| Canute |
| | Lithien, Biblioteca Xahadanaz, Archivio testi antichi. Sei mesi prima. "In una landa lontana da tutti i regni conosciuti, esisteva un popolo di uomini e donne rinomati per la loro saggezza. Erano una stirpe antica, fuggita da luoghi ancor più sperduti alla ricerca di una libertà altrimenti impossibile. Uomini e donne un tempo schiavi, così segnati da quello che avevano subito nella loro lunghissima vita da aborrire qualunque forma di servitù. Allora, giunti nella loro nuova terra, attinsero a conoscenze la cui origine si era perduta e costruirono artefatti capaci di compiere il lavoro di mille uomini. Eppure furono così abili nel costruirli che fornirono loro coscienza e raziocinio, e ben presto il popolo saggio si rese conto che anche quella era schiavitù. Così si riunirono, uomini di carne e uomini di pietra e metallo, e stabilirono insieme che non c'era differenza tra carne e roccia."
Leonhart alzò lo sguardo verso la fonte dello scalpiccio che lo aveva interrotto. Il bibliotecario chinò il capo con fare dispiaciuto e scomparve in una fila di scaffali che circondavano il tavolo a cui si era sistemato il giovane. Aveva impiegato tre settimane per raggiungere la città della conoscenza, appollaiata sull'impervio Erydlyss come un'aquila nel suo nido, e per altre due settimane aveva vagato in essa alla ricerca di informazioni. Alcune biblioteche erano private e inaccessibili, molte richiedevano somme cospicue per l'ammissione, e tutte erano talmente vaste che avrebbe impiegato una vita anche solo per leggere i titoli dei tomi raccolti. Però, per sua grande fortuna, il giovane era incappato in quella biblioteca, rinomata per la collezione di testi in Antico Theraniano risalenti a millenni prima. E, pagando lautamente uno dei bibliotecari, aveva richiesto una Ricerca. Il bibliotecario Elgoog, seguendo l'incanto di Ricerca, aveva trovato solamente un libro legato alla parola "Aleetheia": un libercolo consunto e sdrucito che, almeno all'apparenza, doveva essere una raccolta di favole e leggende. Di origine ignota e risalente almeno a tre millenni prima, sembrava mancare almeno una buona metà delle pagine e quelle poche che rimanevano erano a malapena leggibili. Elgoog gli aveva riferito che si era persa traccia della provenienza del manoscritto, ma che forse si trattava di una raccolta di racconti ancora più antichi appartenenti a qualche regno nella regione dell'Akeran. Non si sapeva molto altro. "Passarono anni, decadi e secoli, e il popolo saggio continuò a vivere pacificamente, lontano e al sicuro dalle mire rapaci dei regni umani. La loro città era piccola, ma al tempo stesso gigantesca: infatti non si trattava di una razza prolifica, ma erano alti più di un uomo normale e sottili e nodosi come faggi; e quindi anche le loro case e i loro palazzi erano enormi e maestosi, una foresta di guglie di pietra e cristallo che si confondeva tra le vette delle montagne."
Montagne, interessante. La sua scarsa conoscenza dell'Akeran però non giocava a favore, avrebbe dovuto cercare una mappa. "I visitatori erano accolti raramente, e sempre trattati con grande rispetto. Talvolta uno aveva la fortuna di assistere alle loro strane adunanze: erano le assemblee del popolo saggio, eventi rarissimi e di grande importanza. E allora accadeva qualcosa di strano: il silenzio avvolgeva la città e tutti gli uomini di carne si sdraiavano nella grande piazza e tutti gli uomini di pietra e metallo vegliavano sui dormienti. Dopo ore, o talvolta giorni, gli uomini di carne si svegliavano proclamavano unanimemente la volontà collettiva. Mai, nemmeno una singola volta, qualcuno dissentì: sembravano migliaia di corpi con una sola mente. E mai vi fu qualcuno che prese la parola sopra gli altri, non vi erano capi, non vi erano reietti: erano pari al punto che talvolta sembravano perdere persino la loro individualità. Avevano la curiosa usanza di non utilizzare nomi di persona; questo, unito ai tratti facciali così diversi rispetto a quelli di un uomo, rendeva difficile distinguerli l'uno dall'altro. In effetti, più di uno dei viaggiatori che furono loro ospiti chiese, forse indelicatamente, come facessero a distinguersi a vicenda, e tutto quello che ricevette come risposta furono occhiate confuse. Non capivano che senso avesse distinguersi: erano pari nel corpo, e con questo intendevano dire socialmente, ma sopratutto nell'anima, come affermavano con insistenza. In quei momenti era evidente che c'era qualcosa di più, qualcosa oltre le semplici apparenze.
Con i secoli il popolo saggio si avviò verso il declino, e non furono abbastanza i nuovi nati che presero il posto dei più antichi. Si prospettava loro un'estinzione appartata dalle occhiate indiscrete del resto di Theras, ma non temevano la morte, anzi, sembravano venerarla: sembravano considerarla l'ultimo e unico strumento parificatore, qualcosa che avrebbe permesso loro di riunirsi finalmente tutti insieme.
Troppo lontani da qualsiasi altra civiltà, lentamente furono dimenticati e anche i pochi viaggiatori smisero di arrivare. Finché un giorno non scomparvero. La città rimase, e così gli uomini di pietra e metallo, ma gli uomini di carne non esistevano più. Il vento e la sabbia ingoiarono anche l'ultima memoria di quel popolo saggio, ma qualcosa rimase. Un obelisco, memento finale, svettava nel deserto, e su di esso incisa una scritta:
Troppo distanti in queste vestigie mortali, torniamo al grembo che accoglie la nostra grande anima fino all'Ultima Adunanza. Cercate la chiave, cercate Aletheeia, e troverete la Cittadella."
CITAZIONE Il contest ha fornito un buono spunto per proseguire con la storia di Leonhart.
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