La Ystfalda è un territorio unico nel suo genere nelle terre del Dortan, la zona situata più a nord di tutti i territorio del regno prima dell'oscuro e sconosciuto Edhel. Ed in questa zona ciò che nella Roesfalda è solo un mito o una leggenda spesso diviene la semplice realtà, racconti antichi e dimenticati dai più di antiche divinità Pagane e di uomini pronti a sottomettersi ad esse in cambio del potere che queste promettevano ai loro protetti. Una miriade di piccoli culti che col tempo sono andati semplicemente persi, dimenticati dopo la grande cacciata dei covi, qualcosa che i più non ricordano o preferiscono non ricordare. Ma questo appartiene al passato, un passato in cui i Corvi controllavano tutto e tutti e non professavano altro dio all'infuori del loro falso sovrano. Ora non più, la grande Basildera è ormai solo l'ombra di se stessa e i pochi Corvi sopravvissuti sono sparpagliati ai quattro venti professando la loro falsa fede come eremiti senza dimora, avvelenando le menti degli ingenui con le fittizie promesse del loro Sovrano. Ed è in tempi come questi che le antiche divinità e i pochi a loro ancora fedeli cominciano a riapparire nei meandri più oscuri e dimenticati di Theras, ciò che una volta era solo sussurrato ora detto ad alta voce e senza timore. Nelle antiche sale di una delle molte fortezze che ricoprono la catena montuosa dell'Edhel come tanti nidi di vespe un'anziana matriarca chiama a raccolta i suoi molti seguaci in una delle sale grandi che si trova quasi completamente avvolta nel buio, solo due candele ad illuminare la magra figura dell'anziana. Ammantata da una lacera veste nera con un lungo cappuccio, le rughe scavavano la sua pelle con solchi profondi come ferite e i suoi occhi completamente bianchi erano testimoni della sua cecità. Eppure la fragilità del suo corpo serviva solo a mascherare la forza del suo spirito, quella carismatica e mistica presenza che forzava l'intera stanza in un silenzio quasi innaturale mente tutti gli occhi erano puntati su di lei. Sguardi che variavano da quello curioso di bambini e infanti a quelli calmi e rispettosi di chi aveva visto molti inverni, tutti in attesa della parola dell'oracolo. Ed invero l'oracolo aveva finalmente una risposta da dargli, la sua voce cavernosa e vigorosa riecheggiò nell'ala della fortezza non appena essa dischiuse le labbra secche e aspre.
Figlioli miei... per secoli abbiamo atteso questo momento, generazioni sono passate sotto i miei occhi mentre I corvi sopprimevano e ingannavano le genti di Theras con il loro falso dio, celando al mondo la verità sulla nostra dea mentre credevano arrogantemente di averci uccisi tutti. E mentre loro credevano di essere i padroni di queste terre noi abbiamo pazientato, per lunghi e lunghi anni abbiamo resistito al freddo e ai conflitti di questa terra dimenticata, sovrani si sono succeduti e molti campi di battaglia si sono saziati del lordo sangue di molti guerrieri.
Ed infine dopo questa lunga attesa i Corvi sono caduti, la grande Basildera dove i falsi predicatori avevano costruito il loro nido di menzogne e falsità è caduto, spazzato via dalla grande valanga del Nord e dai figli che così a lungo i falsi pastori hanno additato come eretici e barbari. Ed invero dopo secoli di silenzio la dea mi è apparsa in sogno.
A queste parole la folla silente si ruppe in una serie di mormorii e sussurri, dopo così tanto tempo la dea aveva nuovamente degnato i suoi pochi seguaci superstiti di un segno. Anzi ben più di un segno, ella era apparsa in sogno al vecchio oracolo con delle istruzioni precise, una richiesta invero misera ma essenziale, una richiesta a cui certamente i suoi fedeli avrebbero acconsentito con estrema gioia. L'anziana non dovette fare altro che sollevare leggermente una mano per far cessare ogni bisbiglio, la sala ancora una volta sprofondata in quella strana e mistica quiete. Ancora una volta gli occhi ora colmi di speranza erano su di lei, in attesa della sua parola che invero altro non era se non la volontà della dea.
Ed in sogno ella mi ha fatto una richiesta, una sola, qualcosa che noi abbiamo fatto ogni giorno da quando abbiamo abbandonato l'oscurità del ventre materno per lasciarci nel freddo abbraccio della Notturna. Pregare. E adesso io vi chiedo, figlioli miei, di unirvi un'ultima volta in preghiera sotto la candida luce Lunare della nostra signora. Pregate con me così che l'araldo degli antichi testi possa giungere finalmente su questo mondo e portare l'oscura volontà della dea su tutti quelli che hanno deciso di scacciarla e ingannarla.
Ed ora recitate insieme a me l'antica preghiera.
Nella sala il silenzio calò assoluto mentre tutti all'unisono giunsero insieme le loro mani e chinarono lo sguardo verso il terreno con gli occhi chiusi. Per lunghi interminabili minuti fu il silenzio più assoluto ed inquietante, un'attesa quasi interminabile che fu interrotta solo quando i fasci di luce del plenilunio trapassarono l'antica vetrata colorata che fungeva da lucernario nella grande sala di pietra, illuminandone il centro. Ed allora, finalmente, la lenta litania iniziò.
Dolce madre, Dolce madre...
Nonostante nessuno di loro potesse vedere non appena la preghiera ebbe inizio i venti della tormenta fuori dalle mura cominciarono a soffiare con più vigore. Nonostante nessuno di loro potesse vedere a decine di chilometri di distanza da li uno scheletro spoglio di tutto fuorché le sue stesse ossa sembrò come muoversi, un movimento minimo che in fondo poteva essere attribuito ai venti nonostante il ghiaccio avesse saldato perfettamente insieme ogni osso di quel corpo stranamente intatto e ben conservato. Unico testimone di ciò che stava per accadere era la luna ed una misteriosa fanciulla che restava in attesa, come se sino a quel momento non avesse fatto altro che pazientare in vista di quel preciso momento.
...invia a me il tuo figliolo...
Alla fine della seconda strofa lo scheletro si mosse vigorosamente come per risvegliarsi e lentamente fece per sollevarsi dal suolo, i venti soffiavano con maggior ferocia per ogni secondo passato mentre una macabra e magnifica scena si consumava dinanzi agli occhi marmorei della fanciulla. Come per magia i muscoli e i tendini che erano stati consumati dal tempo e dalle intemperie cominciarono a spuntare fuori dalle bianche ossa come un fiore che spunta timidamente dal terreno alle prime piogge primaverili. E come rampicanti questi si avvinghiavano intorno alle ossa mentre il macabro corpo continuava a scuotersi vigorosamente, assalti da un dolore inesplicabile che egli no nera in grado di proferire. Dapprima muscoli e tendini, poi gli organi riapparvero, crescendo di dimensione a vista d'occhio prima che un altro strato di muscoli li coprisse completamente e una pelle pallida come il plenilunio ricoprisse completamente tutto. Ultimi a rigenerarsi furono gli occhi con iridi gialle come una pepita d'oro prima che il corpo venisse consumato da una tenebra immonda e senza nome, cadendo al suolo ammantato da quella stessa tenebre che aveva preso forma in una fine e raffinata armatura di cuoio nero come la notte.
...poiché i peccati degli indegni devono essere battezzati in sangue e paura.
All'ultima strofa un singolo e lancinante urlo abbandono le labbra dell'Araldo, un urlo talmente lancinante e penetrante che persino i furenti venti tempestosi delle montagne non furono in grado di sopprimere mentre questo sembrò riecheggiare in ogni dove nelle grandi catene Montuose dell'Edhel. La figura si trovava li, in ginocchio con le mani che avevano scavato un profondo solco nella candida neve mentre per un lungo istante la figura ammantata rimase immobile nella grande distesa bianca. Ed egli afferro la neve con la sua mano destra, fissandola e riconoscendola, ma non sapeva perché. Ed egli innalzò il suo busto volgendo lo sguardo alle grandi montagne, fissandole e riconoscendole, ma non sapeva perché. L'araldo portò le sue mani alla testa mentre una miriade di ricordi facevano per affollargli la mente senza che egli ne capisse il motivo e per poco la pazzia non ebbe ragione di lui, questo finché egli non alzò lo sguardo al cielo e la vide. La Luna, splendente anche nel mezzo della tormente che andava pian piano placandosi mentre il silenzio riprendeva lentamente possesso della montagna quasi una volontà superiore gilè lo comandasse. Per lunghi minuti Noctis fissò estasiato la pallida bellezza del plenilunio prima di alzarsi dal terreno innevato, chinando il capo verso la splendida luna mentre tre parola abbandonarono il suo nero cappuccio.
Grazie, mia signora.
Finalmente consapevole di se Noctis fece ciò che il suo istinti suggerì e si guardò intorno, dinanzi a lui solo una grande distesa innevata con pochi alberi spogli ed una grande pineta in lontananza. Dietro di se torreggiava imponente come sempre la grande catena montuosa che separava la Ystfalda dalle mistiche terre dell'Edhel, una barriera naturale che aveva tagliato il continente da tempo immemore. Ed infine la nota, seduta su una roccia come se nulla fosse, con indosso una semplice camicia da notte e nulla più. Eppure il freddo gelido delle montagne non sembrava toccarla minimamente, la sua chioma bionda come l'alba fluttuava leggiadramente sospinta dal freddo vento del nord. Ed i suoi occhi erano splendidi quasi quanto quelli della dea, non bianchi come la luna ma neri come la notte più profonda. L'Araldo non dice nulla, semplicemente cammina verso la figura con passi lenti ma decisi fino ad ergersi dinanzi alla stessa con l'oscurità del suo cappuccio che scrutava quella dei suoi occhi. E poi fu il silenzio, ancora una volta.