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| Le tenebre erano dense come pece. L'aria era affollata di versi rabbiosi, ululati e grida belluine, ringhi e latrati selvaggi che si rincorrevano e ammassavano in una cacofonia delirante. Shaelan era spaventata: non vedeva a un palmo dal naso, non sapeva dove si trovasse nè quale fosse esattamente la minaccia attorno a lei, anche se nella sua mente già si prefigurava un'immagine fin troppo vivida. Le uniche certezze erano l'ascia che stringeva in pugno e la consapevolezza di doversi aprire la via per la salvezza combattendo, o perire nell'intento. Inspirò profondamente, preparandosi a caricare alla cieca; mosse il primo passo ma non andò oltre: la salda presa di una mano poggiata sulla spalla la trattenne, facendola sobbalzare. Si voltò e un sorriso caloroso affiorò sulle sue labbra quando riconobbe Jahrir, il suo amato compagno, salvo svanire alla vista di ciò che li circondava. Un'orda di creature orripilanti incombeva su di loro, soli al centro di un anello che si serrava inesorabile; c'erano bestie quadrupedi, larve striscianti e aborti volanti dalle ali membranose che culminavano in artigli d'ossidiana. Alcune creature sfoggiavano lunghe zanne ricurve insozzate di sangue e grinfie protese pronte a ghermirli; certe avevano forme innaturali, bozzi e protrusioni ossee; altre ancora non erano più di mere ombre. Ringhiavano e sbavavano all'indirizzo dei due nani, ora protendendosi in avanti, ora ritraendosi dove l'oscurità era più fitta, non osando varcare la soglia del cerchio di luce. La luce! Shaelan se ne accorse solo in quel momento: un bagliore intenso proveniva da Jahrir, quasi fosse emanato dal suo stesso corpo, eppure l'alone dorato non riusciva che a spingersi fino a pochi passi di distanza prima di essere fagocitato dalle tenebre. La pozza luminosa sembrava spaventare i demoni, ma non poteva tenerli lontano ancora a lungo. Alla fine una belva spiccò un balzo, il dorso arcuato solcato da una serie di placche dai bordi taglienti. Jahrir sollevò il martello e gli fracassò il cranio, ma a quel punto le altre creature ruppero gli indugi e si riversarono su di loro, come se quello fosse il segnale che stavano attendendo. In breve Shaelan si ritrovò strattonata, morsa e aggredita da ogni lato; l'ascia mulinava aprendo squarci nella carne e mozzando arti, ma per ogni nemico abbattuto ce n'erano dieci a sostituirlo. Viscere calde, fiele nera e sangue si mischiavano su di lei, rendevano scivolosa l'impugnatura e le impedivano la vista. Gridò quando Jahrir fu sopraffatto e venne sommerso dalla nera fiumana, gridò quando un ampio taglio le si aprì nel fianco, e poi un altro e un altro ancora. Gridò quando fauci fameliche le si chiusero sulla gola e lei si risvegliò, sudata e ansante.
Volse lo sguardo accanto a sè, ma il giaciglio era vuoto. Sospirò, e riflettè con amarezza su quello che le storie cantate dai bardi dicono, ma soprattutto su ciò che omettono. Tutti narravano le epiche gesta di Jahrir e l'eroica battaglia di Qashra, culminata con la fondazione del Sultanato; molti meno erano coloro che ricordavano il sacrificio di Enkidu, suo maestro - che aveva di fatto infiammato l'animo del titubante Jahrir e dato il via alla rivolta - e quasi nessuno parlava di lei, che pure era stata sempre al suo fianco. Ma più di ogni altra cosa, ciò che aedi e menestrelli evitavano di raccontare era l'incubo dell'abisso, il respiro della morte e, peggio ancora, gli incubi. Nonostante gli anni trascorsi, nonostante le vittorie conseguite e il tentativo di dimenticare, quelle visioni ancora la tormentavano. Eppure appartenevano a un tempo passato, si disse Shaelan, tanto i demoni quanto l'immagine del suo battagliero compagno.
Jahrir, il guerriero, l'eroe, era morto. Doveva farsene una ragione.
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F E T I A L E S
« kahraman »
Le cupole di Qashra si stagliavano nel cielo terso del mattino; nell'aria si respirava la brezza salmastra dell'oceano e il vento caldo del deserto. La capitale del Sultanato sbocciava rigogliosa come un fiore, pietra preziosa incastonata nella dura roccia dell'Akeran. Agli occhi del viaggiatore che giungeva da lontano si sarebbero profilate da prima le alte guglie dei palazzi e le foreste di pinnacoli di marmo e granito, poi le volte arcuate, i campanili e i minareti slanciati, quindi la solida cinta muraria e infine, una volta dentro, l'impetuosa vitalità di una città in fermento. Shaelan camminava per le strade affollate di Qashra, sfilando fra le bancherelle del Grande Bazar e in mezzo alla gente. Ricorreva l'anniversario della nascita del Sultanato e in tutta la capitale si tenevano feste e celebrazioni; a ogni piazza si poteva assistere agli spettacoli dei saltimbanchi e le esibizioni dei mangiafuoco; l'afflusso di mercanti era ancora più intenso del solito e i mercati fiorivano in ogni via. Le urla dei commercianti che incensavano le proprie merci si mescolavano a quelle di gioia dei bambini e ai sermoni solenni dei sacerdoti. I venditori esponevano banchi carichi di spezie esotiche, pesce salato dal Canale di Qatja-Yakin, gioielli di ogni foggia - molti dei quali, lei sospettava, non erano altro che paccottiglia - e utensili di ogni tipo. Come se non bastasse, si era sparsa la voce di un forestiero che aveva chiesto udienza al Consiglio di Qashra per alcune questioni della massima urgenza. Era proprio al Palazzo del Governo che Shaelan era indirizzata: la curiosità di conoscere chi fosse quello straniero si era unita alla leggera trepidazione di apprendere le nuove che egli portava, indirizzando così i suoi passi verso il maestoso complesso di edifici che sorgeva su un rilievo al centro della capitale.
« Jahrir, Jahrir, aiutaci! »
A sentire quel richiamo la nana sobbalzò, ma subito dopo realizzò che si trattava solo di uno spettacolino imbastito su un palco lì vicino. Una compagnia di guitti stava manovrando una manciata di burattini, fra cui uno con le fattezze di Jahrir. Gli altri erano un gruppo di nani in difficoltà accerchiati da bestie sconosciute. Alla vista della rappresentazione dei demoni un brivido freddo scosse Shaelan per un attimo, rammentandole le vere creature che aveva dovuto combattere tempo prima. Jahrir si scagliò contro le marionette nemiche, sgominandole in breve tempo. Un coro di voci si levò da dietro le quinte, inneggiando al condottiero: Jahrir Kahraman, Jahir l'eroe!
Scosse la testa e proseguì oltre: ormai la sua meta era in vista.
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« Vi predo di credermi, quando vi dico che sul reame dei nani pende un grave pericolo. »
Shaelan osservava lo straniero dalla sua postazione privilegiata: in quanto compagna del martire ed eroe del popolo nanico le erano accordati certi benefici, fra i quali poter presenziare alle sedute del Consiglio. Certo, non poteva sedere sugli scranni marmorei dei Dodici Membri, ma aveva l'accesso alla loggia rialzata che sovrastava il salone circolare dedicato alle udienze, un'ampia balconata riservata ai membri tenuti in maggiore considerazione nella capitale. Il giovane - se giovane si poteva davvero chiamare, perchè nonostante il suo aspetto fisico era permeato da un'aura di solenne antichità che sapeva del respiro dei secoli - si era presentato come Alexei. Aveva una figura asciutta e slanciata, tratti delicati e gli occhi, come i capelli, di vivida fiamma. Il portamento e l'espressione benevola ma ferma ispiravano rispetto e autorevolezza, sentimenti che tuttavia erano messi a dura prova dalle cattive quanto incredibili notizie che portava e che aveva già esposto nel corso dell'ambasciata: una nuova minaccia proveniente dalle viscere della terra, un'ombra scura che prometteva di obliare per sempre lo splendore del Sultanato.
« Ti siamo molto grati per l'avvertimento, » ringraziò il portavoce del Consiglio, un vecchio nano dalla folta barba bianca, « ma il nostro popolo ha già sconfitto i propri nemici. Come puoi ben vedere proprio in questi giorni sono in atto i festeggiamenti a ricordo della vittoriosa epopea di Jahrir Gakhoor, padre della nostra patria. »
Shaelan intravide Alexei scuotere lievemente la testa, come un padre davanti all'ingenuità dei propri figlioli, che tuttavia sa di dover aiutare.
« Errate quando vi ritenete al sicuro: un male antico e dimenticato si cela al di sotto della superficie di Theras, di gran lunga più letale di quello che avete già sconfitto, e sta per emergere dalle profondità del Sürgün-zemat » Nella pausa che seguì volse gli occhi ai nani che sedevano intorno a lui, uno alla volta; nessuno riuscì a sostenerne lo sguardo. « Ho avuto modo di osservare da vicino l'abisso di Baathos, e vi ho visto un grande pericolo, adagiatovi sul fondo come una serpe in procinto di azzannare la propria preda. »
Di nuovo, come già nel corso dell'udienza, nella sala si levò una cacofonia di mormorii indistinti, commenti contrariati e fitti parlottii. Il portavoce faticò non poco per ripristinare il silenzio, quindi riprese:
« Sei in grado di fornire qualche prova di ciò che dici? »
« Non ho prove da mostrarvi, ma ripongo nella vostra ragionevolezza tutta la mia fiducia. Se non agiamo subito, dopo potrebbe essere troppo tardi. »
« In tal caso, » sentenziò l'anziano, « temo di non poter accogliere la tua richiesta. »
Shaelan avvertì una stretta al cuore nell'udire le ultime parole del Consiglio. Da un lato una parte di lei voleva credere ardentemente, come gli altri nani, nell'infondatezza di quel racconto. Non erano altro che voci riportate da un folle: dovevano esserlo. Avevano già combattuto i propri nemici e ne erano usciti vittoriosi, a un costo altissimo. Dall'altro però sentiva, in qualche modo, che le parole dello straniero erano veritiere, che bisognava muoversi in fretta per evitare una nuova catastrofe. In preda a mille dubbi, indirizzò l'attenzione verso Alexei e per un attimo i loro sguardi si incrociarono. Il giovane sembrò sul punto di aggiungere qualcosa, ma si trattenne; nei suoi occhi la nana lesse un sentimento di grande malinconia, screziata da una profonda tristezza; poi lui volse le spalle al Consiglio e uscì dalla sala.
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I suoi passi erano leggeri, a malapeni udibili lungo il corridoio lastricato. Shaelan non aveva impiegato che pochi attimi per decidersi; il resto - tagliare attraverso le gallerie del Palazzo e intercettarlo in tempo prima dell'uscita - era stato facile. La nana si sporse da un'arcata laterale, afferrando un lembo del mantello cremisi di Alexei, che si voltò incuriosito.
« Il mio nome è Shaelan. »
« Eri al Consiglio, » si limitò a rilevare lui, calmo. Lei annuì.
« Forse so chi ti presterà ascolto. Seguimi. »
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