Velta è morta.
Il Sorya è morto.
Ma, soprattutto, Eitinel è morta.
Nessuno vedrà mai il suo corpo. Nessuno la potrà seppellire. Nessuno la piangerà o pregherà per la sua anima o proverà dolore per lei. Questo è il destino della più Grande fra i Grandi.
Xandra si abbracciò le gambe coperte dalla lunga seta dell' abito e vi poggiò contro la testa. Sospirò con nervosismo. Odiava apparire debole. Non aveva lacrime che le pizzicavano gli occhi o voglia di piangere, solo un gran senso di vuoto simile a un verme che le strisciava impazzito nelle viscere. Attorno a lei, fronde spoglie e contorte di alberi dai rami neri e secchi stormirono col rumore di ossa gettate una sull'altra in una pila disordinata; cespugli spinosi lasciarono cadere bacche che esplosero in cascate di linfa nera e appiccicosa e il muschio, filamentoso e pallido come una muffa, trasudò le proprie spore bluastre dell'odore dolciastro della decomposizione. Aveva scelto quel luogo apposta per passare un po' di tempo a pensare. Lì non c'era altro che morte, morte sotto forma di carcasse di uccelli sventrati dagli orrori che lì vivevano, morte sotto forma del baratro vuoto sopra cui si ergeva la passerella (“anche Maelstrom è morta” registrò distrattamente, ma non senza una punta di malinconia), morte sotto forma delle rovine di quella che era stata un tempo la costruzione più maestosa di Theras. La Torre. Era difficile non pensarci, ed era tutto ciò che voleva in quell'istante, pensare alla fine e a ciò che ne segue. Cadaveri in decomposizione con liquidi rossastri che colavano dal naso e dalla bocca, la pelle divorata, cadente e molle come una gelatina, gli occhi ricoperti di mosche, le mani contorte con le unghie che sporgevano sulla pelle ritiratasi, vermi che fuoriuscivano dal ventre scavando nella carne. Eitinel non avrebbe mai subito quel disfacimento. Esserne in mezzo, a vederlo e senza subirlo (una dea fra i mortali), la faceva stare meglio. “Sei morbosa” le sussurrò qualcosa nell'orecchio. Xandra ridacchiò. C'era qualcosa di male nell'esserlo? Gliel'avrebbero dovuto dire tanto, tanto tempo prima. La morbosità l'aveva tenuta in vita, sostentata, alimentata. Lei era la donna più bella, l'essere più aggraziato, la strega più potente. Aveva capelli e occhi magenta capaci di richiamare la vista del sangue, sia quello freddo che sgorga dalle ferite aperte da una lama, sia quello caldo dell'imene di una vergine. Coloro che la vedevano la ammiravano e la odiavano, disprezzo e amore, ossessione, odio e, ancora una volta, morte, corpi straziati dalle bende di tessuto tagliente nascoste nelle maniche, menti tormentate dagli incantesimi.
Ma il nocciolo della questione rimaneva che Xandra, senza lady, senza titoli, una volta Guardiana, adesso non era più nulla.
Distante, un qualche piede spezzò un ramo secco. Per la donna fu come risvegliarsi da un lungo sonno. Sbadigliò portandosi una mano di fronte alla bocca più per il timore che qualcuna di quelle disgustose spore le entrasse in gola piuttosto che per buona educazione. Un altro scricchiolio, meno distante. Poteva trattarsi di un'ombra? Lanciò uno sguardo nella direzione della torre distrutta, e ovviamente non incontrò altro che un intrico di rami sottili che soffocavano il cielo. Il portale poteva essersi aperto, in effetti, oppure poteva essere un qualche Anelito debole che tornava lì nella disperata ricerca di cibo. Eppure qualcosa (l'intuito? No, qualcosa di più simile alla follia, voci nella testa che bisbigliavano fra di loro e, di tanto in tanto, le facevano sapere distrattamente qualcosa) qualcosa le diceva che si trattava di una persona. Altri passi, altri cadaveri arborei violentati. Sì, erano stivali, o scarpe, o qualcosa del genere. Xandra immaginò che Lanhai avrebbe potuto dirle il sesso dell'individuo e i suoi natali se fosse stato lì a sentire, ma il Cacciatore era sparito assieme a tutto il resto, e sinceramente era l'unico che la donna sperava veramente morto. Ma non si riteneva tanto fortunata.
Si sollevò da terra con l'abito pieno di erba ingiallita e schegge conficcate nella seta. Se le scosse via con un gesto distratto, pensosa. Era venuta lì per rimanere da sola, avrebbe dovuto provare il desiderio di andarsene... ma non era così. Deformazione professionale? Probabile. Dopo così tanto tempo come Guardiana del Sorya era difficile abituarsi che le persone non giungevano più lì per entrare in quel folle, ambizioso clan, attirate dal canto ammaliatore di Velta. Al massimo, pensò con un ghigno, venivano per morire. E non c'era niente di più delizioso al mondo dell'occhiata umida e disperata di chi si rendeva conto di starsene andando da questo mondo.
“Arrivo da te, bambino sperduto” le membra e gli abiti dell'ex-Guardiana si dissolsero in una nebbia perlacea, un bagliore indistinto che si gettò saettando fra gli alberi. Non emetteva rumore, nemmeno il sibilo dell'aria che attraversava. Era un trucco, uno nuovo, spesso non usato. A cosa serviva quando si doveva stare fermi su una passerella a impedire a uno smidollato di passare dall'altra parte? Il lavoro l'aveva impigrita, dannazione. Accanto a lei sfrecciarono i rami secchi, piante dal pallore malsano, larve di mosca che fuoriuscivano con la testolina dal legno molle e scivolavano a terra. Saettò sulle rocce, sul muschio, accanto a felci dalle foglie nere e fiori dalle corolle simili a pelle e i pistilli che lacrimavano sangue. Una volpe dal pelo rado, divorata da zecche grosse come un'unghia e zanzare, sollevò lo sguardo verso di lei con fare monotono, rassegnato, poi si distese a terra per attendere che i parassiti finissero il loro pasto. Un lupo dal muso deforme, con i denti che erano arpioni d'osso fusi con la carne e le labbra, la addocchiò e si gettò al suo inseguimento per un centinaio di metri emettendo guaiti soffocati; presto non ce la fece più e si fermò a fissarla sparire fra gli alberi morenti. E poi eccola, eccola capuccetto rosso. Le dava le spalle, ignara, camminando in mezzo alla foresta maledetta come avrebbe fatto in un qualsiasi altro bosco. Che non si fosse accorta che la morte permeava ogni cosa e che prima o poi avrebbe preso anche lei? Oppure semplicemente non gliene importava? Xandra riprese forma dietro a un albero, ricomponendosi come un mazzo di carte mescolato da abili mani. Si scostò i capelli magenta dagli occhi. La ragazza indossava abiti scuri, attillati, che le lasciavano scoperte le braccia appena muscolose e facevano risaltare le gambe dall'aspetto allenato. Una spada riposava nella guaina appesa alla cintura della vita e ondeggiava a ogni passo della padrona sul sentiero inquinato. Cosa ci faceva una ragazzina da sola nel Matkara? E poi era davvero una donna? Quella convinzione l'aveva presa dal primo istante in cui l'aveva vista, ma poteva essere un errore. Aveva conosciuto così tanti uomini effemminati che non si sarebbe stupita di vedere un volto maschile dietro quella chioma grigio-azzurra. “No, è una donna” si disse con un risolino guardandole i larghi fianchi, forti e definiti ma non per questo senza femminilità.
E ora? Ora cosa avrebbe fatto? Le sarebbe apparsa davanti dicendole “mostrami quanto sarai forte e ti lascerò passare”? Avrebbe fatto leva sulla sua bruttezza? Non l'aveva ancora vista in volto, ma di certo non poteva essere più bella di lei. Da quando era morta Eitinel non esisteva nulla di più bello di lei. No, i vecchi tempi erano... stavano passando. Non ancora terminati, ma morenti, colti dagli ultimi spasmi febbricitanti e da balbettii deliranti.
Allora? L'avrebbe lasciata andare così, per la propria strada, senza dirle nulla, senza raccontarle di come probabilmente in un paio di giorni si sarebbe ritrovata circondata da un esercito di creature affamate... di lei? Dimenticarsene. Lasciarla morire. Tutti gli esseri viventi muoiono, no? Oppure... poteva divertirsi un po'. A sue spese ovviamente.
«Dove vai, ragazzina? Cosa ci fai qui? Il Matkara è un luogo infestato.»
Fuoriuscì dagli alberi a pochi metri da lei, senza avvicinarsi troppo per non rischiare che decidesse di reagire avventatamente con la spada. Non che la preoccupasse più di tanto, ma non voleva far scorrere cattive acque fin da subito.
«Il mio nome è Xandra. Sono Guardiana di queste terre... o, almeno, una volta lo ero.»
Prese un lembo dell'abito, la preziosa tunica colorata di fattura orientale, e si esibì in un frettoloso inchino.
«Con chi ho il piacere di parlare?»
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