la condizione posta dal nemico e scoprire chi sia Iwring.
Per questo cerca di trovare risposta a quanto detto dai sicari nel ricordo di Lothar per iniziare a ricostruire qualcosa sull'uomo misterioso.

.Altro.



Spero di non morire ç_ç

 
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45 replies since 11/5/2014, 20:37   1222 views
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