Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

La cetra fra gli abeti, Arrivo di Evelyn Valén

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Alb†raum
view post Posted on 26/7/2014, 23:37












Le dita agili e magre di Mellow corsero sulle corde della cetra con delicata rapidità. I polpastrelli toccarono le stringhe di budello, le tesero, le mollarono. Un suono cristallino si diffuse nell'aria e riecheggiò rimbalzando fra i fitti tronchi della foresta dei sussurri. Non era nient'altro che un accordo di prova, ma qualunque persona poco esperta avrebbe creduto di sentirvi l'inizio di un'incantevole melodia, quelle intonate dagli elfi e dalle fate delle leggende. Mellow, invece, strinse le labbra in una smorfia insoddisfatta. Elfi e fate sicuramente non avevano strumenti con corde così dannatamente dure. Posò lo strumento al proprio fianco, sul mantello, e poi la testa contro la ruvida corteccia del tronco vicino al quale era seduto. Attorno a lui il silenzio era pressoché totale, interrotto solamente dal frusciare del vento fra le fronde odorose di resina e dagli animali che camminavano fra gli aghi caduti. Quel luogo era fuori dal territorio di pattuglia degli Arshaid, ma pochi oltre a lui lo sapevano e la maggior parte di questi non aveva voglia di rischiare la vita per farsi un pisolino sotto un abete. “Stupidi” pensò con un sorriso raccogliendosi le braccia dietro la nuca e incrociando le gambe. “Non sanno cosa si perdono”. Tuttavia in quel momento lo stomaco gli bruciava troppo per l'insoddisfazione perché potesse godersi la tranquillità. Tirò un sospiro e lanciò uno sguardo tra il divertito e l'irritato alla cetra.
Aveva acquistato quello strumento qualche giorno prima da un artigiano nomade che vagava ai limitari del bosco, un artigiano umano. Se già la sua presenza in quel luogo infestato dagli Arshaid era sufficientemente bizzarra, lui stesso appariva decisamente poco normale: non era alto che un metro e cinquanta, con la barba cotonata che gli cresceva lunga sulle bassette; indossava un farsetto porpora pieno di merletti e cinghie che un tempo doveva essere stato semplicemente pacchiano, mentre ora era divorato dai tarli sugli orli e scolorito sulle maniche. Aveva un carretto che era una piccola casetta con tegole rosse di ceramica, camino e finestre decorate con tendine. Lo trainava un bue muschiato, il più grosso che il cantore avesse incontrato in tutta la propria lunga vita.

«Che affari si possono fare in un luogo del genere?»

Gli aveva domandato Mellow mentre l'altro gli apriva davanti un piccolo cofanetto di legno dipinto con la vernice che sul coperchio veniva via a scaglie e i cardini che cigolavano. Doveva però trattarsi di qualche diavoleria magica, visto che ne aveva estratto subito un paio di cetre che da sole avrebbero riempito completamente il contenitore.

«Non ha paura degli elfi?»

L'altro gli aveva rivolto un sorriso con le fossette che andava da un orecchio all'altro. Mellow avrebbe veramente voluto dire che si trattava di un ghigno maligno, inquietante, ma così non era: era il riso di un bambino, sincero.

«Basta saper apparire nella maniera giusta e chiunque è disposto a comprare qualcosa.»

Aveva ridacchiato fra i candidi baffi mentre Mellow aveva posato l'orecchio sulla cassa di risonanza delle cetre per valutarne il suono, troppo concentrato per comprendere il significato delle parole dell'uomo (ma ci sarebbe arrivato dopo e si sarebbe fatto una grassa risata). Stava cercando uno strumento del genere da mesi da quando all'ultimo si erano rotte le corde, e sinceramente non si sarebbe mai aspettato di trovarlo in un luogo del genere. Aveva finito con l'acquistare quell'arnese dalle corde che parevano di marmo. Era l'unico che si era potuto permettere, con la manciata di monete che aveva dietro.

«Beh, sarà un ottimo modo per irrobustirti le mani, giovanotto.»

Aveva commentato l'ometto nel risalire sul proprio carro. Si era aggrappato allo scalino di legno con entrambe le mani e si era tirato su di forza, senza riuscire tuttavia a sollevarsi più di un paio di centimetri. Mellow si era chiesto se fosse il caso di dargli una mano un attimo prima di vederlo lanciarsi in aria e sedersi sulla seggiola del carro dopo una capriola da giullare.

“Irrobustirti le mani” masticò amaro Mellow, fissando gli scampi di cielo lasciati scoperti dai rami carichi di aghi. I polpastrelli si stavano già indurendo per i calli e le dita gli facevano un male dannato dopo una sola ora di esibizione. Le avrebbe perse le mani, di quel passo, altro che irrobustite.
Il filo dei suoi pensieri venne interrotto da un calpestio regolare che gli si faceva vicino. Si girò in direzione del suono senza agitazione, solo vagamente scocciato. Anche se fossero stati gli Arshaid, dubitava che avrebbero fatto qualcosa di più che rovinargli la giornata. Gli avrebbero puntato contro le loro lunghe spade ricoperte di rune brillanti e lui si sarebbe alzato, si sarebbe spolverato il mantello e se ne sarebbe andato senza far storie. Era già successo, e, per quanto non dovesse stare molto simpatico a quegli altezzosi orecchie-a-punta, non parevano aver mai avuto vera intenzione di fargli del male.
I passi si fecero più vicini. Dopo poco gli fu chiaro che si trattava di una sola persona. Sollevò un sopracciglio. Bizzarro. Fu questo ad allarmarlo: chi non temeva di inoltrarsi da solo nella foresta o era folle o abbastanza forte per sopravvivere a ciò che si nascondeva all'ombra delle conifere. Personalmente, e non senza un certo orgoglio, si riteneva parte della prima categoria.
Si tirò quindi su in piedi strisciando la schiena contro il tronco, senza trattenere uno sbuffo di insofferenza. Afferrò meccanicamente la cetra un istante prima che scivolasse lungo le pieghe del mantello e rovinasse a terra e la appese a un gancetto della cintura. Appena in tempo: in quel momento il viandante solitario apparve al suo fianco da dietro uno dei pini.
Non senza sorpresa Mellow constatò che si trattava effettivamente di un elfo, donna, per giunta. Il cantore sentì il corpo formicolare. Era bella, sì, era molto bella, con capelli biondi e morbidi che le cadevano fino a metà schiena e un corpo snello, aggraziato, quello che nei canti per le signore chiamava membra “fatte per baci e carezze” e nei canti per gli uomini “da adagiare in mille modi su un letto di taverna”. Il calore cominciò a fluire verso le parti inferiori del suo corpo e dovette mordersi con forza un labbro per distrarsi.

«Buona giornata, signora. Posso aiutarla?»

Tenne scoperte le mani e la cintura per far mostrare di essere disarmato. A questa aveva appesa, oltre alla cetra, una piccola bisaccia, un sacchetto di cuoio dall'aspetto desolatamente vuoto e tre pezzi di un flauto traverso argentato. Niente di più innocuo. Solo uno sciocco, tuttavia, avrebbe creduto che lo fosse veramente: chi conosceva il buon vecchio Mellow sapeva che non combatteva con pugnali o spade.
Era uno dei motivi per i quali gli Arshaid preferivano non avere a che fare con lui.

«Il mio nome è Mellow. Sono un cantore itinerante senz'armi, senza una casa... e senza un soldo.»

Si esibì in un profondo quanto esagerato inchino e mentre si rialzava il cappuccio rosso consunto gli scoprì le orecchie vagamente a punta e i capelli neri. Con fastidio se lo ricalò sulla testa mentre la brezza fredda gli carezzava il collo.

«Sono qui per godere della tranquillità della natura, lontano da dove i boscaioli... violentano i tronchi con le proprie asce. Non è molto ed è tutto ciò che desidero.»

Continuò esibendosi in ampi gesti per accompagnare le proprie parole, e stava cercando ancora altre giustificazioni e frasi carine quando, guardando in volto l'elfa, scrutandola in quegli occhi di miele, si rese conto di un particolare.

«...tu non sei dei loro, vero?»

Le braccia gli caddero lungo i fianchi, stroncate. Vi erano due comunità di Arshaid lì vicino, tra le più grandi e importanti dell'Edhel e Mellow poteva affermare con una certa sicurezza di conoscere quasi tutti i loro componenti (soprattutto quelli femminili, avrebbe affermato in una taverna, ma solo a bassa voce e a qualche persona fidata; attirarsi dietro qualche arcimago indignato non era fra le sue aspirazioni di vita). Lei non era fra questi. Lei non era nemmeno parte delle altre centinaia di villaggi costruiti sugli alberi attorno agli Shaogal Crann, ma questo Mellow lo intuiva solamente come un sentore sulla punta della lingua.

«Posso chiederti cosa ti conduce qui?»



Salve e benvenuta al tuo arrivo. Io sono il gerarca incaricato della gestione e della valutazione finale della giocata, in cui potrò assegnarti l'energia gialla o quella verde se ti sarai dimostrata meritevole. Non badare alla lunghezza dei miei post e fa del tuo meglio: spesso potrei fare post molto brevi solo perché l'arrivo prosegua.
Ad ogni modo, la premessa è che Evelyn è venuta a sapere da una comunità di Rahm As Aid che l'unica maniera per provare a convincere gli Arshaid è parlare con uno degli anziani nelle grandi comunità nel sud dell'Erynbaran, ma che queste sono estremamente diffidenti per la grande quantità di ombre che le affligge. A parte questo, lascio a te la libertà di descrivere le modalità in cui il tuo personaggio apprende queste informazioni.
Nell'attraversare il bosco, ai suoi limitari, incontra Mellow, un cantore itinerante non meglio specificato. In qualche modo riconosce che Evelyn non è una Arshaid delle comunità di quel luogo e le chiede il perché si trovi lì. L'arrivo si svolge in autunno, fa abbastanza freddo ma non ci sono state ancora nevicate né formazione dei pittoreschi alberi di ghiaccio.

Mellow possiede una passiva che lo fa apparire particolarmente affabile. A parte questo, nient'altro.
A te la penna.
 
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Evelyn Valén
view post Posted on 29/7/2014, 11:10




Una Melodia nella Foresta






Infine giunse l'autunno sull'Erydlyss.
Le poche e tenaci gemme che si ostinavano a vivere all'ombra di quel bianco colosso, che con la perenne ed onnipresente ombra contribuiva ad aumentare l'assoluto gelo del luogo, già si preparavano ad affrontare l'inverno imminente.
Il fianco di quella gelida e sconfinata catena era decorato da sporadiche quanto casuali pennellate di vita, venute al mondo salutando il sole della mite estate e preparandosi a sprofondare nuovamente nell'oceano dell'oblio all'ultima alba d'autunno.
Evelyn si rispecchiava in quelle gemme. << "Sbocciata" tra i ghiacci, trovata e "colta" nel disgelo >> la fece riflettere un giorno il suo nonno Albero nel citare un passo della profezia "della rosa", tramandata sin dai tempi antichi.


"Seminata tra le bianche nevi,
germogliata nel sangue d'un caro,
come una fenice dalle ceneri,
sbocciata nel suo dì più amaro."



La fanciulla evitava di pensarci. Essere (od essere ritenuta) parte di qualcosa di talmente grande, aulico e profondo la metteva a disagio, creando in lei un senso d'imbarazzo e soggezione dal quale difficilmente riusciva a liberarsi. Preferiva vivere pensando che ogni sua azione fosse dettata unicamente dai propri sentimenti piuttosto che essere già scritta e predetta in un'antica profezia, oggetto delle aspettative e delle speranze di un intero popolo. Se infne tali azioni si fossero trovate a coincidere, non avrebbe potuto che rallegrarsene.

Erano trascorsi oramai più di 4 cicli lunari da quando prese congedo dal suo arboreo tutore per mettersi in viaggio alla volta delle terre degli Arshaid.
Le giornate trascorrevano lente ma piacevoli, per lo più in solitudine. La fanciulla scelse di non passare per la foresta.
Il bosco di nonno Albero si trovava al limitare nord-occidentale dell'Erydlyss, sulle sue pendici, mentre la patria del clan Arshaid sua meta vi si trovava in linea retta in direzione sud-est attraverso la foresta dei sussurri dell'Erynbaran.
Non era la prima volta che faceva visita agli adoratori degli Shaogal Crann.
Anni addietro, dopo il suo primo incontro con una tribù Rahm As Aid del nord, dove le indicarono la strada, proseguendo il suo pellegrinaggio presso le tre grandi popolazioni elfiche dell'attuale Edhel, scelse quella degli Arshaid come seconda meta. Nemmeno allora si addentrò nella foresta prima che risultasse impossibile proseguire lungo il suo margine esterno.
Non temeva più le ombre della foresta e le creature che al suo interno vi vagavano, non da quando ne fu tratta in salvo da nonno Albero, ne comprendeva tuttavia la pericolosità.
Lungo tutto il tragitto aveva costeggiato l'Erynbaran, proseguendo lungo un sentiero naturale tra le rocce dell'infinita catena montuosa.
Gli unici incontri che spezzarono la seppur velata monotonia e solitudine del viaggio, avvennero con un paio di mercanti, i cui pensieri erano occupati dalla fretta di tornare alle loro case, nel territorio che gli umani chiamano Dortan. Di lì a poco, la nuova gelata avrebbe reso impossibile praticare la via di transito tra le montagne.
Giunse infine al limite meridionale che segnava la linea di confine tra i due territori, fu costretta ad entrare.
Camminava tranquilla, molto più tranquilla di quanto si fosse aspettato. Il sole aveva da molto superato il suo zenit ed in quello stesso momento iniziava ad assumere la tipica calda colorazione che precede la venuta del crepuscolo.
Si era addentrata tra il fitto della vegetazione già da diverse ore e tutto procedeva per il meglio: non vi era segno di ombre o delle altre aberrazioni solite infestare quella terra e nemmeno la presenza di squadre arshaid nonostante fosse sicura di essere entrata nel territorio sotto il loro protettorato ormai da diverso tempo.
Il suo cammino fu interrotto da un suono anormale, alieno, breve ma penetrante, poco distante da lei. Mossa da curiosità, si diresse verso la direzione da cui la strana melodia proveniva, attraverso un tortuoso sentiero da poco battuto.
Si muoveva agile, sicura ed aggraziata, come ogni elfo all'interno del proprio elemento naturale. Scostava con delicatezza rami ed arbusti, evitava i nidi e le buche scavate dagli animali del luogo per evitare di distruggerne l'operato e passava di radice in radice con un lieve balzo ogni qual volta una pozza acquitrinosa le sbarrava il cammino.
Pur senza mutare la propria espressione, rimase stupita di ciò che vide .
Un uomo, o così le parve, poggiava la schiena al tronco d'un grande albero e guardava nella sua direzione non senza un moto di stupore. Anche lui non doveva essersi aspettato visite in quel luogo.
La luce del sole calante riempiva la foresta, infrangendosi sulle variopinte foglie dell'autunno e donando una colorazione meravigliosa al paesaggio.
L'uomo dinnanzi a lei iniziò ad esibirsi in ampi e teatrali movenze mente, scoprendosi la cinta dal pesante mantello, procedeva a presentarsi.
"Un musicante" constatò Evelyn con un sorriso, ammirando gli eleganti strumenti che portava con se ed ascoltando le parole cordiali che questo le rivolgeva. Apprezzava particolarmente la naturalezza con la quale l'uomo si esprimeva, le infondeva fiducia.
Lo ascoltava con attenzione e rimase incuriosita da una piega che prese il discorso dopo una breve pausa, accompagnata dall'espressione interrogativa dell'interlocutore; doveva aver intuito qualcosa.
Con espressione curiosa accompagnata dallo splendido sorriso, prese a rispondere a tutte le domande che le erano state poste.

<< Buon pomeriggio caro maestro cantore, il mio nome è Evelyn, della casa in cui un tempo abitarono i Valén. >>

La voce era della stessa dolcezza del latte.
Mosse calma alcuni passi verso di lui, senza staccare i grandi occhi dorati dal suo sguardo. I lunghi capelli dello stesso colore del grano al tramonto le ondeggiavano sinuosi sull'esile schiena mentre le gambe affusolate accorciavano la distanza.

<< Vi dispiace se mi siedo accanto a voi messer Mellow? Il mio viaggio non è ancora terminato ma troverei molto piacevole gradire della vostra compagnia e di un po' di riposo. >>

Senza attendere la risposta, si sedette accanto all'uomo la cui gamba, eretta contro l'albero, sfiorava ora la spalla di lei.
Il tono della fanciulla si fece lievemente divertito senza peccare tuttavia della dolcezza che lo caratterizzava.

<< Ed avete ragione, non sono dei loro, anche se forse sarebbe corretto dire che sono proprio loro a non essere dei miei. >>

Il tono divertito si notò di più questa volta.
Scosse delicatamente la testa facendo danzare i lunghi capelli come per voler scacciare dalla mente chissà quali pensieri.

<< Sono giunta fino a questo luogo in cerca d'una risposta che so già essere negativa, ma per la quale non posso rinunciare dal porne la domanda.>>

Fece un espressione confusa, non sapeva perché si stesse tenendo tanto sul vago con un uomo che le infondeva tale fiducia e simpatia.
Leggermente imbarazzata, per interrompere il silenzio che si era venuto a creare, proseguì.

<< Mellow, sapete che ci troviamo in terriorio Arshaid? E pericoloso vagare da soli per queste terre.. Per quale motivo siete giunto fin qui se mi è lecito sapere e se vi è gradito rispondere? >>

Prima che l'uomo avesse occasione di rispondere tuttavia, la bell'elfa terminò con un ultima richiesta:

<< Mi suonereste qualcosa? >>




Eccomi qui, perdonami il ritardo ma gli impegni del fine settimana si sono protratti più a lungo del previsto ^^'
Detto ciò, spero di non aver commesso troppi errori :P
A te ^^
 
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Alb†raum
view post Posted on 30/7/2014, 16:44












Quando l'elfa gli si sedette accanto, Mellow dovette sforzarsi perché le guance non gli diventassero del colore delle ciliege mature. Aveva la spalla di lei, rosea e morbida, a pochi centimetri dalla gamba. Se fosse rimasto seduto dove era stato fino a pochi istanti prima, non avrebbe nemmeno dovuto allungare un braccio per carezzarle i lunghi capelli dorati. Quel pensiero lo fece sentire a disagio. Ebbe quasi la tentazione di portarsi una mano al colletto per allargarselo, ma si prese una mano nell'altra per impedirselo. Dannazione, non era un ragazzino imbranato di fronte alla sua prima cotta, aveva avuto molte donne, anche se meno di quelle di cui usava vantarsi. Non era lui che raccontava di come nessuna fanciulla fosse in grado di resistere al suo fascino misterioso e ai canti che intonava? Che cosa avrebbero detto se lo avessero potuto vedere in quell'istante, a fissare come un idiota una ragazza con cui aveva appena scambiato due parole?
Probabilmente lo avrebbero ignorato per fare commenti a bassa voce su ciò che lei aveva sotto la camicetta. Quel pensiero lo fece quasi sorridere.

«Maestro e messer sono titoli decisamente altisonanti per me... e ne sono lusingatissimo, ma puoi chiamarmi semplicemente Mellow se mi concederai di chiamarti solo Evelyne.»

Sorrise discretamente nell'afferrare la piccola cetra appesa alla cintura per accontentare la richiesta dell'elfa. Per un bel canto avrebbe rimandato volentieri a dopo le questioni più spinose. Quando ne prese il manico fra le dita esperte il cuore gli batté forte, ma non era paura di esibirsi, no. Da che ricordasse, non aveva mai avuto panico da palcoscenico. Era troppo dannatamente bravo per averlo. Era solo che un musicista, più di ogni altra donna, ama le corde con cui produce musica. Anche quelle dannatamente dure e difficili da pizzicare. Dopotutto amori senza conflitto esistono solo nelle favole.
Guardò in viso un'altra volta l'elfa, questa volta senza attrazione ma con la distaccata attenzione con cui un orefice scruta i gioielli per determinare se l'oro fosse vero o finto, se le perle fossero nate dal ventre delle ostriche o da quello di un alambicco di qualche falsario. E una voce, l'Arte, come la chiamava fra sé e sé, gli disse che i lineamenti di quel viso erano morbidi e gentili, ma che quelle guance sarebbero state più belle se, lucide di lacrime, avessero riflesso il sole che filtrava dagli alberi.
Pizzicò i tendini per valutarne l'accordatura, poi iniziò a suonare e cantare, così, con la schiena poggiata contro il tronco e i rilievi sulla corteccia che premevano attraverso il mantello.


«Flow, my tears, fall from your springs!
Exiled for ever, let me mourn;
Where night's black bird her sad infamy sings,
There let me live forlorn.

Down vain lights, shine you no more!
No nights are dark enough for those
That in despair their lost fortunes deplore.
Light doth but shame disclose.

Never may my woes be relieved,
Since pity is fled;
And tears and sighs and groans my weary days
Of all joys have deprived.

From the highest spire of contentment
My fortune is thrown;
And fear and grief and pain for my deserts
Are my hopes, since hope is gone.

Hark! you shadows that in darkness dwell,
Learn to contemn light
Happy, happy they that in hell
Feel not the world's despite.
»




"Scorrete mie lacrime, dalla vostra fonte sgorgate!
Per sempre esiliato, lasciatemi gemere;
Dove il nero uccello della notte la di lei triste infamia canta,
Lì lasciatemi vivere sconsolato.

Spegnetevi, vane luci, più non brillate!
Non v'è notte nera a sufficienza per chi,
In preda alla disperazione, piange la persa fortuna.
La luce altro non fa che svelare la vergogna.

Mai potranno i miei affanni essere placati
Poiché la pietà è fuggita;
E lacrime e sospiri e gemiti i miei stanchi giorni
Di ogni gioia hanno privato.

Dal più grande appagamento
La mia fortuna è precipitata;
E paura e angoscia e dolore per ciò che mi aspetta
Sono le mie speranze, poiché ogni speranza mi ha abbandonato.

Udite! Voi, ombre che nella tenebra dimorate,
Imparate a spregiare la luce.
Felici, felici coloro che all'inferno
Non sentono il disprezzo del mondo."




Lasciò che l'accordo finale risuonasse per qualche istante fra i rami degli abeti e le pietre ricoperte di licheni, e quando alla fine calò il silenzio fu quiete assoluta, senza più frusciare dei rami, senza lo scricchiolare degli aghi secchi al muoversi degli animali fra gli alberi. Poi anche la tranquillità morì come la pallida nuvoletta di condensa uscita dalle labbra al cantore, e solo a quel punto lui abbassò lo sguardo nuovamente verso Evelyne.

«Sarebbe stata molto più bella se avessi avuto un liuto, ma sfortuna vuole che non riesca mai a risparmiare abbastanza denaro per comprarne uno.»

Sorrise, un riso un po' forzato, gli unici di cui fosse capace dopo aver cantato qualcosa del genere. Scostò un poco il mantello e tornò a far dondolare il dolce peso dello strumento alla cintura.

«E anche questa cetra non è il massimo, se proprio devo dire la verità.»

Sfregò il pollice sui polpastrelli delle dita indolenzite dal pizzicare senza esternare quanto gli bruciassero in quel momento. Aveva l'impressione che l'indice e il medio gli fossero stati tagliati a metà per lungo, ma tentò di non riflettere troppo su quell'immagine sanguinosa. Si fregò le mani intirizzite dal freddo e, senza aspettare applausi o complimenti, tornò alle questioni importanti.

«Riguardo al fatto di trovarci in territorio Arshaid, ecco, io semplicemente di tanto in tanto amo la tranquillità. Certo, adoro i villaggi, i focolari accesi in piazza, le ombre lunghe sui muri colorati di rosso dalla luce, i fiumi di vino e birra versate in bicchieri grossi come otri, le ragazze che fanno svolazzare le gonne ballando...»

Serrò le labbra per un istante a quelle parole, quasi dimentico di trovarsi di fronte a un esponente del gentilsesso – e che esponente - . Tuttavia in meno di un secondo si riprese dall'inciampo.

«E poi la musica, sì, quella musica allegra e grezza come il grano usato per fare il pane che mangiano. Io amo ballare, amo suonare e, sì, lo ammetto, a volte mi piace anche sventolare la gonna.»

Si afferrò ridendo le estremità del mantello scuro e lo fece svolazzare come per richiamare alla mente quelle danze frenetiche. Era piuttosto che chiaro che non stesse parlando ma recitando.

«Ci sono però momenti che preferisco trascorrere da solo. Per comporre qualcosa di nuovo, esercitarmi un poco ma anche solo per pensare. E in questo bosco c'è un silenzio... sacro. Forse più sacro del sacro stesso. È difficile esprimerlo a parole. Ad ogni modo credo che sia per questo che gli Arshaid lo hanno preso come propria dimora.»

Accarezzò la corteccia dell'albero delicatamente, tastandone con i polpastrelli le venature come se queste nascondessero qualche messaggio nascosto. Se degli elfi non riusciva a comprendere la diffidenza e l'odio che rivolgevano verso qualsiasi essere che non fosse della loro razza, non faticava invece a capire l'amore che provavano per la natura incontaminata. Se avessero provato a trasmetterlo piuttosto che a possederlo egoisticamente, forse il mondo sarebbe stato un luogo migliore.

«Non ho più paura di loro di quella che ho per i tavernieri a cui non ho ancora pagato il conto: basta che rimangano distanti e non c'è alcun problema.»

Ridacchiò sommessamente. Si staccò dal tronco e scosse il mantello per pulirlo dalle schegge. Aveva la schiena intirizzita, e muoversi gli diede alcune fitte spiacevoli alla colonna vertebrale, ma si limitò ad accennare una smorfia.

«Se vuoi davvero avere una risposta dagli Arshaid di questa parte del bosco, ti conviene prepararti a essere delusa. Gli elfi che vivono qui a sud sono sospettosi persino nei confronti degli altri villaggi. Arshaid o no, se ti trovassero a girovagare all'interno dei loro territori senza un permesso o un messaggio, il minimo che farebbero sarebbe sguainare le armi e chiederti di sparire.»

“Hanno spade lunghe blu, bellissime” avrebbe voluto aggiungere “brillano come fuoco freddo e quando ti fanno anche solo un taglietto ti senti ardere il ventre, i muscoli e le ossa, il sangue bolle nelle vene e mentre credi di essere bruciato vivo dall'interno loro ti staccano la testa con un secondo colpo”. L'eccessiva dovizia di particolari lo convinse a omettere quelle descrizioni. Lo lasciò sott'inteso in un'occhiata cupa.

«Vorrei tanto poterti dire che metterò la mia buona parola con loro, ma credo che questo peggiorerebbe le cose.»

Ridacchiò, ma non era una risata felice. Non sapeva quello che facevano quelle spade perché qualcuno glielo avesse raccontato. Se il buon Mellow si fosse tolto la pesante giacca e la maglia di lana che portava sotto, avrebbe potuto mostrare, fra le altre, una cicatrice lunga una buona spanna poco sotto il capezzolo sinistro. L'unico motivo per cui non la faceva pesare agli Arshaid è perché gli piaceva pensare che gliel'avessero arrecata per sbaglio.

«Io... ti consiglierei di ritornare sui tuoi passi. O rimanere con me ancora per un po'. Canterò I saw my lady weepe e se vorrai ti farò sentire qualcuna delle canzoni che ho composto per le feste di paese. Sono un po' sboccate ma tutte molto divertenti. E poi...»

S'interruppe improvvisamente, come d'incanto. Il suo sguardo era cambiato e se qualcuno avesse fatto attenzione avrebbe potuto vedere un alone dorato brillare al centro dell'iride. Fu questione di un attimo, ma quando la luce svanì anche l'espressione del cantore era cambiata. Ora era seria, quasi triste, come se stesse pensando a qualcosa di poco allegro, ancor meno del fuoco delle spade degli elfi.

«Un... modo forse ci sarebbe.»

Mosse qualche passo fra i rami secchi e gli aghi facendoli scricchiolare sotto la suola degli stivali. Aveva rivolto il proprio sguardo verso ovest, pensoso.

«Evelyne, quanto sei disposta a rischiare per avere la tua risposta? Non serve che tu mi dica in cosa consiste. Dimmi solamente quanto è importante per te.»

Il vento smosse i rami, qualche uccello cantò triste. Era come se la natura potesse leggere nella mente del cantore.
Perché quello che avrebbe proposto non sarebbe stata una passeggiata nel bosco, e in cuor suo non sapeva se valesse la pena rischiare di perdere il bel viso dell'elfa, i suoi capelli, il sorriso grazioso che le increspava le labbra quando era divertita.

«Ma dimmi la verità, perché non voglio metterti in pericolo per un capriccio.»



Mellow come prima cosa accontenta la richiesta di Evelyne di suonare qualcosa e canta Flow my tears di John Dowland con notevole abilità. Successivamente spiega più nei dettagli perché si trova in un luogo tanto pericoloso da solo. Avverte Evelyne che gli Arshaid di quella zona sono particolarmente ostili agli stranieri, che questi siano elfi o meno. La invita a desistere, ma alla fine sembra ricordare un qualche modo per farla entrare nella città. Solo, vuole sapere quanto sia importante per lei il suo compito.

Rispondi nel topic aperto nella sezione degli arrivi in maniera da non fare un post a ogni scambio di battute. Lì si svolgerà il dialogo e qualche azione aggiuntiva e quando avremmo finito potrai scrivere tutto per esteso qui.
 
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