Dalle Cronache
della Fenice
Il Destino è una questione di Scelte.
E' una credenza comune ritenere che la nostra vita sia scritta nel flusso del tempo, un flusso immutabile, dove ogni cosa accade perché accadrà nel nostro futuro e sarà accaduta nel nostro passato.
Io non credo nel fato, ho slegato la mia vita da quella serie infinita di “causa ed effetto”, che aveva condizionato per intere esistenze la mia vita per colpa della Maledizione.
Gli Inferi mi avevano liberato da quel circolo vizioso chiamato Fato, ma ancora non avevo appreso che la libertà comportasse sempre un prezzo da pagare, che ogni scelta slegata dal cammino scritto per noi alla nascita portasse con sé delle conseguenze spesso imprevedibili.
E nulla in quel mio viaggio mi aveva fatto presagire la scelta che sarei stato costretto a fare entro breve, il bene che avrei voluto perseguire, se quello di un popolo dimenticato dalla storia o quello di una singola persona.
Per correre in Suo aiuto...
avrei dimenticato il reale motivo per cui stavo vagando nel deserto dell'Akeran...
Avrei dimenticato l'ingiustizia fatta ad un popolo vessato dalle catene della schiavitù...
Se il Destino è solo una questione di scelte, allora perché quando si trattava di Lei non esisteva nessun'altra scelta, nessun'altra opzione se non Lei stessa?
Erano ore che mi muovevo tra quelle lande sabbiose con l'unica compagnia la luce delle stelle. Presto avrebbe fatto giorno, una nuova alba che avrebbe messo a dura prova il mio fisico se non avessi trovato un riparo dal caldo torrido, giusto il tempo per concedermi un po' di riposo. Quasi rimpiangevo le piogge acide che si manifestavano in alcune regioni dell'Akeran.
Facendo appello ai miei ricordi, da qualche parte verso est, si ergeva una parete rocciosa che nascondeva uno di quegli insediamenti sotterranei, che avevo avuto modo di vistare, mio malgrado, nel Plakard, ma che stavano prendendo piede anche in altri luoghi. Insediamenti noti per la loro pessima nomea, più pericolosi della stessa fauna che aveva fatto di quell'habitat desertico la sua dimora. Eppure non erano rare le persone disposte a rischiare la propria vita in quei cunicoli sotterranei che chiamavano città, pur di non essere ancora coinvolte in quei sanguinosi conflitti, sempre più frequenti, che stavano sconvolgendo l'intero Akeran. La paura, la disperazione, l'orrore era percepibile in coloro che vivevano lontano dalla protezioni offerta dalle città in superficie. Una sicurezza effimera, in realtà, con la presenza demoniaca che si stava espandendo ad una velocità impressionante.
Ed era quello il motivo per cui mi stavo dirigendo a Taanach in tutta fretta.
Controllando sulla mappa, stimai che mi sarebbero occorse alcune ore di cammino sotto il sole per raggiungere la zona in questione. Sarei stato costretto ad effettuare una deviazione dal mio percorso, ma era preferibile piuttosto che continuare lungo l'antica via carovaniera con il rischio di trovare un'altra oasi devastata.
Sciolsi la fusciacca annodata sulla tunica che indossavo sopra i pantaloni, arrotolandola sulla testa per formare un copricapo improvvisato.
Era mattina inoltrata, mi ero fermato un istante per asciugarmi con il dorso della mano il sudore dalla fronte, sorseggiando qualche goccia d'acqua dalla borraccia per placare l'arsura della gola, quando la vidi.
In un primo tempo pensai ad un miraggio, ad uno scherzo dovuto alla calura, poi percepii la presenza di una fonte magica, che si stava muovendo nella mia direzione.
Istintivamente lascia fluire l'energia arcana verso l'esterno, pronto a difendermi da quell'emanazione magica di cui ignoravo la provenienza, maledicendo l'aver abbassato la guardia anche se per pochi attimi.
Una figura umanoide si stava avvicinando. Una donna dai capelli del colore delle fiamme, di una bellezza rara eppure letale, che si muoveva sulla sabbia senza lasciare alcuna traccia.
Per un istante pensai ad un inganno, ad un'allucinazione. Sbattei più volte le palpebre cercando di scacciare quella follia visiva, ostinandomi a non credere a quello che si trovava a pochi passi da me.
Un'apparizione che non aveva alcuna ragione dei esistere in quei luoghi, eppure la magia che vibrava attorno a me era tangibile.
Io conoscevo quel volto, non avrei mai potuto dimenticarlo...
Zaide...
Era un'apparizione, nulla di quello che vedevo era reale, uno specchio di quei ricordi che avevo lasciato a Taanach.
Eppure le sue iridi smeraldine, il suo sguardo triste sembravano così veri.
«Lady Zaide... Cosa...»
Le parole morirono in gola, quando una lacrima di sangue scivolò lungo la guancia, macchiando la sua veste candida. Rivoli cremisi tinsero inesorabilmente l'abito, mentre i suoi lineamenti mutavano, le ferite straziavano la sua pelle, distruggendone l'incanto, la bellezza, fino a renderla l'ombra di quello che era... una creatura decrepita, le cui fattezze si stavano rimpicciolendo, destinate a scomparire da questo mondo, perse nei miei ricordi come un miraggio.
Eppure la sua voce non avrei potuto dimenticarla, né quella singola parola sussurrata prima di trasformarsi in cenere.
-...Aiutami...-
Non restò più nulla di lei.
Uno sbattere d'ali. Sollevando la testa il mio sguardo si soffermò su quello di un corvo. Il volatile mi fece ritornare alla mente il giorno in cui mi ero separato da Speranza, la figlia di Zaide. Un nome temporaneo fino a quando non avrei potuto chiamarla con quello vero.
Anche quella volta era presente un corvo.
E quando cominciò a volare verso una direzione ben precisa, non restai a riflettere su cosa fare, ma lo seguii cercando di non perderlo mai di vista.
Sapevo che quella via non mi avrebbe condotto a Taanach, sapevo che avrei rinnegando i miei propositi di cercare qualcuno di influente che comprendesse l'importanza di proporre una tregua tra gli abitanti delle città e il popolo dei ani prima che fosse troppo tardi...
E pur sapendolo, avevo scelto una nuova destinazione, per mantenere fede ad una promessa fatta tempo prima...
«Abbi cura di te e della mamma, Speranza.
Il tuo fratello Kirin, ci sarà sempre per voi.
E' la mia promessa.
Il mio giuramento...»
Le Saline, uno dei luoghi più pericolosi dell'Akeran.
Ne conoscevo l'esistenza, ma non mi ero mai avventurato in quelle lande prima d'ora.
Giravano strane voci su quel luogo e nessuna rassicurante.
Eppure quel corvo non aveva esitato a dirigersi proprio lì.
Il sole era alto nel cielo quando individuato un carro rovesciato sperduto in quelle terre aride.
Il corvo sorvolò la zona per poi sparire, terminando il suo compito di guida, di messaggero.
Mi schermai la vista dal sole, facendomi ombra con la mano destra tesa orizzontalmente, con il pollice e indice poggiati sulla fronte.
Osservando più attentamente la zona, mi accorsi di non essere solo: qualcuno sembrava aver trovato riparo dall'arsura rifugiandosi all'ombra del carro.
Mi avvicinai cautamente.
Due donne, una inginocchiata sull'altra, che giaceva distesa sul terreno a poca distanza da me.
Ad una prima occhiata non davano l'idea di avere intenzioni ostili.
Avvicinandomi di qualche passo, mi resi conto che la donna in ginocchio aveva ereditato il sangue di due popoli: orchi e umani.
Da quella posizione non riuscivo a vedere distintamente i lineamenti dell'altra.
«Scusate...» esordii, cercando di assumere un tono pacato, pur mantenendo i sensi all'erta. Un passo dopo l'altro per cercare di affiancarmi alla mezz'orca.
«Ho visto il carro rovesciato e...» le parole mi morirono in gola. Pur con il volto sofferente, sporco di sangue e sabbia, arso dalla salsedine, non avrei potuto non riconoscerne i lineamenti.
Lady Zaide?
«ZAIDE?»
Fissai sconvolto il corpo martoriato della donna. Mi inginocchiai a mia volta, mentre strattonavo il copricapo per recuperare la fusciacca.
«Mi serve dell'acqua, l'ideale bollita, ma suppongo non sia possibile... Dobbiamo fermare l'emorragia... pulire e poi fasciarle le ferite.» esordii rivolto alla sconosciuta, non curandomi del tono di voce, forse un po' troppo brusco. Mi sarei scusato una volta che Lei fosse stata al sicuro.
«Zaide... sono Kirin, mi riconosci? Chi ti ha ridotto così? Dov'è...» Non terminai la frase.
No, non dovevo penare al peggio...
Ci doveva essere una buona ragione se la bambina non era con sua madre.
Eccomi, scusate il ritardo.
Auguro a tutti quanti una divertente giocata!