Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Saltanatın ordusu - arruolamento, Arrivo di Karon

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view post Posted on 13/7/2014, 13:59

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Saltanatın ordusu - arruolamento



Nel mondo nanico, s’era venuto a generare un piccolo e flebile equilibrio interno. Eppur, quel periodo di pace – seppur fittizio – che aveva dato inizio alla Terza Era, era destinato a cadere rapidamente, sbalzato via dall’ennesima guerra che avrebbe sommerso e distrutto Theras. I nani, che tanto faticosamente avevano trovato il modo per rialzare la china, cercavano in ogni modo di preservare quella pace. Qashra, la piccola perla del meridione, era ormai diventato un borgo all’avanguardia e un punto di riferimento per tutto il Sud del Theras. Le barriere razziali erano ormai un lontano e pallido ricordo, e la cooperazione tra le varie etnie qualcosa di ordinario. L’unica minaccia, o per lo meno quella più concreta, proveniva dai demoni. Per quanto il rischio maggiore partisse dalle insenature del Sürgün-zemat, la landa dell’esilio non era l’unico passaggio per Bathos, difatti, alcune rovine naniche, erano diventate dei baluardi per la resistenza demoniaca. Nel sottosuolo di quelle città, durante scavi per il riassestamento delle fondamenta, i gruppi nanici finivano per essere attaccati dalle creature che li abitavano. Non erano che sparuti gruppi di demoni o di corrotti, non abbastanza per costituire una reale minaccia, ma sufficienti per far sì che i nani stessi prendessero delle precauzioni. Per questo, molto presto, ci fu l’esigenza di costituire un esercito ordinario. Nella città variopinta, presto sorsero volantini ovunque per il reclutamento. La grande caserma ai piedi della città divenne un enorme campo d’addestramento per i soldati e le reclute, mentre il sentimento d’appartenenza al Sultanato presto si espanse in tutti i cittadini di quel regno. Qashra, si presentava come una città dai colori variopinti e dall’architettura impreziosita di magnificenti giochi di forme che sfociano, insieme all’esasperato uso dei colori, in una ricerca esuberante del massimo apice che l’arte – fantasiosa e il più possibile priva di canoni che ne limitassero il talento – potesse raggiungere. Qashra trasudava dunque, persino dai muri di marmo e pietra, l’accettazione verso la diversità, ostacolata, in minima parte, da una barriera di sottile diffidenza. La città dunque, divenne l’icona della rinascita, della ricerca d’una nuova vita, della seconda possibilità negata altrove. La via del soldato, pareva rispondere a tutti quelli che, non avendo in dote particolari talenti – se non quello per la spada – o finanze cospicue per mettersi in proprio, volessero sfuggire alla vita di stenti raminga o la noiosa monotonia di quella da contadino. La caserma, in linea con i canoni magnificenti del resto della città, si presentava come una grossa struttura a pianta quadrata interamente costruita in marmo. Al centro di essa, v’era lo spazio dedicato all’addestramento, un grosso campo dotato di tutte le attrezzature necessario: dai manichini, ai bersagli, alla zona per l’addestramento a corpo a corpo. La parte esterna, invece, era adibita agli alloggi dei veterani e degli strateghi o chi, privo di un’abitazione, facesse richiesta per una camera. All’ingresso, v’era un ampio salone per l’accettazione, un nano, dietro una scrivania di marmo, compilava miriade di scartoffie da far firmare alle nuove reclute. Il nano, aveva una barba lunga legata in numerose treccine, tutta la barba era tinta d’un forte blu elettrico che, contrastava, con la pelle abbronzata e gli occhi neri.

« Benvenuto, il mio nome è Özgü – esordì il nano in lingua comune, con una cadenza tipica degli abitanti del Sultanato – qui puoi far richiesta per entrare nel nostro esercito. L’esercito del Sultanato è composto prevalentemente da due forze armate, fanteria e archibugi, con un piccolo corpo costituito dai cavalieri, per lo più di razza umana. »

Il nano osservò quell’essere quasi con interesse, non ne era spaventato, nonostante la grandezza mastodontica e l’aspetto tutto fuorché amichevole, invero ne era curioso, quasi ne fosse attratto.

« Se lo desideri puoi esprimere una preferenza per uno dei corpi armati, ma saremmo comunque noi a decidere – in base alle tue capacità – ciò per cui sei più utile. »

Özgü osservò l’essere, quasi fosse già sicuro in quale dei corpi armati sarebbe finito.
Troppo grosso e pesante per un cavallo, troppo grezzo per un’arma da fuoco, tuttavia la sua forza avrebbe potuto far comodo nella fanteria.

« Se lo desideri, potrai avere una stanza per te all’interno della caserma. »

A quel punto il nano, con le sue mani piccole e forzute, tirò fuori un blocco di fogli.

« Inserisci nome e cognome in alto a sinistra, qui la preferenza e, in ogni foglio in basso a destra, una firma. Se non sai leggere, né scrivere – il nano guardò scettico l’essere – dammi i tuoi dati che compilo tutto io e basta mettere una X. »

Özgü allungò una penna d’oca e una calamaio in direzione della possibile recluta.

« In caso di morte, e qualora non avessi parenti stretti a cui affidare i tuo possedimenti, ogni tuo avere passerà in possesso del Sultanato e dell’esercito a esso. Tradimenti, ammutinamenti e diserzioni non saranno in alcun modo tollerati e possono essere punite con la pena maggiore.
Domande?
»



CITAZIONE
Benvenuto a te e buon arrivo nell'Akeran!

In questa scena o miniquest riceverai una valutazione sulla base delle tre S ovvero: Scrittura, Strategia e Sportività. In caso di una buona prova, potrai essere promosso alla Fascia Gialla o Verde, altrimenti rimarrai Bianca. Riceverai inoltre una ricompensa in Gold a seconda del tuo risultato, mentre a me andrà una ricompensa fissa di 400 Gold al termine del mese. Non badare ai miei post che potranno essere scarni e di bassa qualità, ma pensa a dare sempre il massimo. Per dubbi, domande e quant'altro, il thread della tua richiesta sarà quella dove confrontarci.

Note: Ti trovi a Qashra, nella capitale del Sultanato. Ti ho presentato, in maniera sommaria, la città, lascio a te la libertà di descrivere come ti presenterai alla caserma e per quale motivo o che percorsi hai fatto per arrivarci, insomma molta libertà. Una piccola specifica, l'esercito nanico è composto tra il 90-95% di nani, le altre razze sono in netta minoranza, quindi fai attenzione a ciò che inserisci nel tuo post. Per il resto, buon divertimento e buona fortuna.
 
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view post Posted on 15/7/2014, 13:10
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Nuovo arrivato
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ἐρημία - Esilio


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Le coperte, come il sonno, non possono proteggerlo. Le grida ritornano.
Non può fare a meno di udirle, non può ignorarle. Un'altra notte attende, questa volta senza raffiche di sabbia cocente. Il deserto dell'Akeran calmo attorno a lui, luna rossa.
Una notte perfetta, una notte da cacciatore. Ma non è ancora tempo di cacciare e fino ad allora è solo una preda.
La tunica e la spada a portata di mano. Le grida forti, chiare in modo sconvolgente. Non può ristabilire il silenzio, può solo alzarsi dalla sabbia

spada trascinata, un passo davanti all'altro, cammina avvolto nel rosso dei suoi abiti e dei suoi incubi
Non si volterà indietro fino all'alba.


Il rosso mescola i ricordi

~ ~



Immerge il viso nell'acqua. Non beve da giorni e questo corpo ha ancora bisogno di essere nutrito e dissetato. Questo schifo di corpo. Beve a sazietà, riempie l'otre legato alla cintura, nulla da mangiare ma non può lamentarsi. Sfila la veste e gli abiti, si immerge, lava la sabbia e lo sporco, getta la veste nella pozza e lascia che si impregni d'acqua. Strappa strisce di stoffa umida e vi si avvolge il viso e il corpo. Molto, molto meglio.
Altre grida.
Non afferra la spada, il suo primo pensiero è gettarsi nell'acqua, tacere, aspettare fino a che non passino. O lasciare le armi, la sacca, qualunque cosa e correre a perdifiato nel deserto. Strapparsi le orecchie per smettere di sentire, strapparsi gli occhi per non vedere. E le sue mani, tremanti, si afferrano la testa e la stringono in una morsa mentre si piega su se stesso, orribile feto deforme. Come sempre, per prima è venuta la paura. Poi la vergogna.
Si rialza, umiliato da se stesso e dalle proprie emozioni, il viso è una maschera immobile. Fissa l'orizzonte, forse con sfida, forse ancora con paura. Ma dopo viene la rabbia: le sue mani tremano, i denti sono serrati in una morsa e un lento ringhio nasce nella sua gola e cresce fino a riempirgli il cervello. Rabbia contro di loro, rabbia contro di se. Ferocemente, afferra la spada e la sacca, si volta verso sud come innumerevoli volte ha già fatto.

Spada trascinata, un passo davanti all'altro, cammina avvolto nel rosso dei suoi abiti e della sua rabbia repressa.
Non si volterà indietro fino al tramonto.


Il rosso confonde i ricordi

~ ~



Non ci sono urla. Solo sibili e schiocchi. Il suono di qualcosa che striscia e di qualcosa di affilato che sfrega sui muri.
Lui è immobile e trattiene il fiato, la spada è stretta in mano e il braccio trema. Paura, rabbia, entrambe. La schiena premuta contro il muro di quella casa sventrata, le sue orme in quel villaggio distrutto e vuoto cancellate dal deserto. E' stato attento, è stato cauto, ma non abbastanza perché stavolta loro sono già qui. Il suo petto si alza e si abbassa, gli occhi scattano da un lato all'altro della stanza, se sudasse avrebbe già impregnato la veste. Stringe i denti e il cervello urla al corpo di calmarsi: il suo cervello ha vissuto più di un quarto di secolo in un soldato e conosce il suo corpo, conosce le sue reazioni, conosce quello che può fare, non il migliore degli uomini ma mai il peggiore, la sua spada sa colpire, le sue braccia sanno ferire, i suoi piedi sanno schivare. Il suo corpo sa uccidere. Ma quello non è più il suo corpo e del suo cervello se ne frega ora che sente chiaramente strisciaremorderestrideremuoversipesantemente quella cosa che non è mai stata un uomo, non è mai stata debole, non è mai stata preda.
Insegnalo lei
La bestia è sveglia. Gli artigli circondano il suo cervello, le zanne riempiono la sua mente, la sua voce è fatta morsi e artigliate. Puoi farlo mostrarlo mostrargli fargli vedere fargli sentire essere mangiatostrappatodivoratodistrutto No, non può farlo, chiude gli occhi disperatamente e prega la bestia prega se stesso di tacere e di lasciarlo concentrare: trovare una via di fuga, fuggire lontano, distrarre la cosa in qualche modo e lasciarla indietro nella corsa.
Perché?
Perché ha paura, perché è debole, perché è un uomo e un uomo non può...
Ricorda. Lo vede come se accadesse ora, davanti a lui. L'uomo con la barba bianca agita l'alabarda, i tentacoli di spine che stringono Karon vengono falciati dalla lama. Ora è libero e non trema. Non può farlo davanti a lui, davanti all'uomo che gli tende la mano e gli porge una spada. "I guerrieri esistono per questo" ricorda le sue parole, i suoi occhi neri mentre lo solleva e si volta verso il prossimo nemico "Uccidere mostri"
"Gli eroi delle storie esistono per uccidere mostri.
E se i mostri esistono davvero, allora esistono anche gli eroi."

Riapre gli occhi, i muscoli si distendono, il suo corpo si fa più dritto contro il muro. Certo che può. Un mostro non può ucciderne un altro, non ne ha la forza né le capacità, perché i mostri sono vigliacchi e sfuggenti, i mostri sono lupi capaci solo di cacciare pecore. Stringe la spada ma adesso la lama non trema e i suoi occhi brillano di rosso nel suo viso scuro. Un mostro non è un guerriero, per questo non può uccidere altri mostro, solo gli uomini lo sono. La mano sinistra sale a sfiorare il viso, segue le linee degli sfregi e la linea delle labbra. Cicatrici fresche, squarci che non spariranno mai, per ricordarsi che è ancora umano.
I guerrieri combattono contro i mostri. Se muoiono nel tentativo, aye, è una buona morte.
Sono pronto
Il suo pensiero è il pensiero della bestia. Inspira aria, serra le dita ad artiglio, i muscoli si tendono, gli occhi si stringono e divengono due lame, ruota su se stesso ed esce dal suo nascondiglio con un solo movimento fluido, la spada davanti a se e i denti scoperti in un ruggito. Non c'è nessuno.
Niente schiocchi, niente fruscii, niente si trascina nella sabbia, niente sfiora le pietre dei muri con gli artigli. Niente lo cerca più in quel luogo.
I suoi occhi scrutano ogni angolo, cercano segni sulla sabbia, sfregi sui muri, i suoi piedi su muovono per farlo girare su se stesso, la sua spada puntata in ogni direzione. No, non c'è proprio più nessuno. Si chiede se ci fosse mai stato, o se era stata solo una fantasia della sua mente spezzata. Ma prima di darsi una risposta crolla all'indietro, per terra. Il cuore riprende a battere furiosamente, le braccia riprendono a tremare, il respiro è affannoso e la spada viene gettata lontano.
Merda... si stringe, si avvolge più che può nella veste, cerca protezione, conforto, cerca di smettere di tremare ma non può. Il pericolo è passato, la rabbia è passata. Resta solo un cuore che batte troppo forte e arti che tremano.
Poi riprendono anche le grida.
Questa volta non ha esitazioni. Raccoglie la spada e si lancia in una corsa feroce. I piedi affondano nella sabbia, la spada lascia un solco dietro di se, la veste sbatte per il vento, il calore gli fa lacrimare gli occhi il calore o la paura. Corre fino a farsi mancare il fiato, corre fino a piagarsi i piedi, fino a farsi scoppiare il cuore

Spada trascinata, i piedi incapaci di mettersi uno davanti all'altro in ordine, corre senza nulla ad avvolgerlo, si sente nudo e scoperto dinanzi al nero.
Non si volterà mai più indietro.


Il rosso è i suoi ricordi

~ ~



Da quanto tempo cammina? Si strofina gli occhi e tenta di mettere a fuoco mentre striscia nella sabbia. Una città in lontananza... viva o distrutta? Non sa quante miglia ha percorso, se ha attraversato il deserto da parte a parte o se ne è ancora nel mezzo e quello è un miraggio. Ma le grida sono cessate. Sbatte febbrilmente gli occhi e si guarda attorno. Le grida sono cessate, ma da quanto sono cessate? Non se n'è accorto fino a quel momento. Così come non si è accorto di non sapere dov'è, da quanto cammina, forse neanche in che direzione stava andando. Era nord, ma ora potrebbe essere dovunque. Si stringe il cranio tra le mani mentre si tira a sedere, gli occhi premuti sui palmi delle mani, il cervello lavora per ricostruire gli ultimi giorni settimanemesianni? inutilmente: solo immagini confuse. I ricordi sono pezzi di un vetro infranto da tempo e disperso tra le sabbie ricorda notti rosse da cacciatore, qualcosa che forse recupererà dopo una dormita, dell'acqua fresca e qualche giorno di pace, qualcosa che maledirà e pregherà di perdere ancora ricorda oasi limpide, pozze in cui si immerge, le urla chiare persino sott'acqua, o qualcosa che mai tornerà e che mai rimpiangerà ricorda fruscii schiocchi e ruggiti e grida e la cosa che lo circonda e la sua spada che trema mentre la bestia urla mordistrappadivora, in ogni caso un fallimento. Stringe la presa sulle sue tempie. Neanche pensare lucidamente gli è facile e i pensieri si trascinano in monologhi privi di senso, frasi sconnesse, brandelli di ricordi e di incubi. Ma è inutile restare seduti nella polvere a pensare: c'è una città. Vita. Civiltà. Forse, finalmente, salvezza.
Ha gettato la spada lontano, ancora non comprende se la ama e desidera o se lo ripugna solo stringerla in mano, la raggiunge e la solleva, incastrandola in qualche modo tra le cinghie che gli attraversano la schiena.
Civiltà vuol dire salvezza.
Il suo viso, sotto il cappuccio rosso, è teso, freddo. Le labbra serrate e gli occhi socchiusi, a osservare con sospetto.
Civiltà vuol dire persone.
Non ha esitazioni, non vuol mostrare di averne: le sue gambe divorano la distanza tra lui e la civiltà un metro dopo l'altro, mentre la sua schiena si raddrizza, i suoi muscoli si tendono e le zanne si scoprono in una minaccia senza suono. Le mani chiuse ad artiglio, la veste rossa è sangue che scorre spinto dal vento.
Persone. Altri. Umani. Non umani. Demoni.
Rabbia. Irrequietezza. Paura.


Paura

Le labbra si muovono senza che glielo ordini. Le orecchie sono mute alle sue stesse parole. La mente non elabora, qualcosa di più grande ha preso il controllo ora. Istinto. Psicosi. Trauma. Qualcosa che gli ordina di tendere i muscoli, mostrare le zanne e incutere terrore, tenere tutti alla larga.

Devo ... nascondere ... nascondere la mia paura.

Essere nero e terribile. Come i demoni.

Non vogliamo problemi Canavar

Nani. Strano. Di guardia al portone d'ingresso, le armi in pugno, ma non sono ostili e persino l'ultima parola è detta solo con durezza, non con spregio. E' difficile quantificare di quanto li sovrasti, ma probabilmente servirebbero tre di loro per guardarlo negli occhi. La veste rossa sembra quasi viva su di lui, mossa dal vento del deserto, la spada è ferro nero grande quanto un uomo e il suo viso è ferro grigio sfregiato. Non hanno paura.

Tu non vuoi darceli, giusto?

Dovrebbero avere paura. Dovrebbero tremare. Dovrebbero star zitti e lasciarlo passare, non parlare come se nulla fosse... dovrebbero. Non sa cosa fare. E da nessuna parte, nel suo cervello, appare anche l'ombra di una semplice constatazione: non sono un pericolo, entra pure. Per questo rimane immobile a fissarli, senza rispondere, mentre le due guardie si scambiano un'occhiata perplessa. Forse ora lo credono pazzo, o stupido. Forse ora alzeranno le lance e lo colpiranno, forse ora finalmente gli mostreranno davvero che intenzioni hanno, forse...

Tutto bene, straniero? Ci capisci?

Parlano la lingua comune fluentemente e lui capisce. Capisce e non capisce. Cosa dire, cosa fare, come muoversi... ma ora si sono preoccupati per lui, gli hanno chiesto se va tutto bene e uno dei due gli si avvicina tenendo la lancia bassa. Sul viso un sorriso bonario

Non ti facciamo niente, siamo solo di guardia contro i cattivi. Tu non lo sei, vero?

Leggono lo sconcerto sul suo volto, lo capisce. Gli parlano come parlerebbero a un bambino. E' grosso, scuro e armato. Ma il suo viso dice solo grosso idiota. Stringe le zanne. Non vuole che leggano le sue emozioni, non vuole che lo credano un demente, solo non riesce a capire se sono una minaccia o no. Non ricorda più... non ricorda il tempo in cui esistevano esseri viventi che non fossero una minaccia. E allora perché si è avvicinato alla città? Se lo chiede da solo, mentre osserva il nano farsi avanti sorridendo, l'arma sempre verso il basso, l'altro dietro di lui appena più teso, appena più attento. Pronto a intervenire se si fosse avventato sul suo compagno. Questo lo capisce, questo lo sa vedere.

Pazzo
di nuovo la bestia che ha in testa parla con la sua voce
Sto solo diventando pazzo.

Ed è vero. Deve fare qualcosa però o resteranno li in eterno. Si chiede se debba colpirli, ucciderli in quel momento ed entrare in città al calare della notte, avuta ora la conferma che era abitata. Abitata da nani, qualcosa che ancora non riesce a capire. Si chiede chi colpire per primo, come, cosa fare poi con l'altro, se sarebbe abbastanza forte e veloce per non essere fermato e ferito. Poi per la prima volta ascolta la voce che sussurra debolmente al suo orecchio: e se fossero davvero innocui?

Non lo sono ... non sono cattivo

si è scordato cosa vuol dire avere attorno persone gentili, tutto qui

non sono canavar
... mi dispiace



Abbassa il viso, il cappuccio gli copre gli occhi, supera il primo nano con un passo e con l'altro è già in città, gettato tra la folla. Dietro di lui le guardie parlano tra loro. Non sente che sussurri spezzati. Solo un pazzo. Tenerlo comunque d'occhio


~ ~

μέτοικος - arruolamento


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La città è magnifica. Non la conosce, né il nome che ha chiesto in giro ha risvegliato qualche ricordo. La perla del meridione... si sforza di ricordare quali città a nord della sua fossero rinomate in tutto l'Akeran. Tanaac o qualcosa del genere e un'altra (o sempre la stessa?) che chiamavano Purgatorio... no, forse non era una città ma una prigione, non ricorda. E' passato troppo tempo, tempo che per lui è costato una vita intera e non è mai vissuto abbastanza vicino al centro da conoscere qualcosa in più rispetto ai racconti e i pettegolezzi dei mercanti. Nessun racconto però aveva mai parlato di una tale bellezza, troppa quasi da guardare dopo il deserto amorfo: le colonne splendono di luce propria, lisce come acqua calma o increspate in forme che non comprende, vere e proprie cascate di pietra e marmo; non esiste colore che non decori le mura e sfumatura che non sorga nel mischiarsi degli elementi, niente è sbiadito, rovinato o abbandonato; statue grandi quanto e più di lui sembravano muoversi per tutta la città, tanto erano diffuse e precise nei dettagli, vive, pulsavano e i loro occhi lo seguivano mentre si spostava tra di esse. Urtò e venne urtato, più volte sbatté contro muri o carri, ma i suoi occhi non riuscivano a staccarsi da esse, a saziarsi. Colori, forme, vita, gioia, risate, persone... ancora i muscoli erano serrati e il suo viso scrutava con sospetto chiunque gli passasse vicino, ma dopo che la sua realtà si era limitata a sabbia e cielo grida per troppo tempo, ora i suoi sensi erano famelici. Di più. Più colori, più suoni, più forme, più emozioni. Voleva di più.
La criniera di un leone è pietra ambrata, le venature la rendono ancora più realistica. I muscoli di un eroe mitologico -strano... anche lui un nano... come molti in quella città- sono marmo tagliato e modellato con perizia a il vigore espresso da quella statua non potrebbe essere maggiore se fosse viva. Il rosso di quella parete brilla più della sua veste ed è altrettanto intenso e profondo. Lo osserva, desiderandolo per se.
La musica è alta ed è ovunque, cantano nelle strade, cantano delle taverne, cantano di battaglie che non conosce e di imperi che non esistevano ancora quando lui era uomo, parlano di eroi leggendari di cui vorrebbe sentire le gesta, Yeniden Birleşme... parlano di questa, qualunque cosa sia. Parlano del Crepuscolo e di storie che conosce conosceva ma ora non ricorda. Vaga per le strade ascoltando, osservando, toccando, assaporando. Si ubriaca di percezioni. Quasi scorda il suo incubo. Quasi.
Poi vede una macchia bianca, tra i colori che i suoi occhi bramavano. Un pezzo di carta affisso su un muro. Reclutamento.
Quello che cercava, quello per cui si era esposto alla civiltà e alle sue luci accecanti. Lo stringe tra le dita e lo strappa dalla parete, avvicinandolo al viso. Che fortuna. Non sorride, ma qualcosa che non è rabbia né paura si fa strada dentro di lui. Piacere. Soddisfazione. Desiderio. Lascia cadere il volantino a terra e rientra nella folla. Trovare una caserma. I suoi pensieri scorrono veloci mentre cammina, inconsapevole di non sapere dove andare. Trovare un esercito, trovare qualcosa che era suo per renderlo di nuovo suo. Armi, armature, marce, uomini che si scontrano, uomini che cadono, sangue versato, ossa che si spezzano... spade che uccidono, lance che impalano, mazze che rompono, cavalli che schiacciano, si, questo, solo questo, basta zanne che strappano, basta artigli che sfregiano, basta corpi giganti che strisciano. Non riesce a impedire alle sue dita di contrarsi al solo pensiero. Basta pelle coriacea da tagliare, basta parole inframmezzate da ruggiti, basta brandelli di carne strappato a mani nude. Non riesce a impedire ai suoi occhi di ardere al solo pensiero. Basta strisciare nel fango mentre bestie fiutano l'aria, mentre insetti grandi quanto persone ti succhiano il sangue, mente la terra stessa si apre sotto i tuoi piedi. Non riesce a impedire al suo corpo di piegarsi e correre al solo pensiero.
Una vita normale. Non aveva mai desiderato altro. Sposta le persone a spallate, rischia di schiacciare i nani ad ogni passo, ma corre, ringhia, si piega in avanti fin quasi a spezzarsi. Una vita normale, vissuta per servire il suo re, per onorare la sua casata, per rendere famoso il suo nome ben oltre le porte del piccolo regno che abitavano. Era un soldato, certo che era preparato al dolore, alla morte, alla sofferenza, all'orrore... ma l'inferno, quello non lo desiderava, non aveva mai chiesto nulla di quanto successo. E la cosa peggiore era che, nascosta nel profondo della sua mente, c'era ancora la verità: la colpa era...



Il flusso dei suoi pensieri rallenta. Come una corrente che incontra un ostacolo troppo grosso per passarci semplicemente attorno, i suoi pensieri sono paralizzati dinanzi alla struttura che lo sovrasta. Marmo ovunque. Non credeva che una struttura del genere potesse essere così magnifica. Era abituato alla grandezza, alla pietra, al ferro, alla magnificenza, ma ora si rende conto di quanto poco conoscesse dello splendore. E per un attimo, ma solo per un attimo, il suo viso mostra stupore. L'emozione è raccolta all'istante e affonda nell'indifferenza su cui è costruita la sua espressione. Però è stupito, si, e non poco. Muove qualche passo verso l'ingresso, ma una lancia è ora verso di lui. Istinto, la sua mente vi affoga. I piedi scattano indietro, i muscoli si gonfiano, la mano destra scatta verso il manico della spada mentre la mancina ad intercettare la lancia. Riacquista lucidità prima di fare qualcosa che non vorrebbe. Nessun pericolo, non era una minaccia, solo un altro nano, un'altra guardia, che lo fissa con aria truce, tutt'altro che allegra come all'ingresso.

L'arma, Canavar

la sua voce è ferma. E' calmo e perfettamente padrone della situazione, lo sente nelle sue parole, lo vede nei suoi occhi, lo avverte nella sua presa sull'arma. Di nuovo il suo cervello si interroga sulla minaccia, ben più reattivo e pronto dopo quanto successo all'ingresso. Ma stavolta la sua paranoia tace. Lasciare l'arma. Normalmente una richiesta inaccettabile, la premessa di un'aggressione, ma qui, nel mondo dei fanti e dei cavalieri, di soldati ed eserciti, di armi e armature, qui, nel mondo che conosce gli sembra accettabile. Ufficiali, generali, nobili... nessuno farebbe portare ad uno sconosciuto un'arma vicino a questi. Quindi, con la stessa sicurezza con cui era stato quasi sul punto di attaccare ai portoni, si slaccia le cinghie di dosso e lascia scivolare la spada a terra, sollevando una nube di polvere dietro di se.

Sono qui solo per arruolarmi, mastro nano

la sua voce è ferma, la postura sicura, i suoi occhi ardono quanto quelli del guardiano. Ora è nel suo ambiente. Ora non vi è paura da nascondere, solo la sicurezza di un uomo che ha marciato tra i suoi fratelli, ha sentito il peso del nemico contro il suo scudo, il fragore della carica nelle orecchie, il plauso degli uomini nella vittoria.

Le armi non ci mancano, te ne daremo quante ne vorrai se diventerai uno dei nostri. Questa potrai riaverla dopo.

Non gli sorride neanche ora, ma il suo viso si rilassa e lo stesso la lancia nelle sue mani. Fa un passo indietro e si sposta, liberando l'ingresso. La porta enorme, abbastanza grande da far passare persino lui senza bisogno di chinarsi, sembrava improvvisamente piccola una volta osservato l'ingresso: un salone vastissimo, quasi l'anticamera di un castello, anch'esso interamente di marmo. E persone, tantissime persone. Tutte nani. No, non tutti, intravede qualche umano, quasi giganti rispetto agli altri, ma pochi, così pochi che di nuovo si domanda perché tanti nani in quella città. Non aveva mai sentito di un tale insediamento in un solo luogo, eppure ovunque guardasse non vedeva altro. Si muovevano nella stanza trasportando fasci di fogli, o armi ed attrezzature, altri più semplicemente si muovevano rapidi nella calca e sparivano nelle numerose porte.

Benvenuto, il mio nome è Özgü

Il nano seduto alla scrivania si era rivolto verso di lui e lo squadrava da capo a piedi, per niente diffidente. Di nuovo gli occhi di Karon si riempirono di colore dinanzi alla sua barba blu elettrica. Il colore risaltava sulla sua pelle scura e sul candore della stanza. Ne era ipnotizzato e quasi non batté le palpebre mentre questi gli parlava

qui puoi far richiesta per entrare nel nostro esercito. L’esercito del Sultanato è composto prevalentemente da due forze armate, fanteria e archibugi, con un piccolo corpo costituito dai cavalieri, per lo più di razza umana.

Sultanato... cos'è? Avrebbe voluto chiederlo, ma già l'altro aveva ripreso a parlare. Sultanato... il nome di un qualche regno? Non ne aveva idea, non lo aveva mai sentito nominare da nessuno prima della fine. Forse era nato da poco. Un regno... l'enorme statua del nano, guardie naniche alle porte e alla caserma, quasi esclusivamente nani qui dentro... di nani? Che idea ridicola... o forse no.

Se lo desideri puoi esprimere una preferenza per uno dei corpi armati, ma saremmo comunque noi a decidere – in base alle tue capacità – ciò per cui sei più utile.

Si risveglia dai suoi pensieri. Corpi armati. Ha difficoltà a concentrarsi, ha esagerato nel presentarsi li appena arrivato, senza riposare. I suoi pensieri scorrono da soli in direzioni che non è interessato a percorrere. Concentrarsi su quello che ha davanti e su quello che conta. Corpi armati a cui unirsi, esattamente quello che vuole, alla sola idea la sua figura sembra farsi ancora più alta, più sicura. Immobile come le statue che adornano la città, in questo ambiente Karon emana solo sicurezza, anche se sporco, lacero, confuso dalla fatica, stordito dai suoi stessi pensieri. Fanteria, ricorda distintamente di non essere mai stato un grande cavaliere, in queste condizioni ancor meno mostro
Zitto. Non è il momento di avere una crisi. Non il luogo, non il momento
si affonda le unghie nei palmi mentre il nano continua

Se lo desideri, potrai avere una stanza per te all’interno della caserma.

Non. Ora. Lentamente la crisi si ferma. Le sue palpebre smettono di tremare, il suo stomaco di torcersi e i conati si affievoliscono. Il suo corpo... sbaglia ma non riesce ancora a restare lucido. Per questo non deve pensarci. Non deve pensare al suo corpo.
Sposta lo sguardo sulla pila di fogli che il nano gli passa, qualunque cosa pur di non ricadere in una crisi. Qualunque pur di non lasciare ancora i suoi pensieri liberi di torturarsi. Emana sicurezza, si, ma basta poco a trasformare la sicurezza in furia, la furia in morte.

Inserisci nome e cognome in alto a sinistra, qui la preferenza e, in ogni foglio in basso a destra, una firma. Se non sai leggere, né scrivere, dammi i tuoi dati che compilo tutto io e basta mettere una X.

Aveva ragione Lui. Sei un mostro di ferro gigantesco, gli aveva detto. Le persone si faranno una certa idea su di te, aveva continuato. Sii all'altezza delle loro aspettative.
Normalmente ripensarci lo costringerebbe a piegarsi in due dall'ira, qui, davanti a quei fogli, gli viene solo da ridere. Ma non ride, si limita a intingere una delle unghie nel calamaio, consapevole di non poter afferrare delicatamente la penna d'oca con quelle dita grottesche. Lascia scorrere poi la mano sui fogli e traccia lettere dure, quasi incisioni, non ha esitazioni e la sua mano non trema, eppure non riesce ad ottenere niente di diverso da graffi neri, rabbiosi, sul foglio.
Karon, l'unico nome che può avere, Fanteria, l'unico corpo in cui può combattere, uno sfregio nero l'unica firma che può dare.

In caso di morte, e qualora non avessi parenti stretti a cui affidare i tuo possedimenti, ogni tuo avere passerà in possesso del Sultanato e dell’esercito a esso. Tradimenti, ammutinamenti e diserzioni non saranno in alcun modo tollerati e possono essere punite con la pena maggiore.
Domande?


Nessuna.
Nessuna.
Proprio nessuna.



Ora è allo stremo, troppo provato persino per essere toccato da un riferimento così diretto al baratro in cui si trova. Nessun parente stretto. Nessun parente. Nessuno. Completamente solo. Ma la sua testa pulsa e i pensieri ora franano, mentre tenta disperatamente di restare lucido. Non ha reazioni. Non ne avrà per questa volta.
Ci sarà tempo per rimpiangere ciò che è stato, maledire ciò che è e incupirsi per ciò che sarà.
Ora è stanco, troppo stanco.
Un letto dove il suo corpo possa smettere di muoversi o una spada con cui muoversi senza pensare. Un'arma umana, da stringere in quelle dita mostruose. Qualcosa che gli ricordi perché è ancora qui a strisciare nella sabbia, piuttosto che sotto terra a soffocare marcendo.

Ok, iniziamo. Post luuuuuuuuuuuuungo lo so, ma c'era tanto da dire nel primissimo post, spero non sia anche noioso. La prima parte descrive l'estenuante attraversamento delle Sürgün-zemat, a piedi e delirante, e ho preferito descriverlo con diverse scene brevi piuttosto che un unico testo che sarebbe stato alla fin fine un "riassunto" del viaggio. La seconda ovviamente è l'arrivo a Qashra e relativo arruolamento. Buona fortuna a me.


Edited by Bigby - 15/7/2014, 22:10
 
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« Molto bene, adesso ti faccio accompagnare sul campo di addestramento, così avrai modo di mettere a frutto le tue abilità. »
Özgü guardò per l'ultima volta quell'essere con vivo interesse, scrutandone i lineamenti duri quasi metallici, la pelle scolpita nell'acciaio. Il nano avrebbe voluto studiarlo a fondo, capire cosa e perché lo avesse generato in quel modo e quale fosse il motivo della sua esistenza. V'erano molti interrogativi che il nano avrebbe voluto porre a Karon - a quanto pare quello era il nome della bestia - ma, per puro rispetto, il nano desistette da ogni tentazione.
« Orsha, ORSHA! Maledetto ragazzino vieni qui! »
Dopo qualche secondo, un giovane nano arrivò correndo goffamente sulle sue gambette tozze. In confronto a Özgü, Orsha era un nano molto più giovane, un nano poco più che adolescente, vestito con una veste multicolore che era un'accozzaglia di schizzi cromatici sparsi lungo l'abito. La barba, a malapena accennata, era rossiccia, mentre i capelli lunghi, aggrovigliati su se stessi formando dei rasta, erano buttati all'indietro stretti in una coda, ed essi erano di quanto più colorato potessero essere. I capelli erano tinti di ogni colore presente su Theras, ogni rasta era di un colore diverso, mentre il viso era pallido e ricolmo di lentigini con occhi d'un profondo verde. Orsha era incredibilmente curioso, il suo animo era sospinto dalla giovale freschezza d'un adolescente. Il ragazzo fece un profondo inchino in direzione di Özgü, tuttavia mantenendo un'espressione sorridente.
« Accompagna Karon al reparto di fanteria. Tulunay starà già addestrando i nuovi. »
Orsha annuì col capo, sempre sorridendo.
« Seguimi Karon. »
Disse il nano con una voce squillante prima di scomparire dietro a una porta.
____________ _____________ ____________

« Allora che ne pensi? »
Karon e Orsha erano giunti in un grosso spiazzale situato proprio al centro della caserma, il campo era un grosso spiazzale tutto in terra brulla e privo di qualsiasi vegetazione. I soldati erano divisi a seconda dell'armata a cui appartenevano e ogni gruppo - sotto l'osservazione d'un comandante che li allenava e li istruiva - era intento ad addestrarsi. Senza aspettare la risposta, Orsha proseguì indicando un gruppo di nani - ben fornito - che si stava allenando a coppie. Un nano, dall'aspetto duro e coriaceo, dalla barba e dai capelli rossicci, con la pelle d'un forte color mattone, stava strigliando un gruppetto di soldati alle prime armi. « I Caduti lì fuori non aspettano che voi scegliate cosa fare, loro attaccano e basta. Non importa se lo fanno con due artigli, con la destra o con la sinistra, oppure a morsi. Non importa quale arma impugnino o se non ne impugnano nessuna. Voi, indipendentemente dall'avversario, alla prima avvisaglia di pericolo, dovete agire. » Le reclute intorno al nano annuirono tutte silenziosamente, molti erano con le braccia incrociate, altri spostavano il peso sull'una o sull'altra gamba.
« Molti di noi, sono più piccoli e meno forti degli avversari che ci troveremo davanti. Partiamo in svantaggio contro la maggior parte dei nemici, e storicamente ci hanno considerati un popolo debole, facilmente sottomettibile. Con la foga e con la rabbia ci siamo ripresi ciò che era nostro. Ma ora qualcosa deve cambiare, non potete, e non possiamo, permetterci di combattere solo attraverso l'istinto o le emozioni. Dobbiamo combattere imparando a usare bene il nostro corpo e le nostre qualità. »
Lo stesso discorso era utile sia per i nani che per quelli appartenenti alle altre razze. Quello del nano era un addestramento, e uno stile di combattimento, volto a primeggiare tutti gli altri avversari e le altre tecniche. Era uno stile di combattimento studiato dai nani più eruditi, che avevano impostato questa "arte" sullo studio metodologico del corpo, sulla totale efficacia di una tecnica poiché basata sulla mera fisica e biomeccanica per raggiungere, attraverso l'allenamento costante, la massima efficacia di ogni colpo, indifferentemente della forza, stazza o velocità di chi si ha dinanzi.
« Lui è il comandante Tulunay, tra di noi viene considerato una specie di Maestro. Si dice che appartenga a una grande famiglia di Nani, e che l'arte che oggi insegna sia sopravvissuta a tutte le ere. »
Nel tono della voce di Oshra v'era del profondo rispetto, come se quasi venerasse Tulunay. I due si avvicinarono al nano, esso aveva soltanto un'armatura leggera con spallacci e gambali in metallo, per il resto solo duro cuoio. In pugno stringeva una scimitarra senza lama, utile solamente a scopo didattico e di allenamento.
Oshra s'inchinò dinanzi a Tulunay e, con una gomitata, invitò il mostro a fare lo stesso.
« Maestro lui è Karon, vorrebbe essere una sua recluta. »
Tulunay guardò l'essere intensamente, i suoi occhi neri scrutavano le pieghe di quell'uomo. Ovviamente, il nano, non aveva visto, nella sua lunga vita, mai nulla del genere, ma ormai era talmente tanto abituato a certe mostruosità, soprattutto durante la battaglia della Riunificazione, che non lo stupiva davvero più nulla.
« Benvenuto, dammi una buona ragione perché dovrei volere uno come te nel mio reparto. » La sua voce uscì dura. « D'altronde, non sei molto diverso dai mostri che combattiamo. »



CITAZIONE


Note: Ti ritrovi al cospetto di Tulunay, una personalità importante all'interno dell'esercito del Sultanato. Adesso rapportati a lui come ritieni più opportuno.


Edited by Lud† - 26/8/2014, 22:08
 
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view post Posted on 21/7/2014, 23:14
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arkhamasylum1

Non può ancora riposarsi. La tempia pulsa e un dolore sordo si sta diffondendo lentamente in tutto il viso, ma lo ignora. Non è ancora tempo di lasciarsi andare e lo vede chiaramente negli occhi del nano dinanzi a lui. Curiosità, ne è quasi sicuro. Nessuna ostilità né timore quanto vorrei che ci fosse ma solo sincera curiosità. Si sente studiato, squadrato e analizzato, per questo stringe più forte la veste rossa e il viso diviene più duro. Il suo corpo è una fortezza impenetrabile, ogni cosa attorno a lui è una potenziale minaccia ma nessuna è capace di scalfirlo, questo vuole dire. Non ringhia, non digrigna i denti, non mostra le zanne, ma l'immobilità del suo viso è eloquente. Ascolta attentamente le parole di Özgü e dentro di sé ruggisce: Addestramento dice alla voce che è un ringhio, ma gli artigli attorno al suo cervello rispondono CarneSudoreSangue e sa che non potrà impedirselo. Strappare carne, assaporare sudore, leccare sangue.
Non succederà risponde la voce che era la sua Tanto meglio poter mostrare subito chi sono. Non un animale, non un mostro, non Canavar, ma un soldato.
Tuttavia non si concede di sorridere ed ancora è impassibile mentre, con soddisfazione, osserva Özgü chiamare un altro nano, un ragazzo persino ai suoi occhi, che di nani ne ha visti ben pochi e difficilmente ne saprebbe distinguere i tratti somatici. Un nano eccentrico e sfarzoso quanto la città che vive: la veste e i capelli sono un campo di fiori multicolore e di nuovo rischia di perdervisi, come è stato nelle vie della Perla del Meridione, ma stavolta il suo cervello è troppo stanco e il ringhio nella testa troppo forte. Non concede un'istante a quei colori, desidera solo raggiungere immediatamente il campo di addestramento e poter finalmente abbandonare la lentezza del pensiero cosciente.
Silenzioso ed ancora rigido, come un animale dinanzi al cacciatore, segue il ragazzino, senza degnare più di uno sguardo il reclutatore. Curioso, già, lo guardava davvero con curiosità... Quasi spera che lo segua fino al campo per vederlo all'opera. Spaventa lui dice il suo istinto Terrorizza. Fa urlare scappare tremare quando vede te Così che anche lui non possa mai provare a ferirlo.
La curiosità è pericolosa, lo sa bene. Anche lui è stato curioso, ed ecco il risultato.

~ ~



Cosa ne penso?
Quell'affarino dalla voce squillante prima fa domande e poi si allontana senza lasciarlo rispondere, ma non crede che l'avrebbe fatto. Però se lo chiede per davvero. Cosa ne penso? Casa. Sente la terra sotto gli stivali, sente il puzzo dell'addestramento, l'odore acido dell'acciaio, l'odore umido del legno, il sudore e lo sporco. E sente, lo sente davvero, se stesso che si rialza, riprende forma, assume le grezze ma distinte sembianze di un uomo. Si sente a casa e quel posto risveglia qualcosa in lui che credeva di aver perso.
Un grosso spiazzo di terra, ma non avrebbe desiderato altro; soldati di ogni genere impegnati nell'allenamento, nani per la maggior parte, a conferma di quel pensiero che inizialmente gli era sembrato stupido: quel posto era terra loro. Il Sultanato era dei nani. Per come ne aveva sentito parlare non credeva si trattasse di una sola città, forse una lega? Una confederazione? Quasi rise all'idea... un regno? Ma nello stesso tempo si incupì. Troppe, troppe cose erano successe mentre era rimasto nel deserto. Era rimasto ad arrancare mentre la realtà era andata avanti, ora doveva cercare di fare il possibile per raggiungerla.
Si scuote, irritato dall'essere nuovamente sprofondato a seguire il corso senza senso dei suoi pensieri, e nota che il ragazzino gli sta indicando un gruppo. Nani si allenano a coppie, brandendo spade curve, con movimenti che non conosce. Socchiude gli occhi. Ecco, questo è interessante: che tecnica stanno cercando di eseguire? Non è la scherma che conosce, né l'ha mai vista eseguire. Probabilmente qualcosa proprio solo del loro esercito. Interessante, davvero interessante. E davanti a loro ecco il comandante.

I Caduti lì fuori non aspettano che voi scegliate cosa fare, loro attaccano e basta.

Di nuovo socchiude gli occhi, perplesso. Caduti... chi sono? Il loro nemico? Allora doveva esserci una guerra in corso. Constatazione stupida. Ci sono sempre guerre in corso, ma forse questa era qualcosa di più importante del solito.

Non importa se lo fanno con due artigli, con la destra o con la sinistra, oppure a morsi.

Morsi. Morsi. Morsi. Morsi e artigli.
Karon si irrigidisce, per un attimo perde la percezione del mondo attorno a se. La realtà diventa una nebbia indistinta e silenziosa. Tranne che per le grida. Scuote la testa, non ci sono grida, basta, Basta. Si sforza di far tornare la realtà e di riprendere il controllo. Ma quando il mondo torna, ai suoi occhi allucinati non è più casa. Morsi e Artigli la terra ai suoi occhi gronda sangue Morsi e Artigli il cielo è rosso, solo lampi neri che sono come filo spinato Morsi e Artigli stringe i pugni, tende i muscoli, l'istinto gli dice di ringhiare e lui lo fa mentre i sensi sono ora allertati e fiutano toccano leccano sentono ogni cosa attorno a lui per assicurarsi che niente di pericoloso sia in quel luogo, perché in qualunque momento la terra potrebbe macchiarsi del suo sangue, perché chiunque tra loro potrebbe alzare la spada e colpirlo, perché chiunque di loro potrebbe essere strappato in due da zanne invisibili.

Perché lui sa chi è che combatte con morsi e artigli.



Non sente il resto del discorso, né si accorge di quanto si sono avvicinati al gruppo, ma ora che i suoi sensi avvertono ogni cosa come un pericolo, lo spiazzo attorno a lui viene analizzato in ogni centimetro. Il nano giovane inizia a parlargli, ma lo ascolta distrattamente, mentre gli occhi si spostano tra tutte le persone presenti, nani o umani che siano.
Comandante Tulunay, è questo il nome di quel tizio. Un ufficiale e un nano rispettato non solo per il suo grado, a quanto pare. Qualcuno dinanzi a cui Non Deve mostrarsi impaurito. Inghiotte con nervosismo mentre il suo viso si stende e la tensione si trasforma in fredda indifferenza. Vorrebbe tirare il cappuccio sul viso ma non può davanti ad un comandante del suo nuovo esercito. Il suo nuovo esercito... è la prima volta che ci pensa. Ha di nuovo un esercito, può di nuovo avere un esercito. Stringe i denti. Non deve farsi distrarre dagli artigli nel cervello che urlano pericolo, non può comportarsi come un demente davanti ad un capitano.
Quando sono infine davanti a Tulunay, il ragazzino si inginocchia e lo colpisce per fargli fare lo stesso. Resiste al tentativo di colpirlo a sua volta, la sensazione del suo braccio addosso è stata una frustata di spine: carne calda... odia essere toccato... la sensazione è troppo simile. Ma non si inginocchia. Non ha idea di quali siano le abitudini militari dei nani e forse dovrebbe seguire il consiglio, ma l'esperienza, quel poco degli anni di umanità che gli resta, gli sta sussurrando qualcos'altro. In un attimo ha stretto le gambe, irrigidito la schiena e ora è sull'attenti, le braccia distese lungo i fianchi e lo sguardo fisso davanti a se, poco importa se guardava ben sopra la figura del Comandante, l'importante era non provare mai a fissare un superiore negli occhi. Un pessimo inizio rifiutare un inchino, ne è consapevole, ma non è la sottomissione che vogliono i comandanti a cui è abituato lui e un inchino è da sottomessi. Un ufficiale vuole rispetto.
Signore
mormora duramente, la voce disumana è un roco animalesco. Resta immobile ad aspettare, mentre sente su di se lo stesso sguardo che aveva sentito nell'atrio. Occhi che scrutano il suo corpo e si chiedono cosa sono quelle protuberanze che deformano i vestiti?, occhi che scorrono sul suo viso e si chiedono se quelle sono cicatrici o crepe in un'armatura? Poi dopo gli occhi vengono le parole, e non può negare di aspettarsele.

Benvenuto, dammi una buona ragione perché dovrei volere uno come te nel mio reparto. D'altronde, non sei molto diverso dai mostri che combattiamo.


Prevedibile. Mostra lui. Le zanne nel suo cervello non aspettavano altro Mostra lui mostriamo lui come uccide zanne. Come artigli buca carne. Come caldo scorre sangue. Non perde tempo a zittire le zanne, sapeva che avrebbero parlato, che avrebbero desiderato mostrarsi. Ma non può farlo. Si sente ribollire, calore nella testa, calore in tutto il corpo, qualcosa in lui che ringhia per uscire. Mostro. Non gli era sfuggito, non gli sfugge mai. Sotto il ferro che lo muove, ciò che resta di Karon urla, scalcia, colpisce il ferro fino a farsi male. Ha paura di perdere il controllo di se, le catene del suo cervello tremano e vacillano, vengono agitate con rabbia, la stessa rabbia che gli riscalda il cuore. Stringe i pugni più che può, fino a lasciarsi tacche profonde nei palmi, perché sa che se aprisse le dita queste si richiuderebbero in artigli da bestia. Stringe le labbra più che può, serra la mascella, affonda le zanne nelle sue stesse gengive, perché la bestia vorrebbe ruggire e il mostro vorrebbe ridere di un tale paradosso. Ruggire in faccia a chi ti ha dato del mostro. Persino la rabbia per un attimo vacilla a quest'ironica reazione. Ma lo sdegno no, lo sdegno rimane, lo sdegno non fa altro che diventare più grande.
Io. Solleva il viso più che può, mostra la gola. Con orgoglio. Non sono. Cerca di sciogliere la tensione che si è impadronita dei suoi muscoli e delle sue ossa, colpisce la bestia con tutta la forza di cui è capace, afferra le catene che lei azzanna e le rivolge verso di lei, per strozzarla. Un Mostro.

Io Non sono un Mostro.



Di nuovo la sua voce è un ringhio cupo. Di nuovo il suo corpo fa di tutto per smentire se stesso. Ma non intende cedere.

Mi sono addestrato da quando ero ragazzo. Non sognavo di diventare un soldato, ma la vita volle così e dopo ne fui fiero. Entrai nell'esercito da adulto e ho allenato me stresso, il mio corpo, le mie conoscenze per altri anni. Ho combattuto in due battaglie campali e un assedio. Non ho avuto molto tempo.

Di nuovo il suo corpo si tende, la sua voce si fa più roca ma non smette di parlare

Non sono mai stato il migliore, né il più coraggioso. Quando loro sono arrivati ho fatto quello che hanno fatto tanti altri, niente più né meno: ho preso un'arma e ho difeso il popolo. Ma l'ho fatto. Ho combattuto, sono stato morso, strappato, mutilato, ho tenuto in mano le mie stesse budella e ancora ho continuato a strisciare verso di loro. Li ho inseguiti fin dove nessun'altro ha osato... e nonostante ciò non ho salvato nessuno. Non ho ottenuto niente. Solo questo.

Il corpo di una bestia. Pelle nera. Scaglie di metallo. Spine e chiodi sugli arti e sulle spalle.
Rabbia infinita, paura senza fine. Odio.

Per questo dovrebbe volermi, Komutan

Abbassa il viso. I suoi occhi neri sono fissi in quelli di Tulunay

Perché değilim un Canavar
Ben Askerim.



Se ho ben inteso come funziona il dialetto dell'Akeran, è un misto Turco/Italiano che ho cercato di ottenere inserendo termini turchi in frasi sintatticamente italiane: "Komutan" è traducibile come capitano e l'ultima frase come "Perché non sono un mostro, sono un soldato". "Canavar" termine che ho usato e userò spesso per Karon, ha una duplice accezione e vuol dire tanto Mostro quanto Orco

P.S ovviamente non basterebbe sapere che il nemico dei nani combatte con Morsi e Artigli per dedurre che stiano parlando di demoni, visto che molte razze bestiali potrebbero farlo, ma la constatazione di Karon si basa sul fatto che contro semplici animali selvaggi probabilmente non si organizzerebbe un esercito e più in generale è semplicemente la sua paranoia a parlare.
 
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« Noi abbiamo bisogno di soldati, » Tulunay guardò quella cosa con vivo interesse, come tutti i nani aveva una fervida curiosità nei confronti di ciò che mai aveva visto prima, « ancak bu geçerlidir » Il tono della voce, fortemente influenzato dal linguaggio nanico, era duro e privo di fronzoli. Tulunay era quella persona che poteva ottenere il rispetto soltanto parlando, lui era un leader nato. Il viso del nano si affievolì leggermente, mostrando un sorriso all'essere come a voler distendere la situazione. Il gruppo di reclute intorno a lui restavano in silenzio osservando, o forse già sapendo, cosa di li a poco sarebbe successo. « Yabancı. » Disse affibiando quell'appelativo che, nel mondo nanico, veniva dato a tutti coloro che non facevano parte della loro cultura, del loro modo di vivere. Non era però associato a loro in maniera dispreggiativa, né di superiorità, era semplicemente un modo di dire ormai consolidato nella loro cultura. « Raccontami di te, raccontami della tua storia. »
Perché prima di tutto Tulunay voleva conoscere una persona, potersi fidare di essa nel momento del bisogno. « Permetti a tutti noi di conoscerti, di iniziare a condividere qualcosa che esuli da un mero campo di battaglia, » perché solo così si potevano costruire rapporti durevoli, solo così si sarebbe potuta costruire una macchina da guerra ben oleata, « Non saremo fratelli di sangue, non faremo parte neanche della stessa razza, ma possiamo diventare fratelli d'un arte più antica di ciò che si pensa. Poiché, solo così, io posso fidarmi di te sul campo di battaglia, solo così loro potranno fidarsi di te, e solo così tu potrai fidarti di loro, quando loro faranno lo stesso con te. Un compagno che ha fiducia nel compagno che ha accanto, è un compagno che sacrificherebbe la sua vita per lui. Se non te la senti, questo esercito non fa per te. »



CITAZIONE


Note:Niente, Tulunay ti chiede di condividere con lui le esperienze che ti hanno portato a essere quello che sei.

1 frase: ma solo di quelli validi
2 frase: forestiero/straniero
 
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