Le solide radici della foresta senza nome affondavano in quei territori marci. Grandi, poderose, inscalfibili. Come fossero quasi nate tra terra e roccia, tra cielo e fango in quell'abisso di tenebre. Non era la pioggia che bramavano con tanta insistenza, non era l'acqua che risucchiavano avidamente tra le loro spire. Ne erano già pregne, inzuppate fino al midollo. Così rigonfie da apparire quasi pompose agli occhi delle piccole creature dell'Edhel. Loro che con tanto terrore viaggiavano in quelle lande di morte, loro che si nascondevano in bui anfratti. Fitte tane d'erba e foglie, antiche spelonche. Avevano percorso la loro intera esistenza braccate dalla paura. Sfuggite ai mostri più diabolici dell'intero creato. Eppure adesso che la Torre era ormai parte di quel sogno etereo, loro tremavano ancora. Ora che il tempo era stato inclemente con quelle mura fatiscenti, ora che la pioggia cessava di cadere. E gli alberi secolari delle antiche foreste sorgevano prepotenti, ancora alti, unica vera certezza materiale tra le fantasie degli uomini. Le cortecce robuste e rugose celavano cavità nascoste, marci orifizi. Piccoli nascondigli in cui abitanti ancora incontaminati si rintanavano esitanti. E le foglie così ampie e lanceolate ondeggiavano pigramente, stillando piccole gocce di pioggia dal giorno passato. L'acqua malata era ancora lì, rilucente di un bagliore sinistro. Così limpida da celare la torbidezza di quel cielo velato di terrore. E si formavano polle circolari, piccole pozze in cui si intravedevano sul fondo pietre levigate. Il vento soffiava debolmente come quasi fosse rassegnato a quel mero scenario. E non vi era suono che scuotesse quei luoghi, non vi erano brusii. Solo il ticchettare delle zampe di aracnidi sulle cortecce, solo il pianto dell'antica notturna.
Guardandola da questa prospettiva, la città delle ombre non sembrava altro che una selva imbrunita dal lercio. Scura ed impenetrabile tra rami e foglie che occludevano la vista in quegli sprazzi di cielo. La luna non c'era, inghiottita da un verde tinto di velluto. Una gabbia di rami senza fine. Eppure la luce non moriva, non ancora. Già piccoli fasci filtravano oltre quell'oceano di foglie. Già i bagliori non rinunciavano a mostrarsi qua e là, schiarendo l'erba. Ed i rami ondeggianti spostavano luci, smuovevano colori. Ruotavano assieme in un caleidoscopio di cangianti riflessi. Tutta insieme la foresta soffocava i sussurri, celava rumori sinistri.
"...uto!"
Un lamento si udiva da lontano. Una flebile voce. Un mugugno appena percettibile eppure così implorante.
"Aiuto..." Diceva, quasi rassegnato. La voce bianca di un bambino, forse. Il soffio morente di una creatura privata della propria forza.
CITAZIONE
Ciao e benvenuto nell'Edhel! Sarò io a gestire il tuo arrivo che si strutturerà come una mini-quest in cui cercherò di testare le tue capacità. Non badare alla qualità dei miei post, che saranno esigui e poco curati nella forma per non farti attendere troppo, ma tu cerca sempre di dare il meglio di te! Se dimostrerai particolari doti scrittorie infatti potrò assegnarti l'energia Gialla o Verde.
Tra le foreste del Matkara, nella città delle ombre il tuo personaggio potrà sentire un lamento, una richiesta di aiuto. Decidi tu cosa fare, puoi scegliere se seguire la voce oppure allontanarti. Utilizza il thread dell'arrivo in zona arrivi per comunicarmi la tua scelta ed imbastiremo un breve botta e risposta. Sentiti libero di chiedermi qualsiasi cosa non ti è chiara.
Immoto, l'oceano di foglie e fruscii rimaneva indifferente a coloro che attraversavano la foresta. Strali di luna illuminavano i rami e i tronchi nodosi, lasciando luce appena sufficiente a bagnare il fitto sottobosco di foglie morte e arbusti sottili. Nulla sembrava muoversi in quel silenzio argenteo, solo ticchettii indistinti e mormorii a interromperlo. E imprecazioni.
« Maledizione! »
Leonhart aveva abbandonato il proposito di muoversi silenziosamente da parecchi giorni ormai: troppi rami secchi nascosti sotto il fogliame, e lui decisamente non era un guardiacaccia capace di scivolare non visto tra le fronde. Destino simile aveva incontrato il tentativo di cancellare le sue tracce, anche questo oltre la sua portata. Ma di certo non si sarebbe mai azzardato ad avventurarsi di notte in una delle foreste più inquietanti che gli fossero mai capitate - e con una torcia accesa poi! Eppure ora vagabondava senza meta precisa sotto lo sguardo vorace di chissà quale turpe entità. In realtà una meta c'era, il fatto era che lui l'aveva persa di nuovo. Il richiamo l'aveva svegliato quando ormai la luna era alta: una voce di donna suadente, dolce come il miele e allo stesso tempo colma di promesse nascoste. Non gliene era fregato molto. Però qualcosa gli diceva che un richiamo del genere non andava ignorato. Chissà che magari non fosse la stessa Dama Bianca a sussurrarlo nelle orecchie degli sventurati vagabondi che si erano persi.
Quindi aveva proseguito nella serie di azioni decisamente poco sensate che erano iniziate con l'entrata nel Matkara. Del resto quale posto migliore per discernere la volontà del flusso se non la sorgente stessa? Sperava che lì avrebbe potuto trovare delle risposte a quanto era accaduto nell'Edhel durante la sua lunga assenza. Ma la realtà era un'altra. Se avesse voluto solo risposte avrebbe potuto cercare nelle immense biblioteche di Lithien, o tornare alla rocca dei von Rosenkreuz a elemosinare vitto e conoscenza. No, quello che cercava era l'immenso potere sperimentato anni - decenni? - prima. Il potere di plasmare mondi, il potere di incatenare interi piani dimensionali al proprio desiderio. La cosa lo affascinava e lo terrorizzava a morte allo stesso tempo. E ora si stava avvicinando al cuore del Matkara, stava raggiungendo Velta. Non aveva idea di cosa lo aspettasse, quel che era certo era che avrebbe dovuto trovare un modo per mettersi al servizio dell'Inquisitrice. Da lì, il passo verso l'onnipotenza era breve. Più o meno.
E magari, visto che c'era, poteva anche trovare un nuovo accesso ad Aleetheia. In effetti non aveva la più pallida idea di come fare; il libro dei Guardiani era ben poco chiaro a riguardo: il Ricettacolo Materiale si sarebbe palesato al Guardiano in carica, e un anno e un giorno dopo la sigillatura del portale ne avrebbe aperto uno nuovo. Peccato che Leonhart non avesse tenuto conto dei giorni passati e sopratutto non avesse idea di dove cercare il Ricettacolo. Un oggetto, una melodia, forse un pensiero sfuggente o un'emozione: le sue forme potevano essere molteplici e così poco chiare che il giovane stava iniziando a perdere le speranze. Ma forse avrebbe raggiunto entrambi i suoi obiettivi con un colpo solo, una volta arrivato alla torre.
Un lamento soffocato interruppe i suoi sogni di gloria. Fievole, al punto da fargli credere di esserselo immaginato. Dopo svariati istanti, quasi sul punto di rimettersi a camminare , lo udì di nuovo:
« Aiuto... »
Proveniva da qualche parte alla sua destra, in una parte particolarmente densa di alberi dall'aspetto sinistro. Non che il resto della foresta fosse piacevole, ma quel punto in particolare sembrava l'antro di una banshee. Cercò di sondare con lo sguardo quel muro impenetrabile di legno ma con scarsi risultati: l'unica zona ben visibile era quella illuminata dalla torcia. Ben visibile, sì, ma non solo per Leonhart. Lo sguardo sempre fisso verso l'origine del suono, conficcò la torcia nel terreno umido con un sibilo soffocato della fiamma morente, poi si rimise in cammino. Se fosse stato sufficientemente attento non gli sarebbe successo niente, come aveva fatto fino a quel momento. Ed era ancora vivo, no? Se voleva rimanerci doveva capire a cosa andava incontro, e quella poteva essere una buona occasione. Aiutandosi con il bastone, iniziò a farsi strada tra radici nodose e rami bassi, gli occhi finalmente abituati al debole chiarore lunare che trapelava dalle fronde. Un centinaio di passi e gli alberi si diradarono nuovamente, facendo spazio ad una radura poco ampia. Ma gli alberi erano strani: sembravano come gonfi, strani bulbi biancastri e alti quanto un uomo ne coprivano quasi del tutto il tronco. Si avvicinò ad uno di essi e, con una certa esitazione, ne sfiorò la superficie leggermente appiccicosa. Studiandoli da più vicino si rese conto che l'albero faceva solo da sostegno: erano in realtà bozzoli di qualche animale - insetto probabilmente. Estratto il pugnale dal fodero, aprì cautamente una piccola incisione verticale su uno di essi: lo spettacolo che gli si parò davanti rischiò di farlo vomitare: un essere antropomorfo giaceva ritto in posizione fetale, le mani portate a coprire il volto e la pelle disseccata non dissimile a cartapecora che ne lambiva le ossa. I fluidi sembravano esser stati totalmente prosciugati, o risucchiati.
Una voce ruppe di nuovo il silenzio facendolo sobbalzare: un'altra la richiesta d'aiuto, stavolta più vicina. Si voltò di scatto, pugnale nella sinistra e bastone nella destra, pronto allo scontro. Eppure nulla si muoveva. Aguzzando li occhi, però, scorse che uno dei bozzoli, poco più piccolo degli altri, si agitava debolmente. Era una vittima o una larva pronta ad uscire? Un brivido freddo gli corse lungo la schiena. In entrambi i casi era prontissimo a calare un colpo di bastone sull'essere sconosciuto - non aveva molte altre soluzioni, in quanto il bozzolo era a pochi passi da lui. Con cautela si avvicinò; un lieve tremito gli faceva sobbalzare le mani mentre, lentamente, agiva come in precedenza: dapprima un piccolo forellino, poi l'incisione rivelò il contenuto con un sospiro di sollievo di Leonhart. Un bambino. Gli occhi spauriti si aprirono con difficoltà mentre cercava debolmente di liberarsi della sostanza appiccicosa.
« A... aiutatemi, signore. »
Pelle e ossa, aveva tratti nordici e l'espressione di chi non riesce a credere ai propri occhi. Leonhart lasciò cadere il bastone e si affrettò ad estrarre il ragazzino dall'involucro, agganciandolo sotto le ascelle:
« Tranquillo, sei al sicuro ora. »
Ma lo era davvero? Lo fece sedere accanto al tronco, e dopo un'occhiata veloce per controllare danni evidenti tornò a guardarsi intorno, alla ricerca di possibili minacce.
« Cosa ti è successo? Cosa è stato? Sei solo? »
Già, cosa era stato. A giudicare dai bozzoli doveva - dovevano? - essere una bestia decisamente grossa, più di un uomo forse. E anche con un discreto appetito.
« N-non ricordo bene. »
Gli avvicinò alle labbra una fiaschetta di cordiale, in modo da ridargli un po' di energia e risvegliarlo dal torpore.
« Ero a far pascolare il gregge sulle colline. Stavo riposando sotto un albero, quando improvvisamente ho sentito come una specie di puntura dietro il collo. »
Fece una pausa per trangugiare avidamente il contenuto, storcendo il naso al sapore ma continuando a berne qualche sorsata. Poi afferrò il pane raffermo dalle mani dell'uomo e lo fece scomparire in un paio di morsi. Bisognava ammettere che si era ripreso in fretta.
« N-non ricordo più niente da allora, solo buio e freddo. Mi mancava l'aria. »
E, restituendo la fiasca, si portò le mani al collo in un riflesso istintivo. Leonhart si accovacciò e esaminò dietro lo stesso: effettivamente erano evidenti due puntini rossi. Questo restringeva il campo: si doveva trattare di un insetto capace di iniettare il veleno da zanne o mandibole, probabilmente dalla testa. Si poteva escludere vespe giganti e altre aberrazioni, ma questo lasciava campo libero a qualcosa che il giovane tremava al solo pensare.
« Yrsa! »
Ragni! Entrambi guardarono verso l'alto, dove decine di altri bozzoli penzolavano grottescamente dai rami. A Leonhart i ragni non piacevano. Per niente. Non doveva rimanere in quel posto un istante di più.
« "Yrsa? Chi è, una tua amica? Si trovava anche lei con te? »
Iniziò a raccogliere il bastone e la sacca, ben intenzionato a levare le tende il prima possibile. Però cosa avrebbe dovuto fare con il bambino?
« M-mia sorella. »
Dannazione. Ci mancava solo un altro marmocchio.
« Era anche lei lì con me. D-devono averla presa... »
Sussurrò il ragazzino, e in contemporanea il giovane prese una decisione.
« Yrsa! Yrsa! Dobbiamo cercarla! »
Stupido marmocchio! Urlare equivaleva a farsi trovare, chissà che non fossero già circondati. Leonhart soppresse a fatica la tentazione di infilarlo di nuovo nel bozzolo, e si sforzò ad assumere un'espressione amichevole e decisa:
« C'era una bambina che ti assomigliava al limitare della foresta, chiamava un nome strano che ora non riesco a ricordare. È sicuramente tua sorella e ti sta cercando: vieni con me invece che perdere tempo qui. »
E avrebbe fatto bene a venire in silenzio, o l'avrebbe lasciato lì per davvero. Aveva la sensazione che portarselo dietro non sarebbe stata una buona idea, ma ancora non se la sentiva di avere una vita sulla coscienza. Per ora.
« "Forza, sbrighiamoci prima che tornino queste bestiacce. Ce la fai a camminare da solo? »
Forse ce l'avrebbe fatta a portarlo sulle spalle, non sembrava poi così pesante, anche e sopratutto vista la recente dieta. Però, con suo sommo sollievo, aiutandosi con un ramo il bambino si mise in piedi sulle sue gambe.
Camminavano nel buio della notte, soli come stelle perdute. L'uomo ed il bambino, vicini in quel luogo di morte e disperazione, lontani nei pensieri e nei sentimenti. Elim aveva perso i genitori appena un anno prima. Una malattia misteriosa aveva portato via la sua famiglia. La chiamavano il "il male dell'anima" nelle terre del nord. Coglieva d'improvviso ed era difficile scamparvi, impossibile rimanerne vivi. Elim ed Yrsa erano soli, lontani dalla civiltà, lontani da qualsiasi parvenza di umano. Vivevano tra le steppe dell'Edhel, tra freddo e sofferenze, tra inverni lunghi ed estati più brevi di un soffio di vita. Elim ed Yrsa erano sempre stati soli nell'ultimo anno. Il bambino non aveva altri affetti che la sorella, ormai. Arrancava accanto all'uomo, il passo lento e zoppicante, gli occhi spenti. Si volse nella sua direzione. Ed i suoi occhi castani incontrarono lo sguardo penetrante ed aguzzo dell'uomo.
"D-dobbiamo trovarla. Lei... lei è... importante."
Sorrise leggermente, quasi a voler scacciare via i pensieri cattivi dalla sua mente. Un sorriso amaro, uno sguardo di chi aveva vissuto più a lungo di quanto attestasse la sua età anagrafica.
Un ticchettare distinto in quella notte di velluto fece raggelare i suoi occhi. Uno scalpitio di piccoli passi, quasi lieve. Elim sembrava conoscerlo bene, sembrava sentirsele addosso quelle zampe. Cominciò a tremare e sudare freddo, cominciò a mugugnare qualcosa di incomprensibile. Poi il gelo divenne reale. Quattro occhi li fissavano, sempre più vicini, sempre più intensamente, e la creatura della notte raggiunse rapidamente le loro visioni. Il recuperatore rantolava nel buio. Un ragno dalle dimensioni munifiche, pericoloso. Le lunghe zanne si portavano avanti, come a voler tagliare l'aria attorno a sé le fauci - provviste di due uncini - si aprirono in un urlo disumano, uno stridio che aveva ben poco di rassicurante. Eppure la creatura sembrava abbandonata a se stessa, quasi morente. Urlava disperata. Un getto d'acido verde uscì fuori da quelle fauci in direzione del volto dell'uomo. Poi vide il bambino, così piccolo ed indifeso. Un balzo e gli si sarebbe avventato subito addosso. Agitò gli artigli a forma di mannaia e li portò contro di lui, una sferzata violenta contro quel gracile ventre. Le zampe, così affilate come rasoi, avrebbero potuto ferirlo gravemente se solo non si fosse protetto.
« D-dobbiamo trovarla. Lei... Lei è... Importante. »
Leonhart si arrestò, come trafitto dalle parole del bambino. Una sensazione di colpevolezza sembrò gravare improvvisamente sulle sue spalle: aveva davvero pensato di abbandonarlo, da solo, in un luogo così ostile? Ma anche portarselo dietro non era esattamente un'idea brillante, vista la sua destinazione. Scosse la testa come per scacciare il pensiero e si rimise in cammino, a passo lento per non lasciarlo indietro. Era solo un bambino, come poteva lasc- No! No, non poteva farsi distogliere così dalla sua meta o avrebbe dato ragione a suo padre: stavolta avrebbe raggiunto il suo obiettivo, non sarebbe stato il solito inconcludente.
E poi lui non sopportava i mocciosi; alla rocca ce n'erano fin troppi di marmocchi con discendenza, suo malgrado, più diretta della sua. Piagnucolosi ed esigenti, quei bipedi tormentatori erano solo versioni più piccole e infide - se possibile - dei loro deprecabili genitori: un esercito di cugini, zii e parenti così alla lontana da chiedersi se effettivamente ci fosse ancora qualche motivo per tenerli e sfamarli lì. Ma no, la tradizione voleva che tutti, tutti i von Rosenkreuz fossero accolti tra le mura dell'antica e diroccata dimora; e così uno stuolo di leccapiedi circondava il suo incartapecorito molte-volte-tris-trisavolo, Ebenezer von Rosenkreuz, nella speranza che questi si decidesse ad abdicare in favore di uno dei numerosissimi eredi; agli occhi di Leonhart la cosa sembrava alquanto improbabile, vista l'ottima salute che vantava il decrepito, ma evidentemente gli altri speravano in una caduta "accidentale" o in un incidente durante qualche esperimento, elisir di vita sempiterna o meno.
Lanciò un'occhiata sbieca al ragazzino cercando di non farsi vedere: sembrava reggersi in piedi per miracolo. Forse se ne sarebbe dovuto liberare subito, in modo da risparmiarsi il dispiacere dopo. Il dispiacere...
« Dannazione! »
Sbottò a mezza bocca. Non doveva pensare al dannato marmocchio, non ora. Sbuffò conficcando stizzosamente il puntale del bastone in una radice sporgente. E poi la ragazzina. Come faceva a trovarla in mezzo a quel mare di bozzoli? Rallentò ulteriormente accovacciandosi per evitare un ramo basso, incerto sul da farsi. Forse sarebbe dovuto tornare indietro per aprire tutti i bozzoli uno per uno. Ma no, impossibile. Gli ci sarebbero voluti giorni, e nel frattempo...
Rabbrividì, una strana sensazione addosso. Quella foresta lo inquietava più di quanto non volesse ammettere. E il fatto che finora non si fosse palesata nessuna minaccia lo preoccupava ancor di più. L'arma più pericolosa è quella puntata dietro la schiena, soleva dire il suo vecchio. Dannato imbecille.
Si fermò, una mano a grattare la barba ispida che era iniziata a crescergli sul mento: aveva bisogno anche di una buona doccia, osservò con un certo fastidio. Tornò a guardarsi intorno, alla ricerca di qualche anomalia; il bambino dietro di lui rimaneva muto, ma stranamente il giovane non riusciva ad apprezzare quel silenzio: erano giorni che non udiva una voce umana, e stava quasi per iniziare una conversazione quando un suono sospetto gli giunse alle orecchie. Occhi spalancati - e spaventati? -, sondò il buio con lo sguardo cercando la fonte. Nulla, se lo doveva essere immaginato. Non fece a tempo ad aprire la bocca che il suono si ripresentò: un ticchettio, sottile ma penetrante, dritto davanti a loro. Scoccò un'occhiata al bambino per accertarsi che gli fosse rimasto accanto. I loro occhi si incrociarono e Leonhart rimase sconcertato al terrore che vi scorse.
Arrivavano.
Iniziò a borbottare con urgenza una serie di frasi in una lingua incomprensibile: Antico Theraniano, l'unico idioma capace di incanalare il vero potere. Scariche di energia iniziarono a percorrere le sue membra sfrigolando; occhi chiusi, concentrato sulla tessitura dell'incanto, una tra le barriere più potenti a sua disposizione, capace persino di occultamento. Le mani mimavano agilmente i gesti dell'incanto, il corpo teso, quasi tremante per lo sforzo.
Troppo lento, troppo lento! La voce del suo trisavolo gli echeggiò nelle orecchie. La testa iniziò a dolere: stava lasciando fuoriuscire troppa energia. Muovi la sinistra, intessi più in fretta! Un coro di voci si alzò nella sua testa in una gara di ululati. Più in fretta, più in fretta! Sta arrivando! L'urgenza delle voci fantasma sembrò divenire sempre più pressante, e poi, d'improvviso, trattennero il respiro:
Silenzio!
Il coro culminò in uno stridio insostenibile, le voci azzittite da quell'urlo inumano. Leonhart spalancò gli occhi e cercò di gridare a sua volta, portando le mani alle tempie come trafitte da mille chiodi. Gli sembrò di crollare in ginocchio e tutto si capovolse mentre l'oscurità prendeva il sopravvento. Silenzio. Finalmente. Era diventato sordo?
Aprì gli occhi - quando li aveva chiusi? - solo per vedere un essere gigantesco svettare su di lui: due paia d'occhi lo scrutarono malevolmente prima che dalle mascelle eruttasse un getto verdastro. Le braccia alzate sopra la testa esplosero in una vampata di dolore accecante, il giovane urlò di nuovo e cercò di districarsi dalla lunga tunica impregna di acido, sfilandola a fatica e gettandola via. Proteggimi. Un altro grido - da chi proveniva stavolta? - e la bestia scattò protendendo artigli e zampe e fauci suppuranti. Proteggimi! Leonhart levò di nuovo le braccia protendendo il bastone - non c'era nessun bastone, quando gli era caduto? - e in un guizzo di sofferente volontà proiettò la sua energia nel disperato tentativo di elevare una barriera. Proteggimi! Il tempo sembrò congelare insieme alla bestia vicinissima, ormai a pochi passi da lui - non era diretta verso il giovane ma poco alla sua destra, tuttavia grande abbastanza da travolgerlo nell'impeto. Erano i suoi ultimi istanti di vita? Non aveva preghiere da rivolgere agli dei. Al massimo lamentele. E poi, con un sospiro, la barriera si plasmò in un reticolo luminoso bluastro, a frapporsi tra le vittime e il carnefice. Si avvertì un profondo colpo oltre di essa e delle crepe si dipanarono sulla sua trama. Poi un altro. Il bruciore delle carni ancora vivo, il giovane si levò in piedi ed estrasse il pugnale dal fodero, la lama leggermente incurvata e lunga un piede. Doveva agire in fretta, non avrebbe retto ancora per molto.
Nell'esatto istante in cui la piccola cupola luminosa esplose in migliaia di schegge impalpabili, Leonhart levò la sinistra in un gesto sinuoso verso il Recuperatore.
« Avvizzisci. »
Un'onda si propagò dalla sua mano, percettibile solo perché sembrò risucchiare via la poca luce della radura, diretta verso l'aracnide ora più visibile: alto due volte un uomo e con zanne lunghe quanto un braccio che scattavano ritmicamente a vuoto, svettava inquietantemente sulle sue due vittime a un paio di passi di distanza.
Una morsa sembrò stritolare la sua forza di volontà: un ragno. Un ragno enorme. Con un grido a squarciagola si lanciò verso il mostro, coltello impugnato con entrambe le mani, del tutto dimentico del dolore. Un balzo quasi a occhi chiusi e il coltello calò saettando verso gli occhi dell'aracnide. Insieme alla lama anche il giovane rischiò di finirgli addosso per l'inerzia accumulata col salto, ma barcollante riuscì a rimanere in piedi e arretrare. Nell'impeto gli si erano intorpidite le braccia e aveva perso il coltello, ma non riuscì a capire se l'affondo era andato a segno.
Senza neanche lasciarsi il tempo di riprendere il fiato si chinò a raccogliere il bastone caduto e scattò verso il bambino, a controllarne le condizioni.
« Sei ferito? »
Dovevano scappare. In fretta. Quell'assalto bastava a malapena per rallentarlo, ma Leonhart non ce l'avrebbe mai potuta fare a combatterlo. Non quel- Quel mostro!
Il ragno sbuffò dall'apertura sotto il suo guscio corazzato. La sua preda era stata rubata, il suo pasto era sgusciato via dal bozzolo soffocante. Eppure non era soltanto affamato. Era stanco, terribilmente debilitato e fiacco. Non era passato molto tempo dall'ultima volta che aveva udito il canto della sua Bianca Signora. Lì, in quell'antro di oscurità perenne, lui ed i suoi compagni attendevano nei tempi propizi le ignare vittime. Un tempo erano vere e proprie alcove di morte, un tempo bastava un solo aracnide dell'Edhel a terrorizzare interi gruppi di uomini. Ma adesso le energie gli mancavano. Era come se fosse stato privato della sua forza vitale. Come se il tempo avesse calato inesorabile la lama sulla sua testa tribulbe. Non capiva, non sapeva. In fondo era soltanto una bestia, un insetto. Uno tra gli esseri più ripugnanti e pericolosi di quelle lande, che non certo brillava per intelligenza. Ed ora si trovava ad arrancare di fronte ad un uomo ed un bambino soltanto. Un tempo gli sarebbe bastato un solo balzo e li avrebbe divorati all'istante.
"Gwaaaaaaaah!!!" Gridò disperato alla prima malia dell'uomo. Ed il suo urlo si sperse per tutto il territorio.
Gruppi di uccelli in volo si librarono in alto oltre le foglie degli alberi secolari. E gli animali della foresta migrarono verso tane più sicure. Adesso, in quella notte silenziosa, erano davvero soli contro il fato. Non li avrebbe lasciati scappare, non si sarebbe arreso così facilmente. Aprì le fauci dentellate e dalla loro apertura sputò tutto intorno a lui e sotto ai piedi dei suoi avversari una densa bava appiccicosa, la stessa che utilizzava per immobilizzare le sue vittime all'interno dei bozzoli. Poi rapidamente rantolò verso quell'uomo che era riuscito a rubargli la preda. Si sarebbe vendicato. Una delle sue zampe ossute saettò in orizzontale da destra verso sinistra contro il fianco dell'uomo. Le altre poi si tinsero di colori violacei e sinistri. Come se fossero pervase da un nuovo potere. Una tra esse frustò l'aria e poi calò, inclemente, verso il capo di quell'essere troppo arrogante.
Colpito! Leonhart si concesse un fugace sorriso di autocompiacimento. Dopotutto il vecchio aveva torto: la sua mira non era affatto male. Iniziò ad arretrare verso i margini della radura, la terra battuta divenne morbido sottobosco costellato da radici. Quel bestione non ce l'avrebbe fatta a destreggiarsi altrettanto bene tra gli alberi ridotto com'era, tutto stava nell'attirarlo dietro a... Che accidenti stava facendo? Il Recuperatore si erse su quattro delle zampe posteriori e, con un grido di rabbia e dolore, fece eruttare un geyser di melma biancastra verso il cielo. Il giovane rimase impalato per qualche istante a osservare la pioggia viscida che iniziava l'arco discendente, poi d'un tratto si riscosse e, senza troppe cerimonie, afferrò il bambino per la casacca ed eseguì un impeccabile lancio verso il fitto sottobosco della foresta, lontano dal ragno e dalla-
« Per tutti gli dei! È disgustoso! »
Una cascata di melma collosa lo aveva ricoperto da capo a piedi, quasi accecandolo e stordendolo per la puzza. Per qualche istante sembrò dimenticare la minaccia incombente e cercò di liberarsi dalla sostanza appiccicosa che non ne voleva sapere di staccarsi.
« Gwaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaah! »
Senza che se ne fosse accorto l'aracnide aveva guadagnato terreno e a pochi passi da lui ora lo fissava con intenti chiaramente poco amichevoli. Leonhart ricambiò lo sguardo. Il pomo d'adamo si alzò in una vistosa deglutizione. Mandibole schioccarono. Era passata da un pezzo l'ora di cena, bisognava rimediare: ora.
Il ragno falciò lateralmente con un artiglio - avrebbe preferito succhiarlo da intero, ma anche un mezzo uomo non era male per calmare l'appetito. Leonhart levò il bastone all'ultimo istante. Il liquido lo aveva rallentato, ma non abbastanza da impedirgli di parare l'artigliata - per un pelo - che andò a scalfire l'ebano della staffa. Il giovane assorbì il contraccolpo flettendo sulle ginocchia e quasi cadde quando cercò di spostare un piede: era incollato. Il ragno schioccò di nuovo le mandibole, stavolta con un forte risucchio. Odiava giocare con il cibo. Odiava perdere tempo in quel modo. Odiava gli umani. E aveva molta fame.
« Kreeeeeeeeee! »
Si erse in tutta la sua considerevole altezza emettendo un sibilo terrificante. Levò un artiglio al cielo in una disperata accusa verso Colei che lo aveva abbandonato, lasciandolo languire e marcire. Il cielo rispose.
Leonhart osservò con crescente compiacimento un fulmine riversarsi sull'aracnide dal cielo terso. Una vampa di luce e calore esplose nella radura, accecandolo per qualche istante. Arretrò difficoltosamente di qualche passo. Ce l'aveva fatta. Ce l'aveva fatta, si: aveva invocato il potere dei cieli contro quella bestia, si era salvato. Iniziando a pregustare l'odore di insetto bruciato insieme alla carcassa di quella minaccia da nulla - Tsk! Non si scherzava con Leonhart von Rosenkreuz - riaprì gli occhi. Un brivido freddo gli percorse la schiena.
« ...questo deve essere solo un brutto sogno. »
Il ragno lo scrutava con le sue quattro paia di occhi scintillanti; cariche di pura energia lo percorrevano interamente con sonori schiocchi, illuminando quasi a giorno l'intera radura. Lei aveva risposto. E non gli avrebbe concesso un'altra chance. Balzò.
« ...è solo un brutto sogno è solo un brutto sogno è solo un brutto sogno un brutto sogno brutto brutto brutto sognooooooaaaaaaaaaaaiutooooooo! »
Leonhart caracollò sulla schiena in un maldestro tentativo di fuga. Ma un guizzo percorse la sua mente, trasferendosi rapidamente alle migliori armi che aveva: una bordata magica esplose dalle mani e, a meno di un palmo dal ragno in volo - si appiattì fino a formare una perfetta cupola dorata. Le mannaie calarono dal cielo con uno stridore agghiacciante e frantumarono la barriera, ma il Recuperatore quasi rimbalzò per il contraccolpo e atterrò pesantemente a un passo dal giovane. Lasciandolo illeso.
Vivo?
Che gli dei lo fulminassero, era vivo! L'adrenalina sembrava bruciargli nelle vene - nelle quali era finalmente tornato a circolare sangue dopo lo spavento di poco prima. Era vivo. Senza perdere tempo afferrò il bastone cadutogli accanto e, facendo leva sul gomito sinistro, si rialzò quanto bastava per lanciarsi in un affondo col bastone verso la parte non coperta dal carapace. Invece di incontrare materia chitinosa il puntale trapassò l'aria. Il ragno aveva perso la luminescenza elettrica, anzi ora sembrava aver assunto le caratteristiche della nebbia mattutina - che i demoni inferi se lo prendessero.
Con un colpo d'anca finì di rialzarsi. Era ancora vivo! Iniziò ad arretrare. Fece un rapido controllo della situazione: le mani ancora gli bruciavano, ma non in maniera intollerabile; la spalla sinistra doleva per il contraccolpo, e gli sarebbe venuto un bel livido sulla schiena per la caduta. Ma a parte quello... be', era vivo! Quando le spalle cozzarono contro qualcosa di duro sussultò per la sorpresa. Un albero. Spalle al muro.
Il ragno riprese ad accorciare le distanze. Con circospezione stavolta, ne aveva abbastanza dei trucchetti di quell'esserino. Leonhart stava continuando a frapporre il bastone fra lui e la bestia, ma si rendeva bene conto - ed erano in due a farlo - che non sarebbe servito a niente. Era in trappola. Iniziò a sciorinare uno degli incanti più potenti a sua disposizione - roba oscura, niente affatto elegante a dirla tutta, ma era proprio quello che ci voleva in quel frangente. La mano destra intrecciò i filamenti di nebbia che rapidamente venivano a formarsi davanti a lui. E, con uno scatto del polso, scagliò la maledizione.
Il Recuperatore sembrò accartocciarsi su se stesso. Qualche istante, appena il tempo sufficiente per far tirare l'ennesimo sospiro di sollievo al giovane, e tornò di nuovo a svettare nei suoi otto piedi di altezza. Odio liquido sembrava colare dalle mascelle, lo stesso odio che aveva fatto scivolare e deviare l'anatema lanciato sulla sua mente. Era, stavolta per davvero, ora di cena.
Tre quadrelli attraversano materia vivente come fosse fumo; parte di questa materia vivente - nella fattispecie gli artigli - dondolano sinistramente davanti alla preda, quasi a solleticarle il collo. Alito fetido, fiato di carogna, si mescola a rantoli di puro terrore. Zanne schioccano allegramente. Requiem in anticipo per un morto che respira. Ancora.
L'ombra gemette e la terra tremò, quasi come fosse stata scossa da un lieve sisma. Si alzò la nera Banshee dal suo giaciglio di foglie, il volto livido di rabbia, le labbra contratte. Il caracal ruggì in quell'ultimo e breve istante, lungo quanto un refolo scherzoso. La Vena di Granito mulinò tra le sue mani candide, portandosi sopra la sua testa velata. Con la mezzaluna affondò quel ventre fumoso. Le bastò un gesto, un'occhiata fugace. E dalle sue labbra di fico proruppe una capitale sentenza.
"Vai via, finché il cielo sarà coperto ancora di nubi grigie. Finché io non riuscirò a sentire il tuo lamento nella notte. Scappa e non tornare in queste terre ormai coperte di luce. Lei non c'è più, lei vi ha abbandonati!"
La sagoma di pece ed oscurità allora gridò. L'ultimo e triste rantolo di un'anima sola, l'ultimo pianto di una figlia orfana di madre. Andò in cielo, in alto e poi si disperse in mille ceneri. Coltre di caligine nella limpidezza del cielo. Si alzò la nera banshee, e allora lo guardò. Vide il volto pallido dell'uomo, le sue energie sfumare. Si rivolse a lui, mentre una nuova e più fulgida lanterna irradiava le foglie ed il bosco.
"Li chiamano fantasmi." Sibilò. "Sono ombre, serve della notte e dei loro istinti. Sono deboli, scaltre, affamate. Trovano una vittima e la condannano ad una morte perpetua, se ne impossessano per un po'. Finché non sono stanche o sazie. E sono loro, in tutto e per tutto. Nel momento esatto della loro dipartita. Imparano dal loro vissuto, imparano le loro usanze, i loro gesti. Imparano persino a provare compassione ed affetto per chi gli sta intorno. Ma in realtà è tutta una recita. Una finzione ben costruita nei minimi dettagli." Continuò, pulendosi il volto con il fazzoletto da residui di cenere. "Quel bambino... avevo cercato inutilmente di salvarlo. Non ci sono riuscita. Non c'è stato nulla da fare. Lei è arrivata prima di me." I suoi occhi erano rossi come le fiamme, lucidi. Tremolava.
"Ma voi, venerabile, siete in cerca dell'ombra o di un modo per contenere questa tremenda piaga?" Era una domanda retorica, ponderata. Non si aspettava una risposta, invero. "Perché fuori da questo abisso infame sta sorgendo una nuova luce, uno spiraglio." Gli porse la mano, come a volerlo fare rialzare. Poi alzò lo sguardo anche lei.
"Tra poco meno di due lune calanti, nel mezzogiorno di Lithien."
I suoi occhi divennero braci e poi pozzi di tenebra. E lo chador la avvolse interamente, fino a farla diventare leggera, eterea. Divenne velo, fluttuante nell'etere. Il caracal la seguì, disperdendo il suo chiarore.
Andò via, fugace com'era arrivata. Di lei solo il profumo speziato in quella notte senza sogni. Solo il riverbero della sua voce.
Così finisce la nostra miniquest, il tuo arrivo. L'ombra si disperde alle parole di Afrah che utilizza un'abilità particolare della Vena di granito.
CITAZIONE
Con un consumo Nullo di energie, uno slot tecnica e il consenso da parte dell'organizzatore della scena qualora ve ne fosse uno, il personaggio potrà intimidire profondamente un essere appartenente alle fazioni mostruose legate al Sorya costringendolo alla resa o alla fuga immediata - condizione mentale che permarrà anche dopo la giocata. Questa tecnica può, sempre con il consenso dell'altro, essere utilizzata su un possessore di un'altra Vena con lo stesso effetto.
Poi Afrah si rivolge a Leonhart, parlandogli delle ombre e più in generale di una "nuova luce" che sta sorgendo. Lo invita quindi, qualora lo vorrà, a recarsi a Lithien. I dettagli di tutto ciò saranno ben spiegati nella quest "Llusern ~ Chiarificare", in cui se vuoi puoi inscriverti -ho appena aperto il bando-. Detto ciò, si dilegua trasformandosi in velo e svolazzando via.
Ma adesso passiamo ai giudizi!
Scrittura: Mi piace il tuo stile di scrittura, molto carino e piacevole. A tratti ricercato, a tratti semplice. Si nota fin da subito la totale padronanza della lingua italiana, nonché l'uso di virtuosismi ben piazzati all'interno del testo. L'intera narrazione scorre fluida, dinamica. Il testo si legge tutto d'un fiato e non annoia per nulla, anzi invoglia sempre più a sapere cosa succederà dopo, quali saranno le reazioni di Leonhart. La sua ostinazione, il suo essere curioso e pavido allo stesso tempo. Il tuo personaggio infatti è ben delineato, con un'introspettività vivida e limpida che però deficita di un qualcosa in più. Uno sprint, un vigore che possa risollevarlo dalla scena che si sta raccontando. Leonhart, come tu scrittore, si lascia trascinare troppo dal corso degli eventi, subendo quasi passivamente tutto ciò che accade e che accadrà. Devi insistere di più, a mio avviso, sulla vena fervente del tuo personaggio. La scena che proponi ha in sé molto potenziale, a volte anche divertente, che però deve essere nutrito ed accudito di giocata in giocata, di quest in quest. Con il tempo imparerai a farlo molto bene, perché hai delle buone basi in tal senso. Da un punto di vista prettamente sintattico e grammaticale invece, sei stato impeccabile. Non ho davvero nulla da dire se non complimentarmi, anche per aver ricontrollato il testo da eventuali errori che a volte possono sfuggire.
Strategia: Tecnicamente buona. Non ho riscontrato in linea di massima grossissime mancanze, ed anzi mi sei piaciuto molto nelle prime fasi di duello contro l'aracnide. Articolata la strategia del tuo personaggio, che pur disponendo di un comparto tecniche ancora abbastanza esiguo ha saputo destreggiarsi tra un aracnide ed un'ombra. Sei stato bravo infatti a combinare e variare le tecniche, dando ad esse un tocco personale. Mi è piaciuta un po' meno invece la strategia che hai fatto utilizzare all'ombra durante l'autoconclusivo. Ombra che sembra solo subire e contrattaccare con attacchi fisici di rimando, arrivando al gesto estremo di amputarsi un braccio pur di riuscire a divincolarsi. Una piccola nota dolente è poi l’aver utilizzato un misero 25% per l’intero autoconclusivo. Di solito negli autoconclusivi si sfrutta al massimo la propria riserva energetica, pur anche volendo economizzare per tentare di non svenire – qualora non si possedessero passive apposite - , si ci può benissimo concentrare su tecniche di esigua entità negli ultimi attimi dello scontro. Ricordalo la prossima volta.
Sportività: È stato molto difficile valutarti in questo campo, perché in generale negli altri due sei andato più che bene. Qui invece purtroppo sei incappato in molti errori grossolani facilmente evitabili con un po' di attenzione in più. In sostanza: buono il primo turno iniziale, e l’incasso dei colpi sia mentali che fisici, buona anche la decisione di difendere il bambino con una barriera frapposta da Leonhart. Meno chiaro, da un altro punto di vista, l’utilizzo del coltello citato solamente nel post e non nello specchietto. Nel secondo turno di combattimento attivo contro il ragno, commetti una velata seppur sgradevole autoconclusione che occhi poco attenti non avrebbero notato. Praticamente descrivi le azioni ed il pensiero del mostro non desumendole dal mio post, ma inventandole in parte. L’attacco apportato attraverso fusione elementale in particolare, che io ho descritto come un’emanazione violacea delle appendici del ragno, diventa invece la potenza di un fulmine che cala su di lui dandogli manforte per il successivo attacco. Questo tu lo hai giustificato per dare “un pizzico di colore al duello”. In realtà tutto ciò è più che sbagliato, e molto grave anche. Perché non solo hai descritto emozioni e sensazioni del ragno incompatibili con quelle da me proposte, ma lo hai anche fatto agire in maniera diversa - vanificando la mia descrizione-. Cito direttamente dal regolamento:
CITAZIONE
Nelle sessioni di gioco, i comportamenti di ciascun personaggio sono a totale discrezione del giocatore che ne è titolare. Entro i dovuti limiti, infatti, i PG potranno agire liberamente secondo le descrizioni -preferibilmente accurate- delle loro azioni e sensazioni. È invece severamente vietato descrivere secondo la propria discrezione pensieri, movimenti, stati d'animo e reazioni degli altri personaggi. Questo genere di comportamento è detto autoconclusività. Ovvero, decidere per conto di altri giocatori ciò che i personaggi diversi dal proprio facciano, pensino o dicano. Sarà diritto unico e insindacabile di ogni utente stabilire le azioni del proprio PG, qualunque sia l'occasione di gioco.
Questo è successo, seppur in minima parte, anche negli altri interventi. Nello stesso turno hai poi omesso le tecniche da te utilizzate. In realtà hai pure chiesto nello stesso riassunto che potevi aggiungerle, nel caso servissero. Purtroppo bisogna scriverle interamente – nonostante si sia fatto tutto nel confronto – e non per formalità, ma da regolamento. Non ti ho detto nulla in questo caso, perché è proprio uno degli oggetti di valutazione. Non mi è piaciuto il modo in cui hai affrontato la trappola adesiva: accusandola in toto si, ma potendo di fatto riuscire a muoverti. Ho voluto testarti in un autoconclusivo giusto per capire fino in fondo la tua conoscenza del regolamento, ed ho trovato molte falle. In quest’ultima prova infatti, nonostante tu abbia dato esempio di saperti destreggiare abilmente contro un mostro interamente mosso da te, non posso essere soddisfatta dal punto di vista sportivo. Un primo piccolo errore lo hai commesso puntando troppo sugli attacchi fisici. Ho cercato di farti capire in qualche modo che in realtà gli attacchi fisici su quel tipo di mostro fanno poco e nulla, però non posso condannarti del tutto. In fondo hai avuto davvero carta bianca sulla sua personalizzazione. Non hai riportato per intero tutte le tecniche utilizzate, passive e attive, sia da Leonhart che dall’ombra. Dal solo riassunto ho davvero fatto molta fatica a ricostruire anche solo i nomi delle tecniche originali. Un po’ borderline poi la scelta dell’ombra di amputarsi il braccio. L’ombra spreca troppe energie inutilmente, quasi volessi concludere il duello in fretta e furia, poi però i conti non tornano. Leonhart rimane con il 35% e l’ombra con il 20%. Seppur Leonhart è partito svantaggiato potevi ugualmente sfruttare anche solo un 20% in più e l’ombra avrebbe potuto difendersi parzialmente altresì dall’ultimo colpo fisico utilizzando pure un 10%. L’ultima tecnica - la nulla di pk - sarebbe stata anche carina, ma Leonhart l’ha evitata perché (se ho capito bene) è senz’anima. Tutto ciò normalmente sarebbe antisportivo, perché Leonhart avrebbe dovuto contrastarla con un’altra tecnica di rimando. Questo è uno di quei casi in cui l’effetto in gdr deve coincidere con la tecnica materiale presente in scheda. Per le prossime volte ti rammento un'ultima cosa: quando decidi di dividere il testo in due post devi sempre e comunque postarli insieme, mi raccomando.
___________ In conclusione ti assegno la fascia energetica Gialla, anche se con un po' di attenzione in più avresti meritato la fascia energetica superiore. Ti spettano 500 gold, e a me 400 per averti accolto che riceverò quando ritirerò lo stipendio. Per chiarimenti, critiche, et similia sono sempre disponibile via mp!