Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Days of Betrayal - Supremazia, Capitolo I

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 18/8/2014, 16:33

season of mists
·······

Group:
Member
Posts:
6,569

Status:


S U P R E M A Z I A

~ DAYS OF BETRAYAL ~


primopostimma_zps0c0dd737



{ Gilth'valar, Alcrisia; pov: ??? }



I profili dei primi edifici si stagliano di fronte a loro, monumenti ai peccati di generazioni ormai scomparse.
La pietra si crepa sotto i loro occhi, il sudiciume avvolge ogni cosa in una patina di polvere e vergogna.
Al passare degli uomini le bestie più piccole si ritraggono, sciamando nell'ombra.
Fiutandoli, altre sentono i morsi della fame farsi più forti e pressanti.
Ma quegli spettri che scivolano fra i ricordi di un passato quasi dimenticato non sono degli sprovveduti: sanno quali strade percorrere, che strutture evitare.
Le pozzanghere nere e catramose li guardano come pupille di demoni perversi.
In silenzio, si spingono oltre.

Nessuna insegna si specchia nelle acque dell'Anduin.
La lurida mano delle gilde non accarezza quel manipolo di uomini, i loro vestiti non portano i colori delle potenti corporazioni di Gilth'alas.
A riflettersi nel Tortuoso vi è solo il grigio delle loro cappe.
Alla vista tutto sembra tranquillo, ma chi può mai sapere cosa si nasconde sotto i neri flutti nei quali sprofondano le rovine di Gilth'valar.
E' raro che qualcuno si spinga fin qui, eppure il segreto per un passaggio sicuro ancora vive nella memoria degli uomini.
In silenzio, si spingono oltre.



I mantelli scivolano nell'aria, si inseguono vorticando spinti dal vento freddo e gelido.
Quell'alito di morte segue i passi delle figure incappucciate penetrando nelle loro ossa, scavando caustici solchi nelle loro menti.
Divorati dalla tensione e dall'insicurezza non possono far altro che avanzare, sperando nell'aiuto di dei ormai morti da tempo.
Il grigio dei loro indumenti si mescola alla nebbia, i pochi dettagli lasciati scoperti dei loro visi vengono inghiottiti da quel temibile mostro e niente sarà mai più incerto della loro sorte.
C'è coraggio, in quelle fiammelle abbandonate nel buio?
Anelito di libertà? Pazzia o avidità, forse?
Non ci è dato saperlo: non si può penetrare il cuore e la mente di un uomo come si potrebbe sventrarlo e studiarne le viscere.
C'è chi insulterebbe questi sudici e folli esploratori, chi li brucerebbe vivi senza pensarci due volte, chi li farebbe schiavi in questa vita e nell'altra.
Eppure tutti sperimenterebbero una strana sensazione, guardandoli negli occhi.
La stessa che si proverebbe ad incrociare lo sguardo con una statua di un condottiero di tempi passati, quel rispetto irrefrenabile di fronte a tanta temerarietà.
Ma il coraggio è ancora da ammirare, quando osare è davvero l'ultima opzione rimasta?

« Fermi, siamo quasi arrivati! Procediamo con la massima cautela, ora... non allontanatevi troppo. » - la voce roca e smorzata è indubbiamente quella della guida del manipolo di uomini, eppure è impossibile dire da dove provenga.

I loro passi si fanno ancora più cauti e impercettibili, persi fra pietre e nebbia come granelli di sabbia in una tempesta.
Il lento avanzare dell'ignaro condannato, che pensa di avere ancora una speranza di salvezza.
Sono così concentrati nel percepire segni di vita che quasi non si accorgono del cambio di paesaggio intorno a loro: rovine che diventano statue, erbacce che si trasformano in floride edere rampicanti e fiori profumati, un angolo del passato sopravvissuto all'impietoso odio del tempo.
La luce li raggiunge in un istante, imprevedibile e inevitabile.
Le loro membra liquefatte, la loro volontà dissolta così come il ricordo stesso della loro stessa esistenza: tutto in meno di un battito di ciglia.
Coloro che muoiono sono i più fortunati, il destino degli altri è mille volte peggiore.
Sono perduti ancora prima di poter concepirne l'idea.



E' come guardare il mare che sommerge uno scoglio, un uomo che calpesta un insetto, una lama che trafigge la carne.
La luce si spande, abbracciando ogni cosa con le sue dita mistiche, lambendo l'orizzonte e scivolando fra le rovine.
Tutto viene bagnato dal suo calore rovente, un bacio infuocato della più sensuale fra le amanti.
E' successo mille altre volte, e succederà ancora.
Forse.
Le rovine salutano quell'alba innaturale con sguardo annoiato, le creature della Vergogna delle Gilde stridono e sibilano al suo passaggio.
E' uguale a tutte le altre volte, eppure c'è qualcosa di diverso.
L'ennesima contraddizione di quella terra dimenticata dagli dei.
Il bagliore si spegne infine, senza lasciare tracce.
Forse.

E' questa la magia di Gilth'valar,
la città morta.



Antefatto.


Edited by savior - 18/8/2014, 18:23
 
Top
view post Posted on 24/8/2014, 23:00

Esperto
······

Group:
Member
Posts:
4,411

Status:


S U P R E M A Z I A

~ DAYS OF BETRAYAL ~


questcittagrave_zps50249575



{ Ithil, Alcrisia; pov: Dikeos VI }


Dikeos, il Sommo Giudice, camminava lento e solenne lungo gli ampi corridoi del Palazzo del Concilio, l'immane edificio che si ergeva sulla sommità dell'Ithil come un'antica sentinella di roccia e granito. L'eco dei passi riverberava fra le arcate marmoree e le alte volte, e ogni tonfo somigliava a una sentenza. I lineamenti del suo volto solcato da una ragnatela di rughe non lasciavano trasparire alcuna emozione, ma negli occhi cerulei - così chiari da apparire quasi bianchi - si leggeva un'implacabile determinazione, unita alla durezza di chi sa che dalle proprie decisioni dipende il destino di un intera città. L'unico segno esteriore della tempesta che internamente lo agitava era la lieve contrattura del pugno nel quale stringeva un plico di pergamene fittamente vergate: il resoconto degli interrogatori condotti sul prigioniero da poco catturato, nonchè la sua completa confessione.

Mentre avanzava verso la Sala del Concilio meditava sugli sviluppi recenti e sulle possibili ripercussioni che tali novità avrebbero potuto significare all'interno del delicato equilibrio politico della città; ciò che i Senzagilda avevano scoperto fra le rovine corrotte di Gilth'valar minacciava di mandare in frantumi quella fragile armonia che gli Ennomos avevano perseguito con tanta fatica nel corso dei decenni, secoli perfino - e lui non poteva permetterlo. C'erano segreti che dovrebbero rimanere tali, ma oramai era troppo tardi per tornare indietro, nè poteva sperare di far passare sotto silenzio l'intera storia. Tutti avevano assistito allo spettacolo insieme stupefacente e terribile di qualche giorno prima, la marea di luce sprigionatasi dalla Vergogna che aveva inondato cielo e terra fino a rivaleggiare con l'alba stessa; il popolo vociferava, richiamava alla memoria le antiche leggende; le Gilde erano in subbuglio, inviavano i loro emissari e informatori alla ricerca di notizie. Come se non bastasse, la scadenza decennale si avvicinava pericolosamente: il Patto era debole, le volontà all'opera per spezzarlo sempre più forti. Si trovavano sull'orlo dell'abisso, e l'unica soluzione per evitare di precipitare nel baratro era agire d'anticipo; per questo Dikeos aveva convocato d'urgenza una seduta straordinaria.

Il Concilio dei Nove si teneva in un'ampia sala circolare, dal soffitto a cupola così alto da perdersi nella penombra e le lucide pareti riccamente intarsiate con scene della secolare storia di Gilth'alas. Il susseguirsi delle vicende veniva interrotto soltanto dalle alte finestre monofore che lasciavano filtrare all'interno la calda luce del giorno, rischiarando l'ambiente. Non appena Dikeos fece il suo ingresso, gli altri membri si levarono in piedi in segno di rispetto. I nove scranni erano disposti in cerchio, a simboleggiare l'uguaglianza e la parità di ogni Gilda. Il Sommo Giudice si accomodò con un fruscio delle lunghe vesti indaco, e gli altri lo imitarono.

Prima di parlare, si prese qualche attimo per studiare i volti attorno a lui, e ciò che essi rappresentavano. Uomini e donne in perenne rivalità, sempre pronti a tramare nell'ombra e ordire complotti; fazioni opposte che si contendevano il potere del Gioiello delle Gilde, disposte a macchiarsi delle peggiori nefandezze pur di ottenerlo. Un covo di serpi che non avrebbero esitato un solo istante per morderlo a morte al primo passo falso; a lui - e a nessun altro - era affidato il compito di tenerli a bada, di salvaguardare la concordia nella città ed evitare una nuova guerra civile, come quella che molto tempo prima aveva quasi annientato le Gilde lasciandosi dietro un cumulo di macerie insanguinate a monito perenne della loro vergogna. Un compito che avrebbe atterrito e sopraffatto chiunque, ma non Dikeos, sesto del suo nome, non il Sommo Giudice, perchè l'ordine era parte integrante della sua stessa natura, il controllo un elemento inscindibile dalla sua essenza, e sapeva con incrollabile certezza che ogni sua decisione era nel giusto.

Lo sguardo glaciale si posò su ciascun capo Gilda. C'era Gareth, dei Samoq, guerriero esperto e leale, ancora letale con l'arma in pugno nonostante i capelli iniziassero a ingrigire e i segni del tempo ad apparire con maggiore evidenza; sempre ligio al dovere, era uno dei pochi su cui Dikeos poteva contare senza troppe remore, o almeno così sperava. Al suo fianco sedeva Xefia, la gorgone a capo degli Thanatas, la cui terribile bellezza era ben più micidiale di una lama; lasciva e malvagia, era uno fra i membri più pericolosi del Concilio. Quando si accorse che il Sommo Giudice la fissava sorrise maliziosa, mentre il viticcio di vipere annidiate sul suo capo sibilavano con fare minaccioso. Dopo di lei Mishtar degli Yldir, freddo e controllato, contemplava gli altri con la tipica aria di superiorità di chi troppo spesso gioca a fare il dio. Seguiva Mordred, Re dei Ladri e capo degli Ashand, con le sue vesti raffinate e l'aspetto curato che mal si addicevano alla sua professione. Eppure, dietro i sorrisetti sarcastici e le maniere amichevoli, si celava un individuo ben diverso, il cui unico indizio era dato dai suoi occhi neri come la notte: era uno sguardo infido e scaltro, minaccioso; lo sguardo di un uomo senza scrupoli.
Lo scranno successivo era vuoto; Dikeos aggrottò le sopracciglia, corrucciato.

« Scusate il ritardo! Scusate! »

Urzz'eth, tecnomago rappresentante dei Lizz'eth, si materializzò dal nulla all'ingresso, accompagnato dal ronzio del portale dal quale era emerso e lo sferragliare dei marchingegni che tentava di contenere fra le braccia. Aveva i capelli in completo disordine e gli ingombranti occhiali da quattro lenti sollevati sulla fronte.

« Ero a tanto così da un'invenzione che non vi immaginate, ma poi una di queste diavolerie mi è quasi esplosa in faccia! » Proprio mentre parlava una sfera metallica cadde per terra, si illuminò di un alone bluastro e infine sprigionò uno sbuffo di fumo. « ... a proposito, meglio rimetterle di là. » Si sporse allungando le braccia nel portale, poi si ritrasse e questo si richiuse alle sue spalle. Caracollò in avanti per un passo o due, ma proprio quando sembrava sul punto di inciampare svanì in un nuovo varco a forma di disco e ricomparve comodamente seduto al suo posto. « Continuiamo pure. »

Dikeos lo squadrò per un secondo ancora prima di proseguire: sapeva che dietro l'aspetto folle e stravagante si nascondeva un'acuta intelligenza mista ad audacia che sfociava nella temerarietà; Urzz'eth e la sua Gilda non erano da sottovalutare, ma al momento aveva problemi ben più concreti, come l'abominio che veniva dopo lo scienziato. Era difficile stabilire cosa esattamente fosse Raxiel, così come gran parte dei Serywar: mezzo umano, mezzo demone, aveva il volto ossuto scavato e pallido, poco più di un teschio scarnificato; un arto era ricoperto da squame e scaglie, e sotto il mantello si poteva intravedere il rigonfiamento delle ali ripiegate sulla schiena. Alla sua vista il Sommo Giudice non trattenne un moto di disgusto: quell'empia confraternita era la negazione di tutto ciò in cui credeva, erano fautori del caos e della rovina. Eppure, nonostante tutto, rappresentavano un valido alleato nell'impresa di tenere unite le altre Gilde: è più facile esercitare il controllo quando c'è una minaccia comune contro cui far fronte.
Il cerchio si chiudeva con Venser degli Orhan, il volto in ombra celato sotto l'ampio cappuccio e un tomo voluminoso aperto sullo scrittoio di fronte a lui, e le Tre Sorelle degli Eleam: Eur, Idyx, Es. Le driadi stavano germogliando proprio in quel momento, dopo essere appassite - come Dikeos sapeva - presso l'Albero Casa di cui erano le protettrici. I rampicanti emersero dal pavimento fessurato e si inerpicarono lungo lo scranno; tralci nodosi si attorcigliarono, fiori bianchi, rosa e turchesi sbocciarono e i ramoscelli verdi si intrecciarono fino a dar forma alle creature: tre bellissime fanciulle seminude, in parte donne in parte vegetali, unite fra loro da grovigli di viticci e radici. Le sorelle lo salutarono con un lieve cenno del capo, sorridendo calorosamente.

« Amici miei, miei pari, » esordì Dikeos con voce calma ma autorevole: era buona cosa predisporre favorevolmente i suoi ascoltatori facendoli sentire al suo livello, lasciando loro credere di importare realmente qualcosa. « Siete a conoscenza del motivo per cui vi ho convocati, pertanto non perdiamo tempo. »

Posò sul leggio le carte contenenti il resoconto dell'interrogatorio e, non appena fu certo che tutti gli stavano prestando la massima attenzione, iniziò a raccontare:

« Due giorni or sono un avvenimento portentoso e terribile è accaduto fra le rovine di Gilth'valar: voi tutti ne avete visto i segni. I miei sottoposti hanno interrogato un membro del gruppo di ribelli che si fanno chiamare i Senzagilda, ottenendo delle informazioni. Il prigioniero non partecipava alla spedizione, ma ci ha confermato il suo obiettivo: l'antico e leggendario artefatto conosciuto come Talamith. »

Fece una pausa per osservare le reazioni degli altri. Alcuni sorrisero, altri digrignarono i denti, nessuno rimase impassibile. Alla conferma dei loro sospetti, gli sguardi si illuminarono di avidità o paura, bramosia o timore. Era un nome che non lasciava indifferenti: circolavano storie sinistre su quel mitico manufatto, che narravano di poteri straordinari accompagnati da immani devastazioni. Secondo molti era stato proprio il Talamith a radere al suolo l'antica città delle Gilde, poi divenuta Gilth'valar.

« Non vi è alcuna certezza che la missione abbia raggiunto il proprio proposito, anzi è probabile che i ribelli siano incappati in qualche vecchia trappola e ne siano rimasti uccisi. Tuttavia, sapete che sono passati quasi dieci anni dall'ultimo rinnovamento del Patto, e presto sarà necessario un nuovo rituale: mai come ora l'alleanza è stata così fragile. »

Ogni parola andava scelta con cura, adesso. Doveva rimarcare la gravità della situazione per spaventare le Gilde che avevano più da perdere in caso di scontri aperti e assicurarsi l'appoggio incondizionato di quelle che operavano per la pace, ma allo stesso tempo evitare che quelle più guerrafondaie pensassero fosse il momento giusto per uscire allo scoperto.

« Debbo forse ricordarvi cosa accadde l'ultima volta che il Patto fu infranto e scivolammo nella guerra civile? Le Gilde non potrebbero sopportarne un'altra: sarebbe la fine della nostra civiltà. Per tale motivo vi chiedo » impongo « di astenervi da ogni azione che possa essere fraintesa e mal interpretata dalle altre Gilde, indipendentemente dall'esistenza o meno del Talamith. Non tenterete di ottenere maggiori informazioni su di esso, nè tantomeno ne andrete alla ricerca - o sarete puniti dal resto del Concilio, unito come un sol uomo. »

Dikeos terminò il discorso e fissò gli otto capi Gilda; uno dopo l'altro, annuirono in segno di consenso.

« GIURATE? » Domandò infine, imperioso.

« GIURIAMO! » Mentirono tutti.


~

folla_zps364e76c3



{ Gilth'alas, Alcrisia; pov: /// }


La folla brulicava per le strade di Gilth'alas come uno sciame di insetti: affollava le vie principali e i vicoli dei bassifondi, i grandi bazar e i mercati clandestini, gli ormeggi sull'Anduin e i crocevia della città. Nell'aria l'agitazione era palpabile, un misto di delirante euforia e angosciosa trepidazione. Erano giorni di festa, e di paura: dieci anni erano quasi trascorsi dall'ultimo rinnovamento del Patto che sorreggeva l'alleanza fra le Gilde e l'incantesimo che, insieme all'azione diplomatica degli Ennomos, ne garantiva l'integrità era al picco della sua debolezza. Presto si sarebbe tenuto un nuovo grande, maestoso rituale per prolungare il periodo d'armonia, ma prima d'allora tutto poteva succedere: ogni confraternita perseguiva i propri egoistici scopi, e gli obiettivi di più di una si scontravano con il bene della collettività. Ecco perchè nonostante i festeggiamenti in ogni angolo della metropoli, le bancarelle gremite, il vociare allegro e le ghirlande colorate, un persistente sentore di timore pareva aleggiare su ogni cosa, una cappa opprimente che offuscava i sorrisi delle persone.
Come se non bastasse, le voci riguardo i recenti avvenimenti circolavano incontrastate: parlavano di spettri dal passato, poteri incontrollabili e disastri futuri. Chiunque sapeva che le Gilde si stavano muovendo sotto traccia per mettersi alla ricerca del leggendario artefatto perduto fra i resti corrosi dal tempo di Gilth'valar: non potevano impegnarsi ufficialmente per non ritrovarsi schierati contro gli altri otto gruppi, ma avevano orecchie e occhi ben aperti, pronti a captare volontari, mercenari e avventurieri da legare alla propria causa. In quei giorni di celebrazioni erano molti gli stranieri che giungevano al Gioiello attirati dalle bellezze della città e dalle opportunità che essa offriva; era soprattutto a loro che guardavano le Gilde: informatori ed emissari erano sparpagliati fra la calca, pronti a mettersi in contatto con chiunque desse dimostrazione di un certo interesse, a convincerli con lusinghe e argomentazioni, ad allettarli con promesse e compensi.

Così, Gilth'alas attendeva silente alle pendici del Kraav, l'ombra, come un predatore in agguato in attesa della preda,
pronta a fagocitare gli ignari sventurati tra le sue fauci
dorate e insanguinate.




Benvenuti in Supremazia, la prima Quest del ciclo "Days of Betrayal"; per tutti i dettagli dell'ambientazione potete consultare questo link, per cui non perdiamo tempo e iniziamo con le indicazioni. Il primo post è molto semplice, si tratta di descrivere il vostro arrivo a Gilth'alas e la scelta della Gilda d'appartenenza. Dovrete inoltre recarvi alla base che ciascuna Gilda ha deciso di usare per l'arruolamento dei volontari in vista della missione: niente di ufficiale, ma le voci girano e non dovrebbe essere troppo difficile venire a conoscenza della loro ubicazione. A voi la scelta delle modalità: potete essere contattati da qualche membro, chiedere informazioni in giro, interagire con png o come preferite. I luoghi sono:
    • Ashand (Orto) - il Labirinto d'Ombra,, un sistema di fognature e cunicoli sotterranei che si espandono per tutta la città.
    • Orhan (Hole) - la Biblioteca dell'Ignoto, una grande e misteriosa libreria che sorge in un angolo nascosto di Gilth'alas.
    • Lizz'eth (Grim) - Inventorum, un complesso di edifici e laboratori dove i Lizz'eth perfezionano le loro invenzioni.
    • Yldir (Yu) - Creatorum, simile all'Inventorum ma celato in un'area boschiva all'interno della città, popolata da strane creature frutto dei molti esperimenti.
    • Samoq (Caccia) - Onor-Dimora, imponente roccaforte-caserma, sede dei valorosi e coraggiosi guerrieri Samoq.
    • Serywar (Anna) - il Vestibolo dell'Abisso, un baratro nel sottosuolo a forma di cono rovesciato, cui si accede da vari ingressi, compresi alcuni templi dedicati al Culto del Caos.
Descrizioni più ampie saranno fornite nel giro successivo; per ora limitatevi a concludere il post con l'arrivo nei pressi della base. Avete 5 giorni di tempo da adesso; per qualsiasi dubbio o domanda potete chiedere in confronto. Good luck!
 
Top
Caccia92
view post Posted on 26/8/2014, 00:39






I suoi occhi coglievano soltanto oscurità. Ma era una cosa normale, lui non poteva vedere.
Lui era cieco.
Eppure sentiva qualcosa nell'aria, qualcosa di indefinibile. Elettricità pura, una sorta di trepidazione e terrore genuino. La sua attenzione andava concentrandosi sul mormorio sommesso che girovagava come un serpente in mezzo alla gente. Sussurri di un fallimento, di un legame che si stava spezzando. Non comprendeva ogni cosa, ma conosceva la parola vergogna. La vergogna per la mancanza di coraggio aveva lastricato di cadute il suo cammino. E anche se, in un modo o nell'altro, aveva sempre trovato la forza di rialzarsi, le sbucciature sulle ginocchia cominciavano a diventare inguaribili. La mente e ciò che vi albergava - un misto di paura e senso dell'onore - viaggiava attraverso montagne e lande desolate, cercando un punto invisibile in mezzo alla nebbia. Là, da qualche parte nel cuore dell'Akeran, doveva esserci casa. Una casa senza nome.
Trattenne le lacrime. Non gli era permessa l'autocommiserazione.

Stava varcando la soglia di una nuova città. Si trattava di un rituale quasi quotidiano, una tappa obbligata nel suo percorso. Spostarsi non era un problema per lui, non lo era mai stato. Tuttavia, le sue percezioni erano al limite della sopportazione: troppi odori e suoni, troppi elementi sconosciuti che si accumulavano di giorno in giorno. La fatica nel trattenerli dava fondo alle sue energie, lo stremava a tal punto da provocargli frequenti mal di testa. Ed era strana come cosa, perché prima non c'era niente e ora c'era tutto. Lui non voleva dimenticare più la sua vita, voleva uno scopo e un luogo a cui fare ritorno. Ma per quanto cercasse, per quanto frugasse nei meandri del continente, non vi era nulla che scaldasse il suo cuore. Solo freddo, solo dolore.

L'uomo aveva il suo castello, il nano le sue gallerie, l'orco la sua tana.
Persino il nullatenente rivendicava un ponte come suo.

jpg

« Qual'è il mio posto, Amnesia? »
Il nero metallo lo ascoltava sempre e non rispondeva mai.
divider
Gilth'alas. Aveva appreso il nome della città per puro caso, girovagando nella zona di Alcrisia per qualche tempo. Si era avvicinato ai territori di Dortan solamente perché la razza umana era la più simile alla sua e nessuno faceva domande sui forestieri. Aveva visitato molti paesi di confine e sbrigato qualche lavoro per pagarsi un letto e un pasto caldo al giorno. Sapeva che continuando a girovagare all'esterno della regione le opportunità sarebbero terminate e pochi centri abitati necessitavano di guardie del corpo o cacciatori. In realtà lui non sapeva fare altro, eccetto combattere e uccidere. La sua cecità non lo consentiva. Aveva provato a mietere, trasportare giare di vino e persino a stare in biblioteca. Ovviamente, dopo alcune ore, si era reso conto che risultava impossibile calcolare sempre il perimetro del campo, individuare l'abitazione o il magazzino dell'acquirente e - rideva ancora per quel fatto - trovare il posto corretto sugli scaffali. Così si era diretto ad una delle città più grandi e fiorenti.
Quello che c'era da sapere su Gilth'alas si poteva apprendere in due minuti fermandosi al principio delle mura. Nelle vie principali passava talmente tanta gente - gente rumorosa e chiacchierona - che sembrava davvero improbabile accedere all'interno senza conoscere il "Patto delle Gilde" o le gilde stesse. Vi erano nove casate in tutto: Thanatas, Yldir, Eleam, Samoq, Serywar, Liz'zeth, Ashand, Orhan e Ennomos. Quest'ultima fazione pareva quella più importante o comunque la più rappresentata. La città in sé era organizzata come una grande metropoli, suddivisa in due parti. Lui doveva trovarsi nella prima sezione, dedicata essenzialmente al commercio e al popolo. Le informazioni che gli interessavano stavano tutte lì, in quella manciata di parole. Ma ben sapeva che sotto una parvenza di ordine si nascondeva spesso il desiderio di rovesciarlo.

« C'è aria di festa. »
Le persone danzavano per strada. Percepiva il tonfo delicato e violetto di piedi di ragazze dalle gonne fruscianti, la musica rossa e potente di una cornamusa, il tintinnio azzurro di bacchette e triangoli d'acciaio. Le esclamazioni che giungevano alle sue orecchie sapevano di gioia e compiacimento, il vento trasportava il forte odore di birra e cacciagione. L'insana e caotica voglia di divertirsi non lo disturbava, anzi: poteva tranquillamente pestare gli stivali al suo vicino e non preoccuparsene. La fiumana di abitanti lo trasportava come acqua corrente verso le piazze e le locande. Percepiva pochi sguardi che si posavano sulla sua armatura nera. D'altro canto, guerrieri e mercenari bazzicavano con frequenza le zone di Gilth'alas. Uno in più non faceva differenza.
Un richiamo femminile lo attirò ad una bancarella. Seguì con l'udito la voce bianca di una fanciulla fino ai margini di una piccola via laterale. Avvertì subito l'odore di pesce, cannella e origano, accompagnati da una dolce brezza profumata. Attorno a lui dovevano esserci circa otto uomini intenti a valutare la merce. Abbassò il capo coperto dall'elmo per fingere di guardare totani e anguille.
« Sei uno Spettro Yuga? » Un'altra voce, blu e profonda, si era insinuata nelle sue orecchie. Attese qualche istante per rispondere, perché la persona che gli stava di fianco aveva sussurrato. Quando riuscì a sentire il respiro rapido e carico di aspettativa, comprese che l'individuo era realmente vicino...e sapeva che lui era cieco. Solo Yamoto avrebbe potuto individuare quell'unica frase in mezzo al baccano.
« Quale indizio ha portato la Sua mente a trarre questa conclusione? »
Lo sconosciuto fece uno strano sospiro prima di proseguire. « Non c'è bisogno della terza persona. E nemmeno che fingi di guardarmi. » Yamoto stava effettivamente per voltare la testa « La tua armatura proviene delle Regioni Nebbiose. Inoltre- » l'uomo rise « -quale umano, orco, nano o elfo osserverebbe con così tanta insistenza un secchio di anguille vuoto? »
Yamoto si maledisse. Era stato tratto in inganno dal forte odore sprigionato dall'acqua di mare. Già...lo sconosciuto aveva semplicemente fatto due più due. Armatura Yoroi e cecità erano le componenti fondamentali dell'equazione Spettro. Spettro identificava chiaramente uno Yuga.
Perso nelle sue riflessioni, non si era accorto che l'altro se ne stava andando. Probabilmente era uno stratagemma. Dopo una rivelazione del genere, Yamoto non poteva restare fermo alla bancarella. Si spostò seguendo la scia di calore che aveva impresso nella testa per riconoscere il suo interlocutore. L'uomo doveva avere circa cinquant'anni, indossava una cotta di maglia rinforzata che odorava di cuoio raffinato, teneva molto all'igiene personale e portava sicuramente una spada. Il tintinnio metallico non lasciava dubbi.
Il passo marziale era quello di un soldato dedito alla disciplina. Piacevole, ritmico e molto facile da seguire. Un altro stratagemma?
« Una volta ho combattuto contro uno Yuga, in arena. Ostinato, fino alla morte. Per poco non ci lasciavo le penne. »
La naturalezza con la quale aveva descritto il fatto fece accapponare la pelle a Yamoto. Non era abituato a tanta sfacciataggine, eppure non riusciva a disprezzare l'individuo. Tenne ben aperte le orecchie per recepire altre informazioni.
« Mi chiamo Neigy ed ero un gladiatore. Ora lavoro per i Samoq. Vieni con me. »
La situazione cominciava a divenire un poco più chiara. In senso figurato, ovviamente. Yamoto non poteva distinguere luci e ombre.
divider
L'edificio in questione sapeva di militare. Lo chiamavano Onor-Dimora e non ne aveva colto l'ubicazione. Concentrato sul calore emanato da Neigy, si era perso mentre svoltavano a destra e manca, imboccavano vie più ampie delle precedenti o ritornavano sui loro passi. Gli era sembrato di girare in tondo per tutto il tragitto. L'ex gladiatore aveva spiegato di tenere la testa bassa e ogni tanto di separarsi per ricongiungersi immediatamente dopo. Dovevano confondere le tracce. Per quale ragione, ancora non lo aveva capito. Una cosa, tuttavia, si era trasformata: l'aria festosa che trasudava la gente. Il clima era mutato impercettibilmente, sprofondando in una più sensata allegria contenuta. Poi, all'improvviso, le voci si erano spente. Gli unici suoni che giungevano alle sue orecchie parlavano di addestramento, ferrea disciplina e senso del dovere. I rimbombi grigi di tamburi da guerra, il cozzare metallico e glaciale di spade che si scontravano, l'urlo nero di comandati e istruttori. La loro passeggiata nel cuore della città era terminata.
Neigy si fermò, subito imitato da Yamoto. « Ti ho visto perso giù al mercato, travolto dal fiume della confusione. Spaventato, forse. Gli Yuga sono individui straordinari, ma tendono troppo spesso a rimanere senza casa. » una pausa si frappose a quelle parole « Se hai bisogno di una sistemazione e, magari, di un lavoro, questo è il posto giusto per te. »
Il posto giusto per lui. Forse aveva ragione, forse si sbagliava di grosso.
Neigy fece per proseguire verso l'entrata di Onor-Dimora.
« Solo una cosa... » sussurrò Yamoto « ...non è mia abitudine rivelare ciò che sono. »
Il guerriero dei Samoq bloccò i suoi passi all'istante. Impiegò una manciata di secondi per rispondere.
« Non preoccuparti. Anche mio figlio è cieco. »










CITAZIONE

Y A M O T O

jpg

CS 8 (Forza 4 - Destrezza 3 - Percezione 1)

Critico {36%} ~ Alto {18%} ~ Medio {9%} ~ Basso {5%}

Fisico [150% - Illeso]
Mente [50% - Illeso]
Energia [100%]


Il Soldato Cieco
malus di cecità; udito finissimo; auspex basato sul calore; immunità alle passive psioniche; immortalità fintantoché indossa l'armatura; 2 CS aggiuntivi alla Forza quando l'avversario usa una tecnica magica; vittoria su tutti gli scontri a parità di CS.
Amnesia
armatura; 4 CS aggiuntivi alla Forza; possibilità di sollevare armi molto pesanti; straordinaria resistenza al dolore; grado di sopportazione fisica fino al 150%, resistenza alle psioniche fino al 50%.
Le due Albe
spade gemelle wakizashi; Miscela debilitante (1); Rubino (1).

Attive
nessuna

Riassunto/note
Ecco il mio scritto. Semplicemente, Yamoto non ha un posto dove andare e, terminati i lavori nei villaggi esterni, si reca a Gilth'alas, città decisamente più fiorente. Il primo pezzo riassume i turbamenti e i problemi dello Spettro, mentre la seconda parte è dedicata alla scena vera e propria. Mi sono permesso di interagire con un PnG creato da me, un ex gladiatore al servizio dei Samoq. La tattica con cui Yamoto è stato attirato non è troppo complessa da comprendere: Neigy lo ha riconosciuto come cieco e Yuga, trattandolo comunque da pari - cosa alquanto rara. I due guerrieri giungono infine davanti a Onor-Dimora, che ho evitato accuratamente di descrivere se non con piccoli dettagli.
Carattere e storia di Neigy sono di mia invenzione. Ho inserito anche alcune sfumature della città. Se qualcosa non combacia con l'ambientazione generale, fatemelo sapere.
Per il resto, spero vi sia piaciuto.

 
Top
view post Posted on 26/8/2014, 11:14
Avatar


········

Group:
Administrator
Posts:
14,152

Status:


Madre. I lineamenti gentili della donna si piegarono verso il corpo spento di una lepre. Il suo respiro gentile disegnava forme di fumo, accompagnate dal vento freddo del nord. Carezzò con dolcezza il corpo dell'animale morto, attorno a lei un branco di lupi se ne stava in silenzio, sul posto, come cani addomesticati in attesa del loro pasto. Non un singolo sguardo osava cadere sulla lepre morta, possibile fonte di approvvigionamento per almeno uno dei dieci lupi bianchi, il cui dorso era solcato da un lembo di pelle cicatrizzato che formava una mezza luna che racchiudeva una stella. Allo stesso modo, lo sguardo delle fiere non sembrava coinvolgere nemmeno la donna dai capelli biancastri e dagli occhi spenti, le labbra sottili posate sul corpo della lepre, baciandone la pelle all'altezza dello stomaco gonfio. Il vento gelido sfiorò i suoi capelli, trasportando nell'aria un profumo di ortica e di zenzero; un odore, invero, che il Fauno diceva di conoscere fin troppo bene. Ne aveva provato l'essenza molte volte, arrivando quasi a darlo per scontato. Alzò gli occhi al cielo stellato, intravedendo Hor, la stella del Gelo, l'astro rappresentante della divinità Kjed. E proprio nella direzione della donna di ghiaccio la stella sembrava sprigionare il proprio bagliore con tutti i suoi mezzi, rivelando tessuti che scivolavano lungo il suo corpo minuto ed aggraziato. Alzò il capo dalla creatura, distaccandosene in un gesto fermo e deciso, quasi brutale, poi sorrise alle bestie che la circondavano e toccò il muso di tutte e dieci in una sorta di gesto rituale. Annuì, infine, lasciando che queste potessero finalmente appropriarsi della carne tanto agognata. Ben presto, però, le fiere si sarebbero rese conto della scarsità della risorsa ed avrebbero iniziato a lottare, per il suo consumo. Conscia di ciò, la donna dagli argentei capelli lasciò che la natura e le sue leggi facessero il loro corso, allontanandosi dalla lotta per il sostentamento fino a raggiungere il corpo immobile del Fauno. Aveva visto tutto, quella e moltissime altre volte, assistendo al bacio, alle carezze e al sangue scorrere dal corpo dei suoi fratelli. E ogni volta soffriva per loro, ritenendo quasi ingiusto quel trattamento. Quasi, certo, perché mai avrebbe dubitato fino a fondo delle idee del Gelo. Era quasi stanco di osservare la stessa scena per così tante volte, stanco di sentire il profumo di sua madre senza poterla toccare o guardare negli occhi, senza poterla adorare nel modo in cui avrebbe voluto. Stanco di sentire ancora una volta le sue parole perdersi in domande le cui risposte non si formavano che di gesti inconcludenti e sottili, a tratti impercettibili. Sono vicino, Madre? Sono vicino al completamento della prova? Un cenno di assenso, un sorriso, il tocco freddo dell'indice destro solcare le corna dell'animale. Domani sarai ancora qui? Un altro cenno di assenso; all'indice andarono ad aggiungersi tutte le altre dita della mano sinistra, trasformando il tocco in una dolce carezza. Aspettami, Madre, resisti ancora un po', prima che possa restituirti ciò che ti è stato sottratto dall'ingordigia dell'uomo e della sua creazione. Il contatto si fa sempre più flebile, fino a sparire del tutto. La mano si allontana, disegna una luna ed una stella nel vento e si dissolve completamente.
Il Fauno chiuse gli occhi.

Poi li riaprì; tutto intorno a lui era cambiato.
Non era più all'interno dei suoi sogni fatti di rassicurazione e speranza. Con gli occhi stanchi, realizzò di essere tornato alla realtà - o ciò che più vi assomigliava, la sua realtà costruita sul sacrificio e sull'adorazione di un'invisibile madre in grado di guidarlo verso la salvezza sua e dell'intera umanità. Una realtà difficile, senz'altro, ma frutto di una scelta ben ponderata e riflettuta che lo aveva portato ad una pace interiore mai provata. La stessa realtà che sembrava sfinirlo sempre di più, giorno dopo giorno, incapace di dare lui anche la più minima delle soddisfazioni o il più fragile degli indizi. Si sentiva perso nel vuoto dell'incoscienza, eppure era un vuoto a lui così caro che avrebbe vissuto altri cinquanta dei suoi anni a cercare di decifrarne gli elementi. Un vuoto che lo costituiva, quasi, nel suo distruggerlo. Che vita può essere, se vissuta all'ombra dell'inesistente - avrebbe chiesto qualcuno. Poh avrebbe semplicemente risposto che quella era la sua vita; non avrebbe tentato di spiegare con lunghi discorsi come e quanto potesse essere abitabile il suo corpo in quella storia, non avrebbe di certo giustificato le azioni di un Dio che da sempre lo aveva abbandonato. Non lo avrebbe fatto, perché ciò avrebbe significato negare sé stesso. Lui accettava. Ma ancor più, lui credeva, aveva fiducia, una fiducia quasi scontata e cieca nei confronti della Madre del Gelo. Una fiducia che, ancora una volta, lo faceva vivere e morire allo stesso tempo.

Non vi era più la foresta a circondarlo, né il ruggito delle fiere pronte ad eliminare qualsiasi ostacolo sulla loro strada per ottenere il premio tanto ambito. Non più le carezze del Gelo, né il vento freddo di ortica e zenzero. Era lui, solo - se non consideriamo l'insetto del deserto, rimasto schiacciato nel sonno dal peso del Fauno, all'orizzonte si stagliava un'enorme vetta che faceva ombra su un'immensa distesa di costruzioni e strani edifici dai colori caldi e rassicuranti. Non conosceva quel luogo, non ricordava di esservi mai stato prima di allora. Le porte della città sembravano essere un continuo flusso in entrata ed uscita, moltitudini di persone si spostavano con fretta deall'interno all'esterno delle mura e viceversa, dando un'aria estremamente superficiale alla città.

La puzza degli uomini lo disgustava, eppure la curiosità lo spinse ad avanzare, attraversando botteghe, officine, mercati di ogni genere e folle di popolani intrappolati da uno strano senso di fretta e preoccupazione. Per quanto potesse esserne curioso, però, non avrebbe per nessuna ragione chiesto cosa stesse succedendo. Non lui, non lo avrebbe chiesto a degli umani. Attraversò nuovi portici e stretti vicoli dall'aria malfamata, fino a scorgere, alla fine di uno di questi, una creatura dai tratti rettiliani, il cui corpo antropomorfo ricordava però quello di un uomo.
E delle mie creature potrai fidarti, figlio mio, perché esse conterranno il Gelo nel loro cuore. Le parole della Madre Kjed tornarono alla sua mente in un vortice di emozioni che lo rassicurò da una parte e lo spinse ad avvicinarsi alla creatura, la quale, non appena vide il Fauno, iniziò immediatamente a correre verso l'entrata di una piccola radura boschiva all'interno della città. Gilth'alas, aveva letto, mentre si gettava all'inseguimento dell'essere dai tratti animaleschi, una sorta di abominio.
Proprio come lui, del resto, pensò il Fauno, ricordando del suo corpo dai caratteri per niente naturali.
Per quanto potesse essere veloce, però, Poh non riusciva a raggiungere la creatura, seguendone solo l'ombra all'interno della foresta. Dopo qualche minuto, rami e cespugli lasciarono spazio ad uno spettacolo ben diverso: uno spazio aperto, abitato da decine e decine di creature come quella che stava inseguendo - la quale, arrivata all'interno della radura, riprese a camminare normalmente -.
Confuso. Confuso e meravigliato allo stesso tempo. Come poteva esistere un posto del genere, all'interno di quella città? Alzò lo sguardo, incrociando una serie di edifici tendenti ad unirsi nel loro centro, quasi a creare una sorta di reggia all'interno di quella radura.

Forse questa è la tua creazione, Madre?
E lentamente prese coscienza di trovarsi proprio dove avrebbe voluto. Tra gli abomini e le bestie.
Si sentiva a casa.



CITAZIONE
Evito di inserire lo specchietto, per questo turno.
La prima parte del post è relativa ad uno dei tanti sogni che Poh fa, poi si procede con l'entrata nella città, dove Poh intravede una delle creature della gilda degli Yldir; ella si lascia seguire lungo il piccolo tratto boschivo e fino alla radura del creatorum, dove Poh sembra sentirti bene, a casa.
Prima giocata con il personaggio, vedrò di dare il massimo!
Ringrazio ancora una volta i QM per avermi scelto e auguro buona fortuna agli altri partecipanti.
Divertiamoci!


Edited by Y u - 26/8/2014, 15:05
 
www //  Top
The Grim
view post Posted on 27/8/2014, 01:33




Gli occhi azzurri dello stregone si chiusero,
facendoli piombare in una fitta oscurità. Era la prima volta che provava davvero quella cosa, il suo nuovo dono. Si sentì come sciogliere ed affondare nella terra, cadere in una voragine che si era appena aperta sotto i suoi piedi, la vertigine lo fece sussultare e quasi aprì le palpebre.

" Vergilius,
nell'Alcrisia, ad un paio di giorni di cammino da Gilth'alas.
"

Il marchio serpeggiò come una biscia lontano dalla nuca dove riposava tranquillo e s'avvinghiò al suo braccio come una fascia di seta, per diventare attimo dopo attimo sempre più concreto, se mai si poteva usare quella parola per un'ombra. Jace si sentì strattonare, come se una mano lo tirasse via, e smise di precipitare per iniziare a galleggiare nel vuoto, poi qualcosa come una corrente od un forte vento lo spinse lontano. A quel punto l'uomo si concesse uno sguardo al paesaggio che sfrecciava attorno a lui. Era come trovarsi al centro di un arcobaleno che si estendeva in lungo e largo attorno a lui. Vedeva fasce di colori turbinare sotto a lui, vorticare in ampi cerchi e mischiarsi come se fiumi diversi scorressero fianco a fianco, sebbene questa definizione fosse riduttiva. Effettivamente alcuni di essi stavano sopra, altri sotto, altre fasce colorate sfrecciavano perpendicolari l'una all'altra; e la coppia si muoveva su di loro, altre volte le attraversava in schizzi freschi che si solidificavano in mille schegge di vetro. Non aveva mai visto nulla di simile, né aveva mai viaggiato ad una velocità così elevata, quella dei sogni. Capelli e manto svolazzavano dietro di lui, piegandosi ad ogni movimento sospinti da quell'impeto, e l'uomo urlava in parte per la gioia ma anche per la sorpresa e la paura mentre Ífhyng si contorceva sotto il suo sguardo.
Tutto ad un tratto il mondo si fece nero, come qualcosa avesse assorbito ogni colore ed anche l'urlo del cartomante si perse nel vuoto, risucchiato da quell'oscurità. L'uomo chiuse le palpebre come per addormentarsi; e così poté svegliarsi fra i campi del Dortan.

S U P R E M A Z I A

~ DAYS OF BETRAYAL ~


Jace pensava, riempendo così l'eco fra un passo e l'altro. La sua mente però non si rivolgeva ad Afrah, che preferiva evocare per scacciare il freddo notturno, ma si lasciava guidare dal paesaggio tutto intorno a lui. L'Alcrisia era un mare giallo, di erba e spighe che riflettevano la luce solare, dorato. Ed era proprio quella parola ad ingombrare il suo cervello, sulla quale rimuginava peggio di un filosofo dalla lunga barba canuta. Quell'insignificante aggettivo poteva infatti adattarsi sia al colore del grano, la coltivazione più diffusa in tutta Theras, ma anche a quello del più prezioso fra i metalli; e la cosa era davvero singolare. Forse quel colore simboleggiava qualcosa di importante nei piani degli Dei che ingombravano i cieli, o magari dietro tutto c'era solo un grande sbaglio e i primi uomini avevano dato a quell'inutile metallo una grave importanza, quasi fosse il sovrano di questi, perché aveva la stessa tinta delle spighe e del mattino. Ed allora chissà quante vicende e storie si erano susseguite ed intrecciate dietro ad un fraintendimento, al credere l'uno più importante dell'altro per un confondersi di linguaggi, perpetrato chissà dove da chissà chi. Erano tutte considerazioni parecchio interessanti, sopratutto per un uomo che dal cuore dell'Edhel era giunto ai confini meridionali del Dortan solo per spendere qualche moneta. O magari non erano solo le commissioni ad averlo attirato così lontano ma la voglia di lasciare quelle terre brulle per quante belle ed immergersi dopo mesi nella civiltà, anche se solo in questo breve soggiorno. Gilth'alas, che si stagliava a pochi passi da lui, era magnifica da mozzare il fiato nelle sue evoluzioni verticali, come una montagna fatta di case e mura. Rivaleggiava con Gerico, e perdeva il confronto con Taanach soltanto perché non aveva quel folle tocco esotico che la metropoli dell'Akeran possedeva; rimaneva comunque una vista capace di lasciare di stucco chiunque. Solo chi abitava lì da tempo smetteva di accorgersi della sua monumentalità. Tuttavia il sole era alto in cielo e sistemò lo zaino in spalla e percorse quegli ultimi metri che lo separavano dalla civiltà.

Gilcosa_zps7501697c

Trivaz Gambalunga Dean stava seduto fra le bancarelle, fumando spensieratamente la sua pipa. Si stava sinceramente annoiando dopo una mezza giornata passata fra mercanzie di scarso valore, o mediocrità fin troppo care. Non che stesse realmente cercando qualcosa, stava solo aspettando che l'ispirazione lo fulminasse per poter iniziare un nuovo progetto. Ma si sa che non basta invocarla perché quella capricciosa signora si faccia vedere, anzi più si sta a lisciare la sua sottana meno si riuscirà a sfilargliela. Come tutte le donne consce della propria bellezza le si doveva bistrattare per ricevere un briciolo della sua attenzione; alla soglia dei quarant'anni credeva di aver almeno capito quella verità. Aveva dunque smesso di guardare ciò che veniva acquistato per dedicarsi a colore che compravano. Ora si era soffermato su di un giovanotto dalla vistosa cappa azzurra, che passava il suo tempo a saltare da campioni di roccia a erbe medicinali, per non disdegnare occhiate furtive alle ragazze che scivolavano vicino a lui. Non poteva certo biasimarlo visto che pur avendo il doppio della sua età, nemmeno Gambalunga aveva perso quell'abitudine; anzi talvolta lo deridevano chiamandolo Occhiolungo per questo suo vizietto. Forse per il suo modo un po' goffo e privo di spacconeria, gli stava simpatico, o magari perché quegli occhi azzurri e quella frangia castana facevano sembrare quel ragazzetto smilzo come suo fratello Roomash. Lo vide prendere il borsello per pagare quello che all'alchimista sembrava un pessimo affare.

" Non comprate quell'olio. I mercanti usano le bottiglie opache per nascondere le alterazioni. L'odore è buono perché han aggiunto dell'essenza di orchidea che però colora il liquido di porpora anziché il tipico bianco "
" Mi scusi? "

Il Cartomante si voltò, distraendosi dalla bancarella che stava ispezionando. Inizialmente non notò chi stava parlando con lui, poi si accorse del piccolo ometto agghindato per bene come un alchimista, che stava lucidando un piccolo monocolo. Per un attimo sussultò, pensando di trovarsi di fronte ad un Nano molto alto, ma l'assenza di baffi e tanti altri tratti lo convinsero che si trattasse di un umano; facendogli tirare un notabile sospiro di sollievo.

" Lo so, al prezzo a cui lo vendono sembra un vero e proprio affare, ma quando si aspira alla perfezione è meglio non accontentarsi di merce di seconda scelta. "

" Ehm, si si.
E magari conoscete un posto dove comprare buon materiale ad un prezzo onesto?
"

Trivaz sorrise, non per prendersi gioco dell'altro ma perché pur sforzandosi di essere duro e scorbutico prima o poi la sua vena di zietto gentile veniva fuori; sopratutto quando incontrava dei giovanotti così simili a suo fratello. Vero, quel ragazzo era di parecchio più alto e aveva la faccia coperta da uno strano tatuaggio argenteo, ed era molto più carino e pulito di quel bastardo di Roomash; che aveva un grosso porro sul naso e i denti giallissimi. Gli mancava troppo quell'idiota, tanto che la nostalgia lo stritolava sempre più, sopratutto in questo periodo dell'anno, durante il quale da ragazzini erano soliti andare a recuperare le primule. Non perché fossero estimatori delle piante, ma perché ci facevano un bel gruzzoletto da spendere in dolcetti prima, e vinaccio quand'erano cresciuti un pochetto. Era la parte dell'anno in cui erano più uniti e si divertivano di più. Così mosso da quella stretta malinconica costrinse Jace a seguirlo, facendosi raccontare di tutto e di più, con tono affabile e passo malfermo.

" Ecco vedete, io un tempo stavo nell'Akerat, tra Plakard e Taanach, ma poi per motivi, ehm, personali mi sono trasferito a settentrione. Avevo imparato a fare tanti decotti e lozioni, ed altri utili intrugli alchemici ed ora sono un po' sperduto perché gli ingredienti che uso non sono tipici dei boschi dove vivo. Son venuto qui a fare scorta. "
" Giovanotto, a me non mi freghi. Inutile che fai il campagnolo sperduto, io sono furbo sai?
L'ho capito subito che non sei un alchimista da quattro soldi, e che hai parecchio talento, sia per come sei agghindato che per le cose che cerchi. Ti ho visto al mercato e non cercavi intrugli da cavallaro o per curare qualche montone. No, ti servivano esplosivi, fumogeni, acidi corrosivi, e droghe allucinogeni.
"
" Ehm forse mi sono confuso e guardavo le cose sbagliate. "
" No, a me non mi fai fesso. Ho visto, hai occhio e di cose ne sai. Vieni con me e non solo ti procuro una scorta degna di un Beik, ma magari ti faccio capitare anche qualche buon gruzzoletto. "
" Non saprei... "
" Non ti interessano i segreti degli elementi? O di come si possa battere il metallo fino a dargli vita? - batté la mano sulla gamba e si sentì un forte metallico - Io e i miei colleghi siamo eccentrici forse, ma ti assicuriamo che lavoriamo al massimo per il progresso.
Vieni a dare un'occhiata e potrai scoprire che vuol dire lavorare per la perfezione. Attento che il biglietto però costa caro.

" Va bene. Ma se vedo qualcosa che non mi piace giro i tacchi. Non mi preoccupa lavorare duro, ma salvare la pelle. "
E detto questo s'inerpicarono su per la città, verso un grosso complesso di fucine e laboratori che sminuiva qualsiasi forgia lo stregone avesse visto in vita sua. Quello era un luogo dove il fuoco veniva addomesticato, il metallo si piegava ad ogni capriccio, l'acqua e il fulmine non avevano più segreti per nessuno; ma aveva anche un che di inquietante. Bruciature di esplosioni, segni di lavori e restauri quasi ovunque, ma sopratutto la gente sembrava star lontano da quel posto, spaventata a morte da quello che poteva accadere ad avvicinarsi troppo. L'Inventorum dei Liz'zeth.


specchietto

CS:5 | Intelligenza 2 Prontezza 1 Determinazione 1 Maestria con le armi 1
Critico 26 | Alto 18 | Medio 9 | Basso 5

Stato Fisico: Illeso,
Stato Psicologico: Illeso,
Energia: 100%

Mastigos: I Mastigos sono più potenti ingannatori. Essi possono lanciare le sue tecniche di illusione, infatti, anche nel caso in cui fosse completamente immobilizzato ed imbavagliato: non avrà necessità di alcun movimento per ricorrervi né di pronunciare alcuna parola. Sono in grado di modificare a piacimento il tono, il volume e il luogo di provenienza della propria voce. Potrà farla suonare blasfema e cavernosa come quella di un demone; potrà ingigantirla al punto da assordare i propri avversari; potrà farla sembrare un sussurro proveniente da poco distante alle orecchie dei suoi alleati, e molto altro ancora. I più potenti possono inoltre fondersi nelle loro stesse illusioni. Fintanto che sul campo di battaglia sarà presente un'immagine richiamata da lui, infatti, egli potrà modificare a sua volta anche il suo aspetto, assumendo qualsiasi forma e dimensione desideri. Questa mutazione - seppur ingannando tutti i sensi dell'avversario - sarà tuttavia soltanto un'illusione e non donerà al possessore del dominio alcuna capacità aggiuntiva rispetto alle sue. Infine essi non svengono una volta raggiunto il 10 % dell'energia sebbene muoiano una volta esaurita la riserva energetica. Inoltre la sua aura risulta invisibile agli auspex di natura magica.
[ Passive di Talento (I, II, III) e Razziale e Personale ]

Circolo di protezione dalla Magia: Questo sortilegio gli permette di affrontare facilmente altri incantatori, non perché protegge la sua pelle dagli incantesimi, bensì lo rende capace di contrattaccare più facilmente. Ogni volta che un avversario utilizzerà una tecnica di natura magica, per la durata di quel turno lo stregone guadagna 2 CS in Intuito. [ Pergamena Discendenza Arcana ]

Cappa degli Eterni: Il più appariscente degli indumenti del Cartomante, un enorme drappo azzurro ricoperto di simboli argentei che cinge le sue spalle e lo copre fino alle caviglie, sotto la quale è però celato un robusto corpetto di strisce di cuoio, tinte del medesimo colore. L'armatura lo copre dalle spalle alla vita, lasciando però libere le braccia, garantendo così una completa mobilità ed una moderata protezione al busto. Quando la indossa tutte le tecniche offensive scagliate da Jace ad area saranno di potenza equivalente al consumo speso per castarle. Inoltre una volta che il cartomante avrà accumulato un danno Critico al fisico, guadagnerà 2 CS in Istinto fino alla fine della giocata. Una delle gemme incastonate nella cappa dona a Jace 1 CS in Maestria con le Armi. [ Armatura leggera al busto, Artefatto epico di caratterizzazione + Diamante ]

Sigillo dell'acchiappasonni: Un ninnolo di capelli intrecciati delle tribù dello Xuraya che racchiude all'interno uno spirito maligno dei sogni. L'essere intrappolato al suo interno non solo è innocuo per il suo portatore, ma anzi lo fortifica. La potenza magica sovrannaturale della creatura gli permette di essere pari ai più grandi Illusionisti, aumentando i poteri del suo Dominio di un livello. L'essere inoltre conferisce la capacità di vedere l'invisibile, sotto forma di auspex di potenza passiva. Inoltre forte delle memorie e delle capacità dello spirito Jace è inoltre capace di utilizzare le pergamene della Classe Ladro. [ Cristallo della Conoscenza e Tomo Furtivo e Tomo magico e Amuleto dell'Auspex - Cucito sulla cappa ]

Frusta: Dalla rigida maniglia color terra bruciata nasce il corpo vero e proprio dell'arma fatto in un cuoio molto più chiaro intrecciato per due metri e mezzo alla cui estremità termina con una piccola lama curva, come un minuscolo kama, in ferro brunito, quasi nero; questa testa può essere rimossa. [ Arma da corpo a corpo - Legata al ventre ]

Vergilius: Un intricato disegno di glifi e rune in perenne movimento sulla spalla sinistra. In realtà il marchio è una creatura vivente, che può assumere l'aspetto di un'ombra dalle forme umanoidi, muta e cangiante, che si impegnerà a difendere il suo Portatore. [ Tatuaggio/Compagno animale, Artefatto d'ambientazione ]

Carreg o Wythïen:Il Becco del Colibrì è una lancia ricavata da un'unico tronco di legno lungo quasi due metri, fasciato con stringhe di cuoio sia all'estremità inferiore che a quella superiore. L'arma termina con un una testa in osso, ricavata da quello che sembra il teschio di un grosso volatile, ma nonostante le apparenze dimostra una resistenza pari a quella dell'acciaio. Sebbene l'arma possa essere scagliata con forza verso la preda, è stata ideata per il combattimento in corpo a corpo, portentosa per gli affondi e per mantenere la distanza dal nemico. [ Arma da corpo a corpo, Artefatto d'ambientazione - Legata sulla schiena ]

Le petites Thriompes: Il secondo mazzo dei Tarocchi è composto da Cinquantadue carte divise in quattro semi, come molti mazzi da gioco, che forse hanno ispirato o da cui han tratto ispirazione. Esse sono di qualità altissima e nascondono un segreto: Venti di esse nascondono sotto una leggera sfoglia cartacea un'anima metallica e sono appositamente bilanciate per essere scagliate. Inoltre esse possiedono alcuni poteri magici.[ Arma da lancio, Artefatto epico d'ambientazione - Tasche interne della cappa - 20/20 ]


Riassunto Post: Penso che il post sia molto chiaro. Come scritto in confronto Jace utilizza l'abilità Ífhyng_ per arrivare nei pressi della città. Viene avvicinato da un alchimista Liz'zeth durante le commissioni e poi lo segue all'Inventorum, attirato dalle promesse di ricchezze e conoscenze, ma sopratutto dalla buona fede dell'uomo.

Note: Buona giocata a tutti!
Edit: corretti degli errori e presentato per esteso equipaggiamento e passive.




Edited by The Grim - 27/8/2014, 20:58
 
Top
view post Posted on 27/8/2014, 22:36
Avatar

Cardine
·······

Group:
Member
Posts:
7,349

Status:



xXgqWlf



Gli bastò sgusciare in una fessura tra due enormi rocce, e per un istante ci furono solo lui e la dorata Alcrisia, splendente in tutta la sua vastità. Il vento secco e gentile la accarezzava creando onde e sagome nella piana erbosa. Il menestrello respirò quell'aria calda una volta, un'altra e poi un'altra ancora, come se non ne avesse mai abbastanza, ed essa lo riempì di una strana euforia. Poi arrivò la folgorante intuizione: non poteva semplicemente starsene lì a guardare, doveva celebrare quella rinascita. Qualcosa si impossessò del suo corpo, e sentì l'innaturale bisogno di correre giù per il pendio dorato.
   Diede una rapida occhiata alle sue spalle, tanto per accertarsi che la pigra carovana procedesse ancora nella direzione corretta. Non che gli importasse davvero che quegli sciocchi sfaticati lo stessero seguendo o meno, anzi. Se ne sarebbe liberato volentieri, se solo non avesse avuto bisogno di riparo e protezione per il viaggio, soprattutto in quei tempi di conflitto. In cambio, seguendo l'antico accordo di mutuo soccorso che vige tra viandanti, aveva risparmiato loro parecchio tempo e moltissime grane, guidandoli per strade segrete e più sicure che egli ricordava dalla sua permanenza in quei luoghi, anni prima. Per quanto gli riguardava quella banda di ingrati - eccezion fatta per la cordiale coppia di vecchietti e il loro nipote Cedric, diretti a Gilth'alas per ricongiungersi col resto della famiglia - poteva anche andare all'inferno. Odiava le loro lamentele e i loro applausi svogliati quando finiva di esibirsi.
   Che i demoni vi divorino, allora, concluse, e si lanciò giù per il pendio di corsa, in un'epica carica verso la valle, armato del suo solo liuto. Solcò le onde di grano come il più impetuoso veliero e vi si immerse, sollevando una nuvola di polvere rossa. Steso sulla terra riarsa dal sole, respirando quei profumi così nuovi ma allo stesso tempo famigliari, finalmente sorrise.
   Gli mancava da morire, quella vita fatta di continue attese e novità.
   E finalmente riusciva a ricordare il passato senza rimorso o nostalgia. Aveva deciso di lasciarselo alle spalle, una volta varcate per l'ultima volta le silenziose cime dell'Erydliss. Aveva deciso di farsi abbracciare dal calore del sud, dal sole generoso di Dortan e dal volubile vento del Mare d'Oro. Era lì che la bussola del suo cuore indicava, ed era che lì si sarebbe diretto senza indugio. Aveva scelto di tornare ad essere il vecchio Taliesin, per quanto questo fosse difficile.
   Cominciò a pizzicare distrattamente le corde del liuto, lasciandosi guidare dall'ispirazione che quel cielo puntellato di bizzarre nuvole gli trasmetteva. Ne rimase quasi folgorato, e perse il contatto con la realtà. Si lanciò su e giù per la tastiera, dimenticandosi di ogni altra cosa. Le note si susseguirono rapide, metalliche e sfuggenti, finché qualcosa non interruppe il selvaggio flusso di musica.
   «Talesin! Torna indietro!» gridò il giovane, tanto restio ad abbandonare la strada battuta quanto a pronunciare la fatidica i del suo nome. Il bardo si rialzò, e si domandò per quanto tempo fosse effettivamente rimasto lì a suonare.
   «Non rompere i coglioni, Cedric» gli rispose bruscamente, scrollandosi di dosso la polvere e tornando sulla via.

5MWOjM6


Non era mai stato a Gilth'alas, e finito il suo giro di ricognizione per le viuzze della città non riusciva a capire per quale motivo. Era di gran lunga uno dei posti migliori di tutta l'Alcrisia: centinaia di viuzze colme di soprese che si inerpicavano su per la solitaria montagna. Un posto pittoresco e pieno di opportunità. Ci aveva messo molto ad orientarsi tra una piazza e l'altra, ma sorprendentemente poco a trovare qualche lingualunga disposta a sganciare rapidamente informazioni in cambio di qualche spicciolo. Era così venuto a conoscenza di ciò che stava succedendo in città, aveva imparato i nomi delle gilde e si era perfino fatto degli amici - per quanto poco raccomandabili. Tutto in un paio di ore. Si sentiva soddisfatto del suo operato.
   «Talesin!» berciò una voce famigliare, senza la solita vocale. Cedric si era cambiato i vestiti e rasato il volto, e se Taliesin non avesse riconosciuto la sua voce, lo avrebbe di sicuro scambiato per un altra persona. Non che ora dimostrasse più o meno dei suoi sedici anni, ma da un poveraccio che accompagnava due vecchietti si era tramutato in un distinto cittadino, merito forse della tunica dai colori sgargianti. Il ragazzo corse da lui e riprese fiato per qualche istante.
   «Non pensavo di rivederti così presto! Va tutto bene?» gli chiese il bardo, un po' turbato da tutta quella fretta.
   «Oh, certo! Ma c'è una cosa che ho appena saputo, e ho pensato che potesse interessarti!» gli rispose, sorridendo. Taliesin ricambiò il sorriso, e si compiacque di aver conosciuto un ragazzo così sveglio e disponibile. Gli scompigliò affettuosamente la frangia scura.
   «Andiamo a parlare in un posto tranquillo, allora. Se è davvero qualcosa di interessante, giuro che ti offro da bere.»
   «Oh no, io non bevo...» replicò timidamente il giovanotto.
   Taliesin inarcò un sopracciglio, perplesso ma divertito; poi si voltò e con passo misurato si diresse verso la locanda più vicina.

Oltrepassò distrattamente l'ennesimo enorme scaffale, mentre ripensava a quanto gli aveva appena detto Cedric, e a quanto era diventato loquace ed esaustivo nelle sue descrizioni dopo qualche sorso di troppo. Gli aveva parlato a lungo degli Orhan, di quanto pareva essere successo a Gilth'valar e molte di altre interessanti curiosità sul posto, i dintorni e ciò che doveva aspettarsi di trovare. Si domandava ancora come mai la famiglia di Cedric, della quale sapeva poco o niente, fosse a conoscenza di segreti del genere. Avrebbe dovuto indagare.
   Trovare la biblioteca era stato complesso, poiché il suo accesso pareva quasi appositamente nascosto. Non abbastanza complesso per costringere a desistere uno come lui, comunque. Aveva attraversato quartieri apparentemente deserti, oltrepassato lunghi ponti e percorso gallerie che serpeggiavano tra gli edifici, ma non aveva mai perso l'orientamento. Quasi mai, perlomeno. In qualche modo era giunto a destinazione - una conquista che lo aveva riempito di altra soddisfazione.
   Cedric gli aveva offerto su di un piatto d'argento un'occasione non da poco, e il musicista aveva colto l'attimo senza preoccuparsi troppo delle conseguenze. Non gli importava tanto di ciò che di preciso la Gilda gli avrebbe domandato di fare, poiché aveva lasciato a Cedric le cianfrusaglie e l'ingombrante borsa del viaggio, e si era equipaggiato per ogni evenienza. I suoi interessi nei confronti della Gilda più enigmatica di tutte erano altri, e meno diretti. Gli Orhan, misteriosi maestri delle arti psichiche, avrebbero infatti potuto insegnargli qualcosa di più su come effettivamente funzionasse il potere illusorio che le sue canzoni e le sue storie parevano sprigionare. Taliesin sapeva che avrebbe potuto imparare ad utilizzarlo in modo ancora più efficace. E l'alone di mistero che aleggiava attorno al commercio delle droghe psichiche rendeva tutto ancora più intrigante. Troppo perché il bardo non desiderasse immischiarsi in affari non suoi.
   Continuò a vagare per l'edificio, certo che presto avrebbe incontrato qualcuno. Stava già pensando a quale ricordino portare a Cedric, una volta finiti i suoi affari. Un libro? Un po' di eunar trafugata chissà dove? Senza nemmeno accorgersene si mise a canticchiare un motivetto allegro e spensierato, rompendo il silenzio meditativo della Biblioteca.




Condizioni generali
Stato fisico - illeso
Stato mentale - llleso
CS - 6 (2 intelligenza, 1 astuzia, 2 destrezza, 1 determinazione)
Energia - 100/100

Equipaggiamento
Itinerante, artefatto/arma difensiva, mantello di panno rinforzato.
Fabula, arma bianca, acciaio, 48 cm di lama, 15 cm di impugnatura.
Pistola ad avancarica, arma da fuoco piccola, cinque colpi per giocata.
Pugnale celato, arma bianca, acciaio, 15 cm di lama, legata all'avambraccio sx.
Vene di Pietra, artefatto/set di armi da lancio, materiale sconosciuto, venti unità per giocata.
Liuto di Luke Mannersworth, oggetto generico, strumento musicale.
Il Flauto di Cenere, artefatto/oggetto generico, strumento musicale.
Amuleto dell'auspex, oggetto dell'erboristeria, conferisce un potere passivo.
Tomo magico, oggetto dell'erboristeria, conferisce un potere passivo.
Tomo furtivo, oggetto dell'erboristeria, conferisce un potere passivo.
Cristallo del talento, oggetto dell'erboristeria, conferisce un potere passivo.
Diamante, oggetto dell'erboristeria (due unità), conferisce un potere passivo.
Biglia fumogena, oggetto dell'erboristeria, un uso per giocata.
Erba rigenerante, oggetto dell'erboristeria, funziona come una cura dell'equipaggiamento.
Erba rinvigorente, oggetto dell'erboristeria, rigenera il 5% della riserva energetica.
Miscela logorante, oggetto dell'erboristeria, applicabile a un'arma per danneggiare l'Energià nemica del 5% a turno, per due turni di gioco.
Corallo, oggetto dell'erboristeria, conferisce un CS ai riflessi e un CS alla concentrazione per due turni di gioco.
Rubino, oggetto dell'erboristeria, conferisce due CS al vigore e due CS all'agilità per un solo turno di gioco.

Poteri passivi
Audacia, passiva razziale umana, non sviene sotto il 10% delle energie.
Amuleto dell'auspex, auspex passivo basato sull'udito.
Tomo magico, accesso alle pergamene della classe Mago.
Tomo furtivo, accesso alle pergamene della classe Ladro.
Cristallo del talento, accesso al livello successivo del Talento.
Diamanti, 2 CS aggiuntive in Destrezza (due unità).
Illusionista, passiva di primo livello, le illusioni non necessitano di vincoli fisici, come il movimento e la voce, per essere castate.
Illusionista, passiva di secondo livello, possibilità di modulare tono, volume e punto di provenienza della propria voce a piacimento.
Illusionista, passiva di terzo livello, fintanto che un’altra illusione è attiva, come effetto aggiuntivo anche l'aspetto del caster può essere modificato a proprio piacimento, nonostante rimanga una semplice illusione.
Mente Impenetrabile, pergamena comune, classe mentalista. Difesa psionica passiva.
Seconda abilità personale, aura psionica passiva di fascino.
Quinta abilità personale, utilizzo della polvere in combattimento per avantaggiarsi infastidendo gli avversari.
Sesta abilità personale, cure di potenza pari al consumo.
Itinerante, "Nessuno farà domande a chi si nasconde allo sguardo della gente", passiva: qualora lo desiderasse, il mantello potrà celare sotto di esso le aure, proteggendole da auspex passivi.
Vene di Pietra, il possessore di una delle Vene sarà noto in tutte le terre come uno dei cacciatori che più ha abbattuto nemici del Sorya, e che più è sopravvissuto all'Edhel infido, rimanendo anonimo e irriconoscibile sino a che non paleserà la Vena.
Il Flauto di Cenere, razza selezionata: umana; razza scartata: avatar. La razza selezionata subirà danni aggiuntivi dalle tecniche dell'artefatto, come specificato in esse; quella scartata sarà immune ai poteri del flauto.

Abilità attive
Voci. Taliesin viaggia, conosce e studia perché alla continua ricerca di qualcosa di nuovo Qualcosa che ancora non conosce, e che possa sorprendere lui e il suo pubblico una e cento volte ancora. Non ci sono segreti, per chi sa come cercare: incredibilmente astuto e colto, con i giusti e non sempre ortodossi mezzi, egli può venire a conoscenza di più o meno qualsiasi cosa. [abilità personale, consumo nullo, PK: Taliesin verrà a conoscenza di un'informazione a lui sconosciuta, anche rilevante, tramite i mezzi più disparati, come complici, vecchi tomi o spionaggio. Potrà essere una vecchia storia, un pettegolezzo recente, un segreto inconfessabile. L'utilizzo dell'abilità in presenza di altri giocatori è da rimettersi al volere del gestore della giocata, o va concordato con gli altri partecipanti, per non incorrere in antisportività]

Riassunto
Let's rock!


Edited by Hole. - 27/8/2014, 23:57
 
Top
view post Posted on 30/8/2014, 01:45
Avatar

Aper army
·····

Group:
Member
Posts:
1,606
Location:
Trentino

Status:



Օրն դավաճ ~ Days of Betrayal ~ Գերակայ

~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~
Capitolo I: Supremazia

Atto I

(Vahram [pensato, lingua aramana], Bahriye.)


Gilth'alas, Alacrisia ~ Ora del crepuscolo, sotto le strade della città.
01_armeniantablemini_zps55180b48
«Era davvero necessario coprirmi gli occhi?» Vahram ruppe il sinistro silenzio che durava ormai da una ventina di minuti, in un imbarazzato tentativo di alleviare l’inquietudine che quell’atmosfera di sospetto e ferrea efferatezza continuava a instillargli. Brancolava cieco, con la testa coperta da un sacco di tela nera, mentre i suoi accompagnatori lo guidavano strattonandolo per il bavero. Udiva solo i loro passi felpati echeggiare flebili e soffusi sui mattoni umidi e ammuffiti della galleria. Al Patchouli sapeva riconoscerli alquanto bene: passi rapidi e furtivi, passi di ladri... o assassini. Professionisti, questo era certo.

«È la prassi.»
Gracchiò asciutta una voce mascolina alle sue spalle.


Era finalmente giunto all’ombra del Kraav dopo mesi e mesi di viaggio. La serie di disastrose vicende che aveva vissuto nelle ultime stagioni lo avevano privato di ogni cosa: del suo clan, dei suoi amici, del suo amato cavallo Raffi e del suo carro.
Era costretto a viaggiare così, come un reietto della società. Il Sultanato lo aveva esiliato ingiustamente per crimini che non aveva commesso. Solo il nome e la fama di Al Patchouli – oltre a occasionali piccoli aiuti e raccomandazioni da parte dei suoi fratelli mamūluk – di città in città aprivano le porte delle poche congreghe ancora disposte ad accoglierlo, spesso ghenghe malavitose tra le più becere che ben volentieri accettavano di sfruttare un sicario esperto in cambio solo di vitto e alloggio più qualche misera ricompensa. Perché di questo ormai era costretto a vivere: gli incarichi più sporchi che il lato marcio delle città poteva offrire; i tempi in cui errava in cassetta della sua bottega ambulante insieme a Omar, curando i malati, preparando medicamenti, costruendo cavalli giocattolo e fiori di legno per i bambini e destreggiandosi in piccoli lavori onesti per mantenersi sembravano ormai lontani, quasi uno di quei sogni che a stento si rimembrano. Negli ultimi mesi solo l’ombra degli angoli bui e l’acciaio affilato erano stati i suoi strumenti del mestiere, messi al soldo per avere un letto tarlato in cui riposare al sicuro e un piatto di minestra.
I vestiti che utilizzava per impersonare il dottor Azad li aveva lasciati a Taanach; quasi non ricordava nemmeno più il calore dei sorrisi che il medico errante riceveva dai suoi pazienti, gli occhi e le urla emozionate dei ragazzini quando vedevano le sue mercanzie, umili, ma sempre esotiche e curiose. Ogni piccola gioia di Vahram era svanita, come se fosse stata scarnata dal suo spirito, lasciando solamente un’ombra smunta e spettrale avvolta negli stracci consunti di un nero mantello. Perfino la sua barba, sempre rigorosamente curata, più frequentemente si presentava lasciata a se stessa, ruvida e incolta.

Aveva varcato le muraglie di Gilth'alas con pochi soldi e provviste in saccoccia e in testa un paio di contatti, il nome di una gilda, un posto e una parola d’ordine. Era giunto al luogo d’incontro prestabilito in perfetto orario, come al solito: al tramonto, sulla sponda orientale del fiume Anduin, all’ombra degli archi di un antico ponte assediato dalle fronde svettanti dei salici piangenti e annerito dai falò di occasionali vagabondi. Un posto isolato, maleodorante di escrementi e punteggiato da rifiuti e tuguri in legno abbandonati e consumati dall’edera, imboscato nella vegetazione che lo celava al pari di un cupo sipario verde.
Ritto in piedi in mezzo a un minuscolo spiazzo, ad attenderlo trovò uno straccione avvolto in un mantello nero, dalle sopracciglia rasate e il volto solcato da una trama raccapricciante di grinze. Appena lo scorse, volse uno due occhi grigi e morbosi al cavaliere, allargando un ghigno storto e nero di carie.

«Posto incantevole per una passeggiata, non trovate?»
Gracchiò il vecchio da sotto il cappuccio.


Vahram si arrestò, immobile, a distanza di sicurezza. Era lui... il suo uomo. Inspirò profondamente, prima di recitare la parola d’ordine.

«Qualunque letamaio può diventare un’oasi felice...»
Pronunciò bonario, esibendo di rimando il suo consueto falso sorriso di circostanza.
«...purché sia annaffiato con una bella e panciuta bottiglia di raki.»


Lo straccione scosse la testa, sogghignando divertito.

«He he he... Senza dubbio...»

E poi tutto divenne improvvisamente buio.


Un robusto sacco calò sulla testa del guerriero, al contempo sentì una moltitudine di mani spuntate dal nulla immobilizzarlo e sfilargli le armi con eccezionale rapidità e coordinazione, senza dargli un solo secondo per reagire.
Tentò di dimenarsi, ma la voce dell’uomo borbogliò ancora, d’un tratto a pochi centimetri dal suo volto.

«Non fraintendete, messer Al Patchouli.»
Pronunciò con tono ironico.
«Voi siete un ospite estremamente gradito.»

gremio_de_los_ladrones__by_daniel_rosa_dur_aacute__by_danielrosaduran-d7j27r10_zps4e4cf567


Vahram tese le orecchie, cercando di carpire qualunque suono potesse dargli un indizio. Rapido scorrere di rivoli d’acqua, gocciolare ticchettante sulla pietra bagnata, flebile zampettare di piccole creature. L’aria era umida e putrida. Fogne.

«Avete intenzione di uccidermi?»
Disse in tono scherzoso, cercando di sdrammatizzare.

«Probabilmente no.»
Rispose gaia la voce roca del vecchio.

«Dove siamo? Dove mi state portando?»

«Se ti abbiamo bendato ci sarà pure un motivo...»


Camminarono per minuti che parvero interminabili. A lungo in linea retta, dopo a sinistra, poi a destra, poi ancora a destra, a poco a poco l’aria che si respirava sembrava farsi sempre meno maleodorante, poi un bussare, un portone aprirsi, rapide parole scambiate con una voce sconosciuta. Scale discendenti... e infine un rumoreggiare soffuso che divenne presto un sciamare di schiamazzi e trambusto.
Con una brusca stratta il sacco gli fu sfilato dal capo. Una frescura frizzante pizzicò le guance del guerriero. Ciò che gli si parò davanti agli occhi lo lasciò di stucco.

the_well_by_jcapela-d3213gh_zpsadcc2b64
Livelli su livelli di larghi camminamenti rettangolari bordati da colonnati di granito si affastellavano uno sopra l’altro per decine di metri sia verso l’alto, sia verso il basso intorno a una profondo e antico pozzo, apparentemente ormai dimesso. Lungo i corridoi coperti di ogni piano, in nicchie sulle pareti, all’interno di tunnel e camere che si addentravano nel cuore della terra, in ogni spazio occupabile era stata costruita ogni sorta di baraccamento: abituri in legno, tendaggi e bancarelle, botteghe e officine. Gli abitanti di quella strana, piccola autonoma città sotterranea affollavano le vie e gli empori, chi affaccendato, chi di fretta, chi intento a oziare e chiacchierare seduto per terra o sui cornicioni. Si poteva scorgere la gente più disparata: grossi combattenti nerboruti e minacciosi armati fino ai denti, loschi figuri dalla faccia scarificata e lo sguardo torvo, ma anche donne, ragazzini e persone che a prima vista sembravano nulla di più che semplici mercanti e artigiani. Parlottavano in gerghi incomprensibili, alcuni sbraitavano istruzioni, comandi, e talvolta minacce. Vahram rimase stralunato per un momento, guardandosi intorno smarrito e al contempo affascinato da quel posto singolare. Di primo acchito quella gente poteva sembrare una bizzarra comunità di banali rifiuti della società, ladruncoli, trafficanti, contrabbandieri, ma gli occhi esperti del cavaliere sapevano perfettamente ravvisare la vera preoccupante natura di alcuni di essi: assassini, guerrieri, cacciatori di teste, spie, uomini e donne di ogni razza e cultura per cui il crimine non era un mero espediente a cui ricorrere per sbarcare il lunario, ma l’unico mondo che conoscevano.

«Benvenuto tra gli Ashand.»
Esclamò freddo il vecchio dagli occhi grigi.


Vahram squadrò i membri della sua scorta, i sicari che lo avevano immobilizzato. Uomini alti, dai volti duri e barbuti, segnati da cicatrici – di armi da taglio, con tutta probabilità –, vestiti di tessuto rosso, spalline in metallo e armati di due temibili scimitarre, tenute infoderate a croce sulla schiena.

«Q-Questo è il vostro covo?»
Domando il medico tuttofare, esterrefatto.
«Uno dei tanti.
Il Labirinto d’Ombra è più esteso e complesso di quanto quegli ottusi burocrati dell’Ennomos possano immaginare.
»
Rispose voltandosi, invitando il guerriero aramano a seguirlo.

«Il mio nome è Bahriye, oggi sarò tua guida.»
Si presentò.

«Fine dei convenevoli... Ora andiamo, ti stanno aspettando. C’è un bel po’ di gente che non vede l’ora di conoscerti.»
Concluse seccamente, prima di voltarsi e incamminarsi facendo cenno al suo ospite di seguirlo.

Vahram annuì perplesso, non trovando la risposta adatta e gli andò dietro, prima che i sicari alle sue spalle lo spintonassero.
«Ehm... chiaro. Piacere, dunque, sehre Bahriye. Perché tanta diffidenza? Non avete ricevuto la lettera di Bertold Zanna d’Argento? Potete fidarvi di me.»
Rispose, cauto.

«Lo vedremo.»
Commentò Bahriye, lapidario.

«Be’, vi farà almeno piacere sapere che ho studiato diversi libri su Gilth'alas prima di venire qui.»
Proseguì Vahram con un sorriso, tentando di ingraziarsi un minimo di fiducia.
«Devo ammettere che l’ho trovata a dir poco... affascinante.»

Il vecchio sicario si arrestò di colpo e si voltò guardandolo dritto negli occhi con un inaspettato e minaccioso sguardo di ghiaccio.

«Due cose.»
Scandì, perentorio.
«Uno: tu non sai niente di Gilth'alas.
Due: dovrai imparare in fretta come funzionano le cose qui, se non vorrai ritrovarti con la gola squarciata entro dopodomani.
»
Scandì, squadrandolo per alcuni istanti in silenzio con espressione grave prima di tornare sui suoi passi.


Vahram rimase attonito e, neanche a dirlo, leggermente offeso da quelle parole. Mentre camminava non si diede pace, continuando a tormentarsi nel cercare una spiegazione. Forse si trattava di una prova per testare la sua indole? O forse davvero aveva frainteso la reale natura degli Ashand?

Una cosa era certa:
non si trovava più a Portalorica.*



Specchiettosfondoheaderpx_zps802a5de7

~~O~~O~~O~~ PG ~~O~~O~~O~~
Fascia: Verde
Pericolosità: D

CS: (4)
2 Intuito, 1 Tattica, 1 Tenacia


Basso 5% | Medio 10% | Alto 20% | Critico 40%

~~O~~O~~O~~ Salute ~~O~~O~~O~~
Corpo (Illeso):
Illeso.

Mente (Illesa):
Illesa.

Energie: 100%

~~O~~O~~O~~ Strumenti ~~O~~O~~O~~
Armi:
Yen Kaytsak: Infoderata
Spada: Infoderata
Ferro: Infoderato
Arco (15): Infoderato
Pistola (5): Infoderata

Armature: Mantello, brigantina.
Oggetti: Biglia dissonante.


~~O~~O~~O~~ Abilità Passive ~~O~~O~~O~~

[Mamūluk ~ Abilità razziale Umana (Audacia)] Gli schiavi guerrieri sono vere e proprie macchine da guerra plasmate per affrontare irriducibili gli sforzi più inumani e le condizioni ambientali più estreme. Possono combattere senza posa per giorni interi. Raggiunto il 10% delle energie infatti, un mamūluk non sverrà. Ciò però non significa che non sarà stanco raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%.

[ Disilluso ~ Passiva di talento Stratega (Capacità di discernere le illusioni)] La sua integrità mentale e il suo inumano addestramento lo resero congeniale ad affrontare senza timore anche la magia o le malie psioniche. Per questo motivo, nel caso in cui si trovasse innanzi ad una illusione, sarebbe sempre in grado di discernerla come tale, pur non dissolvendola né distruggendola.

[ Imperturbabile ~ Passiva di talento Stratega (Difesa psionica Passiva)] Addirittura, esistono alcuni nemici talmente potenti da poter manipolare la mente di chi sta loro intorno senza neppure doversi impegnare per farlo: è un processo naturale, che avviene spontaneamente con la semplice vicinanza e si diffonde come un'aura passiva tutt'intorno a loro. Ma simili poteri non influenzano Vahram: si rivelano inutili dinanzi alla sua sterilità emotiva e la sua totale estinzione della percezione della paura.

[ Irriducibile ~ Passiva di talento Stratega (Immunità agli effetti mentali)] La pervicacia e la ferrea disciplina dei mamūluk sono tanto proverbiali quanto terrificanti. Non demordono nel perseguire il loro obiettivo anche quando la loro mente è incredibilmente danneggiata. Per tale motivo, Vahram è tanto incrollabile e caparbio da essere pressoché insensibile al dolore psichico e a qualsiasi effetto di natura psionica, pur riportando i normali danni alla mente.

[ Flessibile (Pergamena Guerr. Tattiche di combattimento) ~ Passiva fisica (Padronanza del campo di battaglia)] In quanto ex membro delle Squadre Speciali dei Lancieri Neri e sicario professionista, Al Patchouli è addestrato a elaborare strategie e tattiche che sfruttino a suo favore il terreno circostante. Possiede dunque capacità di trarre vantaggio del terreno e delle circostanze in qualsiasi situazione di battaglia: strategie, tattiche, intuizioni. In combattimento ciò potrà anche tradursi nell'abilità di vincere scontri fisici a parità di CS, grazie alla superiore conoscenza del terreno di scontro.


~~O~~O~~O~~ Abilità Attive ~~O~~O~~O~~


(nessuna)
(nessuna)


~~O~~O~~O~~ Sunto ~~O~~O~~O~~


Eccomi! Post d'antipasto. Ora andiamo a massacrarci. :iena:

*Portalorica è la città del Qatja-yakin dove ha sede il Certello Mamūluk, nel quale Vahram ha fatto gavetta nel mondo della malavita.
 
Top
view post Posted on 30/8/2014, 23:29
Avatar

Like a paper airplane


········

Group:
Administrator
Posts:
12,341

Status:


Io sono l’Oracolo che ha dimenticato.
Lo pensava, mentre camminava per quelle strade sconosciute, confusionarie. Avevano qualcosa di familiare, le davano la sensazione di averle già conosciute, di essere volata attraverso il dedalo intricato del loro susseguirsi con la rapidità di un respiro. Una parte della sua mente, come in sogno, le aveva accarezzate e memorizzate, per poi lasciarle fuggire di nuovo. Eventi importanti si erano svolti e sarebbero accaduti ancora in quel luogo.
Io sono l’Oracolo che non può sapere.
Non sapeva quali eventi, con quale conclusione. Ma era certa che quella congiuntura storica potesse essere terreno fertile per scrivere la storia, per seguire come un cieco il tracciato in rilievo del destino. E perciò si muoveva carezzando i muri rugosi, la bambola adagiata sull’avambraccio, un vestito di seta che le aderiva morbido sul corpo esile. Si soffermava su tutto e su niente, facendosi trascinare dalle sensazioni. La risposta era vicina, sulla punta della lingua, ma non sarebbe mai emersa.
Io sono il canto muto del tempo.
Carezzò la buccia sottile di una mela, la stoffa di un tappeto che qualcuno spacciava per pregiata, la pergamena su cui erano incise formule magiche e millanterie. La bambola ruotò scricchiolando i propri occhi di porcellana. Tutti parevano ugualmente sconosciuti in quella città che sembrava volerla ingoiare.
Prima di giungere in quel luogo si era informata sulle gilde e sulla loro storia, su quali potessero essere i loro obiettivi. Sapeva che agivano in sottofondo, come un basso continuo in una melodia complessa. Sebbene formalmente fossero in pace, nessuna aveva veramente rinunciato a combattere. Si riconosceva in quell’atteggiamento e non le sarebbe dispiaciuto poter incontrare qualcuno degli eletti che facevano parte di quella gerarchia.
Io non spero di scrivere il presente. Io nego la speranza.
Presto il loro patto si sarebbe rinnovato, o forse no. Forse qualcosa di diverso sarebbe intervenuto. Nei ricordi del futuro tutto si confondeva come immerso nella nebbia, inafferrabile. Una guardia le passò accanto: sapeva che probabilmente una gilda la controllava. Trascinava per il colletto un ragazzetto cencioso con una gamba storpia che la seguiva a fatica. La scena era grottesca, tale da far pensare che il guardiano fosse solo un’armatura, senza alcun uomo all’interno. Un silenzio innaturale circondava i due.
O forse ci spero sempre, sapendo di rimanere delusa.
Si avvicinò a passo svelto. Aveva sempre provato una strana sensazione per gli individui come quello, per la deformità che non aveva portato loro alcuna ricchezza. Forse lui non poteva nemmeno ambire a fare la differenza. Forse nutriva ancora la speranza di poter essere un eroe, una speranza sottile quanto un alito di vento. Cercò di incontrare il suo sguardo, ma rimaneva nascosto sotto i capelli unti che gli scivolavano sulla fronte.
Poggiò la propria mano sull’armatura gelida, levando il capo, i propri occhi coperti di brina. Il gendarme si arrestò, abbassando il capo imponente verso di lei. Ancora una volta non parlò. Ma fu lei a sussurrare il proprio ordine, con un tono di voce abbastanza basso da poter essere udita solo da vicino.


Lascia andare il ragazzo. E’ innocente”.


Io sono Ainwen. La verità è che cerco vendetta.
Quando lo storpio rotolò a terra ne potè finalmente guardare i tratti con calma. Non era solamente deforme, ma il suo viso era qua e là ricoperto da sottili squame bluastre. Una creatura immonda, un incrocio tra la razza degli uomini e qualcosa di più oscuro, di più spaventoso. Pensò che essere zoppo doveva essere perfino più umiliante per una creatura del genere.


Ti ringrazio”.


La voce dell’altro aveva un pesante accento che non riconosceva. Era stranamente acuta per appartenere ad un uomo e le provocò una sensazione di irritazione e fastidio. Desiderò averlo lasciato tra le mani della guardia, prigioniero del proprio silenzio. invece si strinse nelle spalle. non c’era brezza a scuotere i suoi vestiti o i capelli appiccicosi di lui. La folla attorno a loro continuava ad ignorarli, presa nella propria quotidianità.


Qui tutti rispettano l’ordine”.


Ainwen sorrise sarcastica. Forse i cittadini di quella città perfetta speravano ancora in un ideale. Forse temevano il castigo. Ma lei era già stata punita abbastanza.


Non esiste un ordine degno di essere rispettato”.


La sua intenzione era stata di rispondere acidamente, con abbastanza acredine da zittirlo di nuovo e farlo allontanare. Ma gli occhi di lui si illuminarono, la sua bocca si socchiuse di sorpresa, lasciandola interdetta. Si fece avanti, facendo perno sulla gamba sana, e poggiò una mano callosa sulla sua spalla. Istintivamente la ragazza si ritrasse storcendo le labbra. Lui non parve farvi caso, ma iniziò invece a parlare, investendola con una valanga di parole accavallate l’una sull’altra.


Ho una proposta per te. Io, noi…insomma la nostra…beh quelli che comandano me cercavamo qualcuno disposto a prestare un aiuto…cioè, ecco… capisci…il prezzo…qualcuno…


Ignorò tutto quello che lui diceva, sentendo le viscere rivoltarsi per quel suo arrotolare le parole una dentro l’altra. Desiderò colpirlo, prenderlo a calci finchè il suo discorso non fosse diventato uno squittio. E continuare, come con un ratto. E invece afferrò con fermezza il suo mento, avvicinandolo a sé così che nessuno potesse udirli. Aveva dimenticato quel luogo e la sua storia, ma sapeva di dover rimanere. Di dover sapere, di dover ricostruire tutto quello che aveva visto, attimo per attimo. E quello poteva essere un punto di partenza come tanti altri.
Non ricordo nulla che non sia dolore. Ma quando ricorderò tutto farò niente per cambiarlo.


Fammi strada”.
Lo allontanò bruscamente da sé, facendolo barcollare.
E taci”.


Si poggiò la mano sulla fronte. Iniziava ad avere mal di testa.




Ecco il mio primo post. Mi scuso se la qualità non è delle migliori, ma sono tornata questo pomeriggio dal lavoro ç_ç.
Notifico di aver usato una tecnica psionica (Menzogna) al solo scopo scenico di entrare in contatto con il membro della gilda che mi serviva. Sono onorata di giocare con voi *_*!

 
Top
view post Posted on 1/9/2014, 22:17

Esperto
······

Group:
Member
Posts:
4,411

Status:


ONOR - DIMORA


gilda-samoqdef_zps692af40d


{ Gilth'alas, Alcrisia; pov: Caccia }

La fortezza si innalzava su un modesto pendio che dominava la città sottostante, stagliandosi sullo sfondo dorato del cielo come un guanto di sfida all'immensità. L'imponente facciata di pietre squadrate era affiancata da due torrioni circolari sviluppati su più piani; le alte mura merlate si sviluppano per decine di passi in lunghezza, spingendosi quasi fino al limitare della collina prima di curvare all'indietro per completare l'anello di cinta; stendardi rosso fuoco garrivano ai lati della scalinata che dava accesso ai portoni principali, quest'ultimi incastonati in una triplice arcata di granito decorata con drappi scarlatti.
Onor-Dimora, casa del valore e del coraggio.

« Ci siamo. » Neigy fece un cenno verso le sentinelle che stazionavano sul camminamento sopra di loro, e pochi istanti dopo i cancelli iniziarono a spalancarsi. « Qui ti lascio in mani migliori delle mie. Ci rivedremo, spero. »

L'ex gladiatore si defilò, mentre un uomo in armatura completa si faceva avanti. Non era più giovanissimo, ma appariva ancora nel pieno del vigore; portava la mancina poggiata sul pomo della spada inguainata, ma senza fare minaccioso, più come abitudine ereditata da una vita intera passata a combattere. I capelli castani, striati d'argento, erano tagliati corti; gli occhi scuri e penetranti scandagliavano Yamoto alla ricerca dei minimi dettagli; il portamento era quello fiero di un guerriero nato. Quando parlò, la sua voce era calda e autorevole:

« Benvenuto, soldato. Il mio nome è Gareth, capo della Gilda Samoq. » Si voltò con un fruscio del lungo mantello bordato di cremisi. « Seguimi, se non ti difetta l'ardire. »

I due si incamminarono verso l'interno, fra due file di guardie irrigidite sull'attenti. Oltre la facciata della fortezza si apriva un ampio cortile in terra battuta di forma rettangolare, affollato di persone.

« Questo è il campo d'addestramento, dove i nostri soldati affinano le proprie doti militari. » La sua voce imperiosa sovrastava senza affanno la cacofonia di urla e incitamenti, il clangore delle lame e il cozzare degli scudi. Superarono uomini impegnati in combattimenti a coppie, arcieri che tiravano a bersagli di paglia e alcuni cavalieri con la lancia in resta, avanzando in un lungo porticato che costeggiava il giardino. « Qui a Onor-Dimora il coraggio e il valore sono le virtù supreme. »

Si fermò di colpo davanti a una porta di legno e fissò Yamoto dritto negli occhi; se notò la sua cecità non lo diede a vedere, ma proseguì:

« Non siamo interessati al tuo nome, al tuo passato o la tua natura. Ci importa solo della tua abilità guerriera, della tua determinazione e fedeltà. »

Ripresero a camminare e si lasciarono il campo alle spalle. Imboccarono un corridoio dall'aria sobria senza alcuna decorazione alle pareti, solo la solida pietra; svoltarono da una parte, poi dall'altra, e nel frattempo Gareth continuava a parlare.

« La nostra Gilda è in competizione con le altre per recuperare un antico artefatto celato fra le rovine di Gilth'valar. Talamith lo chiamano, e coi suoi poteri potremmo imporre l'ordine e il rigore su questa città una volta per tutte. Debellare le forze avverse che si adoperano a favore del caos e della guerra, i Serywar primi fra tutti. Forgiare una nuova era di disciplina. »

Entrarono in un nuovo ambiente: una stanza circolare occupata al centro da un grande tavolo irregolare, pieno di dossi e avvallamenti e splendidamente dipinto a rappresentare una mappa di Gilth'alas e dei territori circostanti. Alle pareti erano appese spade incrociate, scudi dagli stemmi variopinti e insegne di battaglia. Due rastrelliere sfoggiavano una varietà impressionante di armi: lame, asce, sciabole e pugnali, mazze ferrate, martelli da guerra e stelle del mattino, archi e frecce, corazze e armature e molto altro.

« Tuttavia, dobbiamo muoverci con cautela nella nostra ricerca; non possiamo esporci eccessivamente. Qui entri in gioco tu: metti al nostro servizio la tua spada e potrai dar sfoggio delle tue doti. Dimostrati leale, e sarai lautamente ricompensato. »

Allungò la mano destra per sigillare l'accordo con una stretta.

« Allora, accetti? »

Con la mancina invece sfoderò la spada in un guizzo e scagliò un fendente laterale poco sotto il capo,
pronto a spiccargli via la testa di netto.


~

IL LABIRINTO D'OMBRA


gilda-ashand_zps64cc1d3f


{ Gilth'alas, Alcrisia; pov: Orto }

Condotti umidi, scarichi maleodoranti, liquami infetti e ratti pelosi. Questa era l'idea che la maggior parte della gente aveva riguardo le fogne di Gilth'alas, il regno degli Ashand. Ma si sbagliavano di grosso: il Labirinto d'Ombra era molto di più, come Vahram stava avendo modo di scoprire. Lasciato il pozzo centrale attorno al quale era fiorata quella strana civiltà sotterranea, il gruppo guidato da Bahriye si addentrò nei meandri del labirinto; si incunearono fra quartieri sovraffollati formati da accozzaglie disordinate di catapecchie, baracche, tuguri e bazar in preda al caos, passarono attraverso monumentali gallerie e tunnel di granito, superarono ponti arcuati gettati su abissi di insondabile oscurità e costeggiarono enormi dighe decorate da gargoyle in pietra raffiguranti teste di chimere e altre stramberie, sempre accompagnati dal costante scrosciare d'acqua. Alla fine giunsero sulla riva di un torrente sotterraneo che scorreva impetuoso; stranamente la sua acqua non era affatto torbida, anzi quasi limpida.

« Questo non è un canale di scolo, ma un ramo sotterraneo dell'Anduin. Neanche là in superficie è così pulito. Sai, il nostro capo è un tipo raffinato. »

Spiegò il vecchio accennando al centro del fiume, dove una strana costruzione si innalzava su un isolotto di terra. L'edificio non aveva un'architettura ben definita e pareva una via di mezzo fra il castello di un re e la topaia di un mendicante: torrette mezze demolite, squarci nel soffitto, protuberanze irregolari, impalcature pericolanti, grandi cancellate d'ingresso mezze incrinate e così via. Anche i materiali di costruzione erano un ammasso senza logica: legno, metallo, pietra, qualsiasi cosa arrivasse da sopra le loro teste, insomma.

« Seguimi, e vedi di non cadere in acqua. Noi non ti ripeschiamo. »

Bahriye si avventurò sul ponte di zattere che univa la terraferma all'isola. Le chiatte erano mezze marce e sbatacchiavano pericolosamente travolte dalla corrente, ma alla fine il gruppo raggiunse l'altra sponda ed entrò in quella dimora permeata da un'aura di decadente sfarzosità. La prima stanza era popolata di brutti ceffi intenti a bere e giocare a dadi; il resto della scorta si fermò con loro mentre Vahram e la sua guida procedevano da soli. Alcuni ignorarono lo straniero, altri lo salutarono facendo guizzare i pugnali o mimando uno sgozzamento. La camera successiva era di tutt'altro genere: il pavimento era ricoperto da un morbido tappeto e l'aria era offuscata dai fumi dell'incenso; ospitava una dozzina di giovani donne in abiti succinti che accolsero i nuovi arrivati con sorrisi maliziosi e gridolini di piacere, ma Bahriye proseguì oltre senza prestarci troppa attenzione. Stavano per varcare un nuovo uscio quando una serie di urla e strepiti di dolore li investì da oltre l'entrata; il vecchio richiuse la porta e imboccò un corridoio laterale, alzando le spalle verso Vahram come a scusarsi.

« Devono essere impegnati, al momento. »

Proseguirono ancora per poco prima di fermarsi davanti a un portone di legno lucido. La guida afferrò Al Patchouli per il bavero e strinse gli occhi in due fessure minute: «Vedi di comportarti bene, adesso. A lui non piacciono i maleducati.» Detto questo aprì la porta e si ritrasse indietro, lasciando che Vahram entrasse da solo e richiudendo al suo passaggio.
L'interno era avvolto nella penombra, rischiarato soltanto dal fuoco che crepitava in un caminetto e lasciava cogliere l'eccentrica eleganza della stanza: arazzi colorati e trofei di caccia appesi alle pareti, poltrone imbottite disposte a cerchio, statue di marmo dai soggetti indecifrabili, teche trasparenti contenenti gioielli luccicanti e un campionario di altre stranezze e bizzarrie.

« Benvenuto nella mia umile dimora. » La voce era melliflua e suadente; sembrava provenire da ogni angolo contemporaneamente. Non si vedeva nessuno, nell'oscurità. « Ti prego, Vahram, accomodati. » Dei tentacoli d'ombra lo afferrarono per gli arti e lo costrinsero a sedersi su una delle poltrone rivestite in seta. « Hai già visitato la mia corte, adesso è il momento della nostra presentazione. »

Una figura era seduta a gambe incrociate nel posto di fronte al suo; il fu dottore avrebbe potuto giurare che lì non c'era nessuno, fino a un attimo prima. L'uomo era come uscito da una piega d'oscurità, una grinza della realtà.

« Re dei Ladri, Signore del Labirinto, Principe delle Tenebre. Mi chiamano in molti modi, ma io preferisco più semplicemente Mordred. »

Aveva un volto pulito e affilato, dall'aria giovane ma d'età indefinibile. Lunghi capelli neri gli ricadevano sulle spalle, e neri erano anche gli occhi; sembravano gentili, quest'ultimi, ma avevano un che di minaccioso. Le labbra erano increspate in un sorriso che poteva essere tanto amichevole quanto beffardo.

« Vino? »

Chiese porgendogli una coppa simile a quella da cui stava già sorseggiando. Finì di bere e poggiò il calice, quindi si lisciò il farsetto di velluto scuro dai bottoni dorati e si protese verso Vahram.

« Invero, temo che il tempo per i convenevoli scarseggi, per cui verrò subito al nocciolo della questione. Hai delle buone raccomandazioni, ma noi non siamo degli sprovveduti che si fidano del primo che passa. » Con un gesto vago indicò l'ambiente circostante. « Se lo fossimo, niente di tutto questo esisterebbe. »
« Voglio darti la possibilità di dimostrare la tua lealtà. C'è questo oggettino, nascosto da qualche parte a Gilth'valar, di nostro interesse. Giuri che possiamo fidarci di te? Recuperalo per noi prima delle altre Gilde e lo faremo. Altrimenti... »

Dalla sua mano si diramò una propaggine di tenebra dall'estremità affilata che andò a lambire la guancia di Vahram, lasciando un sottile taglio rosso.

« Che ne dici? »


~

INVENTORUM


gilda-lizzeth_zpsf079ed04


{ Gilth'alas, Alcrisia; pov: Grim }

Il complesso dell'Inventorum sorgeva in posizione isolata e leggermente sopraelevata rispetto alla zona popolare di Gilth'alas, quasi a rimarcare la differenza che correva fra le gente comune e i Lizz'eth. Non tutti potevano comprendere la portata del loro genio: le menti semplici non riescono a penetrare i segreti della magia e del metallo, il mondo dell'arcano e il potere dell'alchimia, e per questo li temevano e denigravano. Il popolo preferiva tenersi a debita distanza dai laboratori - e in questo non aveva tutti i torti. L'area circostante era infatti costellata di bruciature e tracce di esplosioni, piccoli crateri nel terreno e macerie difficilmente identificabili. L'entrata stessa dell'Inventorum aveva un aspetto minaccioso: un imponente facciata che si innalzava in un delirio di guglie e pinnacoli, ingombra di grandi marchingegni, tubi e condutture, e dalla quale si levava un perenne pennacchio di fumo. Flussi di magia la percorrevano da cima a fondo, scariche elementali ronzavano nell'aria, una cacofonia di crepitii elettrici, boati, clangori e borbottii assordava l'udito.

« Qui è dove plasmiamo la nostra perfezione. »

Annunciò Trivaz con un moto d'orgoglio nella voce, poi sorrise a Jace: « Vieni, ti porto all'interno! »

Salirono la gradinata che portava all'ingresso - un varco circolare incastonato fra tre grandi ampolle di vetro colme di energia pulsante - e furono dentro. Imboccarono un corridoio lungo e tortuoso che li condusse attraverso diversi ambienti: vaste sale piene di ampolle e alambicchi giganteschi attorno ai quali si affaccendavano gruppi di alchimisti; angusti studi in cui i tecnomaghi lavoravano sui loro strani marchingegni; vasche sferiche simili a quelle dell'ingresso crepitanti di magia; roboanti fucine incandescenti affollate di uomini che forgiavano, tempravano, fondevano e modellavano.
Trivaz si fermò infine davanti a un portone circolare di metallo e tirò una boccata dalla sua pipa, prima di rivolgersi a Jace:

« Potrai trovare il nostro capo, Urzz'eth, un po'... stravagante. Però sa il fatto suo! »

Nel cancello erano scavati due solchi simmetrici: vi poggiò le mani e dopo pochi istanti queste si illuminarono di un alone bluastro, quindi il portone iniziò ad aprirsi separandosi in due mezzelune che scorsero in direzioni opposte.

« Io ti aspetto fuori! »

Aggiunse il Lizz'eth mentre il portale si richiudeva stridendo fastidiosamente.
La stanza all'interno aveva un alto soffitto a cupola, sotto al quale galleggiavano a mezz'aria alcuni fuochi fatui luccicanti, unica fonte di luce assieme a poche altre fiammelle abbarbicate alle pareti. Il pavimento era ingombro di boccette, fiale e distillatori, tomi voluminosi e rotoli di pergamena, rotelle dentate e pezzi d'acciaio; anche il tavolo squadrato piazzato al centro della camera era sommerso da pile di foglie e papiri. Jace era l'unica persona nella stanza.

« Sono subito da te! »

Un portale si aprì ronzando dietro alla scrivania e dal varco emerse una figura dall'aspetto bizzarro: un uomo di mezza età agghindato in strano modo, col volto bruciacchiato dalle scottature e un sistema di occhiali e lenti sollevato sulla fronte; il suo sguardo guizzava da una parte all'altra, frenetico, e la sua espressione mutava ogni istante come se improvvise illuminazioni folgorassero la sua mente a ciascun respiro.

« Mi hanno parlato bene di te, Jace Berelen. A quanto pare condividiamo la stessa passione per l'alchimia e il sapere arcano. » Iniziò a frugare tre la carte sparse sul tavolo, borbottando a bassa voce parole incomprensibili. « E' una bella coincidenza, sai... che stiamo cercando qualcuno che condivida i nostri interessi per una certa missione... ma dove diamine l'ho messo? »Tirò fuori un cassetto e lo rovesciò, poi prese a scandagliarne il contenuto. « Si tratta di recuperare un antico manufatto da qualche parte a Gilth'valar. Coi suoi poteri, potremo finalmente raggiungere la perfezione nelle nostre creazioni. Ci serve gente sveglia, dall'intelligenza scattante e acuta, non come quegli stupidi che affollano la città, e so che anche tu sei in cerca di conoscenza e ricompense, per cui - ah, eccolo! »

Urzz'eth interruppe il fiume di parole per ammirare il foglio di pergamena ingiallita che stringeva tra le mani. « Vediamo se sai risolvere questo enigma. Ti trovi davanti a un portone sbarrato. L'unico modo per aprirlo è rispondere all'indovinello inciso nella pietra... » e iniziò a recitare:

Radici invisibili ha,
più in alto degli alberi sta,
lassù fra le nuvole va
e mai tuttavia crescerà.


Lo guardò e sorrise, in attesa:

« Cosa fai? »



CITAZIONE
QM POINT ::

Eccoci al secondo turno della quest. Ognuno di voi raggiunge la rispettiva sede dove incontra il proprio capo gilda che vi mette brevemente al corrente della situazione e vi propone una missione: recuperare l'artefatto Talamith disperso fra le rovine di Gilth'valar - come descritto nei vari pov. In particolare:
    • Caccia: considera il fendente di Gareth come semplice attacco fisico. Reagisci pure come preferisci.

    • Orto: puoi accettare l'incarico, ma anche comportarti in maniera diversa, anche se non so quanto possa convenirti.

    • Grim: per te c'è un indovinello facile facile che spero apprezzerai, ma mi interessava più la scena che l'effettiva difficoltà dell'enigma.
Vi chiedo di rispondere in Confronto riportando le vostre azioni, poi proseguiremo lì per sviluppare i discorsi con i tre leader.

 
Top
view post Posted on 1/9/2014, 22:17

season of mists
·······

Group:
Member
Posts:
6,569

Status:


CREATORUM


gilda-yldir_zpsf6dcc619


{ Gilth'alas, Alcrisia; pov: Yu }

Non parve sbucare dalle porte in pietra del proprio laboratorio né uscì dal ventre cavo di un albero.
Semplicemente comparve senza essere notato, vomitato dalla natura stessa.

« Ho saputo che eri qui dal primo momento in cui hai mosso i tuoi passi nella foresta.
E qui comando io.
Avrei potuto allontanarti, farti dimenticare dell'esistenza di questo luogo.
Persino fartici smarrire dentro, se avessi voluto divertirmi alle tue spalle.
Avrei potuto ucciderti facilmente.
Mi sono chiesto se farlo o meno.
»

Mishtar avanzò lentamente e senza fretta, facendosi largo fra le creature che lui e i suoi seguaci avevano generato, perfettamente padrone della situazione.
Era completamente nudo.

« Vuoi sapere perchè non l'ho fatto? » - la voce era quella di un uomo che sarebbe morto, pur di poter terminare il proprio monologo. Amava il suono delle proprie parole nelle sue stesse orecchie, molto meno quello delle interruzioni.

« Perchè le hai guardate come fossero dei fratelli, non dei mostri. » - indicò con un braccio affusolato le bestie che girovagavano intorno a loro.
Le branchie che aveva sul collo sibilarono, inutili in quella radura, mentre accarezzava con la mancina uno strano ibrido fra un ghepardo e un piccolo cavallo.
Un ulteriore paio di arti superiori giaceva incrociato sul suo petto, le mani giunte in preghiera dell'unico dio che era disposto a riconoscere: se stesso.

« Il mio nome è Mishtar, capo degli Yldir, e desidero conoscere il tuo.
Questo luogo invece è il Creatorum. Il paradiso che abbiamo creato e popolato. Ciò che chiamiamo casa.
Ma noi parleremo dentro.
»

Si mosse verso il complesso di strutture, senza effettivamente assicurarsi di essere seguito.
Era abituato al fatto che la sua parola fosse legge.
C'era qualcosa di strano nelle sue gambe lunghe e muscolose, erano caprine quasi.
Il suo busto assomigliava a quello degli umani ma vibrava con più energia, era flessuoso, quasi fosse percorso da molti più fasci muscolari.


La pietra che li circondava era umida, costellata da muschio e rampicanti.
I laboratori degli Yldir erano stranamente bui e freddi, disseminati di strane vasche ripiene di liquame paludoso.
Coloro che incontravano, che fossero bestie o umani dai tratti ferini, chinavano la testa di fronte a Mishtar e lui rispondeva con un cenno solenne.
Sembrava trarre forza ad ogni saluto, assorbire rispetto e produrre potere.
I due giunsero infine ad un'ampia sala circolare, costellata da cilindri che arrivavano fino al soffitto.
Nel liquido viscoso che contenevano erano immersi innumerevoli abomini in stato vegetativo, l'unica presenza vivente oltre a Poh e Mishtar.
I figli degli Yldir, le loro creazioni.
Nessuno avrebbe sentito le loro parole, non vi sarebbero stati testimoni.

« Bene.
Mi chiedo come tu sia giunto fin qui e il motivo della tua presenza, ma so già cosa fare di te.
Ascoltami, perchè non mi ripeterò.
A Gilth'valar dorme un potere sul quale desidero mettere le mani. Potrei fare così tanto, spingermi così in là... se solo fosse mio.
» - il suo tono mutò.
Si fece duro e impregnato di vera attitudine al comando.

« Ti ho osservato e ho visto come guardi ciò che io ho generato.
Io non posso andare a prendere ciò che bramo, ma... posso e voglio mandare te.
Accetti di lavorare per noi?
Avrai le nostre creazioni migliori al tuo fianco.
E, ovviamente... sei ancora debole e inadeguato, forse nemmeno te ne rendi conto. Ma noi ti faremo un dono.
Ti miglioreremo.
» - tacque infine, socchiudendo gli occhi e aspettando finalmente una risposta.


~

LA BIBLIOTECA DELL'IGNOTO


gilda-orhan_zps143baf5b


{ Gilth'alas, Alcrisia; pov: Hole }

La voce di Taliesin si diffuse tra gli scaffali, destando la bestia.
Un mostro fatto di pietra e legno o di carne ed ossa?
Il melodioso fischiettare del ragazzo inseguì le parole che si dimenavano e lottavano nell'ombra, per uscire dalle prigioni di carta che le intrappolavano.
Le note diedero la caccia all'inchiostro e finalmente lo incontrarono, costringendolo ad invischiarsi in un amplesso che denunciava l'intenzione che aveva creato entrambi gli amanti: esprimere.
Se il bardo si fosse voltato anche solo per un secondo avrebbe visto il gioco di luce orchestrato dalle maestose finestre e dalle ampie arcate dell'edificio.
Oppure si trattava dell'ombra di una creatura - più aberrante pipistrello che magnifico drago - che lo fiutava, riconoscendolo come un estraneo?
Quando arrivò il dolore, la lama che trafisse il costato di Taliesin, fu reale oppure non fu altro che una violenta perdita di coscienza?
Unico essere umano all'interno della biblioteca, chiuse gli occhi.


Quando li riaprì, si trovava in un'altra sala, in un altro edificio.
Agli occhi di uno stupido sarebbe potuto apparire identico, perfino con il tocco indecifrabile del medesimo architetto, eppure tutto sembrava andare alla deriva in una bolla d'irrealtà.
Attorno a lui si affaccendavano diversi uomini, studiosi o avventurieri?
Impossibile dirlo.
Persi nelle loro indecifrabili occupazioni, sciamavano come insetti apparentemente senza meta, ma tutti portavano un simbolo sui propri vestiti: una mezzaluna orizzontale.
Un sorriso beffardo o un'ode alla luna crescente, signora della notte?
Nell'aria volteggiavano sfere di vetro tenute sospese da fili invisibili, all'interno delle quali vorticavano figure di fumo, squarci nel tessuto della realtà si aprivano qua e là, proiettando il proprio contenuto nelle vicinanze.
Personaggi di storie inventate affrontavano scene di vita quotidiana, si cimentavano con bestie mitologiche, scoprivano terre dimenticate da tempo.
E su questi teatrini si chinavano le figure degli uomini attorno al bardo, persi in una contemplazione fervida.
Ogni tanto uno di loro entrava negli squarci o si tramutava in fumo per insinuarsi nel vetro opaco.
Uomini che cadevano per sbaglio nel baratro oppure coraggiosi studiosi che si gettavano nel vuoto?
Quanto di tutto ciò era reale?
La menzogna si confondeva con la verità, intrecciando le proprie dita ingannatrici in una stretta di mano terribilmente convincente.
E, in quel coacervo di idee e sogni, non vi era che un solo, grande tomo, poggiato su uno scranno di legno.
L'unico indizio che ci si trovasse ancora in una biblioteca, dal quale un paio di occhi spalancati si sollevarono per scrutare il nuovo arrivato.

« Benvenuto o bentornato, Bardo dell'Autunno! » - esaminò la sua reazione con vivo interesse - « No, non mi sembri un tipo da formalismi. Il mio nome è Venser, a capo di coloro che si fanno chiamare Orahn, ma puoi ignorare il mio titolo, caro... » - gli occhi dell'uomo si abbassarono sul tomo - « ... Taliesin. »

La sua voce sembrava provenire da un luogo molto lontano, incastonato fra le sabbie del tempo, il suo corpo appariva come quello di un naufrago, magro fino all'osso e contorto, spezzato persino dalla sua presenza nella realtà.
La barba nera e folta era uno dei pochi tratti caratteristici che non fossero nascosti dalle vesti e dal cappuccio, ma gli occhi erano vivi e frenetici.
E, ad ogni pausa fra le sue parole, saettavano sul libro aperto come se cercassero la conoscenza lì celata.

« Tu sei qui... perchè qualcuno ti ha parlato di noi. Ma che cosa cerchi... ah sì. Capisco. Interessante. Curioso che tu giunga ora, il momento è... propizio, oserei dire. Almeno così è scritto. » - la risata fu roca e stentata.

« Ciò che vuoi ha un prezzo, ma non sei il solo a bramare qualcosa. Recupera l'oggetto dei nostri desideri e noi... provvederemo a soddisfare i tuoi. Sì, è scritto. Puoi fidarti di noi. » - distese il volto in un'espressione sognante.

« Si tratta di un artefatto dai grandi poteri e non siamo i soli a sapere dove si nasconda. Leggo che... potresti essere tentato dal tenerlo tutto per te. E' un pensiero legittimo, lo capisco. Ma non farti dominare dalle brame della tua mente. Non tradirci. Altrimenti noi... già altrimenti... che cosa faremo? » - e, in quell'istante, sembrò davvero un bimbo spaventato, perso nell'ignoranza e nel vortice di eventi che già da tempo erano sfuggiti alla presa delle sue scarne mani.

« Ah sì. E' scritto proprio qui quello che ti faremo. » - e, picchiettando con un dito tremante un rigo della pagina che stava osservando, aprì il volto in un sorriso.


~

IL VESTIBOLO DELL'ABISSO


gilda-serywardef_zps92bdf2ea


{ Gilth'alas, Alcrisia; pov: Majo Anna }

Il crepaccio nel terreno si apriva di fronte a loro, buio e nauseabondo.
Nessuno si fermava lì, tutti i viandanti acceleravano il passo non appena lo scorgevano, eppure la fenditura era in piena vista: chi aspettava in fondo alle tenebre non aveva paura di far sapere dove si trovava, nè di sfidare chiunque a raggiungerlo.
Appariva quasi invitante sotto un certo punto di vista, e qualcuno aveva maldestramente tentato di agghindarne le vicinanze: candele vermiglie erano disseminate come papaveri in un campo, alcuni drappi con simboli irriconoscibili erano abbandonati qua e là, vi erano persino offerte di incenso ancora fumanti.
Ma quella non era altro che un'entrata, non un tempio.

« Dobbiamo scendere. Rimani vicina a me, non parlare con nessuno, non è sicuro. » - mentre le rivolgeva queste parole il ragazzo sembrò meno storpio e debole, più minaccioso e sicuro di sè.
Era a casa, nel suo territorio.

L'ombra li inghiottì come una bestia selvaggia, ma dovevano ancora incontrare i veri mostri.
Poggiando i piedi sui luridi scalini di una scala che sembrava interminabile, si inoltrarono nelle viscere della terra.
La poca luce proveniente da fiaccole solitarie illuminava l'ambiente tetro e disgustoso che si apriva davanti ai loro occhi: un abisso circolare attorno al quale erano state scavate delle rientranze nella pietra.
Da esse si sporsero prigionieri e carnefici, umani e demoni, ciascuno impegnato nella propria celebrazione del Caos.
Qualcuno di loro ringhiò contro la ragazzina e il suo accompagnatore ma, nonostante la deformità, il giovane la tenne al sicuro sibilando in una lingua sconosciuta.
L'abisso aveva il proprio dialetto ed assolutamente nessuna regola, eppure tutti rispettavano qualunque ordine fosse accompagnato dal nome "Raxiel".


Il dolore era quasi corroborante.
Grugnendo, raccolse il sangue che sgorgava dal suo braccio in una bacinella.
La sua cripta si trovava al termine dell'abisso e in pochi osavano giungere fin lì.
Alle sue spalle giacevano due cadaveri ancora caldi: coloro che si presentavano al suo cospetto, nel suo regno, dovevano dimostrare di essere almeno degni di respirare in sua presenza.
Eppure sapeva che altri - era per quello che aveva preparato il sangue - sarebbero arrivati fin laggiù.
Era sempre stato in grado di comprendere il flusso torbido dei pensieri proibiti degli esseri umani, e ciò che non era in grado di comprendere, le tenebre glielo mostravano.
Non solo a lui: l'oscurità è imparziale nel dispensare i propri favori... ma quanti sono ad avere il coraggio di guardare?

« P-p-padrone! Le ho p-p-portato... » - la voce del servo tremava così tanto che non fu in grado di continuare.

Gli ordinò di dileguarsi con un gesto secco dell'arto bestiale, ancora macchiato di sangue.

« Lasciaci soli. »

Si voltò verso quella che scoprì essere una ragazzina e, se provò sorpresa, non lo diede a vedere.
Aveva visto robe ben più curiose di una bimba, sul fondo dell'abisso.
La guardò con i suoi occhi spiritati e, mentre lo faceva, le tenebre gli svelarono tutto ciò che doveva sapere.
Quando parlò, lo fece con un sorriso crudele sul volto.

« Che cosa c'è, piccola? Ti sei forse persa?
Hai paura?
»

Era a petto nudo, la tunica cerimoniale giaceva abbandonata chissà dove.
Flettè i muscoli e spalancò le ali stracciate e nere come la pece.

« No, non penso che tu ne abbia. Altrimenti non saresti qui.
O forse sei semplicemente una stupida.
Se lo sei, non importa. Tutti servono il Caos, anche gli scarafaggi più piccoli, travestiti da esseri umani.
So cosa le tenebre vogliono che io ti chieda di fare... ma mi domando se tu ne sia degna.
»

Porse le bacinella con l'arto ancora sano e flettendo gli artigli della mano destra, già pronto a recidere un'altra vita.
Non avrebbe avuto rimorsi.

« Il mio nome è Raxiel, signore dei Serywar, Araldo del Caos.
Dimmi chi sei e bevi.
Fino all'ultima goccia.
»



CITAZIONE
QM POINT ::

Eccoci qui! Se avete dei dubbi sarò felice di chiarirvi le idee, in caso contrario proseguiamo!
Tutti voi incontrate i leader delle vostre gilde, che intendono affidarvi la stessa missione: recuperare l'artefatto Talamith disperso fra le rovine di Gilth'valar. Non è esplicitato in tutti i pov e soprattutto nessuno lo chiede allo stesso modo: per questo le scene sono da sviluppare con le vostre risposte, che gestiremo in Confronto. Non ci sono limiti alle vostre libertà, ma ci sono azioni più sagge rispetto ad altre, ricordatevi che sono post di role.
Qualche precisazione:
    • Yu: la proposta di Mishtar è semplice: gli Yldir ti stanno offrendo il loro tipo di aiuto per la missione. Prosegui il discorso come preferisci.

    • Hole: Venser ti rivela l'incarico e le sue condizioni. Prima di percepire il dolore (all'inizio del post) - che non si riflette in nessun tipo di danno - hai la forte sensazione di essere osservato, ma non riesci a capire da cosa. Prosegui il discorso come preferisci.

    • Anna: Raxiel non ti ha ancora rivelato la missione, ma per te c'è un ordine chiaro e perentorio: bere il contenuto della bacinella. Prosegui il discorso come preferisci.

Ci vediamo in Confronto!



Edited by savior - 1/9/2014, 23:33
 
Top
view post Posted on 4/9/2014, 13:58
Avatar


········

Group:
Administrator
Posts:
14,152

Status:


Li hai guardati come fratelli, non come mostri.
In realtà, avrebbe ben precisato il Fauno, li aveva guardati in entrambi i modi; non poteva certamente negare il fatto che fossero degli abomini, delle aberrazioni, scherzi della natura ricreati artificialmente da quell'uomo le cui parole risuonavano più e più volte all'interno della radura, che faceva quasi da sfondo al suo ego devastante. Semplicemente, Poh non riusciva a dare un'accezione negativa al termine "mostro". Egli stesso si considerava alla stregua di un mostro e di questo ne era perfettamente conscio, quanto felice ed orgoglioso. Sentiva di appartenere ad un progetto ben più vasto di quello riservato agli uomini, feccia del mondo e usurpatori del potere di Theras. Erano mostri, quindi, ma proprio per questo erano anche fratelli, amici, esseri dei quali si sarebbe fidato ciecamente perché appartenenti alla medesima condizione di scherno e ripudio da parte del resto del mondo - e il fatto che dovessero vivere nascosti all'interno del bosco ne era un'ulteriore prova.
Il Creatorum. Così lo aveva definito Mishtar degli Yldir, la gilda più spinta verso la perfezione di tutta Gilth'alas; il Fauno squadrò da cima a piedi il corpo statuario - e nudo - del suo interlocutore, posando la sua attenzione sul busto prima e sulle gambe poi, ben più simili a quelle di un animale che a quelle di un uomo. Ogni sua parola sembrava essere ben ragionata e pesata, anche se il suo discorso appariva ugualmente sincero e spontaneo, quasi fosse ben abituato a parlare ad un pubblico più o meno vasto.
Madre Kjed sarebbe fiera di tutto questo, sussurrò, proprio al termine del breve discorso dell'essere che si poneva a capo di tutte quelle creazioni; per un momento - un singolo momento - Poh pensò che egli fosse pericolosamente vicino alla figura di un Dio, piuttosto che a quella di un mortale e la cosa lo disturbava e lo eccitava in egual misura. Dubitava dell'intervento di Kjed in quelle opere, eppure era certo di doverle seguire, aiutare, fare di tutto affinché il Creatorum potesse diventare l'intera città, quasi. Lo sapeva e non si spiegava il perché, o semplicemente non voleva spiegarselo. La realtà dei fatti era che sentiva di trovarsi a casa più di quanto avesse immaginato, più di quanto lo avesse mai sentito stando a contatto con i Figli del Gelo. E dopo anni ed anni di pellegrinaggio, Pohrrient voleva semplicemente sentirsi bene, una volta tanto. E in quel luogo, accerchiato da tutte quelle meravigliose creature, si sentiva più che bene.

« Il mio nome è Pohrrient, ma tale appellativo non è che un significato esplicito solo agli altri figli del gelo, coloro che con me condividono il sangue di nostra madre. Sono una bestia, proprio come loro.. proprio come voi. » le ultime parole suonarono ben più accentuate da un senso di sicurezza mista all'adorazione per quell'uomo e la sua opera. Aveva, di fatto, creato una casa per i reietti. « Voglio aiutarvi, non lavorare per voi. »
Le parole di entrambi risuonavano forti in un ambiente ben diverso dalla radura, ora. Si erano infatti spostati all'interno di quella sorta di reggia il cui interno somigliava ben più ad un laboratorio piuttosto che ad una abitazione o ad un ufficio di qualche genere. Sparsi nella stanza vi erano degli strani tubi di incubazione ricolmi di un luminoso liquido verde che ricopriva creazioni di ogni genere, dalle più semplici creature con arti in più ad aberrazioni ben più complesse, ma che attraevano ancor più l'attenzione di Poh. Ovunque si girasse, infatti, sentiva di avere qualcosa da vedere, qualcosa con la quale emozionarsi e rendere grazie alla propria madre. Se quello era davvero frutto della sua opera, allora Poh ne avrebbe dovuto far parte a tutti i costi.
« Ascoltami, perchè non mi ripeterò.
A Gilth'valar dorme un potere sul quale desidero mettere le mani. Potrei fare così tanto, spingermi così in là... se solo fosse mio.
» le parole di Mishtar nascondevano una forte nostalgia e una fortissima pulsione di vendetta. Agli occhi del Fauno, però, quelle parole apparivano come perfette; avrebbe aiutato quelle creature con ancora più intensità, con quell'artefatto. « Avrai le nostre creazioni migliori al tuo fianco.
E, ovviamente... sei ancora debole e inadeguato, forse nemmeno te ne rendi conto. Ma noi ti faremo un dono.
Ti miglioreremo.
»
Migiorare.
Al suono di quella parola, tutti i dubbi che potevano ancora persistere all'interno della mente del Fauno sparirono di colpo, offuscati da un desiderio ben più forte e invasivo; avvicinarsi a sua madre. Se quell'uomo poteva migliorarlo e renderlo ancor più forte, allora avrebbe accettato senza alcun ripensamento. Avrebbe aiutato le bestie, ma soprattutto avrebbe aiutato se stesso.
« Voglio vivere assieme al prodotto di mia madre, incarnato nella vostra figura. Migliorate questo corpo stanco,se ciò mi renderà più simile a voi, eludetene gli affanni e nascondete le sue ferite.
Troverò l'oggetto che cercate, Mishtar degli Yldir, così che questo paradiso possa distruggere una volta per tutte gli usurpatori.
» la fierezza della bestia brillava forte nel suo sguardo. « Di cosa si tratta, dunque? »
Mishtar sorrise, continuando a camminare verso una nuova sala, adornata anch'essa dai tubi di incubazione che contenevano però creature più grandi e con mutazioni più specifiche e di difficile realizzazione. Al centro della sala presenziava una enorme vasca il cui interno era stato riempito dallo stesso liquido verde presente nei tubi di incubazione; il capo degli Yldir lasciò al Fauno la scelta di essere accompagnato da due delle sue creazioni, dunque lo invitò ad immergersi in quel liquido. Seppur in qualche modo spaventato - come lo sarebbe una qualsiasi altra creatura, del resto - non esitò e lasciò che il suo corpo fosse pervaso da una sensazione di calore estremamente rassicurante. Un battesimo, aveva pensato il Fauno poco prima di immergere anche l'ultimo centimetro delle sue corna in quella vasca; aveva conosciuto molte creature che per iniziare un adepto al proprio culto lo lasciavano immergere nell'acqua e aveva sempre trovato la cosa estremamente interessante. Come se quell'immersione potesse significare l'accesso ad una nuova vita, ripulito da ciò che eri stato e ciò che avevi avuto il timore di essere. Poh non avrebbe mai desiderato cancellare la sua vita precedente, questo no, eppure sapeva di dover cambiare, di doversi migliorare per raggiungere sua madre. Ed era tutto per lei, in fondo; stava facendo tutto quello per lei e per i mostri, i suoi fratelli.
« Compi il tuo dovere, Pohrrient. Dai vita al nostro disegno! » le parole di Mishtar raggiunsero il corpo del Fauno poco prima di riemergere e di trovarsi solo nella sala. Si sentiva più forte, rinvigorito in qualche modo, come se gli fossero stati lavati via anni ed anni di cammino. Si guardò attorno per cercare la figura dell'uomo, ma attorno a lui vi erano solamente le creazioni ricoperte dello stesso liquido che aveva ricoperto lui e che aveva creato sul suo corpo degli strani rigonfiamenti simili a branchie. Uscì dalla vasca, il liquido colava lento verso il terreno creando una scia verde verso l'uscita. La radura sembrava essersi in qualche modo svuotata, se non per cinque creature ben diverse tra loro che approcciarono immediatamente il Fauno, inchinandosi ad egli. « Alzate la testa, fratelli miei. Non sono nulla che possa meritare il vostro rispetto, se non un vostro simile. Affrettiamoci, perché l'era dell'uomo è durata fin troppo.
E' tempo che le bestie riottengano ciò che era di loro diritto!
»

Verso Gilth'valar, le rovine della vecchia città. Accompagnato da fratelli, mostri. Con un'aria diversa, perché non era lo stesso Fauno.
Era più forte, ora. Migliore.



Pohrrient
tecnicismi



Capacità Straordinarie: 11 (3 alla Forza, 3 all'Agilità, 2 all'Intuito, 2 alla Saggezza, 1 alla Ferocia)

Energia: 100%
Stato Fisico: Ottimale. {100%}
Stato Mentale: Ottimale. {100%}


Auree di Gelo
passive in uso



1/10 Abilità Personale Natura Fisica; Poh riesce ad avvertire la presenza di altre figure nelle vicinanze grazie al suo olfatto. Conta come un auspex passivo. (Passiva)
2/10 Abilità Personale Gli attacchi fisici di Poh causano metà danno al fisico e metà alla mente. (Passiva)
3/10 Abilità Personale I colpi inferti da danni fisici da parte di Poh infliggono più danni del normale, arrivando il colpo in profondità, fino a raggiungere i muscoli e le ossa. (Passiva)
4/10 Abilità Personale Le tecniche offensive ad area non dimezzano il loro potenziale. (Passiva)
5/10 Abilità Personale Le tecniche difensive ad area non dimezzano il loro potenziale. (Passiva)
Passiva primo livello Fattucchiere Le attive del dominio causano anche una malia psionica passiva che si materializza sotto forma di un forte senso di disorientamento. (Passiva)
Passiva secondo livello Fattucchiere Le attive del dominio depotenziano di un CS in più. (Passiva)
Passiva terzo livello Fattucchiere Quando Poh utilizza un'attiva del dominio guadagna 2 CS in Destrezza fino alla fine del turno. (Passiva)
Muoversi al Buio [Cacciatore] Natura Fisica; Poh è in grado di affidarsi, in caso di oscurità o altri ostacoli visivi, all'olfatto e alla vista per orientarsi e per compiere le sue azioni. (Passiva)
Tattiche di Combattimento [Guerriero] Natura Fisica; Poh è in grado di sfruttare il campo di battaglia a proprio vantaggio. Inoltre, egli riuscirà a vincere gli scontri a parità di CS. (Passiva)
Irriducibile [Pergamena Vuota] Natura Fisica; Poh è in grado di combattere fino alla morte, nonostante le ferite e i danni subiti. Non è immune al dolore fisico. (Passiva)
Conoscenza Anatomica [Cacciatore] Natura Fisica; Poh è in grado di individuare il punto debole degli esseri immortali, potendo così fronteggiare qualsiasi creatura.(Passiva)
Passiva Razziale Gli animali selvaggi non saranno ostili nei confronti di Poh, che avrà con loro una vera e propria empatia selvaggia. (Passiva Razziale)
Amuleto Razziale Poh potrà sempre capire se un altro individuo è più o meno forte di lui - in base alla pericolosità -. (Passiva Razziale)
Amuleto del Poliglotta Poh può parlare la Lingua del Nord.
Cristallo del Talento Poh accede al terzo livello del dominio Fattucchiere.


Segni della Madre
attive utilizzate



--

Racconti del Passato
riassunto



Tutto come da Confronto; passo a fornire delle breve descrizioni delle cinque creature.
    Queelag Falena della Luna Falena dalle ali variopinte, grande quanto un cane; riesce a volare molto velocemente e per lunghe distanze senza affaticarsi troppo. Possiede un corno bianco sulla testa infuocato e le sue ali possono rilasciare sostanze velenose che fanno addormentare o paralizzano il nemico.

    Najka Scorpione delle Stelle Lungo scorpione dorato, dal busto fuoriesce il volto di una donna dai lunghi capelli purpurei; riesce a scavare lunghe gallerie nel terreno ed è molto resistente grazie alla sua corazza. Può attaccare l'avversario con le proprie chele o con il pungiglione, che possiede un veleno in grado di debilitare profondamente il nemico.

    Tark Ladro del Sangue Creatura antropomorfa dai tratti rettiliani; riesce ad aprire qualsiasi serratura o lucchetto grazie alle proprie abilità da scassinatore - le sue unghie sono molto lunghe ed affilate, in grado di scassinare lucchetti -. Molto veloce e scaltro, può ferire il nemico grazie alle sue unghie affilate o all'acido che riesce a secernere e a spruzzare dagli occhi verso il proprio nemico; tale acido è combustibile.

    Orn & Stein Gemelli del Sole Creature antropomorfe dotate di vere e proprie branchie; riescono a respirare anche sott'acqua. La loro lingua può raggiungere distanze fino a due metri e rilasciare una sostanza appiccicosa che frena i movimenti del nemico.

Sì, i nomi sono citazioni.
Have fun!



Edited by Y u - 4/9/2014, 15:34
 
www //  Top
view post Posted on 5/9/2014, 17:47
Avatar

Like a paper airplane


········

Group:
Administrator
Posts:
12,341

Status:


Dalla luce al buio, l’oscurità attorno a lei come una spirale. L’oscurità dentro di lei come una canzone. Non aveva paura, non di quel mondo che stava al di fuori, di quel caos privo di organizzazione. Che facessero pure quello che volevano. Più scendeva le scale, più la sua veste carezzava quei gradini irregolari, più si sentiva a casa. Come se un nuovo manto le fosse calato addosso, le sue spalle si raddrizzarono leggermente, il suo capo si sollevò di un poco. Riusciva a vedere nel buio l’aura del proprio compagno. Anche lui stava ritornando al proprio nido, e la sua anima acquistava via via la cupa lucentezza dei figli del buio. Avrebbe voluto che quel cammino durasse all’infinito, che il profumo della sofferenza altrui le riempisse le narici. Avrebbe voluto verificare quanto quel luogo potesse darle nuova forza.
Ma dovettero fermarsi, al cospetto di una creatura difficilmente definibile. Non trovava nulla di affascinante in lui, ammesso che di un lui si trattasse. Ma poteva percepire la sicurezza e il potere che emanavano dalle sue viscere. Quando aprì le braccia desiderò che non la sfiorassero mai, nemmeno per errore. Forse il caos non voleva essere amato, forse gli bastava essere temuto. Di certo il suo accompagnatore arretrò, colmo di deferenza e di terrore. Li lasciò soli, a guardarsi con occhi inutili. Non serviva lo sguardo per quello che si sarebbero detti.


« Il mio nome è Raxiel, signore dei Serywar, Araldo del Caos.
Dimmi chi sei e bevi.
Fino all'ultima goccia.
»


Cercò di ergersi in tutta la propria statura, di dimostrargli che era forte oltre le apparenze, che non era semplicemente una bambina. Non più. Da troppo tempo.


"Il mio nome è Ainwen e non sono più una bambina sin da quando ho commesso il mio primo errore".


Il buon senso le diceva di non provocarlo, di limitarsi a stare zitta. Poteva udire le grida dei sofferenti, il nome di quella creatura ripetuto dai carnefici come una litania. Poteva annusare l’odore pungente del sudore e della paura, nauseabondo eppure desiderabile come una droga. Desiderò poter essere come lui, seduta dove lui sedeva, a non comandare nulla eppure ad essere obbedita ovunque.


"Forse dovrei sentirmi onorata di essere qui. Ma sarà qualcosa che deciderò dopo che avrò udito la tua proposta".


Vattene. Questo avrebbe dovuto fare. Quella volgare imitazione di una coppa che lui le porgeva pareva uno specchio torbido. Rifletteva la sua ambizione e il suo orgoglio, la sua sete di vendetta. Sarebbe stato quel liquido a dissetarla per sempre? Ne dubitava. Era più probabile che lui la stordisse e la imprigionasse. Tentennò, cercando di leggergli la risposta addosso. Ma lui era il caos: non c’erano risposte nel caos, non c’era un piano evidente.
Placherai la mia sete?
Gli rivolse un mezzo sorriso teso e poggiò la bambola a terra. Aveva ancora qualche breve secondo per scegliere una via migliore. Le sue mani si chiusero sui lati della bacinella, decise eppure scosse da un tremito di ansia. Sfiorarono quelle dita consumate da chissà quale progenie o maleficio. Una carezza malvagia, che non le diede alcun calore. Con un gesto deciso portò il liquido alle labbra ed iniziò a bere.
Strinse gli occhi, sentendo il sangue incollarsi vischioso sulla lingua e sulla gola, il suo odore ferroso risalirle lungo il naso. Era lo stesso sapore della morte, delle lacrime che aveva pianto da sola, nella notte. Era il suo sapore e quello di molti altri, accomunati da un destino immutabile. Inspirò, cercando di reprimere il disgusto, tentando di accogliere dentro di sé rapidamente fino all’ultima goccia. Si fermò solamente quando la bacinella fu vuota, e allora si passò il pollice e l’indice attorno alle labbra, disegnando una squallida traccia di colore sulla propria pelle. Quel rosso così vivido contrastava in modo grottesco col suo candore, la rendeva simile ai figli di quel luogo. La bambola, a terra, guardava ancora la creatura che l’aveva ricevuta. Ormai non c’era più motivo di temerla, non ora che il loro patto era stato siglato.
Il mio desiderio non è spento.


« Ma ora ascoltami bene. » - si fa serio e minaccioso - « Forse in un qualche altro luogo sei potente e rispettata, temuta persino. Ma qui non sei nessuno. Accetta e sarai una di noi, assaggerai il potere dei Serywar. Rifiuta e conoscerai quanto è profondo l'abisso. »


Sentiva la testa leggera, quasi stesse per svenire, ma si sforzò di rimanere presente. Il sapore del sangue le risaliva in bocca prepotente, ma non si lasciò sfuggire neppure un gemito. Storse la bocca, cercando di rivolgergli un sorriso sarcastico. Non avrebbe ceduto, non di fronte a lui. Gli avrebbe mostrato che non temeva l’abisso. Non c’era un fondo che lei non avesse già toccato. Non c’era un desiderio che non avesse tradito, una speranza che non fosse stata frustrata.


"Se fossi potente e rispettata non sarei giunta fino a qui, Signore del Caos. Il Caos è per chi vuole mescolare le carte del potere".


Ma non avrebbe potuto fare da sola, lo sapeva, al di là di tutti quei discorsi. Se nessuno avesse condotto i suoi piedi lungo i cammini più faticosi, se nessuno avesse combattuto i suoi nemici. Se nessuno fosse morto al suo posto. Tutto sarebbe stato più difficile. Si passò la mano sul mento, tracciando inconsapevolmente macchie di sangue lungo il collo. Non c’era bellezza che potesse essere rovinata da quel gesto, non c’era grazia che potesse infrangersi.


"La tua fiducia nel mio potere è grande, ma non potresti darmi qualche altra indicazione? Dopo tutto sono solamente una ragazza cieca."


Non importava che lui le credesse davvero. Doveva semplicemente darle qualcuno da guidare e da cui farsi guidare. Qualcuno di inaffidabile da condannare non appena fosse stato necessario. Non mi affezionerò ai tuoi servi, non temere. Lo pensò, ma era quasi certa che lui lo avrebbe capito. Forse un poco si assomigliavano, forse entrambi avevano imparato a non guardarsi indietro. Forse anche lui sapeva cosa volesse dire rimanere in fondo alla fila, a guardare la schiena della gente normale senza poterla nemmeno sfiorare.



« Fratelli! E' giunto il momento di far serpeggiare la paura in questa città! Troppo a lungo tutti hanno chinato la testa di fronte all'Ordine, è tempo che ciascuno di noi levi il proprio capo e scelga la via da percorrere! Ma, io mi chiedo, chi saranno coloro che apriranno la strada? »


Lo aveva seguito quasi senza starlo a sentire, la bambola penzoloni da una mano che riusciva a cogliere solo dettagli di ciò che la circondava. Pensava a quella missione di cui non le importava nulla, ma che doveva comunque portare a termine. Perché aveva bisogno di potere, di appoggio da parte di gente come lui. Perché doveva dimostrare a se stessa di potercela fare. Si sentiva piccola e sciocca al fianco di quella creatura imponente. Si ripromise di essere come lui, un giorno, assisa a guardare gli altri, senza più alcun riscatto da pagare.
I suoi compagni erano cinque, più di quanti ne avesse desiderati, e nessuno di essi aveva il sorriso bonario di Akela, la sua guardia del corpo nell’occidente. Non perse tempo a domandare loro da dove venissero: erano i loro corpi, i loro sguardi, a raccontare una storia tetra eppure comune. Uno di essi non era neppure un essere umano: i suoi occhi avevano pupille minuscole, come quelli dei gorilla, e tale era la forma del suo volto. Lo fissò, desiderando di poter avere quella forza e quello sguardo tutti per sè.
Quando morirai sarai mio.
Non gli rivolse la parola, né a lui né ad altri, ma si limitò ad annuire. Era la sua presentazione e sarebbe stato il suo commiato. Uno degli uomini si fece avanti. Un mantello strappato gli ricopriva il corpo muscoloso e segnato da numerosi tatuaggi. Il suo volto rimaneva in ombra, ma si poteva intuire come sotto il cappuccio si nascondesse una testa massiccia. Affiancò Ainwen e le poggiò una mano sulla spalla, le dita stranamente affusolate e prive di calli.


Vedi di non rallentarci, o ti torcerò il collo personalmente”.


La ragazza levò la testa verso di lui, sentendosi improvvisamente piccola e schiacciata a terra. Gli altri erano bassi e tozzi, ma quell’energumeno avrebbe potuto essere un incrocio con un orco. Anche la bambola cercava in vano di penetrare l’oscurità del suo mantello. Gli rivolse il sorriso da predatrice che le era proprio, forse reso un poco più incerto dalla sua possanza.


Tu cerca di non restare indietro. Chissà chi ti difenderebbe in quel caso”.


Nonostante il tono scherzoso, le sue labbra non si mossero di un millimetro, non assunsero alcuna espressione di ironia. Rimasero immobili per qualche istante, prima di dirigersi verso l’uscita con un cenno del capo.





wAA0dhc
Kesser - «Anger»
All'apparenza niente più che un bruto tra i bruti, un uomo tanto grande da incutere timore sin dal primo sguardo. Eppure dietro il suo capo massiccio, dietro il suo corpo possente come una montagna, si nasconde un cervello fino, dalla viva capacità di intuizione. Si dice che da giovane più di una vita sia caduta sotto i suoi pugni, nelle bettole della città. Un servitore del caos prima ancora che il Caos lo chiamasse a sè e lo rendesse finalmente consapevole, trasformandolo in un'arma letale. Ora in quel corpo da bestia si nasconde, ben protetto, l'intelletto dei portavoce del Caos.
E' uno dei cultisti più fedeli, e il suo corpo porta tatuati ovunque i segni della sua devozione: a volte linee tribali, simboli di prime, inconsapevoli preghiere. A volte parole sacre, a volte colore per nascondere cicatrici. A celare il suo volto e la parte superiore del suo corpo un mantello stracciato e un cappuccio oscuro. Qualcuno sussurra che il monaco si nasconda perchè il suo viso è così bello da smentire la sua apparenza minacciosa. Ma si tratta solamente di voci, poichè nessuno è mai riuscito a scoprirgli il volto e a sopravvivere.
Ruolo: Caposquadra - Guerriero
Razza: Umano, figlio di una donna e di un pelleverde
Sinossi: Alto, Possente, Tatuato - Iracondo, Intelligente, Riservato

 
Top
view post Posted on 7/9/2014, 19:33
Avatar

Aper army
·····

Group:
Member
Posts:
1,606
Location:
Trentino

Status:



Օրն դավաճ ~ Days of Betrayal ~ Գերակայ

~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~
Capitolo I: Supremazia

Atto II

(Vahram [pensato, lingua aramana], Mordred, Bahriye.)


Gilth'alas, Alacrisia ~ Ora del crepuscolo, Castello di Mordred, capo degli Ashand.
01_armeniantablemini_zps55180b48
Quando sarò ricco e potente, costruirò un castello tutto mio e ci abiterò insieme ai bambini del rione di Barış. Avrà cento sale stipate di cuccioli e balocchi e giardini sconfinati traboccanti di fori e fontane. Passeremo le giornate a giocare, e quando avremo fame, i miei cuochi personali imbandiranno tavole coperte di tovaglie di seta e stoviglie di porcellana, e sopra... tanto cibo da saziarci per una settimana intera; ma non il pane ammuffito che mangiamo tutti i giorni: anatre ripiene, maiale grigliato, quaglie arrosto, frutta esotica e, come dolce, torte grandi quando la mola del vecchio Rudy. Insomma... cibo da ricchi. E nel mio castello saranno ammessi solo i miei amici più fidati; niente adulti, nessun cartello. Niente più botte, niente più lavori sporchi. Saremo felici e comanderemo su tutti coloro che volevano farci del male... Ah, ovviamente voi sarete sempre il benvenuto, Dottor Azad!

Appena Vahram varcò i cancelli della fortezza sotterranea, per un oscuro motivo le ingenue parole di Abel, un ladruncolo dei bassifondi di Portalorica che lavorava come corriere per il cartello Karjitak, gli balenarono nella mente. Non seppe spiegarsi il perché. Anzi, in quella situazione per un attimo gli parve una reminescenza stupida, puerile, ma ammirando quel castello in mezzo al fiume non riuscì a evitare di pensare che, chiunque fosse il capo degli Ashand, sarebbe divenuto immediatamente il divo ispiratore del ragazzino; in fondo aveva coronato a grandi linee il sogno di ogni piccolo furfante. Si divertì a immaginarlo per diletto come un Abel cresciuto; la differenza però è che il vero Abel non visse abbastanza per dar frutto ai propri ideali: morì sgozzato nel silenzio di una buia e fangosa viottola, solo perché gli adulti che tanto detestava sospettavano che avesse visto qualcosa che non doveva vedere.

Attraversò la sala comune dove si radunavano i bravi con lo sguardo fisso nella direzione in cui stava camminando, evitando di incrociare qualsiasi sguardo, mentre diversi gruppetti di malviventi lo squadravano torvo, o gli avanzavano ostentate intimidazioni. Conosceva bene quell’ambiente trasudante di diffidenza e violenza, ci aveva vissuto da sempre. Quella era la classica forma di saluto delle comunità di malviventi e mercenari, e più la loro ghenga era numerosa e potente, più questi convenevoli diventavano espliciti e arroganti.
S’irrigidì perturbato dalla sua fobia mentre attraversava l’harem affollato di piacenti cortigiane, ma bizzarramente non batté ciglio nell’udire gli strazianti lamenti dei torturati. Però, più si addentrava nel cuore della tenebra, più lo turbava l’idea di chi avrebbe dovuto incontrare. Quello non era chiaramente un semplice capo; un principe, piuttosto, o un re dei ladri. Davvero una persona dotata di così grande potere desiderava incontrare un tagliagole di strada – seppur rinomato – come Al Patchouli?
La loro camminata terminò dinanzi un ampio portone di legno lucido – mogano forse. Bahriye si voltò e afferrò intimidatorio il colletto di Vahram.

«Vedi di comportarti bene, adesso. A lui non piacciono i maleducati.»


Appena l’uscio si spalanco, un brivido corse lungo la schiena del cavaliere. Si convinse di stare per incontrare un duca, un conte, un sovrano del sottobosco cittadino che nessun occhio vede, ma che ogni cuore teme terribilmente. Un maestro orditore d’intrighi avvezzo ai falsi sorrisi e alla retorica lusinghiera, che non si sarebbe certo lasciato ammaliare dalle belle parole di un mercante di strada, né tantomeno da un sicario come i tanti che si trovava a dover mansuefare ogni singolo giorno.
Al Patchouli inspirò profondamente, la sua espressione in un istante mutò. La sua faccia si affrancò da qualsivoglia emozione simulata, mostrando l'unica vera espressione spontanea di Vahram: un volto cereo e spettrale, circonfuso dall'ombra del mantello. Due occhi svuotati da ogni traccia di barlume vitale. Lo sguardo ferreo e frigido del guerriero che sa di essere già morto prima di ogni battaglia, privo di ogni umana paura e compassione e al contempo rassegnato all'inevitabile destino. Armato della sua maschera di mamūluk, varcò la porta, fiero, professionale.

Dividerarmeno2500x132_zpsf897b33b


Si lasciò accompagnare alla sua poltrona senza reagire, rispettoso delle volontà del padrone di casa. Restò immobile come un cadavere ascoltando ogni parola di Mordred, con freddo timore del grande e misterioso uomo – se davvero era umano – che gli stava davanti. Non si mosse nemmeno quando la lingua d’ombra gli passò affilata sul lato del volto. Non appena il re degli Ashand smise di parlare, Vahram rispose.

«Vi ringrazio, sehre Mordred.»
Disse, senza battere ciglio, mentre fili rossi gli rigavano la guancia.
«Ma non posso accettare.»

Silenzio.

«Sono astemio.»


Rifiutò il calice, non degnandolo di alcuna attenzione; la sua concentrazione era rivolta unicamente e insistentemente al suo interlocutore. Lo guardava fisso, il suo sguardo era spento, ma non trasmetteva arroganza: i suoi occhi rassomigliavano piuttosto a quelli di un crudele ma riverente mastino.

«Confesso che in circostanze normali mi sarei attardato a esprimervi la mia gratitudine per l’asilo che mi avete concesso e a domandarvi in che modo avrei potuto ricambiare la vostra cortesia.» La sua voce era roca e grigia, come se nessun sentimento la inflettesse, ma al contempo rapida e cadenzata, quasi Al Patchouli cercasse di assecondare l’impazienza di Mordred. «Ma noto che siete un uomo a cui piace la recisione.» Disse, passandosi i polpastrelli sullo zigomo sanguinante con flemma quasi istrionica.

«Sta bene.» Annuì. «Niente convenevoli.»


Parole intese per esprimere ironia, ma che stonavano terribilmente con la parlantina atona del sicario.

«Le raccomandazioni sono solo per vitto, alloggio e mere commissioni da furfante.
Era da anni che non ricevevo finalmente un vero incarico.
»

Alzò il mento e inspirò, come per prepararsi a carpire ogni prossima sillaba del suo cliente.

«Al Patchouli è sempre a disposizione.»
Asserì, squadrando Mordred.
«Col tempo forse mi sarò arrugginito, ma so fare ancora bene il mio lavoro.»
Aggiunse, modesto.

«Di che cosa si tratta di preciso?»



Mordred sorrise divertito. «Che cipiglio severo! La tua espressione da spietato criminale, presumo. Siamo abituati a indossare così tante maschere per gli altri che alla fine neppure noi ricordiamo più chi siamo in realtà. Vitto e alloggio non saranno un problema, se manterrai le promesse. Sono un uomo di parola e so ricompensare chi mi rende buoni servigi. » Assicurò, iniziando a giocherellare col medaglione che portava al collo. «Voci sempre più insistenti parlano di un antico artefatto i cui poteri si sono risvegliati all'improvviso, sperduto fra le rovine di Gilth'valar. Talamith è il suo nome, e dicono serbi in sé un grande potere. Verità o leggenda?» Scrollò le spalle, imbastendo un atteggiamento sconsolato. «Non saprei dirti, ma la mia indole curiosa mi costringe a non rimanere in disparte. Tuttavia, muoversi in prima persona sarebbe... poco conveniente, per me. Portami il Talamith e avrai solo da beneficiarne. Nessun'altra domanda, messer Vahram?»

Al Patchouli abbassò per un attimo lo sguardo, assorto, non parendo reagire alla parola "ricompensa". La sua mente era altrove, intenta a organizzare la richiesta del suo cliente.

«Non è la prima volta che mi occupo del recupero di artefatti. La missione che mi proponete si prospetta complessa.» Si fece pensieroso, meditando per qualche secondo. «Ho bisogno di tutte le informazioni che potete darmi." Replicò infine, in tono risoluto e professionale. "Solitamente preferisco eseguire un'indagine accurata prima di agire, ma da quanto ho capito il tempo scarseggia.»
Prese respiro, prima di iniziare a enumerare tutto il necessario. «Mi serve una mappa dettagliata di Gilth'valar: devo capire come muovermi nella città e se ci sono vie nascoste dalle quali passare; qualche dato in più su queste "voci e leggende", documenti scritti magari, se possibile, li leggerò in viaggio: potrebbero rivelare qualche dato utile; descrizioni precise su questo artefatto: quanto è grande, quanto pesa, che forma ha, se comporta rischi particolari. Se così fosse, dovrò procurarmi attrezzature specifiche.» Fece una pausa. «Poi vorrei che mi metteste al corrente nel caso sapeste se dell'esistenza di altri gruppi che potrebbero avere interessi per Talamith. Non è la prima volta che mi capita di dovermi difendere da cacciatori di tesori o predoni... o peggio. Scusatemi, ma preferirei sapere chi potrei trovarmi davanti.»

Si bloccò, rendendosi conto di essere un pesce fuor d'acqua in quella città; in fondo era arrivato solo da poche ore.

«Ho bisogno di persone esperte con cui consultarmi. Fidate, possibilmente. Qualcuno che conosca a menadito la zona, non so se mi spiego... E almeno un'altra persona che sappia maneggiare e trattare oggetti magici. Da loro mi bastano alcune consultazioni, non è necessario che mi seguano.»

«Se chiedo troppo, non importa; saprò arrangiarmi da solo. Comprenderete però che più conoscerò il mio obiettivo, più probabilità avrò di consegnarvi il Tamilith.» Alzò gli occhi verso il soffitto, come cercando di ricordare se avesse dimenticato qualcosa.

«Ah, perdonate il mio cipiglio. Ne sono cosciente: non a tutti piace.»

Mordred, finora cordiale, a quella valanga di ordinarie requisizioni – almeno secondo la prassi di Al Patchouli – si accigliò impaziente. « Sono molte richieste per uno che ancora non ha offerto niente in cambio, a parte tante parole.» Il suo sorriso assunse una piega vagamente amara. «Ad ogni modo, quel poco che si conosce riguardo il Talamith te l'ho già detto; per alcuni è stata la causa della distruzione di Gilth'valar: un tempo quel cumulo di rovine era una magnifica città. Nell'antica lingua il suo nome significa la Vergogna delle Gilde. Non è rimasto niente di scritto, nè sono state tramandate notizie certe.» Accennò col capo alla porta. «Non andrai solo: scegli cinque dei miei uomini e preparati, partirete domani alle prime luci dell'alba. Bisogna fare in fretta: dobbiamo supporre che anche le altre Gilde si stiano attrezzando per mettersi alla ricerca dell'artefatto, o forse l'hanno già fatto. Vi fornirò una mappa, ma non posso garantire per la sua esattezza: in pochi si sono avventurati fra le rovine, negli ultimi secoli, e ancora meno sono quelli che hanno fatto ritorno per raccontarlo. » La sua figura fu avvolta nell'ombra; un fruscio morbido e Mordred sparì, inghiottito dalle tenebre.

«Vai ora, e non deludermi. »
L'eco della sua voce risuonò per qualche istante, prima di spegnersi nel buio.


«Al momento posso offrirvi solo Al Patchouli, parone Mordred.» Disse, alzandosi con rispettosa cautela. «Grazie del vostro supporto.» Rivolse alla vuota ombra un inchino marziale. «Ora, con il vostro permesso, mi metto subito all'opera.»

E non ricevendo risposta, lasciò la stanza.
Doveva agire alla svelta, aveva un mucchio di cose da organizzare...
E il tempo in quel momento non sorrideva a nessuno.



Specchiettosfondoheaderpx_zps802a5de7

~~O~~O~~O~~ PG ~~O~~O~~O~~
Fascia: Verde
Pericolosità: D

CS: (4)
2 Intuito, 1 Tattica, 1 Tenacia


Basso 5% | Medio 10% | Alto 20% | Critico 40%

~~O~~O~~O~~ Salute ~~O~~O~~O~~
Corpo (Illeso):
Illeso.

Mente (Illesa):
Illesa.

Energie: 100%

~~O~~O~~O~~ Strumenti ~~O~~O~~O~~
Armi:
Yen Kaytsak: Infoderata
Spada: Infoderata
Ferro: Infoderato
Arco (15): Infoderato
Pistola (5): Infoderata

Armature: Mantello, brigantina.
Oggetti: Biglia dissonante.


~~O~~O~~O~~ Abilità Passive ~~O~~O~~O~~

[Mamūluk ~ Abilità razziale Umana (Audacia)] Gli schiavi guerrieri sono vere e proprie macchine da guerra plasmate per affrontare irriducibili gli sforzi più inumani e le condizioni ambientali più estreme. Possono combattere senza posa per giorni interi. Raggiunto il 10% delle energie infatti, un mamūluk non sverrà. Ciò però non significa che non sarà stanco raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%.

[ Disilluso ~ Passiva di talento Stratega (Capacità di discernere le illusioni)] La sua integrità mentale e il suo inumano addestramento lo resero congeniale ad affrontare senza timore anche la magia o le malie psioniche. Per questo motivo, nel caso in cui si trovasse innanzi ad una illusione, sarebbe sempre in grado di discernerla come tale, pur non dissolvendola né distruggendola.

[ Imperturbabile ~ Passiva di talento Stratega (Difesa psionica Passiva)] Addirittura, esistono alcuni nemici talmente potenti da poter manipolare la mente di chi sta loro intorno senza neppure doversi impegnare per farlo: è un processo naturale, che avviene spontaneamente con la semplice vicinanza e si diffonde come un'aura passiva tutt'intorno a loro. Ma simili poteri non influenzano Vahram: si rivelano inutili dinanzi alla sua sterilità emotiva e la sua totale estinzione della percezione della paura.

[ Irriducibile ~ Passiva di talento Stratega (Immunità agli effetti mentali)] La pervicacia e la ferrea disciplina dei mamūluk sono tanto proverbiali quanto terrificanti. Non demordono nel perseguire il loro obiettivo anche quando la loro mente è incredibilmente danneggiata. Per tale motivo, Vahram è tanto incrollabile e caparbio da essere pressoché insensibile al dolore psichico e a qualsiasi effetto di natura psionica, pur riportando i normali danni alla mente.

[ Flessibile (Pergamena Guerr. Tattiche di combattimento) ~ Passiva fisica (Padronanza del campo di battaglia)] In quanto ex membro delle Squadre Speciali dei Lancieri Neri e sicario professionista, Al Patchouli è addestrato a elaborare strategie e tattiche che sfruttino a suo favore il terreno circostante. Possiede dunque capacità di trarre vantaggio del terreno e delle circostanze in qualsiasi situazione di battaglia: strategie, tattiche, intuizioni. In combattimento ciò potrà anche tradursi nell'abilità di vincere scontri fisici a parità di CS, grazie alla superiore conoscenza del terreno di scontro.


~~O~~O~~O~~ Abilità Attive ~~O~~O~~O~~


(nessuna)
(nessuna)


~~O~~O~~O~~ Sunto ~~O~~O~~O~~


Eccomi! Scusate ancora eventuali refusi.
Nulla da aggiungere, se non ciò che è già stato detto in confronto. Aggiorno stasera o domani la lista corretta dei miei png.
 
Top
view post Posted on 7/9/2014, 19:56
Avatar

Cardine
·······

Group:
Member
Posts:
7,349

Status:


In the morning by the sea,
as the fog clears from the sand,
I have no money in my hand.
I have no home, I have no land.


Ripeteva continuamente le parole della filastrocca, mentre fischiettava la melodia, per tranquillizzarsi e ignorare quella fastidiosissima sensazione di essere osservato. Sentiva gli occhi di quacuno - o qualcosa - su di sé, nonostante lo circondassero soltanto molte migliaia di tomi. Si ritrovò a fuggire dalle ombre che, alle sue spalle, mutavano convulsamente. Più accelerava il passo, più esse parevano ingrandirsi.
   E non fece in tempo a trovare l'uscita da quel dedalo di scaffali e tavolate, poiché a raggiungerlo e colpirlo alle spalle non fu una qualche mostruosità celata laddove la luce non giungeva, bensì un dolore rovente che per un istante lo lasciò senza fiato. Taliesin - o meglio, il suo corpo ormai privo di forze - si schiantò su di un tavolo dove pagine e pagine di appunti vergati a mano si rovesciarono e presero il volo, in uno stormo di carta e inchiostro.
   Un'oscurità spietata, troppo simile a quella che lo aveva portato via da Velta, lo inghiottì in un sol boccone, non lasiandogli il tempo di prendere l'ultimo respiro prima di un'apnea eterna.

I contorni di ogni cosa erano indefiniti, fumosi, quasi fossero intangibili. C'era - e questa era l'unica cosa che Taliesin era sicuro ci fosse davvero - un grosso libro, aperto e posato su di un leggio. Proprio da esso, posto al centro di tutto, pareva scaturire ogni cosa. Tutto attorno era impossibile discernere ciò che era verità e ciò che non lo era, tra le forme che d'un tratto prendevano vita e si dissolvevano ancor più rapidamente. Il bardo smise di osservarle quando la testa cominciò a girargli dalla confusione.
   Il luogo però brulicava di vita, di sicuro più della biblioteca deserta dove Taliesin si trovava fino a poco prima. Persone irriconoscibili e sconosciute si muovevano in ogni direzione, apparendo e scomparendo in squarci grigi e nuvole di fumo. Le loro sagome erano più chiare, anche se nessuno di loro si fermava, osservava o diceva qualcosa. Una cosa soltanto li accomunava tutti quanti: una mezzaluna simile ad un ampio sorriso che appariva sulle loro tuniche. Il simbolo degli Orham.
   Era in un sogno, certo, ma quello era l'unico posto dove si sarebbe aspettato di trovare la misteriosa Gilda. La cosa davvero straordinaria agli occhi di Taliesin, però, erano le sue condizioni. Stava bene, stranamente bene, e la sensazione di trovarsi in quel luogo colmo di irrealtà non era per niente spiacevole. Di sicuro non si era smarrito in una locanda incastonata nel nulla. Anche il dolore atroce che lo aveva portato lì era ormai un ricordo. Gli sembrava di non avere peso, di fluttuare in mezzo a quell'immenso spazio cangiante.
   Si accorse che c'era qualcuno dietro il tomo solo quando egli si mise a parlare. Era un uomo dalla barba scura e dagli occhi vivaci, anche se il suo corpo era smunto e martoriato tanto da disgustare. Apostrofò Taliesin come Bardo dell'Autunno e, leggendo frequentemente dal grosso tomo, risalì lentamente a tutto ciò che il bardo avrebbe dovuto dirgli. Gli risparmiò, per così dire, l'imbarazzo di presentarsi. Il musicista rimase in silenzio, per metà infastidito da quell'intusione e per metà affascinato dai poteri di colui che si presentò come il leader degli Orham, Venser.
   «Le parole sono superflue, e ciò mi risparmia l'imbarazzo di avanzare pretese così impertinenti» gli disse, dopo aver ascoltato in religioso silenzio ciò che il saggio aveva da dirgli - informazioni a lui già note unite a eleganti minacce. I suoi modi, anche se un po' impacciati, erano piacevolmente cortesi, così tanto da invogliarlo a lavorare per loro. Taliesin era deciso a recuperare il gingillo tanto desiderato, il Talamith, e tornare al più presto dagli Orham. Aveva avuto la conferma che le sue richieste, per quanto particolari, sarebbero state esaudite, e tanto gli bastava. Uno strano desiderio di leggere le pagine di quel libro - e di imparare a sfruttare gli strani poteri della Gilda - si impadronì di lui, e fu tanto intenso da non poterlo mascherare in nessun modo. Temeva che Venser lo percepisse, in qualche modo.
   «Recupererò l'artefatto, e le altre Gilde potranno solo restare a godersi il mio spettacolo. Ma c'è qualcos'altro che mi turba, Venser.» gli rivelò a quel punto per cambiare discorso, ripensando a quanto Cedric aveva saputo dirgli. In tutta risposta il vecchio fece apparire davanti a sé una palla densa di fumo, e scrutò in essa come fosse alla ricerca di informazioni.
   Dopo una breve discussione, mentre Taliesin sperava in una risposta meno laconica, Venser farfugliò soltanto qualche parola, come se i suoi poteri non potessero aiutarlo più di tanto.
«Avrai bisogno di aiuto.» constatò egli qualche istante dopo, facendosi improvvisamente serio. Tutti i presenti di passaggio si erano fermati, ed ora osservavano con solenne attenzione quanto di lì a poco sarebbe successo. Taliesin rabbrividì, mentre davanti a lui prendeva forma uno spettacolo ai limiti dell'incredibile.
   Il fumo che vorticava all'interno della sfera di Venser divenne blu notte, mentre egli apriva con un gesto l'aria al suo fianco. Da uno squarcio come i tanti fece capolino un essere mostruoso, metà uomo metà pipistrello. Il suoi occhi fissarono immediatamente quelli del vagabondo, che intuì un'intelligenza incredibilmente fine al di là di essi. La sfera si infranse, e dalla coltre di fumo presero forma due sagome. Una terza apparve dal grosso libro. A quel punto la creatura alzò una mano, che cambiò di colore, e la infilò dentro la sua testa. Dalla nebbia che si propagò apparve un altro uomo.
   I cinque si fecero avanti, e dopo aver dato un'occhiata al vecchio egli comprese che quel drappello era lì per aiutarlo. Passò da un volto all'altro, anche se fece fatica a distinguere bene i loro profili. Distinse bene però la silhouette di una donna dalla bellezza sconvolgente, tanto che preferì non incrociarne lo sguardo.
   «Poss...iamo partire immediatamente, dunque» rispose Taliesin, cercando di mostrarsi autorevole e degno di stima. Si sistemò il mantello sulle spalle e guardò Venser dritto negli occhi.
   «Immediatamente? No, non ancora. Credo che... domani sia il momento propizio.» gli rispose quello, che poi richiuse con forza il libro sotto i suoi occhi. Di nuovo Taliesin venne sopraffatto dal dolore, ma questa volta fu così intenso da farlo cadere a terra prima che il buio lo accogliesse di nuovo.

Riaprì gli occhi qualche istante dopo, rialzandosi in piedi con l'aiuto di qualcuno. Si massaggiò le tempie e, pur riuscendo a scorgere soltanto il selciato, comprese di essere appena fuori dalla biblioteca.
   «Il ritorno è stato fastidioso?» gli domandò una voce dal tono estremamente gentile. Quando Taliesin si girò si accorse che era lo stesso uomo uscito dalle pagine del grosso libro. La sua somiglianza con Venser era sconvolgente, anche se lui non aveva la barba.
   «Estremamente» gli rispose Taliesin, ancora visibilmente intontito.




Condizioni generali
Stato fisico - illeso
Stato mentale - llleso
CS - 6 (2 intelligenza, 1 astuzia, 2 destrezza, 1 determinazione)
Energia - 100/100

Equipaggiamento
Itinerante, artefatto/arma difensiva, mantello di panno rinforzato.
Fabula, arma bianca, acciaio, 48 cm di lama, 15 cm di impugnatura.
Pistola ad avancarica, arma da fuoco piccola, cinque colpi per giocata.
Pugnale celato, arma bianca, acciaio, 15 cm di lama, legata all'avambraccio sx.
Vene di Pietra, artefatto/set di armi da lancio, materiale sconosciuto, venti unità per giocata.
Liuto di Luke Mannersworth, oggetto generico, strumento musicale.
Il Flauto di Cenere, artefatto/oggetto generico, strumento musicale.
Amuleto dell'auspex, oggetto dell'erboristeria, conferisce un potere passivo.
Tomo magico, oggetto dell'erboristeria, conferisce un potere passivo.
Tomo furtivo, oggetto dell'erboristeria, conferisce un potere passivo.
Cristallo del talento, oggetto dell'erboristeria, conferisce un potere passivo.
Diamante, oggetto dell'erboristeria (due unità), conferisce un potere passivo.
Biglia fumogena, oggetto dell'erboristeria, un uso per giocata.
Erba rigenerante, oggetto dell'erboristeria, funziona come una cura dell'equipaggiamento.
Erba rinvigorente, oggetto dell'erboristeria, rigenera il 5% della riserva energetica.
Miscela logorante, oggetto dell'erboristeria, applicabile a un'arma per danneggiare l'Energià nemica del 5% a turno, per due turni di gioco.
Corallo, oggetto dell'erboristeria, conferisce un CS ai riflessi e un CS alla concentrazione per due turni di gioco.
Rubino, oggetto dell'erboristeria, conferisce due CS al vigore e due CS all'agilità per un solo turno di gioco.

Poteri passivi
Audacia, passiva razziale umana, non sviene sotto il 10% delle energie.
Amuleto dell'auspex, auspex passivo basato sull'udito.
Tomo magico, accesso alle pergamene della classe Mago.
Tomo furtivo, accesso alle pergamene della classe Ladro.
Cristallo del talento, accesso al livello successivo del Talento.
Diamanti, 2 CS aggiuntive in Destrezza (due unità).
Illusionista, passiva di primo livello, le illusioni non necessitano di vincoli fisici, come il movimento e la voce, per essere castate.
Illusionista, passiva di secondo livello, possibilità di modulare tono, volume e punto di provenienza della propria voce a piacimento.
Illusionista, passiva di terzo livello, fintanto che un’altra illusione è attiva, come effetto aggiuntivo anche l'aspetto del caster può essere modificato a proprio piacimento, nonostante rimanga una semplice illusione.
Mente Impenetrabile, pergamena comune, classe mentalista. Difesa psionica passiva.
Seconda abilità personale, aura psionica passiva di fascino.
Quinta abilità personale, utilizzo della polvere in combattimento per avantaggiarsi infastidendo gli avversari.
Sesta abilità personale, cure di potenza pari al consumo.
Itinerante, "Nessuno farà domande a chi si nasconde allo sguardo della gente", passiva: qualora lo desiderasse, il mantello potrà celare sotto di esso le aure, proteggendole da auspex passivi.
Vene di Pietra, il possessore di una delle Vene sarà noto in tutte le terre come uno dei cacciatori che più ha abbattuto nemici del Sorya, e che più è sopravvissuto all'Edhel infido, rimanendo anonimo e irriconoscibile sino a che non paleserà la Vena.
Il Flauto di Cenere, razza selezionata: umana; razza scartata: progenie dei demoni. La razza selezionata subirà danni aggiuntivi dalle tecniche dell'artefatto, come specificato in esse; quella scartata sarà immune ai poteri del flauto.

Riassunto
Ecco la descrizione del png leader! A breve posterò quelle del resto del gruppo.

kIisUEM
Caleb

Sinossi: curato, elegante, aitante; gentile, riservato, prodigiosamente abile.


C'è chi dice, tra gli Orham, che Caleb non sia altro che la materializzazione dei ricordi di Venser, di quando era giovane e ambizioso. I due di certo si assomigliano, eccezion fatta per la barba, ma si tratta - forse - di semplici illazioni mosse da invidiosi.
Caleb è uno dei collaboratori più stretti di Venser, tra tutti il meno imperscrutabile e il più disponibile. Passa gran parte del suo tempo a studiare, ma nessuno ha mai messo in dubbio le sue effettive capacità, delle quali ha dato più volte prova. Egli si prodiga principalmente in arti divinatorie e di chiaroveggenza, oltre che nella manipolazione mentale e illusoria in cui gli Orham sono maestri. Compie continue ricerche per affinare le sue abilità e trovare per esse nuove applicazioni, e si adopera talvolta nell'insegnamento delle stesse.
Segretamente cerca di espandere la sua conoscenza anche in altri campi al di là di quello psichico, anche se nessuno lo ha mai visto all'opera.


Edited by Hole. - 8/9/2014, 00:19
 
Top
The Grim
view post Posted on 7/9/2014, 20:23




Si fermo un attimo a riposare, stanchissima, all'ombra dell'Inventorium. Aveva percorso mezza città con le casse pesanti a premere sulle spalle ed ora le sentiva intorpidirsi, provate sopratutto da quell'ultima dannata salita. Le poggiò a terra con delicatezza, squadrando in cagnesco tutti quelli che le erano attorno. Coi Lizz'eth era meglio stare attenti, non si poteva mai sapere se qualcuno di quei folli stesse azzardando qualcosa di pericoloso e non voleva vedere le sue cose andare in pezzi. Aveva fatto arrivare quei pezzi dal Sultanato ed aveva dovuto attendere mesi per averli; ci mancava solo che un coglione mandasse tutto a fanculo. Il cervello bacato dei suoi colleghi non mancava mai di sorprende Jakita per la quantità di idiozie che riusciva a sfornare, e se c'era qualcosa di improbabile loro stavano di certo per architettarla. Si sedette a terra poggiando la schiena contro il legno e prese a distendere le dita, ruotare i polsi, piegare i gomiti e fare tutta una serie di esercizi sempre più complicati con le braccia. Ormai non sentiva più il formicolio dei primi mesi, eppure nonostante gli anni di allenamenti quelle braccia non erano le sue, non le sentiva proprie e probabilmente non l'avrebbe mai fatto. Forse un giorno sarebbe riuscita a inventare arti meccanici economici e più funzionali, questo voleva riuscire a fare; bisognava però mettersi sotto e usare tanto la testa. Jakita in quello non era mai stata brava, ed ora si vedeva: tutto quel che riusciva a fare era la manutenzione ai modelli più vecchi, proprio come le gambe di zio Gambalunga, che passava in quel momento. Il cigolare sinistro del suo andamento era noto fra tutti gli inventori, mentre il ragazzo che l'accompagnava gli era del tutto sconosciuto. Non era per niente male, solo un po' troppo magrolino; finito il lavoro si sarebbe fatta dire dallo zio chi fosse.

S U P R E M A Z I A

~ DAYS OF BETRAYAL ~


Jace sentendo il proprio nome, è un po' contrariato; aveva sperato di passare inosservato. Il signore dei Lizz'eth, dall'appropriatissimo nome di Urzz'eth, aveva vesti molto colorate come la stanza stessa, zeppa di alambicchi e cianfrusaglie. Il volto mutava seguendo maree di pensieri ignoti e forse inconoscibili, coperto da qualche rughe e sopratutto bruciature, segno di esperimenti ancora in corso.

Radici invisibili ha,
più in alto degli alberi sta,
lassù fra le nuvole va
e mai tuttavia crescerà.


Il cartomante stette fermo un attimo a riflettere. Le radici potevano essere di un albero, ma già il secondo verso sconfessava quest'ipotesi. Poteva essere una parola, che non cresce dopo esser pronunciata, ed in un certo senso uscita dalle labbra si perde nell'aria; ma anche qui la seconda frase lo invalidava. Allora gli venne in mente una possibile soluzione, che soddisfaceva ogni condizione ma gli venne in mente che magari la prova riguardava altro. Non la sua capacità di risolvere indovinelli e trovare in fretta soluzioni, ma il modo di agire di un Lizz'eth, forse la creatività o il genio. Jace non sapeva se lo fosse, ma forse poteva imbastire una mezza risposta.

" A giudicare da quel che ho visto, un semplice portone non fermerebbe nessuno dei Lizz'eth, per via della vostra superiorità tecnologica.

Vero è anche che la risposta corretta, Montagna, è abbastanza semplice da non doversi prendere il disturbo di tirar fuori l'attrezzatura.
Mi limiterei perciò a pronunciare la soluzione dell'enigma.
"

« Ah, montagna, certamente. »
Urzz'eth si chinò un attimo ad annotare qualcosa sulla pergamena.
« Io avrei fatto saltare tutto in aria con una bella esplosione, ma anche la tua risposta non è male. Mi piace come pensi, sei dei nostri!
Seguimi adesso, ho qualcosa da farti vedere.
»

L'altra stanza era un'immenso deposito, che però poteva dirsi una vera e propria armeria. Non che al suo interno vi fossero corazze, alabarde, spade o archibugi, né tomi recanti grandiosi incantesimi anzi qualcosa di completamente diverso. Dopo qualche attimo si accorse della castroneria che aveva pensato: quelle non erano armi ma veri e propri capolavori. Delicate e preziose opere di metallo, al momento immobili, ma che già mostravano la scintilla della vita nelle loro forme ben delineate, nella cura di ogni loro dettaglio, nell'estro con cui eran state create. Vi erano costrutti con le ali, altri pinnati, quadrupedi e bipedi, colonie di piccoli servitori metallici ed altri dalle dimensioni impressionanti, alcuni usurati dal tempo o più grezzi nella fattura, altri invece parevano sculture umane tanto erano definiti. Il cartomante non poté che rimanere a bocca aperta, impressionato davanti a tanto dispiegamento di meraviglie; ed era certo che ognuno di loro era funzionante ed operativo, pronto al primo comando.

« Ecco i nostri costrutti, sintesi perfetta di magia e tecnologia. Puoi sceglierne uno, ti sarà molto utile nella tua missione. »

Per un attimo il panico si impossessò di lui.
Sceglierne uno solo?
E come poteva decidersi date le innumerevoli possibilità che gli si paravano dinnanzi? C'erano troppe alternative, troppe situazioni in cui uno era più utile di un altro. Vi erano modelli chiaramente da combattimento, ma sarebbe stato scontato e di cattivo gusto scegliere uno del genere; significava relegare quelle opere a mere armi; disgustoso. Era come valutare un libro dalla sua capacità di rendere stabile un tavolino, roba da campagnoli. Lo stregone non si intendeva per nulla di quella materia, però ne apprezzava il valore intrinseco, la potenza inespressa che giaceva all'interno dentro di loro. Eppure bisogna scegliere, ma davanti quella varietà era impossibile usare la logica, vi era troppa scelta. Si affidò dunque al mero istinto, sperando di non doversene pentire in seguito. L'avrebbe ovviamente fatto, ma quello sarebbe avvenuto in ogni caso.

« Allora prenderò quel costrutto. »

Ed indicò un piccolo omino con una testa lunga ed appuntata, che però era un vero gioiellino.
Giunture ed arti scivolavano alla perfezione, dimostrando una grande rapidità di movimento e promettendo in qualche maniera agilità e rapidità; aveva un aspetto scattante. La sua corazza non era particolarmente spesso, ed inoltre aveva artigli per le mani ma anche sulle gambe, più come fosse adatto anche a compiere difficili scalate che per uccidere. Sperava solo che parlasse e comprendesse la lingua degli uomini, e che i suoi sensori fossero sviluppati proprio come i suoi occhi semisferici sembravano promettere.

myr_zps271bf823

« Ottima scelta, senz'altro. »
Esclamò Urzz'eth
« Vieni, ti faccio conoscere gli uomini che ti accompagneranno in questa impresa.

Alear ha viaggiato a lungo in ogni angolo del mondo alla ricerca di conoscenza; i migliori cartografi del continente non possono competere con l'accuratezza delle sue mappe. Fagli vedere.
»

All'esortazione dell'uomo, Alear spalancò gli occhi e le sue iridi diventarono bianche. Filamenti di magia, flebilmente pulsanti, iniziano a intrecciarsi sulla sua pelle componendo linee e disegni, fino a formare una mappa estesa su schiena, torace, capo. « E' in grado di richiamare alla memoria ogni luogo che ha visitato.
Ti servirà nella ricerca del Talamith.
»
Dopodichè fece un cenno ad un drappello di quattro uomini che si avvicinarono a Jace.
« I migliori maghi, alchimisti e ingegneri della nostra Gilda. »
Il suo sguardo si fece improvvisamente serio, le labbra assunsero una piega dura.
« Quell'artefatto cela un potere immenso.
Non possiamo permetterci che cada nelle mani sbagliate.
»

Lo stregone annuì, e si presentò al gruppo che fece lo stesso.
Avrebbe chiesto loro maggiori informazioni durante il viaggio, in quel momento si limitò a dire

« Sarà meglio sbrigarsi allora,
da quel che ho capito non siamo i soli alla ricerca di questo artefatto, qualsiasi esso sia.
Ah, e vi consiglio di preparare una pesante sacca di monete sonanti; i miei servigi non sono certo economici.
Guidaci, Alear.
»


specchietto

CS:5 | Intelligenza 2 Prontezza 2 Maestria con le armi 1
Critico 26 | Alto 18 | Medio 9 | Basso 5

Stato Fisico: Illeso,
Stato Psicologico: Illeso,
Energia: 100%
Passive in Uso:
° Nessuno svenimento al 10% di energie,
° Auspex passivo delle auree,
° Le tecniche illusorie non bisogno di gesti per essere castate,
° Jace può alterare la sua voce ed è un ventriloquo,
° Jace può modificare il suo aspetto a piacimento se un illusione è attiva,
° L'aura di Jace non è individuabile da Auspex Magici,
° Ogni volta che un avversario usa una tecnica magica guadagna 2 CS in Intuito per quel turno,
° Le tecniche offensive ad area di Jace hanno potenza pari al consumo,
° Una volta che il cartomante avrà accumulato un danno Critico al fisico, guadagnerà 2 CS in Istinto;



Note: Non penso debba aggiungere nulla, le schede dei png sono già in Confronto.
Non vedo l'ora si entri nel vivo dell'azione! : ]


 
Top
72 replies since 18/8/2014, 16:33   3032 views
  Share