Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Fetiales; Kahraman

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view post Posted on 17/9/2014, 16:32
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« Padre, ti prego, ripetimi perché lo facciamo. »

Il carretto strisciava lentamente in avanti, muovendosi a balzelloni lungo la superficie butterata del Sürgün-zemat. Era un veicolo brutto e sbozzato tanto quanto la pietraia nera che tentava di attraversare, trainato da un'animale simile a una gigantesca lucertola tarchiata. Era composto da una forma quadrata priva di alcuna copertura, tenuta insieme da un legno scricchiolante che implorava di essere riparato e ridipinto, e da quattro ruote dai raggi irregolari, dove ancora se ne potevano contare.
L'animale che ne trascinava il peso era una Kertenkele: una specie di grosso varano originario delle giungle Plaakar, abbastanza mansueto da poter essere addomesticato e utilizzato per alcuni lavori da soma. La sua pelle era ricoperta da ruvide scaglie scure e le sue dimensioni superavano di poco quelle di un muscoloso cavallo da tiro.
Nel rimorchio erano abbandonati oggetti di tutti i tipi: da vestiti e accessori colorati a utensili dalle forme più strane. E alla guida di quella patetica discarica ambulante, stavano due nani.

« "Perché qualcuno lo deve fare". Questo volevi sentirmi dire? »

Zeheb Karadag e suo figlio Hasad erano dei "recuperatori". Il loro lavoro consisteva nell'addentrarsi nei territori più pericolosi dell'Akeran e riesumare ciò che era stato sfortunatamente perso dai viaggiatori più disattenti, riportandolo al sultanato prima che venisse fagocitato dalla natura selvaggia. Spesso venivano ingaggiati da ansiosi mercanti preoccupati del destino di alcune carovane scomparse, ma alcune volte capitava che fosse il Sultano stesso a mandarli a chiamare, perché recuperassero qualcosa che era andato perduto: manufatti dimenticati, spoglie di soldati caduti e simili reperti.
Nessuno dei due aveva mai desiderato dedicarsi a quel mestiere, ma le strade di Qashra si erano rivelate infami con la loro famiglia. Non abbastanza da lasciarli disoccupati, ma a sufficienza da costringerli a guadagnarsi da vivere facendo un lavoro che per molti nani era considerato sporco e pericoloso. Né Zeheb, né Hasad erano nati con il senso per gli affari, dunque avevano dovuto accontentarsi; dalla loro stirpe avevano ereditato solamente delle lunghe barbe grigie, un naso particolarmente pronunciato e una fronte stempiata.
Spesso, però, l'età ribelle di Hasad gli impediva di arrendersi a questo fato.

« Odio questo lavoro. » diceva spesso con tono lacrimoso, schiacciandosi la faccia tra le dita delle mani « E odio questo posto! Guarda qua! Nient'altro che roccia nera per miglia e miglia, a perdita d'occhio. Ma quali demoni?! Ma quali pericoli?! La verità è che qui non succede mai nulla! »
Il padre lasciava che quegli sfoghi scivolassero via dalle sue orecchie senza incidervi nulla. Dovevano lavorare per sopravvivere, e personalmente si considerava grato alla quiete che li accoglieva fortuitamente tutte le volte che varcavano la soglia del Sürgün-zemat.
« Per la barba di Jahrir! Smettila di invocare a gran voce certe disgrazie, o gli antenati ce le manderanno davvero. »
L'altro sbuffava.
« Non mi auguro certo che ci colga il rimpianto degli schiavi, padre. » continuava con arroganza, snocciolando le loro tradizioni « Ma almeno che accada qualcosa! Sono stufo di aggirarmi fra le rocce alla ricerca di vestiti strappati e frammenti di soprammobili. Io ho ben altre aspirazioni! Credi che sia felice quando, andando in giro per le strade di Qashra, le ragazze mi deridono come il "figlio del recuperatore"? »
« Eppure è ciò che sei. Dovresti essere orgoglioso del lavoro tuo e di tuo padre, invece di lamentarti sempre. Continuare a lagnarsi non migliorerà certo le cose; anzi... » e deglutì sonoramente, sbirciando attorno da sotto le sopracciglia cespugliose « ...potresti persino attirare qualche fantasma. Quindi piantala. Ne riparleremo a casa. »
« È solo che vorrei avere le stesse possibilità che hanno i figli dei mercanti. » riprese Hasad, seppure con tono più basso « Loro sì che hanno tutto ciò che desiderano... oro, vestiti, gioielli, cibo... e donne: ogni tanto li vedo che se ne vanno in giro con delle umane alte il doppio di loro, capelli e labbra rosse come il fuoco e profondi occhi scuri. Ah! Come vorrei una donna... »
Zeheb sorrise. Quando lui era giovane aveva desiderato le stesse cose, e col tempo le sue speranze avevano finito con ridimensionarsi. Si era accontentato di ciò che la vita aveva potuto dargli, e la libertà dopo anni di schiavitù gli era sembrata un premio più che sufficiente. Forse un giorno anche suo figlio Hasad sarebbe stato altrettanto fortunato.

Stava per dirgli che forzare le cose non avrebbe portato a nulla, quando lo sentì spingergli la spalla con forza, indicando alla sua destra.
« Guarda! » stava urlando « Guarda! »
Zeheb aguzzò la vista e vide ciò che il figlio stava cercando di indicargli. A qualche decina di metri di distanza, sull'orlo di un grande precipizio, stava il corpo disteso di una donna dai lunghi capelli rossi; era vestita di un abito dello stesso colore con le finiture d'oro, e attorno a lei s'era formato un capannello di creature umanoidi bianche e deboli: feccia demoniaca che era salita in superficie dalle profondità di Baathos.
La donna sembrava priva di sensi ma, nonostante questo, i demoni rachitici e senza occhi sembravano titubanti ad avvicinarglisi e le giravano intorno incapaci di prendere una decisione. Da quella distanza, sembrava illesa.
« Dobbiamo aiutarla! »
Hasad non attese una risposta e si gettò a terra dal carretto in movimento, afferrando un grosso badile che lui e il padre utilizzavano per recuperare gli oggetti. Zeheb fermò immediatamente il veicolo, mentre il figlio caraccolava urlando e agitando la pala in direzione della figura abbandonata; per un attimo si preoccupò per lui, ma poi vide che i demoni sembravano spaventati e intimoriti, e che l'apparizione di suo figlio fu sufficiente ad allontanarli.
Fermò la Kertenkele e scese dal carro, carezzando la lucertola perché capisse di attendere il suo ritorno, poi si diresse verso Hasad. Il nano era chinato sulla donna e aveva scacciato prontamente tutti i mostri e gli insetti che l'avevano attorniata, seppure esitanti.

Quando tutto sembrava essersi calmato, Hasad emise un gemito.
« NO! »
Suo padre iniziò a correre, muovendo le gambe in ampi movimenti circolari a causa del dolore alle anche. Quando il figlio terminò di urlare, però, si maledisse per aver generato una prole tanto stupida.
« È un uomo! »

XJAuGMN

È un morso d'istinto animale, così primordiale,

feroce del sangue sgorgato, che va consumato,
che palpita sotto la ruvida pelle del mondo;
mistero che spinge al richiamo del blu più profondo

Mi alzo di prima mattina, c'è ancora la luna;
il dissolversi del momento mi fa contento.
da sempre un remoto lamento mi tiene per mano.


ZcuKFyj



« Sei sicuro di poterti muovere, ora? »
« Sì Zeheb. Sono infinitamente debitore sia a te che alla tua famiglia. »
« Non dovresti alzarti così presto, Alexei. Ancora non siamo riusciti a comprendere la ragione della tua debolezza. »
« Amico mio, credimi se ti dico che mi fermerei ben volentieri a riposare ancora qualche giorno. Non è per un malriposto senso di ospitalità che rifiuto il tuo invito, ma solamente per l'urgenza della mia missione. »
« Beh, prendi qualcosa con te almeno! Un po' di ekmek per il viaggio, o una borraccia per conservare il tè. »
« Se prometti che poi mi lascerai andare, allora accetto ben volentieri. »
Venatrix osservò il nano mentre si affaccendava a raccogliere un fagotto di provviste da lasciargli prima della partenza. Poco distante, Hasad gli lanciò un'occhiata furente.
Non aveva ancora compreso per quale ragione il figlio dei Karadag ce l'avesse così tanto con lui, ma non aveva osato chiederlo.
« La buona ospitalità dei nani è cosa davvero meravigliosa. »

Era passata una settimana da che lo avevano raccolto privo di sensi nel Sürgün-zemat. I due nani l'avevano portato immediatamente a Qashra e si erano dati da fare per aiutarlo a riprendersi, pur senza riuscire a individuare la ragione della sua condizione. Non che il drago non ne fosse a conoscenza; solo, si guardava bene dall'allarmare inutilmente i suoi due salvatori.
L'incontro con l'Ahriman l'aveva indebolito.
Non avrebbe saputo spiegare come, né perché, ma il demone era riuscito a insinuarsi sotto la sua pelle come una malattia, privandolo dei suoi poteri e lasciandolo in balia delle più abiette creature di Baathos. Prima di perdere i sensi era riuscito a malapena a erigere una blanda difesa contro quei demoni, in modo che non potessero toccare il suo corpo, ma se i due nani non l'avessero trovato probabilmente sarebbe morto lì, nel Sürgün-zemat.
Le forze non gli erano tornate nemmeno dopo una settimana di riposo, facendolo dubitare che sarebbe più tornato come prima. Cosa gli aveva fatto l'Ahriman? Come era riuscito a ridurlo in quello stato, senza nemmeno toccarlo?
A dirla tutta non era nemmeno convinto di averlo visto. Aveva sentito la voce del signore dei demoni nella sua mente, ma poteva dire di averlo davvero incontrato?
Non che tutto questo avesse importanza. Dopo una lunga settimana di convalescenza, riusciva solamente a pensare che una minaccia di portata catastrofica si annidava sotto l'Akeran, pronta a emergere in superficie in qualsiasi momento. Un nemico al quale nemmeno lui era riuscito ad avvicinarsi, e del quale non sapeva assolutamente nulla. Quanto tempo aveva passato l'Ahriman ad attendere sottoterra? Possibile che né lui né i suoi compagni draghi si fossero accorti di quella presenza, sino a quel momento.

Era giunto all'inevitabile conclusione che non sarebbe mai riuscito a sconfiggere l'Ahriman da solo. Se con un solo scambio di battute era riuscito a indebolirlo fino a portarlo quasi alla morte, cosa sarebbe successo se l'avrebbe confrontato direttamente?
I popoli dell'Akeran andavano avvisati, prima che fosse troppo tardi. Dovevano sapere che cosa stava accadendo.
Per questo aveva deciso di chiedere udienza direttamente al Sultano. Si sarebbe recato al consiglio e li avrebbe informati della minaccia che si nascondeva nel Sürgün-zemat, in modo che il popolo dei nani potesse iniziare ad armarsi contro di essa. Dopodiché sarebbe partito alla ricerca di un modo per debellarla una volta per tutte.

Zeheb riapparve con il fagotto, mettendoglielo fra le mani e sorridendogli apertamente.
« Sai, è raro incontrare degli esseri umani così gentili. » gli disse « Di solito siete sempre frenetici, come se qualcuno vi stesse inseguendo. È bello sapere che alcuni di voi sanno essere beneducati. Mi ha fatto piacere conoscerti, Alexei. »
« Per me è lo stesso. » disse il drago con condiscendenza, senza sottolineare la natura della sua razza « Farò in modo che tutti sappiano della gentilezza dei Karadag, ovunque io vada. »
Il nano gli diede una pacca sul torace che lo colse impreparato, ridendo sguaiatamente. Venatrix si unì a quella manifestazione d'affetto con un mezzo sorriso, prima di dirigersi verso la porta di casa.
« Zeheb, fammi una promessa. » disse dopo qualche secondo di silenzio « Giurami che ti terrai lontano dal Sürgün-zemat, d'ora in avanti. »
« Io... perché? »
« È solo che... le cose potrebbero peggiorare. »
L'altro rispose con un'occhiata interrogativa, e il drago agitò le mani in segno di diniego. Non avrebbe risposto ad altre domande.
« ...Va bene, ci starò attento. »
« Ottimo. »

Senza attardarsi oltre, Venatrix lasciò la casa dei Karadag, a cui doveva la vita. Il palazzo del Sultano non era distante, e presto avrebbe dovuto attendere alle sue responsabilità.
Mentre camminava per le strade di Qashra, sentiva il peso dell'intero Akeran gravargli sulle spalle, e la risata dell'Ahriman risuonargli nelle orecchie; l'incontro con il signore dei demoni aveva scavato una cicatrice profonda all'interno del suo animo.
Forse non sarebbe mai più tornato potente come prima, ma questo non gli avrebbe impedito di fare di tutto per difendere Theras.

 
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view post Posted on 22/9/2014, 19:58

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Le tenebre erano dense come pece.
L'aria era affollata di versi rabbiosi, ululati e grida belluine, ringhi e latrati selvaggi che si rincorrevano e ammassavano in una cacofonia delirante.
Shaelan era spaventata: non vedeva a un palmo dal naso, non sapeva dove si trovasse nè quale fosse esattamente la minaccia attorno a lei, anche se nella sua mente già si prefigurava un'immagine fin troppo vivida. Le uniche certezze erano l'ascia che stringeva in pugno e la consapevolezza di doversi aprire la via per la salvezza combattendo, o perire nell'intento.
Inspirò profondamente, preparandosi a caricare alla cieca; mosse il primo passo ma non andò oltre: la salda presa di una mano poggiata sulla spalla la trattenne, facendola sobbalzare. Si voltò e un sorriso caloroso affiorò sulle sue labbra quando riconobbe Jahrir, il suo amato compagno, salvo svanire alla vista di ciò che li circondava. Un'orda di creature orripilanti incombeva su di loro, soli al centro di un anello che si serrava inesorabile; c'erano bestie quadrupedi, larve striscianti e aborti volanti dalle ali membranose che culminavano in artigli d'ossidiana. Alcune creature sfoggiavano lunghe zanne ricurve insozzate di sangue e grinfie protese pronte a ghermirli; certe avevano forme innaturali, bozzi e protrusioni ossee; altre ancora non erano più di mere ombre. Ringhiavano e sbavavano all'indirizzo dei due nani, ora protendendosi in avanti, ora ritraendosi dove l'oscurità era più fitta, non osando varcare la soglia del cerchio di luce. La luce! Shaelan se ne accorse solo in quel momento: un bagliore intenso proveniva da Jahrir, quasi fosse emanato dal suo stesso corpo, eppure l'alone dorato non riusciva che a spingersi fino a pochi passi di distanza prima di essere fagocitato dalle tenebre. La pozza luminosa sembrava spaventare i demoni, ma non poteva tenerli lontano ancora a lungo.
Alla fine una belva spiccò un balzo, il dorso arcuato solcato da una serie di placche dai bordi taglienti. Jahrir sollevò il martello e gli fracassò il cranio, ma a quel punto le altre creature ruppero gli indugi e si riversarono su di loro, come se quello fosse il segnale che stavano attendendo. In breve Shaelan si ritrovò strattonata, morsa e aggredita da ogni lato; l'ascia mulinava aprendo squarci nella carne e mozzando arti, ma per ogni nemico abbattuto ce n'erano dieci a sostituirlo. Viscere calde, fiele nera e sangue si mischiavano su di lei, rendevano scivolosa l'impugnatura e le impedivano la vista.
Gridò quando Jahrir fu sopraffatto e venne sommerso dalla nera fiumana, gridò quando un ampio taglio le si aprì nel fianco, e poi un altro e un altro ancora.
Gridò quando fauci fameliche le si chiusero sulla gola e lei si risvegliò, sudata e ansante.

Volse lo sguardo accanto a sè, ma il giaciglio era vuoto.
Sospirò, e riflettè con amarezza su quello che le storie cantate dai bardi dicono, ma soprattutto su ciò che omettono. Tutti narravano le epiche gesta di Jahrir e l'eroica battaglia di Qashra, culminata con la fondazione del Sultanato; molti meno erano coloro che ricordavano il sacrificio di Enkidu, suo maestro - che aveva di fatto infiammato l'animo del titubante Jahrir e dato il via alla rivolta - e quasi nessuno parlava di lei, che pure era stata sempre al suo fianco. Ma più di ogni altra cosa, ciò che aedi e menestrelli evitavano di raccontare era l'incubo dell'abisso, il respiro della morte e, peggio ancora, gli incubi. Nonostante gli anni trascorsi, nonostante le vittorie conseguite e il tentativo di dimenticare, quelle visioni ancora la tormentavano.
Eppure appartenevano a un tempo passato, si disse Shaelan, tanto i demoni quanto l'immagine del suo battagliero compagno.

Jahrir, il guerriero, l'eroe, era morto.
Doveva farsene una ragione.


___


F E T I A L E S

« kahraman »


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Le cupole di Qashra si stagliavano nel cielo terso del mattino; nell'aria si respirava la brezza salmastra dell'oceano e il vento caldo del deserto.
La capitale del Sultanato sbocciava rigogliosa come un fiore, pietra preziosa incastonata nella dura roccia dell'Akeran. Agli occhi del viaggiatore che giungeva da lontano si sarebbero profilate da prima le alte guglie dei palazzi e le foreste di pinnacoli di marmo e granito, poi le volte arcuate, i campanili e i minareti slanciati, quindi la solida cinta muraria e infine, una volta dentro, l'impetuosa vitalità di una città in fermento.
Shaelan camminava per le strade affollate di Qashra, sfilando fra le bancherelle del Grande Bazar e in mezzo alla gente. Ricorreva l'anniversario della nascita del Sultanato e in tutta la capitale si tenevano feste e celebrazioni; a ogni piazza si poteva assistere agli spettacoli dei saltimbanchi e le esibizioni dei mangiafuoco; l'afflusso di mercanti era ancora più intenso del solito e i mercati fiorivano in ogni via. Le urla dei commercianti che incensavano le proprie merci si mescolavano a quelle di gioia dei bambini e ai sermoni solenni dei sacerdoti. I venditori esponevano banchi carichi di spezie esotiche, pesce salato dal Canale di Qatja-Yakin, gioielli di ogni foggia - molti dei quali, lei sospettava, non erano altro che paccottiglia - e utensili di ogni tipo.
Come se non bastasse, si era sparsa la voce di un forestiero che aveva chiesto udienza al Consiglio di Qashra per alcune questioni della massima urgenza. Era proprio al Palazzo del Governo che Shaelan era indirizzata: la curiosità di conoscere chi fosse quello straniero si era unita alla leggera trepidazione di apprendere le nuove che egli portava, indirizzando così i suoi passi verso il maestoso complesso di edifici che sorgeva su un rilievo al centro della capitale.

« Jahrir, Jahrir, aiutaci! »

A sentire quel richiamo la nana sobbalzò, ma subito dopo realizzò che si trattava solo di uno spettacolino imbastito su un palco lì vicino. Una compagnia di guitti stava manovrando una manciata di burattini, fra cui uno con le fattezze di Jahrir. Gli altri erano un gruppo di nani in difficoltà accerchiati da bestie sconosciute. Alla vista della rappresentazione dei demoni un brivido freddo scosse Shaelan per un attimo, rammentandole le vere creature che aveva dovuto combattere tempo prima. Jahrir si scagliò contro le marionette nemiche, sgominandole in breve tempo. Un coro di voci si levò da dietro le quinte, inneggiando al condottiero: Jahrir Kahraman, Jahir l'eroe!

Scosse la testa e proseguì oltre: ormai la sua meta era in vista.


-----


« Vi predo di credermi, quando vi dico che sul reame dei nani pende un grave pericolo. »

Shaelan osservava lo straniero dalla sua postazione privilegiata: in quanto compagna del martire ed eroe del popolo nanico le erano accordati certi benefici, fra i quali poter presenziare alle sedute del Consiglio. Certo, non poteva sedere sugli scranni marmorei dei Dodici Membri, ma aveva l'accesso alla loggia rialzata che sovrastava il salone circolare dedicato alle udienze, un'ampia balconata riservata ai membri tenuti in maggiore considerazione nella capitale. Il giovane - se giovane si poteva davvero chiamare, perchè nonostante il suo aspetto fisico era permeato da un'aura di solenne antichità che sapeva del respiro dei secoli - si era presentato come Alexei. Aveva una figura asciutta e slanciata, tratti delicati e gli occhi, come i capelli, di vivida fiamma. Il portamento e l'espressione benevola ma ferma ispiravano rispetto e autorevolezza, sentimenti che tuttavia erano messi a dura prova dalle cattive quanto incredibili notizie che portava e che aveva già esposto nel corso dell'ambasciata: una nuova minaccia proveniente dalle viscere della terra, un'ombra scura che prometteva di obliare per sempre lo splendore del Sultanato.

« Ti siamo molto grati per l'avvertimento, » ringraziò il portavoce del Consiglio, un vecchio nano dalla folta barba bianca, « ma il nostro popolo ha già sconfitto i propri nemici. Come puoi ben vedere proprio in questi giorni sono in atto i festeggiamenti a ricordo della vittoriosa epopea di Jahrir Gakhoor, padre della nostra patria. »

Shaelan intravide Alexei scuotere lievemente la testa, come un padre davanti all'ingenuità dei propri figlioli, che tuttavia sa di dover aiutare.

« Errate quando vi ritenete al sicuro: un male antico e dimenticato si cela al di sotto della superficie di Theras, di gran lunga più letale di quello che avete già sconfitto, e sta per emergere dalle profondità del Sürgün-zemat » Nella pausa che seguì volse gli occhi ai nani che sedevano intorno a lui, uno alla volta; nessuno riuscì a sostenerne lo sguardo. « Ho avuto modo di osservare da vicino l'abisso di Baathos, e vi ho visto un grande pericolo, adagiatovi sul fondo come una serpe in procinto di azzannare la propria preda. »

Di nuovo, come già nel corso dell'udienza, nella sala si levò una cacofonia di mormorii indistinti, commenti contrariati e fitti parlottii. Il portavoce faticò non poco per ripristinare il silenzio, quindi riprese:

« Sei in grado di fornire qualche prova di ciò che dici? »

« Non ho prove da mostrarvi, ma ripongo nella vostra ragionevolezza tutta la mia fiducia. Se non agiamo subito, dopo potrebbe essere troppo tardi. »

« In tal caso, » sentenziò l'anziano, « temo di non poter accogliere la tua richiesta. »

Shaelan avvertì una stretta al cuore nell'udire le ultime parole del Consiglio. Da un lato una parte di lei voleva credere ardentemente, come gli altri nani, nell'infondatezza di quel racconto. Non erano altro che voci riportate da un folle: dovevano esserlo. Avevano già combattuto i propri nemici e ne erano usciti vittoriosi, a un costo altissimo. Dall'altro però sentiva, in qualche modo, che le parole dello straniero erano veritiere, che bisognava muoversi in fretta per evitare una nuova catastrofe. In preda a mille dubbi, indirizzò l'attenzione verso Alexei e per un attimo i loro sguardi si incrociarono. Il giovane sembrò sul punto di aggiungere qualcosa, ma si trattenne; nei suoi occhi la nana lesse un sentimento di grande malinconia, screziata da una profonda tristezza; poi lui volse le spalle al Consiglio e uscì dalla sala.

-

I suoi passi erano leggeri, a malapeni udibili lungo il corridoio lastricato.
Shaelan non aveva impiegato che pochi attimi per decidersi; il resto - tagliare attraverso le gallerie del Palazzo e intercettarlo in tempo prima dell'uscita - era stato facile.
La nana si sporse da un'arcata laterale, afferrando un lembo del mantello cremisi di Alexei, che si voltò incuriosito.

« Il mio nome è Shaelan. »

« Eri al Consiglio, » si limitò a rilevare lui, calmo. Lei annuì.

« Forse so chi ti presterà ascolto. Seguimi. »

 
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view post Posted on 27/9/2014, 10:09
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È facile spiegare perché Venatrix decise di seguire Shaelan, nonostante il consiglio lo avesse appena rifiutato e la sua improvvisa debolezza lo rendesse una facile preda. Il nome della nana non gli era nuovo, ma non fu soltanto quella vaga impressione a spingerlo a correre quel rischio; negli occhi di lei aveva colto il seme di una determinazione rara e tenace, che gli fece credere nelle sue parole. Shaelan l'avrebbe condotto da qualcuno capace di comprendere il messaggio di cui si era fatto ambasciatore, e lui ne diventò in fretta sicuro tanto quanto lei. Erano bastate quelle brevi parole a convincerlo; altrimenti perché prendersi il disturbo di fermarlo? Perché ingannarlo? Non ne vedeva ragione. L'unico sospetto che ravvisò la sua mente si celava nell'intenzione della nana di nascondere il loro futuro colloquio agli occhi del consiglio. La persona che intendeva fargli incontrare non era forse benvoluta dai Dodici Membri?
Si mise dietro di lei e ne seguì i passi attraverso le festose vie di Qashra, che stava vivendo con allegria tumultuosa l'anniversario della "Riunificazione". Dietro a ogni angolo si inseguivano bimbi festosi che simulavano con la propria voce i rumori della guerra, correndo e sputacchiando, prendendo parte a un gioco macabro che i genitori avrebbero senza dubbio impedito in qualsiasi altra occasione, ma non quel giorno. Usavano dei pezzi di legno appena lavorati per fingere di trafiggersi a vicenda, mimando con tragica comicità la morte e il trionfo dei soldati che avevano partecipato a quella battaglia.
Venatrix deglutì e accelerò il passo, poiché nei loro sguardi eccitati lampeggiava ancora il ricordo dell'Ahriman e delle violenze che aveva compiuto sulla sua mente. Che ne fosse rimasto ossessionato? Che non fosse una minaccia così terribile come era stato spinto a credere? C'era qualcosa in tutta quella faccenda che ancora gli sfuggiva, pur senza spingerlo come di consueto a tenersi in disparte fino al momento opportuno. Si sentiva una marionetta di cui qualcuno stava tirando i fili, mossa per danzare e intrattenere le orde di demoni che si accalcavano alle porte di Baathos. Eppure l'urgenza di intervenire era reale... giusto?
Raramente era stato colto dal dubbio in maniera così ossessionante come in quel momento, ma continuava a ripetersi che se non si sentiva sicuro era perché era stato sottratto di gran parte dei suoi poteri. Eppure nel suo tormento c'era un'ombra più vaga e incerta che non riusciva a definire, nonostante l'Ahriman gliel'avesse già tradotta:
Lui non era che un cucciolo. Forse non in rapporto con Shaelan e i Dodici Membri, ma di certo se messo a confronto con il signore dei demoni. Non sapeva nulla del suo nemico, ed era questo a ossessionarlo.

Seguì la nana per una buona mezz'ora, lasciandosi alle spalle le strade affollate del centro di Qashra e addentrandosi nelle zone più periferiche della città. Qui iniziò a intravedere mendicanti e ladruncoli che li giudicavano impietosamente dagli angoli delle strade, chiedendo loro al tempo stesso di essere e non essere compatiti per le loro condizioni. La lotta che conducevano ogni giorno con loro stessi per soffocare l'orgoglio e accettare l'elemosina di uno sconosciuto doveva essere ben peggiore dello smarrimento infantile che provava in quel momento, dunque la loro vista fu sufficiente a riscuoterlo dai suoi dubbi. Mise una mano in tasca e ne estrasse un piccolo sacco di tela pieno di tintinnanti monete d'oro, che svuotò per strada. Subito i mendicanti iniziarono ad accalcarsi attorno a quella cascata di denaro, cercando di raccoglierne il più possibile e ringraziandolo, alcuni persino in lacrime; il drago d'altra parte si limitò a rispondere loro con un sorriso appena accennato, alzandosi poi il bavero fin sopra le labbra e riprendendo a seguire pedissequamente Shaelan.
Lasciarono anche quel quartiere e infine uscirono dalla città. Le ombre dei pinnacoli di Qashra li abbracciarono ancora per qualche passo, prima di addormentarsi con il sole di mezzogiorno. La nana gli fece cenno che non mancava molto alla loro destinazione, sebbene Venatrix non avesse alcuna fretta: la possibilità di essere ascoltato era tutto per cui era venuto nel Sultanato, e avrebbe atteso pazientemente fino a che non gli fosse stata concessa.

Quando arrivarono, erano già le prime ore del pomeriggio. La loro destinazione si rivelò essere una casupola piccola e quadrata, di pietra bianca lavorata in modo grezzo e senza vetri alle finestre; solo una robusta porta di legno chiaro la divideva dall'esterno, dove era stato coltivato un piccolo orticello e alcuni teli rossi erano stati eretti per riparare le piante dal vento. Gli ortaggi bastavano a sufficienza per il sostentamento di due persone, e il drago intuì che fossero la principale fonte di approvvigionamento degli abitanti: l'edificio era situato abbastanza lontano da Qashra da suggerirgli che i proprietari non volessero avere niente a che fare con la città, e tuttavia non abbastanza da impedire loro di raggiungere la capitale in caso di necessità. Era inoltre riparata da due pareti di roccia che le si aprivano intorno, come chiudendola sul fondo di un ampio canyon: senza dubbio sarebbe stato quasi impossibile notare la casetta dalla distanza, nonostante le cupole le torri e i ponti di Qashra fossero visibilissimi dalla porta d'entrata della baracca.

Il suo appuntamento lo attendeva sulla soglia di casa, con un'espressione preoccupata. Shaelan glielo presentò subito, benché non ce ne fosse alcun bisogno: gli bastò un'occhiata e un minimo di intuizione matematica per capire chi fosse il nano che "gli avrebbe prestato ascolto".
I due parlarono a lungo, dibattendo della questione che aveva spinto il drago sino alle porte di Qashra. Il nano si dimostrò un acuto ascoltatore, ribattendo spesso alle sue preoccupazioni con inquietanti rivelazioni, e figurandosi sempre le conseguenze peggiori dell'inazione del consiglio. A volte parve a Venatrix di leggere fra le sue parole una terribile agitazione: lo stesso tipo di eccitazione che aveva visto negli occhi dei bambini che giocavano per le strade della capitale. Come se il nano non avesse fatto altro che attendere le notizie che lui portava; come se la fiamma di una candela si fosse riaccesa nel suo animo davanti alla prospettiva di scendere in battaglia, nonostante prima fosse spenta da tempo.
Shaelan osservava tutto ciò con un misto di amorevole apprensione e gioiosa fiducia. Era difficile comprendere che cosa provasse in quel momento: se come moglie si sentiva orgogliosa di aver riportato la vita nell'anima del marito, o se come donna fosse impaurita dalla possibilità di perderlo ancora una volta. Probabilmente ella era combattuta tra questi due sentimenti, ma la sua natura di amante l'aveva costretta a cogliere quell'opportunità, ben conscia di quanto avrebbe lacerato il suo animo non farlo. Le notizie del drago avrebbero infranto la pace che la loro coppia era riuscita a costruirsi dopo tanto tempo, ma forse non erano mai stati destinati alla pace; né lei -
- né Jahrir Gakhoor. Suo marito.

zLcSg28

Venatrix e il Kahraman discussero a lungo, interrompendosi solamente quando Shaelan portò loro due tazze di tè nero accompagnate con del naan, un pane tipico di quelle zone. Venatrix ne prese un poco da entrambi, osservando attentamente il suo interlocutore.
Jahrir non erano lontano da come se lo era immaginato. Incarnava tutti gli aspetti tipici della razza dei nani, quasi ne fosse un esponente archetipale: barba lunga, corporatura tarchiata, sopracciglia cispose, muscoli definiti, naso a patata e piccoli occhi scuri. Il fisico che lo sorreggeva pareva particolarmente adatto alla guerra o al lavoro nei campi, che poi erano le due attività a cui si era dedicato principalmente nel corso della sua vita; ciò nonostante le sue dita si muovevano con una meticolosa attenzione, miscelando tè e zucchero elegantemente con un cucchiaio e spezzando in due il naan. Un tratto che doveva aver guadagnato da poco, a giudicare dalla serietà con cui compiva quei gesti; abitudini che gli erano cresciute addosso grazie a quella pace che lui stesso sembrava disprezzare tanto, e che per un istante fecero esitare Venatrix.

« Ti sono grato per avermi ascoltato » disse con voce risoluta, sorseggiando dalla sua tazza « ma non desidero che tu prenda decisioni avventate. »
« Io non posso esimermi dal combattere, ma voi non dovreste accantonare con facilità ciò che a me è negato. Immagino che possa essere difficile dimenticare gli eventi della "Riunificazione", e rinunciare con essi agli ideali poetici, ricchi di fascino e di avventura, della vostra giovinezza. Ma è solo standovi lontano che potreste scoprire che la realtà usuale e consueta è assai preziosa e bella, come stavate tentando di fare lontani dalla vita mondana di Qashra. »
« Io non sono nessuno per spingervi a rifiutare un tale tentativo. Tutto ciò che mi avete trasmesso mi induce a fare un passo indietro e pentirmi delle mie iniziali intenzioni. »
Jahrir prese un lungo sorso del suo té, deridendo la sua ampollosità con un gesto eloquente della mano. I nani erano da sempre ben più determinati dei draghi, e non sarebbero certo bastate un po' di cortesie per far cambiare idea al Kahraman.
« Ho già preso la mia decisione. » affermò con tono sicuro, osservando severamente il drago « D'altronde mi pare di capire che ci sia molto più in gioco del mio pacifico nascondiglio. »
« Così è. » A quella risposta, Venatrix non poté porre alcuna replica. Il suo sguardo indugiò un'ultima volta nella direzione dell'animo combattuto di Shaelan, chiedendosi se avesse fatto la cosa giusta assecondando i desideri istintivi di lei. La donna voleva che il Jahrir guerriero tornasse a vivere; voleva che suo marito tornasse a essere un eroe, e anche Jahrir stesso lo voleva. Sembrava che soltanto il drago avesse la percezione di aver compiuto un danno irreparabile, infrangendo la pace che i due nani erano riusciti a costruirsi fino a quel momento. Ormai, però, era troppo tardi per pentirsi di quanto aveva compiuto.
« ...per il resto, immagino che non siano affari miei. »

Proseguì limitandosi a sorseggiare il proprio tè e portando la discussione sui precedenti argomenti, evitando accuratamente di toccare corde troppo sensibili: a Jahrir non chiese neppure come fosse riuscito a salvarsi all'assedio di Qashra, poiché temeva che tale quesito li avrebbe spinti a ripercorrere le ragioni per cui si era successivamente nascosto al suo popolo, e a quel punto avrebbe finito col ripetersi. Percepiva la potente sensazione di aver appena distrutto la pace che una coppia di eroi si era meritatamente guadagnata, tentandoli nuovamente con il nettare dell'avventura: che anche questo fosse nelle calcolate intenzioni dell'Ahriman? Quanti pesi e quanti dubbi era destinato a gravare ancora sulle proprie spalle, prima che quella vicenda si concludesse?

Il drago stette con la coppia fino a sera, discutendo sul da farsi. Ripeté loro gli orrori che aveva visto e la sua impossibilità a fronteggiarli da solo; gli trasmise le sue preoccupazioni e li contagiò con l'idea di un Akeran devastato da orde di demoni pallidi e bianchicci, se non avessero compiuto nulla. Condivise con loro ogni sua più piccola ansia, fino alla più misera, perché comprendessero quanto lui la gravità della situazione: un signore dei demoni stava per emergere da Baathos, e nessuno pareva essersene accorto. Infine raccolse le sue cose e decise di andarsene, incapace di sopportare oltremodo la sua stessa presunzione: quell'affare s'era da farsi in fretta e bene, in modo che la coppia non soffrisse ulteriormente a causa sua. Avevano già combattuto a sufficienza in passato, e non era sua intenzione costringerli a continuare a combattere fino alla separazione, dopo aver salvato l'Akeran già una volta.
« Io raccoglierò gli uomini che ci servono per combattere questo... Ahriman. » gli disse Jahrir sulla soglia di casa, prima che se n'andasse « Ci incontreremo di nuovo quando avrò raccolto un'armata degna di essere chiamata tale. Immagino che il mio nome abbia un certo peso nell'Akeran, oggi... per la mia barba! » e rise di gusto a quell'affermazione, cogliendone un'ironia che solamente lui pareva si sentisse in grado di comprendere « Tu va pure a raccogliere informazioni su questo nemico. Più cose sapremo sul suo conto quando lo affronteremo in battaglia e più velocemente saremo in grado di stroncarlo. »
Venatrix acconsentì e salutò con un caloroso abbraccio il compagno. Nonostante avessero passato solamente qualche ora insieme, sentiva di avere in comune con lui molto più di quanto il solo aspetto non desse a vedere. Entrambi avevano a cuore il destino dell'Akeran; entrambi erano additati come eroi; entrambi erano disposti a mettere da parte la propria vita pacifica per il bene di Theras.
Proprio per quest'ultima ragione, era più che mai ansioso.

« Ti ringrazio di tutto, Jahrir Gakhoor. Primo Sultano. »

Baciò su ambo le guance sia lui che Shaelan, e se ne andò. Gli archivi di Qashra lo attendevano.

 
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view post Posted on 4/10/2014, 16:54

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Jahrir rigirò l'attizzatoio nel caminetto, smuovendo le braci.
Riflessi cremisi lampeggiarono nella penombra e nell'aria si spanse il profumo dolciastro del legno di cedro misto a quello secco e bruciato della cenere.
Alexei, l'enigmatico straniero giunto da lontano per riferire di prossime sciagure in procinto di abbattersi sul regno dei nani, se ne era andato già da un po'.
Le ombre si erano allungate, le stelle accese, e il fu Kahraman aveva avuto modo di rimuginare sulle sue parole e sulla propria vita negli ultimi anni,
a partire da quel fatidico giorno dell'assedio di Qashra.


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Orde demoniache incalzavano sotto le mura, i nemici erano penetrati fin dentro la cinta. All'interno della rocca centrale Jahrir si era issato all'apice della propria esistenza. Mentre il suo spirito si elevava in una dimensione ultraterrena, dove la mera volontà era in grado di forgiare la materia e i sogni si intrecciavano a tessere la stoffa di questo mondo, il corpo giaceva sul freddo marmo della Sala del Trono, trafitto a morte dalle lama traditrici di Lotrak e i suoi uomini. Shaelan, che combatteva al suo fianco, lo trasse in salvo insieme a un gruppo di fedelissimi fra i pochi superstiti, riuscendo a stento a sfuggire ai nemici incalzanti, quanto meno per evitare che fosse fatto scempio delle spoglie. Eppure, contro ogni speranza e previsione, una scintilla vitale ancora albergava nel suo cuore gonfio di dolore. Forse era per via di un frammento di quella dimensione intermedia fra le realtà e l'illusione rimasto incagliato nelle sue carni ferite, forse perchè la volontà del nano era troppo forte per essere stroncata così, o forse - più semplicemente - i pugnali non erano penetrati abbastanza a fondo. Jahrir rimase incosciente per settimane, mesi, in bilico sul bordo sottile che separa la vita dalla morte, mentre l'amata si prendeva cura di lui. Al termine della battaglia il suo corpo non fu rinvenuto e Shaelan stessa, insieme ai pochi che conoscevano la verità, alimentò le voci del suo eroico martirio: i rischi che qualche traditore e infiltrato fosse ancora rintanato nell'ombra pronto a colpire, sapendolo vivo, nel momento di massima vulnerabilità, era troppo elevato. Così il nuovo regno del Sultanato gli conferì il titolo di padre Riunificatore ed elesse i suoi successori.
Qashra prosperò e i nani con essa; quando infine Jahrir si risvegliò dal suo lungo torpore un mondo nuovo lo aspettava, un mondo cambiato. Ormai, si rese conto, era una reliquia che apparteneva al passato; su di lui fiorivano storie e leggende, di lui raccontavano le madri ai propri figli. Il suo popolo era in pace, adesso, mentre lui apparteneva alla guerra, alla rovina e distruzione. Era un fossile di un tempo perduto che, si augurava per il bene di tutti, non sarebbe più tornato. Ecco perchè, insieme a Shaelan, aveva deciso di ritirarsi a vita privata, mantenendo l'anonimato e rifugiandosi in quella grezza ma accogliente casupola fuori dalle mura della capitale. Da lì poteva ammirare albe e tramonti, il cielo stellato e le verdi praterie, e soprattutto la splendente Qashra e il frutto dei propri sacrifici. Poteva godere in serenità dell'amore della sua compagna. Era una scelta che recava con sè un retrogusto malinconico, ma non amaro. Dopotutto il suo corpo era stanco, il suo spirito anche, e - riteneva - aveva assolto abbondantemente i propri doveri. Aveva mantenuto la promessa fatta al suo maestro, Enkidu. Il suo popolo era andato avanti senza di lui, e sembrava cavarsela benissimo da solo.

Eppure, mentre le stagioni si susseguivano, si ritrovava sempre più spesso a contemplare il vecchio martello da guerra affisso alla parete e a rammentarne con piacere il peso rassicurante fra le mani, i muscoli che si tendevano e il cuore che pulsava frenetico quando lo sollevava per schiantarlo su un avversario; ricordava il delirio della battaglia, l'adrenalina del combattimento, il sapore metallico del sangue in bocca. Più di tutto ricordava quella sensazione indescrivibile nel mezzo dello scontro, quando la scelta si riduce a uccidere o essere ucciso e ogni altro pensiero si scioglie quasi neve al sole. Mai si era sentito così vivo come quando era stato tanto vicino alla morte.
In fondo lui era un guerriero: non era addestrato alla pace.

Poi però altre memorie gli sovvenivano: il dolore delle ferite, la disperazione della sconfitta e l'atroce sofferenza per la perdita di un amico, e allora si dava dello stolto e dell'ingrato.
Così trascorrevano i suoi giorni, e proprio quando si era deciso a mettere il cuore in pace e godere di ciò che la vita aveva da offrirgli, era arrivato Alexei.

. . .

Una fiamma si alzò vivida dal braciere, divorando i resti inceneriti dei ciocchi di legno, subito seguita dalle sue sorelle danzanti. Jahrir non potè fare a meno di pensare a quanto lui fosse simile a quel fuoco. Il suo spirito guerriero era rimasto sopito sotto il velo della quotidianità e della semplicità, ma proprio come la fiamma che cova sotto le braci è pronta a incendiarsi nuovamente se rinfocolata nel giusto modo, così la sua anima combattiva, pungolata dalle nuove, oscure notizie, si era accesa ancora una volta, più prorompente e affamata che mai. Sentiva in cuor suo di dover ancora ricoprire un ruolo nella storia del popolo nanico. L'esistenza del Sultanato - e non solo - era seriamente minacciata, ma la sua gente sembrava non rendersene conto - o forse non voleva. Toccava a lui, come già in passato, prendere le redini del controllo per assicurare alla sua gente la salvezza. Ma, al di là di tutti questi ragionamenti, non poteva negare - nemmeno a se stesso - una punta di egoismo nelle sue motivazioni. Voleva combattere, voleva assaporare il gusto della battaglia un'ultima volta, e Alexei gliene aveva fornito l'occasione. Anzi, l'aveva quasi obbligato.

« Cosa pensi di fare? »

La voce di Shaelan, apprensiva e al contempo determinata, lo riscosse dalle sue meditazioni.
« Partirò domani stesso. Hai sentito Alexei, bisogna agire in fretta. »

« Provocherai un certo scompiglio nella capitale. Non è cosa da tutti i giorni l'apparizione di un eroe morto da tempo. »

Jahrir la guardò, ricambiando il suo sorriso dolceamaro con volto cupo.

« Non andrò a Qashra. Dirigerò altrove i miei passi. » Lesse nel volto di lei la sorpresa, ma prima che qualche prevedibile obiezione affiorasse sulle sue labbra proseguì: « La nostra gente ha già sofferto abbastanza. E' tempo che anche gli altri facciano la loro parte. »

Il popolo nanico aveva già dovuto combattere per conquistarsi la salvezza e la libertà, per sconfiggere nemici che non minacciavano solo loro ma l'intero Akeran, se non addirittura le altre regioni. Il costo da pagare era stato altissimo: famiglie spezzate, amicizie distrutte, amori infranti. Sotto l'opulenza e la magnificenza di Qashra si celavano fondamenta di sangue e dolore, erette col sacrificio dei coraggiosi. Si erano meritati la pace e la possibilità di iniziare una nuova vita. Se gliel'avesse chiesto, Jahrir non ne dubitava, l'avrebbero seguito. Dritti nella battaglia, l'arma in pungo e il cuore saldo perfino di fronte all'abisso. Sarebbero morti per lui, a centinaia, migliaia. Questo era il suo potere. Il fardello degli eroi. Di un kahraman.
Ma non voleva tutto ciò.

« Mi recherò a Taanach. » L'archetipo di città multietnica, un vero crocevia di razze e culture. Era arrivato il momento per ognuna di esse di dare il proprio contributo.
« I triarchi non potranno negarmi il loro aiuto. L'Ahriman è un pericolo per tutti gli uomini liberi di questa terra, non solo per noi nani. »

« Allora io verrò con te. » « No. »

Ma gli bastò una rapida occhitta all'espressione di ferrea decisione sul suo volto per capire che non avrebbe mai potuto farle cambiare idea.
Sospirò, acconsentendo con un cenno del capo.

Nel braciere, la fiamma vacillò quando una raffica di vento si intrufolò all'interno attraverso l'uscio semiaperto.
Jahrir uscì, rimirando la volta trapunta sopra di lui. Lontano, ad ovest, il chiarore del tramonto ancora illuminava una striscia sottile di cielo: striature rosate venate di cremisi.
Shaelan lo raggiunse, fermandosi al suo fianco.

« Ci attende un'alba rossa. »
Come il sangue.

 
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3 replies since 17/9/2014, 16:32   242 views
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