Nuovo arrivato · - Group:
- Member
- Posts:
- 40
- Status:
| |
| ἐρημία - Esilio
Le coperte, come il sonno, non possono proteggerlo. Le grida ritornano. Non può fare a meno di udirle, non può ignorarle. Un'altra notte attende, questa volta senza raffiche di sabbia cocente. Il deserto dell'Akeran calmo attorno a lui, luna rossa. Una notte perfetta, una notte da cacciatore. Ma non è ancora tempo di cacciare e fino ad allora è solo una preda. La tunica e la spada a portata di mano. Le grida forti, chiare in modo sconvolgente. Non può ristabilire il silenzio, può solo alzarsi dalla sabbia
spada trascinata, un passo davanti all'altro, cammina avvolto nel rosso dei suoi abiti e dei suoi incubi Non si volterà indietro fino all'alba.
Il rosso mescola i ricordi
~ ~
Immerge il viso nell'acqua. Non beve da giorni e questo corpo ha ancora bisogno di essere nutrito e dissetato. Questo schifo di corpo. Beve a sazietà, riempie l'otre legato alla cintura, nulla da mangiare ma non può lamentarsi. Sfila la veste e gli abiti, si immerge, lava la sabbia e lo sporco, getta la veste nella pozza e lascia che si impregni d'acqua. Strappa strisce di stoffa umida e vi si avvolge il viso e il corpo. Molto, molto meglio. Altre grida. Non afferra la spada, il suo primo pensiero è gettarsi nell'acqua, tacere, aspettare fino a che non passino. O lasciare le armi, la sacca, qualunque cosa e correre a perdifiato nel deserto. Strapparsi le orecchie per smettere di sentire, strapparsi gli occhi per non vedere. E le sue mani, tremanti, si afferrano la testa e la stringono in una morsa mentre si piega su se stesso, orribile feto deforme. Come sempre, per prima è venuta la paura. Poi la vergogna. Si rialza, umiliato da se stesso e dalle proprie emozioni, il viso è una maschera immobile. Fissa l'orizzonte, forse con sfida, forse ancora con paura. Ma dopo viene la rabbia: le sue mani tremano, i denti sono serrati in una morsa e un lento ringhio nasce nella sua gola e cresce fino a riempirgli il cervello. Rabbia contro di loro, rabbia contro di se. Ferocemente, afferra la spada e la sacca, si volta verso sud come innumerevoli volte ha già fatto.
Spada trascinata, un passo davanti all'altro, cammina avvolto nel rosso dei suoi abiti e della sua rabbia repressa. Non si volterà indietro fino al tramonto.
Il rosso confonde i ricordi
~ ~
Non ci sono urla. Solo sibili e schiocchi. Il suono di qualcosa che striscia e di qualcosa di affilato che sfrega sui muri. Lui è immobile e trattiene il fiato, la spada è stretta in mano e il braccio trema. Paura, rabbia, entrambe. La schiena premuta contro il muro di quella casa sventrata, le sue orme in quel villaggio distrutto e vuoto cancellate dal deserto. E' stato attento, è stato cauto, ma non abbastanza perché stavolta loro sono già qui. Il suo petto si alza e si abbassa, gli occhi scattano da un lato all'altro della stanza, se sudasse avrebbe già impregnato la veste. Stringe i denti e il cervello urla al corpo di calmarsi: il suo cervello ha vissuto più di un quarto di secolo in un soldato e conosce il suo corpo, conosce le sue reazioni, conosce quello che può fare, non il migliore degli uomini ma mai il peggiore, la sua spada sa colpire, le sue braccia sanno ferire, i suoi piedi sanno schivare. Il suo corpo sa uccidere. Ma quello non è più il suo corpo e del suo cervello se ne frega ora che sente chiaramente strisciaremorderestrideremuoversipesantemente quella cosa che non è mai stata un uomo, non è mai stata debole, non è mai stata preda. Insegnalo lei La bestia è sveglia. Gli artigli circondano il suo cervello, le zanne riempiono la sua mente, la sua voce è fatta morsi e artigliate. Puoi farlo mostrarlo mostrargli fargli vedere fargli sentire essere mangiatostrappatodivoratodistrutto No, non può farlo, chiude gli occhi disperatamente e prega la bestia prega se stesso di tacere e di lasciarlo concentrare: trovare una via di fuga, fuggire lontano, distrarre la cosa in qualche modo e lasciarla indietro nella corsa. Perché? Perché ha paura, perché è debole, perché è un uomo e un uomo non può... Ricorda. Lo vede come se accadesse ora, davanti a lui. L'uomo con la barba bianca agita l'alabarda, i tentacoli di spine che stringono Karon vengono falciati dalla lama. Ora è libero e non trema. Non può farlo davanti a lui, davanti all'uomo che gli tende la mano e gli porge una spada. "I guerrieri esistono per questo" ricorda le sue parole, i suoi occhi neri mentre lo solleva e si volta verso il prossimo nemico "Uccidere mostri" "Gli eroi delle storie esistono per uccidere mostri. E se i mostri esistono davvero, allora esistono anche gli eroi." Riapre gli occhi, i muscoli si distendono, il suo corpo si fa più dritto contro il muro. Certo che può. Un mostro non può ucciderne un altro, non ne ha la forza né le capacità, perché i mostri sono vigliacchi e sfuggenti, i mostri sono lupi capaci solo di cacciare pecore. Stringe la spada ma adesso la lama non trema e i suoi occhi brillano di rosso nel suo viso scuro. Un mostro non è un guerriero, per questo non può uccidere altri mostro, solo gli uomini lo sono. La mano sinistra sale a sfiorare il viso, segue le linee degli sfregi e la linea delle labbra. Cicatrici fresche, squarci che non spariranno mai, per ricordarsi che è ancora umano. I guerrieri combattono contro i mostri. Se muoiono nel tentativo, aye, è una buona morte. Sono pronto Il suo pensiero è il pensiero della bestia. Inspira aria, serra le dita ad artiglio, i muscoli si tendono, gli occhi si stringono e divengono due lame, ruota su se stesso ed esce dal suo nascondiglio con un solo movimento fluido, la spada davanti a se e i denti scoperti in un ruggito. Non c'è nessuno. Niente schiocchi, niente fruscii, niente si trascina nella sabbia, niente sfiora le pietre dei muri con gli artigli. Niente lo cerca più in quel luogo. I suoi occhi scrutano ogni angolo, cercano segni sulla sabbia, sfregi sui muri, i suoi piedi su muovono per farlo girare su se stesso, la sua spada puntata in ogni direzione. No, non c'è proprio più nessuno. Si chiede se ci fosse mai stato, o se era stata solo una fantasia della sua mente spezzata. Ma prima di darsi una risposta crolla all'indietro, per terra. Il cuore riprende a battere furiosamente, le braccia riprendono a tremare, il respiro è affannoso e la spada viene gettata lontano. Merda... si stringe, si avvolge più che può nella veste, cerca protezione, conforto, cerca di smettere di tremare ma non può. Il pericolo è passato, la rabbia è passata. Resta solo un cuore che batte troppo forte e arti che tremano. Poi riprendono anche le grida. Questa volta non ha esitazioni. Raccoglie la spada e si lancia in una corsa feroce. I piedi affondano nella sabbia, la spada lascia un solco dietro di se, la veste sbatte per il vento, il calore gli fa lacrimare gli occhi il calore o la paura. Corre fino a farsi mancare il fiato, corre fino a piagarsi i piedi, fino a farsi scoppiare il cuore
Spada trascinata, i piedi incapaci di mettersi uno davanti all'altro in ordine, corre senza nulla ad avvolgerlo, si sente nudo e scoperto dinanzi al nero. Non si volterà mai più indietro.
Il rosso è i suoi ricordi
~ ~
Da quanto tempo cammina? Si strofina gli occhi e tenta di mettere a fuoco mentre striscia nella sabbia. Una città in lontananza... viva o distrutta? Non sa quante miglia ha percorso, se ha attraversato il deserto da parte a parte o se ne è ancora nel mezzo e quello è un miraggio. Ma le grida sono cessate. Sbatte febbrilmente gli occhi e si guarda attorno. Le grida sono cessate, ma da quanto sono cessate? Non se n'è accorto fino a quel momento. Così come non si è accorto di non sapere dov'è, da quanto cammina, forse neanche in che direzione stava andando. Era nord, ma ora potrebbe essere dovunque. Si stringe il cranio tra le mani mentre si tira a sedere, gli occhi premuti sui palmi delle mani, il cervello lavora per ricostruire gli ultimi giorni settimanemesianni? inutilmente: solo immagini confuse. I ricordi sono pezzi di un vetro infranto da tempo e disperso tra le sabbie ricorda notti rosse da cacciatore, qualcosa che forse recupererà dopo una dormita, dell'acqua fresca e qualche giorno di pace, qualcosa che maledirà e pregherà di perdere ancora ricorda oasi limpide, pozze in cui si immerge, le urla chiare persino sott'acqua, o qualcosa che mai tornerà e che mai rimpiangerà ricorda fruscii schiocchi e ruggiti e grida e la cosa che lo circonda e la sua spada che trema mentre la bestia urla mordistrappadivora, in ogni caso un fallimento. Stringe la presa sulle sue tempie. Neanche pensare lucidamente gli è facile e i pensieri si trascinano in monologhi privi di senso, frasi sconnesse, brandelli di ricordi e di incubi. Ma è inutile restare seduti nella polvere a pensare: c'è una città. Vita. Civiltà. Forse, finalmente, salvezza. Ha gettato la spada lontano, ancora non comprende se la ama e desidera o se lo ripugna solo stringerla in mano, la raggiunge e la solleva, incastrandola in qualche modo tra le cinghie che gli attraversano la schiena. Civiltà vuol dire salvezza. Il suo viso, sotto il cappuccio rosso, è teso, freddo. Le labbra serrate e gli occhi socchiusi, a osservare con sospetto. Civiltà vuol dire persone. Non ha esitazioni, non vuol mostrare di averne: le sue gambe divorano la distanza tra lui e la civiltà un metro dopo l'altro, mentre la sua schiena si raddrizza, i suoi muscoli si tendono e le zanne si scoprono in una minaccia senza suono. Le mani chiuse ad artiglio, la veste rossa è sangue che scorre spinto dal vento. Persone. Altri. Umani. Non umani. Demoni. Rabbia. Irrequietezza. Paura.
Paura
Le labbra si muovono senza che glielo ordini. Le orecchie sono mute alle sue stesse parole. La mente non elabora, qualcosa di più grande ha preso il controllo ora. Istinto. Psicosi. Trauma. Qualcosa che gli ordina di tendere i muscoli, mostrare le zanne e incutere terrore, tenere tutti alla larga.
Devo ... nascondere ... nascondere la mia paura.
Essere nero e terribile. Come i demoni.
Non vogliamo problemi Canavar
Nani. Strano. Di guardia al portone d'ingresso, le armi in pugno, ma non sono ostili e persino l'ultima parola è detta solo con durezza, non con spregio. E' difficile quantificare di quanto li sovrasti, ma probabilmente servirebbero tre di loro per guardarlo negli occhi. La veste rossa sembra quasi viva su di lui, mossa dal vento del deserto, la spada è ferro nero grande quanto un uomo e il suo viso è ferro grigio sfregiato. Non hanno paura.
Tu non vuoi darceli, giusto?
Dovrebbero avere paura. Dovrebbero tremare. Dovrebbero star zitti e lasciarlo passare, non parlare come se nulla fosse... dovrebbero. Non sa cosa fare. E da nessuna parte, nel suo cervello, appare anche l'ombra di una semplice constatazione: non sono un pericolo, entra pure. Per questo rimane immobile a fissarli, senza rispondere, mentre le due guardie si scambiano un'occhiata perplessa. Forse ora lo credono pazzo, o stupido. Forse ora alzeranno le lance e lo colpiranno, forse ora finalmente gli mostreranno davvero che intenzioni hanno, forse...
Tutto bene, straniero? Ci capisci?
Parlano la lingua comune fluentemente e lui capisce. Capisce e non capisce. Cosa dire, cosa fare, come muoversi... ma ora si sono preoccupati per lui, gli hanno chiesto se va tutto bene e uno dei due gli si avvicina tenendo la lancia bassa. Sul viso un sorriso bonario
Non ti facciamo niente, siamo solo di guardia contro i cattivi. Tu non lo sei, vero?
Leggono lo sconcerto sul suo volto, lo capisce. Gli parlano come parlerebbero a un bambino. E' grosso, scuro e armato. Ma il suo viso dice solo grosso idiota. Stringe le zanne. Non vuole che leggano le sue emozioni, non vuole che lo credano un demente, solo non riesce a capire se sono una minaccia o no. Non ricorda più... non ricorda il tempo in cui esistevano esseri viventi che non fossero una minaccia. E allora perché si è avvicinato alla città? Se lo chiede da solo, mentre osserva il nano farsi avanti sorridendo, l'arma sempre verso il basso, l'altro dietro di lui appena più teso, appena più attento. Pronto a intervenire se si fosse avventato sul suo compagno. Questo lo capisce, questo lo sa vedere.
Pazzo di nuovo la bestia che ha in testa parla con la sua voce Sto solo diventando pazzo.
Ed è vero. Deve fare qualcosa però o resteranno li in eterno. Si chiede se debba colpirli, ucciderli in quel momento ed entrare in città al calare della notte, avuta ora la conferma che era abitata. Abitata da nani, qualcosa che ancora non riesce a capire. Si chiede chi colpire per primo, come, cosa fare poi con l'altro, se sarebbe abbastanza forte e veloce per non essere fermato e ferito. Poi per la prima volta ascolta la voce che sussurra debolmente al suo orecchio: e se fossero davvero innocui?
Non lo sono ... non sono cattivo
si è scordato cosa vuol dire avere attorno persone gentili, tutto qui
non sono canavar ... mi dispiace
Abbassa il viso, il cappuccio gli copre gli occhi, supera il primo nano con un passo e con l'altro è già in città, gettato tra la folla. Dietro di lui le guardie parlano tra loro. Non sente che sussurri spezzati. Solo un pazzo. Tenerlo comunque d'occhio
~ ~
μέτοικος - arruolamento
La città è magnifica. Non la conosce, né il nome che ha chiesto in giro ha risvegliato qualche ricordo. La perla del meridione... si sforza di ricordare quali città a nord della sua fossero rinomate in tutto l'Akeran. Tanaac o qualcosa del genere e un'altra (o sempre la stessa?) che chiamavano Purgatorio... no, forse non era una città ma una prigione, non ricorda. E' passato troppo tempo, tempo che per lui è costato una vita intera e non è mai vissuto abbastanza vicino al centro da conoscere qualcosa in più rispetto ai racconti e i pettegolezzi dei mercanti. Nessun racconto però aveva mai parlato di una tale bellezza, troppa quasi da guardare dopo il deserto amorfo: le colonne splendono di luce propria, lisce come acqua calma o increspate in forme che non comprende, vere e proprie cascate di pietra e marmo; non esiste colore che non decori le mura e sfumatura che non sorga nel mischiarsi degli elementi, niente è sbiadito, rovinato o abbandonato; statue grandi quanto e più di lui sembravano muoversi per tutta la città, tanto erano diffuse e precise nei dettagli, vive, pulsavano e i loro occhi lo seguivano mentre si spostava tra di esse. Urtò e venne urtato, più volte sbatté contro muri o carri, ma i suoi occhi non riuscivano a staccarsi da esse, a saziarsi. Colori, forme, vita, gioia, risate, persone... ancora i muscoli erano serrati e il suo viso scrutava con sospetto chiunque gli passasse vicino, ma dopo che la sua realtà si era limitata a sabbia e cielo grida per troppo tempo, ora i suoi sensi erano famelici. Di più. Più colori, più suoni, più forme, più emozioni. Voleva di più. La criniera di un leone è pietra ambrata, le venature la rendono ancora più realistica. I muscoli di un eroe mitologico -strano... anche lui un nano... come molti in quella città- sono marmo tagliato e modellato con perizia a il vigore espresso da quella statua non potrebbe essere maggiore se fosse viva. Il rosso di quella parete brilla più della sua veste ed è altrettanto intenso e profondo. Lo osserva, desiderandolo per se. La musica è alta ed è ovunque, cantano nelle strade, cantano delle taverne, cantano di battaglie che non conosce e di imperi che non esistevano ancora quando lui era uomo, parlano di eroi leggendari di cui vorrebbe sentire le gesta, Yeniden Birleşme... parlano di questa, qualunque cosa sia. Parlano del Crepuscolo e di storie che conosce conosceva ma ora non ricorda. Vaga per le strade ascoltando, osservando, toccando, assaporando. Si ubriaca di percezioni. Quasi scorda il suo incubo. Quasi. Poi vede una macchia bianca, tra i colori che i suoi occhi bramavano. Un pezzo di carta affisso su un muro. Reclutamento. Quello che cercava, quello per cui si era esposto alla civiltà e alle sue luci accecanti. Lo stringe tra le dita e lo strappa dalla parete, avvicinandolo al viso. Che fortuna. Non sorride, ma qualcosa che non è rabbia né paura si fa strada dentro di lui. Piacere. Soddisfazione. Desiderio. Lascia cadere il volantino a terra e rientra nella folla. Trovare una caserma. I suoi pensieri scorrono veloci mentre cammina, inconsapevole di non sapere dove andare. Trovare un esercito, trovare qualcosa che era suo per renderlo di nuovo suo. Armi, armature, marce, uomini che si scontrano, uomini che cadono, sangue versato, ossa che si spezzano... spade che uccidono, lance che impalano, mazze che rompono, cavalli che schiacciano, si, questo, solo questo, basta zanne che strappano, basta artigli che sfregiano, basta corpi giganti che strisciano. Non riesce a impedire alle sue dita di contrarsi al solo pensiero. Basta pelle coriacea da tagliare, basta parole inframmezzate da ruggiti, basta brandelli di carne strappato a mani nude. Non riesce a impedire ai suoi occhi di ardere al solo pensiero. Basta strisciare nel fango mentre bestie fiutano l'aria, mentre insetti grandi quanto persone ti succhiano il sangue, mente la terra stessa si apre sotto i tuoi piedi. Non riesce a impedire al suo corpo di piegarsi e correre al solo pensiero. Una vita normale. Non aveva mai desiderato altro. Sposta le persone a spallate, rischia di schiacciare i nani ad ogni passo, ma corre, ringhia, si piega in avanti fin quasi a spezzarsi. Una vita normale, vissuta per servire il suo re, per onorare la sua casata, per rendere famoso il suo nome ben oltre le porte del piccolo regno che abitavano. Era un soldato, certo che era preparato al dolore, alla morte, alla sofferenza, all'orrore... ma l'inferno, quello non lo desiderava, non aveva mai chiesto nulla di quanto successo. E la cosa peggiore era che, nascosta nel profondo della sua mente, c'era ancora la verità: la colpa era...
Il flusso dei suoi pensieri rallenta. Come una corrente che incontra un ostacolo troppo grosso per passarci semplicemente attorno, i suoi pensieri sono paralizzati dinanzi alla struttura che lo sovrasta. Marmo ovunque. Non credeva che una struttura del genere potesse essere così magnifica. Era abituato alla grandezza, alla pietra, al ferro, alla magnificenza, ma ora si rende conto di quanto poco conoscesse dello splendore. E per un attimo, ma solo per un attimo, il suo viso mostra stupore. L'emozione è raccolta all'istante e affonda nell'indifferenza su cui è costruita la sua espressione. Però è stupito, si, e non poco. Muove qualche passo verso l'ingresso, ma una lancia è ora verso di lui. Istinto, la sua mente vi affoga. I piedi scattano indietro, i muscoli si gonfiano, la mano destra scatta verso il manico della spada mentre la mancina ad intercettare la lancia. Riacquista lucidità prima di fare qualcosa che non vorrebbe. Nessun pericolo, non era una minaccia, solo un altro nano, un'altra guardia, che lo fissa con aria truce, tutt'altro che allegra come all'ingresso.
L'arma, Canavar
la sua voce è ferma. E' calmo e perfettamente padrone della situazione, lo sente nelle sue parole, lo vede nei suoi occhi, lo avverte nella sua presa sull'arma. Di nuovo il suo cervello si interroga sulla minaccia, ben più reattivo e pronto dopo quanto successo all'ingresso. Ma stavolta la sua paranoia tace. Lasciare l'arma. Normalmente una richiesta inaccettabile, la premessa di un'aggressione, ma qui, nel mondo dei fanti e dei cavalieri, di soldati ed eserciti, di armi e armature, qui, nel mondo che conosce gli sembra accettabile. Ufficiali, generali, nobili... nessuno farebbe portare ad uno sconosciuto un'arma vicino a questi. Quindi, con la stessa sicurezza con cui era stato quasi sul punto di attaccare ai portoni, si slaccia le cinghie di dosso e lascia scivolare la spada a terra, sollevando una nube di polvere dietro di se.
Sono qui solo per arruolarmi, mastro nano
la sua voce è ferma, la postura sicura, i suoi occhi ardono quanto quelli del guardiano. Ora è nel suo ambiente. Ora non vi è paura da nascondere, solo la sicurezza di un uomo che ha marciato tra i suoi fratelli, ha sentito il peso del nemico contro il suo scudo, il fragore della carica nelle orecchie, il plauso degli uomini nella vittoria.
Le armi non ci mancano, te ne daremo quante ne vorrai se diventerai uno dei nostri. Questa potrai riaverla dopo.
Non gli sorride neanche ora, ma il suo viso si rilassa e lo stesso la lancia nelle sue mani. Fa un passo indietro e si sposta, liberando l'ingresso. La porta enorme, abbastanza grande da far passare persino lui senza bisogno di chinarsi, sembrava improvvisamente piccola una volta osservato l'ingresso: un salone vastissimo, quasi l'anticamera di un castello, anch'esso interamente di marmo. E persone, tantissime persone. Tutte nani. No, non tutti, intravede qualche umano, quasi giganti rispetto agli altri, ma pochi, così pochi che di nuovo si domanda perché tanti nani in quella città. Non aveva mai sentito di un tale insediamento in un solo luogo, eppure ovunque guardasse non vedeva altro. Si muovevano nella stanza trasportando fasci di fogli, o armi ed attrezzature, altri più semplicemente si muovevano rapidi nella calca e sparivano nelle numerose porte.
Benvenuto, il mio nome è Özgü
Il nano seduto alla scrivania si era rivolto verso di lui e lo squadrava da capo a piedi, per niente diffidente. Di nuovo gli occhi di Karon si riempirono di colore dinanzi alla sua barba blu elettrica. Il colore risaltava sulla sua pelle scura e sul candore della stanza. Ne era ipnotizzato e quasi non batté le palpebre mentre questi gli parlava
qui puoi far richiesta per entrare nel nostro esercito. L’esercito del Sultanato è composto prevalentemente da due forze armate, fanteria e archibugi, con un piccolo corpo costituito dai cavalieri, per lo più di razza umana.
Sultanato... cos'è? Avrebbe voluto chiederlo, ma già l'altro aveva ripreso a parlare. Sultanato... il nome di un qualche regno? Non ne aveva idea, non lo aveva mai sentito nominare da nessuno prima della fine. Forse era nato da poco. Un regno... l'enorme statua del nano, guardie naniche alle porte e alla caserma, quasi esclusivamente nani qui dentro... di nani? Che idea ridicola... o forse no.
Se lo desideri puoi esprimere una preferenza per uno dei corpi armati, ma saremmo comunque noi a decidere – in base alle tue capacità – ciò per cui sei più utile.
Si risveglia dai suoi pensieri. Corpi armati. Ha difficoltà a concentrarsi, ha esagerato nel presentarsi li appena arrivato, senza riposare. I suoi pensieri scorrono da soli in direzioni che non è interessato a percorrere. Concentrarsi su quello che ha davanti e su quello che conta. Corpi armati a cui unirsi, esattamente quello che vuole, alla sola idea la sua figura sembra farsi ancora più alta, più sicura. Immobile come le statue che adornano la città, in questo ambiente Karon emana solo sicurezza, anche se sporco, lacero, confuso dalla fatica, stordito dai suoi stessi pensieri. Fanteria, ricorda distintamente di non essere mai stato un grande cavaliere, in queste condizioni ancor meno mostro Zitto. Non è il momento di avere una crisi. Non il luogo, non il momento si affonda le unghie nei palmi mentre il nano continua
Se lo desideri, potrai avere una stanza per te all’interno della caserma.
Non. Ora. Lentamente la crisi si ferma. Le sue palpebre smettono di tremare, il suo stomaco di torcersi e i conati si affievoliscono. Il suo corpo... sbaglia ma non riesce ancora a restare lucido. Per questo non deve pensarci. Non deve pensare al suo corpo. Sposta lo sguardo sulla pila di fogli che il nano gli passa, qualunque cosa pur di non ricadere in una crisi. Qualunque pur di non lasciare ancora i suoi pensieri liberi di torturarsi. Emana sicurezza, si, ma basta poco a trasformare la sicurezza in furia, la furia in morte.
Inserisci nome e cognome in alto a sinistra, qui la preferenza e, in ogni foglio in basso a destra, una firma. Se non sai leggere, né scrivere, dammi i tuoi dati che compilo tutto io e basta mettere una X.
Aveva ragione Lui. Sei un mostro di ferro gigantesco, gli aveva detto. Le persone si faranno una certa idea su di te, aveva continuato. Sii all'altezza delle loro aspettative. Normalmente ripensarci lo costringerebbe a piegarsi in due dall'ira, qui, davanti a quei fogli, gli viene solo da ridere. Ma non ride, si limita a intingere una delle unghie nel calamaio, consapevole di non poter afferrare delicatamente la penna d'oca con quelle dita grottesche. Lascia scorrere poi la mano sui fogli e traccia lettere dure, quasi incisioni, non ha esitazioni e la sua mano non trema, eppure non riesce ad ottenere niente di diverso da graffi neri, rabbiosi, sul foglio. Karon, l'unico nome che può avere, Fanteria, l'unico corpo in cui può combattere, uno sfregio nero l'unica firma che può dare.
In caso di morte, e qualora non avessi parenti stretti a cui affidare i tuo possedimenti, ogni tuo avere passerà in possesso del Sultanato e dell’esercito a esso. Tradimenti, ammutinamenti e diserzioni non saranno in alcun modo tollerati e possono essere punite con la pena maggiore. Domande?
Nessuna. Nessuna. Proprio nessuna.
Ora è allo stremo, troppo provato persino per essere toccato da un riferimento così diretto al baratro in cui si trova. Nessun parente stretto. Nessun parente. Nessuno. Completamente solo. Ma la sua testa pulsa e i pensieri ora franano, mentre tenta disperatamente di restare lucido. Non ha reazioni. Non ne avrà per questa volta. Ci sarà tempo per rimpiangere ciò che è stato, maledire ciò che è e incupirsi per ciò che sarà. Ora è stanco, troppo stanco. Un letto dove il suo corpo possa smettere di muoversi o una spada con cui muoversi senza pensare. Un'arma umana, da stringere in quelle dita mostruose. Qualcosa che gli ricordi perché è ancora qui a strisciare nella sabbia, piuttosto che sotto terra a soffocare marcendo.
Ok, iniziamo. Post luuuuuuuuuuuuungo lo so, ma c'era tanto da dire nel primissimo post, spero non sia anche noioso. La prima parte descrive l'estenuante attraversamento delle Sürgün-zemat, a piedi e delirante, e ho preferito descriverlo con diverse scene brevi piuttosto che un unico testo che sarebbe stato alla fin fine un "riassunto" del viaggio. La seconda ovviamente è l'arrivo a Qashra e relativo arruolamento. Buona fortuna a me. Edited by Bigby - 15/7/2014, 22:10
|