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Four Shields Tavern, L'incontro

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Sigfrid
view post Posted on 15/6/2014, 22:19




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Un mustang dal mantello marrone, con criniera e zampe bianche, se ne stava placidamente legato ad un palo antistante l'abbeveratoio, sotto l'emblema della taverna recante quattro scudi sovrapposti.
Il muso dell'equino affondava pigramente nell'acqua stagnante, mentre la coda oscillava a destra e a sinistra, scacciando via le mosche che si assiepavano sul quarto posteriore dell'animale.
Un paio di lanterne ai lati dell'ingresso illuminavano fiocamente il portone di legno scuro, segnato da diverse incisioni non meglio identificabili da chi non conoscesse il linguaggio segreto della feccia che si annida tra i peggiori vicoli di Taanach.
Era una calda ed afosa serata estiva ed all'interno del locale illuminato da una serie di candelabri affissi alle pareti vi erano pochi avventori: nell'angolo di destra, quello più distante dall'ingresso, insisteva un camino spento davanti al quale giaceva una pelle di tigre a fungere da tappeto.
Al tavolo più prossimo vi erano due personaggi intenti a giocare a scacchi: uno di essi era Sigfrid, vestito semplicemente con una casacca nera smanicata ed aperta sul torace, ancora avvolto da una serie di bendature bianche a risparmiare soltanto le braccia ed il collo.
Le ferite dell’ultima battaglia contro i Mercenari di Cassio erano ormai in via di guarigione ma avrebbero lasciato segni indelebili sul corpo dell’uomo.
Un paio di pantaloni leggeri di lino color marrone, con evidenti segni di usura all’altezza delle ginocchia, andavano ad infilarsi in stivali di cuoio scamosciati con risvolti in pelle, di qualche tonalità più scuri delle braghe.
Adagiate sul tavolo due bandoliere contenenti una decina di lame da lancio ciascuna mentre la spada bastarda era portata a tracolla: l'elsa brunita svettava obliqua dietro la schiena del mercenario, appena sopra la spalla destra.
Evidentemente aveva ripreso a fumare giacché un sigarillo tenuto lateralmente tra le labbra diffondeva un forte aroma di tabacco speziato che aleggiava nel salone, confondendosi e mescolandosi con l'odore di sottofondo del luogo: cibo e sudore.
Nella mancina un boccale di idromele che portava alle labbra di tanto in tanto, quando la destra andava a cogliere il sigaro tra le dita, per lasciar spazio alla bevanda alcolica.
L'altro giocatore era un ragazzetto forse nemmeno maggiorenne: capelli rossi raccolti dietro la nuca in un corto codino, orecchie a sventola e faccia lentigginosa, su cui spiccavano due occhi azzurri e vispi.
Indossava abiti da sguattero composti da un lungo camice grigiastro pieno di macchie non meglio identificabili, pantaloni scuri fino alle ginocchia e scarpe basse di pezza.
Data la somiglianza, con tutta probabilità doveva essere il figlio dell'oste che stava pulendo i boccali con uno straccio dietro il bancone: un omaccione corpulento di mezza età, dalle sopracciglia folte e lo sguardo torvo, quasi completamente calvo, fatta eccezione per alcuni capelli rossicci ai lati del cranio lucido.
Oscar Freeman era il suo nome ed era abbastanza conosciuto nella zona: oltre ad essere l’oste, era anche il proprietario della taverna.
Sotto il grembiule bianco indossava pantaloni scuri e stivaletti bassi, il tutto corredato da un machete che penzolava minaccioso dal suo fianco sinistro.
Un paio di baffi rossi, folti e ben curati, adombravano l’espressione delle labbra perennemente contorte in una smorfia di disgusto.
Oscar lanciò un'occhiata storta ad un ubriaco che giaceva privo di sensi riverso a faccia in giù sul tavolo centrale: se non fosse stato uno dei suoi migliori clienti, sicuramente lo avrebbe già buttato fuori a calci in culo.
Da quel poco che si riusciva a vedere di quel poveraccio in coma etilico, doveva avere una certa età: mani rugose e radi capelli grigi, lunghi e stopposi, ricadevano sul tavolo e nel piatto sporco su cui aveva affondato la faccia.
Diverse bottiglie vuote disseminate sul ripiano di legno ed un solo boccale, indicavano inequivocabilmente che se le fosse scolate tutte da solo.
Tutto sommato doveva avere con sé abbastanza grana per potersi permettere una lunga giacca di velluto blu con spalline ed inserti dorati lungo le maniche, abbinata a pantaloni dello stesso tessuto che scendevano fin sopra un paio di sandali di cuoio.
Poco più in là un cagnolino bastardo dal pelo corto, di un marroncino chiaro, scodinzolava felice mentre rosicchiava un osso gettato da uno dei quattro avventori seduti al tavolo lungo la parete a sinistra dell’ingresso: erano quattro figure ammantate di nero da capo a piedi intente a confabulare tra loro sottovoce, davanti a ricche portate e calici di vino.
Quello a cui erano seduti era il tavolo più in disparte ed era palpabile attorno a loro un alone di mistero, tanto che perfino il buon Freeman evitava accuratamente di volgere lo sguardo nella loro direzione.
Sulla parete opposta, accanto al tavolo di Sigfrid ma separato dalle scale che salivano al piano superiore, c’era un altro tavolo occupato da due puttane in pausa pranzo: Nora e Lilli erano abbastanza note in tutto il circondario per la loro esperienza nel settore oltre che per il fatto di essere le uniche due meretrici che da anni intrattenevano i clienti della Locanda ai Quattro Scudi.
Molto spesso le scambiavano per sorelle per quanto si assomigliassero, anche se Nora aveva una decina d’anni più dell’altra: boccoli rossi scendevano soffici su due seni esuberanti , strizzati in un corpetto nero di due taglie più stretto collegato tramite un paio di corte bretelline laterali ad un’ampia gonna a sbuffo dello stesso colore.
Collo e polsi adorni di gioielli luccicanti, tre file di orecchini per lobo e trucco pesante, non lasciavano certo adito a fraintendimenti sull’effettiva professione della donna.
Occhi verdi e pelle bianchissima, proprio come la collega Lilli, anche se la ragazza più giovane aveva un aspetto leggermente più sobrio : stessi capelli rossi ma raccolti in una lunga treccia dietro la nuca, trucco leggero e solo un brillantino al naso.
Indossava un lungo abito di seta blu scuro, impreziosito da uno spacco laterale lungo la gamba sinistra ed un cinturino dorato alla vita. Un’ampia scollatura dietro la schiena compensava in qualche modo la pudica fasciatura anteriore dell’abito che si chiudeva a collo alto lasciando scoperte soltanto le spalle e le braccia.
Entrambe le Signore calzavano eleganti scarpette intonate al vestito, munite di tacchi che facevano guadagnare loro una decina di centimetri in altezza.
Gli ultimi due avventori erano seduti alle due estremità opposte del bancone: quello all’estremità di destra dava le spalle all’ingresso e sorseggiava pigramente un boccale di rum.
Capelli neri legati in un rozzo codino dietro la nuca, casacca bianca e pantaloni a zompa fosso. Probabilmente era un mezzelfo perché aveva due orecchie leggermente appuntite, anche se alla sinistra mancava buona parte del lobo.
Sembrava scalzo, ma a guardar bene si era tolto i sandali di legno che aveva lasciato sotto lo sgabello accanto a quello su cui era seduto.
Aveva una faccia sfregiata e bruciata dal sole che gli conferiva l’aspetto di un vecchio lupo di mare: una fascia di velluto rosso cinta attorno alla vita e la sciabola che penzolava al suo fianco sinistro, avrebbero certamente aiutato a confermarne l’apparenza.
L’ultimo cliente invece era seduto su uno sgabello alla sinistra del bancone ad angolo ed offriva il profilo destro all’ingresso: un mezzorco alto circa due metri, dal grugno schiacciato e la pelle tra il verde ed il grigio, addobbato con un corpetto di cuoio borchiato a lasciare scoperte due braccia possenti e muscolose.
Pantaloni neri e stivali di pelle, aveva un’ascia a due mani dietro la schiena e se ne stava lì tranquillo a tracannarsi direttamente dalla bottiglia la sua razione giornaliera di grog.
Oscar Freeman terminò di pulire l’ultimo boccale e lo ripose capovolto sulla mensola insieme agli altri.

“Kenny, alza il culo da quella sedia e libera il tavolo del vecchio!”

Perentorio, l’oste si rivolse al ragazzetto che stava giocando a scacchi con Sigfrid, indicandogli il tavolo su cui era stramazzato l’ubriaco.
Il ragazzo, in tutta risposta, sbuffò sonoramente e fece la sua mossa: mangiò un pedone avversario con il cavallo e fece scacco al re.

“Ma dai pà, proprio adesso che sto vincendo contro Siòr Frido!”

Sigfrid accennò un sorriso: Kenny lo chiamava in quel modo da quando suo padre lo aveva assunto come buttafuori, per tenere lontani dal locale clienti indesiderati ed attaccabrighe.
Anche Nora e Lilli avevano iniziato a chiamarlo così, ma a lui più di tanto non importava: gli bastava avere vitto e alloggio in cambio della protezione che le sue lame potevano fornire al locale.
Il mercenario aspirò un’ampia boccata dal sigaro, seguita subito dopo dall’ultima sorsata di idromele che c’era nel boccale, prima di posarlo, vuoto, sul legno scuro del tavolo.

“Bella mossa Kenny: fa quello che dice tuo padre, continuiamo dopo, mh?”

Il ragazzino si alzò controvoglia dalla sedia e tenendo il broncio andò ad eseguire gli ordini del padre.
Sigfrid adagiò la schiena alla sedia e volse un’occhiata distratta verso la finestra: quasi tutto di quel luogo gli riportava alla mente l’Ospizio del Vecchio Elfo.
La sua stanza al piano di sopra, la numero sette, come allora.
Gli odori, i suoni, i tavoli, le luci, i clienti, le puttane: soltanto pochi ed insignificanti dettagli sembravano cambiati. Eppure c’era sempre qualcosa che, inevitabilmente, non tornava.
Era quel velo sottile che calava davanti agli occhi ogni mattina, quando sollevava il viso al cielo, nel cercare la sua libertà.
Era quel riflesso che non trovava più, ogni volta che osservava le luci dell’alba.



Map1
S=Sigfrid
K=Kenny
O=Oscar
N=Nora
L=Lilli
U=Ubriaco
C=Cane
M+R+T+P=Incappucciati
D=Mezzelfo
V=Mezzorco
G=Gertrude


Edited by Sigfrid - 16/6/2014, 00:02
 
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