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کتاب پیدایش - Origini, Contest di Luglio "Genesi"

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Ashel
view post Posted on 25/7/2014, 08:10






"C'è passione in tutto questo, ma non passione umana.
C'è un'emozione feroce e disperata.
Ma non è un'emozione che noi possiamo riconoscere.
Sono Titani.
E noi non capiremo mai l'inferno alieno che divampa nella fornace delle loro anime.
Siamo solo umani.
Non comprenderemo mai le loro speranze, la loro disperazione.
Non capiremo mai la rabbia bruciante che anima i loro colpi devastanti.

...E, per questo, tanto peggio per noi."






کتاب پیدایش


Cavalcò a lungo in quella distesa vasta e vuota, solo.
Pesanti nuvole nere si allungavano sopra di lui, sulla brughiera, promettendo pioggia. Da giorni viaggiava per quelle lande dimenticate, vessate dalle tempeste di fulmini e dai venti roventi vomitati dagli abissi della terra.
Aveva quasi terminato le provviste e il suo cavallo era sfiancato dalla fatica. Non ricordava più l’ultima volta che aveva dormito.
Eppure non aveva paura. La stanchezza non pesava sulle sue spalle, né sulle sue gambe. Il suo animo era leggero, gioioso; perché da tempo aspettava quell’occasione - quella sola, unica possibilità che gli era stata concessa.
Fermò il cavallo quando si trovò nel bel mezzo del nulla. Una spessa nebbia trasudava dal terreno, non riusciva a scorgere il profilo delle cose attorno a sé e presto si trovò soffocato dall’umidità che gli penetrava nei polmoni.
Attese, paziente.
Non sapeva per quanto tempo era rimasto immobile a guardare il vuoto davanti a sé. Ma forse egli non guardava, semplicemente aspettava.
Non pensava a nulla, la sua mente era sgombra, il suo animo di ferro.
Cominciò a rabbrividire sotto la pesante corazza che lui stesso aveva forgiato nelle fucine dei Maegon, i suoi vecchi padroni.
Era stato uno schiavo, in passato. Aveva indossato le pesanti catene che gli esseri più potenti della terra avevano costruito per lui.
Eppure ora si trovava lì, a decidere per se stesso.
A forgiare il suo destino.
Gli occhi perfetti dei suoi padroni avevano penetrato il suo animo, l’avevano scandagliato per giorni, o forse per mesi.
Innumerevoli stagioni si erano esaurite prima che si fossero ritenuti soddisfatti del loro esame.
Essi vedevano tutto, capivano tutto.
Scavavano nel cuore delle creature del mondo con la stessa facilità con cui compivano un solo respiro.
E infine avevano deciso.
“Jahan”, lo chiamarono.
Nobile.
Ed egli scelse quel nome per se stesso e per la sua stirpe. Sua moglie e i suoi figli, e i figli dei suoi figli con le loro mogli, avrebbero avuto quel nome, per tutte le generazioni a venire.
Perché lui era stato il solo ad essere stato liberato dai padroni con la forza del suo animo. Non aveva dovuto usare la sua spada, o il suo scudo. In ogni caso, avrebbe trovato la morte. Un solo nano non può ribellarsi dal giogo della schiavitù con l’uso della forza.
Il Maegon che l’aveva lasciato libero era stato benedetto da una grande saggezza; diversamente dai suoi simili, egli vedeva oltre l’involucro del corpo.
Per questo Qissa portava con fierezza il suo nome.
Per questo, avvolto dalle tenebre che calavano su di lui dalla brughiera, non temeva la morte.
Passò un giorno, forse ne passarono molti, ma non si mosse mai. Il cavallo di tanto in tanto nitriva, si agitava, ma lui lo ignorò sempre.
Poi, improvvisamente la nebbia cominciò a ritirarsi fino a disperdersi del tutto.
Qissa respirò a fondo e si riempì i polmoni dell’aria gelida della notte, sentendosi invincibile.
Riprese ad avanzare, consapevole di aver superato la prima prova con saggezza. Altri avrebbero cercato di fuggire, di uscire dalla nebbia per ritrovare la luce e il giorno; e così sarebbero morti soffocati.
Proseguendo lungo quei territori disabitati non vide altro che sabbia, terra e ghiaccio; non c’erano animali, o piante. Da giorni non trovava acqua, né cibo.
Da troppo tempo non udiva voce che non fosse la sua.
Cominciò a sentirsi solo.
Ma sapeva che non poteva in alcun modo arrendersi. Poteva solo continuare e sperare che presto il viaggio avesse fine. La destinazione non doveva essere lontana.
Dopo un tempo interminabile si trovò sull’orlo di un precipizio, lì dove la terra finiva e iniziava l’abisso. Un’oscurità impenetrabile risaliva dal nulla e si mescolava al mondo di sopra. Qissa comprese che la vista non gli sarebbe servita.
Rimase immobile per qualche istante, scrutando giù nel baratro. Per un momento indugiò.
Poi tese le redini e comandò al cavallo di proseguire. La bestia si rifiutò di muoversi, fiutava la paura del padrone, così come l’odore di morte che proveniva dalla ferita nella terra.
Il nano scese e liberò la sua cavalcatura, decidendo di sollevarla da quel peso troppo pesante per un animale.
Tese l’orecchio, rimase in ascolto.
Allungò quindi un piede nel vuoto e attese.
Trovò il primo dei Diecimila Gradini che scendevano nel ventre della terra, sorrise e proseguì con passo sicuro.

~

Il caldo era soffocante.
Esalazioni mortali fuoriuscivano dalle fessure nella roccia incandescente, fiumi di lava scorrevano sotto i suoi piedi senza sosta e l’aria si faceva, man mano che scendeva, sempre più irrespirabile.
La profonda oscurità ch’egli aveva trovato proseguendo sulla Scala lasciava il posto alla luce di fuochi antichi, mai spenti o indebolitisi dall’epoca della fondazione del mondo.
Essi bruciavano protervi ovunque gli occhi del nano osassero posarsi, senza sosta e senza mai stancarsi; a un tratto egli fu costretto a fermarsi: i Gradini erano terminati.
Mise un piede sulla roccia rovente e il ferro perfetto della sua armatura minacciò di sciogliersi all’istante.
A quel punto egli parve riflettere.
La seconda prova.
Si tolse quindi l’elmo, le schiniere, i bracciali, i guanti corazzati.
Tolse i gambali, lo scudo e la cotta di maglia fino a quando non rimase scalzo, senza nulla che lo coprisse se non un paio di calzoni logori e poveri.
Allungò una gamba e poggiò il piede sulla roccia rovente: una prova di coraggio, o forse di follia.
Ma nel suo cuore sapeva che così andava un guerriero a reclamare ciò che gli spettava: solo, impavido, nudo.
Non aveva bisogno di armi o di protezioni. Non gli sarebbero servite.
Riprese a camminare sulle rocce e questa volta non avvertì dolore, né calore. Proseguì fino a quando non giunse ad un enorme, immenso lago di lava incandescente che sgorgava come una sorgente dal ventre della terra.
Eccolo, Al-Sharib.
Quanto a lungo l’aveva cercato? Il Lago Che Non Si Spegne Mai.
Alcuni dei suoi antenati raccontavano che, un tempo, da lì i draghi usavano abbeverarsi per mantenere la loro potenza e la loro virtù. Ma forse quelle erano solo favole.
Qissa rimase in attesa, paziente. Non aveva fretta, il suo tempo era diverso da quello delle altre creature del mondo.
I minuti, le ore, i giorni: nient’altro che un battito di ciglia per gli esseri imperituri che esistevano da millenni.
A un tratto si udì uno schiocco, poi un tonfo sordo.
Un boato tremendo riempì lo spazio scavato dalla lava nella roccia, rimbombando a lungo sulle pareti di granito.

- خوش آمد

Il nano, immobile, non rispose: non conosceva quell'idioma antico.
Passarono diversi istanti prima che parlasse di nuovo.

- Parlerò la tua lingua, yabanci.
Non sono in tanti ad essersi spinti fin quaggiù negli ultimi secoli.
Senz’altro, nessun nano.


Qissa piegò appena la testa. Non riusciva a scorgere da dove venisse quella voce profonda, gutturale, antica.

- Qual è il tuo nome?

- Mi chiamo Qissa, mio signore.
Qissa-i-Jahan.


- Devi essere speciale, nano, se ti fregi di un simile appellativo.
E’ la prima volta, credo, che ho il privilegio di vedere un membro della tua razza.


Si udì un altro schiocco, poi un rumore metallico.
Infine dal fiume di lava che sgorgava dalla roccia apparvero due occhi enormi, profondi come la notte, roventi come il fuoco che alimentava la montagna.
Era una Creatura antica che abitava il mondo da quando erano stati creati gli esseri viventi e che aveva assistito all'ascesa e alla caduta di infinite razze e civiltà; per questo giudicava con distacco le faccende mondane dei mortali che calpestavano la terra sopra di lei.
A tratti le biasimava, ma non le giudicava con l'arroganza degli déi. Lui era il نگهبان, il Vas'i Al-Sharib, il Guardiano del Lago Che Non Si Spegne Mai.
Non aveva volto, forse non aveva neppure forma. Era nato nel fuoco del mondo quando era stato forgiato dal nulla e in quello stesso fuoco dimorava e dava un senso alla sua esistenza.
Qissa piegò il capo in segno di reverenza. Non aveva paura di lui, ma lo temeva come tutti i mortali temono ciò che non capiscono, ciò che sfugge alla loro comprensione di piccole ed insignificanti creature.
Eppure un entusiasmo nuovo, che non faceva che rafforzarsi istante dopo istante, gli riempiva il cuore. Aveva sfidato cose più grandi di lui, aveva gareggiato con la morte, aveva superato l'Ineffabile.
Questo lo rendeva superbo.
Il Guardiano lo capiva e per questo lo scrutò a lungo, chiedendosi se fosse degno di stare al suo cospetto.

- So che cosa cerchi, Qissa-i-Jahan.
Qui troverai ciò per cui hai rischiato la vita.


Così diceva la Legge.
Colui che riusciva a giungere fino a al Lago di Fuoco aveva il diritto di usare la forgia perfetta per costruire ciò che desiderava.

- Che cosa chiedi, dunque, yabanci?

- Mio signore: un martello.
E un’ascia.


- Armi, dunque.
Perché ne chiedi di così potenti?


Qissa non rispose subito.
Esitò per un istante, ma non perché aveva timore a rispondere.
Cercò nel suo animo tutto il coraggio e la fierezza che il suo popolo aveva smarrito da generazioni, piegato dalla schiavitù di creature che chiamavano se stesse “i Signori”.

- Per uccidere gli Déi.

Tacque, ma il suo sguardo riuscì a reggere quello della Creatura senza mai cedere.

- I falsi déi che ci hanno insegnato ad adorare.
Idoli, inganni.
Impostori.


Il Guardiano del Lago di Fuoco scrutò a lungo il piccolo nano che era giunto fin nelle profondità della terra per reclamare ciò che gli spettava di diritto.
Il suo silenzio durò un tempo inconcepibile per un mortale, ma alla fine si pronunciò e la sua voce si sparse per l’abisso tutto.

- Ebbene, avrai le tue armi, Qissa-i-Jahan.
Ma a una condizione.


Esisteva un prezzo da pagare.
Ciò che veniva aggiunto a qualcosa veniva anche sottratto a qualcos’altro.
Così recitava la Legge.

- Il tuo occhio destro.
Rimarrai accecato, ma in compenso io vedrò Theras per come è diventata.
Viaggerò con te e tu sarai la mia vista.


Il Vas'i Al Sharib era antico come il mondo e per questo era anche molto furbo. Sebbene non si fosse mai compromesso con le genti di sopra, da secoli coltivava ambizioni che non avrebbe dovuto possedere. Ambizioni pericolose.
Invidia, brama di potere. Desiderio di comandare.
Il nano era rimasto in silenzio a riflettere; ma il Guardiano era troppo astuto per dubitare anche solo per un momento che avrebbe rifiutato.
Egli era consumato dalla جاه طلبی, come la chiamava lui; era arrogante e allo stesso tempo impavido, sprezzante del pericolo, accecato dal pensiero di ottenere ciò che desiderava così ardentemente.

- Mi sembra ragionevole. - sentenziò infine.
Accetto i termini dello scambio.

- Molto bene.

Se avesse avuto un volto, il Guardiano avrebbe sorriso. Non sbagliava mai a giudicare l'animo dei mortali.
Sembrava così perfetto, così freddo, estraneo ai fatti dei mondo; eppure, c'era passione in lui, ma non la passione degli uomini, o dei nani. Era un'emozione che Qissa non poteva comprendere, che non poteva afferrare.
E, per questo, tanto peggio per lui.
Il Vas'i Al Sharib si ritirò appena nell’abisso da cui era apparso, poi la superficie placida della lava cominciò a ribollire all’improvviso, irrequieta.
La Creatura lavorava sotto la spessa distesa di fuoco e metallo fuso per accondiscendere la richiesta del guerriero.
Dopo un’attesa interminabile la lava vomitò due oggetti di uguale lunghezza e peso.
Essi apparvero uno dopo l'altro come in un'ineffabile epifania, forgiati nei fuochi eterni da una antica sapienza ordinatrice.
Il primo, un grosso martello che brillava di una luce fiammeggiante, ancora incandescente, sgorgò dal lago e galleggiò immobile fino a quando Qissa non lo afferrò con la mano destra.

- شکست ناپذیر.
Tughlaq.
Chi lo impugnerà sopravvivrà ad ogni battaglia, ma non potrà mai salvare chi ama.
Neppure se stesso.


Per seconda venne l’ascia, un oggetto luminescente e bellissimo, dal profilo longilineo e dalla lama affilata come denti di drago.

- قربانی
Akhbar.
Troverà la morte chi oserà maneggiarla, ma in cambio difenderà il suo orgoglio e la vita di chi gli sta a cuore.


Furono parole che Qissa giudicò incomprensibili. Gli parve dapprima che le due armi sopperissero l'una alle mancanze dell'altra, così si ripropose di non impugnarle mai da sole.
Chinò il capo di nuovo in segno di reverenza e ringraziò il Guardiano per aver mantenuto la promessa.
A quel tempo ignorava che lo scambio era stato senz'altro favorevole, ma non per lui.
Qissa era un nano fiero. Aveva avuto tutta una vita per riflettere sulle sue ambizioni e non aveva mai ottenuto nulla di quello che aveva desiderato.
Era stato saggio, un tempo; i suoi simili l'avevano da sempre eletto loro comandante per la sua rettitudine, per la sua onestà.
Questo l'aveva salvato dalla schiavitù: il suo animo puro. Incorrotto dalle bramosie che consumavano Theras e i suoi esseri senzienti.
Qissa era stato un nano piccolo e semplice. Eppure egli dimostrava ora di potersi elevare ben oltre la propria statura.
Si sentiva per la prima volta grande.
E non importava che le sue intenzioni fossero quelle di liberare il suo popolo, di scacciare gli impostori che si spacciavano per divinità perfette ed immortali.
Non importava quanto nobili fossero i suoi scopi.
L'ambizione poteva consumare un essere vivente come una fiamma che divora un corpo dall'interno, silenziosa e invisibile fino alla sua spietata e incurabile metastasi.
E su questa ambizione aveva fatto leva il Vas'i Al Sharib. Per questa ambizione Qissa aveva rinunciato a se stesso, pur senza saperlo.
Credeva di essere più scaltro, più forte degli déi. Credeva che la sua nobiltà l'avrebbe salvato di nuovo.
Ma tutti i mortali, in fin dei conti, si assomigliavano.
A quel punto solo il silenzio incandescente del nano riempiva il vuoto di quello spazio antico.
Egli percepì allora un dolore repentino all’occhio destro, lo coprì con la mano ma non oppose alcuna resistenza; gli parve che qualcuno, all’improvviso, gliel’avesse strappato con un colpo secco: le sue urla rimbombarono a lungo sulle pareti di roccia.
Quando tolse la mano, scoprì di non averlo più.

- Il patto è stato rispettato.

Il nano sorrise, un sorriso fiero e determinato.
Che tremassero tutti gli déi bugiardi e fasulli.
Jahan era il suo nome, e ora era un guerriero.







Contest il cui tema, "Genesi", mi ha offerto lo spunto per narrare delle origini di Qissa, l'antenato di Arsona e fondatore della sua stirpe.
Le vicende si svolgono presumibilmente nella Prima Era. Si tratta dell'incontro del nano con uno dei Demoni più antichi di Theras, Vas'i Al-Sharib, grazie al quale ottiene di vedere forgiate le sue armi leggendarie, Tughlaq e Akhbar, ancora oggi eredità dei Jahan.
Ringrazio tutti per la lettura ^_^
 
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